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Ci voleva un disastro plateale, il crollo dell’opera simbolo dell’investitura di Genova come capitale europea della cultura, per far “scoprire” ai media e alle istituzioni ciò che già sanno benissimo: che i cantieri , compresi quelli pubblici, sono pieni di gente in nero pagata quattro lire, che il caporalato è in ottima salute, che la sicurezza non è nemmeno presa in considerazione, che i controlli non esistono. E che chi ne fa le spese sono sempre più i lavoratori immigrati. Si strapperanno le vesti per qualche giorno, finché dura l’effetto mediatico. Poi tutto tornerà alla normalità: gli immigrati torneranno a riempire le pagine dei quotidiani solo nel ruolo di criminali/invasori/clandestini, gli appalti pubblici riprenderanno il loro corso al massimo ribasso. Così presto ci si dimenticherà di alcune cosette: - Gli organici degli ispettorati del lavoro e dei servizi ispettivi delle ASL sono stati falcidiati, dopo anni di blocco delle assunzioni nel pubblico impiego e di tagli agli Enti locali. - La legge quadro sui lavori pubblici impone un meccanismo di scelta dell’appaltatore basato sul massimo ribasso. - La famosa “Legge Biagi” (D. Lgs. 276 del 10/09/03) amplia le possibilità di intermediazione di manodopera e abroga la legge del 1960 contro il caporalato. - I committenti pubblici, quando il mantenimento del loro ruolo dipende dal consenso elettorale, tendono a far sbrigare i lavori prima possibile per l’equazione + opere = + voti. La priorità è questa, e se l’obbiettivo viene raggiunto col subappalto selvaggio e tirando via sulla sicurezza si chiude un occhio. - Se il lavoratore in nero è un immigrato senza permesso di soggiorno non può denunciare il datore di lavoro perché l’ispettore che accoglie la denuncia ha l’obbligo di trattenerlo e chiamare la questura o i CC per le procedure di espulsione. RASSEGNA STAMPA SUL CROLLO DEL MUSEO DEL MARE A GENOVA Una squadra stava lavorando all'edificio in ristrutturazione E' venuto giù il solaio che stavano disarmando. Quattro feriti. Genova, crolla palazzo al Porto. Operaio muore sotto le macerie.

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Ci voleva un disastro plateale, il crollo dell’opera simbolo dell’investitura di Genova come capitale europea della cultura, per far “scoprire” ai media e alle istituzioni ciò che già sanno benissimo: che i cantieri , compresi quelli pubblici, sono pieni di gente in nero pagata quattro lire, che il caporalato è in ottima salute, che la sicurezza non è nemmeno presa in considerazione, che i controlli non esistono. E che chi ne fa le spese sono sempre più i lavoratori immigrati.Si strapperanno le vesti per qualche giorno, finché dura l’effetto mediatico. Poi tutto tornerà alla normalità: gli immigrati torneranno a riempire le pagine dei quotidiani solo nel ruolo di criminali/invasori/clandestini, gli appalti pubblici riprenderanno il loro corso al massimo ribasso.Così presto ci si dimenticherà di alcune cosette:- Gli organici degli ispettorati del lavoro e dei servizi ispettivi delle ASL sono stati

falcidiati, dopo anni di blocco delle assunzioni nel pubblico impiego e di tagli agli Enti locali.

- La legge quadro sui lavori pubblici impone un meccanismo di scelta dell’appaltatore basato sul massimo ribasso.

- La famosa “Legge Biagi” (D. Lgs. 276 del 10/09/03) amplia le possibilità di intermediazione di manodopera e abroga la legge del 1960 contro il caporalato.

- I committenti pubblici, quando il mantenimento del loro ruolo dipende dal consenso elettorale, tendono a far sbrigare i lavori prima possibile per l’equazione + opere = + voti. La priorità è questa, e se l’obbiettivo viene raggiunto col subappalto selvaggio e tirando via sulla sicurezza si chiude un occhio.

- Se il lavoratore in nero è un immigrato senza permesso di soggiorno non può denunciare il datore di lavoro perché l’ispettore che accoglie la denuncia ha l’obbligo di trattenerlo e chiamare la questura o i CC per le procedure di espulsione.

RASSEGNA STAMPA SUL CROLLO DEL MUSEO DEL MARE A GENOVA

Una squadra stava lavorando all'edificio in ristrutturazione E' venuto giù il solaio che stavano disarmando. Quattro feriti. Genova, crolla palazzo al Porto. Operaio muore sotto le macerie. La procura di Genova apre un'inchiesta. Il sindacato di categoria proclama uno sciopero di otto ore per lunedì: "Poca sicurezza"

GENOVA - Crolla un solaio di uno dei palazzi del Museo del mare e della navigazione di Genova. Sotto ci sono sette operai che stanno lavorando. Prima, avvertono uno scricchiolio, poi viene giù di tutto. Sei operai si salvano, il settimo rimane sotto le macerie. Le squadre di soccorso lavorano tutto il giorno sotto la pioggia per tirarlo fuori vivo. In serata le unità cinofile dei vigili del fuoco individuano il corpo. Un medico si cala nel foro praticato tra le macerie, per vedere se Albert Kolgjegja, 30 anni, operaio albanese, venuto in Italia per lavorare, è ancora vivo. Una speranza flebile. L'uomo non risponde al cellulare né ai richiami. E' incastrato sotto due solette di cemento armato. Una è stata rimossa, per l'altra ci vorranno altre ore. "E' presumibile che sia morto", spiegano in serata i vigili del fuoco. Alle 3, la conferma: l'uomo viene estratto dalle macerie senza vita. E' ormai notte a Genova. I soccorritori scavano alla luce delle fotoelettriche, sotto la pioggia. E' da questa mattina che scavano. Dalle 8,30 quando si è verificato il crollo. Gli operai, albanesi e siciliani, lavorano per una ditta di subappalto, vanno in cantiere anche di sabato, per "alzare" un po' di soldi. Devono disarmare una soletta di cemento armato di un vecchio palazzo in ristrutturazione. Ma la soletta crolla, travolge quelle sottostanti. Viene giù l'impalcatura d'acciaio che sorregge parte della costruzione. "Hanno ceduto le solette

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di cemento, trascinando tutto dietro", ha dichiarato il comandante provinciale dei vigili del fuoco, Davide Meta. La procura di Genova apre un'inchiesta per crollo colposo e lesioni grave colpose. "Un atto dovuto", ha spiegato nel tardo pomeriggio il sindaco Giuseppe Pericu in conferenza stampa congiunta con Renato Picco, presidente della Porto Antico spa, società committente dei lavori nell'ambito dell'appuntamento 2004, Genova capitale europea della cultura. Il sindaco di Genova e le società che hanno appaltato il lavoro spiegano che è tutto regolare. Ma qualcosa non ha funzionato come doveva. Prima di tutto, non tutti gli operai erano regolari. Uno di loro si fa medicare all'ospedale e sparisce nel nulla. Poi qualcuno sostiene che il cemento non era pronto per essere liberato dalle gabbie di acciaio, che i lavori erano in ritardo e che, proprio per questo, le solette sarebbero state liberate prima. La risposta del sindacato è netta: lunedì, a Genova, il lavoro si ferma otto ore, per denunciare che nell'edilizia aumenta il rischio di morire. Parole dure, quelle pronunciate dai sindacalisti davanti alle macerie dell'ala est del costruendo Museo del mare e della navigazione. La prima imputata, in questa tragedia è, secondo i sindacalisti, la fretta: sono i tempi stretti della consegna dei lavori, sono gli operai che lavorano senza le protezioni necessarie, sono i turni massacranti. Oggi è sabato, e in genere nell'edilizia non si lavora. Eppure di quella squadra di sette operai tutti erano presenti. Perché il lavoro andava fatto, perchè il Museo doveva esser pronto per Genova 2004, l'anno in cui il capoluogo ligure sarà capitale europea della cultura. Il sindacato ripete che sarà sciopero perché "la sicurezza non deve essere un optional nei cantieri edili". E tutti gli operai che lavorano nei cantieri del porto di Genova lunedì incroceranno le braccia. Ci vuole riflessione, ci vuole iniziativa, soprattutto ci vogliono i tempi giusti: "il tempo per lavorare. Perché anche una eventuale accelerazione dei lavori - dicono i sindacati di categoria - non deve voler dire che si può anche morire". Gli attimi prima del crollo li ricostruisce Nicolò Flagiello, 32 anni, di Bagheria (Palermo), in forza al cantiere da aprile, il ferito più grave. Ricorda: "Mentre stavamo disarmando il solaio, ho sentito un boato e poi tutto ci è caduto addosso. E' allora che ho pensato di morire e di non vedere più mia madre, i miei familiari. Bisogna chiedere agli ingegneri i motivi di questo disastro - aggiunge - perché noi eseguivamo i lavori secondo i disegni e i tempi programmati". L'altro ferito ancora in ospedale è Skenger Ndoy, 42 anni, albanese, che ha riportato gravi fratture ad una mano. Prima di entrare in sala operatoria, in un italiano stentato, riesce soltanto a spiegare: "Abbiamo sentito un forte rumore e siamo scappati. Io sono fuggito subito e ho anche cercato di stendermi a terra. Eravamo sei, sette persone". Gli altri due operai salvati sono Giovanni Calvo, 41 anni, di Pozzallo (Ragusa), medicato e già dimesso dall'ospedale con 15 giorni di prognosi e un albanese, le cui generalità non sono ancora note, a sua volta dimesso. Dei cinque operai rimasti sotto le macerie tre sono albanesi. Uno, non ce la farà. Albert Kolgjegja, 30 anni, originario di Lura, da tre anni a Genova. Il suo corpo senza vita viene recuperato a tarda notte. Aveva una fidanzata, racconta il cugino Albert, era venuto in Italia per lavorare. Era inserito in una azienda? Era a cottimo? Era al nero? Albert non risponde, piange e dice "lasciatemi stare". C' è qualcuno che dice che gli albanesi guadagnano solo 6 euro al giorno. Ma nessuno conferma, nessuno smentisce.

La Repubblica 8/11/03

La Procura indaga, Maroni ordina un'inchiesta sul gravissimo incidente al Museo del Mare. Ottomila edili "in nero" Non succede solo a GenovaCantiere con appalto pubblico e contratti irregolari

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GENOVA - Sono almeno ottomila, secondo la Fillea-Cgil, gli operai edili che lavorano in nero a Genova. E' l'agghiacciante dato reso pubblico il giorno dopo il gravissimo incidente al Museo del Mare, in cui ha perso la vita il trentenne Albert Kolgjegja, albanese che lavorava in nero in uno dei cantieri più importanti della città. "Gli operai coinvolti nel crollo - afferma il segretario provinciale della Cgil, Venanzio Maurici - non avevano sicuramente un contratto in regola con le norme del settore. Succede a Genova come in altre città". Il ministro del Welfare, Roberto Maroni, ha ordinato un'inchiesta sull'accaduto: "Un fatto orribile, a maggior ragione perché si tratta di un appalto pubblico". Mentre va avanti l'inchiesta della Procura (l'intera area è stata posta sotto sequestro), il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini chiede che le cause di questa tragedia "vengano celermente chiarite". E scoppia la polemica politica. Il sindaco della città Giuseppe Pericu, che si dichiara solidale con lo sciopero indetto per domani dalle associazioni sindacali, viene attaccato dal vicepresidente della Regione, Gianni Plinio. Che afferma: "Sono gravissime le responsabilità del Comune di Genova, almeno in termini di omessa vigilanza". In quel cantiere si operava in carenza di regole per la sicurezza". Commosso il progettista, l'architetto spagnolo Guillermo Vazquez Consuegra. "Non so davvero come sia potuto succedere".

La Repubblica 8/11/03

Si è scavato per più di undici ore sotto l'acciaio.

Si è scavato per più di undici ore sotto l'acciaio. Doveva essere il nuovo museo del mare di Genova, capitale della cultura, ed è venuto giù - dicono - come un mazzo di carte, con un fragore assordante. Poi il dramma. Sotto le macerie resta intrappolato un operaio, altri quattro sono feriti. E' l'ultimo bilancio dell'ennesima tragedia "in cantiere". L'ultima storia di emarginazione e precarietà. Al lavoro, in una giornata di riposo, c'era una squadra di una decina di operai, tutti "migranti". Come i cinque rimasti coinvolti nel dramma: Nicolò Flagiello di Bagheria (Palermo), il più grave, ora al San Martino di Genova con lesioni da schiacciamento o Skender Ndoy, 42 anni, albanese, con 30 giorni di prognosi; o ancora Giovanni Calvo, 51 anni, di Pozzallo (Ragusa) e un altro giovane albanese entrambi dimessi. Infine, come Albert Kolgyegya 30 anni, albanese, di cui solo nella notte viene individuato il luogo in cui è sepolto, sotto le macerie, ma non si sa ancora, mentre si va in stampa, se vivo o morto, anche se la speranza si fa sempre più flebile. «Abbiamo sentito un rumore e siamo scappati», dice nel suo italiano stentato Skender dal suo lettino d'ospedale. «Io ho anche cercato di stendermi a terra. Siamo scappati, ma siamo rimasti sotto tutti insieme. Eravamo sei, sette persone». Non si conoscono ancora le cause del cedimento ma secondo le prime ricostruzioni gli operai stavano disarmando una soletta e per farlo avevano smontato alcuni puntelli. La soletta avrebbe ceduto, trascinandosi dietro la pesante impalcatura. La procura di Genova ha aperto un'inchiesta per crollo colposo e lesioni colpose. Restano da accertare le cause di un «cedimento inspiegabile» come lo definisce Sandro Biasiotti, presidente della Regione Liguria. Sotto accusa la gestione e la tempistica dei lavori commissionati dalla Porto Antico spa alla società "Vecchia Darsena" spa per il museo che doveva essere inaugurato a marzo. Ma l'urgenza non giustifica nulla. Certamente non il motivo per cui quegli operai erano sotto la pioggia battente a togliere i puntelli in una giornata di riposo. «Nello specifico questo cantiere non era nemmeno tanto regolare - denuncia Venanzio Maurici, responsabile della Fillea Cgil -. Quando siamo arrivati abbiamo assistito ad un fuggi fuggi generale che fa capire molto del modo con cui sono stati gestiti i lavori». Con un regime di appalti e sub-appalti incrociati, «tanto che alcune imprese del cantiere fino a qualche giorno fa non erano nemmeno note alla Cassa

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edile», accusa Franco Martini, segretario della Fillea Cgil. E si riaccendono i riflettori sulla mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro. Su quelle morti bianche che ormai - dicono gli edili - sono una «vera mattanza». Nel 2003 sono già 185 gli operai morti. Una vera ecatombe che si registra annualmente. Negli ultimi cinque anni - ancora dati Fillea Cgil - gli incidenti verificatisi hanno provocato 450mila invalidi, di cui 25mila permanenti e 1.600 morti. «Attendiamo il responso delle indagini per capire meglio la dinamica di questa ennesima grave tragedia sul lavoro nei cantieri, ma è difficile - sottolinea ancora Martini - non attribuire anche in questo caso pesanti responsabilità alla prassi del ricorso incontrollato al subappalto, che è diventata la principale forma di attività imprenditoriale nel settore». «Questa è la conseguenza - prosegue - di una deregolamentazione spregiudicatamente perseguita nel settore degli appalti alla quale si aggiungono gli effetti di quella libertà ad organizzare unilateralmente il cantiere, tanto rivendicata dagli imprenditori, che porta alla negazione dei più elementari diritti dei lavoratori, a partire da quelli alla sicurezza. La tragedia di Genova sembra chiamare in causa anche responsabilità progettuali o di gestione del cantiere». Per questi motivi domani Genova si ferma. La risposta di Cgil, Cisl e Uil è il fermo di otto ore proclamato nella zona del porto. Sotto la pioggia si è scavato per un'intera giornata tra le lacrime e la speranza. Appesi al suono di un cellulare, quello di Albert che si faceva squillare senza ottenere risposta. I compagni intorno al cantiere piangono. Albert, dicono, ha una fidanzata ed era venuto in Italia per lavorare. Qualcuno fa circolare la notizia che gli albanesi nei cantieri guadagnano solo 6 euro al giorno. Ma nessuno conferma, né smentisce. «La grave sciagura di Genova - afferma il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani - oltre a ferire la coscienza civile per un ennesimo incidente sul lavoro, esige che si dia risposta alla seguente domanda: come è possibile, in una città come Genova, in un luogo come il porto, che si siano lavoratori in nero, all'opera in un cantiere per Genova 2004? Questa domanda - conclude - è rivolta a tutti, all'amministrazione, alle imprese e al sindacato». Qualcuno risponderà? Castalda Musacchio Liberazione 9/11/03

E' il momento di affrontare la questione sociale.

