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Pentateuco e libri storici. Premessa 2012-13 1 Premessa allo studio dell’Antico Testamento Una prima fondamentale considerazione che guiderà lo studio dell’AT è il contesto teologico nel quale ciò avviene. L’AT fa parte della Bibbia, Parola Ispirata di Dio. Per noi entrano dunque in gioco aspetti di natura strettamente teologica già affrontati nello studio di Introduzione generale alla Sacra Scrittura (canone, ispirazione, verità...). A tale proposito converrà richiamare i testi del Concilio Vaticano II che parlano dell’AT (i testi in grassetto verranno commentati durante le lezioni): Dei Verbum, cap. IV La storia della salvezza nell'antico testamento 14. Nel suo grande amore Dio, progettando e preparando con sollecitudine la salvezza di tutto il genere umano, si scelse con singolare disegno un popolo, al quale confidare le promesse. Infatti, una volta conclusa l'alleanza con Abramo (cf. Gen. 15, 18) e col popolo d'Israele per mezzo di Mosè (cf. Es. 24, 8), egli si rivelò con parole ed azioni al popolo, che s'era acquistato, come l'unico Dio vero e vivo, così che Israele sperimentasse quali fossero le vie divine con gli uomini e, parlando Dio per bocca dei profeti, le comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e le facesse conoscere con maggiore ampiezza fra le genti (cf. Sal. 21, 28-29; 95, 1-3; Is. 2, 14; Ger. 3, 17). L'economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova come vera parola di Dio nei libri dell'antico testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne: " Quanto infatti fu scritto, per nostro ammaestramento fu scritto, affinchè mediante quella pazienza e quel conforto che vengono dalle scritture possiamo ottenere la speranza" (Rom. 15, 4). Importanza dell'antico testamento per i cristiani 15. L'economia dell'antico testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cf. Lc. 24, 44; Gv. 5, 39; 1 Pt. 1, 10) e a significare con vari tipi (cf. 1 Cor. 10, 11) l'avvento di Cristo redentore dell'universo e del regno messianico. I libri poi dell'antico testamento, secondo la condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti la conoscenza di Dio e dell'uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso si comporta con gli uomini. I quali libri, sebbene contengano anche cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttaVia una vera pedagogia divina. Quindi i fedeli devono ricevere con devozione questi libri, che esprimono un vivo senso di Dio, una sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiere, nei quali infine è nascosto il mistero della nostra salvezza. Unita' dei due testamenti. 16. Dio, dunque, ispiratore e autore dei libri dell'uno e dell'altro testamento, ha sapientemente disposto che il nuovo fosse nascosto nell'antico e l'antico diventasse chiaro nel nuovo (2). Poichè, anche se Cristo ha fondato la nuova alleanza nel sangue suo (cf. Lc. 22, 20; 1 Cor. 11, 25), tuttavia i libri dell'antico testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro completo significato nel nuovo testamento (cf. Mt. 5, 17; Lc. 24, 27; Rom. 16, 25-26; 2 Cor. 3, 14-16), e a loro volta lo illuminano e lo spiegano. A questo punto si può fare una interessante riflessione sul senso che il cristianesimo in generale e la DV in particolare danno all’AT come parte della Bibbia cristiana. Esso è introduzione, preistoria, vestibolo... o cos’altro rispetto al NT? Affronta esplicitamente la problemati ca Erich Zenger, Il

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Pentateuco e libri storici. Premessa 2012-13

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Premessa allo studio dell’Antico Testamento

Una prima fondamentale considerazione che guiderà lo studio dell’AT è il contesto teologico

nel quale ciò avviene. L’AT fa parte della Bibbia, Parola Ispirata di Dio. Per noi entrano dunque in

gioco aspetti di natura strettamente teologica già affrontati nello studio di Introduzione generale alla

Sacra Scrittura (canone, ispirazione, verità...). A tale proposito converrà richiamare i testi del

Concilio Vaticano II che parlano dell’AT (i testi in grassetto verranno commentati durante le

lezioni):

Dei Verbum, cap. IV La storia della salvezza nell'antico testamento 14. Nel suo grande amore Dio, progettando e preparando con sollecitudine la salvezza di tutto il genere umano, si scelse con singolare disegno un popolo, al quale confidare le promesse. Infatti, una volta conclusa l'alleanza con Abramo (cf. Gen. 15, 18) e col popolo d'Israele per mezzo di Mosè (cf. Es. 24, 8), egli si rivelò con parole ed azioni al popolo, che s'era acquistato, come l'unico Dio vero e vivo, così che Israele sperimentasse quali fossero le vie divine con gli uomini e, parlando Dio per bocca dei profeti, le comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e le facesse conoscere con maggiore ampiezza fra le genti (cf. Sal. 21, 28-29; 95, 1-3; Is. 2, 14; Ger. 3, 17). L'economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova come vera parola di Dio nei libri dell'antico testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne: " Quanto infatti fu scritto, per nostro ammaestramento fu scritto, affinchè mediante quella pazienza e quel conforto che vengono dalle scritture possiamo ottenere la speranza" (Rom. 15, 4). Importanza dell'antico testamento per i cristiani 15. L'economia dell'antico testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cf. Lc. 24, 44; Gv. 5, 39; 1 Pt. 1, 10) e a significare con vari tipi (cf. 1 Cor. 10, 11) l'avvento di Cristo redentore dell'universo e del regno messianico. I libri poi dell'antico testamento, secondo la condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti la conoscenza di Dio e dell'uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso si comporta con gli uomini. I quali libri, sebbene contengano anche cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttaVia una vera pedagogia divina. Quindi i fedeli devono ricevere con devozione questi libri, che esprimono un vivo senso di Dio, una sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiere, nei quali infine è nascosto il mistero della nostra salvezza. Unita' dei due testamenti. 16. Dio, dunque, ispiratore e autore dei libri dell'uno e dell'altro testamento, ha sapientemente disposto che il nuovo fosse nascosto nell'antico e l'antico diventasse chiaro nel nuovo (2). Poichè, anche se Cristo ha fondato la nuova alleanza nel sangue suo (cf. Lc. 22, 20; 1 Cor. 11, 25), tuttavia i libri dell'antico testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro completo significato nel nuovo testamento (cf. Mt. 5, 17; Lc. 24, 27; Rom. 16, 25-26; 2 Cor. 3, 14-16), e a loro volta lo illuminano e lo spiegano.

