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Emoflash Emoflash Spedizione in abbonamento postale comma 20/c legge 622/96 - filiale di Milano N O T I Z I A R I O • ANNO XI - N. 9 - SETTEMBRE 2008 800*822150 C C o o p p e e n n h h a a g g e e n n News Leucemie e linfomi così li combattiamo T T erapie sempre più peso analizzate, “tagliate” su misura della singola malattia, esami in grado di pre- vedere il decorso più o meno grave di diversi tipi di leucemia dando la possibilità al medico di sce- gliere le strategie più efficaci, marker molecolari per saggiarne la progressione e, soprattutto, il sogno di poter disegnare la base molecolare di un tumore per poter costruire l’arma più efficace per distruggerlo. Al tredicesimo congresso dell’EHA (European Hernatology Association), che si è concluso da qualche settimana a Copenhagen, sono arrivati 6500 ematologi da cento paesi diversi. Nonostante i rapidissimi progressi scientifici, che hanno portato in molti casi a remissioni di alcu- ne patologie prima inesorabilmente mortali, come la leucemia mieloide cronica, oggi i tumo- ri ematologici sono al terzo posto tra i cancri con esiti mortali. Vediamo alcune novità dal con- vegno. A Copenhagen è stato presentato uno studio italiano, coordinato dall’università La Sapienza di Roma, su 34 malati di leucemia linfoide acuta positiva al cromosoma Philadelphia (Ph+). Questa malattia colpisce circa cento italiani l’an- no e finora la strada obbligata era la chemiote- rapia. «Siamo stati i primi al mondo a trattare i malati con l’alterazione Ph+ soltanto con un far- maco per bocca, un inibitore di seconda genera- zione, il dasatinib, con il cortisone», spiega Robin Foà, presidente eletto dell’EHA e coordi- nato del Gruppo Italiano Malattie Ematologiche, che ha condotto lo studio. «Abbiamo avuto il 100 per cento di remissione», continua, «con limitati effetti collaterali, e nessun decesso in corso. E parliamo di una delle leucemie con il decorso peggiore». Cambiando malattia, migliora la strategia terapeutica anche per la leucemia mieloide cronica, in gene- rale non frequente (2 o 3 casi ogni centomila per anno), più frequente però in chi è esposto a radiazioni per lavoro o in chi è stato sottoposto a molte radiografie (decine l’anno). Secondo i dati dello studio UNIC, condotto in 8 paesi, tra questi anche l’ltalia con 27 centri, con i farmaci molecolari si evita il trapianto o si allunga il tempo a disposizione prima di arrivarci. «Il farmaco di prima linea è l’Imatinib», spiega Enrica Morra, responsabile dell’Ematologia al Niguarda di Milano, «che ha cambiato profondamente il destino dei malati. Nei casi in cui si verifichino resistenze o intolleranze, si passa al dasatinib. Sono farma- ci salvavita, che ci consentono di trapiantare solo una piccola parte di malati». Novità future anche per i pazienti con mieloma multiplo. Molti farmaci hanno migliorato le prospettive dei malati ma, si rammarica Jesus San Miguel, dell’università di Salamanca, c’è un bisogno assoluto di nuove strategie farmacologiche: ce ne sono una quarantina allo studio. E molto ci si aspetta anche dai nuovi markers molecolari, che possono essere usati come predittivi per la diagnosi. 09- Emo Sett. 08 22-07-2008 17:36 Pagina 1 N L U S O ORGANO UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE “PROGETTO EMO-CASA”

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N O T I Z I A R I O • ANNO XI - N. 9 - SETTEMBRE 2008

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Leucemie e linfomi così li combattiamo

TTerapie sempre più peso analizzate, “tagliate” su misura della singola malattia, esami in grado di pre-vedere il decorso più o meno grave di diversi tipi di leucemia dando la possibilità al medico di sce-gliere le strategie più efficaci, marker molecolari per saggiarne la progressione e, soprattutto, il sogno

di poter disegnare la base molecolare di un tumore per poter costruire l’arma più efficace per distruggerlo.Al tredicesimo congresso dell’EHA (EuropeanHernatology Association), che si è concluso daqualche settimana a Copenhagen, sono arrivati6500 ematologi da cento paesi diversi.Nonostante i rapidissimi progressi scientifici, chehanno portato in molti casi a remissioni di alcu-ne patologie prima inesorabilmente mortali,come la leucemia mieloide cronica, oggi i tumo-ri ematologici sono al terzo posto tra i cancricon esiti mortali. Vediamo alcune novità dal con-vegno.

