Presenza ENGIM numero 2 2012

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ENTE NAZIONALE GIUSEPPINI DEL MURIALDO numero speciale 2012 P P RESENZA GIOVANI, FORMAZIONE PROFESSIONALE E LAVORO

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Editoriale, rubriche, notizie

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EntE nazionalE GiusEppini dEl Murialdo

numero speciale

2012

PPrEsEnza

Giovani, Formazione ProFessionale e lavoro

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o INTRODUZIONE

MAURIZIO DREZZADOREPresidente FORMA ____________________________ 3

GIORGIO SANTINISegr. Gen. Aggiunto CISL ________________________ 6

GIOVANNI LO CICEROResponsabile del comparto nazionale formazione professionale della Flc Cgil _____________________ 9

ELIO FORMOSACoordinatore Nazionale Cisl ScuolaFormazione Professionale e Scuola non Statale ___ 14

LELLO MACROSegretario nazionaleDipartimento Formazione ProfessionaleUIL SCUOLA ________________________________ 17

CARLO DELL’ARINGAProfessore Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università Cattolica di Milano ___________________________ 20

CARLO BUTTARONIPresidente TECNE ITALIA ______________________ 24

MATTEO ACHILLIPresidente EGOMNIA _________________________ 28

Direttore Responsabile: Antonio Teodoro LucenteRedazione: Liliana GiglioImpaginazione: Massimiliano CafarottiStampa: Scuola Tipografica S. Pio X

S O M M A R I O

p. ANTONIO T. LUCENTEPresidente ENGIM NAZIONALE __________________ 1

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

ANCHE LA FORMAZIONE PROFESSIONALE, COME SISTEMA, è IN UNO STATO DI DIFFICOLTÀ

Si proprio così! La condizione storica che vede il nostro paese colpito da una crisi economico-finanziaria con impatti forti su tutte le fasce di popolazione ed in particolare su quelle più deboli che costituiscono il vero gruppo-target dell’ENGIM: quindi anche sulla Formazione Professionale

Mai come in questo momento si rende imprescindibile un investimento formativo volto a migliorare la performance di tutte le figure professionali che collaborano con e per l’organizzazione, investimento strumentale a garantire una buona performance.

Mai come in questo momento è necessario anticipare il cambiamento in atto e rendersi pronti ad affrontare con azioni e progetti concreti un periodo storico di difficile percorribilità. La Formazione Professionale sente il bisogno vocazionale di intervenire per sostenere il Bene- Essere della Persona!

ma la Formazione Professionale, come sistema, versa in uno stato di difficoltà e di scarsa legittimazione!! Si preannunciano cambiamenti di sistema, senza comunque che ne siano ancora chiari i contenuti.

La riforma del mercato del lavoro, tenuto conto del quadro socio-economico, produrrà con molta probabilità,   delle complicazioni di carattere socio-pedagogico che andranno ad impattare sul sistema sociale oltreché sulle dinamiche del mercato del lavoro. La crisi, la debolezza del sistema di welfare, la fragilità del nostro sistema produttivo avrà delle ricadute sulle persone, sulle loro biografie, sui loro progetti di promozione sociale e professionale. Il rischio di una crescita delle persone che escono dal mercato del lavoro, dovrà essere accompagnato da servizi di riqualificazione delle loro competenze e sviluppo di quelle nuove, nell’ottica di arginare fenomeni sempre crescenti di emarginazione sociale e professionale. Mai come oggi risulta prioritario per un’organizzazione come la nostra, prepararsi a nuove forme di povertà, nuovi bisogni di integrazione e nuovi target. La Formazione Professionale sente il bisogno vocazionale di intervenire per sostenere il Bene-Essere della Persona!

Ma la Formazione Professionale, come sistema, versa in uno stato di difficoltà e di scarsa legittimazione!!

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Le difficoltà legate alla crisi e le ripercussioni sulla società hanno necessità di interventi in rete, per combattere in maniera particolare quel disagio giovanile che può tramutarsi in crisi di

depressione, ansia, fino all’illegalità. L’ampliarsi di nuove povertà, il rafforzamento di quelle storiche, la perdita di speranze per un ingresso nel mercato del lavoro, pone i giovani in

una condizione di fragilità estrema. Il fenomeno NEET è già da diverso tempo allo studio della Commissione, e dunque di quei giovani che, non studiano, non lavorano e non cercano lavoro. Lo scoraggiamento, specie in determinati soggetti deboli, può indurre

un disagio psicologico profondo e lascia spazio a rischi di devianza.

La Formazione Professionale sente il bisogno vocazionale di intervenire per sostenere il Bene-Essere della Persona!

Ma la Formazione Professionale, come sistema, versa in uno stato di difficoltà e di scarsa legittimazione!!

p. Antonio Teodoro Lucente

Presidente ENGIM Nazionale

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Ai giovani bisogna parlare il linguaggio della verità. Ciascuno di loro ha avuto in eredità oltre 33 mila euro di debito pubblico, la crisi ha falcidiato i loro posti di lavoro facendo raggiungere la disoccupazione record di oltre il 35 per cento, le prospettive di ripresa dell’economia italiana sono particolarmente fragili e le previsioni ci presentano uno scenario di uno striminzito aumento annuo del pil dello 0,5 nei prossimi dieci anni.Crescerà la disoccupazione anche nel 2013 e la critica situazione del debito pubblico del nostro paese ci ha portato a varare una riforma delle pensioni che, nel difficile tentativo di portare in equilibrio il sistema previdenziale, tratterrà al lavoro una fetta consistente di popolazione di età compresa tra i 56 e i 67 anni. Nel prossimo decennio ci saranno quindi circa 1 milione e settecentomila i lavoratori anziani che, con il prolungamento dell’età lavorativa, rimarranno attivi nel mercato del lavoro e un altro milione e cinquecentomila, cioè gli attuali cassaintegrati o in condizione di mobilità, che avranno condizioni di favore per rientrare nel mercato del lavoro. Le forze politiche si agitano per trovare una soluzione agli esodati (120 mila? 200 mila? non si riesce nemmeno a sapere quanti effettivamente sono) verso i quali si prospettano misure straordinarie molto simili ai famigerati prepensionamenti. Senza fare i conti con i flussi migratori che, se dovessero riprodursi con gli stessi stock di questo ultimo quinquennio, porterebbero sul mercato del lavoro italiano ogni anno circa 250 mila lavoratori in più.Non una attenzione, tra quelle fino ad ora

oggetto delle maggiori preoccupazioni del Parlamento, che si occupi del lavoro per i giovani; e nel mentre si approntavano tutte queste misure, in pochi mesi, la disoccupazione giovanile è salita di ben sei punti percentuali. Non si intravvede ancora alcuna traccia di provvedimenti organici capaci di aprire strade nuove per dare una prospettiva di lavoro e di piena cittadinanza sociale ai nostri giovani. Il disinteresse pubblico verso di loro è una malattia cronica del nostro paese che ha dimostrato ormai da più di trent’anni una accentuata attenzione a sfornare privilegi di ogni tipo e ad accrescere tutele e rappresentanze sociali con variegate sigle, ma sempre con l’intento di dare voce a chi già lavorava e mirava a tutele crescenti.Fino ad ora era la diversa preparazione scolastica e il titolo di studio che faceva da spartiacque. Chi poteva scrivere sul proprio curriculum traguardi universitari e stage all’estero era facilitato sia nell’inserimento lavorativo, sia nel reddito che gli veniva corrisposto. Oggi le difficoltà sono trasversali a tutte le condizioni. Chiusi gli ingressi nelle amministrazioni e nei servizi pubblici per effetto del blocco del

Presidente di FORMA: Maurizio DREZZATORE

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

turnover, ingessate le prospettive nei settori privati ad elevata qualificazione (banche,

assicurazioni, finanza) dove si sta facendo i conti con gli esuberi, le prospettive di

lavoro dei giovani si assottigliano di giorno in giorno.La condizione generale del paese e le pesantissime ricadute sulle giovani generazioni interpellano anche gli attori della formazione. La domanda d’obbligo riguarda il concorso dei sistemi di istruzione e formazione a facilitare l’inserimento lavorativo. Il grave disallineamento del sistema scolastico rispetto alle esigenze del mercato del lavoro è tema di decennale riflessione per gli esperti e gli addetti ai lavori, ma ben poco si è concretamente fatto fino ad ora per superare questo enorme gap. Infatti oltre alla pesantissima disoccupazione giovanile che ha la sua ragion d’essere nella fragilità del sistema economico italiano,

va aggiunta l’insufficiente presa in carico dei propri compiti da

parte del sistema scolastico che ormai da decenni è il principale

imputato della scarsa preparazione dei giovani dal punto di vista tecnico

e professionale. E’ paradossale che dopo una così lunga stagione di riforme

che ormai ci accompagna dalla fine del secolo scorso ad oggi l’impatto dei titoli e delle competenze scolastiche sul mercato del

lavoro siano giudicate così drammaticamente inadeguate dagli attori economici.Ma questa anomalia si inscrive nelle più generali incoerenze di un paese vissuto sulle rendite di posizione, sulla costruzione di privilegi e completamente disinteressato a prendersi cura del futuro. Perché meravigliarci quindi se le piazze si riempiono di insegnanti che ritengono impossibile allungare l’orario di docenza a 24 ore la settimana, ma le scrivanie e le cattedre non si riempiono di progetti per migliorare le competenze degli studenti in uscita dal ciclo secondario superiore? Quanti sono gli studenti che arrivano al diploma superiore avendo fatto esperienza nei luoghi di lavoro con stage e tirocini? Eppure la norma è scritta da ormai nove anni sulla riforma della secondaria superiore del 2003 con la definizione dell’alternanza scuola- lavoro. Sarà amaro doverlo riconoscere, ma è colpevole tacerlo: abbiamo costruito in Italia una scuola per i docenti e non per gli studenti.Eppure basta guardare ad alcuni semplici numeri per capire quel che si dovrebbe fare. Siamo il secondo paese in Europa per dimensione del manifatturiero, dopo la Germania; oltre un terzo degli occupati è assorbito nelle piccole, medie e grandi aziende industriali. Eppure questo sistema per alimentarsi di lavoratori qualificati, specializzati e tecnici ricorre all’immigrazione extracomunitaria, non trovando le figure professionali corrispondenti e ancor più non trovando la disponibilità a intraprendere lavori manuali da parte di molti giovani. Qui si apre una enorme questione che è nel contempo culturale ed organizzativa, che riguarda la scuola, ma anche le famiglie e giovani.Bisogna che tutti insieme sconfiggiamo quel