A quei lavoratori non era concesso neppure il lusso della lotta Non spetta a noi stabilire le responsabilità dirette di quanto è accaduto a Genova, sarà la magistratura a dover svolgere tale ruolo nei prossimi giorni. Mentre scriviamo si sta ancora scavando fra le macerie, con la speranza flebile di ritrovare in vita un giovane operaio albanese di ventotto anni. Ma conosciamo bene il contesto che ha determinato tale tragedia. Nei cantieri per Genova 2004 capitale della cultura, si lavora sempre. Entro i primi mesi del prossimo anno i lavori dovranno essere ultimati, per lasciare spazio al grande evento. Grazie ad una speciale deroga, spesso non ci si ferma neanche il sabato e la domenica, e non si fanno scioperi. Il 24 ottobre, giorno dello sciopero generale, mentre sfilavano a Genova settantamila persone, in quei cantieri si lavorava. Il grande corteo, composto dai lavoratori delle fabbriche del ponente, dagli edili, dai portuali, dai lavoratori dei centri commerciali, dagli studenti e dal movimento dei movimenti, che non a caso aveva scelto di caratterizzare la sua presenza in piazza sul tema della precarietà, scorreva davanti a quel cantiere, invitando inutilmente i lavoratori ad unirsi a quella marea multicolore. Ma per loro non vi era tempo di scendere in piazza per i diritti, i termini della consegna erano troppo ravvicinati. Ai lavoratori non era concesso il lusso della lotta, e forse vedersi decurtato il già misero salario, non sarebbe stato comunque sopportabile. Probabilmente

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per ragioni simili, nonostante il freddo e la pioggia, venerdì e sabato si è continuato a lavorare, ed è possibile che la fretta abbia prevalso sulle norme e sulla ragione, anche quando si è scelto di togliere i puntelli alla struttura. Non lo possiamo ancora sapere. Sappiamo però con certezza quali sono le condizioni di lavoro in tanta parte dell'edilizia. Conosciamo bene il metodo degli appalti e degli infiniti subappalti, che rendono il tutto incontrollabile. Il sindaco Pericu, anche in quanto massimo rappresentante dell'ente appaltatore, ha giustamente detto che si impegnerà a verificare ogni dettaglio sull'accaduto. Ne siamo lieti. Ma crediamo che ciò non basti, e che sia giunta l'ora di mettere complessivamente mano al sistema, imponendo regole su tutti gli appalti, che esigano il rispetto delle condizioni di lavoro, ed oltre ad includere compatibilità di bilancio, siano compatibili con la dignità, la salute e la vita delle persone. In una città come Genova, in cui la povertà cresce, non è più possibile derubricare il tema del lavoro e quindi della precarietà. Vi è poi una particolare condizione di sfruttamento e disagio, che emerge da questo tragico evento, quella degli immigrati, considerati nei fatti uomini e donne di categoria inferiore, privi di voce e diritti. Soltanto due giorni fa abbiamo assistito ad una maxi-retata proprio di fronte al luogo del crollo. Come sempre rileviamo che si è solerti nella repressione, ma ciechi e sordi quanto si tratta di tutelare. Non basta nemmeno la proposta, pur importantissima, del voto amministrativo ai migranti. Qui come altrove, è giunta l'ora di affrontare l'enorme questione sociale, figlia delle politiche liberiste. Anche di questo parlava il corteo del 24 a cui quei lavoratori non hanno potuto partecipare. Simone Leoncini

Liberazione 9/11/03

«Con gli appalti le imprese si muovono senza controllo» La denuncia di Angelo Sottanis, segretario della Fillea Cgil della Regione Liguria

«La sicurezza sui luoghi di lavoro, purtroppo, riemerge solo quando si verificano tragedie come queste». A Genova si è scavato per undici ore sotto le macerie di quello che sarebbe dovuto essere il nuovo museo del mare. Per tutta la giornata si è cercato l'ultimo operaio rimasto intrappolato. Solo nella notte si è individuato il luogo dove era sepolto sotto un cumulo di detriti; ma mentre si scrive, non si sa ancora se sia vivo o morto. E potrebbe esserci anche un altro disperso. La notizia viene confermata anche da Angelo Sottanis, segretario regionale della Fillea Cgil. «Sotto accusa - afferma - ci sono le modalità di produzione delle nuove imprese che mirano, come sempre, a ridurre i costi a scapito della qualità. E, naturalmente, a pagarne il tributo maggiore sono sempre i lavoratori». Anche per questo domani Genova si ferma con uno sciopero generale unitario di otto ore. L'ennesima tragedia in un cantiere edile. Anche in questo caso, sotto accusa, la mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro. Le imprese continuano a muoversi senza alcun controllo... La tensione scatta sempre dopo la tragedia. In Liguria siamo a sei morti sui luoghi di lavoro dall'inizio dell'anno. Ma, sicuramente, anche quel che è accaduto a Genova dipende da quel meccanismo distorto che utilizzano le imprese per diminuire i costi: si lavora con appalti e subappalti attraverso i quali si riducono gli organici, ci si sottrae ai controlli, per scoprire poi che si utilizzano squadre di cottimisti se non addirittura di caporali. Il che significa che si lavora "in nero" con operai che non hanno alcuna garanzia. Anche gli operai coinvolti nell'ultimo crollo erano irregolari? Stiamo accertando la regolarità dei lavori. Quel che è certo è che sappiamo che l'Impreval, una delle imprese che gestiva il cantiere, non ha mai fatto un versamento nella cassa

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edile. Hanno sempre dichiarato che l'appalto era di un'entità tale che non erano obbligati ad alcun versamento. Questo però significa che non c'è alcuna tutela per i lavoratori: ferie, tredicesima e tutti gli istituti contrattuali non sono applicati. Inoltre, è altrettanto certo che gli operai coinvolti nella tragedia non stavano comunque lavorando in sicurezza. Avete avuto modo di fare altre verifiche? A Genova piove a dirotto da 48 ore. Gli operai stavano lavorando sotto la pioggia e non al riparo. Inoltre, c'è anche da accertare l'urgenza dei lavori. Oggi (ieri per chi legge, ndr) è sabato. Un giorno dove solo per motivi straordinari gli operai dovrebbero prestare la loro attività lavorativa e, inoltre, i sindacati ne dovrebbero sempre essere informati. Stiamo accertando tutte queste responsabilità. Sulle cause dell'incidente le ipotesi sulle quali stiamo indagando sono tre: o si è verificato un errore di progettazione o di esecuzione rispetto alla progettazione; oppure si è disarmata la soletta non lasciando il tempo necessario al cemento di compiere la sua reazione chimica. Se c'è un errore di progettazione lo verificheremo. Così come se ci sono stati errori sulla tempistica. Per domani, insieme con Cisl e Uil, avete proclamato uno sciopero di otto ore. Servirà per riflettere su quanto è accaduto e che poteva non accadere? Servirà a riaccendere i riflettori sul problema della sicurezza che coinvolge migliaia di lavoratori su cui persino lo Stato lancia messaggi sbagliati. Questo governo continua a privilegiare il punto di vista delle imprese, e a morire continuano ad essere gli operai. CM

Liberazione 9/11/03

In cinque anni più di 1.400 morti nei cantieri: «Una mattanza»

Una vera ecatombe quella che si registra annualmente sui cantieri edili. Dai dati forniti dalla Fillea-Cgil emerge, infatti, che negli ultimi cinque anni (escluso quindi il 2003) gli incidenti verificatisi hanno provocato 450mila invalidi, di cui 25 mila permanenti e 1. 600 morti. Solo nel 2001, denuncia ancora la Fillea-Cgil, si sono registrati 180mila incidenti e 414 morti. Nel 2002, i morti sono scesi del 18% (340). In generale, il numero di infortuni avvenuti sul luogo di lavoro (oltre i cantieri edili) registrato nel 2002 nel nostro Paese è di circa 1 milione. Questa volta il dato viene fornito dall'Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl). Proprio il 6 novembre scorso Antonio Moccaldi, Presidente dell'Ispels nel corso di un intervento al seminario inaugurale per la designazione dell'istituto come centro di collaborazione dell'Oms, aveva sottolineato che «il fenomeno infortunistico appare ancora rilevante in termini sia di numero di eventi sia di gravità degli effetti conseguenti». Sebbene, infatti, nel 2002 si sia registrata una diminuzione degli infortuni nel settore dell'industria e dei servizi (-3,6% rispetto all'anno precedente) e una crescita occupazionale pari al +1,5%, il numero delle morti sul lavoro in Italia rimane elevato, con 1.400 vittime nel 2002, e pone il nostro Paese tra i primi in Europa nelle statistiche riguardanti tale fenomeno. «La sicurezza nei cantieri edili - denuncia ancora la Fillea-Cgil - non interessa ormai a nessuno. Nel 2003 si contano 185 operai edili morti. Una "mattanza" che non ha fine». «Attendiamo il responso delle indagini per capire meglio la dinamica dell'ultima ennesima grave tragedia sul lavoro nei cantieri, ma è difficile - sottolinea il Segretario Generale della Fillea Cgil, Franco Martini - non attribuire anche in questo caso pesanti responsabilità alla prassi del ricorso incontrollato al subappalto, che è diventata la principale forma di attività imprenditoriale nel settore».

Liberazione 9/11/03

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I cantieri del Museo del Mare dove è avvenuto il crollo che ha travolto sei lavoratori sono stati commissionati dalla Porto Antico spa alla società "V I cantieri del Museo del Mare dove è avvenuto il crollo che ha travolto sei lavoratori sono stati commissionati dalla Porto Antico spa alla società "Vecchia Darsena" spa. Questa ha incaricato dei lavori due delle ditte socie, la Carena e la Cemedile, entrambe genovesi, unite nella"Galata scarl", appaltatore responsabile. Secondo regolare subappalto, dei lavori si è occupata la ditta Impreval, con sede sociale ad Aosta ma da tempo passata a imprenditori bergamaschi. In Valle d' Aosta la ditta si era occupata prevalentemente di lavori commissionati dalle Comunità Montane.

Liberazione 9/11/03

Crollo al Museo, travolti cinque operai Cinque operai travolti nel crollo di un'ala del museo del Mare, nel porto a Genova. Quattro di loro sono stati tratti in salvo nelle ore successive. Il corpo del quinto, un cittadino albanese, è stato recuperato ormai senza vita dai soccorritori durante la notte. Duro giudizio di Epifani

AUGUSTO BOSCHI. GENOVA . «Fine lavori: Novembre 2003». E' la data che si trova sul cartello che indica cosa si sta facendo nel cantiere, i suoi responsabili e il termine stabilito dei lavori. «Una scadenza indicativa - dice un operaio stringendosi le spalle - la data di consegna vera doveva essere a febbraio». Già, perché a marzo, il 18, il presidente Ciampi sarebbe venuto a inaugurare il nuovo Museo del Mare e della Navigazione, una delle opere previste nel programma di «Genova 2004 capitale della cultura europea». Tempi stretti, troppo forse. E forse è proprio nella fretta di concludere presto i lavori che si possono trovare le cause di quanto accaduto ieri mattina, nel cantiere Darsena a Genova. Alle 8.00, dopo un venerdì notte di pioggia, un paio di squadre dell'azienda aostana Impreval salgono sull'edificio che ospiterà il museo: una delle vecchie costruzioni in ristrutturazione che si affacciano sulla Darsena e che - una volta ultimate - termineranno l'opera di recupero del porto antico genovese. In un'altra parte dell'edificio, ai piani bassi, lavorano altre squadre occupate a sistemare la parte già consegnata del nuovo Museo del Mare. Le testimonianze di quanto succede alle 8.30 sono discordi: «Non abbiamo sentito nulla, è accaduto all'improvviso», dice uno degli scampati, un operaio con la barba. «C'è stato come un rumore di terremoto», dice invece Kaci Zaim, anch'egli al lavoro sulle impalcature. Di fatto c'è che la soletta su cui stavano lavorando gli edili della Impreval crolla insieme alle impalcature: sotto i detriti restano in cinque, altri quattro riescono a scappare prima di essere travolti. Subito i vigili del fuoco riescono a estrarre tre uomini dalle macerie; in tarda mattinata anche il quarto viene tirato fuori dall'ammasso di metallo e cemento.Intervistati dal Tg3, alcuni degli operai coinvolti nel crollo hanno dichiarato di essere impiegati in nero. Dei quattro salvati il più grave, ma non in pericolo di vita, è Nicolò Flagiello, 32 anni, originario di Bagheria (Palermo). Gli altri feriti sono Skender Ndoy, 42 anni, albanese, ricoverato con prognosi di 30 giorni; Giovanni Calvo, 51 anni, di Pozzallo (Ragusa), e un giovane albanese, che non ha fornito le sue generalità, entrambi già dimessi dopo essere stati medicati. Sotto le macerie resta ancora Albert Kolgjegja, 30 anni, albanese da tre anni a Genova. I vigili del fuoco lo cercano anche con i cani addestrati, tagliano con il flessibile le strutture di metallo, scavano con le mani nel fango ma via via che la mattinata se ne va, se ne vanno anche le speranze di poterlo trovare in vita.Il sindaco Giuseppe Pericu - il comune di Genova è il committente dei lavori per Genova

