PRESENTAZIONE ATTIVITA’ - Masci Umbria - Movimento ... · REGULA come base ma che si...

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PRESENTAZIONE ATTIVITA’

Il progetto “Salvaguardia del creato” intende portare avanti non solo la

ricerca, l’osservazione e il rispetto della natura, ma anche il risultato

dell’opera dell’uomo: sia materiale – risultato della creatività dell’uomo – sia

spirituale, culturale, sociale ed economico.

Lo studio del Movimento Benedettino si inserisce armoniosamente in questo

progetto in quanto solo la conoscenza e l’approfondimento possono

consentire di custodire e divulgare quanto questo ordine ha lasciato al mondo

ed in particolare al nostro territorio.

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Questo lavoro permette alla nostra comunità MASCI di crescere in spirito e

cultura - Educazione Permanente – e contemporaneamente permette di

addentrarci nell’area del progetto riguardante lo “Studio del Territorio”

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PROGRAMMA ATTIVITA’

8.30 STERPETE : Apertura , “Colazione Benedettina”

cerchio e inizio attività

9,30 SASSOVIVO: “Passeggiata dell’Abate” con attività

11.00 Santa Messa

12.30 Pranzo

14,00 I Benedettini nel Folignate

14.30 Escursione con guida, Cripta Beato Alano - Abbazia

16.00 Cerchio chiusura con Preghiera

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SAN BENEDETTO DA NORCIA

LA V I T A

-- Nasce a Norcia nel 480.

-- Nel 497 si reca a Roma per seguire gli studi letterari.

-- Nel 500 si reca presso Subiaco e fa vita eremitica( in solitudine) per 3 anni

-- Dal 503 al 529 conduce vita cenobitica( in comunità) con i suoi seguaci.

-- Nel 529 parte da Subiaco e con i suoi seguaci si reca a Cassino.

-- Dal 529 al 547 vive a Cassino, costruisce il convento e stende la regola.

- Nel 547, il 21 marzo, muore.

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LA REGOLA : “ ORA ET LABORA “

-- Composta da un prologo e 73 capitoli.

-- Destinata ai cenobiti o monaci veri e propri che vivevano in monastero.

-- Comporta tre voti pubblici perpetui e solenni: povertà, castità e obbedienza.

-- Il monastero deve sorgere in solitudine, deve essere circondato da mura e

attorniato da terre incolte

-- Il monastero deve contenere: Chiesa, Oratorio, Dormitorio, Cucina,

Refettorio,Cellario,Orto,Molino,Vestiario,Officine,Biblioteca,Scriptorium ed

Infermeria.

--Il monastero deve essere autosufficiente e nessuno deve avere l’esigenza

di uscire fuori.

-- Il monaco deve pregare e lavorare.

-- La preghiera è obbligatoria, salmodiata e comune: è cantata o recitata a

voce alta, e occupa gran parte della giornata del monaco.

-- Il lavoro è manuale e intellettuale: manuale –lavori dei campi,pulizia,cucina,

ecc; intellettuale: lettura, scrittura,studio, trascrizione di testi.

- Organizzazione interna:

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ABATE: - Eletto dalla comunità

- Ha ampi poteri: economici, religiosi e organizzativi.

- Programma, decide, sceglie,governa,regge, istruisce.

PRIORE: - Sostituisce l’abate

CELLARIO: - Amministra i beni e provvede al necessario

DECANO: - Segue e prepara 10 novizi

PORTINAIO: - Veglia alla porta

MEDICO: - Prepara i rimedi, cura i malati e forma i futuri medici

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NASCITA E DIFFUSIONE DELL’ORDINE BENEDETTINO

L’EVOLUZIONE NEL TEMPO

500 – 503 Esperienza eremitica di S. Benedetto a Subiaco.

503 – 529 Esperienza cenobitica di S. B. a Subiaco e concezione della

Regola

529 – 547 A Montecassino viene stesa la REGULA MONACHORUM.

540 – 547 Una copia autografa della regola viene mandata da S. B. in

Francia per mano del suo discepolo Mauro.

586 Una seconda copia autografa della Regola viene portata a

Roma presso il papa Zaccaria per l’approvazione che la

rimanda indietro con il libro della regola

VI Sec. L’abate TEODOMATO invia a Carlo Magno una Copia della

Regola da lui stesso trascritta.

VI - VII Sec Il papa S. Gregorio ( 590- 6079) propagò la regola in paesi vicini

e lontani, così tutta l’Europa fu illuminata dalla luce del vangelo.

VIII – IX Sec Pipino il Breve, Carlo Magno, Ludovico il Pio e poi

S. Benedetto di Aniane contribuirono fortemente alla

affermazione della Regola.

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X - XI Sec Fu quasi l’unica regola in tutti i paesi d’Europa : Italia, Francia,

Spagna, Germania, Inghilterra

X – XV Sec Formazione di Congregazioni monastiche che avevano la

REGULA come base ma che si distinguevano per forma di

Governo e costumanze particolari.

Si affermarono così:

CAMALDOLI, CITEAUX, VALLOMBROSA, MONTEFANO,

MONTOLIVETO, SANTA GIUSTINA DI PADOVA.

XVI Sec (1504) Alla congregazione di Santa Giustina si unisce

Montecassino e si chiamò, per opera di Giulio II,

Confederazione Cassinese.

Alla confederazione Cassinese appartengono :

MONTECASSINO; S. PAOLO DI ROMA,

LA TRINITA’ DI CAVA DE’ TIRRENI,

S. MARTINO DI PALERMO,

S.MARIA DI CESENA, S. PIETRO DI PERUGIA,

S. GIACOMO DI PONTIDA, S, PIETRO DI ASSISI,

S. MARIA DI FARFA

XVIII - XIX Sec. Soppressione napoleonica di moltissimi conventi.

.XIX - XX Sec. Ripresa del movimento benedettino.

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LE PRINCIPALI FAMIGLIE BENEDETTINE

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INFLUENZA DEI BENEDETTINI

RUOLO DEI BENEDETTINI :

- Nell’istruzione ecclesiastica : soprattutto per la preparazione del clero di

rito greco e tra i cristiani Armeni . Si sono dedicati in modo approfondito

al canto gregoriano e alla liturgia.

- Nelle Scienze

- Nella Medicina : sono stati protagonisti della più antica scuola medica

europea, quella di Salerno e della più antica scuola chirurgica, quella di

Sant’ Eutizio

- Nell’Agricoltura: bonifica di zone paludose da destinare a colture

alimentari, creazione di nuove specie vegetali adatte all’ambiente dove

operavano.

- Nelle Arti : in special modo nelle miniature e negli intarsi

- Nella Salvaguardia del Creato : operando in armonia con la natura e

valorizzando le risorse naturali esistenti.

