Press Italia Regioni 09-10/2007

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La Ducati sale sul podio L’inno italiano saluta la Ferrari delle moto R e g i o n i Periodico d’approfondimento culturale, politico ed attualità Nu m ero 9/10 - A nn o 20 0 7

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Numero 09/10 - Anno 2007

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La Ducati sale sul podioL’inno italiano salutala Ferrari delle moto

Regioni

Periodico d’approfondimento culturale, politico ed attualità

Numero 9/10 - Anno 2007

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Press Italia REGIONINumero NOVE - DIECI | anno 2007Supplemento al N. 518 di pressitalia.netRegistrazione Tribunale di Perugia n. 33 del 5 maggio 2006Diffusione via Web

Direttore EditorialeMauro Piergentili

Direttore ResponsabileAlberto Cappannelli

Progetto GraficoMauro Piergentili

RedazioneGiulio Rosi, Paola Pacifici, Mauro Boschi, Gian Giacomo Bei, Maria Annunzia Selvelli, Matteo Scandolin, Franco Baccarini

L’EDITORIALE di Giulio Rosi

Ottobre apre la porta all’autunno. Ma nello stesso tempo rin-nova il vigore fisico e intellettuale impigrito dalla stagione estiva. Si fanno programmi, il lavoro ci aspetta al varco, si ritorna sui banchi, ma l’umore è alto perché si attende l’im-minente pausa natalizia. È per questo che la ripresa autunna-le è meno pesante di quella post-natalizia, con l’epifania che tutte le feste irrimediabilmente si porta via. Perché ottobre è una specie di sabato del villaggio in chiave mensile, una breve battuta d’impegno che preannuncia quella pausa risto-ratrice che gli spagnoli chiamano “resaca” e serve per farci riposare dopo le fatiche delle vacanze. Ottobre e novembre, infatti, sono una battuta d’arresto breve, fra ponti, santi e morti volano in un attimo. E portano direttamente a dicem-bre, con le lunghe settimane bianche, le luminarie per le stra-de, l’albero artificiale, il presepe e le vacanze invernali. E la rivista come si adegua? Per dare una gradualità alla ripresa abbiamo scelto una serie di argomenti attuali, ma svincolati dal tempo, tutti differenti fra di loro, ma accomunati da una unica chiave di lettura: quella del disimpegno ragionato. Un modo per riabituarci gradualmente agli impegni usuali, pas-sando a volo radente su notizie, servizi e cronache sempre sul filo dell’attualità, perché negli ultimi giorni che prece-dono la pubblicazione il mensile si trasforma in un settima-nale. Ma la cosa più importante per una rivista è certamente il potere di aggancio, ossia quelle particolari caratteristiche di tipo antologico che sfuggendo al banale soddisfano molti gusti, divertono, interessano, rilassano e stimolano la mente. Queste sono le intenzioni dell’editore e della redazione. La conferma come sempre spetta al lettore.

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TRE | Regioni

SETTANTA ANNI DALLA MORTE DI MARCONIQUANTO SI STUPIREBBE DELLE CONSEGUENZE DELLA SUA INVENZIONE!

Personaggi

Guglielmo Marconi nacque a Bologna il 25 aprile 1874. Nella villa di famigla a Pontecchio, trasformò la soffitta in un laboratorio per i suoi primi esperimen-ti. Leggendo un articolo di Hertz sulle onde elettromagnetiche, realizzò un ri-velatore di fulmini: pensando che essen-do una scarica elettrica doveva generare onde elettromagnetiche. Così collegò un cavo elettrico, con funzioni di an-tenna, ad un coherer e questo lo colle-gò ad un campanello: il risultato fu uno squillo di campanello ad ogni scoccare di fulmine, vicino o lontano che fosse. Il coherer, ideato da Tommaso Calzec-chi-Onesti, è un tubetto di vetro in cui è stato fatto il vuoto ed all’interno del quale è stata inserita della fine limatura di nichelio ed argento, fra due elettrodi di ferro e nichel. La resistenza di questa limatura in condizioni normali è molto elevata, quindi la conducibilità elettrica è praticamente nulla. Ma la resistenza si abbassa bruscamente quando il cohe-rer riceve un’onda elettromagnetica, quindi nel circuito aviene il passaggio della corrente che Marconi utilizzò per fare suonare il suo campanello duran-te i temporali estivi. Questa esperienza fece nascere l’idea di utilizzare le onde elettromagnetiche per la trasmissione di segnali a distanza. Per avere una con-ferma delle sue intuizioni, incontrò il titolare della cattedra di fisica dell’Uni-versità di Bologna, Augusto Righi, che era uno dei maggiori studiosi ed esper-ti in materia di elettromagnetismo, ma costui ritenne che Guglielmo Marconi si trastullasse con idee irrealizzabili e di nessuna utilità pratica in quanto gli ostacoli naturali, come le montagne e la curvatura terrestre avrebbero impedito la trasmissione delle onde elettromagne-tiche a grandi distanze. Nessuno, allo-ra sapeva dell’esistenza della ionosfera che circonda la terra e tanto meno aveva idea delle macchie solari che potevano ionizzarla, riflettendo le onde elettroma-gnetiche in ogni angolo della terra. Ai primi esperimenti da un capo all’altro della soffitta, dalla soffitta al giardino, poi dalla soffitta alla cima della colli-

netta, distante circa tre chilometri, dove un suo improvvisato aiutante, un colono di nome Magnani, sventolava un fazzo-letto ad ogni squillo di campanello, se-guì l’esperimento decisivo che premiò la sua tenacia. Nel frattempo cercava di potenziare il sistema di trasmissio-ne composto dagli oscillatori di Hertz e Righi che emettevano segnali troppo deboli per superare distanze accettabili: maturò, così, l’idea di fornire l’oscilla-tore di Hertz ed il coherer di Calzec-chi-Onesti di un’antenna e di una presa di terra, questo gli consentì di ottenere una maggiore potenza ed una maggio-re sensibilità. Portò il suo ricevitore in un casolare oltre la collina e vi mise di guardia il fratello Alfonso col suo fu-cile; tornato alla soffitta, trasmise, i tre

punti della lettera S: da oltre la collina risuonò un colpo di fucile, segno che il campanello aveva suonato tre volte. Marconi aveva realizzato la radio. Dopo la prima guerra mondiale, Marconi ini-zia la costruzione dei primi apparati in VHF e mette le basi che porteranno alla invenzione del radar. Ormai la “radiote-legrafia” è su tutti i piroscafi e tutti gli aeromobili, soprattutto dopo che super-stiti del dirigibile Italia furono salvati grazie alle trasmissioni del radiotelegra-fista Biagi. Questo succedeva nel 1928. Guglielmo Marconi riesce a vedere il trionfo delle sue idee prima di spegnersi a Roma il 20 luglio del 1937. Se vivesse oggi non crederebbe agli strabilianti tra-guardi resi possibili dalla sua genialità.