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2004 - si precipita sul luogo dove arrivano anche il prefetto Antonio Russo e il presidente della Regione Sandro Biasotti. «Un incidente inspiegabile, molto strano» - dice Biasotti - Qui dovremo rivedere tutto. Ci saranno dei ritardi, ma questo non è importante, l'importante è che non si verifichino più queste tragedie». «Certo che vogliamo che tutto sia pronto per le date stabilite - fa eco il sindaco - ma nel rispetto delle regole della sicurezza». Intanto il procuratore capo Francesco Lalla, che si è recato al cantiere insieme al pm di turno Sergio Merlo, ha aperto un fascicolo per crollo colposo e lesioni gravi colpose e ha disposto il sequestro degli atti e della parte di edificio crollata.Il cantiere è appalto del consorzio formato da Carena e Cemenedil, che a sua volta ha subappaltato alcuni lavori ad altre aziende, tra cui la Impreval di Aosta. In attesa che la magistratura ricostruisca responsabilità e dinamica dell'incidente, sulle cause del crollo si possono fare solo delle supposizioni. Il comandante dei vigili del fuoco di Genova, Davide Meta, ha detto che probabilmente a cedere sono state «le solette di cemento che si sono trascinate tutto dietro» e ha parlato genericamente di collasso strutturale. Il che significa solo che il crollo non è stato provocato da cause esterne, ma non spiega come sia stato possibile che una struttura nuova sia venuta giù come un castello di carte. Di collasso strutturale parla anche Venanzio Maurici, segretario provinciale di Fillea-Cgil che però aggiunge: «Secondo quanto hanno riferito i compagni feriti, gli operai stavano smontando i puntelli dell'impalcatura, disarmando l'ultima soletta. Un'operazione che si fa quando si ha la sicurezza che tutta la struttura sia consolidata. Ma se c'è fretta, se hanno accelerato il procedimento allora...».In Liguria gli incidenti sul lavoro nel 2003 sono stati 16.667 con un aumento dell'1.3% (dati Inail). Gli edili di Cgil, Cisl e Uil, hanno annunciato che, dopo l'incidente di Genova, osserveranno otto ore di sciopero nei cantieri del Porto antico. Nel pomeriggio, il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ha duramente stigmatizzato l'episodio: «La grave sciagura di Genova di oggi, oltre a ferire la coscienza civile per un ennesimo incidente sul lavoro, esige però che si dia risposta alla seguente domanda: come è possibile, in una città come Genova, in un luogo come il porto, che si siano lavoratori in nero, all'opera in un cantiere per Genova 2004? Questa domanda ovviamente è rivolta a tutti, all'amministrazione, alle imprese e al sindacato».

Il Manifesto 9/11/03

LAVORO . La tragica catena delle morti bianche

L'edilizia è da sempre in testa alla vergognosa classifica degli incidenti (e dei morti) sul lavoro. Secondo le statistiche, infatti, il 38% degli infortuni avviene proprio ai lavoratori dell'edilizia, un settore nel quale operano ufficialmente circa 1,6 milioni di lavoratori. Negli ultimi cinque anni (dal 1998 al 2002) a seguito di infortuni 450 mila lavoratori sono rimasti invalidi. Di questi, 25 mila sono gli invalidi permanenti. Quindi non più abili al lavoro e, quindi, percettori di indennità che consentono al massimo una difficile sopravvivenza. Negli stessi 5 anni i morti bianchi sono stati 1.487: secondo le statistiche si può osservare una leggera flessione nel numero dei morti. I dati ufficiali mostrano un leggero regresso del 18% degli incidenti mortali nel 2002. Nonostante questo, dall'inizio dell'anno il cantiere ha ucciso altri 185 lavoratori. A volte si dice: sono gli stessi lavoratori a non rispettare tutte le norme di sicurezza. In parte vero, ma non sono di certo i lavoratori a volere giornate lavorative di 12 ore e più.

Il Manifesto 9/11/03

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«Le nuove regole sugli appalti moltiplicano i rischi»Intervista a Franco Martini, segretario della Fillea Cgil. «Fondi tagliati agli enti locali e i controlli saltano»

FRANCESCO PICCIONI. Il crollo di Genova segue di pochi giorni quello di Guidonia Montecelio (Roma), simile per dimensioni e conseguenze. A Genova, però, l'ambito dell'appalto è «pubblico»; e questo aggrava il sospetto (praticamente una certezza) che la sicurezza dei lavoratori nei cantieri sia l'ultimo dei problemi per le ditte che si aggiudicano gli appalti. Senza che la pubblica amministrazione si curi troppo di controllare il rispetto di regole e leggi. Ne abbiamo parlato perciò con Franco Martini, segretario generale della Fillea Cgil.E' esatta l'impressione che gli infortuni mortali nell'edilizia siano in crescita?

Ci sono dati ufficiali fuorvianti, basati su rilevazioni parziali, che minimizzano molto. Noi abbiamo invece sottoposto il fenomeno a monitoraggio quotidiano, e constatiamo una repentina inversione di tendenza. C'è uno scarto crescente tra dati ufficiali e tendenze reali.Da cosa dipende questo peggioramento?I cambiamenti introdotti da questo governo nella legislazione sugli appalti favoriscono la destrutturazione delle imprese. Apportati per «velocizzare»le grandi opere e cose simili hanno portato a un solo risultato concreto: la convinzione per chi opera nel mercato degli appalti di poter agire in un quadro di regole sostanzialmente allentato. Che favorisce la tendenza delle imprese a «galleggiare» ricorrendo a manodopera in nero e a modalità organizzative nei cantieri fortemente rischiose.Non si fanno più i controlli?Il sistema dei controlli è stato fortemente indebolito. Gli enti locali hanno subito drastici tagli nei finanziamenti e mancano spesso le risorse umane e operative per un controllo e un monitoraggio effettivo. Noi chiediamo sistemi sinergici (tra Asl, Inail, ecc), ma è una continua rincorsa a cantieri che sorgono come funghi in condizioni spesso di aperta illegalità.Il morto di Genova è di nazionalità albanese. Quanto pesa la manodopera straniera nell'edilizia?E' in crescita esponenziale, a livelli preoccupanti. In aree di forte sviluppo - con progetti importanti, come Genova, Torino, i cantieri dell'alta velocità - il ricorso a manodopera straniera sopperisce a una minore disponibilità di quella italiana. Ci sono anche i giovani disposti a entrare in cantiere, ma ne escono prestissimo. In alcune zone del paese il bisogno di forza-lavoro è superiore a quello che possono assicurare i flussi programmati. Per questo, come si visto anche oggi (ieri, ndr) a Genova, dopo un incidente mortale c'è un fuggi fuggi generale all'arrivo di ambulanze, polizia, controlli. Un episodio che la dice lunga sulla reale volontà degli appaltanti pubblici di controllare tutto il processo. E questo allontana da cantiere le «responsabilità in solido» dell'impresa che ha avuto l'appalto ma che non controlla affatto il processo lavorativo reale.

Il Manifesto 9/11/03

Morti sul lavoro: 184 da gennaio, 25 erano stranieri Il leader della associazione costruttori De Albertis: infortuni legati alle irregolarità L' Inail: nei primi sei mesi di quest' anno registrato un calo rilevante degli incidenti IL PROBLEMA SICUREZZA / Nell' edilizia gli extracomunitari in regola sono il 15 per cento degli occupati. Ma il sommerso dilaga

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Rizzo Sergio. ROMA - Nel sito Internet della Fillea, il sindacato degli edili Cgil, c' è un numero che scorre, inesorabile. E' il macabro «pallottoliere», come lo chiama il segretario Franco Martini, dei morti sul lavoro. Lo hanno messo lì perché nessuno dimentichi la mattanza. Alla fine dello scorso mese di ottobre era arrivato al 184. Il numero 1, cioè il primo morto del 2003, era un macedone di 33 anni, schiacciato da un muro perimetrale che gli era crollato addosso, in un cantiere privo di misure di sicurezza, a Sirolo, in provincia di Ancona. Il numero 184, vale a dire l' ultimo, era invece un muratore tunisino di 47 anni, ucciso da una trave caduta da una ruspa, che gli ha fracassato la testa. EXTRACOMUNITARI - Non è una semplice coincidenza. Albanesi, romeni, kossovari, nordafricani, ucraini: nella lista ci sono davvero tutti. Le cifre ufficiali dicono che i lavoratori extracomunitari «legali», quelli iscritti alle casse edili, sono ormai circa il 15% del totale. Ma siccome la maggior parte è sommersa, sono certamente molti di più dei 160 mila che questa percentuale indicherebbe. La dimostrazione sta nel fatto che nelle zone dove è maggiore il tasso di legalità gli extracomunitari che figurano in regola con i contributi previdenziali superano di gran lunga la media nazionale. Martini fa il caso di Firenze, «dove sono il 40%». Così le statistiche sulle morti bianche finiscono forse per perdere di significato. Anche se fanno impressione. Quel «pallottoliere» informa che dal primo gennaio al 31 ottobre di quest' anno nei cantieri italiani sono morti 25 operai stranieri. La maggioranza, una decina, albanesi. Ma ci sono anche cinque romeni, tre magrebini, due macedoni. Poi un kossovaro, un turco, uno sloveno, un ucraino e un sudamericano. IL SOMMERSO - Il caso di Genova non poteva quindi che far riaccendere le polemiche sulla piaga del lavoro nero. Con il durissimo affondo del segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Ma pure Claudio De Albertis, il presidente dell' Ance, l' associazione dei costruttori, punta il dito sul sommerso. «Il problema degli infortuni sul lavoro, per una parte consistente, è correlato al lavoro irregolare. E nel nostro settore il peso di questa componente è decisamente più rilevante», ammette. Aggiunge che gli organismi bilaterali messi in piedi con i sindacati, come le cosiddette «scuole edili», si stanno ponendo «il problema della formazione dei lavoratori extracomunitari ai fini della sicurezza». Ma De Albertis precisa che «i dati mettono in evidenza una diminuzione degli incidenti prossima al 10%». Un trend «che continua ormai da cinque anni». Nei primi sei mesi di quest' anno l' Inail, istituto per l' assicurazione contro gli infortuni, ne ha registrati per il settore delle costruzioni 47.208, a fronte di 51.517 un anno prima. I morti sarebbero diminuiti da 154 a 133, con una flessione del 13,2%, contro il -7,2% dell' industria manifatturiera. Un progresso statisticamente apprezzabile. L' EDILIZIA - Ma il numero 133 significa in ogni caso una vittima ogni 13 mila occupati, frequenza quasi tripla rispetto al rapporto di un morto ogni 33.600 lavoratori che si riscontra nel resto dell' industria manifatturiera. E non può consolare la considerazione che il lavoro in cantiere sia «oggettivamente» più pericoloso di quello in fabbrica. Per giunta, non manca chi mette in dubbio l' attendibilità dei dati ufficiali. Il segretario della Fillea, per esempio, non esita a giudicare «una cosa demenziale l' inversione di tendenza negli infortuni nell' edilizia». MORTI DI NESSUNO - Tanto più, suggeriscono al sindacato, se si leggono in controluce proprio le statistiche dell' Inail. Mentre nell' edilizia si registra infatti un calo di circa 4 mila incidenti, il numero degli infortuni definiti dall' istituto «non determinati» aumenta invece di quasi 38 mila unità, superando il 31% di tutti gli infortuni sul lavoro (449.840) denunciati nel primo semestre del 2003. E se le vittime ufficiali nelle costruzioni scendono da 154 a 133, quelle «non determinate», cioè che non sono classificabili in nessun settore specifico, salgono da 56 a 130, con un aumento del 132 per cento. Passando così, fra i primi sei mesi del 2002 e il periodo gennaio-giugno di quest' anno, dall' 8,5% a ben il 20,1% di tutte le 644 morti bianche censite in Italia. E' forse uno di questi anche Gabril Durnea, clandestino romeno di 25 anni? Il 14 maggio scorso l' hanno trovato cadavere in un vano scala di una palazzina in costruzione a Sarezzo, nella provincia di Brescia. Forse precipitato da un' impalcatura.

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Sergio Rizzo 184 LE VITTIME sul lavoro calcolate sul sito della Fillea, il sindacato edili Cgil, dal 1° gennaio a fine ottobre 47.208 GLI INFORTUNI registrati nei primi sei mesi di quest' anno dall' Inail, a fronte dei 51.517 del 2002 133 I MORTI sul lavoro nei primi sei mesi di quest' anno nel settore delle costruzioni: il 13,2% in meno del 2002 449.840 TUTTI GLI INFORTUNI sul lavoro denunciati nei primi sei mesi del 2003 in ogni settore professionale

Corriere della Sera 9/11/03

Solo numeri

GALAPAGOS. Le morti nei cantieri interessano poco i media: sono giudicate la norma in un mestiere - l'edile - vecchio come il mondo e da tutti giudicato naturalmente pericoloso. Solo eccezionalmente gli «omicidi bianchi» conquistano le prime pagine. Quest'anno è accaduto due volte: quando un operaio è precipitato sul sagrato di piazza San Pietro e quando, un paio di settimane fa, due operai sono morti durante i lavori di una clinica a Guidonia, vicino Roma. Quei due morti attirarono l'attenzione solo perché nei giardini di quella stessa clinica qualche mese prima un gruppo di cani avevano aggredito alcune persone. La conferma che quei morti erano solo numeri si è avuta osservando lo spazio che stampa, radio e tv hanno dedicato allo sciopero di protesta e alle ragioni dei lavoratori e delle loro organizzazioni che chiedevano non salario, ma diritto alla vita. Oggi la stampa sicuramente darà grande risalto al crollo di Genova. Ma non lo farà per scrivere che in quell'incidente sono stati coinvolti Kaci Zaim. Skender Ndoy e Albert Kolgjegja, l'ultimo sotto le macerie. La notizia «vera» è che con il crollo sparisce l'edificio che doveva ospitare il nuovo museo del mare che Carlo Azeglio Ciampi avrebbe dovuto inaugurare il 18 marzo del prossimo anno. Tempi stretti. E allora, via di corsa con i lavori: non si può far attendere il presidente.Incidente improvviso e non previsto, è stato il solito commento. Cedimento strutturale, hanno aggiunto i bene informati. Per favore, lasciamo perdere la fatalità: negli infortuni sul lavoro, in particolare in edilizia, il fato proprio non c'entra. Come per gli incidenti automobilistici la prima causa è la velocità: le otto ore di lavoro debbono essere piene e la produttività altissima. E per risparmiare si ricorre agli straordinari, spesso in nero, allungando l'orario a 10-12 ore. che diventano 15-16 considerando il tempi dei trasporti casa/cantiere/casa. E quando l'orario si allunga, le braccia e le gambe diventano molli, gli occhi si socchiudono, l'attenzione si allenta, così come il rispetto delle norme di sicurezza (salvo l'immancabile caschetto giallo, quasi sempre inutile) a volte trascurate dagli stessi lavoratori, incalzati dai tempi e bisognosi di conquistarsi la fama di bravi operai, senza, però, che il capomastro o il capocantiere trovi nulla da ridire. Anzi.Le cifre di questi omicidi bianchi dovrebbero suscitare sdegno. Invece sembra non interessare che tra il '98 e il 2002 sono stati 1.487 gli ammazzati nei cantieri. Quasi uno al giorno. E nel 2003 non è andata meglio: i morti sono già 185. Per «buon peso» si può aggiungere che tra il '98 e il 2002 gli incidenti hanno creato 25 mila nuovi invalidi permanenti. Persone non più in grado di lavorare, di arrampicarsi sulle impalcature, un lavoro che non gli era stato affidato dal fato.Non a caso l'attività edilizia è sempre più «appannaggio» degli immigrati: non hanno diritto al voto e a una casa, ma sono addetti a costruire le nostre case, a ristrutturale. A lavorare di notte se la casa che stanno costruendo è abusiva. Tanto per gli abusivi c'è sempre un condono, mentre per gli immigrati scoperti c'è il foglio di via. E se protestano per essere regolarizzati corrono il rischio che il padrone di turno gli getti una tanica di benzina addosso e poi accenda un cerino.