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LA SAGGEZZA DELLA REGOLA DI SAN BENEDETTO AL SERVIZIO DELL’ECONOMIA MODERNA

La cultura benedettina divenne nei secoli una vera e propria cultura del lavoro e dell’economia. Ora et labora non è solo un motto o un ideale di vita. Non si tratta di due alternative, ma di due aspetti inscindibili, ognuno dei quali finisce per dare il vero senso all’altro. Ed è proprio a questo tipo di cultura che forse bisogna tornare, per ridare anche oggi piena dignità al lavoro, perché esso ritorni ad essere un valore e non sia solo un mezzo per qualcos’altro. Nell’equilibrio, derivante dalla saggezza della regola, tra attività manuali, economiche e intellettuali, si è sviluppata una cultura monastica, profonda che fu la culla nella quale si formò anche il primo lessico economico e commerciale che informerà di sé l’Europa del basso Medioevo. Le abbazie furono infatti le prime strutture economiche complesse, che richiedevano forme adeguate di contabilità e di gestione. L’esperienza del monachesimo, non solo di quello benedettino, si sviluppò contemporaneamente, o subito dopo, la riflessione sulla vita economica e sulle ricchezze dei Padri della Chiesa. I beni e la ricchezza non vengono condannati in sé, ma solo se male usati, in particolare se usati con avarizia. In questo processo culturale l’esperienza dei monasteri fu particolarmente importante. I monaci, infatti, entravano in contatto con i mercati locali attraverso la vendita delle proprie eccedenze. Nella regola era infatti stabilito che le eccedenze potessero essere vendute sul mercato, ma a un prezzo più basso di quello corrente. E tanto più era oculato l’amministrazione del monastero, tanta più ricchezza si poteva immettere sul mercato. Attorno all’abbazia sono nate le prime forme moderne di distretti industriali. In Italia, dove c’è oggi un distretto della lana, dei filati, delle scarpe, nella maggior parte dei casi in quelle zone anticamente c’era un’abbazia, che divulgava la conoscenza e formava artigiani . L’abbazia diventava quindi luogo di civiltà, era fuori dalla città ma edificava il civile, infatti con il lavoro dei monaci poco per volta i boschi paludosi divenivano eremitaggio, casa religiosa, masseria, abbazia, villaggio, seminario, scuola e infine città. Si può ben dire, infatti, che i borghi e le prime città si svilupparono attorno alle abbazie, presenze stabili a cui tutti potevano far riferimento.

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Lande deserte venivano così trasformate in territori a misura d’uomo. Infine nei monasteri nasce la prima riflessione su alcuni temi economici fondamentali: prezzo, profitto, scambio. Fu nei monasteri che si ebbe la prima riflessione che poi diventerà la legittimazione etica del mercato. Il problema nasceva con le eccedenze. Il grano prodotto che eccedeva bisognava venderlo alla città: ma a quale prezzo? Quale è un prezzo giusto, in linea con il Vangelo?

Inizia allora una riflessione sul giusto prezzo, sul mercato come un luogo non cattivo in sé, una operazione che sarà la base fondamentale perché il mercato potesse svilupparsi non contro la Chiesa, ma all’interno dell’umanesimo cristiano, come avverrà con la scolastica e con la scuola francescana. I monaci furono degli innovatori ,soprattutto in agricoltura, infatti essendo uomini più colti rispetto al resto della popolazione, riuscivano a proporre soluzioni innovative ,inoltre le continue fondazioni favorivano lo scambio di esperienze tra diverse parti d’Europa e le innovazioni si diffondevano velocemente. Infine proprio dalla Regola, che prevedeva la scansione della giornata in tempi di lavoro, di studio e di preghiera, scaturisce la necessità e quindi è di stimolo a trovare tecniche che riuscissero ad accorciare il tempo del lavoro manuale.

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PRESENZA BENEDETTINA NEL FOLIGNATE

Il territorio folignate registra la presenza benedettina a partire dal 1070;

i nuclei benedettini sono stati nel corso della storia alquanto numerosi

ma pochi sono i siti chiaramente riconducibili ad essi. Questi risultano essere

le chiese di: San Salvatore, Santa Maria in Campis , San Nicolò e

Sassovivo,ma a differenza degli altri, solo quest’ultimo è l’unico monastero

che riporta chiaramente le caratteristiche benedettine

.

SAN NICOLÒ - FOLIGNO

La chiesa di S. Nicolò di Foligno “è chiesa antichissima” essendo stata

“edificata circa l’anno 1094 da S. Bonfilio Vescovo di Foligno” e “nel 1120 fu

concessa (…) da Andrea Vescovo di Foligno al Beato Alberto Abate di

Sassovivo, e sua Congregatione”, che vi edificò accanto un monastero e

“v’introdusse molti suoi monaci, con un Priore”. Una prima esplicita menzione

della chiesa si ha, però, soltanto nel 1138, quando con breve di Innocenzo II

ne fu confermato il possesso al predetto cenobio.

Nel 1189, con breve di Clemente III, la chiesa fu nuovamente confermata

all’abbazia di Sassovivo, con l’annessa parrocchia ed i diritti di sepoltura, già

posseduti da circa quarant’anni.

Nel 1281, a seguito di permuta, chiesa e convento tornarono in possesso del

vescovo di Foligno, che nel 1348 - come ricorda lo storico olivetano Placido

Lugano - li affidò formalmente ai monaci Benedettini della Congregazione di

S. Maria di Monte Oliveto, già introdottivi alcuni anni prima.

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Come può rilevarsi da una lettura dell’attuale facciata, la chiesa aveva

all’epoca il medesimo orientamento, ma era di più modeste dimensioni, con

annesso un chiostro, del quale si ha una prima notizia in un atto notarile del

1206.

Chiesa e convento, ridotti in condizioni di fatiscenza, furono ricostruiti dai

monaci Olivetani, che sostennero le ingenti spese grazie ad una donazione di

case e terreni fatta loro dal vescovo.

La chiesa assunse a quel tempo le dimensioni attuali e fu diversamente

orientata. Il portale laterale oggi murato - come si deduce dal contratto per la

ristrutturazione settecentesca dell’edificio - fu aperto infatti quale nuovo

portale principale. Testimonianze dell’intervento trecentesco, oltre che in

detto portale, restano nelle due bifore del chiostro e nella volta a crociera

della sagrestia.

Pochi ma significativi i ricordi del periodo di possesso della chiesa da parte

degli Olivetani: un lascito testamentario del celebre medico Gentile da

Foligno, autore di trattati sulla peste e morto di questo stesso morbo in

Perugia nel 1348, per l’edificazione di una cappella sotto il titolo di Santa

Maria Nova, e la compilazione di due grandi antifonari in pergamena

stupendamente miniati, tuttora conservati nell’archivio parrocchiale, uno dei

quali termina con queste parole: “Antiphonarium istud scriptum fuit et

completum per fratrem lacobum Thadei de aretio … in M°, CCC. LXXI. et

positum in choro de mense augusti de dicto M°”.