A questo punto si può fare una interessante riflessione sul senso che il cristianesimo in generale e la

DV in particolare danno all’AT come parte della Bibbia cristiana. Esso è introduzione, preistoria,

vestibolo... o cos’altro rispetto al NT? Affronta esplicitamente la problematica Erich Zenger, Il

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Primo Testamento. La Bibbia ebraica e i cristiani, Queriniana, Brescia 1997 (orig. ted. 1991).

Quella di Zenger è una disamina ad ampio spettro della questione inerente i rapporti tra

cristianesimo ed ebraismo, a partire appunto dalla Bibbia comune a ebrei e cristiani, la cui

considerazione, è la tesi fondamentale dell’autore, può veramente offrire basi nuove al dialogo

ebraico-cristiano... In particolare l’autore osserva come nemmeno il Concilio Vaticano Il, per altri

aspetti così coraggioso e innovatore, abbia abbandonato la concezione classica cristiana della

funzione propedeutica, preparatoria dell’Antico rispetto al Nuovo Testamento... Il capitolo V del

suo libro si intitola L’Antico Testamento è soltanto «preistoria» e «preparazione» al Nuovo

Testamento? Sottolineando i termini che la DV utilizza per definire l’Antico Testamento in rapporto

al Nuovo (cosa che ho ripreso nel testo riportato sopra), l’autore rileva che i Padri conciliari non si

sono soffermati affatto a parlare dell’Antico Testamento né hanno proposto significative modifiche

ai testi proposti... (pp. 138s.) Eppure la Commissione costituita per regolare i rapporti con gli ebrei,

nello spirito della Nostra Aetate, in entrambe le pubblicazione del 1974 e 1985, esprime un

apprezzamento più positivo dell’Antico Testamento o Bibbia Ebraica, benché anche qui restino dei

cliché.

A mio avviso non tutte le tesi di Zenger possono essere seguite senza degli approfondimenti critici.

Ma un’affermazione è di stimolo per proseguire nella riflessione: inquadrare l’Antico e il Nuovo

Testamento nello schema di promessa-adempimento, tipo ed antitipo, ecc. significa non assumere

seriamente la stratificazione e molteplicità di figure presenti nell’Antico Testamento. Dovremo

convenire con quanto la lettera agli Ebrei sostiene fin dalle sue prime battute: «Dio, che aveva

parlato molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi giorni ha parlato a noi

per mezzo del Figlio...». Questo «in diversi modi » va preso sul serio, è un tesoro davvero prezioso.

La successione di Antico e Nuovo Testamento sprigiona i suoi contenuti proprio nella complessità e

pienezza con cui essi situano alla presenza di Dio le singole situazioni del nostro vivere...” (pp.

142s.).

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Il valore specifico (relazionale) del Tenak e dell’Antico Testamento

È il titolo di un capitolo (VII) del già citato volume di Zenger. Si tratta in sostanza di cogliere il

senso dato all’insieme dì quei libri letti da Ebrei e cristiani nelle rispettive tradizioni canoniche.

Cogliere cioè il significato generale dei due diversi tipi di lettura “riconoscendoli” come diversi, e

non come “opposti”.

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Il numero è di 24 libri (12x2!) in 4Esdra per il fatto che 1 e 2 Sarnuele, 1 e 2 Re, 1 e 2 Cronache,

Esdra e Neemia, i dodici profeti minori, sono conteggiati in un unico libro. La riduzione a 22 (come

le consonanti dell’alfabeto ebraico!) deriva dal fatto che Giudici e Ruth formano un solo libro, come

pure Geremia e Lamentazioni. Entrambi i numeri, 22 e 24 hanno evidentemente lo scopo di indicare

la perfezione, la compiutezza.

La tripartizione della Bibbia ebraica era conosciuta già dal II sec. a.C. e risponde anche al diverso

peso dato ai tre blocchi, con la Torah come parte fondamentale seguita dai profeti (letti a commento

della Torah nella liturgia sinagogale) e in ultimo gli scritti.

Una prima differenza che stupisce il lettore cristiano è nel trovare i libri da Giosuè a 2 Re tra i libri

profetici. Giosuè e Samuele vengono qualificati come profeti in Sir 46, 1.13.15; per quanto riguarda

i due libri dei Re, possono essere considerati profondamente profetici: il profeta Natan viene citato

prima di Davide ed Elia ed Eliseo sono celebrati come i grandi profeti del nord (Sir 48,l-16). Si

ricordino inoltre Achia di Silo (1Re 11,29-39; 14,12-18; 15,29); l’uomo di Dio che viene da Giuda

(1Re 13); Michea figlio di Imla (1Re 22); lsaia (2Re 19-20); la profetessa Culda (2Re 22, 14-20); la

profetessa Debora (Gdc 4). Questi profeti, che richiamano all’Alleanza con Dio vengono associati a

Mosè, il grande profeta(cf Dt 18,18; 34,10).

Si può tentare una comprensione della logica generale che sottostà all’organizzazione canonica

della Bibbia ebraica:

1. La Torah come fondamento e centro dell’esistenza ebraica.

Torah = Legge, ma non con le connotazioni negative che derivano dalla critica paolina alla Legge,

né da quanto evoca il termine nella cultura cristiana successiva. Si tratto originariamente delle

singole direttive impartite da un genitore (madre Pr 1,8; padre Pr 4, Is.), da un saggio (Pr 7,2) da un

profeta (Is 8,20), da un sacerdote (Ger 18,18) dal giurista (Dt 17,11)...

Insegnamento o scelta autoritativa in ordine ai problemi della vita. Ha dunque i significati di

“aiuto”, di “indicazione” per la riuscita della vita umana. Questo significato di tôrôt (plurale di

Torah), «viene poi applicato, dalla teologia Deuteronomista (a partire dal VII sec. a. C.) alle

tradizionii giuridiche, cultuali e narrative raccolte nel Deuteronomio e infine nel Pentateuco (Gn

1,1-Dt 34,9), dove «la Torah», cioè l”istruzione fondamentale che Dio ha impartito ad Israele

perché ad essa ispiri la sua esistenza”, si è venuta a sedimentare. Si tratta di un’unica direttiva in

tutta una serie di storie e precetti» (Zenger, op. cit., p. 190).

