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In questo volume viene narrata la storia del Laboratorio di Fisica dell’Istituto Su- periore di Sanità. Vi si illustrano, a grandi linee, le sue attività di ricerca e per la sanità pubblica, ma vi trova ampio spazio anche uno straordinario numero di protagonisti, eventi e rievocazioni di varia natura. Attraverso un impegno du- rato quasi quattro anni, i curatori hanno tentato di creare un affresco dei circa settant’anni di vita del Laboratorio, con l’intento di preservarne la memoria e di appassionare il lettore alla sua storia. Le vicende del Laboratorio si intrecciano in- dissolubilmente con quelle dell’Istituto e della Fisica nel nostro Paese. La pubbli- cazione di questo dodicesimo volume della serie costituisce un nuovo prezioso tassello per documentare e preservare la storia dell’Istituto Superiore di Sanità. La collana “I beni storico-scientifici dell’Istituto Superiore di Sanità” riflette l’attività di recupero, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio di interesse scientifico, storico e culturale dell’Ente offrendo spunti di riflessione che alimentano il dibattito tra scienza e società. Le singole monografie di cui si compone la collana hanno l’obiettivo di documentare la storia dell’Istituto Superiore di Sanità e, più in generale, della sanità pubblica italiana attraverso testimonianze materiali (strumenti scientifici, documenti, fotografie) e immateriali (interviste a ricercatori e tecnici, racconti orali). Il Laboratorio di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità Quaderno 12 Il Laboratorio di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità Istituto Superiore di Sanità Viale Regina Elena, 299 - 00161 Roma www.iss.it 12 A cura di Martino Grandolfo Federica Napolitani Serena Risica Eugenio Tabet ISBN 978-88-97498-05-6 I beni storico-scientifici dell’Istituto Superiore di Sanità

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  • In questo volume viene narrata la storia del Laboratorio di Fisica dell’Istituto Su-periore di Sanità. Vi si illustrano, a grandi linee, le sue attività di ricerca e per la sanità pubblica, ma vi trova ampio spazio anche uno straordinario numero di protagonisti, eventi e rievocazioni di varia natura. Attraverso un impegno du-rato quasi quattro anni, i curatori hanno tentato di creare un affresco dei circa settant’anni di vita del Laboratorio, con l’intento di preservarne la memoria e di appassionare il lettore alla sua storia. Le vicende del Laboratorio si intrecciano in-dissolubilmente con quelle dell’Istituto e della Fisica nel nostro Paese. La pubbli-cazione di questo dodicesimo volume della serie costituisce un nuovo prezioso tassello per documentare e preservare la storia dell’Istituto Superiore di Sanità.

    La collana “I beni storico-scientifici dell’Istituto Superiore di Sanità” riflette l’attività di recupero, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio di interesse scientifico, storico e culturale dell’Ente offrendo spunti di riflessione che alimentano il dibattito tra scienza e società. Le singole monografie di cui si compone la collana hanno l’obiettivo di documentare la storia dell’Istituto Superiore di Sanità e, più in generale, della sanità pubblica italiana attraverso testimonianze materiali (strumenti scientifici, documenti, fotografie) e immateriali (interviste a ricercatori e tecnici, racconti orali).

    Il Laboratorio di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità

    Quaderno 12

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    Istituto Superiore di SanitàViale Regina Elena, 299 - 00161 Roma

    www.iss.it

    12

    A cura di Martino Grandolfo Federica NapolitaniSerena Risica Eugenio Tabet

    ISBN 978-88-97498-05-6

    I beni storico-scientifici dell’Istituto Superiore di Sanità

  • Istituto Superiore di Sanità

    Il Laboratorio di Fisicadell'Istituto Superiore di Sanità

    A cura diMartino Grandolfo, Federica Napolitani,

    Serena Risica, Eugenio Tabet

    Istituto Superiore di Sanità, Roma

    I beni storico-scientifi cidell'Istituto Superiore di Sanità

    Quaderno 12

    Prime pagine Fisica.indd Sez1:IPrime pagine Fisica.indd Sez1:I 20/02/2017 12:58:4020/02/2017 12:58:40

  • Istituto Superiore di SanitàIl Laboratorio di Fisica dell'Istituto Superiore di SanitàA cura di Martino Grandolfo, Federica Napolitani, Serena Risica, Eugenio Tabet 2017, 542 p. (I beni storico-scientifi ci dell’Istituto Superiore di Sanità, 12)In questo volume viene narrata la storia del Laboratorio di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità. Vi si illustrano, a grandi linee, le sue attività di ricerca e per la sanità pubblica, ma vi trova ampio spazio anche uno straordinario numero di protagonisti, eventi e rievocazioni di varia natura. Attraverso un impegno durato quasi quattro anni, i curatori hanno tentato di creare un aff resco dei circa settant’anni di vita del Laboratorio, con l’intento di preservarne la memoria e di appassionare il lettore alla sua storia. Le vicende del Laboratorio si intrecciano indissolubilmente con quelle dell’Istituto e della Fisica nel nostro Paese. La pubblicazione di questo dodicesimo volume della serie costituisce un nuovo prezioso tassello per documentare e preservare la storia dell’Istituto Superiore di Sanità.

    Istituto Superiore di SanitàTh e Physics Laboratory of the Istituto Superiore di SanitàEdited by Martino Grandolfo, Federica Napolitani, Serena Risica, Eugenio Tabet 2017, 542 p. (I beni storico-scientifi ci dell’Istituto Superiore di Sanità, 12)Th is volume is about the history of the Physics Laboratory of the National Institute of Health (Istituto Superiore di Sanità, ISS). Th e Laboratory’s activities for research and public health are narrated with ample space given to a vast number of characters, events and memories of diff erent kinds. After four years of dedicated work, the editors have attempted to create a fresco of the ap-proximately seventy years of the Laboratory’s life, with the intent of preserving its memory and of endearing the reader to its history. Th e events of the Laboratory are inextricably intertwined with those of ISS and, on a larger scale, of Physics in Italy. Th e publication of this twelfth volume in the series is a valuable new contribution to document and preserve the history of ISS.

    Comitato redazionale: Enrico Alleva, Cecilia Bedetti, Giorgio Bignami, Paola De Castro, Gianfranco Donelli, Federica Napolitani (coordinatrice), Istituto Superiore di Sanità.

    Redazione: Giovanna Morini e Laura Radiciotti, Istituto Superiore di Sanità.

    Progetto grafi co della copertina: Giacomo Toth, Istituto Superiore di Sanità.

    Hanno collaborato all'elaborazione delle fotografi e Cosimo Marino Curianò, Bruno Ballatore e Luigi Nicoletti (ISS). Le registrazioni audio e video delle interviste di cui al capitolo “I Servizi tecnici: ricordi e rifl essioni di alcuni protagonisti” sono state eff ettuate da Walter Tranquilli (ISS). Si ringrazia Egiziana Colletta (ISS) per la predisposizione del materiale supplementare online.

    Il volume viene presentato in occasione del VII Convegno Storie e Memorie dell’Istituto Superiore di Sanità, dedicato al Laboratorio di Fisica. Roma, 15 marzo 2017.

    Immagini di copertina: Giulio Cesare Trabacchi primo Direttore del Laboratorio di Fisica, una parte del rivelatore Čerenkov a immagini anulari progettato e realizzato nel Laboratorio di Fisica in collaborazione con INFN e CERN (v. pag. 283) e le equazioni di Maxwell dell’elettromagnetismo.

    La responsabilità dei dati scientifi ci e tecnici è dei singoli autori.

    È vietata la riproduzione non autorizzata delle immagini contenute in questo volume.

    ISBN 978-88-97498-05-6

    © Istituto Superiore di Sanità, 2017V.le Regina Elena 299, 00161 Roma

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  • INDICE

    IntroduzioneMartino Grandolfo, Federica Napolitani, Serena Risica, Eugenio Tabet 1

    Le origini: dall’Ufficio del Radio al Laboratorio di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità

    Giulio Cesare Trabacchi: lo scienziato e la personaAlessandra Muntoni, Ludovica Muntoni ...................................................... 5

    Il deposito del radio e l’acceleratore Cockcroft-WaltonSerena Risica, Giulio Grisanti ............................................................................. 19

    Il radio negli anni dell'occupazione tedesca e della ResistenzaSerena Risica ............................................................................................................ 47

    La microscopia elettronica nel Laboratorio di Fisica: una breve sintesiEugenio Tabet ........................................................................................................ 69

    La metrologia dei raggi X Paolo Salvadori ...................................................................................................... 73

    Lo studio della radioattività ambientale nel Laboratorio di Fisica: elementi di storia e ricordi personaliSerena Risica ............................................................................................................ 85

    Il Laboratorio di Fisica e l'eredità di Mario Ageno

    L’elettrosincrotrone di Frascati e i primi esperimenti di Fisica nucleareGiorgio Cortellessa ................................................................................................ 119

    Ricordi e nostalgie del Laboratorio di Fisica dell'ISSUgo Amaldi .............................................................................................................. 139

    Ricordi di attività svolte nel Laboratorio di Fisica dell'ISSGuido Missoni .......................................................................................................... 165

    La nascita e lo sviluppo della BiofisicaClara Frontali, Mauro Belli, Filomena Mazzei ............................................. 175

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  • I primi esperimenti di Fisica dello stato solidoMartino Grandolfo ................................................................................................ 199

    Fisica teorica nucleare e subnucleare all'Istituto Superiore di Sanità: una breve storia molto personaleLuciano Maiani ....................................................................................................... 227

    Fisica teorica della materia condensata e di altro Eugenio Tabet ......................................................................................................... 235

    Il Laboratorio di Fisica e l'INFN Eugenio Tabet ......................................................................................................... 249

    La Fisica nucleare teorica nella Sezione Sanità dell'INFN negli anni 1970-80Claudio Ciofi degli Atti .......................................................................................... 255

    ll calcolo elettronico nel Laboratorio di FisicaGino Farchi ............................................................................................................... 263

    I Servizi tecnici: ricordi e riflessioni di alcuni protagonistiA cura di Martino Grandolfo .............................................................................. 271

    Le grandi tematiche nel rapporto ricerca-salute

    La valutazione del rischio nella produzione di energia da varie fonti: il ruolo del Laboratorio di FisicaEugenio Tabet ........................................................................................................ 337

    La radioprotezione del pazientePaolo Salvadori ....................................................................................................... 373

    La questione del ritiro dei preparati di radioSerena Risica, Giulio Grisanti ............................................................................. 389

    Le radiazioni non ionizzanti I campi elettromagnetici non otticiMartino Grandolfo .............................................................................................. 401

    Le radiazioni non ionizzzantiLa radiazione ultraviolettaMirella Matzeu ....................................................................................................... 427

    La presenza femminile nel Laboratorio di Fisica. Breve ritratto di alcune protagonisteFederica Napolitani .................................................................................................... 433

    Il Laboratorio di Fisica verso gli anni 2000A cura di Martino Grandolfo ed Eugenio Tabet ............................................. 463

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  • Appendici

    Appendice 1 Mario Ageno e il Laboratorio di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità. Ritratto di un protagonistaGloria Campos Venuti, Martino Grandolfo e Paolo Salvadori (Sapere, n. 4, agosto 1997) ........................................................................................... 513

    Appendice 2 Un inedito di Gloria Campos Venuti. Introduzione alla Giornata di Studio ISS-AIRP su: Il passato e il presente della radioprotezione nella Unione Europea. Istituto Superiore di Sanità, 27 gennaio 2004 ............. 533

    Appendice 3 Inventario della serie “Laboratorio di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità” nell’Archivio Centrale dello StatoMariapina Di Simone .................................................................................................... 539

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  • 1

    Questo Quaderno è parte di una collezione di volumi dell’Isti-tuto Superiore di Sanità (ISS) concepiti per illustrare i diversi aspet-ti delle attività in esso svolte, sia dal punto di vista squisitamente scientifi co che da quello di carattere storiografi co. In tal modo sono messe in evidenza le vicende che hanno portato l’ISS, negli anni, alla sua confi gurazione attuale e ne viene salvaguardata la memo-ria. In questa collana trovano altresì posto anche opere dedicate alla ricognizione del ricco patrimonio di strumenti scientifi ci che l’Istituto ha utilizzato, e gelosamente conservato quando non più in uso, fi n dalla sua fondazione nel 1934, parte dei quali concepiti, progettati e realizzati al suo interno.