Rinunciato dagli Olivetani nel 1434, il complesso conventuale di San Nicolò fu

contestualmente riaffidato dal vescovo Giacomo Elmi ai frati Eremitani di S.

Agostino della Congregazione osservante di Santa Maria del Popolo, detta

successivamente Perugina - essendone capofila il convento di Santa Maria

Novella di Perugia - che ne ottennero la formale concessione nel 1435.

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IL MONASTERO DEL MORMONZONE

Il monastero è ricordato per la prima volta in un atto di donazione nel 1214 .

Nel 1339 risultano esserci i Benedettini – Olivetani che lo lasciano però

attorno al 1350. Del Convento si è interessato in più occasioni , e in seguito, il

Comune di Foligno con elargizioni di danaro; il che testimonia l’importanza

del luogo sacro per la cittadinanza. Nel 1473 risultano esserci i Clareni, ma

nel 1484 il Convento viene donato agli Amadeiti, francescani riformati e vi

rimasero fino al 1568 anno in cui gli Amadeiti furono uniti ai Minori

Osservanti. Nel 1579 il Convento viene consegnato dal Comune di Foligno ai

Carmelitani che si impegnarono a ristrutturare la Chiesa e il Convento. Alla

ristrutturazione della Chiesa ha contribuito la famiglia Jacobilli.

I carmelitani rimangono nel Convento fino al 1653. Nel 1658 al Mormonzone

vanno i Benedettini con i quali il Vescovo aveva fatto una permuta avendo in

cambio il Convento benedettino realizzato nel 1626 vicino ai Canapè. Il

Convento prese il nome di San Benedetto e San Feliciano.

Nel 1816 i Benedettini vendettero al Sig. Paolo Zipoli il convento per 1620

scudi il quale si impegnarono a tenere aperta la chiesa ai fedeli .

CHIESA E CONVENTO DI S. BENEDETTO

La chiesa e il convento di San Benedetto fu eretta nel 1626 dai monaci

Benedettini - Cassinesi. Tale struttura si trovava nei pressi del Parco dei

Canapè , più tardi fu sede del seminario vescovile fino ai primi anni dell’800,

infine sede della tipografia Salvati.

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CHIESA DI SAN SALVATORE

La chiesa originaria apparteneva ad una abbazia benedettina ed è stata

documentata nel 1138. Il monastero è stato successivamente demolito, e San

Salvatore divenne parrocchia

ABBAZIA OLIVETANA DI S. MARIA IN CAMPIS

Per un certo periodo la Chiesa di Santa Maria in Campis fu la Chiesa

prescelta dai Magnifici Priori del Comune di Foligno per alcune cerimone

ufficiali, come ad esempio per la elezione del Podestà di Foligno - si hanno

notizie fin dal 1190 – Egli unitamente ai “suoi Offiziali” vi dimorava per due

giorni prima di prendere possesso del suo ufficio, con grave discapito

finanziario dei Capitolari prima e dei Monaci poi e per le tre cerimonie

mariane del 25 marzo, del 15 agosto e dell’8 settembre, alle quali, in pompa

magna, intervenivano i nostri antichi Padri Coscritti; e per assistere alla Fiera

dei Soprastanti - istituita da tempi remotissimi -, che durava dal 23 al 31

maggio di ogni anno.

Nella prima metà del XV secolo, questa chiesa divenne abbazia generale dei

monaci Cistercensi, ma questi nel 1480, essendo diminuiti di numero si

unirono ai Monaci Olivetani, già noti a Foligno fin dal 1339 per avere essi

officiato il Monastero di San Niccolò, in seguito ceduto, nel 1434, agli

Agostiniani Eremitani, e per essere già in possesso della famosa Abbazia di

Sassovivo.

Tale riunione venne confermata un secolo dopo da Papa Gregorio XIII, di

Casa Boncompagni, e il 24 aprile 1582 Don Pio Nuti, Abate Generale di

Monte Oliveto Maggiore, prendeva solenne possesso del Monastero di Santa

Maria in Campis e lo univa agli statuti della sua Congregazione riconoscendo

privilegi e diritti, trasmessi agli Olivetani dai Monaci Cistercensi, compreso il

titolo abbaziale.

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Dal 1582 al 1818 l’Abbazia Olivetana di Santa Maria in Campis è stata

governata, ininterrottamente, dai Figli del Beato Bernardo Tolomeo,

Fondatore di Monte Oliveto Maggiore, presso Siena . Dopo la restaurazione

del Dominio Temporale, all’indomani della fine dell’impero napoleonico,

durante il quale l’Abbazia venne soppressa e trasformata in ospedale militare,

il famoso cenobio benedettino-olivetano venne definitivamente chiuso dal

Ministero del Buon Governo, malgrado le vivaci proteste degli Olivetano,

esiliatisi nell’abbandonata Abbazia di Sassovivo Agli olivetani subentrò la

Curia Vescovile di Foligno, che adibì la gloriosa Abbazia e sede di esercizi

spirituali e costituì la Chiesa come oratorio pubblico per l’annesso Cimitero

Centrale della città.

Sulla fine del secolo scorso, grazie al vivo interessamento di Mons. Michele

Faloci - Pulignani, in quel tempo Vicario Generale del Vescovo di Foligno

Mons. Carlo Bertuzzi, i Monaci Olivetani rientravano in possesso della loro

antica Abbazia con l’inviarvi un grande erudito, don Placido Lugano, che

divenne poi Abate, dopo aver esercitato più volte il ministero sacro nella

nostra storica Abbazia.

Sotto l’illuminante guida del Sacro Ordine Benedettino-Olivetano, questo

storico luogo è stato, e lo è tuttora, l’oggetto delle più assidue cure

premurose, spirituali e artistiche, che lo rendono celeberrimo per i sacri riti,

che ivi si svolgono con solennità, con decoro, con sfarzo, e per i tesori d’arte

in esso racchiusi, specialmente sotto l’aspetto pittorico.

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LE BENEDETTINE

Il 20 marzo 1379, una donna religiosa ,Morbida di Gennaro da Montecchio,

affittò una piccola casa per sé e due compagne in Via dei Monasteri per

vivere una vita di dedizione al Signore ,nacque così una comunità. Le sorelle,

che erano note come"Povere Donne di Morbida della Penitenza", vissero

sotto l'autorità episcopale,seguendo però una regola riconosciuta. Furono

una delle tante comunità spontanee che si trovano nel Folignate, ebbero

numerose adesioni fra i secoli XIII e XIV. Intorno al 1380, le penitenti di suor

Morbida occuparono un edificio nel rione della Croce, in vocabolo Bissinale,

di proprietà della Chiesa di Santa Maria in Campis. Negli anni seguenti il

sacerdote folignate Marino di Petruccio di Pietro finanziò la costruzione di

quella che divenne la chiesa di Santa Maria di Betlem(così chiamata perché

doveva essere uguale a quella della natività di Betlem). Sorprese la rapidità

con la quale le appartenenti alla chiesa ricevettero le approvazioni pontificie.