I cinque libri che compongono la Torah presentano insieme la Legge, nel senso sopra descritto e la

storia del cammino di Israele nel deserto. La successione, a grandi linee, è storia-legge-storia. come

risulta dalla rappresentazione che Zenger propone nel suo libro:

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Le corrispondenze appaiono senza dubbio significative anche se talvolta un po’ forzate. Rimane

tuttavia valida l’impostazione generale che nota nella Torah un’organizzazione concentrica in cui il

libro del Levitico, con le sue prescrizioni cultuali insieme a quelle di carattere sociale, costituisce il

centro della Torah. I cinque libri della Torah narrano la costituzione del popolo di Israele, popolo

dell’Alleanza.

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2. Legame tra Torah Nevi‛îm e Ketuvîm

La conclusione dell’ultimo libro profetico, Malachia, presenta la motivazione generale a cui deve

ispirarsi la lettura dei profeti: (3.22) Tenete a mente la legge del mio servo Mosè, al quale ordinai sulI’Oreb,

statuti e norme per tutto Israele.

«I Profeti attualizzano” la Torah, mettono a nudo le deviazioni da essa, esortano a vivere in sintonia

con essa lungo le grandi strade della storia di Israele, promettono un tempo «messianico» in cui si

vivrà nella sua perfetta obbedienza e quindi anche nella felicità paradisiaca» (Zenger, op. cit., 194).

E l’invito di Malachia al termine dei Nevi‛îm richiama linizio di questa parte del Tenak:

Gs [1.7] «Solo sii forte e molto coraggioso, cercando di agire secondo tutta la legge che ti ha prescritta Mosè, mio

servo. Non deviare da essa né a destra nè a sinistra, perché tu abbia successo in qualunque tua impresa. [1.81 Non si

allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma mèditalo giorno e notte, perché tu cerchi di agire secondo quanto vi

è scritto; poiché allora tu porterai a buon fine le tue imprese e avrai successo»

Vi è un collegamento importante anche con l’inizio della terza parte del Tenak, il libro dei salmi:

[1] Beato l’uomo

che non segue il consiglio degli empi,

non indugia nella via dei peccatori

e non siede in compagnia degli stolti;

[2] ma si compiace della legge del Signore,

la sua legge medita giorno e notte.

Questo inizio del salmo 1, inizio dell’intero salterio, indica anche, programmaticamente, l’ideale

presentato dalla terza parte del Tenak, l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio, della sua

Legge, durante la vita, in tutte le circostanze.

3. La conclusione programmatica del Tenak

Diversamente dal canone cristiano, a chiudere la terza parte del Tenak e dunque l’intera

Bibbia, troviamo il secondo libro delle Cronache. Questo sia a motivo dell’epoca tardiva della

loro composizione, sia, sembra, per scelta. Il libro di Neemia, che logicamente andrebbe dopo

2Cronache, non avrebbe dato lo stesso senso conclusivo e programmatico, allo stesso tempo, al

Tenak:

1Cr 36,22

[22]Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, a compimento della parola del Signore predetta per bocca di Geremia, il

Signore suscitò lo spirito di Ciro re di Persia, che fece proclamare per tutto il regno, a voce e per iscritto: [23f«Dice

Ciro re di Persia: Il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli

n tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta!».

La composizione del testo nella sua redazione finale sembra sia da collocare alla fine del I sec. d.C.

quando ormai il Tempio di Gerusalemme non esiste più. Alimenta dunque la speranza che la storia

di Gerusalemme e del suo Tempio avrà un seguito. Si parla dunque di un nuovo esodo dall’esilio:

“YHWH il suo Dio sia con lui e salga” (verso Gerusalemme, volutamente messo in relazione al

salire” dall’Egitto verso Gerusalemme).

Il testo inoltre allude due volte ai profeti attraverso la citazione di Geremia, richiamando così le due

parti precedenti del Tenak, conferendo all’insieme della Bibbia ebraica uno specifico valore

relazionale, ad esso spettante a prescindere da ogni «intrusione» cristiana (Zenger, op. cit., p. 199).

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Il Pentateuco rimane punto di partenza come nel Tenak. I due punti focali sono l’amore di Dio e

l’amore del prossimo (cfr Mc 12,28-34), rivelazione fondamentale di Dio a Israele, destinata a tutti i

popoli. Si vede, nell’organizzazione generale dei Primo Testamento, la prevalenza della prospettiva

storica.

La parte II (Gs-2Mac) mostra Israele come modello di comunità che vive con la Torah.

La parte III (Gb-Sir) presenta innanzitutto lo spostamento di Giobbe prima dei Salmi; ciò dipende

dall’antichità attribuita al personaggio, ma forse anche dal fatto che Giobbe appare teologicamente

meno avanzato dei Salmi che partono dalla lamentazione per arrivare alla lode di Dio. Questa III

parte invita il singolo a cercare la sapienza vera prestando ascolto, nella preghiera e nella

meditazione, alla parola di Dio, alla Torah, il cui messaggio è destinato a tutti coloro che vi si

aprono.

La parte IV (Is-Ml) sviluppa una visione del mondo e della storia proiettata verso il futuro, al

compimento, quando tutte le genti affluiranno a Sion (cfr. Is 2,1-5) per partecipare del

rinnovamento radicale del mondo promesso a tutta la terra (a cominciare da Israele e attraverso di

esso!).

2. La conclusione programmatica del Primo Testamento: Ml 3,22-24

Abbiamo già citato il versetto 3,22 in relazione al Tenak; ma ecco cosa si aggiunge negli ultimi due

versetti del libro profetico:

[3.23] Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga

il giorno grande e terribile del Signore,

[3.241 perché converta il cuore dei padri verso i figli

e il cuore dei figli verso i padri;

così che io venendo non colpisca

il paese con lo sterminio.

Nel NT si all ude spesso a questo testo:

Mt 17,10-13 : A1lor i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve viire Elia?». Ed

egli rispose: <Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi,

l’hanno trattato come hanno voluto. Così che il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro». Allora i discepoli

compresero che egli parlava di Giovanni il Battista.

Mc 9,11 ss.: E lo interrogarono: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». Egli rispose loro: «Sì, prima

viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere

disprezzato. Orbene, io vi dico che Eliaè già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di

lui».

Lc 1,17 «Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli

alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popoio ben disposto».

L’Elia annunciato da Ml 3,23 è dunque Giovanni il Battista, colui che salda strettamente l’annuncio

del Messia Gesù Cristo con il Primo Testamento.

