Primarie e elezioni regionali 2014 in Emilia-Romagna · Università della Calabria, Dipartimento di...
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XIX Convegno annuale della Società Italiana di Scienza Politica
Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Arcavacata di Rende, 10-12 settembre 2015
Primarie e elezioni regionali 2014 in Emilia-Romagna
Eugenio Salvati
Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali
Università degli Studi di Pavia
Michelangelo Vercesi
Zentrum für Demokratieforschung
Leuphana Universität Lüneburg
Paper preparato per il panel “Le primarie per la selezione dei candidati alle elezioni regionali”
(chairs: Marino De Luca e Stefano Rombi)
Non citare senza il permesso degli autori
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1. INTRODUZIONE: LE PRIMARIE E IL CASO DELL’EMILIA-ROMAGNA*
Nel corso degli ultimi dieci anni sembra che le primarie abbiano preso sempre più piede
come elemento sistemico per la selezione di parte della classe politica (in particolare nel
campo del centro-sinistra) per ciò che concerne i ruoli monocratici nelle amministrazioni
locali (Venturino 2009; Seddone e Valbruzzi 2013) (sindaci, presidenti di provincia,
presidenti di regione, ecc.), spostando così il luogo della scelta dalle direzioni dei partiti
ai seggi elettorali, dove alla decisione dei dirigenti si sostituisce – o si dovrebbe sostituire
– la scelta degli elettori.
L’importanza di questo strumento – e del suo studio – risiede nel fatto che tali
elezioni offrono un quadro interessante sui rapporti fra partiti e cittadini e su come tali
rapporti stiano cambiando nel corso del tempo. Inoltre forniscono spunti rilevanti per
comprendere il mutamento organizzativo dei partiti stessi e il modo in cui la politica ha
cercato di aprire un nuovo canale partecipativo per i cittadini, in particolare per superare
quella crisi di legittimità che ha coinvolto il sistema dei partiti (Anastasi 2011; Bolgherini
e Gelli 2011; Floridia 2011). Il ricorso alle primarie sembra sempre più, come evidenziato
da Pasquino e Venturino (2009), il risultato di due diversi elementi che tendono ad
incrociarsi: da una parte la critica all’operato dei partiti e dei dirigenti (la crisi di
legittimità) e dall’altra la volontà da parte dei cittadini di essere più vicini e partecipi
rispetto ai processi decisionali e alla selezione della classe dirigente (democratizzazione
interna dei partiti).
Ecco perché le primarie hanno assunto soprattutto il ruolo di mezzo atto a ridare
forza a partiti sempre più deboli, con macchine organizzative poco efficaci, con una
intermittente presa sul territorio e una scarsa capacità di rappresentare le domande
provenienti dalla società. La capacità delle primarie di stimolare la partecipazione dei
cittadini è diventata una sorta di tocco taumaturgico per partiti sempre più in crisi di
consenso, un nuovo strumento per stimolare la mobilitazione politica (Diamanti e
Bordignon 2006).
Una domanda che può quindi essere dirimente è se le primarie siano in grado di
dirci qualcosa anche rispetto allo svolgimento delle consultazioni elettorali ufficiali che
precedono, e questo non solo in termini di risultati (chi vince e chi perde), ma anche in
* I dati utilizzati per le analisi relativi alle primarie 2014 sono stati forniti dal Partito Democratico (PD) e
raccolti da Flavio Chiapponi e Stefano Rombi, ai quali va il nostro ringraziamento per averci permesso di
utilizzarli.
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termini di partecipazione. Una partecipazione scarsa o cospicua a delle consultazioni
primarie può essere un segnale, una spia, di qualche trend che può sostanziarsi nelle
elezioni vere e proprie? Possiamo quindi pensare di interpretare il livello di
partecipazione alle primarie come un indicatore della minore/maggiore capacità che ha
un partito di mobilitare i suoi elettori in vista della competizione elettorale? O, perlomeno,
come elemento rivelatore di minore o maggiore propensione degli elettori nel partecipare
alle elezioni? Tentare di rispondere a questi quesiti significherebbe non limitarsi a
studiare il legame tra primarie ed elezioni solo in termini di risultato, di rendimento delle
primarie (il candidato vincitore delle primarie ha o non ha successo nella sfida elettorale,
come si può spiegare tale successo/insuccesso rispetto al dato delle primarie). Nel
presente paper cercheremo di affrontare entrambe le questioni.
Sapendo che le primarie sono ormai uno strumento rilevante per il funzionamento
della nostra democrazia (Pasquino 2006; Pasquino e Venturino 2009), i casi in cui la
partecipazione alle primarie comincia a scemare o a crollare nettamente, come nel caso
dell’Emilia-Romagna, possono essere spie di come tale strumento non sia stato in grado
di arginare la spirale di disaffezione verso i partiti e la crescita dell’antipolitica, come
invece molti dirigenti di partito avevano auspicato anni addietro. Tenendo sempre conto
che esistono importanti fattori locali, è interessante capire se un’eventuale contrazione
diffusa della partecipazione alle primarie sia dovuta ad un logorio dello strumento (regole
non chiare, campagne negative sempre più pronunciate, casi di brogli, ecc.) o se la sempre
più diffusa ostilità verso i partiti ha travolto anche la bontà di uno strumento volto ad
aumentare il potere di decisione del cittadino-elettore.
Sopito in parte l’entusiasmo partecipativo delle prime elezioni primarie,
specialmente quelle nazionali utilizzate dal centro-sinistra per promuovere la sua
leadership nazionale, come nei casi di Prodi e Veltroni1, è comunque indubbio che tale
strumento si sia ormai radicato nella realtà locale e che il suo utilizzo sia ormai
considerato alla stregua di una necessità da parte di militanti e simpatizzanti. Nonostante
la diffusione ormai capillare dello strumento e il favore che ottiene grazie alla sua carica
partecipativa, è al contempo evidente che le primarie cominciano a dimostrarsi
insufficienti nello svuotare il bacino politico-culturale che alimenta la sfiducia e la perdita
1 Sebbene il termine primarie si riferirebbe solo ad elezioni per la scelta di candidati in vista di elezioni
“secondarie”, seguiremo qui la scelta del PD e chiameremo primarie anche le elezioni aperte del segretario
di partito.
3
di consenso della politica italiana (intesa come partiti, personale politico e istituzioni). Il
maggior sostegno a partiti populisti come Lega Nord (LN) e Movimento 5 Stelle (M5S),
che alimentano il voto di protesta, oppure il rifugio sempre più marcato
nell’astensionismo, sembrerebbero dimostrare quanto uno strumento, seppur ben
congegnato, non possa essere un surrogato efficace alle mancanze strutturali della politica
dei partiti e non riesca a colmare quel gap di fiducia tra cittadini e partiti/istituzioni che è
ormai estremamente pronunciato.