    In questa serie de I beni storico-scientifi ci dell’Istituto Superiore di Sanità non poteva dunque mancare un volume dedicato al Labora-torio di Fisica, la cui storia, sin dalle origini, si intreccia con quella stessa dell’Istituto, pur rimanendo una storia a sé stante. Inaugurata nel 2005 con un volume su “I Laboratori di Chimica Terapeutica”, la collana ha dedicato alcune monografi e ad altri laboratori, quali il Laboratorio di Ultrastrutture (Quaderno 4) e quello di Mala-riologia (Quaderno 5). Essa si arricchisce ora di un nuovo volu-me, il dodicesimo, la cui stesura ha richiesto un notevole impegno da parte dei curatori, protrattosi per circa quattro anni. Non si è trattato solo di un certosino lavoro di recupero delle fonti e del-la narrazione, per grandi linee, dell’attività scientifi ca e di sanità pubblica del Laboratorio, ma di un approfondito studio su come meglio tracciare un fi lo conduttore che fosse in grado di raccontare una storia complicata, richiamandone eventi, ricerche, protagonisti e, possibilmente, appassionando nello stesso tempo il lettore.

    IntroduzioneMartino Grandolfo, Federica Napolitani,

    Serena Risica, Eugenio Tabet

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    Il Laboratorio di Fisica

    Nel volume che qui viene presentato, insieme alla sia pur suc-cinta illustrazione delle ricerche e delle attività che hanno accompa-gnato gli oltre 70 anni di vita del Laboratorio di Fisica (a lungo in collaborazione con l’INFN), trovano ampio spazio rievocazioni di varia natura e si dà voce, in diversi punti e in un apposito capitolo, ai tecnici che hanno sempre costituito l’humus fondamentale di un laboratorio di ricerca ma che, spesso, in altri contesti fi gurano come poco più che comparse.

    Alcuni caveat ci paiono indispensabili. Nel corso della sua esi-stenza il Laboratorio ha spesso cambiato nome, talvolta sotto la spinta di sollecitazioni esterne. Dal nome Laboratorio Fisico/Labo-ratorio di Fisica degli inizi, si è passati nel tempo alla dizione La-boratori di Fisica, poi Laboratorio delle Radiazioni, tornando infi ne all’iniziale Laboratorio di Fisica fi no alla sua confl uenza nel Diparti-mento di Tecnologie e Salute, che ne ha sancito la fi ne come strut-tura autonoma. Per semplicità, nel corso della narrazione s’è usata in generale la dizione Laboratorio di Fisica, anche quando si parlava di anni nei quali il nome della struttura non era questo, ma non è diffi cile trovare anche qualche eccezione a questa scelta.

    In secondo luogo i curatori del volume e gli estensori dei vari ca-pitoli (che negli anni hanno quasi tutti avuto un ruolo nelle attività del Laboratorio) non sono certo storici della scienza e, pertanto, il loro approccio alla narrazione non ha alcuna pretesa di completezza o di rigore storiografi co. Ciò fa sì che persone, fatti e luoghi possano essere stati trascurati o addirittura dimenticati: ove ciò sia avvenuto i redattori ne sono spiacenti e pronti alle scuse più sincere.

    La messa in cantiere di un volume che tenta un aff resco di circa settant’anni di attività di un Laboratorio straordinariamente poliedrico come quello di Fisica incontra poi una diffi coltà di fon-do, quella del bilanciamento obiettivo dei diversi fi loni di attività (ricerca e controllo) succedutisi negli anni. Le competenze dei cu-ratori, ovviamente limitate a una parte dello spettro scientifi co del Laboratorio, sono state integrate da una generosa partecipazione di numerosi colleghi alla stesura di diverse sezioni del Quader-no e nella formulazione delle conclusioni. Senza la loro preziosa collaborazione, per la quale sentiamo l’obbligo e il piacere di un sincero, caloroso ringraziamento, questo Quaderno non avrebbe potuto vedere la luce. Il lettore troverà i loro nomi in testa ai sin-goli contributi e alla fi ne dell’ultimo capitolo.

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  • Introduzione

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    Ciò detto, gli squilibri che si possono riscontrare tra un settore e l’altro rifl ettono la visione della squadra di redazione e, anche, in alcuni casi, degli autori dei singoli capitoli. Non era poi pensabile, in un lavoro frutto dell’opera di tante penne, aspirare a una com-pleta omogeneità, circostanza che forse non è poi del tutto negativa, assumendo così l’opera un carattere meno formale.

    I redattori hanno poi dovuto far fronte alla circostanza che una parte della documentazione del Laboratorio – la cui conservazione era, in termini di relazioni di attività, rapporti, pareri tecnici e così via, un tempo vanto della sua struttura amministrativa – non è più rintracciabile e ciò ha reso diffi coltoso, e in qualche caso addirittura impossibile, il reperimento di date, codici e nomi.

    Nel corso della sua vita il Laboratorio ha dovuto aff rontare an-che periodi di acute crisi, quali quelle degli anni che portarono, nel 1973, alla formulazione e al varo del testo della riforma dell’ISS.

    Nel largo movimento che portò a quel risultato, generato da mol-teplici iniziative tra le quali spicca quella dell’Assemblea permanen-te (si veda, in proposito, il testo di Ugo Amaldi e le testimonianze di numerosi tecnici all’interno di questo Quaderno) il Laboratorio svolse un ruolo di prim’ordine sia per la qualità dei contributi por-tati all’elaborazione del testo della riforma che per l’impegno tenace che contraddistinse la partecipazione della maggioranza dei membri del Laboratorio alla lunga serie di sedute plenarie e commissioni di lavoro istituite su singoli aspetti del lavoro preparatorio.

    Si trattò senza dubbio di un sacrifi cio importante, considerato sotto il profi lo del lavoro scientifi co, perché l’impegno coinvolse una buona parte del personale per lunghi mesi e per frazioni di tem-po molto rilevanti. Non si può sottacere, tuttavia, che quello sforzo corale cementò ulteriormente la coesione del Laboratorio, off ren-do a ciascuno un obiettivo, quello della trasformazione del nostro Istituto in una struttura più moderna, più agile e più democratica che riuscì spesso a trasformare in protagonisti fi gure che, altrimenti, sarebbero forse rimaste relegate in un ruolo marginale.

    Di ciò testimonia il ricordo di tutti i protagonisti di quella sta-gione, concordi nel descrivere quegli anni come un momento non solo creativo ma permeato da momenti di genuino entusiasmo per la consapevolezza che alle mani dei ricercatori e tecnici dell’ISS ve-niva affi dato il compito della rigenerazione dell’Istituto.

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    Il Laboratorio di Fisica

    Oltre al materiale raccolto nel Quaderno, una mole notevole di scritti, documenti e fotografi e relativi al Laboratorio, di sicuro interesse scientifi co o documentaristico, è stata trasferita online: è sembrato op-portuno affi darsi a questo escamotage per non aff ondare il volume sotto un peso insostenibile. In allegato alla versione online di questo Quader-no è pertanto disponibile una raccolta di materiale supplementare che potrà crescere negli anni futuri accogliendo nuovi inserimenti (la colla-na I beni storico-scientifi ci è disponibile al sito http://www.iss.it/publ/).

    Un’altra importante ricaduta della preparazione di questo Qua-derno è stata l’eff ettuazione della scansione di tutti gli articoli dei Rendiconti (la rivista uffi ciale dell’Istituto inaugurata, nel 1938, a soli quattro anni dalla sua fondazione) che riguardano il Laborato-rio di Fisica e il completamento della scansione dell’intera collezio-ne degli Annali (pubblicati dal 1965), oggi disponibili online nel sito della rivista www.iss.it/anna.

    Se questo Quaderno riuscirà a trasferire al lettore, almeno in parte, l’intreccio tra curiosità intellettuale, speranze, sconfi tte, con-quiste e vicende umane che hanno accompagnato tutti coloro che hanno condiviso gli anni indimenticabili della troppo breve stagio-ne del Laboratorio di Fisica, la nostra fatica non sarà stata inutile.

    Vogliamo anche ricordare che la preparazione di questo volume è stata fortemente voluta da Cecilia Bedetti, la quale fi no al giorno del suo pensionamento ne ha auspicato la realizzazione, lasciando poi il compito di mettere d’accordo le forze in campo a Federica Napolitani, che l’ha sostituita nel coordinamento della serie. Inol-tre, un ringraziamento particolare va a Laura Radiciotti, che con tanta pazienza e professionalità si è presa carico della cura editoriale di questo volume.

    Non possiamo, infi ne, chiudere queste brevi note introduttive senza rivolgere un pensiero aff ettuoso al ricordo dei cari colleghi, Gino Farchi, Salvatore Frullani e Guido Missoni, che ci hanno pur-troppo lasciato prima di poter leggere sul Quaderno, oppure sul materiale supplementare, i bei contributi da loro fi rmati.

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    LO SCIENZIATO

    Giulio Cesare Trabacchi (Figura 1), nato a Roma il 5 aprile del 1885, era fi glio dello scultore Giuseppe Trabacchi. Il padre, Acca-demico di San Luca e socio della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, fu premiato per la sua statua Betsabea nel 1890 e ricevet-te una medaglia d’argento all’Exposition Universelle di Parigi nel 1900. Fu autore, tra le altre, della statua dell’Arte Industriale posta sulla facciata del Palazzo delle Esposizioni e di quella di San Matteo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma. Scolpì anche la statua per il monumento a Simon Bolivar commissionatagli da un paese dell’America Latina. L’ambiente artistico fece quindi stretta-mente parte della formazione culturale del futuro fi sico e alimentò anche il suo profondo interesse per la fotografi a.