Infatti in pochi anni le penitenti del “Monastero di Morbida della penitenza”

ottennero da Papa Bonifacio IX la concessione di indulgenze: a chi avesse

visitato la chiesa in occasione di alcune festività, e a chi avesse atteso alla

costruzione e al mantenimento della stessa. Alla morte di suor Morbida,

fondatrice e guida carismatica delle recluse, seguì un costante processo di

conventualizzazione delle monache di Santa Maria in Betlem, che portò nel

1404, alla professione di fede nelle mani dell’abate di Santa Maria in Campis.

A questa cerimonia furono presenti sia il vescovo Federico Frezzi, che

Costanza Orsini, moglie di Ugolino Trinci, signore di Foligno. Le recluse

ricevettero la professione dal vescovo Giacomo Elmi, entrando così a far

parte della Congregazione Benedettina Cistercense del Santissimo Corpo di

Cristo, facendone propri l’abito bianco e le regole. Tale congregazione fu

l’unica comunità femminile accettata dall’ordine cistercense.

La comunità del SS. Corpo di Cristo nacque ispirandosi ai Cistercensi, ma

non superò mai i confini dell’Umbria. Fu istituita nel 1328 dal Venerabile

Andrea di Paola dei Marchesi di Torre di Andrea (Assisi). Egli era monaco

cistercense in San Benedetto di Gualdo Tadino. Nel 1393 la sede centrale fu

spostata da Gualdo a S. Maria in Campis .

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Nel corso del 1435 si registrò un ultimo tentativo di tornare a seguire la

regola di suor Morbida incarcerata, infatti suor Caterina Lilli, abbandonò il

monastero di Betlem, si ritirò in un reclusorio, contravvenendo a quanto

ordinato dalla badessa, Stefanuccia di Matteo di Pietro da Montefalco. Nel

1435, anno del privilegio, le monache erano cinque, come all’epoca di suor

Morbida; un secolo dopo il numero delle suore salì ad oltre quaranta.

Nell’anno 1582, con la bolla di Papa Gregorio XIII il monastero di Santa Maria

in Campis fu unito alla Congregazione benedettina di Monte Oliveto, insieme

a tutte le sue pertinenze. Nella bolla di Gregorio XIII “Circa pastoralis officii “

del 1 marzo 1582, non si faceva però menzione del Monastero di Santa

Maria di Betlem. Soltanto nel 1718 troviamo un riferimento esplicito

dell’osservanza della regola benedettina olivetana da parte delle monache

di Santa Maria di Betlem. Nel 1820 soltanto quattro delle monache presenti a

Santa Maria di Betlem appartenevano alla Congregazione Olivetana, mentre

tutte le altre seguivano la regola agostiniana. Si estinse così la comunità

delle Olivetane, che era nata dalle incarcerate di suor Morbida

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ORIGINE E SVILUPPO DELLA CONGRAGAZIONE

BENEDETTINA DI SASSOVIVO

Le origini del monastero benedettino di Sassovivo si inseriscono in

quell’eccezionale risveglio del monachesimo a livello europeo che si verificò a

cavallo tra il primo e il secondo millennio dell’era cristiana e che sfociò nella

ben nota “riforma cluniacense”

Anche Foligno ebbe i suoi precoci riformatori del monachesimo in San

Domenico (951-1031) il quale diede vita ad una dozzina di monasteri

esemplari sparsi nell’Italia centrale e in Bonfilio da Osimo (1050-1115),

severo correttore di monaci e di monasteri rilassati, che fu per un certo

periodo vescovo della città Umbra (1078-1099).Proprio sotto il governo

episcopale di Bonfilio, si comincia a parlare, nell’agosto del 1077, di Mainardo

eremita presso la chiesa di Santa Maria “del Vecchio” (de Veccli). Una

chiesa già nota da un documento perduto del 1075 e nell’anno 1080 si diceva

di Mainardo «venerabile monaco e preposto» di quella chiesa. La qualifica di

«preposto» rivela già chiaramente che egli non era solo, indica anzi che era a

capo di una comunità eremitica e cenobitica allo stesso tempo secondo lo

spirito dei grandi restauratori della vita monastica. Infatti, un documento dello

stesso anno 1180 fa riferimento esplicito ai possibili successori di Mainardo,

evidentemente nel governo della comunità, anche se allora probabilmente

esigua. Il fatto poi di vederlo negli anni che seguono definito alternativamente

«preposto» o «eremita», o più semplicemente «monaco et eremita» non crea

difficoltà di sorta. Nel dicembre del 1083, Mainardo compare nei documenti,

per la prima volta con il titolo di abate.

Quindi tra il 1083 e il 1084 era in fase di evoluzione il passaggio da

monastero ad abbazia; per cui, anche la sistemazione dei rapporti intercosi

fino allora, precisamente fin dalle origini documentate del cenobio, con i

signori del luogo, con accordi taciti e condizionamenti non scritti, ebbero una

definizione concreta da parte degli eredi viventi di una potente famiglia di

origine longobarda, i Monaldi,proprietaria di un vastissimo patrimonio terriero,

articolata in vari rami e dislocata in più luoghi dell’appennino Umbro-

Marchigiano.

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A seguito di questa definizione ormai acquisita di Abbazia , Mainardo, appare

sempre più spesso con la qualifica di «abate».

Di lui poco sappiamo di più, se non che resta documentato nella sua carica

fino all’agosto del 1096. Al suo posto, dal settembre successivo, comincia a

comparire l’abate Dionisio (anche egli però a volte definito «custode» o

«rettore»; il che significa che a quei tempi i titoli di preposto, priore, rettore,

abate in qualche modo si equivalessero, o che non gli si attribuisse grande

importanza di distinzione, come poi avverrà successivamente). Le sole altre

notizie su Mainardo si hanno da un documento pontificio a favore dell’abbazia

Si può certamente asserire che Mainardo, era stato anche uomo di azione e

di cultura, e come tale veniva ricordato appena 42 anni dopo la sua

scomparsa. Il fatto di essere il solo ricordato nel primo documento papale a

favore del nuovo istituto monastico dice molto nella sua essenzialità circa il

carisma del fondatore della congregazione religiosa, benedettina sin dal suo

inizio, anche se citata come tale soltanto a partire dal 1149 (Congregatio

Sancte Crucis). Ma già nel 1098 cominciano ad apparire le peculiarità della

comunità monastico/eremitica, quando si parla di persone che offrono se

stesse e i loro beni alla Santa Croce e alla Santa Trinità, ma anche a san

Benedetto.