Due conseguenze:

1. Il Nuovo Testamento riceve la sua legittimazione «canonica»

2. Il Primo Testamento assume la funzione (relazionale) di introdurre alla sequela di Gesù, il

paradigma di vita vissuto con la Torah.

Si tratta della realizzazione di quel giorno dell’avvento del Regno annunciato dai profeti oppure ma

di vita in cammino, deciso, verso il giorno annunciato da Malachia 3 ,23.

In tal senso il NT rimane strettamente vincolato all’AT e, con esso, alla storia di Israele. «Ed è

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proprio la conclusione del libro di Malachia, quale passaggio al Nuovo Testamento, che mantiene

aperto il futuro di Dio, un futuro che Gesù Cristo non ha affatto “liquidato” ma piuttosto arricchito

di una dimensione di speranza ancora più ampia, per noi cristiani del tutto singolare, benché non

unica!» (Zenger, op. cit., p. 207).

3. LETTURA EBRAICA E LETTURA CRISTIANA DELL’AT

Sull ‘Argomento sono aumentati ultimamente contributi certamente molto interessanti. Di

particolare interesse è l’articolo di P.Rossi De Gasperis che fu presentato come conferenza nel 1987

poi pubblicato in AA.VV., Ebrei ed ebraismo nel Nuovo Testamento, vol.1, Roma 1989, 47-117 e

ultimamente nel bel volume dello stesso autore, Cominciano da Gerusalemme. La sorgente della

fede e dell’esistenza cristiana, Piemme, Casale Monferrato 1997, 380-430. L’autore parte dalla sua

esperienza di lettura e comprensione del testo sulla terra e tra il popolo dell’Antico Testamento,

l’attuale Israele.

«L’alterità del libro letto dai cristiani rispetto a quello letto dagli ebrei risiede nel fatto che per i

cristiani il lettore e l’esegeta ultimo e definitivo delle Scritture è il Cristo risorto di Lc 24,27-45;

l’Agnello immolato, l’unico che sia degno di dissigillare il rotolo e di leggerlo davanti di Dio (Ap

5); il Messia trasfigurato sul monte tra Mosè ed Elia...L’esegesi “messianica” che Gesù di Nazaret

fa di tutte le scritture di Israele riferendole alla sua persona e alla sua vicenda di Crocefisso-Risorto

(Lc 24,27) è, in modo irrinunciabile, definitiva per un cristiano (At 9, 22; 17,2-3; 18,28; 26,22-23;

ecc.). Essere cristiano, infatti, niente altro significa se non essere indissolubilmente coinvolto con

Gesù Cristo e con la sua esperienza mistica del Padre, fino a ricapitolarsi totalmente sotto il suo

nome («farsi battezzare nel nome di Gesù Cristo»: At 2,38) e farsene condizionare per sempre;

aderire incondizionatarnente all’autocoscienza e all’autocomprensione di Gesù, che ci è mediata

dalla testimonianza dei discepoli della chiesa delle origini. Così come essere ebreo credente

comporta sostanzialmente un’adesione alla coscienza e all’autocomprensione di Israele mediata

dalla testimonianza della tradizione mosaico-sinaitica e dalla Torah orale... .Gesù Cristo è il Logos

stesso, cioè il SENSO, di Dio definitivamente rivelato. Non ci si stupirà dunque del fatto che il

cristiano lo trovi e lo legga dappertutto, più o meno esplicitamente adombrato e intravisto, nel

discorso e nella grande vicenda della Bibbia. La lettura cristiana delle Scritture non può prescindere

dalla coscienza che Gesù ha avuto del fatto che Abramo esultò nella speranza di vedere il suo

giorno; lo vide e se ne rallegrò (Gv 8,56)...»

Le considerazioni di P. Rossi si fanno interessanti e, agli occhi del cristiano comune, nuove. Il

Nuovo Testamento, argomenta citando anche altri autori, si presentò in realtà quale ultima e

definitiva rilettura dellAntico Testamento, dunque indubitabilmente come rilettura EBRAICA (cfr.

At 26,6-7. 22-23. Cf Gv 5,39-47; At 2,22-23; 3,18.20; 26,6 ecc...). «In terntini di formgeschichte il

Nuovo Testamento può... essere descritto come un midrash o... un pesher, cioè un’interpretazione

dell’Antico Ttstamento fatto nei termini della vita e dell’attività di Gesù» (Rossi cita la recensione

R. Gordis al libro di J.Bowker, The Targums ami Rabhinic Literature: An Introduction to Jewish

Interpretation of Scripture, in : The C’atholic Biblical Quaterly, 33(1971) 99).

Ci si riferisce spesso, per la lettura cristiana dell’AT, alla “tipologia” come «antico procedimento,

interno al NT stesso, per leggere e interpretare l’Antico. In realtà si tratta di un metodo di

intelligenza della Nuova Alleanza sullo sfondo dell’Antica, che si avvale di riferimenti a questa, sia

generali, sia particolari. Un simile procedimento esegetico non poteva nascere e svi1upparsi,

ovviamente, se non in chiese giudeocristiane, nella terra di Israele o nella Diaspora ellenistica»

(Rossi, 386).La tipologia come metodo, non va fondata nel mondo greco ellenistico. Al di là dei

termini è un procedimento ampiamente conosciuto dal mondo ebraico stesso e interno già all’AT:

richiamare il passato per illuminare il presente, a livello storico come a livello personale-spirituale.

Ha a che fare con il memoriale.

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Vi sono due tendenze compresenti nella tradizione cristiana che caratterizzano l’uso della tipologia:

quello della sostituzione che il Nuovo Testamento e Gesù Cristo opererebbero verso l’Antico, e

quella della manifestazione piena, dove Gesù Cristo e il Nuovo Testamento non fanno scomparire,

sostituendola, l’Al1eaiza Antica, ma le conferiscono il loro pieno senso. Queste due tendenze, come

si diceva, sono compresenti nella stessa tradizione cristiana e talvolta nello stesso autore. Rossi

presenta una quantità di testi che illustrano questo duplice atteggiamento (cfr. pp. 396ss.). Taluni

vedono in questo duplice atteggiamento cristiano, una “dialettica cristiana” nel rapporto con

l’Antico Testamento (riferendo come esempio il racconto della trasfigurazione ed escludendone una

lettura marcatamente sostitutiva: dopo la visione di Mosè, Elia e Gesù, resta Gesù solo perché le

altre due presenze sono sorpassate ed inutili; oppure si propone una funzione sintetica di Gesù:

Gesù rimane solo perché si sintetizza in Lui il significato della presenza e della storia precedente

(Mosè ed Elia). Rossi commentando approcci del genere dice che «Nonostante l’austera grandezza

e bellezza della teologia dialettica, per esempio di un Karl Barth, a me sembrano preferibili certe

umili viste di Origene, quando ci invita ad ascoltare tutti gli accordi di Dio nelle Sante Scritture» (p.