    Giulio Cesare Trabacchi si laureò in Fisica alla Regia Università di Roma con il massimo dei voti e lode. Nel luglio del 1907 venne nomi-nato allievo assistente nell’Istituto Fisico della stessa Università dove aveva collaborato fi n dal 1906 con il Prof. Alfredo Pochettino con il quale aveva condotto alcune ricerche sul comportamento elettrico del selenio, ricerche che furono pubblicate proprio in quell’anno. Nel 1907 portò avanti alcuni studi sulla birifrangenza accidentale (1).

    Nel 1908 si occupò di radioattività delle acque e l’anno succes-sivo propose un dispositivo con il quale si poteva ottenere per punti la forma di una corrente alternata, con speciali vantaggi sui metodi analoghi conosciuti. Tale dispositivo venne vantaggiosamente ado-perato dal Professor Pochettino (2).

    GIULIO CESARE TRABACCHI:LO SCIENZIATO E LA PERSONA*

    Alessandra Muntoni, Ludovica Muntoni

    *Questi cenni biografi ci sono stati redatti dalle nipoti di Giulio Cesare Trabacchi sulla base dei ricordi, dei documenti e delle pubblicazioni conservati nell’Archivio Trabacchi.

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    Il Laboratorio di Fisica

    Negli anni 1910-11 si occupò quasi esclusivamente di fotografi a ortocromatica e di fotografi a dei colori. In un articolo del 1915 (3) dimostrò che, con opportune lastre e convenienti lampi di luce arti-fi ciale, si poteva ottenere la stessa resa di chiaroscuro che viene per-cepita dall’occhio umano nella visione degli oggetti in luce diurna. Il criterio di confronto era costituito dall’esame diafanometrico degli

    spettrogrammi propri dei lam-pi, in relazione alla curva della sensibilità fi siologica. D’altra parte, nel 1911, aveva tenuto una conferenza presso la Socie-tà degli Ingegneri e Architetti di Roma intitolata La fotografi a dei colori, dove aveva dimostra-to di conoscere molto bene le ricerche cromatiche dei pittori del Cinquecento e del Seicento, e si era avvalso anche delle co-noscenze dell’amico Francesco Paolo Michetti la cui vicinanza era dovuta certamente al circolo degli artisti che ruotava intor-no al padre per quanto riguar-da gli Impressionisti. In quella occasione riprese la teoria della percezione dei colori sostenuta da Young-Helmholtz che corri-

    spondeva singolarmente a quella di Paolo Veronese; entrambi soste-nevano, infatti, che i tre colori fondamentali percepiti dall’occhio umano fossero rosso, verde e violetto e non giallo, rosso e blu come era stato a lungo creduto, mentre “il nero sarebbe assenza di luce e il bianco sarebbe invece dovuto alle tre sensazioni, ciascuna al massi-mo di intensità” (4). Fu proprio la resa dei bianchi nelle fotografi e a colori che andava sperimentando in quell’epoca a fargli preferire il fi ltro Lumière anche se le relative procedure di stampa risultavano più complicate rispetto alle altre allora in commercio. Portò avanti la sperimentazione della fotografi a in lastre soprattutto in bianco e nero, anche con eff etti stereoscopici. Tra i soggetti ritratti si trovano

    Figura 1 - Giulio Cesare Trabacchi (Archivio Trabacchi).

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  • Giulio Cesare Trabacchi

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    fontane e monumenti di Roma, ripresi anche in notturna, Villa Borghese, Villa Doria, il Giardino Zoologico, il porto di Fiumi-cino, artigiani e ciociarette, strade di Roma piene di gente, alcuni autoritratti alla scrivania e soprattutto molti ritratti dei propri fami-liari (Figura 2) con lo sfondo del Foro Romano, di Villa Borghese, di chiese o in interni. Una serie di fotografi e stampate e rilegate in album ritraggono poi le statue scolpite dal padre. Ma ci sono anche gli spazi del laboratorio e dei colleghi dell’Istituto di Fisica o esempi di lastre prodotte da studi fotografi ci francesi (Maison de la Bonne Presse, Le Fils D’Emile Deyrolle, E. Mazo e Croma), pro-babilmente acquistate in uno dei suoi rari viaggi all’estero (5). Per le fotografi e a colori aveva anche escogitato una parti-colare emulsione, ma non ne chiese mai il brevetto, cosicché questa esperienza si è purtroppo perduta.

    Dal 1911 in poi la sua attività scientifi ca si limitò a due settori: i fenomeni galvanomagnetici del bi-smuto e il funzionamento delle ampolle (oggi tubi) per raggi X con apparecchi destinati alla loro alimen-tazione. Da quella data, lavorò come assistente del Professor Orso Mario Corbino sui raggi X pub-blicando lavori nei quali, “per deliberato proposito, manca qualsiasi divisione di proprietà intellettuale, ritenuta da entrambi una convenzione artifi ciosa, visto che era sempre esistita una diuturna collaborazione” (6). Insieme, i due scienziati, verifi cavano anche alcune ipotesi di ricerca sulle tensioni nei corpi elastici basate sulle equazioni del professor Vito Volterra.

    Figura 2 - Giulio Cesare Trabacchi sperimentava nuove tecniche di fotografi a dei colori. In questa foto ritrae la moglie Ada negli anni 1910-11 (Archivio Trabacchi).

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    Il Laboratorio di Fisica

    Nel 1914 venne nominato assistente per la Fisica Complemen-tare, carica che rivestì fi no all’11 novembre 1915, allorché fu richia-mato a prestare servizio militare; dovette quindi lasciare la cattedra di Fisica all’Istituto Tecnico De Merode, da lui tenuta fi n dal 1911.

    Nominato sottotenente del Genio e comandato presso l’Ispet-torato di Sanità Militare, fece parte della commissione di allesti-mento delle Ambulanze Radiologiche d’Armata in accordo tra il Ministero della Guerra e l’Istituto Fisico di Roma; in quell’ambito ebbe il comando di un reparto di soldati specializzati nella costru-zione e nella riparazione degli apparecchi destinati alla produzione dei raggi X nonché degli accessori occorrenti per tutte le esigenze della tecnica radiologica di guerra. In quel periodo fu anche con-sulente tecnico della Commissione di allestimento delle Ambu-lanze Chirurgiche d’Armata e venne incaricato di tenere due corsi teorico-pratici, uno per gli uffi ciali medici destinati al comando delle ambulanze radiologiche e uno per i soldati addetti alla ma-nutenzione degli apparecchi. Ottenne la promozione a Tenente e, nel 1917, a Capitano, nomina che gli fu concessa dal Comando Supremo per meriti eccezionali. Congedato il 9 marzo 1919, fu nominato cavaliere della Corona d’Italia per benemerenze acquisi-te durante la guerra.

    I lavori relativi al periodo 1915-1919, pubblicati nei Rendiconti della Regia Accademia dei Lincei, nelle riviste L’Elettricista, Nuovo Cimento, La radiologia medica e Il Policlinico riguardano vari argo-menti tra cui l’eff etto Hall nelle leghe di tellurio e bismuto, la resi-stenza elettrica di una lamina in un campo magnetico, l’interruttore elettrolitico per la corrente alternata e il dispositivo semplice per la radiostereoscopia, l’impiego radiografi co del cronometro di Benoist e gli apparecchi radiostereoscopici e radiologici trasportabili (7).

    Dopo la guerra, riprese la sua carica di assistente per la Fisica complementare, coadiuvando il Direttore dell’Istituto nella guida dei laureandi e sostituendolo, quando se ne presentava la necessità, nelle lezioni agli studenti di medicina. Riprese anche l’insegnamen-to della Fisica nell’Istituto Tecnico De Merode lasciandolo allorché, in base al Regio Decreto Legge del 1919, tale incarico divenne in-compatibile con quello di assistente universitario.

    Nel 1921 ottenne, per titoli, la libera docenza in Fisica speri-mentale presso la Regia Università di Roma e venne incaricato del

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    corso di Fisica sperimentale per medici e farmacisti e del corso di Magistero per lauree miste.

    Nel 1922 ottenne la cattedra in Fisica, classifi candosi secondo nella terna vincitrice del concorso per l’Università di Catania. Ven-ne, di conseguenza, chiamato dalla Facoltà di Scienze di Messina e da quella di Medicina e Chirurgia di Bari. Ma essendo stato con-temporaneamente invitato a coprire il posto di Direttore dell’Uffi -cio del Radio (diventato in seguito Laboratorio Fisico dell’Istituto di Sanità Pubblica, Istituto che dal 1941 venne denominato Istituto Superiore di Sanità) rinunciò alla cattedra e dedicò la sua attività all’organizzazione del laboratorio, conservando, in questa nuova ca-rica, le prerogative di carriera che spettano ai professori dell’Univer-sità. Portò a compimento i più importanti impianti del laboratorio stesso e riprese quindi il lavoro di ricerca scientifi ca (Figura 3). In

    Figura 3 - Nell'ottobre del 1931, per impulso di Guglielmo Marconi incomincia a Roma l’era nucleare, con il famoso convegno che vide riuniti, intorno al Presidente dell'Accademia d'Italia, ben otto premi Nobel e i maggiori scienziati del mondo. La fotografi a ritrae gli intervenuti al convegno.1. Richardson; 2. Millikan; 3. Marconi; 4. Bothe; 5. Rossi; 6. Lise Meitner; 7. Goudsmit; 8. Stern; 9. Debye; 10. Compton; 11. Curie; 12. Bohr; 13. Aston; 14. Ellis; 15. Sommerfeld; 16. Wataghin; 17. Perrin; 18. Corbino; 19. Trabacchi; 20. Cantone; 21. Parravano; 22. Rasetti; 23. Heisenberg; 24. Brillouin; 25. Townsend; 26. Ehrenfest; 27. Fermi; 28. Beck; 29. Persico; 30. Vallauri; 31. Giordani; 32. Bonino; 33. Mott; 34. Rupp; 35. Quirino Majorana; 36. Garbasso; 37. Lo Surdo; 38. Carrelli.

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    particolare progettò e fece costruire il primo impianto in Italia per l'estrazione e la purifi cazione del radon, rendendo così possibile la cura ambulatoriale dei tumori, vari anni prima che si diff ondesse l’uso dei sali di radio in idonei ermetici contenitori metallici (8).

    Nel 1934 fu tra i collaboratori di Enrico Fermi per il quale pre-parava le sorgenti di neutroni, di radon e berillio, usate in tutto il famoso ciclo di esperienze sulla radioattività artifi ciale indotta da bombardamento con neutroni e sulla fi sica dei neutroni lenti (1934-1938). Nel 1935 divenne Direttore del Laboratorio di Fisica dell’Istituto di Sanità Pubblica, carica che conservò fi no al 1958 per raggiunti limiti di età.