Il caso delle elezioni regionali in Emilia-Romagna, dove c’è un PD fortemente
strutturato e organizzato, con un cospicuo numero di iscritti e militanti, è emblematico da
questo punto di vista e si presenta come particolarmente adatto per testare quanto lo
strumento da solo non sia più in grado di ridurre la distanza tra cittadini e politica,
paventando il rischio che la partecipazione dal basso diventi più un esercizio di tipo
elettoralistico che non un ingranaggio positivo del circuito democratico, capace di
rilegittimare i partiti nella loro funzione di mediazione tra cittadini e istituzioni. Data la
rilevante emorragia di voti che ha colpito particolarmente il PD (si veda più sotto), il
principale obiettivo di questo lavoro è capire se le primarie del centro-sinistra abbiano in
qualche modo avuto una capacità predittiva rispetto alla performance elettorale nella
consultazione regionale. È possibile individuare dei nessi tra il flop partecipativo alle
primarie, la bassa affluenza alle urne alle successive elezioni regionali e gli esiti
elettorali? In questo caso, considerando che il PD in Emilia-Romagna è il partito
“dominante” da decenni, è possibile pensare che la relazione tra partecipazione alle
primarie e alle elezioni sia effettivamente rilevante, facendo sì che la partecipazione alle
primarie regionali fosse la spia di un certo grado di “logoramento del sistema”.
Dopo aver fornito un generale affresco del contesto partitico-politico regionale,
nelle seguenti pagine proporremo una analisi dettagliata delle primarie del centro-sinistra,
volta ad isolarne i tratti salienti e a chiarire perché possiamo definirle primarie di
insuccesso. Metteremo poi in relazione alcuni aspetti di tali primarie con la partecipazione
e gli esiti delle elezioni regionali, avendo in mente le questioni di ricerca più sopra
menzionate. Concludiamo il paper con una interpretazione dei risultati.
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2. IL CONTESTO POLITICO REGIONALE
Nel caso emiliano si mischiano fattori di tipo nazionale (la generale lontananza dei
cittadini dalla politica) a questioni prettamente locali legate anche e soprattutto al ruolo
di dominus incontrastato esercitato da quello che è oggi il PD (ieri nelle sue forme PCI-
PDS-DS) nella politica regionale, e da un certo grado di insoddisfazione/insofferenza
verso un sistema di potere monolitico. L’Emilia-Romagna è la regione rossa per
antonomasia. Qui il governo locale è da sempre dominato dalla sinistra comunista e post-
comunista; in particolare il governo regionale, sin dalla sua nascita nel 1970, ha visto alla
sua guida un susseguirsi di giunte social-comuniste, fino all’Ulivo e successivamente al
PD.
Le elezioni del 2014 per il rinnovo del Consiglio Regionale si sono svolte in
anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura a causa delle dimissioni del
Presidente Vasco Errani a seguito della condanna ad un anno per falso ideologico nella
vicenda “Terremerse2” (sentenza poi annullata dalla Corte di Cassazione). La presidenza
Errani è stata la più lunga in Italia, insieme a quella di Formigoni, coprendo un arco di
ben 15 anni con la prima nomina avvenuta quando l’elezione del Presidente di regione
non era ancora diretta, ma fatta dai Consigli Regionali.
Nell’ultima legislatura Errani il PD era il partito “dominante” della coalizione di
centro-sinistra composta, oltre che dal PD (18 seggi + 10 del listino bloccato), da Sinistra
Ecologia Libertà (SEL, un seggio), Federazione della Sinistra (un seggio) e Italia dei
Valori (IdV, due seggi).
Per quel che concerne l’utilizzo delle primarie, quelle del 2014 sono state le prime
per l’individuazione del candidato Presidente di regione, considerando, appunto, il lungo
“regno” incontrastato di Errani; questo benché a livello di primarie comunali l’Emilia-
Romagna sia la regione, insieme alla Toscana, a farne l’uso più frequente (Fiorini e
Venturino 2012). Indipendentemente dalla fine anticipata della legislatura, il PD
regionale sembrava incerto rispetto alla possibilità di utilizzare le primarie come
strumento di selezione del candidato Presidente e, in particolare dopo l’avvento della
segreteria Renzi, è sembrato che il partito potesse orientarsi verso un candidato unitario
2 Si veda la pagina on line www.lastampa.it/2014/07/08/italia/politica/cos-la-vicenda-terremerse-ha-
bruciato-errani-r22n7ADYh6hLDY6NOYyn3H/pagina.html (ultimo accesso: 21 agosto 2015).
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espressione delle diverse anime del partito, con lo scopo di evitare il passaggio
“traumatico” e potenzialmente diviso delle primarie.
3. LE PRIMARIE 2014 IN EMILIA-ROMAGNA
Le prime elezioni primarie per la selezione del candidato Presidente della regione Emilia-
Romagna si sono aperte subito sotto il segno delle complicazioni. I contendenti scesi in
campo in un primo momento sono stati Stefano Bonaccini, consigliere regionale e
segretario regionale dell’Emilia-Romagna, Matteo Richetti, deputato di Modena e uomo
molto vicino a Matteo Renzi, e Roberto Balzani, ex sindaco di Forlì.
Il centro-sinistra dell’Emilia-Romagna, dopo un mese di trattative e tentativi di
accordo che hanno visto l’intervento dello stesso presidente del Consiglio nel ruolo di
mediatore, si è trovato dinanzi ad uno scontro inaspettato tra due renziani: Richetti, il
fedelissimo della prima ora, e Bonaccini, l’ex bersaniano che aveva coordinato la
campagna di Renzi per le primarie 2013 per la segreteria nazionale del PD. Il terzo
candidato, Balzani, è individuabile come un renziano dal punto di vista dell’approccio
politico, specialmente sul tema della rottamazione e dello scardinamento dell’oligarchia
di partito, ma più defilato rispetto alla cerchia ristretta dei collaboratori del primo
ministro.
La candidatura di Richetti è apparsa subito come una decisione presa in autonomia
rispetto alle indicazioni di Renzi e che ha sorpreso gli stessi dirigenti romani ed emiliani,
tanto che, poche ore dopo l’annuncio di Richetti, colui sul quale il PD cercava una
convergenza tra le diverse anime del partito, il sindaco bersaniano di Imola Daniele
Manca, ha deciso di ritirarsi dalla competizione. La candidatura di Richetti si è presentata
come una sfida prima di tutto alla decisione di Renzi di puntare su Manca o Bonaccini,
dimostrando così quanto sullo svolgimento delle primarie nella regione abbia inciso in
modo rilevante anche l’influenza della dirigenza nazionale del PD e della sua leadership.