■ Paola Pacifici

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Regioni | QUATTRO

Personaggi

MORRICONE: “BUONO, BRUTTO E CATTIVO”DAGLI SPAGHETTI WESTERN ALLA SCALA ARRIVANDO FINO ALL’OSCAR

Originario di Arpino in provincia di Fro-sinone, ma nato a Roma, ricevette la sua formazione musicale al Conservatorio Santa Cecilia, dove si diplomò in tromba (7/10), strumentazione per banda (9/10) e composizione (9,50/10 con Goffre-do Petrassi). Ha studiato anche musica corale e direzione di coro. Contempora-neamente ha lavorato come trombettista in molte orchestre romane, formandosi così uno spirito eminentemente pratico e creandosi una rete di conoscenze nel mondo dello spettacolo. Cominciò a scrivere musiche per film nel 1955, lavo-rando parallelamente come arrangiatore di musica leggera per diverse orchestre e per i dischi dalla RCA Italiana. Mor-ricone continua però a considerarsi un compositore “colto” ed a scrivere musi-ca classica contemporanea: la definizio-ne di “mago delle colonne sonore” gli

va stretta. Nel 1956 sposò Maria Travia: dal matrimonio nacquero quattro figli. Nel 1964 cominciò la collaborazione con Sergio Leone e Bernardo Bertoluc-ci. La prima colonna sonora che scrisse per Leone fu per il film Per un pugno di dollari, nel 1964, proseguendo per tutta la serie successiva di spaghetti-western diretti dal regista romano, un sodalizio che durò fino all’ultimo film di Leone, il gangster-movie C’era una volta in Ame-rica. È proprio per Sergio Leone che Morricone firma le sue migliori colonne sonore, musiche che hanno contribuito a far diventare i film di Leone dei capola-vori indiscussi. Nei suoi concerti dedica sempre una sezione al regista Leone. Vince il suo primo Nastro d’Argento nel 1965 (anno in cui intraprende l’insegna-mento compositivo presso il prestigioso conservatorio Licinio Refice di Frosino-

ne) grazie alle musiche di Metti, una sera a cena, ed il secondo solamente un anno dopo per Sacco e Vanzetti. La prima nomination per un Premio Oscar arrivò nel 1979 per la colonna sonora di I gior-ni del cielo (Days of Heaven), al quale seguirono nel 1986 quella per Mission (The Mission), che vincerà comunque il BAFTA (The British Academy of Film & Television Arts) ed il Golden Globe, poi nel 1987 per Gli Intoccabili (The Untouchables), che vincerà il Nastro d’argento, il BAFTA, il Golden Globe e il Grammy Award, per Bugsy nel 1992 e nel 2001 per Malèna. Nel 1984, vince un altro BAFTA per la colonna sonora di C’era una volta in America, l’ultimo film di Sergio Leone. Il 25 Febbraio 2007, dopo cinque nominations non premiate, gli viene conferito, accompa-gnato da una standing ovation tributa-tagli da una ammirata platea, il Premio Oscar alla carriera, “per i suoi magnifi-ci e multisfaccettati contributi nell’arte della musica per film”.A consegnargli il premio è stato l’attore Clint Eastwood, icona dei film western di Sergio Leone. Le musiche di Ennio Morricone sono state più volte riprese da altri artisti, che ne hanno creato numerose “cover” in varie occasioni: Hugo Montenegro con una sua versione del tema principale di Il buono, il brutto, il cattivo raggiunse la vetta delle classifiche tanto in Gran Bre-tagna quanto negli Usa nel 1968, e John Zorn registrò un intero album di musi-ca di Morricone a metà degli anni ‘80. Anche Mike Patton sia con i Mr. Bungle che con i Fantômas ha in varie occasioni ripreso le musiche di Ennio Morricone, tra cui Indagine su un cittadino al di so-pra di ogni sospetto presente nell’album The Director’s Cut dei Fantômas, Metti, una sera a cena, Città violenta, Muscoli di velluto eseguite durante i concerti dai Mr. Bungle. Nell’estate del 2006 dirige l’Orchestra filarmonica del Teatro alla Scala di Milano in un tour che oltre al-l’Arena di Verona riguarda anche altri importanti teatri ed arene, tra cui il tea-tro greco-romano di Taormina.

■ Gian Giacomo Bei

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CINQUE | Regioni

Attualità

La Sacra Sindone è tornata a far parlare di sé recentemente sulle cronache dei quotidiani nazionali. Peccato che il motivo non sia lega-to alle due notizie più rilevanti che, come spesso accade, erano passa-te sotto il silenzio più assoluto. Nei mesi scorsi era stata ritrovata - frammentaria, ma praticamente completa - una sindone funebre pa-lestinese, con al suo interno i resti di un maschio adulto, nella Valle di Hinnom nei pressi di Gerusalemme. Il prezioso ritrovamento - riferisce il giornalista Antonio Lombatti - era stata opera dell’archeologo Shi-mon Gibson a capo della Jerusalem Archaeological Field Unit. L’unico riferimento dei media italiani al-l’importante scoperta venne fatto dal professor Giuseppe Ghiberti, decano dei sindonologi italiani, sulle pagine dell’Archivio Teologi-co Torinese. In esso, tuttavia, egli citava brevemente il ritrovamento di questo lenzuolo funebre senza entrare nel dettaglio. Come mai? Il motivo - spiega Lombatti - è presto detto. La sindone di Gibson - datata al 50 d.C. circa col Carbo-nio 14 nel laboratorio di Tucson in Arizona - non era per nulla simile a quella di Torino: il tessuto era lana e non lino, la tessitura molto meno elaborata e, soprattutto, la tecnica

di sepoltura prevedeva un avvolgi-mento della salma, come si legge nei vangeli canonici ed era prassi ebraica, e non una semplice coper-tura del defunto come presuppone la Sindone di Torino.La seconda notizia che non ha avuto eco è da riferire all’opera di restaurazione che la Sindone ha subito. Numerosi e dettagliati sono stati i resoconti giornalistici in merito. È mancato, tuttavia, un accenno alla tribolazio-ne degli studiosi del Centro di Sin-donologia di Torino che, dopo la pubblicazione delle nuove foto ad alta risoluzione della reliquia re-staurata, avevano avuto insormon-tabili difficoltà nell’identificare le presunte ombre delle famigerate monetine pilatesche. Monetine che avevano occupato pagine e pagine di quotidiani, periodici e invaso lo spazio di trasmissioni televisive di ogni tipo per il sensazionalismo del-la scoperta e che ora, dopo la loro “scomparsa”, non hanno trovato nemmeno due righe di una notizia breve. Sul quotidiano La Nazione sono uscite le seguenti notizie: “Sul muro di San Giovanni comparso il volto di Cristo” e “Processione per la “Sindone” comparsa sul vecchio muro”. Il tutto sarebbe avvenuto nel comune di Villafranca Lunigia-na in provincia di Massa Carrara:

durante i restauri della chiesa su una parete sarebbe apparso un vol-to sindonico. “La Sindone appare su un muro - si legge nell’articolo del 4 gennaio - e c’è chi grida al miracolo. Increspature di cemento e macchie disegnano straordinaria-mente l’icona della Sindone, così come compare sull’immagine ne-gativa del sacro lenzuolo di Torino. Ed è subito fede. C’è chi guida al-l’osservazione - prosegue l’artico-lo - indicando i segni più evidenti della fisionomia del volto di Cri-sto: la fronte segnata dalla corona di spine, gli occhi infossati, il naso, la barba e i capelli. Se si confron-tano le immagini del disegno ap-parso sul muro e il Volto santo si notano coincidenze eccezionali sui particolari ingranditi con una len-te”. Ma la semplice comparazione delle due immagini, mostra come l’unica cosa che le rende vagamen-te simili siano solo i colori bianco e nero di cui sono composte. In pieno Medioevo le reliquie e le immagini miracolose diventavano un grosso affare. Il commercio delle ossa, dei corpi, dei fazzoletti, delle vesti, delle sindoni e delle scarpe generò un gruppo di attivissimi mediatori. Ma oggi?