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Il Manifesto 9/11/03

TRAGEDIA IN UN CANTIERE, DURANTE LA RISTRUTTURAZIONE DI UN EDIFICIO STORICO . Crolla il Museo del mare, angoscia a Genova

GENOVA . Albert Kolgjegja, 30 anni, era originario di un minuscolo centro delle montagne dell’Albania vicino a Scutari, a Genova faceva l’operaio edile: è morto ieri alle 8,30, schiacciato da una soletta di cemento sotto le macerie di un’ala dello storico edificio cinquecentesco di Galata. Il palazzo è crollato in pochi secondi mentre erano in corso i lavori di allestimento del Museo del Mare e della Navigazione, biglietto da visita di Genova che nel 2004 sarà Capitale europea della cultura. Dopo molte ore di ricerche il punto dove si trovava il corpo è stato individuato, con l’aiuto dei cani dei vigili del fuoco. Un medico ha anche cercato di calarsi in un pozzo scavato tra le macerie, invano. In tarda serata le operazioni sono state sospese e riprenderanno all’alba. Quattro compagni di Kolgjegja se la sono cavata con ferite, più o meno gravi: nessuno è in pericolo di vita. Genova ha vissuto ieri uno dei giorni più neri: una tragedia che sembra arrestare lo slancio della città al cambiamento e alla trasformazione, in corso da vent’anni, del suo imponente centro storico, uno dei maggiori d’Europa, e del Porto antico, ormai inadatto alle moderne tecnologie navali. Molti hanno ricordato che i morti nei cantieri del 1992, quando ci furono le Colombiadi, furono sei, due dei quali allo stadio Luigi Ferraris. Ieri mattina tre solette esterne di cemento armato dell’edificio, quelle aggiunte in un secondo momento alla struttura storica sul lato di levante che «guarda» l’Acquario e la Città dei Bambini, hanno ceduto di colpo. Tra grida, urla di allarme e invocazioni di aiuto, per alcuni minuti la scena è stata avvolta da un fitto polverone: quando s’è diradato, in via Gramsci si udivano le sirene dei vigili del fuoco. È stato bloccato il traffico nella strada parallela al porto storico e sulla Sopraelevata che s’affaccia sul Galata, mentre sulla città imperversava un temporale. Hanno lavorato per tutto il giorno centinaia di soccorritori, impiegando ruspe e cani per la ricerca. Tre operai sono stati subito salvati e portati all’ospedale Galliera (uno è stato dimesso poco dopo); un quarto, verso le 11,30, è stato estratto dai detriti di pietra, legno e cemento. Era malconcio, ma non in pericolo di vita. Poi è cominciata la ricerca di Kolgjegja, rimuovendo le macerie anche con le mani, alla luce dei riflettori, cercando per quanto possibile di evitare l’impiego di mezzi pesanti che potevano causare nuovi crolli. Mentre le ricerche erano ancora in corso è iniziata l’inchiesta. Il sindaco di Genova, visibilmente scosso ha tenuto una breve conferenza stampa a Palazzo Tursi, sede del Comune, dopo aver passato tutta la giornata nel cantiere con i soccorritori. «Il nostro appalto - ha detto - è in perfetta regola, agiamo su terreno comunale per conto della società Porto Antico. Questa a sua volta ha assegnato l’appalto alla Società Vecchia Darsena che opera con i suoi soci, la Carena e la Cemedile». Si tratta di imprese di livello nazionale che lavorano a Genova dal dopoguerra. Il sindaco ha precisato che, sia pure nei limiti di legge, sono previsti i subappalti (come in questo caso) ma ha escluso, salvo atti dolosi o false dichiarazioni, che operassero lavoratori in stato di «illegalità» o retribuiti in nero. Ha aggiunto che, accanto all’inchiesta della magistratura aperta in mattinata (tra i primi ad arrivare sul luogo del sinistro il procuratore Francesco Lalla), ci sarà un’inchiesta amministrativa del Comune. «Sono d’accordo - ha concluso - anche sullo sciopero di 8 ore indetto dai sindacati per lunedì in difesa della sicurezza sul lavoro». Il presidente della Porto Antico (la società che è il braccio operativo del Comune in porto), Renato Picco, ha sottolineato che «i lavori erano realizzati nei tempi previsti, anzi con lievi anticipi»: quindi nessun recupero affannoso per i tagli di nastri previsti per il marzo 2004, alla presenza di Ciampi. Il Galata (nome del quartiere genovese di Costantinopoli) era destinato a diventare il Museo del Mare e a ospitare la copia della galea seicentesca realizzata in Olanda, il cui scafo è giunto a Genova nei giorni scorsi. Il progetto era stato affidato

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all’architetto spagnolo Guillermo Vazquez Consuegra, che alla notizia del crollo s’è messo immediatamente in viaggio per il capoluogo ligure. L’intero edificio è stato transennato e posto sotto sequestro dalla magistratura: i tempi dell’inaugurazione slitteranno. E da oggi comincerà la lunga battaglia dei periti per capire chi, in buona o in malafede, ha sbagliato.

La Stampa - Sezione Cronache italiane 9/11/03

IL SINDACO: LE PROCEDURE ERANO CONTROLLATE E A NORMA I troppi misteri di un «collasso strutturale» Tre ipotesi: errori di progettazione, cattiva esecuzione dei lavori, materiali inadatti

GENOVA . «Pensiamo che il costoso, forse impossibile recupero di questa struttura in cemento armato costituirebbe una stravaganza, una mancanza di fiducia nella capacità dell’architettura contemporanea di dotare di una nuova e suggestiva immagine l’edificio rinnovato». Su Internet suona beffarda, e sinistramente ironica, l’introduzione all’ambizioso progetto di recupero dell’edificio Galata del Porto Antico, destinato ad ospitare il Museo del Mare e della Navigazione nell’ambito di Genova 2004. Beffarda perché sono state proprio le nuove strutture, arditamente progettate dall’architetto spagnolo Guillermo Vazquez Consuegra, a cedere ieri mattina con un drammatico «effetto domino» travolgendo quattro operai. Mentre le strutture storiche, che del Galata sono il cuore antico, sono ancora lì, da secoli. Ieri il sindaco Giuseppe Pericu non ha voluto nemmeno rispondere a chi gli chiedeva anticipazioni sul futuro del progetto, del Museo, sull’inaugurazione - già fissata al 18 marzo alla presenza del Capo dello Stato. «In queste ore il nostro pensiero è rivolto ai feriti, alla persona ancora prigioniera tra le macerie. C’è un’inchiesta, vogliamo capire cos’è successo, perchè un edificio nuovo, realizzato con tecnologie moderne e quasi ultimato, è potuto crollare. Il resto si vedrà. «Collasso strutturale»:, per il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Genova, Davide Meta, è questa la possibile spiegazione per l’improvviso cedimento delle solette di cemento. Una tesi che trova concordi i responsabili sindacali. Si affacciano ora tre ipotesi, tutte inquietanti: errori di progettazione, errori di esecuzione dei lavori, l’impiego di materiali inadatti o insufficienti. Errori che, spesso, costano vite umane. Per Angelo Sottanis, segretario regionale ligure della federazione edili della Cgil, il bilancio del 2003 in Liguria conta già sei vittime. E la tragedia di ieri aggrava questo bilancio. Domani tutti i cantieri edili della Liguria si fermeranno, ci saranno incontri con le aziende e le istituzioni. «Per riflettere sui problemi della sicurezza, sui meccanismi che regolano gli appalti e i subappalti nelle grandi opere, per evitare altri disastri e altri lutti». Si associa Francesco Marabottini, segretario generale Feneal-Uil: «Un episodio gravissimo, che deve far riflettere». Un cantiere, quello del «Galata» per il quale il sindaco Pericu, l’assessore Claudio Montaldo e il presidente della «Porto Antico Spa», Renato Picco, preferiscono non usare il termine «modello», anche se qui come negli altri interventi - «sono state garantite procedure corrette nella trafila dei subappalti e nel rispetto delle leggi, e una particolare attenzione sulle questioni della sicurezza, anche rafforzando i servizi di vigilanza». Anche il sindacato si occupa di verifiche nei cantieri, e spesso i risultati non sono incoraggianti. Marino Tricarico, funzionario Fillea-Cgil, al «Galata» ci andava quasi ogni giorno. «Spesso non riuscivo neppure a entrare, l’atteggiamento non era di grande collaborazione. Gli operai siciliani li avevo già visti. Degli albanesi, che spesso si spostano da un cantiere all’altro, ho informazioni frammentarie. Ieri mattina, davanti al disastro, alcuni operai mi hanno confidato che facevano parte di una ’squadra’’, agli ordini di un ‘’caporale’’. Tutte cose da verificare, ma la normativa non ci aiuta». Appalti, subappalti, obblighi di denuncia alla Cassa edile che scattano solo dopo certi importi e quando il lavoro si protrae per più mesi.

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E’ ancora Sottanis a denunciare: «Nel cantiere del Galata avevamo avuto un paio di questioni: con una ditta che per un certo periodo non aveva pagato i suoi dipendenti e con un’altra che, sostenendo di avere un subappalto inferiore al limite di legge dei 150 mila euro, si rifiutava di versare i contributi alla cassa edile. Grazie a quei contributi avremmo potuto sapere con esattezza chi, quando, dove e come gli operai erano impiegati dalla ditta di appartenenza. E verificare l’esistenza di cottimisti, di lavoratori in nero».

La Stampa - Sezione Cronache italiane 9/11/03

IL RACCONTO DI COLLEGHI E PARENTI DELLA VITTIMA «Una vita di miseria per finire come topi» «Avevamo il permesso, ma nessuno ci affittava un alloggio Abbiamo dormito sotto i ponti, all’aperto: maledetto lavoro»

GENOVA . AVEVA lasciato le povere campagne d’Albania per la sicurezza del lavoro in Italia. Aveva dormito sotto i ponti quando nessuno gli voleva dare una casa, accettando di sgobbare per 10 ore al giorno a 7 euro l’ora, tutti i giorni della settimana senza feste né riposi, fantasma in mezzo agli altri fantasmi clandestini, manipoli agli ordini dei caporali, prima di conquistare una regolare assunzione e il permesso di soggiorno. Per finire, a trent’anni, giovane allegro, generoso e innamorato (la fidanzata lo aspettava a Scutari), tra le macerie di un «gioiello architettonico» di Genova 2004, schiacciato sotto tonnellate di un cemento armato traditore, forse crollato per il peso di una fretta criminale. Albert Kolgjegia era nato a Diber, figlio di contadini. Aveva studiato agraria, grazie al fratello maggiore Ilja che era partito per l’Italia e da qui aveva mantenuto la famiglia facendo il cottimista. Albert voleva sposarsi, ma la terra non bastava per garantirgli il futuro. Così tre anni fa è partito anche lui per raggiungere a Genova il fratello, il cugino, lo zio, l’amico d’infanzia Peka, l’altro amico Kaci. Tutti di Diber, a formare un compatto clan in grado di garantire la prima accoglienza e un lavoro, grazie a «conoscenze», come dice Peka. Albert abitava con il fratello e gli altri familiari in via Belvedere, a Sampierdarena, il quartiere del Ponente dove la comunità albanese è particolarmente numerosa. I parenti e gli amici erano lì, ieri, dalla mattina fino a notte, dietro il nastro bianco e rosso che delimita la zona del crollo del Galata, nella Darsena accanto al Porto Antico: i visi impietriti dal gelo e dal dolore, le mani nelle tasche dei giubbotti di pelle, i jeans consumati, i berretti di lana calati sulla fronte. In silenzio, spiavano il movimento delle benne, il lavoro dei vigili del fuoco che scavavano a mani nude nel terreno sconvolto dai detriti, i tentativi del rotweiller Barbara di localizzare il muratore disperso. Ilja è arrivato alle 22, avvertito da una drammatica telefonata che lo ha raggiunto in Grecia, dove si trovava per motivi di famiglia. Anch’egli muto, le parole raggelate dal dolore, il viso tumefatto dal pianto, gli occhi fissi sulle scintille della grossa sega circolare che aggrediva il cemento sopra suo fratello. «Maledetto lavoro» è il grido trattenuto di Kaci Zaim. Kaci ce l’ha fatta. Ieri mattina alle 8,30 ha sentito tremare il suolo sotto i piedi e l’istinto di sopravvivenza lo ha fatto saltare di sotto, giù dall’altezza di un secondo piano. Ha rischiato la vita per guadagnare dagli 800 ai 1000 euro al mese. Trentasette anni, una moglie e due figli in Albania che non può far arrivare in Italia perchè non riesce a trovare una casa, Kaci zoppica per il salto, il dolore gli attanaglia la schiena, ma non abbastanza da fargli abbandonare il cantiere dov’è rimasto il suo amico Albert. All’ospedale si è fatto medicare e poi è scappato di nuovo in Darsena. «Sono arrivato in Italia quattro anni fa, ho il permesso di soggiorno, ho un lavoro ma nessuno vuole darmi un alloggio in affitto. Le agenzie mi dicono che sono straniero e non possono far nulla. Per un anno ho dormito sotto un ponte, all’aperto, finchè un amico non mi ha dato un letto in casa sua». «Stavamo disarmando le solette, quando tutto ha cominciato a tremare, sembrava il terremoto» racconta. «Quelle solette erano una trappola» dice Peka, che lavora in un altro cantiere nel centro storico. «Ho visto fare le gettate all’ultimo piano

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giovedì» dice. Non può essere vero: ci vogliono 28 giorni prima di poter disarmare, cioè togliere i supporti al cemento armato. «Abbiamo tolto una decina di puntelli ed è venuto giù tutto» conferma Kaci. Skender Ndoy è più vecchio, ha 42 anni ed è ricoverato in ortopedia, con prognosi di un mese. «Abbiamo sentito un boato e siamo scappati, ci siamo buttati a terra, tutti insieme, ma Albert non c’era». Quattro albanesi e due italiani: così era composta la squadra che ieri mattina, sotto il nubifragio, doveva liberare tre solette di cemento armato, avveniristiche terrazze protese verso il mare. Giovanni Calvo, 51 anni, originario di Ragusa, è rimasto ferito in modo lieve ed è stato subito dimesso dall’ospedale. Nicolò Flagiello, 32 anni, palermitano, ha passato tre ore e mezzo sotto le macerie, guidando i soccorritori con il cellulare. Ora è ricoverato in chirurgia, ma non è in pericolo di vita. «E’ stato un incubo» può dire con un filo di voce, il collare che gli immobilizza la testa. Anche Albert aveva il cellulare. Lo hanno chiamato per tutto il giorno, senza ottenere risposta. Le speranze di trovare il giovane muratore ancora in vita si sgretolano alle 19,30, quando è stato visto il corpo, immoto e irraggiungibile. La sega speciale per il cemento, portata da una ditta di Alba, ha continuato per ore a tagliare rabbiosamente le rovine, illuminate dalle fotoelettriche, la benna pronta a rimuovere i detriti. Gli amici di Albert sono rimasti, nel gelo della notte. «Come faremo a dirlo a casa, ai genitori, alla fidanzata?» si chiedeva il cugino sottovoce, perchè Ilja non sentisse.