400).

La contrapposizione Antico/Nuovo Testamento avviene spesso anche per una errata

contrapposizione tra senso letterale e senso spirituale, dove si ritiene che non vi può essere senso

spirituale se non leggendo l’Antico Testamento a partire dal Nuovo. L’Antico Testamento in sé,

senza la luce del Nuovo, sarebbe pura lettera. Così il passaggio dalla lettera allo Spirito

consisterebbe nel passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Contro tale posizione si vedano i

Sussidi per una corretta presentazione dell’Ebraismo. «Per affermare legittimamente la

trascendenza unica del Nuovo Testamento come ultimo senso spirituale e insuperabile allegoria

dell’Antico, non è necessario, dunque, negare il senso già prossimamente spirituale del primo senso.

Ribadendo la radicale differenza delle due letture, quella ebraica e quella cristiana, riconoscendosi

reciprocamente, si può forse fare qualche passo avanti. Non si tratta solo di una rispettosa tolleranza

dell’altro.

Rinvio ulteriori approfondimenti allo studio del Documento della Pontificia Commissione Biblica,

pubblicato nel 2001 “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana” cf.

CASTELLO G., Il popolo ebraico e le sue Scritture. Riflessioni sul documento della Pontificia

Commissione Biblica, in Asprenas 49(2002) 2, 215-224.

Un testo della tradizione rabbinica (Mishpatim 99a-99b)1 espone con grande chiarezza quale

debba essere il rapporto da stabilire con la Scrittura, se si vuole raggiungerne l’autentica conoscenza

che si ha solo per partecipazione d’amore:

La Torah rivela una parola che emerge un po’ dal suo velo e poi si nasconde di nuovo. Essa agisce così solo

con coloro che la conoscono e le obbediscono. La Torah assomiglia infatti a una bella e magnifica ragazza,

nascosta in una stanza recondita del suo palazzo. Ella ha un amore segreto, sconosciuto a tutti gli altri. Egli,

l’innamorato, per amore di lei scruta attentamente attraverso la grata della casa in ogni direzione, cercandola.

Lei sa che il suo innamorato insiste nel frequentare la grata della casa e che fa? Apre appena un poco la porta

della sua stanza remota e per un attimo rivela il suo volto all’amato, ma subito lo nasconde di nuovo. Chiunque

fosse così in compagnia dell’amato non potrebbe né vedere né percepire alcunché. L’innamorato solo la vede e

viene trascinato interiormente verso di lei con il cuore, con l’anima e con tutto l’essere, e capisce che per amore

di lui ella ha dischiuso per un momento se stessa, infiammata d’amore per lui.

1 Cf. J. ABELSON (cur.), The Zohar, London – New York

21984, III, 301-302.

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Così è della parola della Torah che rivela se stessa soltanto ai suoi amanti. La Torah sa che chi è sapiente nel

cuore frequenta la sua casa. Cosa fa allora? Dall’interno del suo palazzo rivela a lui il suo volto e le sue bellezze,

ma poi ritorna in fretta nella sua stanza e si nasconde di nuovo. Coloro che sono presenti non vedono e non

comprendono nulla; soltanto lui la vede ed è attratto verso di lei con il cuore, con l’anima e con tutto il suo

essere. Così la Torah rivela e insieme nasconde se stessa ed è ebbra d’amore per l’amato, mentre eccita amore

dentro di lui. Vieni e vedi, questa è la via della Torah.

All’inizio, quand’essa vuole rivelare se stessa a qualcuno, offre solo un segno istantaneo; se egli non capisce,

essa insiste e lo manda a chiamare con un sottile suono di voce. Al messaggero mandato da lei, la Torah dice:

«Di’ a chi riesce a percepire questo bisbiglio, di venire qui, perché possa parlargli». Come sta scritto: «Chi è

semplice venga a me». Essa lo ha detto e vuole che egli capisca. Quando lui arriva da lei, essa comincia a

indirizzargli parole più chiare da dietro il velo, educandolo a capire. Finché molto lentamente viene concepita e

nasce da lui l’intuizione spirituale. Poi, attraverso un velo di luce, essa gli trasmette parole allegoriche. E

soltanto allora, quando lui è divenuto familiare con lei, gli rivela se stessa faccia a faccia e gli parla di tutti i

misteri nascosti e di tutte le strade da seguire, che essa aveva in cuore di dirgli fin dall’inizio.

Un uomo del genere è allora chiamato perfetto e maestro, che è come dire sposo della Torah nel senso più

intimo e stretto; è il padrone di casa cui essa apre tutti i segreti non nascondendogli nulla. E gli dice: «Vedi

adesso quanti misteri conteneva quel semplice segno che ti detti in quel primo giorno e quale era il suo vero

significato?». Allora egli capisce che a quelle parole non si può togliere o aggiungere nulla e comprende, per la

prima volta, il significato delle parole della Torah, come se fossero lì davanti a lui. Parole cui né una sillaba né

una lettera può essere aggiunta o sottratta.

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INTRODUZIONE ALLA TORAH/PENTATEUCO E LIBRI STORICI

Alla luce dello studio storico critico della Torah/Pentateuco (a cui si è fatto cenno nelle

lezioni introduttive), soprattutto in relazione alla storia della formazione del Pentateuco e delle sue

signole parti, nasce la tentazione di una rinuncia a tracciare quadri sull'insieme dei primi cinque

libri della Bibbia, che però nonostante le critiche, continuano a costituire nella tradizione ebraica e

in quella cristiana la Torah/Pentateuco.

Dal punto di vista della composizione letteraria, rinunciando al quadro elaborato

dall’aprofondimento della teoria documentaria, vi è un sostanziale accordo sulla generica distinzioni

tra testi sacerdotali (P) e testi non-sacerdotali (non P). Al di là di questa base più o meno accettata,

restano tra gli specialisti molte differenze nel determinare se i testi non-P siano precedenti a P

oppure possano anche essere testi successivi. Un altro problema riguarda i testi P e la redazione P: P

è il redattore del Pentateuco? Ci sono state delle fasi posteriori?