■ Maria Annunzia Selvelli

NUOVA SINDONE SCOPERTA IN PALESTINAQUALCUNO GRIDA AL MIRACOLO MA MOLTI NON LO CREDONO

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Regioni | SEI

Eventi

SPUTNIK 50, A BOLOGNA LE NOZZE D’OROVERRANNO CELEBRATE TRA L’UMANITÀ E LO SPAZIO

L’esplorazione dello spazio compie cinquant’anni. Per ripercorrere le tappe più significative di quest’av-ventura, iniziata il 4 ottobre 1957 con il lancio dello Sputnik, il primo satellite artificiale della storia, sono in programma a Bologna due giorni di convegni e incontri con il pubbli-co. Tra gli ospiti, Giovanni Fabrizio Bignami e Margherita Hack.

Il 4 ottobre del 1957 il mondo restò senza parole all’annuncio di Radio Mosca che una «luna artificiale», lanciata dall’Unione Sovietica dal poligono di Baikonour, ruotava in-torno alla Terra. Il nome di quella «luna» costruita dall’uomo era Sput-nik: in russo, compagno di viaggio. Una palla di metallo di appena 60 centimetri di diametro, destinata a segnare, con il suo caratteristico «bip bip», l’inizio dell’esplorazione dello spazio.

Per celebrare il primo mezzo seco-lo di quest’avventura, che continua a riservarci emozioni e sorprese, si terranno a Bologna, dal 2 al 3 ot-tobre, due convegni scientifici e un incontro serale con il pubblico. Due giornate, organizzate dall’Osserva-torio Astronomico di Bologna del-l’INAF e dal Dipartimento di Astro-nomia dell’Università di Bologna, dedicate a ripercorrere le principali tappe scientifiche e tecnologiche di questi cinquant’anni nello spazio. Ma anche a ricordare e ricostruire il contesto politico e sociale in cui l’avventura spaziale ebbe inizio. E l’impatto, per molti aspetti scioc-cante, che il successo del lancio dello Sputnik ebbe sul mondo occi-dentale.

«Un evento che segnò di fatto l’av-vio della gara per lo spazio fra la Russia e l’America», ricorda Flavio

Fusi Pecci, direttore dell’Osserva-torio Astronomico di Bologna. «Il calcio d’inizio di una partita, volen-do usare una metafora sportiva, che vide l’Unione Sovietica dominare nel girone d’andata e gli Stati Uniti in quello di ritorno, aggiudicando-si lo scudetto con l’atterraggio del primo uomo sulla Luna». «Abbia-mo colto l’occasione di questo an-niversario», continua Fusi Pecci, «per rivisitare i successi scientifici e tecnologici di cinquant’anni di esplorazioni spaziali inserendoli nel contesto della vita sociale e politi-ca, in particolare della città di Bo-logna. Questo perché crediamo che non esista, e non debba esistere, un confine che separi la scienza dalla vita quotidiana».

Ad aprire le due giornate, un con-vegno dedicato alla figura di Giam-pietro Puppi, «Scienziato, maestro e promotore della ricerca scientifica a Bologna», martedì 2 ottobre dalle 10.00 alle 18.30, presso la Sala del Baraccano (via Santo Stefano 119, Bologna). La giornata di mercoledì 3 ottobre, sempre alla Sala del Ba-raccano, avrà per tema «L’Italia e lo Spazio». Fra i relatori di questo se-condo incontro, sarà presente anche Giovanni Fabrizio Bignami, presi-dente dell’Agenzia Spaziale Italia-na. Serata aperta al pubblico, infine, martedì 2 ottobre, presso l’Aula Ab-sidale di Santa Lucia (via de’ Chiari 23, Bologna), alle ore 21.00, dove a ricordare e discutere dell’«Inizio dell’era spaziale e Bologna» inter-verrà - insieme ad altri relatori del mondo della politica, della scienza e della cultura bolognese - l’astrofi-sica Margherita Hack.

Per informazioni:Francesco PoppiINAF-Osservatorio Astronomico di BolognaE-mail: [email protected]. 328.6890344

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SETTE | Regioni

Eventi

DOLCEMENTEPRATO, grande kermesse golosa di autunno (5-6-7 ottobre a Prato, appunto): la prima. Un evento decisamente insolito e del tutto nuovo, appun-to che unisce GUSTO e CULTU-RA. C’era una sola città in Italia che poteva fare da cornice alla Prima Mostra Nazionale del-l’Alta Pasticceria, al buono del Made in Italy: Prato. Una scelta non casuale: lo sapevate, infatti, che con più di 40 laboratori di pasticceria può essere definita la città più golosa? Una tradizio-ne dolciaria secolare e una forte spinta all’innovazione con mae-stri pasticceri e cioccolatieri di eccellenza, tanto da parlare del suo territorio come la Chocolate Valley. Ma Prato è anche un rife-rimento internazionale per l’ar-te contemporanea, il connubio è intrigante e insolito: Arte Pa-sticcera e Arte Contemporanea il tutto in uno degli spazi più bel-li e suggestivi, il Centro Pecci e l’anfiteatro antistante dove il pubblico ammirerà la creazione di vere e proprie opere d’arte del gusto. Non solo, per tre giorni tutta la città sarà un peccato di gola... con percorsi, passeggia-te, itinerari a tema inseguendo colori, profumi, suggestioni per tutti e 5 i sensi. Sarà un appunta-mento assolutamente da non per-dere: la crème de la crème, è il caso di dire. I migliori pasticceri da tutta Italia, più di quaranta, nomi emergenti o grandi classi-ci, le creazioni più innovative e le ricette di antica tradizione, i migliori cioccolatieri, e i grandi della gelateria. Food design e an-tichi sapori, laboratori del gusto, spazi per i bambini, abbinamen-ti insoliti, degustazioni guidate, mostre, performance live e shoo-ting fotografici, salotti letterari, cinema.

DOLCEMENTEPRATO, TRE GIORNI INSIEMETRA ARTE CONTEMPORANEA E TRADIZIONE DOLCIARIA

PROGRAMMA INCONTRI:

Venerdì, 5 ottobreOre 18.00, DOLCI AL CIOCCOLATO (mignon, mousse, cioccolato in purezza, pra-line…) abbinati a Recioto della Valpolicella, Pineau de Charentes, Porto e Madeira.Ore 21.00, DOLCI ALLA FRUTTA (ge-latine, crostate, mousse…) esaltati da Mo-scadello di Montalcino, Brachetto d’Acqui, Aleatico, Liqueur au Calvados.