    La dottoressa Daria Bocciarelli, che si era laureata in Fisica nel 1931 all’Università di Firenze e che aveva svolto importanti ricerche di microscopia elettronica nel centro di Arcetri, entrò a far parte del Laboratorio di Fisica nel 1938. La collaborazione tra Trabacchi e Bocciarelli produsse una serie di ricerche che vennero pubblicate tra il 1939 e il 1948. In particolare, insieme riuscirono a dotare il labo-ratorio di un microscopio elettronico Siemens, acquistato a Berlino dopo un’accurata supervisione in loco, e installato a Roma nel 1942 (9). Durante la guerra, dopo l’armistizio del 1943 e l’instaurarsi di uno stato di belligeranza tra l’Italia e la Germania, il comando tedesco si presentò all’Istituto Superiore di Sanità, dichiarando che avrebbe requisito il microscopio elettronico il giorno successivo. Data la formidabile conoscenza tecnica dello strumento, Trabac-chi e Bocciarelli, con l’aiuto dell’assistente Nella Mortara (per tut-ti la “Zia Nella”), furono in grado di smontarlo, eff ettuare rilievi con appositi disegni e fotografi e, di rimontarlo in una sola notte per poterlo poi consegnare al comando tedesco. In questo modo, poterono successivamente ricostruirlo nell’offi cina del laboratorio fornendo in tal modo, come sostiene Mario Ageno (che diresse il Laboratorio di Fisica dopo Trabacchi), un mezzo indispensabile per numerosissime ricerche soprattutto nel campo della biologia (10). Gli studi sulla microscopia elettronica rimasero il campo di ricerca privilegiato di Trabacchi tanto che diventò Presidente della Società Italiana di Microscopia Elettronica.

    Nel 1938 aveva anche preso parte con Fermi e il suo gruppo alla progettazione del primo acceleratore italiano per ioni positivi. L’acceleratore venne costruito all’Istituto Superiore di Sanità du-

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    rante la sua direzione. Si tratta di un impianto che per quasi venti anni fu l’unico del genere in Italia e che rese possibile l’esecuzione di numerose ricerche di fi sica nucleare. Enrico Fermi lo aveva so-prannominato “la divina provvidenza” per la sua abilità nel reperi-mento dei fondi e per la sua capacità di progettare apparecchiature scientifi che.

    Tra il 1938 e il 1948 collaborò anche con Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Mario Ageno, Bruno Cacciapuoti e Bruno Ferretti a numerose ricerche pubblicate sui Rendiconti dell’Istituto Superiore di Sanità, La ricerca scientifi ca, Th e Physical Review, L’elettrotecnica e Physical Soc. Cambridge Conference. Esse riguardano molti argo-menti tra i quali: la scissione (oggi fi ssione) dell’uranio con neutro-ni, la misura della sezione d’urto elastica tra neutroni e protoni e la distribuzione angolare dei neutroni emessi nella disintegrazione di elementi leggeri, la scissione del torio e del protoattinio, l’urto tra protoni e neutroni, un apparecchio automatico per misure di radioattività e il microscopio elettronico.

    Per queste ricerche Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Oscar D’Agostino, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti, Emilio Segrè e Giulio Cesare Trabacchi ottennero il “Brevetto neutroni”. Allorché nel 1944 gli alleati arrivarono a Roma, il Comando degli Stati Uniti requisì provvisoriamente molti brevetti scientifi ci, tra i quali questo, per poterli eventualmente utilizzare anche per questioni belliche. Nel 1949, tuttavia, venne aperta una procedura per onorare il com-penso dovuto per l’acquisizione del “Brevetto neutroni” avvenuta durante la guerra. Tale operazione si svolse tra Roma, dove risiede-vano Amaldi, D’Agostino, Rasetti e Trabacchi e gli Stati Uniti, dove risiedevano Segrè (Berkeley, California) e Rasetti (Johns Hopkins University, Baltimore, Maryland). Mediatore fu la G.M. Giannini & Company (New York) per la United States Atomic Energy Com-mission Patent Compensation Board (Washington). La trattativa si svolse tra il 1949 e il 1953, quando fi nalmente il compenso del brevetto venne pagato (11).

    Nel dopoguerra Trabacchi si dedicò soprattutto alla direzione del laboratorio, producendo anche alcuni importanti lavori scien-tifi ci riguardanti l’energia del nucleo atomico e la sua utilizzazione, lo sparpagliamento (oggi diff usione) elastico dei neutroni veloci da parte di nuclei medi e pesanti, gli eff etti di diff razione nello sparpa-

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    gliamento dei neutroni veloci. Lavorò altresì al continuo perfezio-namento del microscopio elettronico.

    Andò in pensione nel 1958 e Mario Ageno, col quale aveva a lungo collaborato, divenne Direttore del Laboratorio di Fisica. Trabacchi, tuttavia, continuò a recarsi ogni giorno in laboratorio “pronto sempre a dare informazioni e consigli e a rallegrarsi per ogni nuova realizzazione, accolto con simpatia e aff etto” dai col-leghi (12).

    LA PERSONA

    Il Nonno aveva un carattere complesso. Se come scienziato ha sempre dimostrato doti di straordinario attaccamento al lavoro, di meticolosità e di sicura esperienza, nonché di capacità a collaborare anche con personalità di grande prestigio, in famiglia era molto più oscillante nei comportamenti. Autoritario e generoso, intransigente e maniacale, ma anche capace di diventare improvvisamente abile intrattenitore, con una insospettata dose d’ironia. Alcuni ricordi e racconti familiari possono tratteggiare bene questa sua singolare fi sionomia.

    Da studente, accanto alla serietà con la quale seguiva i corsi universitari, aveva dimostrato di saper assumere un deciso atteggia-mento di contestazione in nome dell’arte e della scultura, in parti-colare nella vicenda della Fontana delle Naiadi di Mario Rutelli a Piazza della Repubblica, già realizzata nel 1901. Le fi gure femminili delle Ninfe avevano scandalizzato i benpensanti che ne reclamava-no la rimozione e avevano preteso che, nel frattempo, fosse eretto uno steccato di legno che impedisse di vedere le nudità delle fi gure bronzee bagnate dalle acque. Le proteste dei cittadini avevano co-stretto il Comune a condividere idee più progressiste e a decidere di non rimuovere le Naiadi. Le transenne, lasciate in loco, furono rimosse defi nitivamente solo dopo che il 10 febbraio del 1901 una manifestazione popolare, alla quale il Nonno prese parte, restituì alla città il monumento nella sua integrità.

    Anche per il suo matrimonio dovette superare dei contrasti. Molto giovane aveva conosciuto la bellissima Ada, già apprezzata pianista, e l'aveva chiesta in moglie, ricevendo però uno sprezzante rifi uto dal padre di lei, Gaetano Emanuele di Villabianca. Il Nonno

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    ne prese atto, ma non si rasse-gnò. Rimase celibe e incontrata di nuovo Ada molti anni dopo chiese nuovamente di sposarla. Questa volta la Bisnonna Sera-fi na, ormai vedova con quattro fi gli da mantenere, fu ben con-tenta di acconsentire (Figure 4 e 5). Fu un felice matrimonio, dal quale nacque una unica fi glia, Gabriella, nostra madre (Figu-ra 6). Il Nonno ritrarrà la bella sposa in moltissime fotografi e con vestiti di diversi colori e in diversi luoghi di Roma (vedi Figura 2). C’era anche un pro-blema, però. La Nonna suona-

    va il pianoforte, ma il Nonno non amava la musica, che per lui era solo un rumore. Tanto sensibile ai colori, alla pittura, alla scultura, non altrettanto lo era per i suoni: per noi, che ab-biamo sempre amato la musica e ascoltavamo ben volentieri la Nonna e la Mamma suonare, è sempre stato un fatto strano e incomprensibile.

    Sebbene non amasse la vita mondana, il Nonno frequenta-va assiduamente il circolo che si riuniva intorno al matema-tico Guido Castelnuovo. Tutte le sue amicizie si circoscriveva-no in quell’ambiente, una vera e propria comunità scientifi ca. Molti rimasero nella cerchia

    Figura 4 - Giulio Cesare Trabacchi, ritratto giovanile (Archivio Trabacchi).

    Figura 5 - Ada Emanuele di Villabianca, moglie di Giulio Cesare Trabacchi (Archivio Trabacchi).

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    familiare: una fi glia di Castelnuovo, Gina, che era biologa e gran-de amica di Mamma, gli Amaldi, Edoardo e Ginestra (per noi Zia Ginestra) con i loro fi gli con i quali ci ve-devamo spesso a casa loro o a Villa Glori, e poi i Ferretti e i Ferro Luzzi. Questi amici si ritrovavano anche in estate, perché molti sceglievano insieme i luoghi di villeggiatura dove andare.

    La presenza del Nonno, però, la av-vertivamo come qual-

    cosa di speciale: capivamo, senza rendercene ben conto, che era una persona importante. Il 7 agosto 1945, quando eravamo a Rocca di Mezzo, vicino a L’Aquila ‒ era la prima villeggiatura appena fi nita la guerra ‒ una mattina, mentre tutti noi bambini giocavamo nel “pra-to del Grilli” (esiste ancora), alzando gli occhi vedemmo il Nonno, come sempre vestito di scuro, con due Uffi ciali. Mamma ci spiegò che era scoppiata la bomba atomica a Hiroshima, e che il Nonno era venuto da Roma per parlare con gli altri fi sici come Amaldi e Rasetti che stavano lì con noi, per discutere di quello che era appena successo. Un ricordo per noi indimenticabile.

    Nella bella casa di Via Denza 42, con l’ampio soggiorno lumino-so e la grande terrazza, che Orso Mario Corbino gli aveva suggerito di affi ttare perché più adeguata alla sua condizione di Professore e Direttore del Laboratorio di Fisica, Nonno ci faceva, da bambine, delle bellissime “lezioni” di fi sica e di astronomia. Oscurava le fi -nestre e, facendo fi ltrare dei raggi luminosi su degli schermi che aveva preparato, simulava le eclissi di Sole e di Luna, il moto della Terra intorno al Sole, per non parlare delle rifrazioni dello spettro

    Figura 6 - Gabriella Trabacchi in braccio alla madre Ada (Archivio Trabacchi).

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    dei colori attraverso un prisma di vetro. Lo ascoltavamo incanta-te, percependo anche il suo divertimento e la sua formidabile ca-pacità didattica. Ci aveva anche costruito un telefono: aveva preso due barattoli di metallo, ne aveva coperto una delle basi con carta pergamena ben tirata, lasciando l’altra aperta, e attraverso un foro aveva fatto scorrere un lungo fi lo di lana che li collegava. Noi due ci nascondevamo dietro porte molto distanti e parlavamo delle nostre piccole cose usando i barattoli come due cornette.