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

discredito che negli anni è stato assegnato al lavoro manuale per rifugiarsi nell’agognato lavoro d’ufficio o nel pubblico impiego. Si deve affermare una nuova visione culturale che legittimi la centralità del lavoro dentro il percorso educativo di tutti i giovani e scuola e formazione professionale sono chiamati a divenire autorevoli protagonisti di questa nuova impresa. Ma servono anche nuovi strumenti da mettere in campo ed in particolare un efficace servizio di orientamento professionale. Non si può più lasciare famiglie e giovani senza una adeguata attrezzatura per la scelta al momento in cui iscrivono i propri figli alla scuola secondaria superiore o all’università; e non può essere considerata estranea a quelle scelte la conoscenza del territorio del suo mercato del lavoro, delle prospettive di sviluppo future e conseguentemente delle opportunità occupazionali che verranno offerte.Si apre uno scenario di forti responsabilità in capo alle istituzioni formative di questo nostro paese, bisogna rapidamente agire per migliorare e accrescere l’offerta tecnica e professionale, bisogna accompagnare famiglie e giovani verso scelte che siano attente al lavoro e alle caratteristiche occupazionali espresse dai territori. L’occasione prossima per una vera svolta può essere data dalla costituzione dei poli tecnico- professionali, che verranno realizzati ai sensi dell’art. 52 della legge 35/2012. Se si farà strada una nuova concezione fondata sulla cooperazione e sulla complementarietà tra il sistema scolastico e la formazione professionale; se istituti tecnici e professionali sapranno valorizzare le proprie migliori risorse mettendo a disposizione i laboratori per migliorare l’apprendimento dei giovani;

se sapranno organizzare stage e tirocini e nessuno studente potrà più uscire con i titoli di diploma o qualifica senza aver fatto esperienze di lavoro; se l’orientamento professionale potrà efficacemente diventare strumento a disposizione delle famiglie e dei giovani per scelte più avvedute; se le sinergie cooperative che potranno essere realizzate insieme consentiranno di fare delle istituzioni formative veri e propri attori del mercato del lavoro nel gestire le banche dati dei giovani qualificati e diplomati per facilitarne il matching; si aprirà una nuova stagione in cui le istituzioni formative potranno essere veramente utili al lavoro dei giovani.

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Diverse sono le ragioni che hanno reso arduo il cammino della legge n.92, la riforma del lavoro, e che hanno impedito di andare fino in fondo su un percorso di riforma.Innanzitutto non è affatto superata, sul tema del lavoro, una forte contrapposizione ideologica, nelle forze politiche, nelle istituzioni, nella cultura accademica, tra le parti sociali. Ciò limita moltissimo l’attitudine ad affrontare le criticità del mercato del lavoro italiano in chiave di analisi e verifica dei processi reali, di bench marking in sede europea, di costruzione di policies condivise. L’aspetto più evidente è stato l’enfatizzazione dell’art. 18, ma questo limite ha pesato anche sugli altri temi, in particolare sulla flessibilità in entrata. Ciò è strettamente collegato alla seconda ragione: la forza delle contrapposizioni, da una parte ha condizionato la possibilità di raggiungere un accordo, nonostante un lungo confronto tra Governo e Parti sociali, dall’altra ha prestato il fianco alla scarsissima propensione dell’attuale Governo tecnico alla concertazione. In un momento di gravi difficoltà economiche e finanziarie avrebbe dovuto prevalere l’interesse comune alla creazione di sviluppo e lavoro. Infine, la legge sul mercato del lavoro è stata pesantemente condizionata dai rigidissimi vincoli del bilancio pubblico, aggravati dall’emergenza speculativa, e dalla recessione economica. Quel che più di tutto è mancato è stato il collegamento con le politiche di sviluppo, nella presunzione che fosse sufficiente cambiare le regole del lavoro per determinare un miglioramento dell’occupazione.Il 2012 potrebbe rivelarsi l’anno più duro dall’inizio della crisi. Il continuo aumento della cassa integrazione, soprattutto di quella ordinaria, che si protrae dall’inizio dell’anno, suggerisce che si va allargando il perimetro delle crisi industriali, come conferma pure il trend di riduzione dell’occupazione nell’industria, che traina la riduzione complessiva. E’ da sottolineare come

l’occupazione continui a calare, nonostante la forzata permanenza al lavoro della fascia di età 55-64 anni, dovuta alle riforme pensionistiche. Ed il calo non è più

dovuto principalmente ai giovani fino a 35 anni che perdono lavori non stabili, che comunque rappresentano oltre la metà dei disoccupati, ma sempre più anche a

coloro che hanno perso una precedente occupazione a tempo indeterminato.Con tali condizionamenti, la riforma del lavoro ha innanzitutto mirato a rispondere alle

sollecitazioni dell’Unione Europea. Nonostante questo, il risultato non è piegato alla logica dei mercati finanziari e al ridimensionamento del modello sociale, e riesce a trovare un

equilibrio tra le esigenze di un mercato globalizzato e le tutele dei lavoratori. Nel complesso siamo di fronte ad una riforma che, nonostante evidenti limiti, contribuisce ad avviare a soluzione

Riforma del lavoro: una attuazione pragmatica per la gestione dell’emergenza

Segr. Gen. Aggiunto CISL - Giorgio SAnTInI

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

nodi storici del mercato del lavoro, da anni oggetto di forti lacerazioni: la regolazione della flessibilità nell’accesso al lavoro, con il contrasto agli abusi e alle degenerazioni e l’incentivo alle tipologie contrattuali tendenzialmente stabili, come l’apprendistato, che contiene peraltro una componente formativa; il dualismo degli ammortizzatori sociali tra inclusi ed esclusi; il tema della flessibilità in uscita, indicato (a torto) in sede internazionale come il problema principale del nostro mercato del lavoro. Sicuramente si sarebbe potuto fare di più. Ora l’azione di tutti i soggetti, dal Governo alle parti sociali, deve indirizzarsi sugli aspetti che potranno valorizzarne maggiormente le potenzialità. E’ fondamentale un’attuazione dinamica, pragmatica e condivisa degli aspetti positivi della riforma e di quelli più funzionali a gestire l’emergenza, per dare un contributo alla crescita dell’occupazione lungo gli assi fondamentali del rapporto tra flessibilità e buona occupazione e della costruzione di un sistema di ammortizzatori sociali inclusivo e strettamente legato alle politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori. Iniziando proprio dal riordino degli ammortizzatori sociali, si sarebbe dovuto sostenere maggiormente il ruolo della bilateralità, soprattutto per favorire la nascita di strumenti efficaci per l’area delle piccole imprese. Una strada da percorrere, per i settori esclusi dalla cassa integrazione, potrebbe essere anche quella di riorientare i Fondi Interprofessionali per la formazione continua, affidando loro anche la gestione del sostegno al reddito, da finanziare con una contribuzione aggiuntiva. Ma restando alla gestione immediata dell’emergenza occupazionale, è necessario un aumento della dotazione di risorse per gli ammortizzatori in deroga, che rischiano di essere insufficienti. Si deve sondare ogni possibilità: il sostegno al reddito deve restare una priorità, per alleviare il disagio sociale e non comprimere ulteriormente i consumi. Ma non è solo questione di quantità di risorse, sono infatti altrettanto importanti la qualità e le modalità della spesa: Regioni e Ministero del lavoro devono stipulare un accordo che individui i criteri per spendere le risorse disponibili, essendo in scadenza l’accordo siglato per il biennio 2011-2012. Accordo che dovrà sancire che tutti i lavoratori percettori di cassa integrazione o di indennità di mobilità /disoccupazione, o almeno coloro che sono in queste situazioni da periodi più lunghi, dovranno essere inseriti in percorsi di politiche di attivazione, ad evitare il crearsi di sacche di disoccupati dalle competenze obsolete e quindi non reimpiegabili.Anche sul collegamento tra ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro le scelte contenute nella riforma, che opera un rinvio ad una futura legislazione delegata, mediante intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, potrebbero non essere all’altezza dell’obiettivo dichiarato. Appare arduo, in questa fase in cui regioni importanti sono alla ricerca di un ricambio di classe dirigente, e con i tempi stretti legati alle prossime elezioni politiche, realizzare tale riordino. Eppure bisognerebbe provarci, con uno sforzo straordinario, per avere un sistema di servizi per l’impiego maggiormente adeguato all’emergenza che stiamo

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

attraversando, anche prevedendo, a carico dell’impresa che licenzia, una dote per favorire la ricollocazione del singolo.

Per quanto riguarda l’altra grande questione, quella relativa all’occupazione giovanile, la riforma dell’apprendistato contenuta nel testo unico di fine 2011, confermata e rafforzata

dalla riforma del lavoro, consente di poter sviluppare tutte le potenzialità inespresse di questo strumento, che ha sofferto negli ultimi anni un lungo periodo di forte conflittualità tra Governo e Regioni, perpetuando così la crescente separazione tra scuola e lavoro e le fortissime difficoltà nell’accesso al lavoro dei giovani, determinate dal protrarsi della crisi economica. Il conflitto è stato superato affidando quasi completamente alla contrattazione la regolamentazione della formazione. Qui le parti sociali devono candidarsi con decisione a giocare il ruolo che è stato loro assegnato, anche utilizzando una delle novità più significative, vale a dire la possibilità di utilizzo dei Fondi Interprofessionali nei percorsi formativi per gli apprendisti. Con una forte dotazione di incentivi finanziari, gli orizzonti dell’apprendistato si sviluppano entro questi confini: la qualifica professionale per i giovanissimi anche in assolvimento dell’obbligo di istruzione; la professionalizzazione dei giovani dai 18 ai 29 anni; il conseguimento di un titolo di scuola media secondaria, istruzione tecnica superiore, universitario o post-universitario in aziende e realtà convenzionate con istituzioni educative. Infine, in seguito alle riforme pensionistiche sempre più penalizzanti, non può non essere presa in seria considerazione l’ipotesi di un patto generazionale per favorire il “part time in uscita”, dei lavoratori anziani. Sono necessarie uscite anticipate non traumatiche rispetto alle nuove norme sulle pensioni, preferibilmente abbinate all’inserimento di giovani nei posti di lavoro. Esistono diversi riferimenti di legge in tal senso, che purtroppo non sono mai stati dotati delle risorse finanziare necessarie. In questa fase, tuttavia, dovrebbe prevalere la consapevolezza che si tratta di un percorso quasi obbligato. Anche le parti sociali potrebbero costruire un percorso legato alla transizione dall’indennità di mobilità all’Aspi, che libererà le aziende dall’aliquota di finanziamento per

l’indennità di mobilità, la quale potrebbe essere proficuamente dirottata verso il finanziamento di un fondo volto a favorire esodi e ricambi generazionali.