Sabato, 6 ottobreOre 18.00, BISCOTTI E PASTICCERIA SECCA (amaretti del Fochi, Kinzica, Riccia-relli…) affiancati da Vin Santo, Malvasia delle Lipari, Moscato di Noto, Vendemmia tardiva. Ore 21.00, DOLCI LIEVITATI (Panetto-ne, Panfrutto, Pan Briacone…) incontrano il vino Moscato nelle sue migliori espressioni, ottenuto con uve che spaziano dalla Sicilia al Piemonte e Alto Adige.

Domenica, 7 settembreOre 16.00, DOLCI DELL’IMPERO (Pan dell’Orso, La Gata, Torta del Consorzio…) abbinati al Verduzzo, al Picolit e al Raman-dolo dei colli orientali del Friuli.Ore 18.30, DOLCI FRESCHI E CRE-MOSI (Sfogliatine, Meringa, Mimosa…) serviti con il Recioto e il Passito di Soave e altro ancora.

Degustazioni e relazioni a cura di:Massimo Castellani e Bruno Caverni del-

l’Ais (Associazione Italiana Sommelier) Toscana; Renzo Priori e Marco Sabellico, giornalista della rivista “Gambero Rosso”.

Ingresso: 25 euro a persona per singola degustazione, 20 euro per sommelier Ais e Fisar. Prenotazione obbligatoria telefonan-do a Confartigianato Imprese di Prato, 0574 - 5177977 (Serena Venturi) oppure 0574 – 5177837 (Andrea Melani).

DOLCEMENTEPRATO è promosso da Confartigianato Imprese Prato e organizzato da Artex - Centro per l’Artiginato Artistico e Tradizionale della Toscana, con il contributo di Regione Toscana, Toscana Promozione, Comune, Provincia e Camera di Commer-cio di Prato, Apt, con il patrocinio di Confar-tigianato Nazionale e la collaborazione del Consorzio Pasticceri Pratesi e dell’Accade-mia Maestri Pasticceri Italiani.

PRATO“CENTRO PER L’ARTE CONTEMPO-

RANEA” LUIGI PECCI5-6-7 OTTOBRE 2007

Orari:Venerdì e Sabato 10.00 – 22.00; Domenica 10.00 - 21.00Biglietto: Intero Euro 5,00; Ridotto Euro 3,00.

Info 0574/5177836www.dolcementeprato.com

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Regioni | OTTO

Musica

DAL CANTO GREGORIANO AL FREE JAZZUN VIAGGIO NELL’ARTE DELL’IMPROVVISAZIONE MUSICALE

Una interessante rassegna musica-le, intitolata Fuga a tre , è in pro-gramma dal 5 all’12di novembre alla Sala Trevi di Roma. Un espe-rimento che propone otto eventi musicali diversificati, in concerto formazioni in trio provenienti da varie regioni d’Italia e d’Europa. A fare da trait d’union è il linguag-gio dell’improvvisazione, che non è patrimonio esclusivo del jazz. La musica improvvisata, in cui si ri-trovano i principi naturali del fare musica, è una pratica che risale alle origini, con la codifica gregoriana della musica sacra ed è fortemente presente nel vasto repertorio delle fughe di Bach, poi solo successiva-mente trascritte su spartito.In questa prima edizione di Fuga a tre i generi musicali proposti vanno dalle forme originali di ri-lettura della musica classica alla contaminazione jazzistica della musica etnica, dal jazz sperimenta-le al jazz più classico, dalla fusion alla musica elettronica. Oscillando

tra scrittura e improvvisazione le esibizioni dei grandi artisti ospiti della rassegna fungeranno da sti-molo per valorizzare il potenziale comunicativo presente nello spetta-tore, nell’attimo in cui deciderà di mettere in gioco la propria identità musicale. Fuga a tre nasce per sot-tolineare con forza il valore cul-turale della contaminazione e della imprevedibilità nel dialogo musi-cale e rappresenta, nel dilagare del conformismo e superficialità dei giorni nostri, una proposta forma-tiva ed educativa da innestare nel potenziale creativo delle nuove ge-nerazioni.L’improvvisazione - spiega il di-rettore artistico, Ennio Rega - è una vera e propria nuova lingua, c’è chi se la canta poi la scrive e l’esegue, c’è chi ha studiato dura-mente il metodo, “la grammatica”, e chi da autodidatta ha imparando per lo più ad orecchio, e magari pur non avendo un’intonazione perfet-ta sullo strumento riesce a farne

un utilizzo estremamente creativo per aver interiorizzato in maniera singolare quel linguaggio. Il jazz è stato inventato da chi non sapeva leggere una partitura. Il mio modo di fare musica sicuramente rientra nell’ambito della musica improvvi-sata perché la mia forma canzone è senza schemi, senza progressioni armoniche preordinate e il più del-le volte le melodie non sono scritte ma nascono spontanee come movi-menti liberi, variano ad ogni con-certo e ad ogni registrazione. “L’idea di Fuga a tre - raccon-ta Ennio Rega - mi venne a marzo di quest’anno nella pausa sigaret-ta in stazione di servizio su una delle tante autostrade del mio tour Lo scatto tattile , disco presentato appunto in trio. La formazione in trio costringe, anche per mantene-re l’attenzione del pubblico, a una varietà di tempi e tonalità, a un ap-proccio diverso all’ improvvisazio-ne poiché ci si poggia di meno sulla composizione e gli arrangiamenti. Quindi mi dicevo, non voglio esse-re un attore in compagnia di giro, la musica è libertà, esaltazione e non è un mestiere, di certo non è il ripetere con precisione maniacale lo stesso concerto ogni sera ugua-le, è una condizione dell’anima, è perdizione, non è la quantità di prove che conta ma la giusta scelta dei musicisti e poi il feeling cresce con il pubblico in sala, un errore è molto meno grave di una banalità. Inoltre ho ritenuto di integrare tra i nomi più noti, musicisti, molto va-lidi, sconosciuti anche al pubblico romano. Fuga a tre prova a scava-re negli archivi della musica dei giorni nostri per mettere in luce la grande varietà stilistica e di conte-nuti nell’opera di certi musicisti, e questo nell’ epoca in cui gli artisti più irriducibili tendono al confor-mismo.

■ Giulio Rosi

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NOVE | Regioni

Inchiesta

Il progresso avanza anche per l’edi-toria ed impone agli editori tradi-zionali la scelta: puntare sulla qua-lità, occupando nicchie di mercato (anche estremamente redditizie?) o rassegnarsi a scomparire gradual-mente? Alla fine degli anni novan-ta, nel pieno della esplosione del-l’indice Nasdaq e del conseguente boom economico di “wall street”, qualcuno profetizzò la scomparsa della carta stampata in favore del web. Poi, ci fu il maledetto 11 set-tembre 2001 e “wall street” riget-tò indietro la crescita dell’indice nasdaq, ridimensionandolo come quotazioni. Forse, la carta stampata ebbe a livello planetario una bocca-ta d’ossigeno, nonostante la conti-nua diminuzione della vegetazioni in Amazzonia. La carta stampata ormai ha dei costo insostenibili, nella logica del capitalismo globa-lizzato: i “dinosauri” della stampa cartacea sembrano destinati ad una lunga ma inesorabile estinzione? Agli editori tradizionali la scelta: puntare sulla qualità, occupando nicchie di mercato (anche estrema-mente redditizie?) o rassegnarsi a scomparire gradualmente. ? Ad es-sere in crisi non è la lettura, ma la vendita dei giornali, prova ne sia che in Europa alla fine del primo semestre del 2007 esistevano oltre 97 testate free con oltre 22 milioni di copie distribuite ad ogni angolo di strada. Così avvengono sorpassi storici a ripetizione: in Francia il quotidiano più letto è ormai il gra-tuito 20 Minutes, con 2,4 milioni di lettori, in Spagna 20 Minutos ha su-perato lo storico El Pais mentre in Gran Bretagna Metro ha superato la diffusione del milione e 200 mila copie, doppiando quella del Times. I lettori preferiscono sempre più la” free press”, con un inevitabile travaso di lettori dalle testate a pa-gamento ai mezzi gratuiti. Il web ha regalato l’abitudine di cercare notizie online senza attendere che