    Ogni sera, tornando dal Laboratorio, veniva a trovarci a casa; non suonava mai il campanello, ma batteva tre volte alla maniglia della porta con l’anello. Sapevamo subito, quindi, che era lui e cor-revamo ad aprirgli. Per prima arrivava sempre la nostra domestica Luisa, perché sapeva che Nonno ci portava il giornale (era Il Mes-saggero) e lei, unica tra noi, seguiva con passione gli avvenimenti politici, ma controllava subito anche i risultati della Sisal, perché era una tifosa irriducibile della Spal.

    Il Nonno ci faceva, però, anche una certa soggezione. Se, infatti, come scienziato era metodico e preciso, rispettando scrupolosamente gli orari di lavoro, a casa l’ordine e la precisione diventavano addi-rittura una mania. Nonna non poteva suonare il pianoforte in sua presenza, perché bisognava rispettare il silenzio più assoluto. A nostra madre erano proibiti gite e divertimenti, perché ritenuti pericolosi. Ai taschini del panciotto aveva sempre due orologi (uno era quello che gli avevano regalato gli studenti del De Merode) per poter controllare l’ora con assoluta sicurezza. Aveva l’abitudine di controllare la perfet-ta orizzontalità dei pavimenti facendovi rotolare delle bilie di acciaio che teneva sempre in tasca. Non appena furono disponibili in Italia, aveva comprato tre televisori (due tenuti in funzione e un terzo per emergenza) che controllava reciprocamente per verifi care la resa delle immagini, e per sincerarsi dei progressi della loro nitidezza. Lo preoc-cupava soprattutto la rigatura delle immagini. Fotografava ogni gior-no alcuni spettacoli, che forse non seguiva nemmeno, esclusivamente per misurare i progressi dell’apparecchio. Per lungo tempo circolò la foto di Edy Campagnoli, allora valletta di Mike Bongiorno in Lascia o Raddoppia, che ci mostrava ogni sera chiedendoci se era migliore di quella del giorno precedente. Questo, però, ci divertiva molto: non vedevamo assolutamente nessuna diff erenza, lui invece ci faceva nota-re piccolissimi particolari che gli sembravano di grande importanza.

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    L’incontro con la malattia e con la morte lo trovò una volta im-preparato, altre volte perfettamente compos sui. Ada venne a man-care nel 1943 e il dolore fu grande. Il Nonno si chiuse in se stesso, aveva quasi paura di aff ezionarsi troppo agli altri familiari, per poi dover soff rire qualora la persona cara lo avesse lasciato. Quando però, nel 1946, Alessandra fu colta da una improvvisa grave malattia che nessuno seppe diagnosticare in tempo, e nonostante una operazione all’appendice entrò in coma, il Nonno suggerì di provare un nuovo preparato che era arrivato dagli Stati Uniti all’Istituto Superiore di Sanità che lo stava testando. Sapemmo poi che la malattia era una peritonite dovuta al bacillo di Koch e che il nuovo preparato era la penicillina: una vita salvata, una dimostrazione dell’effi cacia del far-maco e del contributo importante e decisivo dell’Istituto Superiore di Sanità. Nel 1950 Ludovica, in seguito ad una adenopatia ilare, aveva bisogno di riprendersi e in questo caso la generosità del Non-no fu immediata e tempestiva, off rendo alla bambina una vacanza in montagna che si rivelò preziosa per la sua salute. Dal 1951 al 1954 godemmo entrambe per ben due mesi all’anno del soggiorno estivo in quello stesso Kinderheim di Avelengo, vicino a Merano, e quelle bellissime vacanze tra i prati e i monti dell’Alto Adige sono state per noi anche la scoperta della libertà.

    Il suo agnosticismo andava di pari passo con la sua ironia. Non era religioso né aveva alcuna fede politica. Gli piacevano molto le freddure, o le frasi laconiche che spiazzavano chi lo ascoltava. Quando seppe che Mussolini era stato arrestato, ecco il commento: “Adesso che fi nalmente avevo imparato il nome del capo del Gover-no!”. Lavorava spesso al tornio per forgiare alcuni pezzi di precisione per gli apparecchi del Laboratorio. Una volta, mentre era professore di Fisica, stava apprestandone uno indossando un camice da lavoro. Gli si avvicinò uno studente che, scambiandolo per un inserviente, disse: “Aho! m’o fai fi rmà dar professore?” E lui: “Damme qua!”. E glielo fi rmò seduta stante lasciandolo di stucco.

    Nel 1958, come già ricordato, il Nonno andò in pensione. Conti-nuò però ad andare ogni giorno all’Istituto Superiore di Sanità, dove in realtà si sentiva a suo agio molto più che a casa. Lo veniva a pren-dere la macchina guidata dal Signor Aiuti, che per tanti anni lo aveva accompagnato da casa al lavoro e gli si era aff ezionato: un segno di metodicità e di continuità, ma anche di dedizione e di cordialità.

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    È interessante che l’ultima sua pubblicazione sia stata “La fo-tografi a dei colori”, ospitata proprio nei Rendiconti dell’Istituto Su-periore di Sanità nel 1958: si tratta degli atti della conferenza che il Nonno aveva tenuto nel 1911, quasi a chiudere insieme le due parabole scientifi che che lo avevano appassionato (4). Aveva infatti conservato il testo e tutte le lastre che erano servite per quella confe-renza. Le aveva stampate questa volta su carta, anche se così perde-vano un po’ in luminosità, nella pur perfetta resa dei colori rispetto alle diapositive delle quali si era avvalso.

    Quasi un teorema: la sua vita si concluse nel 1959, appena un anno dopo.

    Bibliografi a e Note

    1. M. Ageno. In memoria di Giulio Cesare Trabacchi. Bollettino della Società Italia-na di Fisica 1970;16:19-20.

    2. G.C. Trabacchi. Esposizione dell’attività didattica e scientifi ca (1907-1909), con riferimento al Prof. Alfredo Pochettino. Rendiconti dell’Accademia dei Lincei, serie V, vol. XVIII, 2° semestre 1909, p. 2. (Archivio Trabacchi).

    3. G.C. Trabacchi. Sulla fotografi a ortocromatica a luce artifi ciale. Nuovo Cimento serie VI, vol. IX, gennaio-febbraio 1915, pp. 3-9 e tav. I e II. (Archivio Trabacchi).

    4. G.C. Trabacchi. La fotografi a dei colori. Rendiconti dell’Istituto Superiore di Sanità 1958;21(1):94-109. Disponibile online al sito www.iss.it/anna dove è possibile reperire tutti gli articoli di Trabacchi pubblicati sui Rendiconti.

    5. Nell’Archivio Trabacchi sono conservate, nelle scatole in legno opportunamente scanalate, fatte fare dallo stesso Giulio Cesare Trabacchi, circa 280 lastre in per-fetto stato.

    6. Cfr. G.C. Trabacchi. Esposizione dell’attività didattica e scientifi ca (1907-1909) op. cit. pp. 2-3, Archivio Trabacchi.

    7. Riviste conservate nell’Archivio Trabacchi.8. Cfr. M. Ageno. op. cit.9. La vicenda del microscopio elettronico è raccontata dettagliatamente da G.

    Donelli. La microscopia elettronica all’Istituto Superiore di Sanità dal 1942 al 1992: dai Laboratori di Fisica al Laboratorio di Ultrastrutture. Roma: Istituto Su-periore di Sanità; 2008. I Beni storico-scientifi ci dell’Istituto Superiore di Sanità, Quaderno 4. Vedi in particolare pp. 1-12. Vedi anche L. Steve, ANPRI (a cura di), Daria Bocciarelli, Istituto Superiore di Sanità, voce reperibile in Internet. Si veda anche il capitolo alle pag. 69-72 di questo volume.

    10. M. Ageno. op. cit.11. Si tratta di un dossier di n. 48 tra lettere e documenti (Archivio Trabacchi).12. M. Ageno. op. cit.

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    IL DEPOSITO DEL RADIO E L’ACCELERATORE COCKCROFT-WALTONSerena Risica, Giulio Grisanti

    L’ASSEGNAZIONE DEI PREPARATI DI RADIO: DALL’UFFICIO DEL RADIO AL LABORATORIO DI FISICA

    Nella prima metà del secolo scorso, il radio 226, tra tutte le so-stanze radioattive, era il più usato in brachiterapia per la terapia dei tumori, per le elevate energie delle sue radiazioni e il suo tempo di dimezzamento estremamente lungo (v. la scheda Il radio, le sue pro-prietà e il suo utilizzo in allegato a questo capitolo).

    Negli anni trenta del ’900 in Italia era in vigore una legislazione specifi ca per le sostanze radioattive e i possessori di sorgenti di radio erano tenuti a denunciarne l’acquisto, il possesso e l’eventuale vendita. Era vietata l’esportazione e ogni preparato di radio utilizzato in medi-cina doveva essere controllato dallo Stato (1). Il Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Sanità Pubblica, era responsabile di questi compiti attraverso l’Uffi cio del Radio, parte del Laboratorio Fisico della Sanità Pubblica1 (1). I preparati erano venduti dalle ditte dopo certifi cazione della loro purezza (che era dell’ordine del 99,5%) e una calibrazione eseguita da uno degli istituti uffi cialmente competenti.

    L’Uffi cio del Radio era responsabile di tutte le operazioni tecniche connesse con l’acquisto dei preparati di radio da parte dello Stato, qua-li la verifi ca delle sorgenti provenienti dalle ditte fornitrici, della loro calibrazione e certifi cazione (3), dell’integrità delle capsule di platino-iridio, nelle quali i sali erano contenuti per evitare la fuga di radon, e della ripartizione dei preparati distribuiti dal Ministero ai vari centri di

    1 Questa responsabilità era stata attribuita al Ministero dell’Interno pochi anni prima, il 1° ottobre 1925 (2), mentre precedentemente era del Ministero dell’Economia Nazionale (Ispettorato Generale delle Miniere e Combustibili), attraverso l’Uffi cio per le Sostanze Radioattive, con sede presso l’Istituto di Fisica dell’Università di Roma, a via Panisperna. Quest’Uffi cio per le Sostanze Radioattive, creato nel 1923, un mese dopo il suo trasferimento al Ministero dell’Interno assunse la nuova denominazione di Laboratorio Fisico della Direzione Generale della Sanità Pubblica (Uffi cio del Radio) conservando la sua sede.

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    Il Laboratorio di Fisica

    cura del cancro. Inoltre preparava l’emanazione di radio2, attività di cui si parla nel seguito, utilizzata anch’essa a scopo terapeutico dall’Istituto Fisioterapico per lo Studio e la Cura del Cancro (1), ed eseguiva tutte le calibrazioni di sorgenti solide, liquide e gassose richieste dai privati. Sul-l’emanazione di radio conduceva anche ricerche sperimentali (6, 7).

