PREGHIERA PER LA CHIESA DI MILANO · che la terra è piena della gloria di Dio A questa morte si...

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PREGHIERA PER LA CHIESA DI MILANO «Padre nostro che sei nei cieli, venga il tuo regno: ispira la nostra Chiesa perché, insieme con il suo Vescovo attenda, invochi, prepari la venuta del tuo Regno. Concedi alla nostra Chiesa di essere libera, lieta, unita, per non ripiegarsi sulle sue paure e sulle sue povertà, e ardere per il desiderio di condividere la gioia del Vangelo. Padre nostro che sei nei cieli, sia fatta la tua volontà: manifesta anche nella vita e nelle parole della nostra Chiesa e del suo Vescovo il tuo desiderio che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome: l’amore che unisce i tuoi discepoli, la sapienza e la fortezza dello Spirito, l’audacia nel costruire un convivere fraterno renda intensa la gioia, coraggioso il cammino, limpida la testimonianza per annunciare che la terra è piena della tua gloria». Mons. Mario Delpini Arcivescovo di Milano Per annunciare che la terra è piena della gloria di Dio A questa morte si appoggia chi vive

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PREGHIERA PER LA CHIESA DI MILANO

«Padre nostro che sei nei cieli, venga il tuo regno:

ispira la nostra Chiesa perché, insieme con il suo Vescovo

attenda, invochi, prepari la venuta del tuo Regno.

Concedi alla nostra Chiesa di essere libera, lieta, unita,

per non ripiegarsi sulle sue paure e sulle sue povertà,

e ardere per il desiderio di condividere la gioia del Vangelo.

Padre nostro che sei nei cieli, sia fatta la tua volontà:

manifesta anche nella vita e nelle parole

della nostra Chiesa e del suo Vescovo

il tuo desiderio che tutti gli uomini siano salvati

e giungano alla conoscenza della verità.

Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome:

l’amore che unisce i tuoi discepoli,

la sapienza e la fortezza dello Spirito,

l’audacia nel costruire un convivere fraterno

renda intensa la gioia,

coraggioso il cammino,

limpida la testimonianza

per annunciare che la terra è piena della tua gloria».

Mons. Mario Delpini

Arcivescovo di Milano

Per annunciare

che la terra è piena

della gloria di Dio

A questa morte

si appoggia

chi vive

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Miei Cari

vi raggiungo in questo tempo di vacanza e di riposo con questo testo, che

raccoglie alcune provocazioni del nostro nuovo Arcivescovo Mons. Mario Delpini.

Ve lo consegno con una duplice finalità:

Iniziare a conoscere e a familiarizzare con il nostro nuovo Pastore a

partire dalle sue Parole. Questi sono i testi scelti:

le due lettere del Vicario Generale e dell'Arcivescovo Card Angelo Scola a

conclusione della Visita Pastorale.

L'Omelia alla nostra Comunità Pastorale di Magenta del 28 aprile 2017.

Due articoli del settembre 2016 per l'inizio dell'anno pastorale:

L'anno delle cose facili

Per configurare un volto nuovo di Chiesa

Tre Omelie sul volto della Chiesa, così come la Parola di Dio lo indica e il

discernimento spirituale del Vescovo lo accoglie:

Una Chiesa giovane

Ecco perché esiste una Comunità Cristiana

Santa Gianna ci aiuti a entrare in profondità nel mistero della

vita.

Raccogliere delle provocazioni che possano diventare saggi Consigli e

preziosi Suggerimenti per il primo incontro del CPdCP, che prevedo terremo nel

prossimo mese di settembre (cfr in allegato l'articolo di INSIEME: L'Anno che

verrà, del mese di Agosto).

Non ci sarà un vero e proprio ordine del giorno, ma raccoglieremo il frutto

del vostro discernimento per il cammino del prossimo anno pastorale.

Buone Vacanze e buon riposo a tutti.

La Madonna Assunta vegli su di noi!

don Giuseppe

Magenta, 22 luglio 2017

Festa di Santa Maria Maddalena.