Questo farà anche il conte Randone figlio del conte Gualtieri, nel 1109,

quando donerà all’abbazia, insieme ad altri beni, la metà del castello e della

corte di Uppello, nel cui distretto essa era sorta e si era rapidamente

sviluppata. Nell’ottobre del 1087 compare per la prima volta il toponimo

attuale in riferimento al “monastero di Santa Croce e della Santa Trinità”: qui

est edificato in Sasovivo. Però, in alternativa, continuerà ancora per molto

tempo a sussistere il toponimo primigenio di Vecchio (o della Vecchia), a

volte anche deformato , e ciò fino all’agosto del 1164, per poi sparire del tutto,

fino a perdersene perfino la memoria. Il solo Sassovivo sopravvivrà

attraverso i secoli, e sia la chiesa che l’abbazia manterranno la sola

intitolazione alla Santa Croce. Nell’anno 1098 si accenna anche

all’obbedienza alla Regola benedettina. Quindi l’appartenenza all’Ordine di

San Benedetto sarà continuativa e costante. L’Ordine di Sassovivo esisteva

già da oltre un secolo, quando verrà citato molto più tardi in un documento

del papa Gregorio IX del 1228

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Negli anni immediatamente precedenti al 1085, dunque, era stata realizzata

la costruzione o l’adattamento di un novo edificio monastico, che è l’abbazia

di Sassovivo quale la vediamo oggi.

Così come il toponimo e l’intitolazione, restano incerti all’origine anche i ruoli

reconditi di opportunità politiche o più semplicemente pratiche dei già citati

patroni, fautori di primo piano della fondazione monastica e della sua rapida

crescita, che soltanto documenti più tardi dicono trattarsi dei conti di Uppello

- il nucleo abitativo più prossimo all’abbazia -, ma che tali devono essere stati

da sempre. I documenti superstiti dicono soltanto che essi erano di origine

germanica e che ancora vivevano “sotto la legge nazionale dei longobardi”, e

che alcune delle molte donazioni loro erano motivate da un impulso spirituale,

per la salvezza dell’anima

Le donazioni a favore di Mainardo e del suo monastero non erano arrivate

soltanto da parte dei conti di Uppello, bensì anche da diversi altri signori, da

altri conti, da ecclesiastici, da più modesti proprietari terrieri, da arricchiti

senza scrupoli, che cedettero corti, tenute, piccoli appezzamenti di terra, a

volte anche con gli uomini che vi lavoravano come semiliberi, con i mulini, le

case, le “peschiere”, le selve, ubicate sui monti nei dintorni di Foligno: a

Scopoli, Leggiana, Pale, Casale, Cascito, Acqua Santo Stefano, Cifo,

Volperino, Fraia, Cupigliolo, Pisenti, Polverana, Sostino, ecc: ma anche nella

pianura allora in gran parte paludosa, tra Spello, Trevi, Montefalco e Spoleto.

Per cui il monastero di Sassovivo raggiunse ben presto una notevolissima

rilevanza economica, basata soprattutto sull’agricoltura, ma anche sulla

oculata gestione dei beni e dei prodotti. Già il fondatore Mainardo procedette

attraverso acquisti e permute al consolidamento di tale posizione. D’altra

parte, è nota fin dalle origini la funzione assistenziale svolta dal monastero di

Sassovivo in favore dei pellegrini e dei viandanti in genere. Nell’aprile del

1106 si ha la prima menzione di un ospizio gestito dai monaci, esistente

presso la Via Flaminia, in località Matigge (Trevi), cui il conte Ugo (di

Gualtiero) assegnerà due terreni nei pressi. Ma la pur abbondante

documentazione superstite non ci dice tutto, per esempio, dell’acquisizione

delle numerose chiese e monasteri con i loro possedimenti e diritti. Soltanto

di alcune di quelle dipendenti da Sassovivo si sa che vennero donate,

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così come le terre, dai legittimi proprietari - molto spesso laici – fin dalle

origini (al 1086 risalgono le prime notizie); altre che vennero costruite

direttamente, altre accorpate in modo diverso. Tutto ciò portò, quasi

inevitabilmente, ad affrontare una serie ininterrotta di controversie e cause

giudiziarie, tra cui emerge tra le prime la vertenza con il vescovo di Spoleto,

nel marzo 1112 a proposito dei diritti vantati dall’abbazia sulla pieve spoletina

di San Pietro foris portam. Mentre, il 4 giugno 1119, l’abate Alberto giunse ad

un accordo con il vescovo di Orvieto circa le chiese possedute nella sua

diocesi. Ma sappiamo già nel 1116 il papa Pasquale II aveva ordinato la

sottomissione a Sassovivo del monastero assai dovizioso di Sant’Apollinare

sul fiume Sambro (nel territorio di Assisi), al fine, è detto esplicitamente nel

documento pontificio, di riportarlo “all’ordine e alla disciplina monastica”. È la

prima annessione importante, che rappresenta oltretutto l’inizio di un rapporto

fiduciario con la sede apostolica che andrà accentuandosi sempre più nei due

secoli successivi. Tutto è indice di una grandezza spirituale, morale e

materiale acquisita in appena quarant’anni di vita dall’abbazia di Sassovivo,

che si avviava a divenire la meglio organizzata dell’Umbria e tra le più potenti

d’Italia: un vero modello da apprezzare e da seguire.

Il suo patrimonio, ben presto, era divenuto immenso, dislocato com’era in ben

dieci diocesi dell’Italia centrale, destinato ad aumentare notevolmente nel

corso del secolo XII, e che comportava il dover affrontare una serie di

difficoltà di gestione con tutti gli inconvenienti intuibili, soprattutto per gli

scontri con i vescovi diocesani al riguardo di situazioni giuridiche

ingarbugliate, ibride o dubbie, per cui spesso si rese necessario l’intervento

della Chiesa Romana per l’ottenimento della giustizia, il ristabilimento della

verità e l’esecuzione delle sentenze. Quasi sempre la sede apostolica, in tali

contrasti giuridici, difese e protesse l’abbazia di Sassovivo nei suoi diritti.

A poco più di 50 anni dalla fondazione, risultavano dipendenti dall’abbazia 33

tra chiese e monasteri, tra cui di eccezionale importanza due chiese di Roma

(quella dei Santi Quattro Coronati, e quella dei Santi Sergio e Bacco presso

l’arco di Settimio Severo al Foro Romano); e le altre dislocate nelle altre nove

diocesi di: Amelia, Assisi, Bagnorea, Camerimo, Foligno, Orte, Orvieto,

Perugia e Spoleto.

26

Tutto ciò risulta da un privilegio del papa Innocenzo II, del 21 maggio 1138,

mediante il quale il monastero di Santa Croce di Sassovivo veniva posto

sotto la protezione della sede apostolica, esentato da qualsiasi soggezione

vescovile, confermato nei suoi possedimenti elencati singolarmente, su

richiesta dell’abate Michele e dei suoi monaci. Trascorsi altri 50 anni, il papa

Clemente III, con altro privilegio del 14 giugno 1188, confermò ancora i

possessi e le dipendenze, naturalmente aumentate notevolmente: le sole

chiese erano salite a 50.