Come risulta evidente, tra gli attori che dovranno dare un contributo alla riforma, un ruolo centrale è previsto per le parti sociali, alle quali sono affidate forti responsabilità:

dal ruolo dei contratti nazionali e aziendali nella regolamentazione delle tipologie contrattuali alla procedura di conciliazione nei licenziamenti, dalla creazione dei Fondi

bilaterali di solidarietà al ruolo previsto nei comitati gestori dei fondi stessi. In questo la riforma si inscrive a pieno titolo nella lunga tradizione di rinvio alla contrattazione collettiva,

caratteristica precipua della legislazione del lavoro italiana. Con senso di responsabilità, cercheremo di giocare al meglio tale ruolo.

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Il sistema di Istruzione e Formazione Professionale è il risultato di una lunga serie di interventi normativi sviluppatisi durante l’ultimo decennio , non sempre coerenti e condivisibili, sui quali la Flc ha dato su alcuni di essi un giudizio critico pur avendo un forte interesse verso la costruzione di un sistema di formazione professionale nel paese, e ne ha valutato altri, come l’avvio della costruzione di un repertorio nazionale delle qualifiche, positivamente. Riassumendo almeno i principali interventi normativi, a partire dalla riforma del Titolo V Cost.(2001), alla Legge 53 del 2003, alla Legge 296 del 2006, alla Legge 133 del 2008, ed in ultimo agli accordi in sede di Conferenza Stato – Regioni del 2010 sulle 21 qualifiche triennali e le 21 quadriennali per i diplomi professionali ed all’Intesa unificata “per gli organici raccordi tra sistema d’Istruzione e sistemi regionali di Istruzione e Formazione Professionale”, si è così costruito, in maniera rapsodica e talvolta contraddittoria, un “sistema nazionale”, che però nei fatti, si compone di sottosistemi regionali.Questi, talvolta molto diversi e non sempre omologhi, non garantiscono appieno la possibilità ai giovani cittadini di fruire di un’offerta formativa equivalente su tutto il territorio nazionale.La scelta alla quale i destinatari sono obbligati già dall’uscita dalla scuola secondaria di primo grado produce l’effetto di una canalizzazione precoce che non facilmente può essere corretta, facendo perdere a molti di questi giovani la opportunità di maturare competenze, abilità e acquisire conoscenze che sono divenute necessarie per l’acquisizione compiuta dei diritti di cittadinanza.Mentre l’offerta regionale può infatti avvalersi – secondo le norme attuali - sia dell’offerta di IeFP degli enti di formazione professionale accreditati, che dell’offerta formativa sussidiaria (integrativa o complementare) degli Istituti Professionali di Stato, in molte regioni tale possibilità rimane solo teorica, perché la stretta sui bilanci degli enti locali ed i sempre più severi patti di stabilità provocano l’abbandono delle vie troppo onerose, a favore di quelle più economicamente sostenibili. Ciò ha prodotto che nel tempo, per adeguarsi a costi sempre più risicati, si favorissero rapporti di lavoro atipici e meno onerosi, con il rischio che a risentirne fosse la qualità dei percorsi (ciò ci risulta, per esempio, dalla comparazione dei dati OCSE/PISA in Lombardia, una delle regioni che ha più puntato fortemente su un modello “estremo” di Istruzione e Formazione Professionale).Se in Italia esistono istituzioni scolastiche disseminate in maniera capillare, e si può affermare che il sistema di istruzione garantisce un presidio importantissimo di legalità e di presenza educativa e formativa dello Stato su tutto il territorio, i Centri di formazione degli enti accreditati,

Responsabile del comparto nazionale formazione professionale della Flc Cgil - Giovanni LO CICERO

LA IeFP PER I GIOVANI DAI 14 AI 17 ANNI: LA VOCE DEL SINDACATO

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

invece, sono presenti in modo diffuso solo in alcune regioni, senza raggiungere la capillarità del sistema d’istruzione, che “erogando un servizio a tutti, tende a ridurre la disuguaglianza

tra i cittadini in termini di conoscenza e di abilità, presupposto di una quota rilevante di quella in termini di ricchezza, riducendo in particolare il divario che caratterizza coloro

che provengono dalle classi più svantaggiate”, come afferma in un suo scritto recente un grande costituzionalista (Cfr. G.Zagrelbelski, Sulla lingua del tempo presente, Le Vele, Einaudi, 2010).Enti accreditati e istituti professionali, che si trovano ad occupare fasce comuni e non soltanto contigue di offerta formativa, rischiano da una parte di disorientare la domanda e dall’altra di innescare una competizione tra istituzioni ed operatori, che non è detto possa risolversi sempre nell’interesse dei giovani. Più opportuno sarebbe stato, pur nella autonomia decisionale delle Regioni, promuovere intese tra i due soggetti per favorirne la integrazione e la condivisione di esperienze e specificità, finalizzate a sperimentare nuove metodologie didattiche centrate sulla laboratorialità e a innescare processi virtuosi di contaminazione, che si sono verificati, con molte difficoltà, solo in alcune regioni.D’altra parte, sembra consolidarsi il dato che nelle iscrizioni alla secondaria superiore per il 2012-2013, a fronte di un calo percentuale delle iscrizioni nei licei, si sia visto un aumento delle iscrizioni agli istituti tecnici e professionali. C’è da chiedersi se si tratti di una scelta consapevole, o invece imposta dalla crisi economica e dalla fatica che le famiglie fanno a pensare a lunghi percorsi formativi con costi sempre più elevati. Non lo sappiamo con certezza, ma è lecito pensare che in tempi difficili l’idea di accedere presto al mondo del lavoro e di divenire produttori di reddito abbia orientato le scelte di molti giovani e di molte famiglie.In particolare negli istituti professionali, che passano dal 19,73% dello scorso anno al 20,60% di quest’anno, una quota dell’1,20%, inferiore del 0,6% rispetto allo scorso anno riguarda le iscrizioni ai percorsi di Istruzione e Formazione Professionale sussidiari (0,93% sussidiarietà complementare – 0,27% sussidiarietà integrativa).Il dato complessivo degli iscritti alla secondaria superiore è del 94, 5%; il 5,5% restante ha scelto di iscriversi ai percorsi di istruzione e formazione professionale.

Di questi, il 56,7% si è iscritto presso gli enti accreditati dalle Regioni, ed il 43,3% presso gli istituti professionali, in regime di sussidiarietà complementare. Da questi

dati si desume che una quota marginale, ma in aumento, di giovani sceglie i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale.

Alcuni studi recenti, anche di diversa matrice, hanno evidenziato come nei sistemi regionali presi in esame si siano avuti buoni risultati rispetto al successo formativo degli

allievi. Inoltre si sono verificate ricadute positive dopo un percorso triennale con il rientro nel sistema d’istruzione, e un positivo effetto di recupero della dispersione scolastica, anche

se, naturalmente, non tutti coloro che frequentano i percorsi rientrano nell’istruzione. Ma se il sistema dell’Istruzione fosse stato sostenuto dagli ultimi governi che si sono succeduti, e che

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

invece sembrano essersi accaniti nel ridimensionamento e nei tagli di organici e di risorse, forse anche la scuola sarebbe stata capace di ottenere concreti risultati contro la dispersione. Da questi stessi studi, e da altre intuibili evidenze, si evince che la Istruzione e Formazione Professionale rischia di divenire un canale che al nord si rivolge agli stranieri, e al sud, specialmente nelle grandi aree metropolitane, a quelle vaste sacche di sottosviluppo e di degrado socioeconomico: ciò impedisce che i sistemi di Istruzione e Formazione Professionale divengano quel canale per la formazione tecnica superiore che invece è richiesto dalle imprese e necessario allo sviluppo delle stesse.Altri studi, comparando il costo medio per allievo dei percorsi triennali negli Istituti Professionali di Stato (€ 7.147,00) e quello degli enti accreditati (€ 6.370,69), hanno evidenziato come il costo sia inferiore negli enti accreditati dalle regioni rispetto a quello degli stessi percorsi negli Istituti Professionali di Stato. A questo proposito vanno però considerate alcune questioni di non poca rilevanza. In primo luogo, la canalizzazione precoce degli allievi – per la quale la Cgil ha sempre manifestato la propria contrarietà - rischia di sottrarre potenzialità che meglio si potrebbero sviluppare ed evolvere nell’Istruzione secondaria superiore, perpetuando subalternità dei ruoli e riducendo ulteriormente quella mobilità sociale che ha visto una grande leva nell’istruzione durante gli anni ‘70 ed ’80.Un ripensamento del Governo sulla politica dei tagli sui sistemi formativi consentirebbe, assieme alla capacità della scuola secondaria superiore di mettersi in discussione, attraverso l’organico funzionale e investimenti in formazione degli insegnanti su metodologie di ascolto attivo degli allievi, laboratorialità e individualizzazione degli insegnamenti, di affrontare e di recuperare direttamente la dispersione scolastica, soprattutto nel primo biennio della secondaria superiore, che appare il più critico. Per fare questo è necessaria una nuova stagione di investimenti su tutti i sistemi formativi, ad oggi ancora non iniziata, che restituisca loro dignità e ruolo.La stessa consapevolezza della gravità della crisi che ha implicato in una certa misura la ineluttabilità dei tagli alla spesa pubblica, a nostro parere dovrebbe essere applicata ad altri settori e segmenti meno necessari della spesa, ma non sui sistemi formativi e sulla ricerca, che servono e sono insostituibili per garantire il futuro ai nostri giovani, ed allo stesso Paese.Anche il minor costo che viene vantato, forse per accrescere l’appeal dei percorsi di Istruzione e Formazione realizzati dagli enti accreditati, si consegue semplicemente con un processo di compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori (in gran parte privati, ma anche pubblici dipendenti da alcuni enti locali, con varie formulazioni del rapporto di lavoro) che operano nei sistemi regionali.Non a caso, i sistemi formativi, oggi fortemente in crisi, e nei quali, per mantenere bassi i costi e rientrare nei budget imposti dal progressivo ridursi dei finanziamenti in proporzione anche ad un aumento delle attività finanziate, gli enti e le istituzioni formative accreditate sono di fatto costretti a ricorrere sempre di più a forme di lavoro atipiche o a forme di ammortizzazione