In relazione al materiale non P si è rilevato inoltre (cf. Romer) che probabilmente bisogna

rinunciare all’idea wellhausiana di una fonte J del Pentateuco e pensare piuttosto a diversi materiali

raccolti insieme solo nella fase della redazione. Prima di P insomma non esisteva un racconto

continuo che andava dalle origini all’ingresso nella Terra, ma diverse tradizioni che spiegavano in

maniera differente le origini di Israele. Dunque non racconti unitari poi fusi insieme, ma piuttosto

diversi racconti (frammenti) uniti solo nella fase redazionale. Così si riconosce (cf. De Pury) un

mito autonomo sulle origini di Israele nel racconto di Giacobbe (Gn 25-36) che avrebbe spiegato la

presenza di Israele in Canaan descrivendo la storia degli antenati in maniera diversa dalla tradizione

dell’Esodo che avrebbe costituito un altro mito delle origini di Israele, ricorrendo al mito dell’uscita

dall’Egitto. Non si può tuttavia escludere che vi siano stati dei contatti e delle contaminazioni tra i

due racconti originari, quello genealogico dei patriarchi e quello vocazionale della chiamata ad

uscire dall’Egitto di tipo profetico-deuteronomistico.

Il Pentateuco, così come si trova nell'insieme dei libri biblici, rappresenta senza dubbio

l'antefatto essenziale, la storia costitutiva del popolo di Israele e della sua fede, non solo all'interno

del corpo del cosiddetto Primo Testamento, ma anche per l'insieme degli scritti del Nuovo

Testamento. Tale ruolo conserva anche nella successiva tradizione sia giudaica che cristiana,

benchè con diverse accentuazioni dipendenti dai diversi approcci esegetici, teologici, spirituali con

il quale veniva letto e commentato nella sinagoga o nella chiesa.

Corpo fondamentale, dunque, innanzitutto per un aspetto che definirei di tipo storico: è il

Pentateuco che descrive l'origine di Israele. Sia o non la descrizione dell'origine storica, o quanto sia

vicino o distante dalla verità che solo attraverso dati storiografici certi, operazione considerata da

molti impossibile, potrebbe essere accertata. È in ogni modo la narrazione di eventi che descrivono

l'origine di Israele come popolo dal punto di vista essenzialmente religioso. Nè fattori politici, nè

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sociali vengono considerati come determinanti, bensì la chiamata di Dio, che si manifesta come

YHWH, la risposta di Israele, il patto, la legge.

Tutto ciò attraverso delle idee portanti, che diventano fondamentali nella religione di Israele e

nel modo col quale Israele descrive la sua origine, descrivendo nel contempo la sua natura e

identità: l'autopercezione di Israele come popolo e le linee fondamentali, per così dire la carta

costitutiva, della propria identità.

Resta difficile determinare se questa composizione unitaria fu occasionata, nella sua

sistemazione finale, da preoccupazioni soprattutto interne (per es. la legittimazione di un potere

regale, fondato sulle promesse antiche....) ovvero esterne (la possibilità di presentarsi "con le carte a

posto" di fronte per es. ai persiani, per essere riconosciuti nella propria indipendenza e godere dello

statuto di popolo con una propria identità da rispettare).

Nell'ambito di questa storia sacra e nazionale che spega le origini di Israle come popolo,

distinguiamo certamente alcune unità maggiori, sia attraverso l'oggetto delle descrizioni delle

diverse parti del Pentateuco, sia per i loro generi letterari.

1 Gen 1-11 La storia delle origini

Così possiamo enucleare nei primi 11 capitoli, una storia che è evidentemente tesa ad

inquadrare l'origine del popolo in un contesto molto più ampio e, allo stesso tempo, l'occasione per

affrontare alcune questioni che potremmo definire fondamentali per l'uomo di ogni tempo e di ogni

luogo, questioni che hanno a che fare con la sapienza antica e i tentativi di tipo mitologico di

spiegare le grandi questioni dell'uomo (il male, la sofferenza, la violenza, la morte, la differenza tra

gli uomini). Non è estranea tuttavia a questa prima unità del Pentateuco, la preoccupazione di

mostrare il collegamento intrinseco tra Israele e il creatore del mondo: colui che ha eletto Israele

come suo popolo, anzi che lo ha costituito tale, è anche il creatore del cosmo e dell'uomo, a Lui

tutto, dunque è sottoposto. Viene da più parti ribadito (SKA, RENDTORFF...), che non vi sono veri

e propri collegamenti interni tra Gn 1-11 e il seguito della storia patriarcale o di quella esodica. E

tuttavia l'apertura del Pentateuco con Gn 1-11 ha un significato a livello di disegno totale, di

architettura complessiva del Pentateuco. Il racconto di Gen 1-11 si preoccupa infatti di mostrare,

attraverso raccordi tra le diverse generazioni a partire dalla coppia originaria, come si giunga ad

Abramo e alla sua famiglia. È a tale scopo che si riportano le genealogie che certo tendono alla

descrizione di un quadro ampio, che non considera solo Israele ma spiega la nascita dei popoli (cfr

tavola dei popoli), ma certamente tutto questo viene fatto a partire da un interesse non di tipo

generico, culturale, con un tipo di domanda che ci poniamo nell'ambito delle scienze moderne,

piuttosto con una visuale che parte, nell'interesse di chi scrive, dal particolare per osservare

l'universale e dare spiegazioni delle connessioni tra il particolare e l'universale. È questa la funzione

delle genealogie, delle toledot di origine sacerdotale.