Evidentemente ciò non era evitabile considerando che l’Emilia-Romagna è
tradizionalmente il “granaio” di voti del centro-sinistra e ha una lunga tradizione di
sinistra, il che ha “imposto” al segretario nazionale la necessità di cercare una candidatura
che non apparisse troppo divisiva o “estranea” rispetto alla sensibilità del partito locale.
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Partito che infatti, nelle primarie del 2012 per la candidatura a leader della
coalizione di centro-sinistra, aveva sostenuto decisamente il segretario Bersani. Dopo la
traumatica esperienza delle politiche 2013 e le dimissioni di Bersani, la stessa Emilia-
Romagna è stata un crocevia importante per l’elezione di Renzi a segretario del PD: uno
degli endorsement più rilevanti fu proprio quello di Stefano Bonaccini, potente segretario
regionale del PD ed ex fedelissimo di Bersani.
3.1. Le regole
Le regole approvate per questa competizione sono state meno stringenti di quelle previste
dallo statuto del partito; questo per spegnere le polemiche sul nascere e venire incontro a
chi, nelle settimane precedenti l’ufficializzazione delle primarie, aveva criticato i requisiti
per potersi candidare, giudicandoli troppo severi, soprattutto alla luce del poco tempo a
disposizione per raccogliere le firme. La data prescelta per lo svolgimento delle primarie
del centro-sinistra è stata il 28 settembre 2014, due mesi prima delle elezioni regionali
del 23 novembre.
Il regolamento ha così previsto un calo sia delle firme di componenti dell’attuale
assemblea regionale del PD (formata da circa 230 rappresentanti) necessarie per poter
correre alle primarie (percentuale scesa dal 35% al 10%) sia, in alternativa, del numero
di firme raccolte tra gli iscritti al partito, passate dal precedente 20% all'attuale 3%. I seggi
allestiti in tutta la regione per la consultazione sono stati 800.
Le primarie sono state ufficialmente di coalizione, anche se il perimetro è molto
ristretto, potendo contare su forze minori come Centro Democratico, Federazione dei
Verdi, IdV, Partito Socialista e Scelta Civica (SC), oltre ovviamente al PD. Mentre la
Federazione della Sinistra ha deciso di presentarsi autonomamente alle regionali, SEL ha
preferito non partecipare alle primarie e riservarsi di costruire un accordo di coalizione
dopo la consultazione.
Le regole di voto sono state le classiche delle primarie del centro-sinistra, ossia
consultazione dalle 8 alle 20 e necessità di presentarsi al seggio con un documento di
identità e la tessera elettorale e versare almeno due euro. Il selettorato potenziale era
composto da cittadini italiani e stranieri residenti nel territorio regionale. Hanno potuto
esprimere la loro preferenza anche i residenti nei paesi dell'Unione Europea e di paesi
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extra-UE in possesso di permesso di soggiorno, i sedicenni e i fuorisede al giorno del
voto.
3.2. I candidati
Abbiamo visto come la strada verso le primarie dell’Emilia-Romagna sia stata abbastanza
tortuosa, con incertezze sui candidati e addirittura sullo svolgimento stesso della
consultazione a causa di motivazioni locali e nazionali che si sono via via intrecciate.
Ulteriore caos si è abbattuto sulla competizione a causa della conferma di
un’indagine ai danni di Richetti e Bonaccini per presunto peculato nell’inchiesta sulle
“spese pazze” in Regione. Tale notizia ha portato al ritiro del deputato modenese dalla
competizione, spianando così la strada a Bonaccini che ha così indossato i panni del front-
runner nella sfida.
La competizione si è perciò ridotta ad una sfida a due – formato che sembra essere
il più frequente per le primarie, specialmente a livello comunale, ed è più spesso associato
a primarie organizzate dal solo PD (Fiorini e Venturino 2012); nel nostro caso dobbiamo
ricordare che siamo sì in presenza di una coalizione, ma composta solo da piccoli partiti
marginali – con i candidati “superstiti” caratterizzati da profili politici diametralmente
opposti e con una diversa prospettiva rispetto alle possibilità di successo: Bonaccini,
“figlio” del partito e della struttura organizzativa, era il front-runner, Balzani, l’outsider
nemico del “sistema emiliano”, ha indossato i panni del challenger.
Le biografie dei due candidati non potevano essere delle più diverse: da una parte
il segretario regionale del PD, Stefano Bonaccini, uomo dell’apparato e custode di una
lunga tradizione organizzativa che nella regione rossa parte dal PCI per arrivare, appunto,
fino al PD. La carriera di Bonaccini si dipana sin dalla giovane età in un susseguirsi di
incarichi nel partito e nelle istituzioni: nel 1990 è nominato assessore alle Politiche
giovanili, alla cultura, allo sport e al tempo libero nel comune di Campogalliano e dal
1993 al 1995 ricopre la carica di segretario provinciale della Sinistra giovanile; nel ’95 è
eletto segretario del PDS della città di Modena. Dal 1999 al 2006 è assessore al comune
di Modena con delega ai Lavori pubblici, al patrimonio ed al centro storico. Nel 2007 è
eletto segretario provinciale del neonato PD modenese e, alle elezioni amministrative del
2009, è eletto consigliere comunale di Modena. Nel marzo 2010 è eletto consigliere
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regionale dell'Emilia-Romagna e nel 2013 entra nella segreteria Renzi come responsabile
enti locali.
Dall’altra parte troviamo invece Roberto Balzani, professore di Storia
Contemporanea presso l’Università di Bologna, entrato in politica come espressione di
quella “società civile” lontana dalla macchina organizzativa dei partiti, che scese in
campo in occasione delle primarie organizzate a Forlì per scegliere il candidato sindaco
della coalizione di centro-sinistra alle elezioni amministrative del 2009. In quelle primarie
del 2008 – si tratta di una delle prime esperienze a livello nazionale – Balzani riuscì a
vincere superando con il 50,3% di preferenze il Sindaco in carica di Forlì Nadia Masini,
sostenuta dal gruppo dirigente locale e regionale. Questa vittoria inattesa e clamorosa ha
proiettato Balzani come un vero outsider all’interno del corpo organizzativo del PD, tanto
che lui stesso farà dello scontro con il gruppo dirigente locale del partito uno dei tratti
caratterizzanti la propria esperienza politica, annoverandosi poi tra i primi grandi
sostenitori di Matteo Renzi e della sua rottamazione. La massima espressione dell’ostilità
di Balzani nei confronti del gruppo dirigente del PD è la lunga serie di conflitti aperti con
l’ex Presidente Errani, il dominus della politica regionale, che hanno raggiunto l’apice nel
2013 quando Balzani decise di non ricandidarsi alla guida di Forlì accusando il Presidente
Vasco Errani (da lui considerato l’emblema della conservazione e del paternalismo
“dolce” del PD emiliano) e gli ambienti governativi della regione di essergli ostili e di
danneggiare così gli interessi della città.