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

sociale per tamponare le crisi congiunturali, senza riuscire a risolverle.L’avere focalizzato quasi esclusivamente le politiche formative dei sistemi di formazione

professionale sui percorsi triennali negli anni scorsi, e sulla odierna formulazione di Istruzione e Formazione Professionale, insieme ad alcune scelte, per noi non condivisibili come

quella effettuata sull’apprendistato a 15 anni, che ha radicalmente trasformato il senso del contratto a causa mista, ha inevitabilmente sottratto ruolo e capacità di crescita ai sistemi regionali.Essi sono così divenuti sempre più residuali, senza riuscire ad entrare realmente in dialogo sia con il sistema dell’istruzione sia con quello delle imprese, in quella funzione di volano dello sviluppo locale che dovrebbe essere proprio della formazione professionale.Questo, senza incidere minimamente su un problema sempre più grande e non sufficientemente valutato in Italia, quello dell’analfabetismo di ritorno, e della assenza di un sistema diffuso di formazione continua che aiuti a mantenere affilati gli strumenti culturali e tecnici di tutti i lavoratori, e conseguentemente delle imprese, sapendo, come alcune indagini dimostrano, che ciò è necessario a queste ultime se vogliono resistere alla crisi e crescere.Dallo studio dell’Istat “Noi Italia 2012”, si evincono una serie di dati significativi ed estremamente preoccupanti per l’inadeguatezza che disegnano rispetto alle medie europee, e testimoniano dello scarso impegno sulle politiche dell’istruzione e della formazione, in Italia l’incidenza della spesa per istruzione e formazione è pari al 4,8% sul PIL (2009) valore inferiore alla media UE (5,6%); il 45% della popolazione, di età compresa tra i 25 ed i 64 anni,possiede la sola licenza media, mentre la media europea è del 27,3%. La quota dei più giovani (18-24enni) che ha abbandonato gli studi senza conseguire un titolo di scuola media superiore è pari al 18,8% (la media Ue è pari al 14,1%). La partecipazione dei giovani al sistema di formazione al termine del periodo di istruzione obbligatoria è pari all’81,8% tra i 15-19enni e al 21,3% tra i 20-29enni. I valori europei (Ue19) sono più elevati e pari rispettivamente a 86,2% e 26,6% (anno 2009). Il 19,8% dei 30-34enni ha conseguito un titolo di studio universitario (o equivalente). Nonostante l’incremento che si osserva nel periodo

2004-2010 (+4,2 punti percentuali) la quota è ancora molto contenuta rispetto all’obiettivo del 40% fissato dalla Strategia “Europa 2020”. I giovani non inseriti

in un percorso scolastico/formativo né impegnati in un’attività lavorativa sono più di due milioni, il 22,1% tra i 15-29enni (2010), valore tra i più elevati a livello europeo.

Solo il 6,2% degli adulti è impegnato in attività formative (2010), valore ancora ben al di sotto del livello obiettivo stabilito nella Strategia di Lisbona (12,5%).

Trovare soluzioni idonee a riallineare questi gap: questa è la scommessa su cui si gioca il futuro di questo segmento del sistema di istruzione in Italia. È necessario trovarle con la

consapevolezza che nel passato molto poteva essere fatto, e non lo si è fatto, o non lo si è fatto con la dovuta perseveranza e impegno, per dotare il nostro Paese di un sistema nazionale di formazione professionale che guardasse all’Europa, ed anche all’esigenza di un vero sistema

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

di lifelong learning, lungo tutto l’arco della vita, ma anche “attraverso” tutto l’arco della vita.Del resto, anche le associazioni imprenditoriali lo confermano, nel Paese non si riesce a soddisfare una richiesta di lavoro nelle qualifiche tecniche di fascia alta o medio-alta, e la difficoltà di trovare le figure professionali adeguate costituisce uno dei maggiori vincoli alle potenzialità di sviluppo delle imprese. Ci si ostina a proporre qualifiche di fascia medio-bassa che configgono, oltre che con le richieste stesse delle imprese, con le strategie per l’uscita dalla crisi nelle quali tutti i paesi sviluppati si stanno esercitando e con tutti gli orientamenti comunitari, passati e presenti, - la Strategia di Lisbona prima e gli obiettivi di Europa 2020 adesso. Basti ricordare che Europa 2020 ci chiede di triplicare i laureati e di dimezzare il tasso di abbandono, che oggi si attesta sul 18,8% se si considera la fascia degli early leavers (tra i 18 ed i 24 anni), i quali corrono l’ulteriore rischio di trasformarsi in neet.Già con gli impegni assunti dieci anni fa, si sarebbe dovuto ridurre il tasso d’abbandono al 10% e, riguardo alle lauree, una qualifica professionale di formazione superiore, come un master formativo, in aggiunta alla laurea può servire anche ad un laureato a trovare lavoro qualificato, o a “costruirne l’opportunità”, verificando apprendimenti teorici in contesti reali, e che l’elevato livello culturale posseduto contribuirà a consentirgli di mantenerlo, o di cambiarlo rapidamente, se, come ormai sempre più spesso accade, dovesse farlo più volte durante la vita.Per la formazione professionale, invece di puntare su un sistema fortemente integrato con una forte istruzione pubblica, dopo un biennio unitario in grado di dare quelle competenze trasversali sempre più necessarie anche solo alla decodifica dei messaggi da cui ciascuno di noi è oggi bombardato, e con un possibile e virtuoso intreccio di competenze e specificità metodologiche che sono proprie dell’apprendimento per competenza, della individualizzazione degli insegnamenti, degli strumenti per l’orientamento di cui la formazione professionale è capace, si sono demandati alle regioni compiti di indirizzo legislativo che sarebbero stati assolti meglio dal Parlamento nazionale, almeno per garantire un quadro di coesione tra territori della Repubblica.Sarebbero state necessarie scelte che, senza sacrificare lo sviluppo locale, e nel rispetto di standard minimi e di livelli essenziali delle prestazioni, dessero certezze a tutti i giovani cittadini, ed anche ai meno giovani, intrecciando diversi interessi generazionali nella costruzione di un sistema flessibile, articolato, integrato, ma unitario e nazionale, capace di ridurre il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, e di favorire, sinergicamente con l’Istruzione e con l’Università, il necessario trasferimento tecnologico ai sistemi produttivi.Ciò, se lo si facesse davvero, contribuirebbe ad una più complessiva innovazione di processo e di prodotto nelle imprese, e potrebbe intervenire con vere politiche attive del lavoro intervenendo negli snodi e nelle transizioni con opportune azioni di orientamento, ri-orientamento e di accompagnamento.

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

La IeFP per i giovani dai 14 ai 17 anni: la voce del sindacato

Coordinatore nazionale Cisl ScuolaFormazione Professionale e Scuola non Statale

Elio FORMOSA

Mentre la politica diventa ogni giorno di più autoreferenziale e si contorce e attorciglia su se stessa, mentre si dibatte incessante e senza soluzione sul come e sul quando votare e su chi rottamare, i cittadini avvertono altro, avvertono che il lavoro è una priorità non più rinviabile, la cui mancanza annichilisce la coesione sociale, stravolge i rapporti interpersonali, sottrae speranze, annebbia il futuro.

La riforma del mercato del lavoro, tanto invocata, si sta rilevando poca cosa e non riesce a dispiegare effetti positivi, a contrastare efficacemente una situazione che sfugge come sabbia in una mano. La speranza che un paese possa passare dalla recessione allo sviluppo per decreto o per legge, come avviene in certe favole dove con un colpo di bacchetta magica le zucche diventano lussuose carrozze, appare oggi per quello che realmente è: una pia illusione. I tanti guai del Paese non sono risolvibili a colpi di riforme, di leggi, di referendum a raffica e di sottoscrizioni popolari.

Per affrontare seriamente i nodi e le difficoltà non ci si deve soffermare sull’orizzonte sfocato e corto di quest’ultima triste stagione; si deve ritornare alle specificità della crisi italiana e avere chiari gli obiettivi da raggiungere, gli strumenti da utilizzare o da mettere in campo e i tempi della cura. Il nostro Paese ha un bisogno vitale di tornare a crescere, se non vuole essere schiacciato e le ricette non possono essere quelle di vent’anni o trenta anni fa, perché tutto è cambiato e tutto cambia. Panta rei, tutto scorre come l’acqua di un fiume. L’Italia ha bisogno di riforme, questo è indubbio, soprattutto perchè la crisi globale, economica e finanziaria, da superare è ancora più grave alle

nostre latitudini, perchè è anche crisi morale e valoriale.

Pertanto la prima emergenza da affrontare, se si vogliono davvero creare le condizioni di una ripresa solida, duratura e stabile, è quella culturale, educativa e

formativa. E’ da qui, da queste fondamenta, che deve ripartire la crescita economica e produttiva e morale del nostro Paese. Più che di nuove leggi, più che di vecchie

e superate idee, si sente il bisogno di uomini nuovi, animati da senso di onestà e di dedizione al bene comune, competenti, e innanzitutto scevri da ideologie e nostalgie

per modelli e mondi che la storia da tempo ha condannato e seppellito. A questi uomini e a queste donne non va chiesta l’età anagrafica, ma di operare per il bene comune e di

rimuovere i troppi gli ostacoli ed i veti, soprattutto di natura ideologica, che hanno frenato ed orientato verso il basso lo sviluppo del Paese.