Papa Innocenzo III (1198-1216) con il passare degli anni, aumentò la stima e

la fiducia - di conseguenza la protezione - nei confronti dell’abbazia folignate,

come per nessun’altra del centro Italia, vedendo certamente in essa un

modello di perfezione e quindi un punto di riferimento essenziale

nell’attuazione dei suoi programmi riformatori, che puntavano alla grandezza

universale della Chiesa. Nel 1211 in una lettera, esortava tutti i monaci

dipendenti da Sassovivo a cooperare con l’abate Nicola nell’azione di riforma

del monastero stesso il che ci riconduce al programma perseguito dal

pontefice, e all’importanza che egli annetteva al ruolo dell’abbazia di Santa

Croce di Sassovivo in tale ottica.

Sotto il governo dell’abate Nicola si verificò, inoltre, un fatto assai importante,

relativo al rapporto con il comune di Foligno: “accordo di notevole interesse,

anche perché unica testimonianza del genere nella storia dei monasteri

italiani in età comunale”. Si trattò di una promessa pubblica, solenne,

spontanea, da parte del podestà Carsedonio, del consiglio della città e di tutto

il popolo rappresentato da ben 745 capifamiglia, che giurarono il patto, scritto

e sottoscritto da un pubblico notaio, con cui si prometteva all’abate di

Sassovivo la salvaguardia dei beni e delle persone del monastero, di

costringere all’obbedienza i monaci e i conversi ribelli e contumaci, di tutelare

nell’ambito territoriale del comune l’autorità dell’abate, impegnandosi ad

inserire tutto ciò in un’apposita rubrica degli statuti del libero comune, l’ultima

redazione dei quali (sec. XIV) infatti, conserva ancora nella prima rubrica di

apertura l’obbligo di defendere et manutenere il monasterium Saxivivi e le

sue case nel distretto di Foligno.

27

A cosa fu dovuta tanta liberalità comunale nei confronti di un organismo

religioso? Ancora calcoli politici? Apprezzamento del prestigio che ne veniva

alla collettività civile? Oppure semplice orgoglio cittadino di poter vantare una

comunità modello nel suo genere, la cui organizzazione andava ben oltre gli

angusti confini territoriali del comune? Forse di tutto un po’. Ma non va

trascurato il fatto che Sassovivo rappresentava allora agli occhi della

nascente democrazia locale soprattutto una potenza economica eccezionale,

che andava salvaguardata, oltretutto, quale fonte di ricchezza collettiva.

A Sassovivo affluivano denaro e derrate alimentari da dieci distretti

diocesani: Sassovivo dava lavoro e pane a centinaia di famiglie; tre ospedali

su sette venivano gestiti nel territorio folignate; e tra tanti artigiani che

lavoravano per l’abbazia e sue dipendenze, vanno segnalati gli oltre dieci

notai del luogo che, per il solo periodo che va dal 1201 al 1214, prestavano -

a volte ininterrottamente - la loro opera nell’estensione di atti pubblici. Quindi,

oltre l’aspetto religioso prevalente, Sassovivo rappresentava un’azienda assai

evoluta in continua espansione che garantiva enormi benefici a tutto il

territorio folignate, e un altissimo prestigio al comune stesso, se non altro per

i legami strettissimi mantenuti dall’abbazia con la sede apostolica, che

Foligno - sebbene tradizionalmente ghibellina - non poteva ignorare, e difatti

non ignorò.

I rapporti non filarono sempre lisci come l’atto stipulato avrebbe voluto

auspicare. Appena dieci anni dopo le promesse si verificarono i primi attriti: il

comune aveva garantito l’immunità dei possedimenti monastici, ma ora

pretendeva che gli uomini liberi che vi prestavano la loro opera avessero

dovuto pagare le tasse come tutti gli altri cittadini. Quegli uomini invece,

erano rivendicati dall’abbazia alla stregua degli altri suoi beni, come le terre,

le case, i mulini, quindi anch’essi intoccabili. Il comune, nel 1226, si vide

costretto ad accettare tale situazione, per la verità insostenibile. Sassovivo

l’ebbe vinta grazie al favore incondizionato del papa, allora impegnatissimo

nella difesa della cosiddetta libertas Ecclesiae. Il problema, con scadenze

quasi trentennali, tornò regolarmente a riproporsi. L’abbazia, però, continuò

ad averla sempre vinta, riuscendo fino ad allora a mantenere l’esenzione

fiscale per gli uomini suoi dipendenti.

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Aspetto più unico che raro, l’abbazia di Sassovivo non ebbe - e non cercò

mai - protezioni di sorta da parte del potere politico, mediante privilegi

imperiali o regi, salvo un’eccezione: la richiesta dell’abate Nicola

all’imperatore Ottone IV per la reintegrazione del monastero nei suoi diritti

sulla chiesa di San Salvatore di Mugnano, il 27 novembre 1211; ma soltanto

perché il castellano di Mugnano (Viterbo), Enrico Teutonico, era un ufficiale

imperiale. La richiesta ebbe accoglimento positivo.

Il periodo più fulgido di Sassovivo si ebbe in seguito, sotto l’abate Angelo I

(1222-1260), il quale volle lasciare un segno tangibile della grandezza

raggiunta con la costruzione di un’opera ammirabile a decoro del suo

monastero: lo splendido chiostro fatto lavorare da lui in Roma dal marmoraro

Pietro de Maria, e poi trasportato in pezzi a Sassovivo (lungo il Tevere fino ad

Orte e da li portato a Foligno) dove venne montato tra il 1229 e il 1223.

Sul finire del secolo XIII, ma soprattutto nel successivo, si verificarono le

unioni, a volte spontanee a volte imposte, di altre vetuste abbazie umbre,

alcune delle quali ben più antiche di Sassovivo.

È’ del 1291 (1191?) l’unione spontanea dell’abbazia di S. Stefano di Gallano

(Foligno), con le sue otto chiese dipendenti e molti possedimenti. Fece

seguito la richiesta di unione da parte di un altro celebre monastero umbro,

quello di san Pietro in Valle (Ferentillo) dove era stato monaco il duca

longobardo di Spoleto Faroaldo II (sec. VIII), inoltrata nel 1301, che però non

ebbe seguito. Ancora nel 1318 richiese insistentemente l’aggregazione la

vicinissima abbazia di S. Stefano di Manciano (Trevi), nel vano tentativo di

sfuggire alle mire del vescovo di Spoleto che poi l’ebbe annessa alla mensa

episcopale. È del 1322 l’unione ordinata dal papa del monastero abbaziale di

S. Pietro di Landolina (Nocera Umbra), con le sue tredici chiese e molti beni.

Altre abbazie finite nell’orbita di Sassovivo furono: Sant’Angelo di Limigiano

(Bevagna), nel 1333; San Pietro di Bovara (Trevi), nel 1334; San Felice di

Giano, nel 1373, la cui unione risultò di breve durata, come la precedente;

ultima quella di Santo Stefano di Parrano (Nocera Umbra), nel 1417.