In questo scenario, considerando le biografie dei due candidati, era facile
individuare Bonaccini come il favorito della competizione perché, sebbene il selettorato
fosse potenzialmente il più ampio possibile (tutti i cittadini residenti e i sedicenni e
diciassettenni) è evidente come l’appoggio della struttura del partito si delineasse come
un elemento decisivo nel creare un favorito all’interno della contesa.
3.3. I risultati
Le primarie del 28 settembre 2014 hanno rappresentato a loro modo un passaggio
rilevante per la politica dell’Emilia-Romagna. Se dal punto di vista elettorale hanno
prodotto il risultato previsto, la vittoria di Bonaccini, è anche vero che la bassissima
partecipazione al voto ha rappresentato un forte campanello d’allarme per il PD (e per la
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politica locale) che troverà poi una eco impetuosa nelle elezioni regionali del novembre
2014.
Bonaccini ha battuto l’unico sfidante in corsa, l’ex sindaco di Forlì, Roberto
Balzani, con il 60,9% (34.751 voti) contro il 39,1% (22.285). Il vero protagonista del voto
è però stata l’affluenza, dato che negli 800 seggi approntati in regione sono andati a votare
solo 58.119 elettori. Un settimo rispetto a quanti andarono a votare l’8 dicembre 2013 per
scegliere il segretario nazionale tra Renzi, Civati e Cuperlo, ossia 405.505. Il dato dei
58.000 votanti è ancora più rilevante se consideriamo che il solo PD aveva nel 2013
75.000 iscritti in tutta la regione.
Per quel che concerne il confronto diretto tra i due candidati possiamo prima di
tutto osservare come la competitività di questa elezione primaria sia stata molto alta,
nonostante la disparità di sostegno di cui parlavamo prima. Per misurare la competitività
esistono potenzialmente molti indici a nostra disposizione (Pasquino e Venturino 2009;
Fiorini e Venturino 2012; De Luca 2015), ma per quel che concerne questo lavoro
abbiamo deciso, sulla base della letteratura, di affidarci, così come suggerito da Fiorini e
Venturino, all’indice di Kenig (2008). I valori previsti variano da 0 (competitività nulla)
a 1 (competitività massima) e sono calcolati dividendo l’indice di Laakso e Taagepera
(1979) per il numero dei candidati reali alle primarie3. Nel nostro caso ci troviamo dinanzi
ad un indice di competitività molto alto pari allo 0,930, che può essere spiegato prima di
tutto con l’assenza di un incumbent nella competizione e che conferma come le primarie
che hanno avuto per protagonisti soltanto candidati del PD siano tendenzialmente più
competitive di quelle di coalizione (Fiorini e Venturino 2012). Come specificano
giustamente Fasano e Cavataio (2012) è probabile che questo dato sia influenzato anche
dalle caratteristiche – e non solo dal numero – dei candidati, e quindi dal tipo di reazioni
che producono negli elettori.
Ecco perché, nonostante la posizione di front-runner di Bonaccini, il risultato si è
rivelato meno scontato di come potesse apparire prima della competizione, dimostrando
come Balzani sia probabilmente riuscito a coagulare una parte dello scontento verso una
candidatura considerata troppo di continuità e di apparato come quella del segretario
3 La formula dell’indice di Laakso e Taagepera, originariamente pensata per calcolare il numero effettivo
dei partiti, è N =1
∑si2. Per gli scopi del presente paper, si indica la proporzione di voti ottenuti da ciascun
candidato. Nel calcolo, le percentuali vanno normalizzate a un valore compreso tra 0 e 1.
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regionale, in una fase di profonda disaffezione verso la “politica come professione” sia a
livello nazionale che a livello locale (ricordiamo che si era nel pieno della bufera dei
rimborsi gonfiati ai consiglieri regionali).
Se guardiamo ai dati disaggregati per provincia possiamo osservare come il
consenso per Bonaccini sia uniforme su praticamente tutto il territorio regionale, con i
picchi più elevati nella provincia di Modena, sua terra di origine e dove ha svolto gran
parte delle sua carriera politica, e nelle province di Bologna, Ferrara e Reggio Emilia. Al
contrario Balzani stravince in provincia di Forlì-Cesena, dove è stato sindaco del
capoluogo per un mandato e tiene bene nelle province di Piacenza (tradizionalmente la
provincia meno rossa della regione) e Ravenna.
Tabella 1. Risultati elezioni primarie Presidente della regione Emilia-Romagna
Provincia Balzani % Bonaccini % Bianche Nulle Contestate Voti
validi Votanti
Bologna 6.045 38,3 9.744 61,7 246 125 0 15.789 16.160
Ferrara 1.172 30,0 2.732 70,0 29 18 0 3.904 3.951
Forlì-
Cesena 5.386 69,2 2.396 30,8 30 25 1 7.782 7.838
Modena 1.777 21,4 6.513 78,6 169 83 0 8.290 8.542
Parma 1.148 40,7 1.673 59,3 34 13 0 2.821 2.868
Piacenza 952 44,7 1.180 55,3 3 8 0 2.132 2.143
Ravenna 3.292 42,0 4.543 58,0 61 32 1 7.835 7.929
Reggio
Emilia 1.577 26,2 4.442 73,8 113 58 0 6.019 6.190
Rimini 925 37,7 1.528 62,3 20 13 0 2.453 2.486
Totale 22.274 39,1 34.751 60,9 705 375 2 57.025 58.107
Fonte: dati del Partito Democratico dell’Emilia Romagna.
Per quel che concerne il dato dei votanti abbiamo precedentemente sottolineato il
crollo dell’affluenza e possiamo constatare come si riveli tale in modo uniforme in tutte
le province. Per dare un’idea del basso livello di partecipazione possiamo fare riferimento
a due dati utilizzabili come indici di paragone utili a mostrare l’ampiezza di questo calo.
Il primo è il numero dei tesserati PD in regione Emilia-Romagna. Anche senza
considerare che le primarie di settembre erano primarie di coalizione – per quanto tra i
contraenti il patto non ci fosse SEL e gli altri erano tutti partiti minori come IdV e SC – i
58.107 partecipanti sono ampiamente inferiori ai 75.000 iscritti regionali del PD. Questo
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significa in modo chiaro che il PD non è stato in grado di mobilitare tutti i scuoi iscritti e
militanti, mostrando così una certa difficoltà sia nel funzionamento della macchina
organizzativa sia evidenziando un evidente logorio (almeno in questa consultazione) nel
rapporto tra base e gruppo dirigente.