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15presenza EnGiM numero speciale l 2012

LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Occorre un nuovo approccio alla realtà del mercato del lavoro, che è sempre più dinamico e sempre più si distanzia dalla concezione statica del posto di lavoro come approdo definitivo, che sappia coniugare l’ occupazione alla occupabilità. E’ sulle persone che bisogna puntare, sulla loro capacità di apprendere e quindi di muoversi liberamente nel mercato del lavoro. L’apprendere per tutto l’arco della vita (lifelong learning) è una necessità ed una opportunità allo stesso tempo alla quale si collegano e trovano sostegno le nuove politiche dell’occupazione stabile e del welfare (flexsecurity).

Per attuare nel nostro Paese queste politiche, già implementate in alcuni stati europei, è opportuno rilanciare tutti gli strumenti, che ci sono e che le persone richiedono, finalizzati a creare le opportunità di lavoro e quindi l’occupazione. In primo luogo non è più rinviabile il rilancio su scala nazionale della Formazione Professionale, per dare voce ai giovani che sempre più numerosi chiedono di essere attori e protagonisti del loro futuro e del futuro del Paese. Così come è opportuno che si affronti e oltrepassi, una volta per tutte, l’incomprensibile, irragionevole ed ingiustificata barriera ideologica della classificazione in categoria valoriale e gerarchica della scelta per i percorsi di Formazione Professionale, che ha sin qui fortemente incrementato il disagio, la precarietà, l’emarginazione giovanile. La scelta di un ragazzo che, dopo il primo ciclo dell’istruzione, si iscrive ad un percorso formativo triennale, ha la stessa dignità e lo stesso valore di quella di chi si iscrive ad un percorso scolastico. Dall’errato presupposto che una scelta non vale quanto un’altra ha preso le mosse la cosiddetta politica del non uno di meno che ha sottovalutato e svilito il ruolo attivo e propositivo della Formazione Professionale, relegandola in panchina come una scelta di ripiego. Questa politica, infarcita da insostenibili ed ingiustificabili elementi ideologici, è stata smentita dai fatti, dalle alte e crescenti percentuali dell’abbandono, dalla discontinuità delle carriera, dai ripetuti insuccessi scolastici, soprattutto quando la scelta per un percorso rispetto ad un altro è stata imposta dall’alto.

In fondo è dura a morire la stravagante idea, il pregiudizio, che la propensione di un giovane verso un “mestiere” piuttosto che verso una “nobile professione” debba essere curata, alla stregua di una grave malattia. Succede così che in una nostra bella e popolosa città, ci siano più avvocati che in tutta la Francia, e non si trovino, se non con grande difficoltà, elettricisti, muratori, idraulici e via così di seguito.

La Formazione Professionale, quale sistema retto da una solida impalcatura nazionale, deve tornare al centro delle politiche attive del lavoro. Non una FP, come alcuni sostengono, vietata ai minori di 16 anni come se fosse un film ad alta pericolosità sociale, amorale e diseducativo, e quindi da sottoporre a preventiva censura, ma aperta a tutti coloro che propendono per percorsi brevi e finalizzati. La maggior parte dei circa 200.000 ragazzi dai 14 ai 17 anni che frequentano ogni anno i percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale, optano per gli Enti accreditati del privato sociale, e circa

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

il 50% di loro trova occupazione a tre mesi dal conseguimento della qualifica professionale. La percentuale di occupati aumenta con il passare del tempo. Si tratta, inoltre, in gran parte di

lavoro dipendente (87%). Sono dati ufficiali provenienti dal Ministero del lavoro e sui quali non ci sono stati motivi di contestazione o sollevati dubbi. Quindi si deve prendere atto

che la FP, la Buona Formazione Professionale, quella che ha saputo trovare nei percorsi triennali (quadriennali) il giusto equilibrio tra Istruzione e Formazione, consente ai giovani di trovare occupazione o di intraprendere una propria attività imprenditoriale. Insomma, nel suo piccolo la FP è un grande strumento in grado di contrastare in modo efficace la disoccupazione giovanile.

Ma se le cose stanno così, e stanno così, dobbiamo domandarci perché la Formazione Professionale, in non poche realtà, e non solo nelle regioni del nostro Meridione, viene dagli assessori e dalle giunte regionali trascurata, depotenziata, ostacolata, destrutturata, vietata ai minori di anni 15/16 e privata dei necessari finanziamenti tanto più in un frangente di atroce crisi economica come questo, che richiede strategie per il lavoro non solo a medio termine, ma anche di breve periodo e attori, competenti ed esperti, in grado di progettare e realizzare percorsi professionalizzanti di alto livello. Dobbiamo domandarci perché a pagare il prezzo di questo disimpegno di una certa politica, sorda ed autoreferenziale, debbano essere quei ragazzi che chiedono e vogliono imparare facendo e facendo imparare. Lo spazio che abbiamo è poco per dare una risposta esauriente, perché questa richiede un’analisi complessa e il più possibile obiettiva sul funzionamento di tutti i livelli istituzionali, in quanto il modello regionale, di federalismo all’Italiana, sta nei fatti collassando. L’Italia a venti velocità non è una conquista è una sconfitta.

Le Regioni si sono trasformate in soggetti politici ben più potenti dello Stato e a farne le spese non è solo la compagine unitaria, che risulta sempre più frammentata e forse frantumata, sono i cittadini, soprattutto i più giovani non professionalizzati ed in cerca di occupazione, i più deboli in assoluto. Oggi, molto più di ieri, l’essere nato in una regione piuttosto che in un’altra fa la differenza; il territorio e il suo tessuto economico sono i nuovi parametri di riferimento che sempre più allontanano e separano. Il territorio e le sue esigenze

sono l’alibi attraverso il quale si giustificano tutte le politiche da quelle di sviluppo a quelle restrittive; se il tessuto economico è ricco allora la regione investe risorse

(comunque esigue) nei percorsi di formazione professionale per i giovani di quel territorio, se invece è povero, allora la regione, la provincia, il comune non investe

risorse, incentivando così la genericità professionale ed il lavoro nero e nel peggiore dei casi il fenomeno della delinquenza giovanile. E’ il tempo della responsabilità e della

solidarietà, non delle diatribe e delle pregiudiziali ideologiche, è tempo di tornare a parlare di interesse nazionale nell’interesse di tutti ed in particolare dei nostri giovani. E’ necessario

per questo investire risorse certe, sufficienti e costanti nella Formazione Professionale, perché chi investe nei giovani, investe nel futuro del proprio paese.

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

L’Istruzione e Formazione Professionale è ormai un segmento importante del sistema scolastico e formativo del nostro Paese in quanto concorre all’assolvimento sia dell’obbligo di istruzione sino ai quindici anni che a quello della formazione sino ai diciotto, comunque essi siano denominati nel variegato universo delle Regioni, alle quali una improvvida riforma del Titolo V della Costituzione ha assegnato una competenza della quale ancora oggi, dopo 11 anni dall’approvazione della riforma, non si capiscono bene caratteristiche e limiti e che ha ingenerato processi legislativi e amministrativi piuttosto contorti, eterogenei e disomogenei sul territorio nazionale, che stridono con l’effettiva possibilità di rivendicare un diritto di cittadinanza che dovrebbe essere garantito a livello nazionale.Ben venga allora la proposta di legge costituzionale presentata dal Governo il 15 ottobre scorso, che introduce nel primo comma dell’articolo 117 una formula di salvaguardia, in base alla quale spetta alla legge dello Stato, a prescindere dalla ripartizione delle competenze legislative con le regioni, il compito di assicurare la garanzia dei diritti costituzionali e dell’unità giuridica ed economica della Repubblica: probabilmente l’attuale Parlamento non riuscirà a completare l’iter della doppia lettura nel limitato tempo che ad esso rimane, ma già una prima lettura da parte dei due rami del Parlamento incardinerebbe il testo proposto anche per la

prossima legislatura.Assicurare il diritto all’istruzione e formazione però, oltre che affermazione di un principio di ordine giuridico-costituzionale, deve anche significare la reale implementazione di dispositivi t e c n i c o - a m m i n i s t r a t i v i omogenei e coerenti in tutte le regioni, oltre che adeguati finanziamenti che permettano la fruizione di tale diritto su tutto il territorio nazionale, soddisfacendo le richieste degli utenti, così come avviene per gli altri segmenti dell’istruzione, in una logica che sia di integrazione tra le varie componenti del sistema, superando le logiche autoreferenziali legate a proposte formative più o meno totalizzanti, che forse potevano avere una loro legittimazione alla loro nascita, ormai due secoli fa.

E le positive sperimentazioni in atto in alcune regioni come l’Emilia Romagna o la Sardegna, certamente faticose perché richiedono a tutti gli attori dei sistemi, sia come singoli individui che come organizzazioni complesse, di mettere in

Segretario nazionaleDipartimento Formazione Professionale

UIL SCUOLA - Lello MACRO

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18 presenza EnGiM numero speciale l 2012

LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

gioco modelli di azione differenti da quelli sin qui consolidati e generalmente improntati alla

separatezza e all’autosufficienza, possono indicare il percorso per fornire un’offerta

formativa veramente orientata al successo di ognuno secondo le proprie potenzialità e attitudini, combinando sapientemente il sapere con il saper fare e costruendo percorsi formativi alternativi – e magari in alternanza - ma convergenti su obiettivi comuni di autorealizzazione della persona e della sua occupabilità.In questa prospettiva occorre ripensare altresì all’eccessiva enfasi, anche da parte del sindacato, posta sull’istituto d e l l ’ a p p r e n d i s t a t o , addirittura promosso al rango di istituzione formativa in grado di assicurare l’ottemperanza dell’obbligo di istruzione, quando sappiamo che in tutti i paesi ove è praticato il sistema duale in alternanza è ben diversa la consistenza della formazione,

sempre assicurata da specifiche istituzioni formative, rispetto al

misero monte orario previsto dalla nostra legislazione ed affidato,

senza controlli né sull’effettivo svolgimento né sulla sua qualità, alle

stesse aziende: un modello che si rivela come meramente addestrativo quando è

inteso e praticato in modo sostitutivo, come da noi, della formazione di base, invece di essere ad essa successivo, come in tutti i

paesi civili.