L’EDITORIA STAMPATA VERSO L’ESTINZIONEGIORNALI TRADIZIONALI IN CRISI, TRA FREEPRESS E WEB

la televisione ce le riproponga dopo alcune ore (…. e i giornali addirit-tura il giorno dopo l’evento…) va prendendo sempre più piede, non solo nell’ambito della informazio-ne finanziaria, di per sé sinonimo di rapidità di aggiornamento. In Italia il mercato dei free press è an-cora in crescita, come è in crescita il web, ma non c’è dubbio che la tendenza sarà la stessa, tanto più che alla stampa tradizionale. C’è il rischio a breve del crollo del pun-tello finora presente nei bilanci dei

gruppi principali. Dal prossimo anno, secondo quanto finora previ-sto nella bozza della Legge Finan-ziaria, le agevolazioni sulle tariffe di spedizione postale a carico delle imprese editoriali del settore della carta stampata saranno ridotte nella misura del 7%. Nel web c’è già chi prova a fare esperimenti di “citizen journalism”, che vadano oltre ai blog, per arrivare persino ai web-magazine realizzati dagli utenti (…stile Second Life…?).

■ Mauro Boschi

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Regioni | DIECI

Tradizioni

Halloween, corrispondente alla vi-gilia della festa cristiana di Ognis-santi, è il nome di una festa po-polare di origine pre-cristiana ora tipicamente americana e canadese. Tuttavia le sue origini antichissime affondano nel più remoto passato delle tradizioni europee: viene fat-ta infatti risalire al 4000 a.C. quan-do le popolazioni tribali usavano dividere l’anno in due parti in base alla transumanza del bestiame. Nel periodo fra ottobre e novem-bre la terra si prepara all’inverno ed era necessario - allora come adesso - ricoverare il bestiame in luogo chiuso per garantirgli la so-pravvivenza alla stagione fredda: è questo il periodo di Halloween. Si celebra il 31 ottobre. In Europa la ricorrenza si diffuse con i Cel-ti: all’incirca nel 2300 a.C. questa popolazione iniziò a spostarsi dalle isole Britanniche fino all’area del

HALLOWEEN, ORRIPILANTE E LEGGENDARIATUTTO IL MONDO IN FESTA CERCA DI ESORCIZZARE IL MALE

Mar Mediterraneo.I celti non teme-vano i propri morti e lasciavano per loro del cibo sulla tavola in segno di accoglienza per quanti facessero visita ai vivi. Secondo la leggenda, nella notte di Samhain questi es-seri erano soliti fare scherzi anche pericolosi agli uomini e questo ha portato alla nascita e al perpetuar-si di molte altre storie terrificanti. Si ricollega forse a questo la tra-dizione odierna e più recente per cui i bambini, travestiti da streghe, zombie, fantasmi e vampiri, bussa-no alla porta urlando con tono mi-naccioso: “Dolcetto o scherzetto?” (“Trick or treat” nella versione in-glese). Per allontanare la sfortuna, inoltre, è necessario bussare a 13 porte diverse.Con il dominio roma-no fu esportata in Britannia la festa di Pomona: una festa del raccolto che venne associata a Samhain.Il cristianesimo, come già la domina-

zione romana, tentò di incorporare le vecchie festività pagane dando loro una connotazione compatibile con il suo messaggio. Papa Bonifa-cio IV istituì la festa di tutti i santi: nella festa, istituita il 13 maggio 610 e celebrata ogni anno in quel-lo stesso giorno, venivano onorati i cristiani uccisi in nome della fede. Per oltre due secoli le due festivi-tà procedettero affiancate, sino a che papa Gregorio III (731-741) ne fece coincidere le date. Nei paesi di lingua inglese la festa divenne Hal-lowmas, che significa: una messa in onore dei santi; la vigilia diven-ne All Hallows Eve, che si trasfor-mò nel nome attuale: Halloween. È usanza ad Halloween intagliare zucche con volti minacciosi e por-vi una candela accesa all’interno e nasce dall’idea che i defunti va-ghino per la terra con dei fuochi in mano e cerchino di portare via con sé i vivi; è bene quindi che i vivi si muniscano di una faccia orripilante con un lume dentro per ingannare i morti.Questa usanza fa riferimento anche alle streghe che nei tempi più remoti venivano bruciate sui roghi o impiccate,infatti oggi si pensa che queste vaghino nell’oscurità della notte per rivendicare la loro morte, conciate in maniera orren-da o meno, e ne approfittano per usare il loro potere ad Halloween dove quest’ultimo aumenta in mi-sura maggiore rispetto alla loro “normale” paranormalità. L’usan-za è tipicamente americana, ma probabilmente deriva da tradizio-ni importate da immigrati europei: l’uso di zucche o, più spesso in Europa,di fantocci rappresentanti streghe,di rape vuote illuminate, è documentato anche in alcune loca-lità del Piemonte, della Campania, del Friuli, dove si chiamano Crepis o Musons, dell’Emilia-Romagna e dell’alto Lazio.

■ Mauro Piergentili

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UNDICI | Regioni

LA DUE RUOTE ROSSA VERSO IL TRIONFOIL MITO ITALIANO DELLA FERRARI SI RINNOVA CON LA DUCATI

Motori

Tutti sappiamo che nel mondo dei motori a quattro ruote esiste solo la “rossa” di Maranello, la Ferra-ri del Cavallino, reatura predilet-ta dell’ingegnere Enzo Ferrari. Il mito della Ferrari nacque nel 1947, sessanta anni fa. Ma a pochi chi-lometri da Fiorano e Maranello, nella provincia di Modena, esiste un’altra azienda a Borgo Panicale, alle porte di Bologna: è la Duca-ti, madre della “rossa a due ruote”. Produce soltanto 40 mila moto l’anno, un’ inezia rispetto ai milio-ni di esemplari di moto giapponesi! D’altronde anche la Ferrari produ-ce non più di 2.500 “esemplari” di bolidi rossi all’anno. La quantità, almeno per le “rosse a due e quattro ruote”, non coincide con la qualità. Ferrari è famosa nel mondo: è mi-tologia…! Ma la sorella minore non è da meno. Infatti sarà la Ducati a conquistare il mondo su due ruo-te… Classe Moto GP 2007. Era ora. Dopo 33 anni l’industria italiania a due ruote torna a battere il mo-nopolio giapponese, vincendo in Giappone il titolo mondiale piloti con Casey Stoner, proprio nel gior-no del terzo successo consecutivo di Loris Capirossi sulla pista della Bridgestone: l’azienda che fornisce le gomme alla Ducati. Vincere per tre anni consecutivi a Motegi, cir-cuito giapponese dove la Bridge-stone crea le gomme vincenti, è un risultato meraviglioso. Loris Ca-pirossi è riuscito in questa impresa nel 2005, 2006 e 2007. Scusate se è poco. Nel mondo del motociclismo mondiale, l’avanzata delle aziende giapponesi era esplosa a metà de-gli anni settanta: Honda, Yamaha, Suzukj e Kawasaki…!!! Negli anni sessanta e settanta era stata l’in-dustria italiana a dominare con la MV-Augusta di Giacomo Agostini (classe 350 e 500) a tenere a di-stanza le “corazzate” giapponesi, mentre nelle classi “50, 125 e 250” erano la Aermacchi, la Benelli, la