La Stampa - Sezione Cronache italiane 9/11/03

DOMANI OTTO ORE DI SCIOPERO A GENOVA «Basta tragedie . I cantieri sicuri non sono optional» Epifani: com’è possibile che in una città come questa ci siano lavoratori in nero? Aumenta il rischio di incidenti. Da inizio anno sono 185 le vittime nell’edilizia

Otto ore di sciopero. L’agitazione è stata indetta per domani dai sindacati di Genova, dopo la tragedia di ieri. Vogliono denunciare che nell’edilizia aumenta il rischio di morte e rilanciano la proposta (così come aveva già fatto la Cisl un mese fa) di una «patente a punti» che sanzioni le imprese che non rispettano le norme sulla sicurezza. Il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, s’interroga su «come è possibile, in una città come Genova, in un luogo come il porto, che ci siano lavoratori in nero, all’opera in un cantiere per Genova 2004? La sciagura di Genova oltre a ferire la coscienza civile per un ennesimo incidente sul lavoro, esige che si dia risposta a questa domanda che è rivolta a tutti, all’amministrazione, alle imprese e al sindacato». I sindacati ripetono che si è deciso lo sciopero perché «la sicurezza non deve essere un optional nei cantieri edili. «E’ una mattanza che non ha fine», denuncia la Fillea-Cgil. Secondo i sindacati sono già 185 gli operai edili morti nei cantieri da inizio anno. Solo una settimana fa a Guidonia era crollato il solaio di una cabina elettrica in costruzione, dove sono morti due operai e tre sono rimasti feriti. «Attendiamo il responso delle indagini per capire meglio la dinamica di questa ennesima grave tragedia sul lavoro nei cantieri, ma è difficile - sottolinea il segretario generale della Fillea Cgil, Franco Martini - non attribuire anche in questo caso pesanti responsabilità alla prassi del ricorso incontrollato al subappalto, diventata la principale forma di attività imprenditoriale nel settore». «Una settimana fa a Roma - precisano i rappresentanti sindacali - si operava una gettata di calcestruzzo al buio, dopo 12 ore di lavoro; oggi a Genova si lavorava in un giorno, il sabato, dove solo per motivi straordinari dovrebbe essere prestata l’attività lavorativa e comunque informandone i sindacati e concordando con loro le modalità». Secondo l’Inail, in base alle statistiche dei primi sei mesi del 2003, gli infortuni sul lavoro calano ma gli incidenti mortali restano più di cento al mese, venti dei quali riguardano lavoratori delle costruzioni. La diminuzione del numero di tragedie, secondo i dati ufficiali, risulta dello 0,4% rispetto allo stesso periodo del 2002 (da

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486.449 a 484.512) mentre gli infortuni mortali sono scesi nel periodo da 716 a 694 (-3%). Nei primi sei mesi dell'anno le costruzioni, stando al monitoraggio dell’Inail, hanno registrato un calo di infortuni dell'8% (da 51.517 a 47.208) e le vittime sono state 133. «Ogni anno in Italia si registrano 10 mila cadute dall’alto, causa principale di infortuni nell’edilizia - rileva l’Inail - di queste circa 100 sono mortali. Comunque anche se negli ultimi anni si registra un continuo miglioramento, il settore delle costruzioni resta uno dei più rischiosi con un indice di frequenza pari a 67,85 infortuni indennizzati per 1000 addetti, contro un valore medio nazionale pari a 40,91 e che pone il settore al 4° posto nella scala di pericolosità dopo metallurgia, industria della trasformazione e legno. Le costruzioni salgono al 3° posto (dopo estrazione minerali e trasporti) nella graduatoria di rischio di infortunio mortale». «Gli infortuni nelle costruzioni - dice ancora l’Inail nel suo rapporto annuale - costano alla collettività mediamente all'anno 5 miliardi di euro su un totale di 28.

La Stampa - Sezione Cronache italiane 9/11/03

LA DENUNCIA DEI SINDACATI. La Cgil: 3500 lavoratori in nero Casini: si indaghi sul fenomeno senza timidezze

GENOVA . Sono 3500, secondo la Fillea Cgil, gli operai edili che lavorano in nero nei cantieri di Genova. Dei 12 mila addetti regolari, quasi uno su tre è straniero, in maggioranza ecuadoriani. Secondo le stime del sindacato, «il numero reale degli addetti a Genova è di circa 20 mila operai, e questo vuol dire che per 8 mila persone non si fanno versamenti alla Cassa edile e di questi 3500 sono in nero». In tutta Italia sono 23, compreso il muratore morto ieri, gli extracomunitari che hanno perso la vita nei cantieri edili nel 2003. Dieci sono albanesi. Il giorno dopo il disastro del quartiere Galata, e soprattutto dopo le dichiarazioni del segretario della Cgil Epifani che sabato si è chiesto «com’è possibile che ci siano lavoratori in nero all’opera in un cantiere di Genova 2004», in città ci si interroga sulle condizioni in cui lavoravano gli operai travolti dal crollo, mentre il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, chiede di «indagare senza timidezze per diradare ombre di un possibile utilizzo di lavoro nero». Oggi, intanto, oltre allo sciopero di 8 ore di tutti i cantieri del centro storico, i sindacati incontreranno negli uffici comunali il sindaco, Giuseppe Pericu, e l’assessore ai Lavori Pubblici, Claudio Montaldo. Alle 15 è in programma una riunione tra i rappresentanti confederali di Cgil, Cisl e Uil per discutere altre iniziative. Tra le proposte c’è quella di uno sciopero ligure della categoria. Pericu, che ieri si è recato all’ospedale San Martino per incontrare i due operai ricoverati, Nicolò Flagiello e l’albanese Ndj Skender, ha annunciato che sta preparando una risposta a Epifani: «Se veramente verrà accertato che nei cantieri del Porto Antico ci sono situazioni di lavoro nero, siamo proprio noi, come Comune, a essere parte lesa. Ben vengano dunque le inchieste della magistratura, le iniziative del sindacato, gli accertamenti del ministro Maroni. Provvederemo anche noi con un’indagine amministrativa per verificare il rispetto dei rigorosi capitolati d’appalto che avevamo studiato proprio per evitare iregolarità e abusi». Appalti, subappalti e maestranze. Per Renato Picco della «Porto Antico Spa», tutte le procedure si sono svolte nella massima trasparenza. «La legge consente di subappaltare fino al 30 per cento dell’importo dei lavori prevalenti di un’opera. Il Galata “vale” 50 miliardi di vecchie lire, l’entità del subappalto che Carena-Cemedil ci ha prospettato per la Impreval era di un miliardo e mezzo, quindi nei limiti. Verificata la regolarità dell’impresa, abbiamo dato il nulla osta. Del resto, eravamo tenuti a farlo per legge. Maestranze in nero? Non ci risulta, nè d’altra parte compete al committente fare verifiche in questo senso. Posso però dire che da parte nostra non c’è mai stata alcuna richiesta di accelerazione nei lavori, che procedevano nell’assoluto rispetto di tempi e

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scadenze. Nessuna fretta, insomma». Sul fronte sindacale però, Angelo Sottanis, segretario ligure della Federazione edili della Cgil, incalza con una denuncia e una provocazione. «Sappiamo che la Impreval, l’azienda subappaltatrice che lavorava al cantiere Galata, si era rifiutata di effettuare i pagamenti alla Cassa edile. I dirigenti avevano sostenuto di non essere tenuti a farlo. Sarà l’inchiesta a stabilire se queste circostanze sono reali o no. E allo stesso modo si appurerà se in quel cantiere ci si avvaleva, come da molte parti si sta sostenendo, di lavoratori assunti in modo irregolare. Noi, già domani (lunedì, ndr) faremo un’altra verifica, molto più semplice: capire se per Albert Kolgjegja era stata aperta, a suo tempo, una procedura Inail. In altre parole, se l’operaio vittima di questa tragedia aveva o meno la copertura infortuni che è obbligatoria per legge». Non è tutto. Aggiunge Sottanis: «Bisognerebbe anche indagare sul perché uno degli operai coinvolti nel crollo, medicato sabato in ospedale, si è rifiutato di fornire le generalità alla polizia. La spiegazione potrebbe essere tanto semplice quanto inquietante». m. r.

La Stampa - Sezione Cronache italiane 10/11/03

Un operaio valdostano dopo il disastro denuncia l'azienda per la quale lavorava "Io, irregolare in quel cantiere". E spuntano tre feriti nascosti . Alcuni non sanno neppure da quale azienda dipendono. "Per essere pagati litighiamo con uno di Bergamo"

di GIUSEPPE FILETTO. GENOVA - "Anch'io ho lavorato in quel cantiere, ma in tre mesi ho visto solo 200 euro - dice Giuliano Sarteur, muratore di Verres, in Val d'Aosta - così, con il mio collega siamo andati via il 18 settembre, e dopo abbiamo scoperto che non ci avevano versato neppure un centesimo di contributi". La denuncia arriva subito dopo il crollo dei magazzini "Galata" che dovranno diventare museo nel 2004, anno per Genova Capitale Europea della Cultura. Sabato pomeriggio Sarteur, appena saputo della disgrazia, si è precipitato nel capoluogo ligure all'ospedale San Martino, per avere notizie degli ex compagni. Operai in nero, cottimisti clandestini, immigrati irregolari, trasfertisti senza un domicilio a Genova. Si dice questo ed altro all'indomani del disastro che ha provocato 4 feriti e un morto, Albert Kolgjegja, albanese di 30 anni. Sono i numeri ufficiali, ma la mattina di sabato scorso nel cantiere c'era altra gente. Giovanni Calvo, il capo squadra originario di Pozzallo (Ragusa), all'arrivo al pronto soccorso dell'ospedale Galliera sembra abbia detto ai medici "Sotto le tre solette crollate ci sono sei neri". Lui lavorava al secondo piano, con Albert e Nicola Flagiello, di Bagheria: stavano togliendo i puntelli. Al piano terra c'erano gli altri, quelli che sarebbero rimasti contusi, poi scomparsi, ufficialmente non inclusi nella lista. La mattina del crollo, i militi della Croce Verde di Ponte Parodi hanno caricato sull'ambulanza un altro ferito: un giovane di colore. "All'arrivo al pronto soccorso i medici gli hanno detto di attendere in sala, poiché aveva ferite alle mani - precisa il direttore, Paolo Cremonesi - prima di lui avrebbero medicato Calvo, il più grave, ma quando lo hanno cercato, era sparito". Perché? La sera, mentre si scavava per recuperare il corpo del disperso, un altro manovale ha dovuto ricorrere alle cure ospedaliere. "È venuto da noi, qui, nella sede della pubblica assistenza - ricorda Stefano Rizzo, responsabile della Croce Verde - ci ha detto che aveva male alla schiena, aveva una gamba nera, lo abbiamo portato al Galliera". Alle 21, all'ospedale è stato registrato come Ardian Veizi, 32 anni, anche lui albanese, ha detto di essersi fatto male in un cantiere di via Gramsci, alle 8,30 del mattino, la stessa ora del crollo. Sul referto i medici hanno scritto "contusione alla gamba, alla colonna vertebrale ed escoriazioni multiple". Dimesso, non risulta tra i feriti ufficiali. Sarteur e gli altri confessano di non sapere esattamente con quale ditta hanno lavorato, se

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con l'Impreval con sede a Torino, oppure con la Carena, la Galata o la Cemedil di Genova: "Noi abbiamo sempre trattato con uno di Bergamo. Non so quante telefonate gli abbiamo fatto per poter essere pagati".

La Repubblica 10/11/03

Tutto in regola niente a posto . L'operaio albanese morto a Genova e i suoi compagni erano assunti regolarmente, dice la procura. Non c'è traccia dell'esistenza lavorativa di Albert e degli altri edili, contesta la Cgil. Giovedì lo sciopero sarà generale

MANUELA CARTOSIO. Procura della repubblica di Genova, primo pomeriggio. «Gli operai coinvolti nel crollo, compreso l'albanese morto, erano tutti assunti con regolare contratto», dice ai giornalisti il capo della procura Francesco Lalla. Mattina, Porto antico, manifestazione di protesta degli edili. «A Genova non c'è traccia dell'esistenza lavoratoriva di Albert Kolgjegja. L'operaio non risulta né sui documenti dell'Inps, né su quelli dell'Inail, né su quelli della Cassa edile», dichiara Angelo Sottanis, segretario regionale della Fillea Cgil. Come possono stare insieme due versioni così discordanti? L'unica ipotesi plausibile è che otto operai al lavoro a Palazzo Galata al momento del crollo siano stati «dichiarati» in un'altra città. Probabilmente a Bergamo dove ha sede la Impreval, una delle ditte che operano in subappalto alla costruzione del Museo del mare. E' buona regola registrare gli edili dove c'è il cantiere in cui lavorano. Che non sia stato fatto deve essere sembrato agli inquirenti un'infrazione lieve. Secondo la procura, oltre agli otto dell'Impreval c'era un nono operaio quando sabato mattina ha ceduto la soletta. E' dipendente di una ditta di Genova Voltri e pure lui è munito di regolare contratto di lavoro. E il fuggi fuggi che, secondo più di un testimone oculare, si sarebbe verificato subito dopo il crollo? Il capo della procura non ne fa cenno. E gli edili che sabato si sono fatti medicare «in incognito» negli ospedali genovesi? Secondo la polizia guidiziaria, sarebbero state medicazioni «strumentali» (sic), non collegate «all'evento» nel Porto Antico. Se abbiamo capito bene: gli edili che a Genova sabato si sono infortunati, avrebbero colto l'occasione del crollo a Palazzo Galata per presentarsi a un pronto soccorso. Piuttosto incredibile.Questa versione tranquillizzante cozza con quanto ieri mattina raccontavano gli amici e i compagni di lavoro di Albert Kolgjegja al presidio al Porto vecchio. «Lavoramo senza sicurezza e in nero, a sei euro l'ora, ci chiedevano solo la fotocopia del permesso di soggiorno. Se ce l'avevi, potevi lavorare, non ti chiedevano altro». «Volevano accorciare il tempi, abbiamo disarmato la soletta troppo presto, il cemento era ancora fresco». «Albert era là, l'ho visto sprofondare», dice Zaim Kaci, uno degli scampati alla macerie. Qualcuno ha portato una bandiera albanese, qualcuno ha lanciato fiori oltre le transenne, uno ha lasciato un biglietto con su scritto «nessuno più al mondo deve essere sfruttato».Dopo lo sciopero di ieri degli edili, la protesta contro le morti bianche e il lavoro nero proseguirà giovedì. Cgil, Cisl e Uil genovesi hanno proclamato due ore di sciopero per tutta l'industria, otto per l'edilizia. Al vertice che si terrà giovedì in prefettura i sindacati chiederanno nuove regole per gli appalti e i subappalti pubblici che inchiodino alle loro responsabilità le aziende madri. Oggi la procura dovrebbe scrivere una decina di nomi nel registro degli indagati, nomi di progettisti ed esecutori, non di funzionari comunali. Maroni ha disposto una commissione d'inchiesta del ministero del welfare e annuncia l'istituzione di commissario straordimario per la lotta al sommerso. Quattro ispettori ieri hanno fatto un sopralluogo a palazzo Galata. Hanno interrogato il capocantiere e alcuni dipendenti dell'Impreval; i titolari della ditta non si sono fatti trovare e il sottosegretario Sacconi spera che «si presentino spontaneamente con la documentazione richiesta».Oggi torna in Albania la salma di Albert Kolgjegja, non ci sarà bisogno di autopsia.