    L’Uffi cio del Radio era operativo in quattro stanze dell’edifi cio di Via Panisperna, a Roma, dove era situato il famoso laboratorio nel quale Franco Rasetti, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Ettore Majorana, e successivamente Bruno Pontecorvo, (i ragazzi di via Panisperna), sotto la guida di Enrico Fermi, conducevano le loro ricerche in fi sica atomica e nucleare. Il laboratorio di Fermi era par-te dell’Istituto di Fisica dell’Università di Roma, diretto all’epoca da Orso Mario Corbino. L’Uffi cio del Radio era stato creato dallo stesso Corbino, che nei primi quindici anni del ’900 era considerato uno dei fi sici sperimentali italiani di maggior talento (8).

    L’emanazione di radio utilizzata dai ragazzi di via Panisperna per le sorgenti di neutroni era estratta dal radio dell’Uffi cio (9), che era conservato nel sottosuolo dello stesso edifi cio (10). Infatti, nel 1934 Fermi, descrivendo le sue esperienze con bombardamento di neutroni (11), riportava: “Il dispositivo che ho usato è il seguente: La sorgente di neutroni è costituita da un tubetto di vetro conte-nente polvere di berillio ed emanazione. Usando circa 50 millicurie di emanazione, che mi sono stati forniti dal prof. G.C. Trabacchi che qui desidero ringraziare vivissimamente, si possono così otte-nere oltre 100.000 neutroni al secondo” e nel 1935 scriveva ancora “In tutte queste ricerche la sorgente dei neutroni è costituita da un aghetto di vetro contenente emanazione e polvere di Berillio; da essa esce circa un milione di neutroni al secondo” (12).

    Nello stesso anno Franco Rasetti, che aveva necessità di radio D (piombo 210) per i suoi studi, riferiva: “Lo scrivente ebbe l’idea di utilizzare alcuni preparati di radio recentemente acquistati dalla Direzione della Sanità Pubblica (…). Quelle Autorità prontamente accolsero la richiesta di poter estrarre il radio D dal radio, essendo stato fatto presente che tale operazione non avrebbe in alcun modo diminuito il valore terapeutico e commerciale del radio stesso. Di

    2 Si tratta del nuclide oggi chiamato radon. Radio emanazione o semplicemente emanazione (col simbolo Em) è il nome datogli nel 1900 dal chimico Friedrich Ernst Dorn che per primo lo scoprì. I due chimici William Ramsay, premio Nobel per la chimica nel 1904, e Robert Whytlaw-Gray furono i primi che riuscirono a isolarlo nel 1910. Successivamente Ramsay suggerì il nome niton (con simbolo Nt), dal latino “splendente”. Solo nel 1923 il nome fu defi nitamente fi ssato in radon (Rn) (4), ma, come si può notare nella letteratura di quel periodo, fi no almeno agli anni quaranta del ’900, si continuava a chiamarlo emanazione o radioemanazione. Nel 1914 fu usato per la prima volta per scopi medici (5).

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    ciò lo scrivente è particolarmente grato al prof. G.C. Trabacchi, Di-rettore del Laboratorio Fisico della Sanità, il quale prestò il suo più benevolo interessamento” (13).

    Il 21 aprile 1934 fu inaugurato l’Istituto di Sanità Pubblica (ISP) in un nuovo edifi cio di Viale Regina Margherita – oggi Regina Elena – sotto la responsabilità del Ministero dell’Interno. L’Uffi cio del Radio, diretto da Giulio Cesare Trabacchi, con il suo piccolo gruppo, nel 1935 si trasferì da Via Panisperna al nuovo edifi cio, come scrive Trabacchi qualche anno dopo: “Il Laboratorio fu installato nel 1935 e negli anni successivi si è arricchito di nuovi impianti, taluni necessari per ricerche nei vari campi della fi sica, altri imposti dalla necessità di render possibile la collaborazione di altri Laboratori dell’Istituto” (14). Il gruppo fu uno dei nuclei che costituirono l’ISP3 e andò a formare il Laboratorio di Fisica (per una storia dell’ISP si può vedere la ref. (17)).

    Al nuovo laboratorio fu assegnato il “radio di pertinenza del Ministero dell’Interno, in carico presso il Laboratorio di fi sica, uffi cio del radio, della Direzione Generale della Sanità Pubblica, presentemente per un quan-titativo di oltre cinque grammi (dell’importo di circa 6 milioni di lire)” (18). Nella ref. (9) viene riportato: “Nell’ottobre del 1936 la quantità di radio di proprietà della Sanità controllato dal laboratorio e ceduto per uso temporaneo ad una varietà di istituti ospedalieri e cliniche radiologiche ammonta a quasi quattromila milligrammi per un valore complessivo di circa quattro milioni di lire: una cifra paragonabile, se non superiore, alla dotazione annuale complessiva del C.N.R.”. Ne derivano due rifl essioni: la prima è l’enorme patrimonio che il Laboratorio si trovava a gestire per conto del Ministero; la seconda è che per trovare un accordo tra queste due stime si deve concludere che non tutto il patrimonio di radio veniva ceduto in uso temporaneo agli ospedali e la diff erenza di circa 1 grammo tra le due stime potrebbe essere proprio la sorgente di 1041 mg che veniva tenuta in soluzione per preparare l’emanazione.

    Nel 1939 Amedeo Giannini, presidente di sezione del Consiglio di Stato e vicepresidente del CNR, aff ermava (19) “la disciplina dell’applicazione delle sostanze radioattive a scopi terapeutici è oggi convenientemente sistemata, e l’uffi cio del radio funziona egregia-mente, inquadrato nell’Istituto di sanità pubblica”.

    3 Nell’ISP alla sua creazione (15) era stato previsto, tra altri, un reparto così composto: “Laboratorio di fi sica applicata all’igiene e alla sanità pubblica; Uffi cio del radio; Sezione di meteorologia sanitaria”. Ma la tradizione orale dell’Istituto ha sempre riportato che fu l’Uffi cio del Radio, una volta all’ISP, che assunse il nome di Laboratorio di Fisica e non fa mai menzione di altre strutture. Si può forse dedurre che fu questo Uffi cio ad assumere il ruolo egemone nella creazione del Laboratorio. Successivamente, nel 1941, l’art.1 di un nuovo Regio Decreto (16) stabilì: “L’Istituto di sanità pubblica assume la denominazione di Istituto superiore di sanità”.

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    Anche dopo il trasferimento all’Istituto il sostegno di Trabacchi ai fi sici nucleari di via Panisperna continuò, in un certo senso come una eredità del sostegno che dava loro Corbino4, come aff ermò lo stesso Trabacchi (21) “Quando intorno ad Enrico Fermi si formò quella scuola di Fisica nucleare (…) colui che si occupava di pro-curare i mezzi perché il lavoro sperimentale potesse svolgersi senza troppe diffi coltà era il compianto professore Orso Mario Corbino. (…). Scomparso il Corbino io che avevo la fortuna di trovarmi in un Istituto, che (…) dispone di ricchi mezzi di studio, proposi di off rire la più ampia ospitalità nel laboratorio di fi sica ai colleghi dell’Università (…) e si venne così a realizzare una perfetta colla-borazione, che ha permesso di pubblicare (…) importanti lavori di Fisica nucleare di Mario Ageno, Edoardo Amaldi, Daria Bocciarelli, N.B. Cacciapuoti, Bruno Ferretti, Franco Rasetti e G.C. Trabac-chi.” Infatti Trabacchi fu l’unica persona ringraziata personalmente da Fermi alla fi ne del suo discorso per il Nobel.

    Per svolgere correttamente l’attività di assegnazione dei preparati di radio per terapia per conto del Ministero, l’Uffi cio del Radio/La-boratorio di Fisica creò un archivio, nel seguito chiamato “archivio radio”, contenente tutta la documentazione relativa a queste asse-gnazioni, nonché una vasta corrispondenza e numerosi documenti sempre sull’uso del radio a scopo terapeutico. L’archivio radio, con-servato con estrema cura da Alvaro Grisanti5, alcuni anni fa è stato diviso, su proposta e richiesta degli scriventi, in una parte giudicata di interesse da parte di esperti dell’Archivio Centrale dello Stato, che è stata depositata uffi cialmente, e una parte, più di dettaglio, ri-

    4 Maria Grazia Ianniello (20) scrive: “il merito più grande di Corbino fu (…) quello di avere realizzato le condizioni favorevoli per la nascita della Scuola di Roma. Quando era ministro della Pubblica Istruzione (…). Fece istituire a Roma la prima cattedra di Fisica Teorica (…) sulla quale chiamò Fermi nel 1926, e la cattedra di Spettroscopia sulla quale chiamò Franco Rasetti nel 1930 (…). Né si limitò ad assicurare ai suoi giovani l’appoggio istituzionale ma ne seguì da vicino le ricerche con partecipazione e aff etto.”5 Alvaro Grisanti, che ha lavorato in Istituto dal 1950 al 1997 ed è scomparso nel 2011, raccontava che sin dal 1956 aveva iniziato a occuparsi dei preparati di radio, sia eseguendo i controlli di taratura ed ermeticità, sia curandone la distribuzione agli ospedali, tanto da essere conosciuto come l’uomo del radio. Ricordiamo come, non appena arrivava la notizia di un qualche terremoto in Italia, la sua prima preoccupazione era controllare, nel suo schedario, se gli ospedali della zona detenessero preparati di radio. Per questa sua attività ha gestito in prima persona per più di quarant’anni l’inven-tario dei preparati. È solo grazie a lui, alla sua curiosità scientifi ca ed effi cienza, e alla sua dedizione all’Istituto, che l’archivio radio è arrivato in ottime condizioni ai giorni nostri, permettendoci sia di svelare avvenimenti del passato estremamente interessanti, descritti in questo capitolo e in quello sul radio e la Resistenza, sia di organizzare, nella seconda metà degli anni novanta del ’900, la nuova fase del ritiro dei preparati (v. il capitolo sul ritiro dei preparati).

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    guardante le assegnazioni, tuttora conservata presso il Dipartimento di Tecnologie e Salute, nel quale è confl uito il Laboratorio di Fisica dopo la ristrutturazione dell’ISS del 2003.

    LA PROVENIENZA DEL RADIO E LA SUA CALIBRAZIONE

    La maggior parte del radio de-tenuto dalle strutture sanitarie ope-ranti in Italia, sia pubbliche che pri-vate, proveniva dall’Union Minière du Haut Katanga, come dimostrato dai numerosissimi certifi cati di pu-rezza ancora presenti nell’archivio radio, risalenti fi no agli anni trenta del ’900 (Figura 1) e alcuni ospedali. Gli acquisti da parte del Ministero dell’Interno – e dal 1958 dal nuovo Ministero della Sanità che ne eredi-tò le competenze – avvennero infatti principalmente dalla Radium Bel-ge, che lavorava minerali estratti in Haut Katanga, come testimoniato dai contratti risalenti sino agli anni venti del ’900 (Figura 2). Da altri

    certifi cati risulta anche che, ad esempio nel 1938, una parte dei preparati fu ac-quistata da ditte cecoslovacche e proveni-va da Joachymov, allora Cecoslovacchia, oggi Repubblica Ceca (22). Infi ne, anco-ra altri certifi cati testimoniano che negli anni cinquanta del ’900 la compagnia Radium Belge era divenuta nuovamente la maggiore fornitrice di radio per il Mi-nistero, cosa che durò per una decina di anni, visto che la produzione di radio in Belgio cessò nel 1960 (23).