Garell, la Morbidelli ed altre case soprattutto emiliane a conquistare titoli iridati. Nel 1974 fu l’ultima volta di Giacomo Agostani in sel-la alla leggendaria Mv-Augusta. Poi una sosta. Bisognerà aspettare l’inizio degli anni novanta per as-sistere ai trionfi della Aprilia, nelle classi 125 e 250. La Ducati, dopo 14 titoli mondiali nella Superbike a partire dal 1987, ha ottenuto un meraviglioso successo iridato, per adesso con Casey Stoner, in attesa di vincere il titolo mondiale co-struttori. La gioia giapponese del team emiliano si realizza nel gior-no del trionfo mondiale, quello di Casey Stoner, ex promettente ed oramai arrivato campione austra-liano ventunenne. Dapprima Capi-rossi è stato guida della Ducati, in questi anni in cui è stata rinnovata la tradizione italiana contro lo stra-

potere nipponico miliardario della Yamaha, Honda, Kawasaki, Suzuki. Il prossimo anno insieme con Ca-sey Stoner ci sarà Marco Melandri, successore del “veterano” Capiros-si. A questo punto, in attesa della scadenza del contratto Yamaha con Valentino Rossi, si potrebbe sogna-re di vedere il fuoriclasse di Tavul-lia sulla rossa emiliana. Il motoci-clismo italiano sta facendo passi da gigante anche nella Superbike, con i 14 titoli mondiali targati Ducati in venti anni. Adesso, dopo i suc-cessi storici di Marco Lucchinelli e di Pierfrancesco Chili, potrebbe essere il romano Max Biaggi a fare sognare l’Italia. Due ruote, Italia, Ducati, piloti italiani... il mito con-tinua a vivere...dalle quattro alle due ruote. Ma sempre targate tri-colore.

■ Mauro Boschi

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Regioni | DODICI

IL RUOLO DELL’AMORE NEL CINEMA DA INGMAR BERGMAN A 007 PASSANDO PER PANE AMORE E FANTASIA

Cinema

Si potrebbe dire che, proprio come nella vita di tutti i giorni, anche nel cinema è l’amore a fare la parte del leone, occupan-do larga parte dei pensieri.Una personale ricerca fatta sulle banche dati cartacee e su cd-rom che catalogano circa 50.000 titoli di films italiani ed este-ri, usciti in Italia dai primi del Novecen-to ai giorni nostri, è la molla che ha fatto scattare l’idea di questo articolo. Prima di vedere alcuni esempi tra i più significati-vi di “amore” nel cinema, e considerando che c’è amore in quasi tutti i films (non c’è bisogno che siano di genere sentimentale; spesso sono drammatici o di altro genere ancora) possiamo ben intenderci sul fatto che la ricerca fatta per questo breve lavo-ro, che spero risulti divertente non fosse altro per quante curiosità va snocciolan-do, è per necessità legata all’evidenziazio-ne della stessa parola “amore” nel titolo. Ma, si sa, solo in una minor parte dei fil-ms le cui storie ruotano sui sentimenti c’è l’“amore” nel titolo. Ma una qualche scel-ta semplificatrice per permettere di porta-re a termine una ricerca così vasta andava fatta. E così, è risultato che nei titoli dei films usciti in Italia in circa un secolo, la parola “amore” è presente ben 421 volte, molto più di qualsiasi altra. E se si pensa che la piccola variante “amori” è presente 43 volte, e che l’inglese “love” resta pre-

sente per 20 volte nei titoli italiani, abbia-mo un totale statistico di 484 presenze, cui si potrebbero aggiungere le 69 presenze della parola “cuore”. Non c’è male, vero? E di curiosità in curiosità, considerate che tutte le altre parole più presenti sono ben lontane, quantitativamente parlando, dal-l’amore. La “notte” mantiene sempre il suo fascino misterioso e trasgressivo con ben 229 presenze (senza contare le altre 25 legate al suo plurale, “notti”), e forse la sua presenza subito dietro l’amore può rappresentare una sorpresa. Un’ultima cu-riosità statistica, il “sesso” vanta, per così dire, ben 30 presenze, e se si considera che sono quasi tutte legate agli ultimi tre decenni si capisce come questa parola sia entrata di prepotenza nella storia recente della cinematografia.Lo statunitense John Truby, sceneggiatore ed insegnante di cinematografia, in occa-sione di una sua visita a Roma, invitato dall’associazione Script per insegnare ai funzionari e agli sceneggiatori della Rai i segreti del mestiere, sul genere “film sen-timentale” ha affermato che “dell’amore il cinema racconta in genere il corteggia-mento, ciò che precede l’amore quotidia-no, ciò che presenta l’amore quotidiano come l’obiettivo finale, suggello per l’ul-tima scena. Di rado il cinema racconta la coppia nel senso profondo, la dura batta-

glia contro l’abitudine, contro la ripetizio-ne tranquillizzante e letale come un ecces-so di oppiacei. Certo, registi come Ingmar Bergman, Woody Allen ed alcuni altri, fanno eccezione. Per loro l’indagine dei meccanismi psicologici che tengono in piedi la coppia è uno dei temi chiave della poetica. Ma se i meccanismi dell’amore inteso nel senso più comune non allettano i cineasti le ragioni non sono legate sol-tanto alla scarsa sensibilità o alla censura dei signori della pellicola. C’è un proble-ma di struttura del racconto d’amore. Che, per sua natura, poco si presta a dare forma al complesso gioco di sensi e di proiezio-ni che è il rapporto intimo tra due perso-ne”. Aggiunge Truby: “Qualsiasi storia d’amore ha una serie di problemi di par-tenza. A differenza di un giallo, mancano gradini precisi nella trama. La linea della storia inoltre è sdoppiata: ci sono due pro-tagonisti, due linee narrative, due obiettivi diversi. E spesso è già un impresa gestirne uno, di binario narrativo”.(1)