La visione di scenario, però, non può esimerci dal considerare la realtà odierna in cui, (raramente un verbo è così pregnantemente adeguato) si dibatte l’istruzione e formazione professionale, soprattutto rispetto a due problematiche:

- C’è una questione generale sulle risorse finanziarie, che coinvolge tutti livelli decisionali, ministero del lavoro, ministero dell’istruzione e regioni: le risorse provenienti dal ministero del lavoro, per le attività formative triennali, non più sperimentali ma ricondotte ad ordinamento dello Stato, si sono ridotte da 209 milioni di euro nel 2009 a 189 milioni nel 2012 (DD 275/II/2011), pur in presenza di un costante aumento degli iscritti ai percorsi triennali, oramai oltre le 180.000 unità che rappresentano circa l’8% della popolazione tra i 14 e i 17 anni, e con una suddivisione alquanto discutibile tra istituti di istruzione, peraltro già finanziati dal relativo ministero, e le istituzioni formative; il ministero dell’istruzione ha ormai tagliato dal 2009 il suo contributo di 40 milioni annui, come se l’obbligo di istruzione non lo riguardasse; paradossalmente questi tagli sono stati operati in coincidenza con la messa a regime del sistema di Istruzione e Formazione professionale come parte integrante del sistema pubblico di istruzione. Le Regioni poi, strette da leggi finanziarie, assestamenti di bilancio, spending review e quant’altro, hanno preferito falciare i finanziamenti per l’esercizio di un diritto di cittadinanza che la Costituzione vigente affida alla loro competenza piuttosto che effettuare risparmi in altre direzioni più consone al buongoverno

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19presenza EnGiM numero speciale l 2012

LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

della cosa pubblica, come tristemente l’attualità di questi giorni ci mostra.

- Un’altra questione generale riguarda le modalità di accreditamento delle strutture formative, che sono lievitate enormemente nel tempo senza verifiche sul possesso dei reali requisiti di idoneità, limitandosi a meri controlli, quando sono stati fatti, di tipo burocratico sulla forma delle documentazioni presentate e non sulla sostanza e sulla consistenza delle strutture stesse, e introducendo deroghe ed eccezioni, anche rispetto all’applicazione del CCNL di comparto, che gettano ombre su tutta la gestione della questione.Naturalmente anche questo settore risente delle criticità di tutto il mondo del lavoro, con la permanente precarizzazione dei rapporti, le infinite e ondivaghe riforme che li complicano, la perdurante mancata attività ispettiva degli organi a ciò deputati, e via elencando.

Nonostante tutto ciò, e in contro-tendenza rispetto ad altri settori lavorativi, è stato rinnovato il CCNL della Formazione Professionale e gli obiettivi raggiunti, per la UIL Scuola, sindacato che non fa astratta ideologia, ma cerca con determinazione di perseguire l’interesse concreto dei lavoratori nelle condizioni reali che di volta in volta sono determinate dal contesto sociale, politico ed economico esistente, per quanto difficili possano essere, rappresentano l’auspicio, e il nostro impegno, perché il settore possa continuare, con la necessaria flessibilità, a dare risposte concrete sia alle esigenze di tutela del personale che a tutte le richieste formative provenienti non solo da chi il lavoro lo ha, ma anche da chi lo ha perso

o lo sta perdendo e da chi nel mondo del lavoro e della produzione vuole entrare con strumenti professionali e tecnici adeguati e concorrenziali.

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Nel corso del tempo l’occupazione ha registrato nel nostro Paese un mutamento importante dal punto di vista della composizione per figure professionali. Se durante gli anni novanta si era osservato un progressivo orientamento della domanda di lavoro verso le componenti più qualificate, che si associava alla crescente terziarizzazione, con l’avvio del nuovo secolo si è registrato un progressivo spostamento verso figure con livelli di competenza minori, poco qualificate. Un rapido confronto per macro gruppi professionali, distinti in base al livello di skill posseduti, mostra come il periodo 2004-2011 sia contraddistinto da due andamenti opposti. Tra il 2004 ed il 2007, ovvero durante una

fase di congiuntura favorevole, la composizione dell’occupazione

italiana si era modificata a favore delle figure high-skilled (dirigenti,

professioni intellettuali e scientifiche, figure tecniche), il cui peso sul totale

degli occupati è rapidamente aumentato: in una fase di espansione dell’economia,

la domanda è stata maggiormente rivolta a figure qualificate. Viceversa, nella seconda

parte del periodo (2008-2011) si è osservata un’inversione di tendenza: la domanda di lavoro si è spostata sulle professioni a media e a bassa qualifica. Per molte figure ad alta specializzazione si è registrato un calo deciso dell’incidenza sull’occupazione complessiva, per effetto di una caduta del numero di addetti più marcata di quanto osservato per il totale degli occupati: è il caso soprattutto dei dirigenti e degli imprenditori, che hanno risentito notevolmente della crisi e della chiusura delle imprese. È però anche possibile che questa tendenza nasconda fenomeni di sottoinquadramento.Si sono ridotte notevolmente anche le figure tecniche, mentre tengono le professioni ad alta specializzazione. Hanno altresì guadagnato posizioni le professioni qualificate nel terziario, ma ciò solo grazie ad una maggior tenuta del settore. La perdita di peso delle figure medium-skilled, come gli artigiani e gli operai specializzati, è da ricondurre alla crisi dell’industria, che ha acuito la riduzione strutturale della domanda di lavoro. Lo stesso si è osservato per le figure meno specializzate, come i conduttori di impianti e gli operai semi-specializzati, che hanno risentito della chiusura di molte realtà produttive. Viceversa, è in controtendenza la domanda di lavoro per le professioni non qualificate; in parte, l’aumento di peso sull’occupazione complessiva di queste figure riflette anche fattori di offerta, come il persistente flusso migratorio e la presenza elevata di lavoratori stranieri nelle

Professore Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università

Cattolica di Milano - Carlo DELL’ARInGAOccupazione e sotto-utilizzo del capitale umano.

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21presenza EnGiM numero speciale l 2012

LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

occupazioni di più basso livello. L’Italia presenta una composizione della forza lavoro sensibilmente più sbilanciata verso le professioni manuali ed elementari e, come visto, le tendenze degli ultimi anni non hanno migliorato la situazione. Un simile scenario suggerisce la presenza di una distorsione nella dinamica delle competenze nel nostro paese, dove l’incremento di occupati con istruzione terziaria che si è osservato negli ultimi anni non viene assorbito in misura sufficiente dall’aumento della domanda per le professioni ad elevata specializzazione, tradizionalmente composte da chi ha conseguito almeno la laurea. Peraltro, è da segnalare che la gran parte dei paesi europei mostra tassi di incremento degli occupati con istruzione terziaria superiori ai tassi di incremento degli occupati nelle professioni ad elevata specializzazione.Per il nostro paese si evince dunque un basso livello di valorizzazione del capitale umano. La mancata corrispondenza tra le caratteristiche della forza lavoro occupata (con particolare riferimento al più elevato titolo di studio posseduto) e quelle della professione svolta può generare un utilizzo inefficiente dell’input di lavoro nei processi produttivi e segnalare uno scollamento tra il risultato del sistema formativo e la domanda di lavoro. A partire dalla classificazione internazionale delle professioni, che ordina i gruppi in relazione al livello di abilità e competenze per svolgere il lavoro, l’incrocio tra il titolo di studio conseguito e la professione svolta può essere la base per fornire una quantificazione del fenomeno dell’over-education1.Per circa un quarto degli occupati tra i 15 e

1 Un lavoratore è definito over-educated (sovra istru-ito) se esercita un lavoro a bassa specializzazione pur disponendo di un livello di istruzione medio-elevato. Un’analisi dettagliata del legame tra titolo di studio e professione si può trovare in Istat (2006).

i 64 anni (5,2 milioni di persone) si registra, nel 2011, una mancata corrispondenza tra il titolo di studio conseguito e la professione esercitata. Calcolando l’incidenza dell’over-education sul totale degli occupati con le stesse caratteristiche, vengono peraltro alla luce alcuni aspetti interessanti. Ad esempio l’incidenza dei lavoratori sotto-inquadrati si attenua progressivamente nel passaggio dalle età più giovani a quelle meno giovani, con differenze piuttosto marcate: il 35,2 per cento degli occupati con meno di 35 anni è impiegato in lavori che richiedono una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta, mentre tale percentuale scende al 12,6 per cento per gli occupati dai 55 anni in su. Il fenomeno assume inoltre la maggiore intensità tra le giovani laureate, le quali in quasi metà dei casi risultano sotto-inquadrate. Dato che si tratta di persone che presumibilmente hanno iniziato a lavorare da non molti anni, ciò riflette una certa difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro da parte dei giovani, almeno inizialmente occupati in professioni dove il livello di competenze richiesto è inferiore rispetto al titolo di studio conseguito, anche perché la domanda di lavoro tende spesso ad assegnare un peso importante alla conoscenza informale e al training on the job. Tuttavia, un terzo delle persone sotto-inquadrate ha un’età compresa tra i 35 e i 44 anni; e circa una su

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

quattro ha un’età più elevata: in questi casi l’esistenza di un sottoinquadramento sembra

quindi più consolidata.Tra i 5,2 milioni di occupati che risultano

sotto-inquadrati, quasi tre quarti possiedono il diploma, e il restante terzo la laurea. Ma il rischio di essere sotto-inquadrato risulta lievemente maggiore proprio tra i laureati (37,4 per cento) rispetto ai diplomati (37 per cento). In relazione al genere, il peso relativo dei lavoratori sotto-inquadrati rispetto al loro livello di competenze presenta andamenti opposti per i diversi titoli di studio: tra i laureati, il rischio di over-education è maggiore per le donne, mentre le stesse registrano un valore più basso di circa dieci punti percentuali rispetto ai colleghi maschi, se in possesso di diploma.Nel panorama di fondo, che vede il rischio di sotto-inquadramento maggiore al Sud rispetto al Nord, vi sono alcune differenze in relazione al titolo di studio posseduto. Tra i diplomati, la maggiore

incidenza di lavoratori sotto-inquadrati è al Mezzogiorno e

la minore al Nord (rispettivamente il 32,4 e il 45,3 per cento); tra i

laureati, al contrario, il fenomeno è significativamente più diffuso nelle

regioni settentrionali (40 per cento a fronte del 29 per cento nel Mezzogiorno).