Nel momento della sua massima espansione, Sassovivo governò

complessivamente 140 chiese con i loro rispettivi beni, delle quali ben 92

annesse ai rispettivi monasteri; 41 rettorie e sette ospedali dislocati lungo le

vie di maggior transito della Valle Spoletana e dei valichi appenninici.

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Una tale eccezionale aggregazione di chiese e di monasteri è un chiaro

indizio della grande vitalità e indubbia sicurezza che garantiva l’abbazia di

Sassovivo, anche quando ormai continuava a brillare di luce riflessa, che gli

veniva dal passato, perché anch’essa, come le altre abbazie, cominciava a

manifestare sempre più i segni di quella decadenza che incombeva ormai

generalmente da qualche tempo, e che costrinse il papato a trovare una

soluzione nelle cosiddette “commende”.La commenda indica l’incarico che

veniva assegnato (anche a laici)per gestire l’abbazia in caso di impossibilità

di avere un abate . Tale metodo si rivelò, purtroppo, una cura peggiore del

male. Nel ‘400, tuttavia, divenne una istituzione talmente diffusa che ben

pochi monasteri possono sfuggirla. Quanto più incapaci di reagire ai mali che

li avevano colti e li portavano alla rovina inevitabile tanto più esposti essi

apparivano alle ingerenze di signori esterni che in qualità appunto di

commendatari disponevano liberamente dei beni e dei redditi dei monasteri.

A ciò ci aggiunga l’interessato conferimento di tali cariche da parte della Curia

Romana che assicurava codesti benefici ai personaggi imparentati con l’alta

gerarchia ecclesiastica contemporanea, senza curarsi della loro effettiva

capacità morale ed amministrativa da cui la vita dei monasteri avrebbe potuto

attendersi la rinascita.

I primi segnali di grave decadenza religiosa e morale cominciano a

manifestarsi a Sassovivo fin da quando l’abate Angelo IV (1298-1312)

dovette essere nominato direttamente dal papa Bonifacio VIII, d’autorità, non

essendo riuscita la comunità a trovare un accordo sulla elezione. È’. facile

dunque, intuire l’ostilità di una parte dei monaci nei confronti dell’abate

imposto e le difficoltà da questi incontrate nel governare l’abbazia. La

situazione giunse allora a tal punto che un monaco stilò una denuncia

indirizzata al papa con l’elencazione delle accuse più infamanti contro l’abate,

che però mantenne l’incarico fino alla morte.

Vi fu poi, sempre più pesante, l’invadenza della signoria dei Trinci

(discendenti diretti degli antichi conti di Uppello), che fin dal 1308 avevano

assunto il controllo del comune di Foligno, estendendo progressivamente il

suo potere su varie città e castelli dell’Umbria: Bevagna, Trevi, Montefalco,

Nocera Umbra, Leonessa, Visso, Piediluco, ecc.). Così come alcuni vescovi

della città, anche alcuni abati di Sassovivo, vennero imposti dalla signoria

dominante, anche designando a quei posti chiave, alcuni membri di famiglia:

Troiano Trinci e Giacomo Trinci.

30

La stessa abbazia si trovò, suo malgrado, coinvolta nella politica signorile

locale, nella prima metà del sec. XV sempre più ostile all’autorità della

Chiesa. Per cui il papa Eugenio IV, tramite il cardinale Giovanni Vitelleschi,

decise la distruzione della famiglia Trinci, nel 1439. Lo stesso abate Giacomo

finì i suoi giorni nelle prigioni di Tor di Nona in Roma, il 22 febbraio 1442.

L’ultimo abate della congregazione di Sassovivo, Tommaso da Foligno

(1442-1467) fece di tutto per cercare di sfuggire la inesorabile soluzione della

commenda che ormai incombeva minacciosa: sovrintendendo abilmente e

con grande abnegazione alla nomina dei rettori dei 92 benefici ecclesiastici

dipendenti, arrivando persino al compromesso della designazione di un

estraneo laico, il dottore di leggi Francesco da Sarzana, uditore e segretario

del cardinale bolognese Filippo Calandrino, cui diede in concessione le

rendite della chiesa di Sant’Andrea di Maiano (Spoleto), probabilmente

sperando con ciò di ingraziarsi il cardinale, ma tutto fu inutile. Appena morto

l’abate Tommaso (1467), proprio Calandrino venne nominato primo abate

commendatario dell’abbazia. Egli, nel brevissimo periodo che vi rimase,

riservò a sé e ai suoi successori le entrate e i beni più redditizi. Prima di

partire, delegò alla cura dei suoi interessi il dottore Matteo Venturi da

Recanati, e procuratore con facoltà di accettazione di nuovi monaci e di

nomina dei rettori delle chiese e monasteri dipendenti il dottore Bartolomeo di

Giovanni da Scandiano.

Era veramente la fine della gloriosa congregazione di Sassovivo.

Il cardinale Marco Barbo (nipote del papa Paolo II), succeduto a Calandrino

(1476-1491), in seguito ad un breve del papa Innocenzo VIII (1486) si recò

appositamente a Sassovivo per consegnare il cenobio alla congregazione di

Monteoliveto. L’abate di Monteliveto accettava il contratto di cessione, che

nel frattempo il papa aveva già approvato.

Gli olivetani tennero l’abbazia fino al 1803, quando, con rescritto di

quell’anno del papa Pio VII il monastero fu chiuso definitivamente.

L’abbazia fu soppressa durante l’invasione delle truppe napoleoniche alla fine

del 1700 e la restaurazione del 1814 non servì a ripristinare l’operatività

Nel 1821 venne riesumata la commenda di Sassovivo, che il papa cedette

agli arcivescovi di Spoleto in cambio della perdita di Norcia ricostituita

diocesi. Da allora passò presso la curia arcivescovile di Spoleto quel che

resta del ricchissimo archivio abbaziale di Sassovivo, di cui fa parte il fondo

31

cospicuo di ben 7.436 pergamene, che rappresentano una delle raccolte

documentarie monastiche più consistenti d’Europa.

Nel 1860, con la soppressione dello Stato pontificio, l’abbazia fu

definitivamente spogliata degli ultimi possedimenti e l’immobile stesso fu

suddiviso tra demanio, mensa vescovile (ossia il patrimonio che il Vescovo ha

a disposizione per il mantenimento suo e delle persone al suo servizio) e

famiglia Clarici, che risultano tutt’ora proprietari delle relative quote. Il

complesso abbaziale ritornò all’uso abitativo nel dopoguerra, come villa

estiva del seminario diocesano e dal 1951 al 1957 l’abbazia tornò ad ospitare

uno sparuto gruppo di monaci benedettini esuli da Praga. Finché, nel 1979 il

complesso monumentale venne ceduto dal vescovo di Foligno alla

congregazione Jesus Caritas.