Anche in virtù delle riflessioni di Truby, mi piace passare in rassegna (in ordine cronologico) alcuni films di questo gene-re cinematografico che sono stati accolti calorosamente dalla critica perché hanno saputo tener conto delle necessità narrati-ve e qualitative cui si faceva cenno grazie alle dichiarazioni del noto sceneggiatore americano. Farò seguire, per meglio in-quadrare in tutte le sue sfaccettature il fenomeno del film di genere “sentimenta-le”, una breve rassegna (sempre in ordine cronologico) delle pellicole di maggior successo popolare. In entrambi i casi, non si potrà non notare come la stragrande maggioranza dei titoli sono concentrati soprattutto tra gli anni 50 ed i 70, auten-tici decenni d’oro per l’amore sul grande schermo.Iniziamo, per il cinema sentimentale “d’autore”, con un film del 1950 del gran-de maestro svedese Ingmar Bergman. Si tratta di “Un’estate d’amore” (“Sommar-lek”, Svezia 1950). Storia di una ballerina del Teatro dell’Opera di Stoccolma che ritrova il diario di un ragazzo che ha ama-to tredici anni prima, in un’estate gioiosa e giocosa (non a caso il titolo originale,

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TREDICI | Regioni

Cinema“Sommarlek”, significa “giochi d’esta-te”), e che è rimasta tale almeno fino al dramma della morte tragica del ragazzo. La lettura del diario è occasione di rifles-sione ma anche di struggimento per la rivisitazione di un dolore mai superato, nonostante la ragazza sia legata ormai da tempo ad un altro compagno. Ma una nuova vita si apre per la ragazza, quando il compagno torna da lei nonostante abbia letto anch’egli il diario. Egli avrà dimo-strato alla compagna di aver compreso tutto e di poterla e saperla amara più di prima.Nello stesso anno, è un altro grande mae-stro del cinema a dare un’eccellente pro-va d’autore nel cinema sentimentale. Si tratta di Michelangelo Antonioni con il suo “Cronaca di un amore” (Italia 1950). Storia di una donna che vive un matrimo-nio d’interesse con un uomo anziano ma ricchissimo ed un’autentica storia d’amo-re con quello che fu il ragazzo che amò in adolescenza, il vero amore della vita. La morte del marito (desiderata, anche pen-sata insieme con l’amante, ma arrivata del tutto casuale) non l’avvicina all’amante, anzi, tutt’altro. Esordio di Antonioni, che infila subito una perla in un momento de-licato del cinema italiano, verso la conclu-sione naturale del suo filone più apprezza-to di sempre, quello del neo-realismo. E’ l’anticamera del miglior Antonioni, quello dell’incomunicabilità sociale, e di quel fi-lone anticipa alcuni temi quali l’egosimo e l’aridità della borghesia del periodo del boom economico, il sempre più imperan-te dominio delle convenienze nelle scelte comportamentali a discapito dei reali sen-timenti, ed altro ancora. Tre anni dopo, è ancora una volta Ing-mar Bergman ad impartire una lezione su come si possa trattare di amore sul gran-de schermo facendo cinema di qualità. Il film in questione s’intitola “Una vampa-ta d’amore” (“Gycklarnas afton”, Svezia 1953), ambientato all’interno di un circo, agli inizi del secolo da poco conclusosi. Il film narra la storia del direttore del cir-co stesso, diviso tra la moglie e l’amante. Anna, la giovane amante, si unisce ad un giovane attore non appena il direttore del circo le dice di voler tornare (non così vo-lentieri, in fondo) dalla moglie. Ma l’uo-mo, rifiutato fermamente dalla moglie, prova a tornare dalla giovane ex amante, “sfidando” il suo nuovo compagno, aven-

do la peggio. Resterà solo con la sua di-sperazione. Il più geniale dei giudizi sul film lo lascio volentieri alle parole che all’epoca pronunciò lo stesso Bergman sulla propria opera: “Questo film è un tu-multo… però un tumulto ben organizza-to! (…). E’ un film relativamente sincero e svergognatamente personale!”.(2) Primo film che Bergman dedica completamente all’esistenzialismo, facendolo in maniera assai riuscita, esemplare per chi l’ha se-guito. Molto apprezzate le immagini del suo miglior collaboratore di sempre, Sven Nykvist.Dopo questo doveroso omaggio a due grandi maestri scomparsi recentemen-te, ricordiamo brevemente altri capitoli dell’eterna storia dell’amore nel cinema. “Donne in amore” (“Women in Love”, Gran Bretagna 1969) di Ken Russell, trat-to dall’omonimo romanzo di David H. Lawrence, dove si racconta di una giova-ne e timida insegnante che si invaghisce di un ispettore; mentre sua sorella, dal carattere antitetico (ragazza disinibita ed anticonformista) mette in piedi un rappor-to puramente sessuale con un industriale sposato. “Adele H., una storia d’amore” (“L’histoire d’Adèle H.”, Francia 1975) di François Truffaut, narra la storia del tragico amore di Adèle, figlia del gran-de scrittore Victor Hugo, per un ufficiale britannico che non la ricambia affatto di questo sentimento talmente forte da in-durre la donna ad abbandonare la propria famiglia ed a seguire l’uomo impegnato

con il proprio esercito nelle Barbados. La Hugo finirà nella più totale povertà, oltre che nella follia. Tutt’altri sono i films d’amore più di suc-cesso al botteghino, abbastanza facilmen-te riconducili a due filoni classici: quello dell’ovvio lieto fine (alla “Pretty woman”, per intenderci) e quello del dramma che colpisce piagnucolosamente proprio nel bel mezzo di un amore che trionfa su tutto (“Love story” ne è l’esempio più calzan-te). Così, scopriamo che anche nel cinema di rappresentazione dei sentimenti, critica e pubblico non paiono andare d’accordo. Piace chiudere con qualche titolo “en pas-sant”, per ovvii motivi di spazio: “Primo amore” (“Alice Adams”, USA 1935) di George Stevens, con Katharine Hepburn; “Pane, amore e fantasia” (Italia 1953) di Luigi Comencini, con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida; “L’amore è una cosa meravigliosa” (“Love Is a Many Splendo-red Thing”, USA 1955), di Henry King, con Jennifer Jones e William Golden; “Agente 007, dalla Russia con amore” (“From Russia With Love”, Gran Breta-gna 1963), di Terence Young, con Sean Connery.

■ Franco Baccarini

1) dall’articolo “Dalla gratificazione alla ri-velazione” dedicato da Ivo Lini a John Truby in “Caffè Europa” (2001).

2) dalla conferenza stampa di presentazione del film pubblicata, tra gli altri, da “Cahiers du cinéma” (1953).

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Regioni | QUATTORDICI

Esteri

LA CINA CERCA PARTNER PER DECOLLARESERVONO TECNOLOGIE STRANIERE PER L’INDUSTRIA AEROSPAZIALE

Una mitragliata di notizia sulla Cina stupisce il mondo: Pechino cerca un partner per costruire un airbus gi-gante. Prevista la realizzazione di aerei di classe jumbo. Pechino non ha la necessaria tecnologia e spera di avere come partner ditte leader straniere. Intanto già produce un aereo passeggeri da 60 posti, per le linee interne e per venderlo ai Paesi in via di sviluppo. Nel 2008 produrrà un aereo di medio raggio da 80-100 posti. Ma perchè la Cina vuole costruire un airbus gigante da oltre 150 posti e competere con i leader mondiali Boeing e Airbus? Potrebbe essere un segnale positivo di progresso sociale, visto che del comunismo cinese in fondo è rima-sta solo la violazione sistematica dei diritti civili. Ogni anno, infatti, in Cina si giustiziano centinaia di persone. Ed i prossimi giochi olim-pici si svolgeranno nel peggiore fo-colaio di violenza sociale esistente al mondo. Riuscirà l’aereo gigante a far dare un passo avanti alla Cina verso la civiltà?