Questo però non significa che esistano maggiori opportunità di lavoro qualificato per i laureati nel Mezzogiorno; tale risultato

deve tenere conto del diverso contesto occupazionale delle due aree. In genere, il Nord, essendo caratterizzato da un mercato del lavoro più dinamico, tende a offrire più opportunità occupazionali in professioni tecniche e di media professionalità, che invece scarseggiano al Sud. La maggiore incidenza di lavoratori sotto-inquadrati tra i laureati del Nord potrebbe quindi essere spiegata con l’offerta di maggiori occasioni di lavoro nelle professioni tecniche. Diversamente, nel Mezzogiorno i laureati che non trovano un’occupazione in professioni specialistiche rischiano di restare disoccupati. Le stesse ragioni spiegano le maggiori possibilità per i diplomati di trovare un’occupazione adeguata al Nord rispetto al Mezzogiorno.Per concludere, lo spostamento della domanda di lavoro sulle professioni a media e bassa qualifica aumenta il rischio per i lavoratori di trovarsi a svolgere una professione che non permette di utilizzare appieno la preparazione acquisita nel percorso di studi, specie tra le coorti più giovani che sono caratterizzate da più elevati livelli di scolarizzazione. Il lavoratore coinvolto nel fenomeno del sottoinquadramento è una figura piuttosto debole nel mercato del lavoro. I motivi vanno dal contesto territoriale alla maggiore spendibilità della prioria formazione, dalla necessità di entrare nel mercato del lavoro con forme contrattuali non tradizionali alla difficoltà di mutare la propria condizione. In un simile scenario il capitale umano investito nel processo di produzione di beni e servizi rischia, da un lato, un lento deterioramento dovuto all’obsolescenza delle competenze acquisite e non pienamente sfruttate, dall’altro, di non essere più in grado di sostenere quel meccanismo virtuoso in grado di assicurare benefici paralleli e complementari per l’offerta di lavoro e per il sistema produttivo.

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

È ancora presto per esprimere un giudizio esaustivo sull’eventuale efficacia della riforma del mercato del lavoro voluta dal Ministro Elsa Fornero. Gli indicatori, tuttavia, continuano a segnalare enormi difficoltà – che coinvolgono la categorie socialmente più deboli (giovani, donne, immigrati) – nel trovare un’occupazione. Situazione resa ancora più evidente in specifiche realtà italiane quali il Mezzogiorno, dove donne e giovani si vedono costretti a “migrare” verso il Nord o all’estero per tentare di scardinare barriere altrimenti insormontabili. I dati Istat offrono una panoramica poco lusinghiera della condizione fin qui tratteggiata. Nel primo semestre il numero di occupati è tornato infatti a diminuire (-0,3%, pari a 65 mila unità in meno in confronto allo stesso periodo dell’anno scorso), mentre a livello settoriale i maggiori segnali di sofferenza provengono dal settore industriale. Oltre al numero degli occupati, nel secondo trimestre dell’anno sono risultate in forte calo le ore lavorate nelle imprese con più di 10 addetti (-4,4% contro il -3,4% del totale dell’economia) e al contempo è cresciuto il ricorso alla cassa integrazione (+47,3%).

Nei quarant’anni che hanno preceduto la crisi, il Pil in Italia è più che raddoppiato, ma il numero degli occupati non è cresciuto di pari passo; al contrario, è lievemente diminuito in proporzione alla popolazione residente. Un risultato che dipende, sostanzialmente, dalle innovazioni che hanno reso più efficienti i processi e hanno permesso alle aziende di produrre quantità sempre maggiori di merci con un numero sempre minore di lavoratori.

Se, quindi, da un lato le imprese si sono fatte più competitive, il rovescio della medaglia è stato che il numero degli occupati è rimasto invariato.

Ai problemi strutturali, inoltre, nell’ultimo periodo si sono aggiunte alcune misure che, data un’applicazione sommaria e spesso contraddittoria, hanno provocato un innalzamento del precariato (cattiva occupazione) e una quasi totale assenza di tutele e sussidiarietà. Le trasformazioni che hanno investito il mercato del lavoro hanno finito per coinvolgerne la qualità stessa. I contenuti sono diventati meno manipolativi e più cognitivi, le conoscenze richieste in genere polivalenti e le prospettive di carriera più discontinue. A livello macro la lista delle professioni si è allungata e si è frazionata, anche se non c’è stata un’ascesa della professionalità media quanto, piuttosto, una gamma più estesa di skill, resa necessaria dall’intreccio fra domande vecchie e nuove. E nel complesso mentre la natura della prestazione è cambiata in meglio, perché è diventata soggetta a minori vincoli e ha dato maggiore discrezionalità al lavoratore, i termini della

Presidente TECnE ITALIA - Carlo BUTTAROnI

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

prestazione sono cambiati in peggio, anche perché le forme di tutela tradizionale

non sono riuscite a coprire impieghi più instabili e tragitti più discontinui.

Rapporti di lavoro meno subordinati e più autonomi, perfino nel mondo del lavoro dipendente; meno durevoli, data la crescita dei contratti a tempo determinato e il calo di quelli a tempo indeterminato; meno uniformi nell’ambito contrattuale, progressivamente diventato più circoscritto e assai più articolato: situazione che ha visto il crescere di una forma di pendolarismo tra lavori saltuari, considerati una sorta di formazione dal basso, per molti versi funzionali alla discontinuità del lavoro.

A farne le spese, dicevamo già in apertura, sono soprattutto giovani, donne e migranti. La disoccupazione giovanile (15-24 anni) ha raggiunto livelli record attestandosi nel secondo trimestre dell’anno al 33,9%. Alle polemiche che

sono seguite alle dichiarazioni del Ministro Fornero (“I

giovani escono dalla scuola e devono trovare un’occupazione.

Devono anche non essere troppo ‘choosy’, come dicono gli inglesi”) si

potrebbero accostare – a conferma di un mercato del lavoro troppo ingessato

che impedisce ai giovani non solo di inseguire sogni e prospettive, ma anche

di allontanarsi dall’ambito per cui hanno studiato instaurando così in loro un ulteriore deficit di futuro – i dati AlmaLaurea sulla condizione lavorativa dei neolaureati. La disoccupazione dei laureati triennali è passata dal 16% del 2009 al 19% del 2010. Anche la disoccupazione dei laureati con specialistica è aumentata, passando dal 18% al 20%. Per gli specialistici a ciclo unico, come per esempio i laureati in medicina, architettura, veterinaria e giurisprudenza, la disoccupazione è passata dal 16,5% al 19%. Tra i provvedimenti del Governo per incentivare l’occupazione giovanile figura l’apprendistato, uno strumento già esistente, ma rinvigorito dalla recente riforma. Anche in questo caso, però, un’eccessiva “burocrazia” ha di fatto negli anni rallentato la bontà dello strumento provocando maggiore confusione tra le imprese e gli enti che devono erogare la formazione.

A destare in ogni caso maggiore preoccupazione sono i numeri relativi ai Neet e agli “inattivi disponibili”, coloro cioè che vorrebbero lavorare, ma hanno deciso di rinunciare alla ricerca di un impiego, perché sfiduciati e rassegnati. Per l’Istat, questi ultimi, sono quasi tre milioni. Una cifra estremamente elevata, che ci vede in testa tra tutti i partner europei. Neet, invece, è un acronimo inglese che sta ad indicare coloro che non studiano, non lavorano, non si formano, non cercano un’occupazione. In Italia sono più di due milioni (2,2 nel 2010, secondo la Banca d’Italia) e nel 2011 sono arrivati al 22,7%, con un incremento di 3,4 punti percentuali rispetto al 2008.

Più in generale, in quattro anni, il tasso di disoccupazione nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni è aumentata del 7,8%

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

mentre per gli under 24, sempre nel periodo compreso tra il 2008 e il 2011, è passato dal 21,3% al 29,1%. Il tasso di inattività nella fascia 15-64 anni, invece, è passato dal 37% al 37,8%, e riguarda soprattutto gli uomini. I maschi inattivi sono aumentati al 26,9% dal 25,6%. Stabile invece il dato relativo alle donne, che passano dal 48,4% nel 2008 al 48,5% nel 2011.