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A R C I D I O C E S I D I M I L A N O Curia Arcivescovile

IL VICARIO GENERALE

Ai fedeli della Comunità pastorale

Santa Gianna Beretta Molla e Beato Paolo VI

MAGENTA

Carissimi,

siate benedetti nel nome del Signore! Vi porto la benedizione, il saluto,

l’apprezzamento e l’incoraggiamento del Cardinale Arcivescovo che rappresento in questa

fase conclusiva della Visita Pastorale.

La vostra comunità vive dentro la Chiesa Ambrosiana e nella comunione della Chiesa

Cattolica, continuando nel vostro territorio la missione che il Signore risorto ha affidato ai

suoi discepoli.

Nel contesto particolare di questo cambiamento d’epoca che stiamo vivendo nella

gioia dello Spirito, sotto la guida di Papa Francesco, accogliendo le indicazioni del

Cardinale Arcivescovo, siamo chiamati ad accogliere con gratitudine la grazia della

comunione che ci raduna e ad esprimerla in una coralità sinfonica che condivide alcune

priorità e si decide per un passo da compiere.

Quanto alle priorità da condividere è opportuno esplicitare alcuni tratti della

proposta pastorale che sono irrinunciabili

La comunità dei discepoli del Signore vive del rapporto con il Signore. Si potrebbe

dire che è una comunità che nasce dall’Eucaristia e che vive un clima di preghiera fedele e

fiduciosa, nella persuasione che senza il Signore non possiamo fare nulla.

La priorità deve essere quindi la cura per la celebrazione della Messa domenicale:

deve essere un appuntamento desiderato, preparato, celebrato con gioia e dignità: quindi è

necessario che ci sia un gruppo liturgico che anima la liturgia, un educazione al canto

liturgico, una formazione dei ministranti e di tutti coloro che prestano in servizio nella

celebrazione.

Deve essere favorita anche la preghiera feriale, promuovendo la partecipazione alla

messa, la preghiera della liturgia delle ore, l’adorazione eucaristica la preghiera del

rosario, le devozioni popolari. Le pubblicazioni proposte dalla Diocesi (La Tenda, la Diurna

Laus per esempio) offrono un aiuto prezioso per vivere quotidianamente la preghiera

liturgica. È poi opportuno che la chiesa sia aperta, per quanto possibile. È necessario che la

comunità esprima persone volontarie affidabili e convinte per tenere aperta la chiesa, per

animare la preghiera della comunità anche in assenza del prete (per esempio rinnovando il

gruppo dell’Apostolato della preghiera).

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La comunità dei discepoli del Signore è il contesto in cui ciascuno riconosce che la sua

vita è una grazia, una vocazione, una missione. Ogni proposta pastorale deve avere come

obiettivo l’aiuto perché ciascuno trovi la sua vocazione e la viva nelle forme che lo Spirito

suggerisce, quindi nella pluralità delle forme associative e dei percorsi personali. In

particolare la pastorale giovanile deve essere scuola di preghiera e percorso vocazionale.

La scelta dei diversi stati di vita deve essere accompagnato con sapienza e autorevolezza

dagli adulti della comunità così da favorire le decisioni definitive per la vita matrimoniale

o le forme di speciale consacrazione. La comunità degli adulti infatti deve pensarsi come

comunità educante.

La comunità dei discepoli del Signore è presente nel contesto in cui vive come il sale

della terra, la luce del mondo, il lievito che fa fermentare tutta la pasta. Nella complessità del

nostro tempo coloro che condividono la mentalità e i sentimenti di Cristo hanno la

responsabilità di testimoniare come la fede diventi cultura, proponga una vita buona,

desiderabile per tutti, promettente per il futuro del paese e dell’Europa. Nella

conversazione quotidiana, nell’uso saggio degli strumenti di comunicazione della

comunità (stampa parrocchiale, buona stampa, specie Avvenire, Il Segno, centri culturali,

sale della comunità, social, ecc) i discepoli del Signore condividono, argomentano,

approfondiscono quella visione dell’uomo e della donna, del mondo e della vita che si

ispira al Vangelo, che si lascia istruire dal magistero della Chiesa e dalla ricerca personale.