Il progetto è stato approvato come “priorità di lungo termine” dal Consiglio di Stato il 26 febbraio, ma reso noto solo nei giorni scorsi. Le fabbriche cinesi già realizzano parti degli aerei di Boeing e di Air-bus. Esperti osservano che Pechino dovrà prima realizzare un aereo ca-pace di trasportare circa 150 perso-ne, come il Boeing 737 o l’Airbus A320. Poi costruirà un aereo an-cora più grande, come i jumbo. Si prevede una spesa tra 6-8 miliardi di dollari per realizzare il progetto entro il 2020. Luo Zhenan, vicese-gretario generale della Camera di commercio cinese per l’Industria aviatoria, parla di 20 anni. Dovreb-bero esserci due distinti centri di ricerca e sviluppo: si parla di Shan-ghai per un aereo commerciale e di Xian (Shaanxi) nella Cina centra-le per gli apparecchi militari. Ma anche di Chengdu e di Shenyang, città con una tradizione per l’avia-zione.Il principale problema ap-pare la creazione della compagnia che realizzerà il progetto. Pechino

cerca la collaborazione di una ditta estera in possesso della tecnologia necessaria e non è celato il tenta-tivo di lavorare con la Boeing o la Airbus. Derek Sabudine, dirigen-te del Centro per l’aviazione del-l’Asia-Pacifico con base a Sidney, commenta al South China Morning Post che per la Cina sarebbe van-taggiosa “una joint venture o una condivisione della tecnologia” con la Boeing o l’Airbus, o magari con entrambe. Pechino può permettersi di investire grandi fondi nel proget-to, perché ha bisogno di questo ae-reo per il proprio trasporto interno. La compagnia nazionale Air China ha avuto 33,97 milioni di passegge-ri nel 2006 (+14,2%), con un pro-fitto netto stimato di 2,7 miliardi di yuan (circa 347 milioni di dollari) nonostante l’aumento del costo del carburante. Ha introdotto 35 nuo-ve rotte, anche internazionali. Per soddisfare la crescente domanda, esperti prevedono che fino al 2025 la Cina dovrà comprare 2.230 nuo-vi aerei. Ancora maggiori le sti-me della Airbus, che dal 2006 al 2025 prevede che la Cina comprerà 2.929 grandi aerei per un valore di 349 miliardi di dollari.Intanto la Avic ha già iniziato la costruzione di un aereo per trasporti regionali, l’ARJ-21 (advanced regional jet), che porterà tra 78 e 105 persone. Il giornale statale China Daily pre-vede che compirà il primo volo nel marzo 2008 e ci sono già richieste per 70 aerei. Ma i motori del nuovo jet e molte altre parti saranno fat-ti da imprese estere. Pechino spe-ra di ottenere lo stesso per il nuo-vo jumbo, in attesa di sviluppare la tecnologia necessaria.La Avic I già costruisce gli aerei militari da caccia J-10 e l’aereo passeggeri da 60 posti MA60 che vende alle li-nee aeree locali e a Paesi in via di sviluppo.

■ Giulio Rosi

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Regioni

QUINDICI | Regioni

SI FARA’ IL TERZO VALICO GENOVA-MILANORIDURRÀ LA DIPENDENZA DELL’UNIONE EUROPEA DAI PORTI DEL NORD

Il Terzo Valico Genova-Milano si fara’ in ogni caso, con i finanzia-menti dell’extragettito portuale ligure, anche in eventuale assen-za di finanziamenti Ue. ‘’L’aspet-to finanziario nella decisione di Bruxelles - ha spiegato Burlando nei giorni scorsi - non e’ rilevan-tissimo. Lo e’ quello politico, ma per quanto riguarda le risorse, il provvedimento inserito nella pros-sima Finanziaria, che consente alle Regioni di utilizzare parte dell’ex-tragettito dei propri porti per fi-nanziare opere infrastrutturali, ci permetterebbe di sostenere l’onere della realizzazione del Terzo Vali-co anche in assenza del contributo europeo’’. Il Terzo Valico e’ rite-nuto indispensabile per lo sviluppo armonico dell’Unione europea: evi-terebbe di rafforzare la dipendenza dell’Unione dai porti del Nord,ha una immediata cantierabilita’, e’ accettato dal territorio, a differen-za della tratta Torino - Lione e di quanto emerge nell’area del Friuli Venezia Giulia. Infine, l’opera fa-ciliterebbe la veicolazione su stra-da ferrata del traffico marittimo in entrata e uscita, con benefici per l’ecosistema ligure. Negli inter-venti e’ stata ribadita l’importanza del contributo europeo come rico-noscimentopolitico della valenza strategica del porto di Genova. Nel contempo l’ assessore ai Trasporti della Regione Liguria, Luigi Mer-lo, aveva sostenuto come “dovero-so un chiarimento del Governo’’ a riguardo. E il Ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, ha chiarito che ‘’da parte del Governo italiano non c’e’ stato e non c’e’ alcun declassa-mento del Terzo valico dei Giovi, come riportato oggi dalla stampa. Per questo, ancora una volta, le po-lemiche che puntualmente si sono scatenate non possono che apparire inutili e basate su presupposti er-rati’’.

I presidenti Iorio e Vendola hanno dichiarato che la Diga di ‘’Piano dei Limiti’’ si fara’. E’ il risulta-to di un vertice che si e’ svolto a Campobasso tra i presidenti delle Regioni Molise, Michele Iorio, e Puglia, Niki Vendola.I termini per la realizzazione del-l’importante struttura che sara’ costruita a ridosso del confine tra Puglia e Molise, verranno succes-sivamente definiti attraverso un Accordo di programma. Il proget-to prevede la realizzazione della diga a ridosso dei Comuni moli-sani di San Giuliano di Puglia e Colletorto (Campobasso) e quelli pugliesi di Casalnuovo, Carlanti-no e Celenza Valfortore (Foggia).Il presidente della Regione Moli-se ha spiegato che l’acqua desti-nata alla diga e ai Comuni della Daunia e del basso Molise e’ quel-

la che ‘’va al mare e che non viene comunque utilizzata. Puo’ servire ad irrigare tutto il basso Molise e l’altra zona della Puglia’’. Per Iorio tutto cio’ rappresenta una ‘’prospettiva notevolissima non solo per togliere dall’isolamen-to una vasta zona del Molise ma anche per creare nuove prospetti-ve di sviluppo e di collegamento all’interno di un virtuoso proget-to di sviluppo condiviso’’. ‘’Con l’incontro di oggi - ha commenta-to Vendola - condividiamo metodo e impostazione politica. A questa prima fase seguiranno tavoli tec-nici per stilare accordi di pro-gramma per l’opera idrica e per le vie. La voce dei Comuni - ha concluso Vendola - sara’ assunta con ruolo importante mettendo a frutto la corresponsabilizzazione dei grandi e dei piccoli centri’’.

DIGA “PIANO DEI LIMITI”COSTRUITA AL CONFINE FRA PUGLIA E MOLISE

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