Il secondo dato è il riferimento ad altre primarie svoltesi su tutto il territorio
regionale prima della consultazione del 28 settembre. Il dato più interessante è quello
riferito alle elezioni per il segretario nazionale; questa è la consultazione più recente e
presenta le regole e le modalità di svolgimento più simili, ossia con il selettorato più
ampio (ricordiamo che in Emilia-Romagna quella del 2014 è la prima tornata di primarie
per la scelta del candidato Presidente di regione e che le primarie per i candidati al
parlamento erano riservate ai soli iscritti). Per quanto quelle primarie potessero avere una
maggiore attrattività considerando che si sceglieva il segretario nazionale del partito
(deve essere messo in conto anche un certo effetto attrattivo da parte di Matteo Renzi,
all’epoca leader in vorticosa ascesa), il confronto dei dati – sia totale che per provincia –
si dimostra alquanto impietoso e ci permette di valutare una certa linea di tendenza
rispetto al disimpegno dell’elettorato, che poi troverà conferma nelle elezioni regionali
del novembre 2014.
Raffrontando i dati presentati nella figura 1 possiamo vedere come il crollo della
partecipazione alle primarie sia stato omogeneo nelle nove province; un calo della
partecipazione che si ripresenterà con minori tratti di omogeneità anche nelle elezioni
regionali (si veda più avanti). Per quanto sia improprio usare come universo di riferimento
i 406.897 elettori delle primarie 2013, questa scelta ci consente di avere una misura di
riferimento su cui valutare, anche se in maniera impressionistica e senza altri dati di
controllo, l’entità del calo nella partecipazione alle consultazioni del PD. I votanti delle
primarie 2014 sono il 14,3% rispetto a quelli andati alle urne nel dicembre 2013, facendo
registrare così un crollo nella partecipazione dell’85,7% che in valore assoluto equivale
ad una perdita di 348.790 elettori.
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Figura 1. Raffronto partecipazione primarie 2013-2014
Nota: tra parentesi sono indicati i cali di votanti nella provincia in termini percentuali tra le due
consultazioni.
Fonte: dati del Partito Democratico dell’Emilia-Romagna.
4. LE ELEZIONI REGIONALI: REGOLE, ESITO, PARTECIPAZIONE
Le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna del 23 novembre 2014 sono state le prime ad
essere normate dall’attuale legge elettorale regionale – la L.R. n. 21/20144 – approvata
dal Consiglio Regionale emiliano il 23 luglio 2014. Tale legge prevede l’elezione diretta
del Presidente a maggioranza semplice e in un unico turno, con un premio di
maggioranza. I 50 seggi del Consiglio Regionale (di cui il Presidente della giunta è
membro di diritto) sono ripartiti per quattro quinti in maniera proporzionale sulla base di
circoscrizioni corrispondenti alle province5, mentre per la restante parte (nove membri)
in modo maggioritario, sulla base dei voti ottenuti dalle liste regionali collegate ai
candidati alla presidenza. Al momento del voto, il sistema prevede la possibilità di
esprimere un voto disgiunto, conferendo una preferenza a un candidato Presidente così
come a una lista non facente parte della coalizione che lo/la sostiene.
4 Il testo della legge è interamente consultabile on line all’indirizzo http://demetra.regione.emilia-
romagna.it/al/monitor.php?urn=er:assemblealegislativa:legge:2014;21. 5 Da nove, le province sono divenute otto nel gennaio 2015, quando quella bolognese è stata sostituita dalla
Città metropolitana di Bologna.
113.744
25.206
37.867
70.442
26.841
13.101
42.427
55.411
21.85816.160
3.9517.838 8.542
2.868 2.1437.929
6.1902.486
0
20.000
40.000
60.000
80.000
100.000
120.000Primarie 2013 segretario
nazionale
Primarie 2014 candidato
Presidente Emilia-Romagna
13
Oltre all’attuale Presidente regionale Bonaccini (PD, vincitore con il 49,1% dei
voti), i principali candidati presentatesi alla tornata elettorale sono stati Alan Fabri (LN),
secondo con il 29,9% dei voti, e Giulia Gibertoni (M5S), che ha ottenuto il 13,3%. Altri
tre candidati minori hanno raggiunto, nel complesso, poco meno dell’8%. Per quanto
riguarda le liste partitiche, SEL (3,2%) e altre due formazioni minori (1,9% in totale) si
sono unite al PD – primo partito con circa il 44,5% dei voti – nel sostegno al vincitore.
Forza Italia (FI, 8,4%) e Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale (FdI, 1,9%) hanno invece
collegato i loro simboli al nome del candidato leghista in una coalizione di centro-destra
(complessivamente 29,7% dei voti), mentre Gibertoni è stata appoggiata esclusivamente
dal M5S (13,3%).
Al momento del voto, l’elettorato attivo consisteva in 3.460.402 di elettori, di cui
solo poco più di un terzo si è recato alle urne (1.304.841, ossia il 37,7%). In linea con una
tendenza che da circa venti anni interessa le elezioni regionali in Italia (Massetti e Sandri
2013), l’affluenza si è ridotta rispetto a quella della tornata elettorale precedente. Ciò che
però colpisce è l’eccezionalità del calo: circa il 30% (dal 68,1% del 2010)6. L’emorragia
ha interessato indistintamente tutti i maggiori partiti, ad eccezione del M5S (tabella 2), ed
è finita in buona parte per ingrossare le fila degli astensionisti7, rendendo questi ultimi
dei veri e propri «protagonisti assenti» (Gelli 2013: 29) della competizione.
Tabella 2. Risultati elettorali delle principali forze politiche alle regionali 2010 e 2014
Lista o coalizione 2010 (%) 2010 (N) 2014 (%) 2014 (N) Differenza N, 2010-2014
Partito Democratico 40,7 857.613 44,5 535.109 -322.504
Coalizione centro-sinistra 51,9 1.095.604 49,7 597.185 -498.419
Lega Nord 13,7 288.601 19,4 233.439 -55.162
Forza Italia 24,6 518.108 8,4 100.478 -417.630
Coalizione centro-destra 38,3 808.404 29,7 356.969 -451.435
Movimento 5 stelle 6,0 126.619 13,3 159.456 +32.837
Fonte: elaborazione propria di dati del Ministero dell’Interno (elezionistorico.interno.it).