Alcuni concetti di particolare importanza che emergono dalla prima unità si ritroveranno

anche in altre parti degli scritti sacri e possono suggerire dei collegamenti a temi che, per così dire,

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fuoriescono dai confine di una narrazione delle origini e che ne giustificano pure il significato. Sono

in particolare due momenti della storia delle origini che si differenziano dal resto della narrazione

per non essere collegati a fatti e personaggi di cui si raccontano le vicende (Adamo, Caino, Noè...):

il cap. 1, la creazione e il cap. 9, l'Alleanza noachica. Il fallimento del progetto originario di Dio

sull'uomo con il suo progressivo allontanamento dalla condizione dell'origine (dalla trasgressione di

Adamo ed Eva a quella di Caino, alla generazione perversa di Noè). A sua volta la presentazione

del fallimento del progetto originario, porta con sè la necessità divina di una prima alleanza, quella

noachica, che è unilaterale, fondata sulla constatazione che l'uomo è così e che la sua conservazione

nell'esistenza non potrà derivare dal suo atteggiamento verso la vita, il mondo, Dio, ma solo

dall'unilaterale scelta di Dio di non distruggere più come nel diluvio, di non arrivare cioè a trarre le

conclusioni estreme dal comportamento umano. Questo genere di alleanza è caratteristica di quella

che tradizionalmente viene definita la tradizione sacerdotale e che si differenzia da quella

deuteronomista per essere quest'ultima di tipo bilaterale: Dio sarà fedele al suo popolo che dovrà

però mantenersi fedele al suo Dio.

Se una tematica generale, a livello teologico, deve essere riconosciuta in Gn 1-11 è proprio

questa del passaggio dalla creazione all'Alleanza che può essere percepito come il messaggio

fondamentale di Gn 1-11 anche rispetto a quanto segue con la storia di Abramo (Gn 12,1-3).

L’importanza del racconto delle origini sotto il profilo teologico è certamente particolare per

il ruolo che ha assunto nella concezione cosmologica (la creazione e la creazione dal nulla) ma

anche per la dottrina del peccato originale. Altre prospettive si sono dischiuse più recentemente a

partire dalle questioni ecologiche e al richiamo a un’etica della responsabilità. Così pure temi che

hanno a che fare con il senso del lavoro/riposo nella vita umana (shabbat). Dunque lo studio di

questi capitoli andrà affrontato con particolare attenzione.

Cosa dire della composizione letteraria? Osserveremo spesso dei segni di cesura tra i capitoli

e all’interno della stessa narrazione, proprio quei segni che sono stati colti sin da tempi antichi per

ipotizzare un lavoro di composizione letterariamente complesso. Allo stato attuale, come si diceva

si distingue in particolare tra un complesso letterario P e uno non-P (resta da stabilire se precedente

o posteriore a P).

2. Gen 12-50

Tutto ciò, in ordine logico, fonda la chiamata di Abramo e l'inizio di una storia nuova, in cui

l'uomo, un uomo questa volta determinato, accetti di camminare secondo Dio. Ciò che gli viene

chiesto è un atto di fiducia fondamentale che dovrà superare non solo il comportamento istintivo di

cui è dotato ma che non può servire per vivere responsabilmente il rapporto con Dio, con l'altro

uomo e con la natura.

Ha inizio così il secondo blocco, la seconda unità che costituisce il Pentateuco, la storia dei

patriarchi. Anch'essa può essere considerata come premessa a ciò che segue. La chiamata cioè di

Israele a essere il popolo di Dio, ha un'origine lontana, il cui ricordo si collega a personaggi che

precedono lo stesso Mosè, il grande legislatore e Padre di Israele. È fondato in una storia che anche

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questa volta, con grande evidenza, può essere letta come la preistoria di Israele nella quale

emergono figure piuttosto tipiche, atteggiamenti fondamentali dell'uomo di fronte a Dio, ereditati da

Israele come popolo e dal singolo uomo di fede. Si tratta di figure metastoriche, collegate

secondariamente da successioni genealogiche per la preoccupazione costante degli autori di

mostrare il legame tra tali storie e l'attuale popolo. Ma il rilievo di questi personaggi conduce a

valicare i confini della descrizione della storia antica di Israele per leggere in quelle figure dei veri e

propri proto-tipi dell'uomo di fede in rapporto a YHWH (come del resto hanno fatto le tradizioni

religiose giudaica, cristiana ed islamica).

Qui emergono concetti di importanza particolare per la concezione della fede biblica:

l'alleanza, tra Dio ed Abramo e con i Patriarchi. Le promesse: la terra e il popolo. Fondamentale,

come si diceva, il rapporti di fiducia, qui un dato essenziale per la comprensione della fede biblica:

un rapporto personale tra l'uomo biblico e Dio, che può giungere fino alla richiesta più assurda, alla

prova più ardua: l'immolazione del figlio (Gen 22).

All'interno di questo blocco, caratterizzato dalla narrazione di storie prevalentemente

familiari, in cui compaiono i padri e le madri di Israle nella loro funzione costitutiva di tipi della

fede, si distingue l'ultima parte, relativa alla vicenda di Giuseppe (Gen 37-50) che può essere

considerata una narrazione ponte fra la storia patriarcale e l'origine di Israele come popolo. Il

racconto fornisce infatti la spiegazione di come Israele sia giunto in Canaan dall'esterno, di come

possano esistere tensioni tra la fede di Israele e gli usi e costumi di Canaan.

Segue un blocco ben più grande che bisognerà distinguere in parti che evidentemento lo

costituiscono. Si tratta della storia esodica, che di per sé occupa la parte più consistente del

Pentateuco Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Si comprende dunque come l'intero libro

della Genesi possa essere considerato la grande premessa a quanto Israle si è trovato a vivere come

origine della sua storia. Una origine che rappresenta la carta costituitiva di Israle nel suo rapporto

con YHWH e nella sua stessa identità verso l'interno e verso l'esterno. La vicenda esodica, a sua

volta, può essere infatti considerata come la premessa al resto della Bibbia. In tale vicenda si

distinguono innanzitutto i due generi maggiori: la descrizione narrativa dei fatti e la legislazione. Si

possono distinguere dei blocchi maggiori: ad una prima oservazione, infatti, la parte centrale di

questa narrazione è quella legislativa che comprende parte di Es, l'intero libro del Levitico e parte

del libro dei Numeri. Ma altre parti legislative sono disseminate nel corpo della narrazione. Senza

dubbio ci troviamo di fronte a quella autopresentazione, interna ed esterna di Israele, che fornisce il

suo statuto giuridico inquadrato dentro ad eventi costitutivi che ne offrono le motivazioni profonde.