A Copenhagen è stato presentato uno studioitaliano, coordinato dall’università La Sapienzadi Roma, su 34 malati di leucemia linfoide acutapositiva al cromosoma Philadelphia (Ph+).Questa malattia colpisce circa cento italiani l’an-no e finora la strada obbligata era la chemiote-rapia. «Siamo stati i primi al mondo a trattare imalati con l’alterazione Ph+ soltanto con un far-maco per bocca, un inibitore di seconda genera-zione, il dasatinib, con il cortisone», spiegaRobin Foà, presidente eletto dell’EHA e coordi-nato del Gruppo Italiano Malattie Ematologiche,

che ha condotto lo studio. «Abbiamo avuto il 100 per cento di remissione», continua, «con limitati effetticollaterali, e nessun decesso in corso. E parliamo di una delle leucemie con il decorso peggiore».

Cambiando malattia, migliora la strategia terapeutica anche per la leucemia mieloide cronica, in gene-rale non frequente (2 o 3 casi ogni centomila per anno), più frequente però in chi è esposto a radiazioniper lavoro o in chi è stato sottoposto a molte radiografie (decine l’anno). Secondo i dati dello studio UNIC,condotto in 8 paesi, tra questi anche l’ltalia con 27 centri, con i farmaci molecolari si evita il trapianto o siallunga il tempo a disposizione prima di arrivarci. «Il farmaco di prima linea è l’Imatinib», spiegaEnrica Morra, responsabile dell’Ematologia al Niguarda di Milano, «che ha cambiato profondamente ildestino dei malati. Nei casi in cui si verifichino resistenze o intolleranze, si passa al dasatinib. Sono farma-ci salvavita, che ci consentono di trapiantare solo una piccola parte di malati».

Novità future anche per i pazienti con mieloma multiplo. Molti farmaci hanno migliorato le prospettivedei malati ma, si rammarica Jesus San Miguel, dell’università di Salamanca, c’è un bisogno assoluto dinuove strategie farmacologiche: ce ne sono una quarantina allo studio. E molto ci si aspetta anche dainuovi markers molecolari, che possono essere usati come predittivi per la diagnosi.

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Premi a due italiani

DDue giovani scienziati italiani sono stati premiati dall’EHA e dall’AmericanSociety of Hematology con 75.000 dollari, cifra che darà loro la possibilità dicontinuare ricerche all’estero. Lapo Alinari, dell’lstituto Seragnoli di

Ematologia e Oncologia dell’università di Bologna andrà nel laboratorio di JohnByrd all’universita Dell’Ohio e Serena Kimi Pema, del San Raffaele di Milano,é già a Houston, nei laboratori del Baylor College of Medicine.

Perna, da poco trentenne, rimarrà in Texas per tre anni e continuerà a occupar-si del ruolo delle cellule Tchimera per la terapia del linfoma di Hodgkin. In prati-ca, sono state “costruite” cellule immunitarie genaticamente modificate in grado di individuare untumore e di attaccarlo. Strada che potrebbe essere applicata in futuro anche ad altri tumori.

«Adesso siamo alla sperimentazione in vitro», spiega Serena Kimi Perna (mamma giapponese)da Houston, «e inizieremo quella sugli animali. Potremmo arrivare ad una sperimentazione sull’uo-mo in un paio d’anni. La strada è prelevare dal paziente cellule immunitarie, da modificare geneti-camente e da riutilizzare poi nello stesso paziente come arma per scorfiggere il suo cancro».

Obbiettivo che ben si coniuga con uno dei desideri della scienziata, che ha frequentato il labo-ratorio dl Ematologia sperimentale a Milano: essere un medico transazionale, «a cavallo tra ricer-ca e clinica»

IIII ttttaaaallll iiiiaaaa

Serena Kimi Pema

Test costosi ma necessari

I TEST molecobri per il controllo della leucemia mielolde cronica, suggeriti ogni 3mesi dalla rete europea European Leukemia Net, sono costosi e molti medici (dal47 al 71%) non li fanno. Sono i risultati dell’indagine ”lt’s best to test”, promossada Brystol Meyers Squibb, condolta su 584 specialisti di 10 paesi europei, Itallacompresa. «Venti anni fa questa malattia uccideva il 20% del pazienti», spiegaMichele Baccarani, dell’Università di Boloqna, «oggi l’1-2%. Questi malati costa-no circa 25.000 euro l’anno per tutta la vita, e i test incidono dal 2,5 al 6,4%sul costo della terapia. Non ci sono però alternative, tranne che mettere le azien-de farmaceutiche in concorrenza tra di loro per abbassare i costi dei farmaci eprevedere un aumento delle spese per la Sanità pubblica».