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Rientrato ieri da un viaggio all'estero, il cardinale Tarcisio Bertone ha espresso il dolore della chiesa genovese: «La fretta è sempre cattiva consigliera, bisogna tutelare meglio i lavoratori, soprattutto quelli stranieri che rischiano d'avere meno diritti».La tragedia al Porto antico è un'occassione ghiotta per il centro destra per andare all'attacco del sindaco Pericu. Il vicepresidente della giunta regionale Gianni Plinio ne chiede la dimissioni. «Sciacallaggio politico», replica il primo cittadino. Rilancia il gruppo di An in consiglio comunale: «Il sindaco ha omesso verifiche e controlli, deve dimettersi».

Il Manifesto 11/11/03

ANCHE IL MINISTRO MARONI ORDINA UNA INDAGINE . Il museo crollato: tre inchieste e avvisi di garanzia . La tragedia di Genova causata dal cedimento di una soletta appena ultimata

GENOVA . L’ultima fiammella di speranza si è spenta, nella gelida notte del Porto Antico di Genova, intorno alle due di notte, sotto la luce impietosa delle fotoelettriche. Soltanto quando l’ultimo diaframma di cemento armato ha ceduto, rivelando il corpo senza vita di Albert Kolgjegja, trentenne operaio albanese, si è potuto dire ad alta voce quello che tutti, tra le macerie, sapevano da ore: che nessun essere umano avrebbe potuto uscire vivo da quell’inferno. Forse, ed è pietoso crederlo, l’operaio, travolto da tonnellate di cemento e metallo, è morto all’istante senza rendersi conto di che cosa stesse accadendo. I vigili del fuoco, che con la loro esperienza avevano capito prima degli altri che non c’era più speranza, da ore lavoravano senza sosta concentrati sull’obiettivo di ritrovare Albert, di restituire ai suoi cari almeno il corpo. Momenti di fatica, di coraggio, di grande commozione. A Genova, ma non soltanto, il dolore e la rabbia si sono fusi con lo stupore per una tragedia che sembrava impossibile, e per la «scoperta» di un fenomeno - il lavoro nero nell’edilizia - di cui ci si augurava che fossero immuni almeno i grandi cantieri pubblici, quelli sotto gli occhi di tutti. E così l’indignazione espressa sabato dal segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ha trovato immediato riscontro nel ministro del Welfare, Roberto Maroni, che ha annunciato di aver ordinato un'inchiesta per verificare «chi doveva controllare e non ha controllato, perchè quello che è accaduto è tanto più orribile se pensiamo che si trattava di un appalto pubblico». Ieri sono stati eseguiti alcuni prelievi di materiale e sono stati ascoltati alcuni testimoni del crollo. Per oggi sono attese le iscrizioni nel registro degli indagati, un atto dovuto. Ma che cosa è successo, esattamente, in quella maledetta manciata di secondi che sabato mattina, alle 8,30, hanno trasformato un cantiere «facile», per usare le parole del sindaco Giuseppe Pericu, in una trappola mortale? Le inchieste giudiziarie e le perizie daranno una risposta sulle cause, nel frattempo può essere utile ricostruire la dinamica dell’accaduto grazie a Davide Meta, comandante provinciale dei vigili del fuoco di Genova, che è stato tra i primi ad accorrere sul luogo del disastro e che per tutta la giornata ha coordinato i difficili e pericolosi interventi di soccorso. «Attorno alla struttura antica del Galata sono state realizzate solette in cemento armato ancorate in parte alla facciata, in parte a putrelle verticali di sostegno. Delle quattro solette previste, più la quinta con funzioni di copertura, fino a ieri ne erano state ultimate tre. Gli operai stavano procedendo al ‘’disarmo’’ della soletta del secondo piano. Durante le operazioni di rimozione dei puntelli, la soletta ha ceduto provocando due ulteriori crolli: precipitando verso il basso ha travolto con il suo peso la soletta del primo piano, e al tempo stesso ha fatto mancare il sostegno a quella del terzo, la più recente, ancora ‘’fresca’’ e puntellata». Albert Kolgjegja, la vittima, stava lavorando al primo piano, ed è stato quindi travolto da due strati sovrapposti di cemento armato: la soletta crollata alla rimozione dei puntelli e quella ancora superiore. Sulla facciata lato Sopraelevata si vedono sporgere, tranciati di

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netto, i tondini di ferro che collegavano la soletta alla parte antica del palazzo, mentre alcune putrelle verticali sono state piegate come fuscelli, e in un paio di casi proiettate a distanza di metri, distruggendo auto e furgoni. Il disastro apre molti interrogativi: si è trattato di un errore di progettazione, che non ha tenuto conto dei problemi di stabilità e di peso delle solette? Oppure di errori di esecuzione del progetto stesso, oppure ancora l’impiego di materiali non idonei o insufficienti? Nessuno, ieri, ha accettato di sbilanciarsi. Renato Picco, presidente della società committente «Porto Antico Spa», ha smentito le voci secondo le quali le operazioni di «disarmo» della struttura sarebbero state compiute in anticipo rispetto ai canonici 28 giorni necessari per ottenere il consolidamento standard delle strutture. Così almeno - precisa Picco - mi è stato riferito dall’impresa che sta eseguendo i lavori». Turbato il progettista, l’architetto spagnolo Guillermo Vazquez Consuegra che ha appreso della tragedia sabato dalla tv, nella sua casa di Siviglia, e si è precipitato a Genova: «In tanti anni di professione è la prima volta che una mia creatura si comporta così».

La Stampa – Sezione Cronache italiane 10/11/03

La Procura invia oggi gli avvisi di garanzia: c'è anche il progettista spagnolo.Crollo di Genova, dieci indagati. Maroni convoca un vertice sul "sommerso" nell'edilizia Ispezione del ministero, si autodenunciano gli operai "in nero"

di MASSIMO CALANDRI e GIUSEPPE FILETTO. GENOVA - Sono dieci gli indagati per "disastro, omicidio ed incidente colposo". Sono i diversi protagonisti del futuro Museo del mare e della navigazione, quello che doveva essere il fiore all'occhiello di Genova 2004. Sono, dice il procuratore Francesco Lalla, "tutti quelli che hanno avuto un rilievo causale nella tragedia di sabato: dal progettista al capo cantiere, fino al capo della squadra che l'altra mattina dirigeva gli operai". Il magistrato non fa nomi, ma inevitabilmente stamani riceverà un avviso di garanzia anche l'architetto spagnolo Giullermo Vasquez Consegra, che dell'edificio sul porto è titolare del progetto strutturale, architettonico, della progettazione e direzione artistica. E che viene tirato in ballo pure dal consorzio Galata, appaltatore dei lavori: "L'architetto ha firmato anche il progetto esecutivo e strutturale, dovrebbe sapere come hanno fatto i calcoli". Le indagini della Procura sono due, spiega Lalla, mentre un terzo filone (quello della regolarità nell'assegnazione di appalti e subappalti) sarà affrontato nei prossimi giorni: "La prima sul crollo, i motivi e le responsabilità. La seconda sull'eventuale presenza di lavoratori in "nero". Ma vorrei sottolineare che i nove operai presenti al momento del disastro, lo abbiamo accertato, erano in possesso di un regolare contratto edile". Non sa ancora, il procuratore, che altri due manovali - e c'è chi giura che nelle stesse condizioni fossero almeno in venti, tutti extracomunitari - si sono appena autodenunciati: "Noi albanesi eravamo tutti in nero, compreso il nostro amico morto - giura Zaim Kaci - Non abbiamo mai visto una lira ed un contratto, eppure lavoravamo dal 4 ottobre. Ci hanno chiesto solo il permesso di soggiorno". Davanti ai cancelli sigillati dall'autorità giudiziaria, si ascoltano storie di operai irregolari, di caporalato: "Ci presentavamo la mattina alle 7", prosegue Zaim in uno stentato italiano, aiutato da Roland Aiazi, nipote di Albert Kolgjegja, l'operaio morto. "Ai cancelli c'era Domenico, il capo, il siciliano, era lui che ci diceva se c'era lavoro, era lui che faceva le squadre di lavoro. Sei euro all'ora. Domenico non so per chi lavora, ma ho il numero del suo telefonino". Domenico Zocco, dipendente della Impreval, respinge tutto: "Nessuno è in nero, dateci il tempo di preparare la documentazione e vi dimostriamo che tutti erano in regola". La Impreval è finita nel mirino degli ispettori mandati da Roberto Maroni, ministro del Welfare: "Abbiano interrogato solo il capo-cantiere della ditta e alcuni dipendenti, non siamo invece

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riusciti a parlare con i responsabili dell'impresa. Abbiamo chiesto anche ad altri ispettorati di fare queste ricerche, per ora vane. A questo punto speriamo che decidano di presentarsi spontaneamente con la documentazione". Maroni, che vuole entro pochi giorni "una relazione non tanto sui calcoli del cemento armato, ma sull'attività di controllo dei servizi ispettivi del ministero", ha convocato per oggi tutte le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori che sottoscrivono il contratto nazionale del settore edile, i responsabili dei servizi ispettivi di Inps e Inail e dello stesso ministero. E mentre un gruppo di senatori Ds gli presenta un'interrogazione chiedendo "quali iniziative intenda adottare il governo per contrastare il lavoro sommerso nel settore dell'edilizia", parla l'Arcivescovo di Genova, Tarcisio Bertone: "Bisogna tutelare meglio i lavoratori, soprattutto quelli stranieri che rischiano di avere meno diritti. La fretta è sempre una cattiva consigliera".

La Repubblica 11/0303

Niente libro paga né matricola. Ancora irreperibili i dirigenti della ditta che aveva in gestione i lavori al Museo del mareCrollo di Genova, per gli ispettori nel cantiere "gravi irregolarità"

Anche Cgil, Cisl e Uil all'attacco: "Alcuni operai non risultano"GENOVA - Gravi irregolarità, libri paga e matricola non presenti nel cantiere, e amministratori della ditta incaricata dei lavori ancora "latitanti": sono questi i primi risultati dei controlli svolti dai quattro ispettori della Direzione provinciale del lavoro dopo il crollo al Museo del mare di Genova, che sabato scorso ha provocato la morte di un operaio e il ferimento di altri quattro.

Gli ispettori stanno lavorando su mandato del ministro del Welfare, Roberto Maroni, e da oggi anche della Procura, e ancora non hanno potuto mettersi in contatto con i dirigenti dell'Impreval, società con sede ad Aosta e sede operativa in provincia di Bergamo, che sembrano essersi volatilizzati nel nulla.

Amministratore unico della società, da quanto risulta alla Camera di Commercio della Valle d' Aosta, è Giulivo Fenaroli, 46 anni, originario di Adrara San Rocco (Bergamo). "Finora però - spiegano gli ispettori - i nostri colleghi di Aosta hanno trovato in ditta solo una segretaria, che ha fornito alcuni documenti, arrivati oggi via fax". Come detto, l'ispezione ha già accertato gravi irregolarità nella gestione dei lavori e della manodopera. Non sono stati trovati nel cantiere i libri "matricola" e "paga", dove vengono registrati i lavoratori, le ore di lavoro fatte e la paga corrisposta; secondo le prime testimonianze rese dal geometra e dal capo cantiere della Impreval, ciascun lavoratore avrebbe lavorato 30-40 ore alla settimana, mentre dalle dichiarazioni di alcuni operai, molti avrebbero invece lavorato "in nero" molte più ore settimanali, compreso il sabato, e con una paga di 6 euro all' ora. E mentre il dirigente dell' ispettorato del Lavoro di Genova, Carlo Alberto Legittimo, è in viaggio verso Roma, dove è stato convocato dal ministero per conoscere i primi risultati delle indagini, arriva anche un corposo dossier dei sindacati. Quello degli edili di Cgil, Cisl e Uil è un duro atto di accusa. "Alla Darsena - dicono - ci sono ditte subappaltatrici, che contro ogni legge, hanno subappaltato a loro volta ad altre imprese, per ridurre i costi; ed emergono anche irregolarità nell'iscrizione dei lavoratori alla cassa edile e nel pagamento dei contributi Inail ed Inps". A parlare sono i segretari Venanzio Maurici per la Filca-Cgil, Salvatore Sorace per la Fillea-Cisl e Silvio Errico per Feneal-Uil, tutti segretari generali provinciali, hanno detto:

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"più che lavoro in nero, abbiamo riscontrato gravi irregolarità nell'applicazione del contratto e nel lavoro sub-sub appaltato, vietato dalla legge". E poi i sindacati denunciano che Impreval ha pagato i contributi solo a tre degli otto lavoratori che risultavano sul cantiere sabato, e non lo ha fatto alla Cassa edile genovese, ma a quella di Bergamo, contravvenendo a un protocollo d'intesa in proposito. "Le imprese hanno sempre omesso l'informativa ai sindacati stessi sui subappalti - denuncia Maurici - contravvenendo anche all'articolo 15 del contratto nazionale del lavoro". Quanto ai sub-subappalti, vietati dalla legge, "per ora ci risulta solo una ditta di Voltri, per cui lavorava uno degli operai presenti sabato nel cantiere ufficialmente gestito da Impreval - dicono i sindacati - ma non escludiamo che vengano fuori altri lavoratori autonomi o addirittura artigiani". Secondo Cgil, Cisl e Uil, ci sono ancora altre gravi irregolarità. Degli otto lavoratori, risultano oggi in regola solo tre e non risulta l'operaio albanese morto: "nessuno dei lavoratori era iscritto alla cassa edile genovese, come prevede il protocollo e solo tre risultano iscritti a ottobre alla cassa edile di Bergamo". Non c'è dunque traccia degli altri cinque, "ai quali quindi al momento non risulta sia stato pagato nessun contributo". In relazione a ciò, i sindacati fanno rilevare che l'inscrizione all'Inail, per legge, deve avvenire il giorno stesso dell'inizio della prestazione d'opera del lavoratore o al massimo il giorno successivo. Inoltre i singoli lavoratori devono essere registrati anche nel libro matricola tenuto dall'impresa.