    Per quanto riguarda la calibrazione dei preparati, alla fi ne degli anni venti del ’900 erano disponibili due cam-

    Figura 1 - Certifi cato di purezza rilasciato dall’Union Minière du Haut Katanga nel 1932 (archivio radio).

    Figura 2 - Contratto di acquisto del radio dalla Radium Belge del 1928 (archivio radio), sigillato con timbro di ceralacca.

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    pioni primari di 226Ra (24). Il primo era conservato al Bureau International des Poids et Mesures a Sèvres (21,99 mg di RaCl2 anidro puro preparato da Madame Curie), l’altro (un campione ausiliario) all’Institut für Radiumforschung a Vienna (31,17 mg di RaCl2 anidro). Erano, inoltre, disponibili sette campioni se-condari (24), usati per calibrare le sorgenti di radio, presso i: • Laboratoire Curie, dell’Institut du Radium dell’Università di Parigi• Institut de Mesures, dell’Università libera di Bruxelles• National Physical Laboratory, Teddington (oggi facente parte

    della Greater London)• Radium Institute, Londra• US Bureau of Standards, Washington• Institut für Radium Forschung, Vienna• Physikalische Technische Reichsanstalt, Berlino.

    Infatti nell’archivio radio furono ritrovati dei certifi cati di tara-tura di preparati di radio degli anni venti del ’900, fi rmati da Marie Curie e Hans Geiger (Figura 3) e Auguste Piccard, che all’epoca erano responsabili, rispettivamente, del Laboratoire Curie di Parigi, del Physikalische Technische Reichsanstalt di Berlino e dell’Institut de Mesures di Bruxelles.

    Figura 3 - Certifi cati di taratura di preparati di radio fi rmati da Marie Curie nel 1921 e da Hans Geiger nel 1922 (archivio radio).

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    Un articolo pubblicato nel 2002 (25), relativo alla storia degli standard di radio 226 a partire dall’inizio del secolo scorso, conferma le informazioni sui primari e secondari sopra riportate, specifi cando che gli standard furono preparati da Otto Hönigschmidt, dell’Insti-tut für Radiumforschung di Vienna, che aveva a disposizione uno dei due campioni primari, su richiesta della Commission internationale des étalons de radium, per avere ampolle di radio adatte all’utilizzo come standard negli istituti di metrologia dei diversi paesi. Nell’arti-colo (25) vi sono, inoltre, altre informazioni molto interessanti che riguardano, in una certa misura, il Laboratorio di Fisica.

    All’inizio degli anni trenta del ’900 c’erano crescenti preoccupa-zioni a riguardo dell’integrità a lungo termine dei 7 secondari del 19126, per cui la Commission internationale des étalons de radium chiese a Hönigschmidt di iniziare la preparazione di un nuovo set di standard. Questi nuovi secondari, che furono confrontati con i pri-mari di Parigi e Vienna, sono conosciuti come gli standard secon-dari del 1934. Marie Curie fu coinvolta nella decisione di preparare questa seconda serie di standard, ma morì il 4 luglio 1934, solo un mese dopo che gli standard furono preparati. La fi glia Irène prese il suo posto nella Commission internationale des étalons de radium e i certifi cati del 1934 portano il suo nome. L’articolo (25) elenca il nu-mero di codice e le masse di cloruro di radio di tutti e 20 i secondari e per 15 di questi riesce a ricostruire la collocazione attuale, o di al-lora, mentre per 5 non ha informazioni. Con nostra grande sorpresa e meraviglia scoprimmo che nell’elenco dei secondari è presente un campione n. 5429 di 33,34 mg che era conservato nel Laboratorio di Fisica, come si può vedere nell’ultima riga della tabella in Figura 4. Infatti 33,34 mg di cloruro di radio corrispondono a 25,38 mg di radio elemento. La tabella, ritrovata nell’archivio radio, non è datata e porta un titolo sicuramente erroneo: si tratta di una serie di campioni, sicuramente non primari, che venivano utilizzati come sorgenti di riferimento (26) per la verifi ca della taratura dei preparati, che veniva eseguita con una camera a ionizzazione ad aria libera (Figura 5), come è testimoniato anche da numerosi certifi cati di ta-

    6 In realtà dopo più di 90 anni non c’è nessuna evidenza che gli eff etti temuti della possibile crescita di gas elio nei contenitori di vetro sigillati e dell’irradiazione del vetro per tempi lunghi abbiano compromesso qualcuno degli standard, ma le preoccupazioni allora erano reali (25).

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    Figura 4 - Tabella, non datata, da cui risulta che uno dei campioni secondari del 1934, preparati da Hönigschmidt, era in Istituto (archivio radio).

    Figura 5 - Studio-laboratorio dei primi direttori del Laboratorio di Fisica. Si possono riconoscere: a destra una camera a ionizzazione ad aria libera e a sinistra un apparecchio per la taratura di preparati di radio molto attivi, costituito da un tubo di piombo con all’interno un carrello per posizionare il preparato a una opportuna distanza dall’elettrometro. Ambedue provenivano dall’Uffi cio del Radio (archivio fotografi co ISS).

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    ratura a partire dal 1936, conservati nell’archivio radio. Purtroppo il campione era danneggiato e fu smaltito in occasione della bonifi ca della cassaforte descritta nella testimonianza di Giulio Grisanti nel capitolo sui Servizi tecnici in questo stesso volume.

    Infi ne, alla fi ne degli anni trenta del ’900, la calibrazione dei pre-parati acquistati da ditte cecoslovacche, citati sopra, veniva eseguita dall’Istituto Radiologico Statale della Repubblica Cecoslovacca a Pra-ga e garantita dal Ministero dei Lavori Pubblici di Praga.

    LA PRODUZIONE DELL’EMANAZIONE DI RADIO

    Nel 1932 (1) l’Uffi cio del Radio preparava l’emanazione di ra-dio con due impianti esistenti nel Laboratorio Fisico della Sani-tà Pubblica: il primo impianto, costruito con materiale acquistato all’estero e poi modifi cato nel Laboratorio, aveva operato sin dal 1925 usando una soluzione contenente 200 mg di radio elemento, il secondo, costruito nel 1929 con apparecchi creati interamente nel Laboratorio, in base all’esperienza fatta con il primo, usava una so-luzione contenente 1041 mg. Evidentemente si tratta dell’acquisto dei 1041 mg di radio, sotto forma di bromuro di radio, la cui fattu-ra dell’Union Minière du Haut Katanga di 985.306 lire, del marzo 1928, depositata all’Archivio Centrale dello Stato, è citata nella ref. (9). Almeno uno dei due impianti fu trasferito al Laboratorio di Fi-sica dell’ISP, come è testimoniato dal confronto tra le foto riportate nella ref. (1) e le foto di archivio dell’ISS (Figura 6), documentato

    Figura 6 - A sinistra, ampolla con la soluzione di cloruro di radio, usata per estrarre l’emanazione, in una doppia cassetta di piombo (parte fi ssa e parte mobile su carrello) e, a destra, impianto per la purifi cazione dell’emanazione (archivio fotografi co ISS).

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    da un articolo di Marotta (27) e da una lettera di Marotta a Fermi dell’ottobre 1935. In questa lettera (28) Marotta chiede a Fermi per quanto tempo ancora gli serva l’emanazione di radio, che gli veniva fornita dal Laboratorio “per le Sue importanti ricerche”, in quanto si dovrà trasportare nella “nuova sede del Laboratorio Fisico la soluzione dalla quale abitualmente si estrae la emanazione di Radio”. Quindi nell’ottobre 1935 l’apparecchiatura non era ancora stata trasferita. È da notare che nella stessa lettera Marotta chiede a Fermi la sua opi-nione sulla possibile utilità dei radionuclidi artifi ciali “per sostituire il Radio nelle applicazioni medicali”.

    Nell’articolo di Marotta (27) è anche spiegata la procedura uti-lizzata per preparare i tubetti in vetro contenenti l’emanazione di radio7. Questi, dopo la calibrazione, venivano chiusi e sigillati alle due estremità e inseriti in aghi di platino per l’inserzione in tessuti e organi, oppure in tubi di piombo di 1 mm di spessore per appli-cazioni esterne, e inviati a ospedali o cliniche, su richiesta (1, 27). L’uso in brachiterapia di questi aghi o tubi con emanazione di radio, al posto di aghi o tubi di radio, era preferito sia per il loro valore economico molto inferiore, che per la loro maggiore sicurezza d’uso, data l’emivita molto più breve del radon rispetto al radio. In questo modo veniva anche evitato il rischio di perdite di sorgenti preziose e ad alto rischio. Tuttavia la sua preparazione era possibile solo in laboratori ove si poteva immobilizzare una quantità relativamente grande di radio e dove era disponibile personale esperto, in quanto erano necessarie operazioni ripetute frequentemente, che compor-tavano una rilevante esposizione a radiazioni ionizzanti (24).

    L’impianto, a quanto risulta, fu smantellato verso la fi ne degli anni cinquanta del ’900, probabilmente dopo l’esplosione in offi ci-

    7 Nel 1940 veniva usata una soluzione di cloruro di radio contenente 1 grammo di radio ele-mento, probabilmente la stessa di 1041 mg utilizzata a via Panisperna. L’emanazione di radio veniva estratta assieme a elio, idrogeno e ossigeno con una pompa a mercurio e introdotta in un contenitore ove, con una scarica elettrica, si faceva combinare l’idrogeno e l’ossigeno nel gas estratto. Il vapore d’acqua formato veniva eliminato per mezzo di essiccatori. L’emanazione era allora pompata con una seconda pompa a mercurio in un tubo a U, dove veniva condensata, raff reddando il tubo con aria liquida. Gli altri gas venivano pompati con una pompa a diff u-sione. Alla fi ne l’emanazione veniva raccolta con una terza pompa a mercurio in un capillare in vetro (1, 27) ottenendo dei preparati dell’intensità voluta. Nel lavoro di Nella Mortara del 1932 (1) è riportato che il capillare, generalmente lungo 40 cm e con un diametro esterno di 0,5 mm, veniva separato con un colpo di fi amma e solitamente diviso in 32 tubetti di 1 cm circa ciascuno; poiché l’estrazione avveniva due volte a settimana i tubetti di vetro contenevano circa 16 mCi ciascuno (cioè circa 0,6 GBq), per un totale di oltre 500 mCi (18,5 GBq).

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    na ricordata da Giulio Grisanti come un episodio vissuto e narrato da Alvaro Grisanti, nel capitolo sui Servizi tecnici.