A POCHI ANNI DALLA SCOPERTA GENETICA DEL GRUPPO DI PERUGIA, MESSA A PUNTO UN’APPLICAZIONE PRATICA

Luecemia, un test indica la cura migliore

II l gene della nucleofosmina (NPMI)* è espresso in tutte le cellule del nostro organismo e produce una pro-teina omonima che è localizzata nel nucleo delle cellule, dove svolge un ruolo fondamentale nelle regola-zione della crescita e divisione cellulare. Risale al gennaio 2005 la pubblicazione nella prestigiosa rivista

New England Journal of Medicine della scoperta da parte del nostro gruppo che il gene NPMI è mutato incirca un terzo dei pazienti con leucemia acuta mieloide (LAM). La mutazione porta alla produzione di unaproteina anomala di nucleofosmina che, invece di essere localizzata nella sua sede naturale (il nucleo dellacellula), è spostata nel citoplasma, un evento che sembra essere critico per la trasformazione leucemica.* È una proteina che si trova nel nucleo delle cellule sane

La ricerca

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L’identificazione della mutazione della nucleofosmina ha cambiato in maniera radicale l’approcciosia alla diagnosi che alla terapia della LAM, la forma di leucemia acuta più frequente nell’adulto.Basti pensare che, a distanza di soli tre anni dalla scoperta, questa è stata confermata in migliaiadi pazienti leucemici in tutto il mondo. Ed ecco che uno studio tedesco coordinato da RichardSchlenk, Konstanze Döhner, Arnold Ganser e Hartmut Döhner, apparso lo scorso primo maggionello stesso New England Journal of Medicine, arriva a suggellare il valore della mutazione diNPMI e di altri geni (FLT3 e CEBPA) nel predire l’andamento clinico della LAM e condizionare lescelte terapeutiche. Lo studio conferma su circa 900 pazienti leucemici quello che il nostro gruppoaveva già pubblicato nella autorevole rivista americana di ematologia Blood qualche anno orsono.

La mutazione del Dna

LLa nostra ricerca dimostrava che in un malato di LAM senza apparenti alterazioni dei cromosomi(cosiddetto cariotipo normale), la presenza di una mutazione di NPMI (quando non si accompa-

gni ad un’altra mutazione denominata FLT3-ITD) predice una maggiore probabilità di guarire dallamalattia rispetto ad altri pazienti leucemici senza la mutazione. Inoltre, lo studio tedesco riportaun’ importante novità e cioè che i pazienti leucemici con mutazione di NPMI (in assenza di FLT3-ITD) hanno una buona probabilità di guarire con la sola chemioterapia, senza bisogno di un tra-pianto di midollo osseo da donatore. Siamo così di fronte ad uno straordinario esempio di come irisultati della medicina molecolare (identificazione della mutazione nel 2005) si siano tradotti in unperiodo di tempo relativamente breve, in informazioni rilevanti sul piano clinico-diagnostico.

Questo studio sottolinea anche l’importanza di personalizzare la terapia sulla base delle altera-zioni genetiche delle cellule leucemiche. Una delle domande che, di fronte ad un caso di LAM,ogni ematologo si pone, è se, dopo un’iniziale chemioterapia, il paziente debba essere sottopostoo meno ad una terapia più aggressiva, come un trapianto di cellule emopoietiche staminali da do-natore che, in certi casi, rappresenta l’unica procedura in grado di guarire la malattia.

Il trapianto di midollo

TTuttavia, il trapianto da donatore è penalizzato da una mortalità piuttosto significativa ed è quin-di ovvio che esso debba essere riservato solamente ai casi che si prevede non risponderanno

bene alla sola chemioterapia e si debba invece evitarlo nei pazienti con un andamento clinico piùfavorevole. Ora, il modo più semplice per distinguere tra pazienti a buona e cattiva prognosi èproprio l’analisi delle alterazioni molecolari delle cellule leucemiche. Tra queste, come dimostra lostudio tedesco, la ricerca della mutazione di NPMI riveste un ruolo determinante, dal momento cheaiuta a decidere se il paziente debba essere sottoposto o meno a trapianto da donatore.L’obiettivo finale è quello di individualizzare la terapia, in modo da ottenere il massimo dei risultaticon il minino di rischio per il paziente.

Dato il valore della mutazione di NPMI nel predire il decorso della Ieucemia, diventa fonda-mentale identificare in modo rapido e preciso i pazienti leucemici con questa alterazione genetica.Esistono già vari test diagnostici a questo scopo. Il metodo più usato, elaborato insieme aCristina Mecucci, consente l’analisi delle alterazioni che si verificano a livello delle lettere del-l’alfabeto del Dna della nucleofosmina. Di recente, con Maria Paola Martelli e ArcangeloLiso, abbiamo messo a punto un test ancora più semplice che utilizzando anticorpi specifici, per-mette di identificare la nucleofosmina mutata in una semplice sezione di tessuto o in una goccia disangue.

Il principale obiettivo futuro è quello di capire come la nucleofosmina mutata determina la tra-sformazione da cellula midollare normale a leucemica. Questo permetterebbe di disegnare dei“farmaci intelligenti” in grado di colpire selettivamente le cellule malate senza interferire con quellesane, per esempio riportando la proteina alterata dal citoplasma nella sua posizione naturale,cioè il nucleo.* Professore ordinario di EmatologiaUniversità di Perugia

Tratto da: Salute di Repubblica

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