La Repubblica 11/03/03

Roma, tra gli operai che costruiscono venti palazzi a Tor Vergata: "Paghe basse e la sicurezza..." Viaggio nei cantieri senza regole "Solo uno su tre ha il contratto"

di RICCARDO DE GENNARO. ROMA - "La metà un corno: per ogni lavoratore in regola, ce ne sono due in nero, anche tre", sussurra un operaio sgattaiolando via da uno dei cantieri edili di Tor Vergata, dove stanno tirando su una ventina di palazzi. "Lavoro nero? Ce n'è tanto, tanto, tanto", conferma un suo collega più anziano. Lui si ferma. Si chiama Francesco Anello, 62 anni, una vita intera nei cantieri. Racconta di un'edilizia che non c'è più: "Sono 6-7 anni che il settore è caduto sotto la tazza del cesso. Qualità del lavoro e paga fanno schifo". Dice che "oggi i padroni non guardano più l'esperienza, non ti chiedono cosa sai fare, conta solo se sei giovane, robusto e se te ne freghi di salire lassù senza protezioni". Perché la sicurezza costa: "Pesa per il 60 per cento ed è la prima cosa che tagliano. Poi c'è che non tutti gli immigrati sono all'altezza", aggiunge Anello. Ma bisogna capirli. Basta ascoltare George Golie, berrettino giallo in testa con la scritta "Lavorare in sicurezza", oppure Ovidio, tutt'e due rumeni che in patria facevano un altro mestiere. Il primo in dogana, confine con la Moldavia, poi in una cantina sociale, il secondo poliziotto. "Faccio questo lavoro perché è tutto quello che ho trovato", dice Ovidio, 31 anni, in Italia da quattro. "Poi succede che il padrone non ti paghi per due mesi e per avere quello che ti spetta devi minacciarlo di brutto, o denunciarlo", racconta. Ma la maggior parte accetta sfruttamento e ricatto. Le loro storie fanno impallidire i muratori di Riff raff, il film di Ken Loach. Viktor è albanese, proviene dallo stesso villaggio di Albert, l'operaio edile rimasto ucciso a Genova: "Lo conoscevo, conosco la sua famiglia, era partito prima di me. Il problema è che controlli non ce ne sono, gli ispettori vengono qui e non chiedono nulla, parlano con il principale, si fermano ai cancelli, a noi non chiedono neppure i documenti". Prima di "strappare" un permesso di soggiorno, Golie viveva come tutti gli edili extracomunitari in nero: "Paga di 25 euro al giorno per 9-10 ore di lavoro, 17 euro i miei figli. Lavoravamo la calce senza

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guanti e mascherine, il padrone ci faceva dormire in un cascinale senza acqua, vietato accendere la luce, vietato uscire, per non farsi scoprire dai carabinieri". Poi gli ha detto: "O mi regolarizzi e mi dai almeno 50 euro, o ti denuncio". A fine luglio ce l'ha fatta: "Ma mi sono pagato io la Bossi-Fini, 320 euro più 40 di spese". Prima di andarsene Golie mostra il contenuto del sacchetto di plastica: una mozzarella, un po' di funghi trifolati, una pagnotta, una birra. Il suo pranzo. Ha 45 anni, ma ne dimostra 60. La vita da schiavi dei manovali rumeni comincia sui marciapiedi di viale Tor di Quinto. Di qua loro, dall'altro lato i moldavi. Stessa scena in via dell'Acqua Cetosa, o in via Togliatti. Sono i tre grandi punti di raccolta della manodopera clandestina. Arrivano all'alba, quando se ne sono andate le prostitute. Sembra prostituzione anche la loro: una macchina accosta, il guidatore propone una cifra, tipo 2-3 euro all'ora, l'operaio sale e viene portato in cantiere. Tutto in silenzio, tutto in nero. Guai a protestare. Marian Fleica l'ha fatto, il padrone l'ha gettato giù da una scala. È rimasto due settimane in rianimazione al S. Camillo, tre costole rotte. Per venire in Italia e fare questa bella vita i rumeni pagano al caporalato internazionale 600 euro, i moldavi - che sono più lontani - 2000-2.500. Sono entrati di nascosto, non si sa come, probabilmente nascosti dentro scatoloni con un foro per l'aria, trattati come bestiame. "Mi hanno detto che la scorsa settimana, un certo Aldo di Foggia - racconta uno di loro - ne ha fatti venire dodici dalla Romania, grazie a un contatto con una donna rumena". Mostra un bigliettino, c'è scritto un nome: Valeria S. I suoi 12 connazionali ora lavorano nei campi, a cottimo. Sono scomparsi dalla Romania, non esistono in Italia. Fantasmi. I sindacalisti della Fillea-Cgil del Lazio si sono messi in testa di fotografarli. Nel frattempo, non mollano sulla sicurezza: "Vogliamo un'agenzia regionale che si occupi solo di questo", dice il segretario Sandro Grugnetti, che contesta i dati sugli infortuni. "Non è vero che diminuiscono - dice - non vengono denunciati. Com'è che qui, nei primi 10 mesi del 2003, abbiamo avuto 12 morti, contro i due dell'anno scorso?". È che i morti non si possono nascondere.

La Repubblica 11 novembre 2003

Crollo Museo del mare: tre avvisi di garanzia

Il pubblico ministero Sergio Merlo ha inviato tre avvisi di garanzia per il crollo del Museo del mare, nella Vecchia darsena a Genova, avvenuto sabato e costato la vita ad un operaio albanese. I destinatari sono i responsabili dei lavori in relazione al cemento armato. "L'accertamento sul cemento - ha spiegato Merlo - è urgente e irripetibile. La priorità consiste nel fatto che il cemento è la parte soggetta a modificazione e non si può perdere tempo". L'ipotesi è che il cemento abbia ceduto perchè l'armatura è stata tolta precocemente. Domani, intanto, i consulenti nominati dal pm, gli ingegneri genovesi Lamberto Panfoli e Giorgio Ermanno Maggiorelli inizieranno a lavorare; in particolare dovranno accertare con urgenza la maturazione del cemento e la sua lavorazione. Secondo i primi risultati dei sopralluoghi effettuati dagli ispettori della direzione provinciale del lavoro e avviate dopo il crollo ci sono state gravi irregolarità con libri paga e matricola non presenti nel cantiere. Inoltre mancano ancora all'appello gli amministratori della ditta Impreval di Aosta. Indagini sono ora in corso per verificare se la ditta facesse lavorare operai anche in nero, come hanno denunciato alcuni lavoratori presenti nel cantiere. (red)

La Repubblica – News Online 11/11/03

Rischiano la vita tutti i giorni lavorando in nero «per una paga di sei euro l'ora».

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I colleghi di Albert Rischiano la vita tutti i giorni lavorando in nero «per una paga di sei euro l'ora». I colleghi di Albert Kolgjegja, l'operaio albanese di 30 anni morto sabato scorso a Genova sotto le macerie del futuro Museo del mare e della navigazione, stringono i pugni con rabbia davanti al cantiere sotto sequestro. Si sentono come carne da macello, non hanno paura di raccontare la verità: è giunta l'ora che tutti sappiano le cose come stanno. Uno di loro fa persino il nome del "caporale" che li ha reclutati. Appare subito chiaro che è da queste testimonianze che bisogna partire se si vuole fare luce su questa nuova tragedia del lavoro, fatta di sfruttamento e di mancato rispetto delle regole. Del resto, i numeri forniti dalla Fillea Cgil sono fin troppo eloquenti: dal 1997 al 2002, gli incidenti nei cantieri edili hanno provocato 450mila invalidi e mille e 400 morti. Una vera e propria "mattanza", alla quale non ci si può e non ci si deve rassegnare. Ieri mattina c'erano 200 persone, tra lavoratori e gente comune, al presidio deciso dai sindacati Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil in concomitanza con lo sciopero di otto ore degli edili genovesi per sensibilizzare l'opinione pubblica sui problemi della sicurezza e del lavoro nero. Alle 13 i rappresentanti dei manifestanti si sono incontrati con Claudio Montaldo, assessore comunale ai Lavori pubblici. Quindi alle 17, con il prefetto Giuseppe Romano. Tra le bandiere delle organizzazioni sindacali, spiccava anche quella dell'Albania, a ricordare la nazionalità dell'operaio scomparso e di molti suoi compagni di lavoro. Sulle reti che circondano il cantiere sono stati deposti dei mazzi di fiori, uno dei quali accompagnato da un biglietto con scritto: "Nessuno al mondo deve essere sfruttato". La denuncia dei sindacati viene appoggiata da Rifondazione comunista. Secondo l'assessore al Lavoro del comune di Roma, Luigi Nieri, per evitare il ripetersi di queste tragedie «occorre prima di tutto intensificare l'attività ispettiva». Sulla vicenda intervengono anche i senatori Ds, che hanno presentato una interrogazione al ministro Maroni nella quale chiedono «quali iniziative il governo intenda adottare al fine di contrastare in modo efficace il lavoro sommerso nel settore dell'edilizia». Intanto sono partite le indagini della magistratura. Sono già finite sotto inchiesta una decina di persone, dal progettista al capocantiere, dal caposquadra ai fornitori di materiale, che riceveranno l'avviso di garanzia, presumibilmente oggi. Ieri il procuratore capo Francesco Lalla ha inserito tra le possibili ipotesi sul crollo della palazzina alla vecchia darsena quella di difetti progettuali, l'errore umano o l'anticipata rimozione dell'armamento che sosteneva le tre solette collassate. Alla domanda se il progetto dell'architetto Guillermo Vasquez Consuegra è da archiviare, il magistrato ha risposto: «Saranno i nostri consulenti a dirlo. Il cantiere resta sotto sequestro, chiederemo ai due professionisti rapidità nell'accertamento per consentirne lo sgombro». A questo proposito Lalla ha precisato che si è provveduto al sequestro di materiali e di una macchina fotografica digitale con le foto dello stato di avanzamento dei lavori nei giorni precedenti il crollo. Le ipotesi di reato sono crollo colposo, omicidio colposo, lesioni colpose plurime. Il procuratore ha anche voluto precisare che «gli operai coinvolti nel crollo, compreso l'albanese morto, erano tutti assunti con un regolare contratto». Secondo le prime informazioni la notizia sarebbe stata verificata dalla polizia. Eppure dopo due giorni di controlli a Genova non c'è traccia dell'esistenza lavorativa di Albert Kolgjegja. «L'operaio non risulta iscritto né alla Cassa Edile, né all'Inail né all'Inps da parte di Impreval di Bergamo, la ditta che si occupava della costruzione delle solette in cemento armato poi crollate», afferma il segretario regionale della Fillea Cgil Angelo Sottanis, presente alla manifestazione. Da quanto si è potuto apprendere, l'operaio albanese lavorava nel cantiere dell'incidente dal 4 ottobre scorso: un tempo troppo breve perché si possa essere certi della irregolarità della sua posizione. Roberto Farneti

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Liberazione 11/11/03

Intervista a Paola Agnello Modica, della segreteria nazionale Cgil. Le responsabilità del governo «Con la deregulation è una lotta impari » Lavoro nero, violazione delle norme sulla sicurezza, grandi opere e appalti. La tragedia di Genova rischia di diventare emblematica di quello che sta accadendo nel "paese reale". Il sindacato fino ad oggi, anche a causa delle grandi fratture sul fronte unitario, sembra essere rimasto un po' a guardare. Liberazione ha intervistato la segretaria nazionale della Cgil Paola Agnello Modica, che si occupa di sicurezza sul lavoro.

Genova è una tragedia annunciata... da questo governo. La vicenda di Genova è purtroppo l'ennesima riprova che nel nostro paese non si devono smantellare le leggi che ci sono, come 626 e non solo, ma occorre applicarle e per applicarle servono i controlli. Noi abbiamo verificato un allentamento dei controlli probabilmente dovuti a due cose tra loro connesse: da una apre l'idea che dà questo governo dell'abbassamento del costo del lavoro e dell'azzeramento dei diritti e, dall'altra, il depotenziamento dei servizi ispettivi con il taglio dei trasferimenti agli enti locali, vedi la vicenda dei dipartimenti di prevenzione delle "asl", che sono i primi ad essere penalizzati. In più tutta la normativa che sta venendo avanti su appalti e subappalti, che peggiora drammaticamente la situazione. Il governo non sembra aver reagito con determinazione a questo ennesimo grave incidente sul lavoro. Lunardi dice che il governo tiene alta l'attenzione. E Maroni aggiunge che farà l'inchiesta sui controlli. Più che le inchieste, noi vorremmo che ognuno facesse la sua parte. E quando dico ognuno intendo il governo e il ministero del Lavoro, per quanto riguarda il controllo del lavoro nero. Quanto ha fatto questo governo sul lavoro nero grida vendetta. E in ogni caso hanno fatto emergere pochissimo. C'è un problema di lavoro nero e del resto un governo che condona tutto non ha la vocazione ai controlli. Il ministero del Lavoro deve fare la sua parte sul lavoro nero e sui meccanismi di appalto. Le amministrazioni locali che danno gli appalti devono controllare. Le grandi opere rappresentano una sfida anche per il sindacato, sotto tutti i punti di vista. Non credi? Il sindacato rappresenta i lavoratori e si batte da sempre per regole applicate e corrette. La categoria degli edili, la Fillea, è impegnatissima su questo versante, ma assurge agli onori della cronaca solo quando ci sono i grandi disastri. Noi chiediamo e pretendiamo che si facciano azioni vere di tutela del lavoro e dei diritti nel lavoro. Le grandi opere pongono interrogativi molto seri. Questo governo ha promesso tanti grandi opere, ha pochi soldi per farne alcune e non vorremmo che i risparmi fossero fatti sulla pelle degli operai sia con una riduzione del meccanismo di sicurezza sia con velocizzazioni dei lavori improprie. Ripeto, anche sul sindacato esercitano sempre un grande fascino... Non è che il sindacato sia affascinato. Il sindacato ritiene tutte importanti le opere e ne valuta la portata ogni volta, sia delle grandi che delle piccole opere. Davvero in edilizia la prima cosa che ci si pone sono le norme relative alla sicurezza. I nostri segretari giorno per giorno fanno i conti con questa questione. Si è addirittura parlato di contrattazione di anticipo. Come fai a garantire i meccanismi se ha un governo che ti sottrae terreno? Ultimamente avete avuto un incontro con il governo in una sede informale... Il disegno che ha in mente Sacconi sulla revisione della salute e sicurezza sul lavoro, però, ci terrorizza. Addirittura si ipotizzano i controlli in capo agli enti bilaterali. Gli abbiamo già detto "no grazie" unitariamente. C'è un'idea di superare le norme prescrittive e andare verso una politica per obiettivi.