Come è stato sottolineato, le elezioni regionali emiliane 2014, almeno dal punto
di vista della capacità dei partiti di mantenere un legame attivabile con l’elettorato, sono
state una vera e propria «Caporetto della politica “in quanto tale”, che ha pesato, come
ovvio, in maniera speciale sul partito di maggioranza di [… quei] territori» (Pananari
6 Il dato è eccezionale soprattutto se osservato da una prospettiva di lungo periodo. Si vedano le serie
storiche dei dati sulla partecipazione per regione per il periodo 1970-2010 nel file excel relativo al caso
italiano preparato per Dandoy e Schakel (2013) e scaricabile dalla pagina web
http://www.arjanschakel.nl/book.html. 7 Si veda anche Pedrazzani et al. (2015) per una analisi dei flussi elettorali tra le più recenti elezioni europee
e le regionali 2014 in Emilia-Romagna.
14
2015: 99), ossia il PD. Come possiamo vedere dalla tabella 2, quest’ultimo – dopo aver
perso alle primarie circa l’86% della quota di chi aveva partecipato alla selezione del
segretario partitico del dicembre 2013 – ha visto restringersi il proprio elettorato di circa
il 38%, cioè di una percentuale in sintonia con l’astensionismo generale. Un dato alquanto
significativo è l’entità in termini assoluti dei voti persi (322.504), la cui quantità è nello
stesso ordine di grandezza del numero di votanti in meno (348.790) tra le primarie 2013
di cui sopra e quelle 2014 (nonché dei 454.710 voti persi dalle politiche 2013, dove però
l’affluenza è stata maggiore rispetto alle regionali 2010, con 2.740.478 votanti totali).
Mentre in province quali Piacenza e Rimini l’abbandono è stato relativamente
frenato, in territori come il ferrarese e il reggiano il tasso di astensionismo – calcolato
come rapporto tra elettori democratici del 2014 e elettori democratici del 2010 – ha
oltrepassato la soglia del 40% (tabella 3). Nel complesso, diverse possono essere state le
ragioni che hanno spinto molti sostenitori (potenziali e probabili) del PD a disertare.
Tuorto (2015) ne ha isolate tre: la scarsa competitività delle elezioni, una disaffezione
generalizzata verso la classe politica regionale e l’insoddisfazione nei confronti del primo
ministro (e segretario del PD) Matteo Renzi.
Tabella 3. Tasso di astensionismo tra gli elettori PD alle regionali 2014 per circoscrizione elettorale
Provincia Tasso di astensionismo (%)
Bologna 36,2
Ferrara 44,2
Forlì-Cesena 38,3
Modena 38,6
Parma 36,0
Piacenza 30,4
Ravenna 35,1
Reggio Emilia 41,4
Rimini 33,5
Totale 37,6
Fonte: elaborazione propria da dati del Ministero dell’Interno (elezionistorico.interno.it).
Nelle prosieguo del nostro lavoro, cercheremo, prendendo spunto da quanto già
proposto dalla letteratura sul tema, di individuare eventuali nessi tra partecipazione e
outputs delle primarie da un lato e performance elettorali del PD alle elezioni regionali
dall’altro. Abbiamo deciso di concentrarci esclusivamente sulla forza elettorale della lista
partitica. La nostra analisi poggia sull’assunto per cui esiste una sostanziale
corrispondenza tra selettorato attuale e potenziale delle primarie e bacino elettorale del
partito organizzatore (non consideriamo le formazioni minori di cui si è detto sopra). A
sostenerla troviamo diverse indagini empiriche (Pasquino e Venturino 2009; Valbruzzi e
15
Seddone 2012), le quali hanno evidenziato come, anche in caso di primarie aperte, la
partecipazione di elettori di partiti (o coalizioni) terzi rispetto a quelli che danno vita alle
primarie è solitamente minima e comunque non in grado di incidere. Interferenze
(perlomeno di rilievo) nei nostri dati da parte di eventuali sostenitori di altre liste
sarebbero quindi da escludere.
5. PRIMARIE E ELEZIONI: QUALE RELAZIONE?
5.1. Partecipazione alle primarie e elezioni regionali
In primo luogo, abbiamo messo in relazione la partecipazione alle primarie con la capacità
mobilitante del PD in occasione delle regionali. Per misurare quanto le primarie siano
state partecipate, abbiamo calcolato il loro tasso di mobilitazione8 (TM) per ogni singola
circoscrizione (provincia) e lo abbiamo comparato sia alla percentuale di voti ottenuti dal
PD nello stesso territorio sia al rapporto tra partecipanti alle primarie e voti ottenuti alle
regionali (si veda Anastasi et al. 2013) (tabella 4). Più il valore di quest’ultimo indicatore
è alto e meno il PD è riuscito ad avere un numero di voti superiore alla quantità di
partecipanti alle primarie.
Tabella 4. Tasso di mobilitazione alle primarie e consenso PD alle regionali
Provincia TM Voti PD (%) 2014 Partecipanti 2014/voti PD 2014
Bologna 7,9 45,3 12,4
Ferrara 5,6 40,4 10,0
Forlì-Cesena 10,3 44,0 16,7
Modena 5,8 47,3 9,5
Parma 4,2 39,7 6,6
Piacenza 5,5 35,1 7,9
Ravenna 9,1 48,7 14,1
Reggio Emilia 5,4 50,6 9,2
Rimini 4,9 40,7 7,3
Totale 6,8 44,5 10,9
Fonte: elaborazione propria da dati del Partito Democratico dell’Emilia-Romagna e del Ministero
dell’Interno (elezionistorico.interno.it).
Nella tabella 4 abbiamo evidenziato in grassetto i valori superiori ai corrispettivi
regionali. Come prima cosa, notiamo una corrispondenza tra province con un alto tasso
di mobilitazione e province dove il rapporto partecipanti alle primarie/votanti alle
regionali mostra i valori maggiori. La correlazione tra i due indicatori è assai forte, ben
8 Il tasso di mobilitazione corrisponde al rapporto tra i votanti alle primarie e gli elettori del PD alle regionali
2010 (Valbruzzi 2013: 42). Si veda Venturino (2007) sui possibili metodi per misurare la partecipazione
alle elezioni primarie.
16
0,9834 (p<0,01). Il risultato non stupisce più di tanto, e può essere letto come un segnale
che le primarie, anche quando maggiormente partecipate, non sono riuscite pienamente a
svolgere quella funzione di rafforzamento del candidato e del partito stesso che la
letteratura ha loro più volte attribuito (ad esempio Pasquino 2006; Indriðason e
Kristinsson 2013) tra chi comunque aveva deciso di astenersi.
Se volgiamo invece lo sguardo ai voti percentuali ottenuti dal PD sull’insieme dei
voti validi tra l’elettorato emiliano, i dati ci mostrano ancora una volta un nesso positivo
di un qualche tipo, ma comunque non sufficientemente chiaro per trarre delle conclusioni.