Quanto al passo da compiere individuato durante le fasi precedenti della visita

pastorale, è fatto proprio dal Cardinale Arcivescovo e raccomandato in questi termini:

E’ il momento di passare dalla valorizzazione delle singole parrocchie alla spinta nel

cammino verso la comunità pastorale. Viste alcune risposte esaltanti verso la carità e le

sue esigenze, è opportuno favorire una crescita nella libertà di amare nelle relazioni

quotidiane più semplici. Si deve intuire come valorizzare i ministeri e proporre itinerari di

formazione permanente dei laici perché se ne facciano carico.

Incarico il consiglio pastorale di riprendere e attuare le indicazioni di questa lettera e

di verificarne puntualmente l’attuazione con scadenza annuale [nella prima settima di

quaresima degli anni a venire]

Accompagno il cammino di tutti con ogni benedizione e invoco ogni grazia per

intercessione dei santi Ambrogio e Carlo, dei santi patroni della parrocchia/comunità

pastorale

IL VICARIO GENERALE

Milano, 28 aprile 2017

Festa di santa Gianna Beretta Molla.

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LETTERA DELL' ARCIVESCOVO

ANGELO SCOLA

A CONCLUSIONE DELLA VISITA

PASTORALE

«Un cristianesimo di popolo

per tutti»

Carissime e carissimi,

con questa lettera desidero raggiungere tutti i battezzati, le donne e gli uomini delle

religioni e di buona volontà, per esprimere la mia gratitudine per il dono della Visita

Pastorale Feriale giunta ormai alla sua conclusione.

Nelle sue tre fasi, essa ha consentito a me e ai miei collaboratori di toccare con mano

la vita di comunione in atto nella Chiesa ambrosiana, non certo priva di difficoltà e di

conflitti e tuttavia appassionata all’unità. La preparazione della Visita, svoltasi in modo

forse un po’ diseguale nei vari decanati, l’atteggiamento di ascolto profondo in occasione

dell’assemblea ecclesiale con l’Arcivescovo, la cura nell’accogliere nelle realtà pastorali il

Vicario di Zona o il Decano, e la proposta del passo da compiere sotto la guida del Vicario

Generale, hanno confermato ai miei occhi la vitalità di comunità cristiane non solo ben

radicate nella storia secolare della nostra Chiesa, ma capaci di tentare, su suggerimento

dello Spirito, adeguate innovazioni. Questa attitudine di disponibilità al cambiamento l’ho

toccata con mano sia nelle parrocchie del centro, sia nelle grandi parrocchie di periferia,

esplose negli ultimi sessant’anni, sia nelle città della nostra Diocesi, sia nelle parrocchie

medie e piccole.

È stata però la Visita del Papa a farmi cogliere nitidamente l’elemento che unifica le

grandi diversità che alimentano la nostra vita diocesana. La venuta tra noi del Santo Padre

è stata, infatti, un richiamo così forte da rendere visivamente evidente che la nostra Chiesa

è ancora una Chiesa di popolo. Certo, anche da noi il cambiamento d’epoca fa sentire tutto

il suo peso. Come le altre metropoli, siamo segnati spesso da un cristianesimo “fai da te”:

ce l’hanno testimoniato gli arcivescovi di grandi Chiese in tutto il mondo che in Duomo

hanno raccontato l’esperienza delle loro comunità. Non manca confusione su valori

imprescindibili; spesso non è chiaro il rapporto tra i diritti, i doveri e le leggi… Ma è

inutile insistere troppo sull’analisi degli effetti della secolarizzazione su cui ci siamo

soffermati in tante occasioni. Più utile, anzi necessario, è domandarci – con ancora negli

occhi il popolo della Santa Messa nel parco di Monza, l’incontro con i ragazzi a San Siro,

l’abbraccio al Santo Padre degli abitanti delle Case bianche e dei detenuti di San Vittore, e

soprattutto la folla che ha accompagnato la vettura del Papa lungo tutti i 99 km dei suoi

spostamenti – che responsabilità ne viene per noi? Come coinvolgere in questa vita di

popolo i tantissimi fratelli e sorelle battezzati che hanno un po’ perso la via di casa? Come