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Insomma, ci sono le condizioni per una ripresa dell'iniziativa sindacale. Se l'orario di lavoro per legge può diventare di tredici ore al giorno è più difficile contrattare condizioni di lavoro decenti. Se la precarizzazione galoppa con le nuove norme la sicurezza dei lavoratori è maggiormente a rischio. Se ci sono gli appalti a catena il controllo sociale del sindacato diventa più complesso. Il presidio di oggi è stato importante e c'è stata una reazione forte e partecipata. Sicuramente per noi Genova non si chiude oggi. Chiediamo agli organi d'informazione e alle istituzioni tutte, e al padronato, che non si chiuda con oggi. Sappiano che li tampineremo. Fabio Sebastiani

Liberazione 11/11/03

Crollo, procuratore: contratto vittima depositato dopo morte

Il contratto di lavoro di Albert Kolgjegja, l'operaio albanese deceduto sabato nel crollo al Museo del Mare, a Genova, è stato depositato due giorni dopo la sua morte al centro dell'impiego di Grumello del Monte (Bergamo), dove c'è la sede operativa della ditta Impreval. E' quanto ha detto il procuratore Francesco Lalla confermando quanto pubblicato questa mattina dal quotidiano la Repubblica. L'operaio albanese è stato assunto il 17 ottobre ma l'Impreval lo ha comunicato al centro dell'impiego di Grumello del Monte solo il 10 novembre: due giorni dopo la sua morte. Lalla ha poi spiegato che la stessa prassi è stata seguita per altri tre operai interessati dal crollo. (red)

La Repubblica – News Online 12/11/03

LA DELIBERA APPROVATA 18 ANNI FA . Una norma del Comune vietava i subappalti

GENOVA . Un altro «mistero» si aggiunge a tutti quelli ancora da sciogliere attorno al tragico crollo delle solette esterne del Museo del Mare nel porto antico di Genova, avvenuto sabato mattina e che è costato la vita a un giovane operaio edile albanese, mentre quattro suoi compagni di lavoro sono rimasti feriti più o meno seriamente sotto la pioggia dei detriti. I «misteri» da dissipare riguardano gli eventuali errori di costruzione (errori nei calcoli del cemento armato, insufficienza della tenuta delle putrelle, tempi di lavoro troppo frettolosi), ma si riferiscono anche al problema, che qualcuno ha definito delle «matrioske» (le bamboline russe che a decine sono contenute una dentro l’altra, a seconda delle dimensioni), ovvero la sequenza degli appalti e dei subappalti. Questo aspetto è sotto i riflettori da quando è avvenuto il sinistro: da parte dello stesso sindaco di Genova, Giuseppe Pericu, che tra l’altro è un avvocato di grande fama e un cattedratico di diritto amministrativo, nonchè di Renato Picco, amministratore della «Porto Antico spa», braccio esecutivo del Comune in materia d’appalti in area portuale (anche Picco è un manager di lungo corso ed è stato amministratore delegato e direttore generale dell’«Eridania»), è stato ribadito con fermezza che il Comune e la «Porto Antico» sono a posto e così pure lo sono le imprese che hanno ottenuto direttamente gli appalti operativi per la ristrutturazione del cinquecentesco edificio del Galata dove appunto doveva trovare la sua sede il Museo del mare e della Navigazione, un museo emblematico per la storia e l’essenza stessa della cultura di Genova e della sua gente. E’ stata aggiunta anche una postilla: i subappalti sono ammessi della legge, purchè il personale impiegato sia in regola con retribuzioni, assistenza e contributi e, comunque, entro certi limiti, in proporzione alla dimensione dell’appalto stesso. Tutto vero. Ma c’è un ma. Infatti nel 1985 il Comune di Genova approvò una rigorosa delibera che, più severa delle norme nazionali, proibiva

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categoricamente i subappalti all’interno degli appalti comunali, limitandoli soltanto agli interventi specialistici e non genericamente edili. Questo, è evidente, chiudeva ogni possibilità, perchè è difficile che gli interventi di specializzazione siano affidabili a lavoratori pagati «in nero». Si arrivò a quella severa delibera in seguito a un evento luttuoso. Due operai che lavoravano alla ristrutturazione dello stadio di calcio Luigi Ferraris (su progetto di Vittorio Gregotti) che doveva essere pronto per i Mondiali del 1990, morirono. «Stadio assassino» intitolarono allora i giornali (i due precipitarono da una gru che risultò inadeguata: l’impresa venne ritenuta responsabile, dopo l’inchiesta e il processo). Il vicesindaco e assessore all’edilizia di allora Fabio Morchio, socialista, presentò in Consiglio comunale la delibera del rigore e che venne votata dalla maggioranza di centrosinistra. I sindacati di categoria approvarono l’amministrazione che «una volta tanto aveva preso una decisione di sinistra». Protestarono le associazioni degli imprenditori edili. Che cosa è successo in questi 18 anni, dopo che si sono susseguite due giunte di centrosinistra (Romano Merlo e Claudio Burlando), un commissario prefettizio, nonchè altre tre giunte di centrosinistra (Adriano Sansa e due mandati di Giuseppe Pericu)? Chi ha annullato quella delibera che vietava i subappalti? Fabio Morchio - che oggi è consigliere regionale e leader ligure dello Sdi - non lo sa e non lo ricorda, anche perché è uscito dal Comune dal 1990. «Non ricordo polemiche e discussioni, se non quelle degli Anni Ottanta oltre che delle preoccupazioni per i morti degli anni che hanno preceduto le celebrazioni Colombiane del 1992 - dice - Non me la sento di puntare l’indice contro nessuno. Posso dire soltanto una cosa dopo oltre trent’anni di successi, sconfitte, illusioni e delusioni: non mi è mai piaciuto l’abito, a volte farisaico, del moralista, ma devo riconoscere che non mi sono mai pentito quando ho agito con rigore».

La Stampa – Cronache italiane 11/11/03

10 indagati per Genova . Gli ispettori del lavoro scoprono gravi irregolarità

FR. PI. Dopo il crollo nel porto antico di Genova - un operaio albanese morto, quattro feriti - la polizia si era affrettata a «smentire» che nel cantiere ci fossero lavoratori «in nero». Da una prima, sommaria, indagine dei quattro ispettori del lavoro incaricati dal ministero emerge invece un quadro semplicemente abnorme: i dirigenti della Impreval (società valdostana con sede in provincia di Bergamo) risultano «latitanti» o comunque irreperibili. Nel cantiere, perdipiù, erano assenti sia i libri paga e quelli matricoli; impossibile insomma sapere quanti operai fossero al lavoro, per quante ore, con quale paga e quanti contributi versati. Irregolarità macroscopiche, che sarebbero dovute saltare agli occhi anche di un investigatore alle prime armi che non si fosse voluto fidare della parola degli operai. Due operai albanesi si sono autodenunciati, dichiarando poi a Repubblica: «noi albanesi - dice Zaim Kaci - eravamo tutti in nero, compreso il nostro amico morto. Non abbiamo mai visto una lira e un contratto. Ci hanno chiesto solo il permesso di soggiorno. Ci presentavamo ai cancelli la mattina alle sette; il capo era Domenico, un siciliano, che faceva le squadre di lavoro, a sei euro l'ora. Non so per chi lavora, ma ho il numero del suo telefonino». Anche i sindacati edili genovesi aderenti a Cgil, Cisl e Uil hanno presentato un dossier di denuncia sulle molte irregolarità. Più che sulle assunzioni al nero, però - in assenza dei libri contabili - hanno preferito puntare il dito sul altre violazioni, come le aziende in subappalto che a loro volta subappaltavano ad altre società (prassi espressamente vietata dalla legge). Altra irregolarità manifesta è il mancato o parziale pagamento dei contributi Inps e Inail, o le analoghe carenze nell'iscrizione dei lavoratori alla cassa edile. Tutte pratiche «usuali» nei cantieri edili per ridurre al minimo il costo del lavoro e che incidono in vario modo sul non rispetto delle regole, ovvero sulle «abitudini» che favoriscono il moltiplicarsi degli infortuni.La Impreval, per esempio, avrebbe pagato i contributi solo per tre degli otto operai

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coinvolti nell'incidente mortale di sabato. Gli stessi tre, probabilmente, che risultano in regola. Tra loro non c'era Albert Kolgjegja, rimasto ucciso nel crollo. La procura di Genova - che considera invece «in regola» i nove coinvolti nel crollo - ha iscritto al registro degli indagati dieci persone. «Tutti quelli - ha dichiarato il procuratore Francesco Lalla - che hanno avuto un ruolo di rilievo causale nella tragedia: dal progettista al capocantiere, fino al capo della squadra che l'altra mattina dirigeva gli operai». Il provvedimento raggiungerà anche l'architetto spagnolo Guillermo Vasquez Consegra, titolare della progettazione della direzione artistica. Il sindaco di Genova, Giuseppe Pericu, ha annunciato che il Comune si costituirà nel processo come parte offesa.

Il Manifesto 12/11/03

Per il crollo al Museo del mare due anni al direttore tecnico. Morì un operaio albaneseAssolti i due architetti e altri due tecnici. Stabilito per la famiglia della vittima l'anticipo sul risarcimento danni di 438 mila euro

Genova. Il direttore tecnico e progettista dei pioli il cui cedimento causò il crollo dell'intera struttura, sarà l'unico a pagare. Si tratta dell'ingegner Andrea Pepe. Il giudice lo ha condannato a due anni di reclusione (pena sospesa e non menzione nella fedina penale) e al pagamento alla famiglia dell'unica vittima di una provvisionale, l'anticipo sul risarcimento dei danni, pari a 438 mila euro. E ha assolto gli altri quattro imputati, tra cui nomi eccellenti dell'architettura mondiale: gli spagnoli Guillermo Vasquez Consuegra, responsabile di tutto il progetto, e l'altro progettista Jimenez Jesus Canas, e poi Aldo Signorelli, collaudatore in corso d'opera, e Vincenzo Papaluca, direttoretecnico del cantiere.È la fine del primo atto del processo per il crollo del museo del mare, avvenuto la mattina dell'8 novembre 2003 in Darsena, nel quale perse la vita Albert Kolgjeja, uno degli operai impegnati nella realizzazione della soletta in cemento del nuovo centro espositivo commissionato dal Comune e dalle società Galata e Porto Antico.Solo attraverso la lettura delle motivazioni sarà possibile comprendere con esattezza il senso della sentenza e delle assoluzioni, in attesa che la Procura e la difesa di Pepe presentino ricorso in Appello. Il pubblico ministero Cristina Camaiori, aveva chiesto tre condanne a due anni di reclusione e due assoluzioni. Due anni per l'architetto spagnolo, responsabile di tutto il progetto, per l'ingegner Pepe,incaricato della direzione dei lavori strutturali e per Signorelli, collaudatore in corso d'opera. Il pm, nella sua requisitoria, aveva detto di ritenere che i pioli fossero stati alla base del crollo. Ci sarebbero state «debolezza e inadeguatezza dei vincoli tra le solette in cemento armato e le colonne in acciaio». Di conseguenza Consuegra avrebbe avuto la responsabilità di tutto il progetto, Pepe avrebbe compiuto un errore nella parte riguardante i pioli e Signorelli avrebbe avuto il compito di verificare la stabilità della costruzione nella sua qualità di collaudatore.Le accuse a carico dei cinque imputati erano quelle di omicidio colposo, crollo colposo e lesioni personali. L'avvocato di parte civile Giuseppe Maria Gallo, che da sempre assiste i sette familiari dell'unica vittima del crollo, il muratore albanese Albert Kolgjeja, aveva chiesto un risarcimento dei danni pari a un milione e 240 mila euro e una provvisionale immediatamente esecutiva non inferiore ai 500 mila euro. Richiesta sostanzialmente accolta dal giudice.«È una giornata dolorosa per me, per la mia famiglia. In questo momento conta solo la giustizia. La vita umana non ha prezzo», è stato il commento di Ilirjan Kolgjeja, fratello dell'operaio morto nel crollo al Museo del Mare. Ilirjan, affiancato dall'avvocato Giuseppe

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Gallo, che lavora sempre nell'edilizia, a proposito degli incidenti di lavoro, ha commentato: «In cinque anni non è cambiato nulla». Tra i difensori ha preso la parola l'avvocato Cesare Manzitti ha sottolineato: «Abbiamo sempre sostenuto fin dal primo momento l'innocenza dell'architetto Consuegra. Ci dispiace che abbiamo dovuto aspettare cinque anni». G. Cet.

Il Secolo XIX -17/10/2008

Crollo Museo del mare. Confermata la condannaDiciotto mesi per omicidio colposo per Andrea Pepe, direttore dei lavori per la costruzione del museo in cui morì un operaio albanese

Confermata dalla Cassazione la condanna a un anno e sei mesi di reclusione, per omicidio colposo e lesioni personali, nei confronti di Andrea Pepe, direttore strutturale dei lavori per la costruzione del museo del mare in cui morì un operaio albanese. Pepe era anche responsabile della progettazione esecutiva delle strutture e progettista. "Un caso di imperizia e negligenza nello svolgimento dei compiti professionali", scrive la Cassazione. Senza successo Pepe ha sostenuto, dinanzi alla suprema Corte, che il solaio era crollato non per colpa sua ma perchè era stato costruito male. I supremi giudici hanno confermato il verdetto di colpevolezza emesso il 13 gennaio del 2010 dalla Corte di Appello di Genova. Nel crollo, avvenuto l'8 novembre del 2003, morì Albert Kolgjesa e rimasero feriti Zaim Kaci, Skender Ndoj e Nicolò Flagello. Durante il processo era emerso, ricordano i supremi giudici "che l'imputato non avrebbe mai reso disponibili le relazioni di calcolo che avrebbero dovuto essere necessariamente predisposte", giacchè le relazioni fornite si riferivano alla costruzione del Piano ristorante e non ai lavori del solaio crollato. Fu l'ingegnere ad impartire le "direttive volte a liberare il solaio dai sostegni predisposti per la sua realizzazione" senza che fosse "del tutto sicuro che l'opera fosse stata eseguita secondo le regole dell'arte". Il progettista deve risarcire i familiari dell'operaio morto e gli altri tre lavoratori rimasti feriti.

La Repubblica – Sezione Genova 27 giugno 2011