Al fine di verificarne la presenza, abbiamo dunque deciso di calcolare la correlazione tra
i rispettivi valori su un campione più elevato di quanto non sia quello composto dalle
nove circoscrizioni provinciali. La scelta è ricaduta sull’insieme dei comuni della
provincia di Bologna (N=559), la quale assume tratti di rappresentatività dell’intero
territorio regionale essendone il capoluogo, avendo il maggior numero di abitanti
(1.004.637 al 31 dicembre 201410) e di comuni ed essendo stata interessata da un risultato
del PD alle regionali sostanzialmente in linea con quello regionale. L’esito del calcolo
(r=0,1358), nonostante l’assenza di una correlazione significativa, fornisce ulteriore
evidenza di una certa (debole) tendenza verso una relazione positiva, almeno nel contesto
del nostro caso di studio, tra mobilitazione alle primarie e successo elettorale.
Si rammenti che abbiamo utilizzato come base su cui calcolare il livello di
partecipazione alle primarie l’elettorato di riferimento del PD, che abbiamo
operazionalizzato come gli elettori che hanno dato il proprio voto al partito alle precedenti
elezioni dello stesso livello amministrativo (le regionali 2010). Trattandosi però di
primarie aperte, tutti gli aventi diritto al voto alle elezioni regionali11 potrebbero
formalmente essere votanti alle primarie. Avendo in mente ciò, Sozzi e Venturino (2013)
hanno proposto un indicatore della partecipazione alle primarie corrispondente al
rapporto tra selettori attuali e aventi diritto al voto alle successive elezioni. Nel nostro
caso, tale metodo di procedere ci restituisce uno scenario più chiaro (figura 2). La
9 L’attuale Città metropolitana di Bologna è composta da 56 comuni. Nella nostra analisi abbiamo escluso
quattro comuni che hanno smesso di essere entità amministrative autonome tra il 2010 e il 2014 (Bazzano,
Castello di Serravalle, Crespellano, Monteveglio) e il comune di Marzabotto, per cui mancano i dati relativi
alle primarie 2014. 10 Dato ufficiale reperibile sul sito istituzionale della Città metropolitana nella sezione “Territorio”. 11 Non solo. Come si è visto, il diritto di partecipazione è stato esteso anche a cittadini stranieri e minorenni
di 16 e 17 anni.
17
correlazione rimane di segno positivo, si irrobustisce arrivando a 0,5262 e diviene
significativa per p<0,01.
Figura 2. Partecipanti primarie su intero elettorato e voti PD (%) alle regionali 2014
Fonte: elaborazione propria da dati del Partito Democratico dell’Emilia-Romagna e del Ministero
dell’Interno (elezionistorico.interno.it).
Nel complesso, possiamo dunque affermare, con le dovute cautele, quanto già
evidenziato da Emanuele et al. (2013: 90) a proposito delle elezioni politiche 2013, ossia
che «la partecipazione alle primarie tende ad aumentare al crescere della forza elettorale»
della lista di riferimento. La discrepanza di risultati conseguente alla diversa
concettualizzazione del selettorato sembrerebbe dirci che la correlazione non possiede
particolari tratti di causalità, ma piuttosto che è spuria e mediata da altri fattori, quali ad
esempio la situazione politica contingente. In questo senso, il flop delle primarie emiliane
sarebbe uno dei tanti tasselli della crisi tutta interna al PD regionale di cui si è fatto più
volte cenno. Poco sorprendentemente, più il PD è forte elettoralmente nella regione e più
partecipanti alle primarie del PD vi sono, e viceversa. Concentrandoci poi sul solo
“effettivo” selettorato potenziale del partito, vediamo, una volta di più, che le primarie,
se poste in un generale clima di defezione, non riescono ad esercitare una particolare forza
trainante tra quegli elettori che, per una ragione o per l’altra, hanno deciso di disertare le
urne alle elezioni e che, probabilmente, non hanno fatto parte di coloro i quali hanno in
precedenza concorso alla scelta del candidato. Torneremo su questo punto nelle
conclusioni.
0
10
20
30
40
50
60
70
0,00 1,00 2,00 3,00 4,00 5,00 6,00
Voti
al
PD
all
e re
gio
nali
Partecipanti alle primarie su aventi diritto al voto alle
regionali
18
5.2. Competitività delle primarie, outsiders e risultati elettorali
Fin qui, ci siamo occupati esclusivamente del nesso tra partecipazione “primarista” e
performance elettorale alle elezioni, senza prendere in considerazione quanto e se i
risultati delle elezioni siano in qualche modo legati anche ad altri tratti delle primarie, in
particolare ai loro esiti12. Basandoci sulla letteratura circa gli atteggiamenti degli
“sconfitti” in democrazia (Anderson et al. 2005), potremmo ad esempio aspettarci, a
parità di condizioni, che una maggiore competitività porti più selettori ad optare per l’exit
al momento delle elezioni. Questo perché più alta è la competitività e più cresce il numero
di voti ricevuti dal candidato (o dai candidati) sconfitti, e quindi la quantità di partecipanti
senza la possibilità di votare il loro candidato preferito alle elezioni. Gelli e Talò (2011)
hanno riscontrato atteggiamenti di questo tipo tra i partecipanti più giovani alle primarie,
ma, in generale, i risultati sul punto non si sono dimostrati sempre in linea con la
supposizione (Cavataio e Fasano 2012). Per verificare l’ipotesi in relazione al nostro caso
di studio, abbiamo scelto di misurare il grado di competitività delle primarie per ognuna
delle circoscrizioni elettorali e di comparare il dato alle percentuali di voti ottenuti dal PD
alle regionali. A tal fine siamo ricorsi ancora una volta all’indice di Kenig (2008). Il
raffronto ci restituisce una chiara associazione di tipo negativo tra i due indicatori (figura
3).
Figura 3. Indice di competitività delle primarie e risultati PD (%) alle regionali per provincia
Fonte: elaborazione propria da dati del Partito Democratico dell’Emilia-Romagna e del Ministero
dell’Interno (elezionistorico.interno.it).
12 Un aspetto che qui non prendiamo in considerazione è invece quello che riguarda quanto il tipo di
campagna “primarista” possa impattare sulle seguenti elezioni. Ad esempio Atkeson (1998) e Kahn e
Kenney (1999) si concentrano sul carattere divisivo e sulla negatività della campagna elettorale. Sandri e
Seddone (2015) mettono invece in relazione il coinvolgimento partitico dei votanti e la loro disponibilità a
rimanere fedeli al partito al momento delle elezioni.