In Italia, il rapporto tra gli occupati maschi e femmine è 100 contro 70. Siamo penultimi, dopo la Grecia. E anche se la situazione, nel complesso, è migliorata (vent’anni fa il rapporto fra gli occupati era di una donna ogni due uomini) e le distanze con i paesi virtuosi si sono accorciate, sul tema dell’accesso al lavoro cresciamo meno degli altri. Rispetto al 1990, ad esempio, scendiamo di un gradino, superati dalla Spagna che nel frattempo è diventata terzultima. E scendiamo anche nella classifica dello sviluppo umano delle Nazioni Unite. A parità di livello, una donna guadagna circa il 18% in meno del suo collega maschio, cioè 1800 punti base. Questo, nonostante le donne entrino nel mercato del lavoro mediamente più preparate e competenti. Basti pensare che su 100 laureati, 58 sono donne e solo 42 uomini. Nello specifico, il Cnel, in un’indagine di qualche tempo fa, ha rilevato che nel nostro Paese la differenza di retribuzione tra uomini e donne si attesta tra il 10 e il 18% e riguarda un po’ tutte le categorie: le operaie (-21%), le impiegate (-16%), le dirigenti e le imprenditrici (-13%), le lavoratrici delle società che si occupano di servizi finanziari (-22%) e di quelle che offrono servizi alle imprese (-26%). Ciò che manca al nostro Paese è un modello economico e sociale lungimirante, laddove è la figura femminile a rappresentare la

prima forma di welfare, impedendo in questo modo alle donne di partecipare attivamente allo sviluppo. Il mancato contributo delle donne nel mondo del lavoro, è stato quantificato dalla Banca d’Italia alla fine del 2011, equivale ad una perdita del 7% del Pil. D’altronde, una società s’interpreta e si nutre di simboli e per cambiare ha bisogno di esempi positivi che diventino patrimonio e narrazione comune. Ed è ciò che manca, appunto, all’Italia. Il racconto del nostro paese (e la comunicazione pubblicitaria che ne è figlia) vede ancora le donne quasi esclusivamente come angeli della casa. Se lavorano, spesso sono considerate “donne in carriera” che trascurano figli e famiglia. E se in una coppia qualcuno deve fare spazio all’altro per affermarsi in termini professionali, c’è da scommetterci che il sacrificio sarà chiesto alla donna. In aggiunta, l’assenza di politiche di conciliazione costringe le donne a uscire dal mondo del lavoro, ne impedisce la continuità lavorativa, limita le loro opportunità di carriera. Discriminazioni inaccettabili alla luce del fatto che le donne possiedono, mediamente, requisiti di formazione superiori a quelli degli uomini.

In ultima analisi, il rapporto tra immigrazione e lavoro è quello che più rappresenta il

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

fenomeno migratorio, coinvolgendo la natura stessa dei diritti civili. Un tema che riguarda,

nella stessa misura, migranti e ospitanti. Ed è proprio su questi aspetti che emerge la

contraddizione tra le buone intenzioni legislative (affidate a corposi apparati normativi) e la realtà del mercato del lavoro sommerso, alimentato, in misura crescente, dai flussi d’immigrazione clandestina. Per cui tanti lavoratori stranieri si ritrovano a svolgere diverse mansioni, spesso a rischio infortunio e privi di qualsiasi forma di tutela.

Durante le settimane che hanno preceduto la stesura della riforma del mercato del lavoro non sono mancate le polemiche attorno al nodo dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Cancellare l’articolo 18 non sarebbe servito a dare slancio al sistema Italia, perché la norma riguarda soltanto il 3% delle imprese (ma quasi la metà degli occupati) mentre il restante 97% è soffocato dalla concorrenza sleale, dalla

burocrazia, dalle tasse, dalla stretta creditizia e dai ritardati

pagamenti, soprattutto da parte della pubblica amministrazione.

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Egomnia.com è il Social Network italiano dedicato al lavoro più in voga del momento. Utilizza le tecnologie web 2.0 per agevolare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro e di stage. Tanti i servizi offerti agli utenti, come l’aggiunta dinamica del curriculum, la creazione di un network, un sistema di messaggistica istantanea e il ranking tra gli iscritti. Altrettanti quelli offerti alle aziende, come la ricerca attiva nel database, la pubblicazione di annunci dinamici e/o di post di comunicazione verso gli utenti e la valutazione dei curricula mediante algoritmi dal sistema. In pochi mesi dal lancio Egomnia ha registrato 50 mila iscritti e centinaia di società importanti, tra cui si aggiungerà la Microsoft, che utilizzano attivamente il Social Network come strumento di recruitment. Matteo Achilli, ventenne fondatore ribattezzato dai media come lo “Zuckerberg italiano”, e il suo giovanissimo team sono stati contattati già dalle Istituzioni e da altre importanti organizzazioni, tra cui la ENGIM Nazionale, per aiutare le persone a trovare lavoro. Inoltre il Social ha aperto

collaborazioni con tanti portali italiani di rilievo, sviluppato software per le Università e sta iniziando a prepararsi per il lancio all’estero in grande stile. Tante sono infatti le novità di settembre, oltre al potenziamento dell’intero sistema, Egomnia ha introdotto sistemi di agevolazione per cassaintegrati, portatori di handicap e categorie protette per entrare al meglio nel mondo del lavoro, ricoprendo così tutto il target prefissato al momento della creazione del Social. Un bel segnale quello che Matteo sta lanciando all’Italia in un momento così delicato.

Un messaggio di speranza che sembra una ventata di ossigeno per tutti i giovani volenterosi che vogliono lavorare e darsi da fare in Italia.

EGOMnIA - Matteo ACHILLIEGOMNIA: esperienza di Giovani Italiani

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Dove in Ital iaLaboratori attivi tra istruzione e Formazione

L A Z I ODirezione nazionaleVia degli etruschi, 7 - 00185 romatel: 06.4441688 - Fax: 06.4441672mail: [email protected]

sede di Coordinamento regionaleVia temistocle Calzecchi onesti, 5 - 00146 romatel: 06.55340327 - Fax: 06.55340356mail: [email protected] [email protected]

sito Web: www.engimsanpaolo.it

enGim san Paolo Giuseppini del murialdoVia temistocle Calzecchi onesti, 5 - 00146 romAtel: 06.5534031 - Fax: 06.55340364mail: [email protected] Web: www.engimsanpaolo.it

sede di Albano LazialeVia dell’Anfiteatro romano 30 - 00041 Albano Laziale (rm)tel: 06.9320008 - Fax: 06.9324255mail: [email protected]

sede di romaVia degli etruschi, 7 - 00185 romAtel: 06.4441688 - Fax: 06.4441672mail: [email protected]

V E N E T OenGim Venetosede di Coordinamento regionaleContra’ Vittorio Veneto, 1 - 36100 Vicenzatel: 0444.322903 - Fax: 0444.322361mail: [email protected]

enGim Veneto - istituto “G. Costantino”Via murialdo, 1 - 30035 mirano (Ve)

tel: 041.430800 - Fax: 041.430608mail: [email protected] Web: www.engimve.it

enGim Veneto - Patronato “san Gaetano”Via santa maria maddalena, 90 - 36016 thiene (Vi)tel: 0445.361141 - Fax: 0445.384322mail: [email protected] Web: www.engimthiene.it

enGim Veneto - scuola Alberghiera “e. reffo”Viale degli Alpini 26 - 36040 tonezza del Cimone (Vi)tel: 0445.749266 - Fax: 0445.749622mail: [email protected] Web: www.engimtonezza.it

enGim Veneto - istituto “turazza”Via turazza, 11 - 31100 treviso (tV)tel: 0422.412267 - Fax: 0422.410446mail: [email protected] Web: www.engim.tv.it

enGim Veneto - Patronato “Leone Xiii”Contra’ Vittorio Veneto, 1 - 36100 Vicenzatel: 0444.322903 - Fax: 0444.322361mail: [email protected] Web: www.engimvicenza.it

enGim Veneto - istituto “Brandolini rota”Via Brandolini, 6 - 31046 oderzo( tV)tel: 0422.718430 - Fax: 0422.814120mail: [email protected] Web: www.engim.tv.it

enGim VenetoVia treviso, 29 - 36010 Cavazzale di m. Conte otto (Vi)tel: 0444.946846 - Fax: 0444.946846mail: [email protected] Web: www.engimvicenza.it

Dove in Ital iaLaboratori attivi tra istruzione e Formazione

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

S I C I L I A

Cefalù (PA) - CFP “Artigianelli Di Giorgio”Via roma, 90 - 90015 - Cefalù (PA)tel: 0921.422493 - Fax: 0921.420087mail: [email protected]

s. Agata militello (me) - CFP “sacro Cuore”Via Cernaia - 98076 sant’Agata militello (me)tel: 0941.701431 - Fax: 0941.701431mail: [email protected]

termini imerese - CFP “Giacomo Canova”Via ugo Foscolo, 8 - 90018 - termini imerese (PA)tel. e Fax: 091.8112247 mail: [email protected]

trapani - CFP “s. Giuseppe”Via G. errante, 18 - 91100 trapanitel: 0923.872184 - Fax: 0923.542755mail: [email protected]

L O M B A R D I AenGim LomBArDiA - sede di ValbremboVia sombreno, 2 - 24030 Valbrembo (BG)tel: 035.527853 - Fax: 035.339595mail: [email protected] Web: www.engimbergamo.it

enGim LomBArDiA - sede di Brembate di sopraVia Donizzetti, 109/111- 24030 Brebate di sopra (BG)tel. e fax: 035.035.332087mail: [email protected] Web: www.engimbergamo.it

enGim LomBArDiA - sede di Brembate di sopraVia iV novembre, 23 - 24030 Brebate di sopra (BG)tel: 035.621172mail: [email protected] Web: www.engimbergamo.it

EMILIA ROMAGNAenGim emiLiA romAGnA - istituto san PaoloVia Punta stilo, 59 - 48100 ravennatel: 0544.407189 - Fax: 0544.407191mail: [email protected]

enGim emiLiA romAGnA - istituto LugaresiVia Canonico Lugaresi, 202 - 47023 Cesena (FC)tel: 0547.335328 - Fax: 0547.600141mail: [email protected] Web: www.engimcesena.it

P I E M O N T EenGim Piemonte - Direzione regionaleCorso Palestro, 14 - 10122 torinotel: 011.2304301 - Fax: 011.2304320mail: [email protected] Web: http://piemonte.engim.it/

enGim Piemonte - torinoCorso Palestro, 14 - 10122 torinotel: 011.5622188 - Fax: 011.5622335mail: [email protected] Web: www.engim.it/torino

enGim Piemonte - nichelinoVia s. matteo, 2 - 10042 nichelino (to)tel: 011.6809488 - Fax: 011.626917mail: [email protected]

enGim Piemonte - PineroloVia P. regis, 34 - 10064 Pinerolo (to)tel: 0121.76675 - Fax: 0121.374289mail: [email protected] Web: www.engimpinerolo.it

enGim Piemonte - torinoVia torrazza Piemonte, 12 - 10127 torinotel: 011.6821433-547 - Fax: 011.6821593mail: [email protected] Web: http://piemonte.engim.it/

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Direzione nazionale enGimVia degli etruschi, 7 - 00185 romAtel. 06 4441688 - fax. 06 4441672

e-mail: [email protected] - [email protected]