YHWH ha cioè un diritto su Israele. Intanto Israele esiste come popolo perchè YHWH lo ha

condotto fuori dall'Egitto, nonostante le sue resistenze e i suoi tentennamenti. Il legame, del resto è

di tipo formale. Tra YHWH e Israle esiste un'Alleanza che Dio ha proposto a Israele, chiamato ad

accettarla o a rifiutarla non a contrattarla. Ancora una volta, come nella storia patriarcale, tale

Alleanza garantisce delle promesse, vivere come popolo nella terra promessa, in cui scorre latte e

miele. La libertà ha un prezzo, l'osservanza fedele della Legge. Ad una lettura più profonda degli

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eventi non sfggge, considerando il quadro generale del Pentateuco, che tale Alleanza, l'obbligo a

rispettare leggi e decreti, è presentato come la possibilità di vivere una condizione di relazione con

Dio e di regolamentazione della vita (con gli altri dentro Israele, con i popoli diversi, con la natura),

che non conduca anche Isaraele alla condizione di idolatria, di lontananza dal Dio della creazione

come la coppia Adamo-Eva condannati a vagare fuori dell'Eden allo stesso modo di Caino e in

sostanza dei popoli dispersi dopo Babele.

Così presentato, dunque, a partire da una semplice rapida osservazione dei testi nella loro

autoevidenza, si può leggere, dopo che la stessa operazione è stata fatta per le singole unità, come

introduzione alla storia successiva della monarchia (la storia deuteronomistica), e in generale alla

storia dell'Israele Biblico. Il Pentateuco è la Legge costitutiva, la carta fondamentale che consente al

popolo di ritrovare la sua identità nei momenti in cui la smarrisce, di presentarsi come vero popolo

dinnanzi alle autorità straniere, spesso conquistatrici.

Abbiamo identificato così alcune unità che costituiscono, secondo Von Rad e lo stesso

Rendtorff, con qualche differenza, le unità fondamentali che costituiscono il Pentateuco: la storia

delle origni, la storia patriarcale, la storia dell'Esodo (uscita), la legislazione del Sinai. Von Rad, che

considera la necessità di unire al Pentateuco il libro di Giosuè, descrive una quinta unità tradizionale

che costituì il materiale di partenza per la redazione di questa storia: la conquista.

Nasce una domanda spontanea: si può pensare, come sembra suggersicano alcuni studiosi, che

queste unità fossero pure i punti di partenza per la redazione del Pentateuco? Questo cambierebbe

totalmente la prospettiva della cosiddetta teoria dei documenti paralleli che immagina il processo in

maniera diversa, a partire da documenti continui che attraversano ciascuno l'intero Pentateuco?

I “libri storici”

Al Pentateuco, nella sua sistemazione finale, si agganciano, uno dopo l'altro i libri storici,

che descrivono l'ingresso delle tribù di Israele nella Terra ad opera di Giosuè, fatto narrato

dall'omonimo libro; il libro dei Giudici, che descrive la prima fase di permanenza di Israele nella

Terra Promessa, con il governo dei giudici, personaggi carismatici inviati da YHWH stesso a

governare le tribù e spesso a trarle fuori dai problemi in cui cadono quando abbandonano il loro

Dio; i due libri di Samuele e i due libri dei Re: questa parte descrive, in maniera storiograficamente

problematica, la nascita della monarchia in Israele con Saul, il primo re, unto dal profeta Samuele

ed infine respinto dal Signore (1Sam 8-15); l'unzione e l'ascesa di Davide, che governerà per

quarant'anni su Israele (1Sam 16-1Re2); la successione di Salomone e il suo regno (1Re3-11); lo

scisma politico e la narrazione dei regni del nord e del sud fno alla loro caduta (1Re12-2Re25).

Tutta questa storia, dall'ingresso nella Terra alla caduta di Gerusalemme, che copre un ampio

tratto della tradizionale storia di Israele, dal XIII al VI sec. a.C., prende il nome di storia

deuteronomista, essendo ispirata al principio di fedeltà all'Alleanza così come viene presentata nel

libro del Deuteronomio.

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La vicenda storica verrà ancora narrata dai libri delle Cronache (da Adamo alla caduta della

monarchia) e da Esdra e Neemia, che descrivono il periodo successivo al rientro in patria degli esuli

in Babilonia con la rinascita e i problemi nuovi che Israele dovrà affrontare.

I due libri dei Maccabei, che non rientrano nel canone ebraico, si riferiscono alle vicende

legate alla resistenza dei fratelli Maccabei contro il dominio Seleucida nel II sec. a.C.

Questa presentazione in successione dei libri e dlla storia di Israele, riflettono la maniera

tradizionale cristiana di considerare la narrazione biblica sostanzialmente presentata come storia del

popolo eletto. Essi vengono dunque letti soprattutto con un interesse per dire così storico. È questa

la categoria principale e per questo vengono considerati nella loro continuità storica.

Non proprio così nella tradizione giudaica. Già all'interno della Bibbia, non appena, per

esempio, iniziamo a leggere il libro di Giosuè, e poi dei Giudici, ci rendiamo conto che il costante

richiamo che viene fatto da YHWH ai capi di Israele e in generale al popolo è alla Legge di Mosè;

non tanto ai fatti narrati nei primi cinque libri, ma ai primi cinque libri come Legge fondamentale a

cui Israele deve costantemente riferirsi:

[1.1] Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, servo di

Mosè: [1.2] «Mosè mio servo è morto; orsù, attraversa questo Giordano tu e tutto questo popolo,

verso il paese che io do loro, agli Israeliti. [1.3] Ogni luogo che calcherà la pianta dei vostri piedi,

ve l’ho assegnato, come ho promesso a Mosè. [1.4] Dal deserto e dal Libano fino al fiume grande, il

fiume Eufrate, tutto il paese degli Hittiti, fino al Mar Mediterraneo, dove tramonta il sole: tali

saranno i vostri confini. [1.5] Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono

stato con Mosè, così sarò con te; non ti lascerò né ti abbandonerò. [1.6] Sii coraggioso e forte,

poiché tu dovrai mettere questo popolo in possesso della terra che ho giurato ai loro padri di dare

loro. [1.7] Solo sii forte e molto coraggioso, cercando di agire secondo tutta la legge che ti ha

prescritta Mosè, mio servo. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, perché tu abbia

successo in qualunque tua impresa. [1.8] Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa

legge, ma mèditalo giorno e notte, perché tu cerchi di agire secondo quanto vi è scritto; poiché

allora tu porterai a buon fine le tue imprese e avrai successo. [1.9] Non ti ho io comandato: Sii

forte e coraggioso? Non temere dunque e non spaventarti, perché è con te il Signore tuo Dio,

dovunque tu vada».