32

UNA VISITA A SASSOVIVO

Probabilmente se non fosse esistito San Benedetto ,non sarebbe esistita

l’abbazia di Sassovivo, o comunque non sarebbe stata quello che oggi si

ricorda nel suo complesso monumentale.

I primi monaci scelsero di vivere sul Monte Serrone.Tale preferenza consente

ancora oggi di verificare come siano state ricercate e rispettate le condizioni

richieste dalle regole benedettine:

1. Il terreno per l’edificazione del monastero doveva essere selezinato in

modo da non subire condizionamenti di ordine economico e politico.

2. Il monastero doveva sorgere in luogo non soggetto a condizionamenti

di tipo sociale e pertanto lontano da donne, laici e chierici.

3. Il luogo doveva rispondere ad esigenze logistiche che consentissero

uno sviluppo autonomo, ossia essere servito da sorgenti abbondanti di

acqua e di trovarsi nelle immediate vicinanze di un bosco.

4. Il luogo doveva garantire un sufficiente reddito per il vitto ed il vestiario

dei monaci

Ovviamente una scelta con queste caratteristiche definiva delle logiche

economiche di tipo chiuso. L’area selezionata per la costruzione consente di

reperire tutti i materiali necessari per l’edificazione:dalla pietra alla calce,

dalla legna all’acqua e alla sabbia.I terreni pianeggianti circostanti si prestano

ad essere disboscati,terrazzati e bonificati,cambiamenti che ancora oggi

sono visibili unitamente all’impianto della coltivazione dell’olivo .Qui

costruirono piccole capanne, realizzando così il primo insediamento.

La prima presenza documentata è quella di Mainardo, un eremita forse

proveniente dal monastero di Sitria sul monte Catria.La scelta del luogo fu

fatta oltre che per le suddette condizioni, anche perché vi si trovava la chiesa

di S Maria de’ Vecchi(o della Valle) .Oggi ne resta solo la Cripta (quella detta

del Beato Alano, essa è così definita in quanto era il luogo dove il Beato

amava ritirarsi per pregare)). Tale cripta rappresenta uno degli esemplari

umbri più antichi di cripte romaniche,purtroppo in stato di degrado e di

abbandono.

33

La loggia che sovrasta la cripta è stata realizzata nel 1442 utilizzando

strutture di epoca medievale.

Il Beato Alano nacque a Vienna nel 1263, di origini nobili; piccolo di

costituzione ma grande per impegno e studio di ogni genere di dottrina.

Lasciò ricchezze ed onori per chiudersi in monastero. Per la sua grande

devozione a Maria si trasferì a Sassovivo dove tale culto era molto sentito.

Fu uomo saggio e retto, ottenendo dal Papa molte indulgenze perpetue per la

chiesa di S. Maria in Valle. Morì in gran santità il 18 luglio 1313.

Il luogo primario dove in seguito si stabilirono i monaci ,fu un deposito che

una vedova del luogo nel 303 aveva fatto costruire per essere sepolta. In un

sogno, un angelo le avrebbe chiesto di seppellire i Martiri S. Abbondio e S.

Carpoforo.

Furono vittime della persecuzione di Diocleziano e la loro morte avvenne

lungo la Flaminia .Eustochia non solo diede sepoltura ai due martiri, ma vi

fece edificare una piccola cappella in loro onore a guisa di cimiterio o grotta,

e li volle in seguito essere seppellita. Solo molto più tardi nel territorio che

comprendeva anche il cimiterio, vi fu costruita una rocca fortificata per i

Signori di Uppello

Sull’origine del toponimo “ Sassovivo” non vi sono certezze, infatti vi

sono almeno due teorie:

1.Sembrerebbe che il termine deriverebbe dalla morfologia del Monte

Aguzzo che, proprio per la forma che si ritrova “Spiccato per intero come un

gran sasso” e caratterizzando il paesaggio ,sarebbe stata il motivo ispiratore

del nome attribuito all’abbazia.

2.La morfologia del territorio ove sorge la basilica era definita “Sasso

Nudo” nei brogliardi del Catasto Gregoriano, da qui il termine Sassovivo.

All’esterno dell’abbazia si può accedere alla passeggiata dell’Abate, un

sentiero che si dipana tra i boschi di piante secolari quali il leccio,le roverelle,

il ginepro e il pino d’aleppo E’ una lecceta secolare tra le più antiche

primigenie dell’Umbria che si estende per circa 7 ettari di terreno ed è Area

Protetta Regionale. Al termine della “Passeggiata “si giunge ad una piccola

cappella (attualmente in degrado)

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Nel maggio 2010 è stato accordato dall’Unesco il

riconoscimento “PATRIMONIO TESTIMONE DI UNA CULTURA DI PACE

UNESCO”, è stata apposta una lapide e il riconoscimento riguarda non solo

l’alta qualità storico-artistica e ambientale, ma la”vocazione di pace” alla

quale l’Abbazia è rimasta fedele dalla sua fondazione.

“I BENEDETTINI” CONCLUSIONI E RIFLESSIONI

Il cammino sulle tracce di S. Benedetto ci ha permesso di arricchirci culturalmente, ma più ancora di riscoprire le radici della vita cristiana e della nostra civiltà. I valori di vita benedettina vissuta secondo il Vangelo sono arrivati a noi come i cromosomi dei nostri antenati. A questo grande personaggio si deve, tra l'altro, la particolare forma di economia di mercato -"l'economia civile"- che è definita anche "economia relazionale"; questa non obbedisce alle leggi del guadagno, né a quelle della scarsità: dare conoscenza non ne priva chi ne fa dono e consente di produrre e scambiare servizi senza altra remunerazione che la gioia di donare. La società attuale, se da una parte mostra segni di grande individualismo, dall'altra presenta una ricca fioritura di persone portatrici di carismi capaci di vedere il bisogno insoddisfatto degli altri e di trasformare quel problema in bene comune. I "cromosomi" benedettini consentono a noi di sperare che ci siano sempre più persone che diano luogo all'economia dell'altruismo, della disponibilità, della gratuità, del dono reciproco, dell'interesse generale." Paolo VI ha proclamato san Benedetto da Norcia patrono d'Europa il 24 ottobre 1964 in onore della consacrazione della Basilica di Montecassino.

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LA MEDAGLIA DI SAN BENEDETTO E IL SUO CORRETTO USO

C.S.P.B.:

Croce del Santo Padre Benedetto

C.S.S.M.L:

che la Croce sia la mia Luce

N.D.S.M.D.:

che il demonio non sia il mio capo

V.R.S.:

Allontanati satana

N.S.M.V:

Non mi persuaderai di cose malvagie

S.M.Q.L.:

Ciò che mi presenti è cattivo

I.V.B.:

Bevi tu stesso i tuoi veleni

EJUS IN OBITU NOSTRO PRESENTIA MUNIAMUR:

Possiamo essere protetti dalla Sua presenza nell'ora della morte.