    È interessante notare che già nel dicembre 1934 alcune note, reperite nell’archivio radio, della Facoltà di Medicina e Chirur-gia dell’Università di Roma (firmata dal Preside, Aristide Busi), del Regio Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tu-mori di Roma, dell’Istituto di Radiologia della Regia Università di Milano, e del Centro Ospitaliero dell’Ospedale di S. Gio-vanni Battista e della Città di Torino per lo Studio, Diagnosi e Terapia dei Tumori (firmata dal Direttore dei servizi radiologici Bertolotti) esprimevano dei dubbi sull’utilità dell’emanazione per la cura dei tumori rispetto all’impiego diretto dei sali di radio, con diversi argomenti, tra cui l’instabilità della dose che era elevata, ma per periodi brevi. Tre su quattro, quindi, invi-tavano a ridurre la quantità di radio in soluzione per produrre l’emanazione e a distribuire il resto agli ospedali. Si deduce da queste note che esse erano state inviate in risposta a una nota del 20 dicembre del Direttore Generale della Sanità Pubblica Gaetano Basile (di cui non è stata trovata copia) che poneva due quesiti: se l’impiego dell’emanazione di radio nella cura dei tumori avesse lo stesso rendimento terapeutico dell’applicazio-ne del radio e se il quantitativo di radio che era in soluzione andasse o no mantenuto in quello stato.

    Oltre a produrre l’emanazione di radio, il Laboratorio curava, secondo quanto riportato in un Decreto Ministeriale del 1947 (29), anche il “Controllo di apparecchi emanogeni, contenenti non più di mezzo milligrammo di radioelemento”, per ognuno dei quali era richiesta una tariff a di 500 lire.

    IL CONTROLLO E LA DISTRIBUZIONE DEI PREPARATIDI RADIO

    La distribuzione dei preparati di radio per terapia per conto del Ministero, iniziata negli anni venti del ’900, continuò fi no al 1970 per un totale di circa 50 grammi di radio 226 (cioè circa 1850 GBq). Le assegnazioni furono fatte in 111 città a 160 ospedali (30). Si noti che qui e nel seguito con ospedale ci si riferisce a ogni strut-tura sanitaria pubblica quale ospedale, istituto e clinica universitaria o istituto per la cura dei tumori.

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    I preparati di radio 226 erano aghi (da 1, 2, 3 e 3,33 mg), tubi (da 2, 5, 10, 20 e 30 mg), celle (da 1 e 2 mg) e placche (da 5 e 10 mg), quindi con attività da 37 MBq a più di 1,1 GBq e dosi a contatto da 0,8 Gy h-1 a circa 23 Gy h-1. Per questo motivo nell’archivio radio sono conservate, a partire dagli anni venti del ’900, la corrispondenza uffi ciale e le schede contenenti nome della città e dell’ospedale, nu-mero delle sorgenti assegnate e, per ogni sorgente, acronimo, numero di serie, dimensioni, attività e data di assegnazione.

    Il Decreto Ministeriale del 1947, già citato (29), riferisce che, oltre a molte altre determinazioni, venivano anche eseguite determi-nazioni “di radioattività su composti puri o quasi puri” alle tariff e di 1500 lire per composti da 1 a 30 mg di radioelemento e di 2600 lire per quelli da 31 a 100 mg.

    Alla fi ne del novembre 1958 nel Piano organizzativo (31) del La-boratorio risulta che il “servizio deposito e distribuzione del Radio” e il “servizio taratura dei preparati radioattivi” erano tra i compiti del Servizio radioisotopi, con a capo Mario Marziali (il termine deposito del radio, tramandato a noi dal passato, aveva, infatti, il signifi cato di un servizio – di deposito – nei riguardi degli ospedali). Aggrega-ta a questo reparto era Nella Mortara, come borsista, “col compito di studiare i metodi di misura di deboli radioattività”. Nello stesso documento si lamenta che “Gli attuali locali del deposito radio al se-minterrato sono del tutto inadeguati” e che “Sono pertanto necessari nuovi locali” e nell’elencare i locali necessari viene citato un “locale per l’estrazione dell’emanazione del radio”. Inoltre l’apparecchio per l’estrazione dell’emanazione viene elencato tra le Attrezzature fonda-mentali di questo servizio. Questo signifi ca che l’incidente, e lo sman-tellamento dell’apparecchio, avvennero dopo il 15 novembre 1958, data a cui si riferisce il piano (31).

    Nei primi anni sessanta del ’900 nel Laboratorio di Fisica fu pro-gettato un apparecchio che consentiva la manipolazione e l’osserva-zione dei preparati di radio in modo semiautomatico. La scelta era stata dettata dalla grande quantità di sorgenti da manipolare, per otte-nere una notevole capacità di lavoro e garantire contemporaneamente la sicurezza dell’operatore. Infatti nel 1961 è riportato che nei due anni precedenti erano stati controllati aghi e tubi da 1 mg a 10 mg ciascuno per un totale di più di 10 curie (cioè 370 GBq) (32) e nel 1964 che la calibrazione dei preparati di radio essenzialmente per uso

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    terapeutico, con il rilascio delle relative certifi cazioni, era una delle attività di controllo più gravose del Laboratorio (33). Pertanto i tradi-zionali sistemi di schermatura in piombo, con fi nestre di osservazione in vetro al piombo e l’uso di pinze, o strumenti simili, non erano suffi cientemente effi cienti e protettivi in termini di esposizione dei lavoratori, particolarmente per le mani e il cristallino (32). Di questi apparecchi semiautomatici furono costruiti due esemplari (Figura 7) che, collaudati nel Laboratorio, potevano essere riprodotti negli ospe-dali interessati (32). Nel Laboratorio erano utilizzati per: • controllare e riconoscere i singoli preparati di radio al momento

    del loro arrivo dalla ditta fornitrice, leggendo, con sistemi di in-grandimento, le sigle e i numeri di matrice incisi;

    • misurare il diametro e la lunghezza dei preparati, controllo spes-so necessario;

    Figura 7 - Apparato per l’identifi cazione dei preparati di radio, in alto con schermatura e in basso senza. Un sistema ottico di proiezione e ingrandimento permetteva il controllo del diametro e della lunghezza dei preparati e la lettura delle sigle e dei numeri di matricola incisi sugli stessi (dalla ref. 32).

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    • selezionare e dividere i preparati tra gli utilizzatori;• procedere a una nuova verifi ca sui singoli preparati in presenza

    di un rappresentante dell’ente utilizzatore, come richiesto;• smistare velocemente i preparati in diversi contenitori.

    Tra le attività del Laboratorio era anche continuata la calibra-zione delle sorgenti, che anche a quell’epoca era fatta con la camera a ionizzazione ad aria libera, misurando la corrente di ionizzazione con un elettrometro, uno specchio e due fotocellule.

    Nel 1961 una circolare del Ministero della Sanità (34) richie-se agli ospedali di inviare al Laboratorio di Fisica dell’ISS, per un controllo, tutti i preparati di radio utilizzati in medicina che si so-spettassero danneggiati (35). Pertanto, il Laboratorio di Fisica fu anche incaricato di verifi care l’integrità della capsula (generalmen-te di platino iridio) dei quattro tipi di preparati contenenti radio. L’ermeticità era un requisito assoluto per utilizzare in sicurezza le sorgenti, cioè senza pericolo di dispersioni del materiale radioattivo. Infatti, data l’alta radiotossicità del radio e della sua possibile ema-nazione, anche fratture molto piccole delle capsule potevano avere conseguenze gravi sia per i pazienti che per gli operatori. L’iniziativa era nata dal fatto che sui preparati erano stati identifi cati numerosi danni, tali da far sospettare incrinature o addirittura rotture dell’in-volucro protettivo contenente il radio, quali abrasioni della capsula (dovute all’uso non appropriato di pinze o di altri strumenti non idonei, che rendevano molte volte anche illeggibili gli acronimi e i numeri di serie incisi), alterazioni della forma (quali curvature o tor-sioni degli aghi e dei tubi), rigonfi amenti delle placche, ecc. (36).

    Per questo controllo i preparati venivano chiusi per una o due ore – in un secondo tempo per quattro ore – in grandi contenitori di ot-tone schermati con piombo costruiti in Laboratorio (Figura 8) ed era utilizzato il radon come tracciante di possibili fratture. I contenitori avevano elettrodi negativi, caricati a 300 V, per catturare gli eventuali prodotti di decadimento del radon ed erano di alluminio monouso, per evitare l’accumularsi di contaminazione. Gli schermi di piombo erano tali da permettere la misura di radio fi no a 500 mCi (18,5 GBq), limitando, nelle condizioni peggiori, il rateo di esposizione alla distanza di mezzo metro a meno di 10 mR/h (circa 0,1 mGy/h). Il disco di alluminio veniva contato con un rivelatore Geiger prima e dopo ogni esposizione (36). Tutti i preparati trovati danneggiati veni-

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  • Radio e Cockcroft-Walton

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    vano “immediatamente ritirati dall’uso e, tramite le competenti Au-torità, affi dati a ditte specializzate per il riconfezionamento” (36).

    A seguito dei risultati di questa attività, nel 1965 il Ministero della Sanità, su proposta del Laboratorio di Fisica (37), promosse il controllo su scala nazionale di tutti i preparati radiferi per uso terapeutico – sia assegnati in uso temporaneo, sia di proprietà dei singoli Enti – controllo che iniziò dal Piemonte e dalla Lombardia (38). Secondo quanto riportato nella ref. (35), dopo aver control-lato circa metà delle sorgenti di queste due regioni, ne erano state individuate circa il 10% danneggiate ed erano state ritirate. L’Istitu-to giudicava questi dati preoccupanti per la salute dei pazienti e dei lavoratori e sollecitò gli altri utilizzatori a sottoporre a controllo le sorgenti, controllo che, si precisava, non aveva mai richiesto più di una settimana lavorativa (35, 38).

    VERSO IL SUPERAMENTO DELL’USO TERAPEUTICO DEL RADIO: LA PROGETTAZIONE DEL PRIMO ACCELERATORE ITALIANO

    Il Direttore dell’Istituto di Sanità Pubblica Domenico Marotta era profondamente convinto dell’importanza della ricerca fonda-mentale nella vita del nuovo Istituto e considerava molto importan-

    Figura 8 - Sezione dell’apparecchio, schermato con piombo, per controllare l’ermeticità dei preparati di radio (dalla ref. 38).

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    Il Laboratorio di Fisica

    te la collaborazione di Fermi, sia per la sua fama ormai mondiale, sia per il fatto che essendo il membro più giovane dell’Accademia d’Italia, creata da Mussolini, poteva avere un’infl uenza politica po-sitiva (10). Nel 1933, Jean Frédéric Joliot e la moglie Irène Curie, bombardando alcuni elementi leggeri con particelle alfa, avevano scoperto alcuni elementi radioattivi nuovi, cioè la radioattività arti-fi ciale. Prendendo spunto da questi studi, Fermi decise di sostituire le particelle alfa con neutroni per evitare la repulsione elettrostatica che rendeva il bombardamento meno effi cace (39). All’inizio usò i neutroni di sorgenti