Bo
Fe
Fo
MoPa
Pi
RaRe
Ri
0
10
20
30
40
50
60
0,6 0,7 0,8 0,9 1 1,1
Voti
al
PD
all
e re
gio
nali
Competitività primarie
19
La relazione va in direzione della conferma dell’ipotesi. Laddove più selettori
hanno espresso la propria preferenza per chi è uscito sconfitto dalla competizione, il PD
ha poi ottenuto tendenzialmente risultati meno soddisfacenti alle elezioni.
Sull’associazione tra outputs delle primarie e intenzioni di voto, è stato mostrato
anche che non solo l’aver votato per lo sconfitto può essere un fattore che impatta
negativamente sulla fedeltà. Dati di sondaggio relativi alle primarie 2012 per la scelta del
candidato primo ministro del centro-sinistra indicano infatti che la propensione alla
defezione è maggiore, ceteris paribus, tra chi ha sostenuto il candidato più outsider
rispetto al partito (Bernardi e Rombi 2013: 196). Coerentemente, dovremmo dunque
aspettarci, per quanto riguarda il nostro caso, livelli di defezione maggiori dove Balzani
(l’outsider) ha ottenuto i più larghi consensi. Per verificarlo, abbiamo calcolato la
percentuale di voti ottenuti da Balzani nelle diverse province e nei capoluoghi di provincia
nonché il rispettivo coefficiente di localizzazione13 (D’Agata e Tomaselli 2010),
comparando poi i risultati con la percentuale di voti ottenuti dal PD alle regionali (tabella
5).
Tabella 5. Consenso verso Balzani alle primarie e voti PD (%) alle regionali 2014
Provincia Voti a Balzani (%) Coefficiente di localizzazione (Balzani) Voti PD alle regionali
Bologna 38,3 1,0 (0,98) 45,3
Ferrara 30,0 0,8 40,4
Forlì-Cesena 69,2 1,8 44,0
Modena 21,4 0,6 47,3
Parma 40,7 1,0 (1,04) 39,7
Piacenza 44,7 1,1 (1,14) 35,1
Ravenna 42,0 1,1 (1,08) 48,7
Reggio Emilia 26,2 0,7 50,6
Rimini 37,7 1,0 (0,97) 40,7
Totale 39,1 - 44,5
Capoluogo Voti a Balzani (%) Coefficiente di localizzazione (Balzani) Voti PD alle regionali
Bologna 38,9 0,9 42,9
Ferrara 35,0 0,8 41,1
Forlì-Cesena 82,8 1,8 45,3
Modena 20,9 0,5 48,2
Parma 56,4 1,2 (1,23) 41,7
Piacenza 56,0 1,2 (1,22) 37,0
Ravenna 46,1 1,0 47,5
Reggio Emilia 30,5 0,7 49,7
Rimini 44,2 1,0 (0,96) 39,6
Totale 45,9 - 41,8
Nota: il totale relativo ai capoluoghi si riferisce all’insieme dei soli territori comunali delle città prese in
considerazione. In presenza di valori uguali ad altri, abbiamo indicato tra parentesi il valore arrotondato
alla seconda cifra per mostrare le differenze.
Fonte: elaborazione propria da dati del Partito Democratico dell’Emilia-Romagna e del Ministero
dell’Interno (elezionistorico.interno.it).
13 Il coefficiente di localizzazione corrisponde al rapporto tra la percentuale di voti ottenuti da un candidato
alle primarie nel territorio considerato e la percentuale di voti ottenuta nell’intera regione.
20
Abbiamo evidenziato in grassetto i coefficienti superiori a 1 (indicanti una
percentuale di consensi a Balzani superiore rispetto al valore registrato su tutto il
territorio) e le percentuali ottenute dal PD alle regionali che superano quella generale.
Ancora una volta, lo scenario che emerge è tendenzialmente in linea con le aspettative.
Notiamo infatti che il PD ha ottenuto percentuali al di sotto di quelle generali perlopiù
nelle province e nei capoluoghi dove il candidato sconfitto era andato meglio. I buoni
risultati del PD nelle aree di Forlì e nel ravennate, nonostante l’elevato grado di sostegno
a Balzani alla primarie, potrebbero indicare una più forte capacità mobilitante del partito,
che alimenta la fiducia nell’organizzazione quali che siano le preferenze. L’alto tasso di
mobilitazione alle primarie nelle due province (10,3% a Forlì-Cesena e 9,1% a Ravenna,
contro un tasso regionale del 6,8%), dove il calo di partecipazione rispetto alle primarie
2013 è stato comparativamente contenuto, sarebbe un indizio a favore di tale
supposizione.
6. CONCLUSIONI
Come si evince dai dati, il primo elemento importante è il crollo dell’affluenza alle
primarie, a cui corrisponde un calo analogo degli elettori del PD alle elezioni regionali.
Elettori che – abbiamo visto – hanno perlopiù optato per il non voto, piuttosto che per il
sostegno a liste alternative. Questo ci fornisce una prima indicazione circa il contesto in
cui si sono svolte le primarie: l’evidente difficoltà di mobilitazione da parte del PD
regionale del suo elettorato di riferimento, problema evidenziatosi in maniera eclatante al
momento delle elezioni.
Stante tale premessa, abbiamo indagato, avvalendoci delle risultanze della
letteratura, quali relazioni intercorrono tra, da un lato, la partecipazione alle primarie e i
risultati ottenuti dai due candidati e, dall’altro, la performance elettorale del PD alla
successiva tornata elettorale. Al proposito, sono emerse due risultanze. La prima è che
nelle province dove il calo delle partecipazione è stato più contenuto il PD ha nel
complesso ottenuto più voti in termini percentuali. In secondo luogo, abbiamo osservato
che alle più alte percentuali del candidato Balzani corrispondono performance meno
soddisfacenti del partito.
21
Il nostro caso di studio ci mostra che le primarie come strumento di mobilitazione,
legittimazione e, più in generale, di rafforzamento del partito che le organizza non
suppliscono alle deficienze strutturali di un contesto politico sfavorevole. Il nesso tra una
maggiore partecipazione alle primarie e migliori risultati del PD si è dimostrato infatti
piuttosto debole. Inoltre, la sostanziale corrispondenza tra la numerosità del calo di
votanti in termini assoluti tra primarie e voto alle regionali è un indicatore del rifiuto a
monte dell’offerta politica del partito “dominante”. A ciò bisogna aggiungere che tale
rifiuto si è sostanziato in astensione al momento delle elezioni, probabilmente anche per
via di una debole controfferta da parte dei competitors.
In questo senso, le primarie diventano uno strumento per comprendere la reale
capacità di mobilitazione di un partito di mobilitare il suo elettorato di riferimento nella
successiva competizione elettorale. E dunque sintomo dello stato di salute – più o meno
buono – dei partiti. Da questo punto di vista, sarebbe auspicabile poter testare il potenziale
euristico delle primarie relativamente ad altri casi.
22
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