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proporre con semplicità in tutti gli ambienti dell’umana esistenza la bellezza dell’incontro

con Gesù e della vita che ne scaturisce? Come rivitalizzare le nostre comunità cristiane di

parrocchia e di ambiente perché, con il Maestro, si possa ripetere con gusto e con

semplicità a qualunque nostro fratello “vieni e vedi”? Come comunicare ai ragazzi e ai

giovani il dono della fede, in tutta la sua bellezza e “con-venienza”? In una parola: se il

nostro è, nelle sue solidi radici, un cristianesimo di popolo, allora è per tutti. Non

dobbiamo più racchiuderci tristi in troppi piagnistei sul cambiamento epocale, né ostinarci

nell’esasperare opinioni diverse rischiando in tal modo di far prevalere la divisione sulla

comunione. Penso qui alla comprensibile fatica di costruire le comunità pastorali o

nell’accogliere gli immigrati che giungono a noi per fuggire dalla guerra e dalla fame. Ma,

con una limpida testimonianza, personale e comunitaria, con gratitudine per il dono di

Cristo e della Chiesa, siamo chiamati a lasciarlo trasparire come un invito affascinante per

quanti quotidianamente incontriamo.

A queste poche e incomplete righe vorrei aggiungere una parola su quanto la Visita

Pastorale ha dato a me, Arcivescovo. Lo dirò in maniera semplice: durante la celebrazione

dell’Eucaristia nelle tante parrocchie e realtà incontrate, così come nei saluti pur brevi che

ci siamo scambiati dopo la Messa, e, in modo speciale, nel dialogo assembleare cui ho fatto

riferimento, ho sempre ricevuto il grande dono di una rigenerazione della mia fede e

l’approfondirsi in me di una passione, quasi inattesa, nel vivere il mio compito. Ma devo

aggiungere un’altra cosa a cui tengo molto. Ho appreso a conoscermi meglio, a fare

miglior uso dei doni che Dio mi ha dato e, nello stesso tempo, ho imparato un po’ di più

quell’umiltà (humilitas) che segna in profondità la nostra storia. Ho potuto così, grazie a

voi, accettare quel senso di indegnità e di inadeguatezza che sorge in me tutte le volte che

mi pongo di fronte alle grandi figure dei nostri patroni Ambrogio e Carlo.

Se consideriamo la Visita Pastorale Feriale dal punto di vista profondo che la fede, la

speranza e la carità ci insegnano, e non ci fermiamo a reazioni emotive o solo sentimentali,

non possiamo non riceverla come una grande risorsa che lo Spirito Santo ha messo a

nostra disposizione e che ci provoca ad un cammino più deciso e più lieto. Seguendo la

testimonianza di Papa Francesco, la grande tradizione della Chiesa milanese può

rinnovarsi ed incarnarsi meglio nella storia personale e sociale delle donne e degli uomini

che abitano le terre ambrosiane.

La Solennità della Santissima Trinità che oggi celebriamo allarga il nostro cuore e

rende più incisivo l’insopprimibile desiderio di vedere Dio: «Il mio cuore ripete il tuo

invito: “Cercate il mio volto”. Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto»

(Sal 27 [26] 8-9a).

Angelo Card. Scola

Arcivescovo

Nella Solennità della Santissima Trinità

Milano, 11 giugno 2017

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OMELIA A CONCLUSIONE DELLA VISITA PASTORALE

(Mons. Mario Delpini - Magenta, 28 aprile 2017)

Proprio oggi, mentre in tutta la Chiesa si celebra la festa di santa Gianna, sono venuto qui

a nome del Cardinale Arcivescovo per questo momento conclusivo della visita pastorale che ha

avuto diverse fasi e che l’Arcivescovo ha voluto chiamare la “visita pastorale feriale”, cioè un

incontro del Vescovo e dei suoi collaboratori con le comunità cristiane che avviene in un modo

feriale, non tanto quindi con la cura per la solennità dell’evento, ma una cura per la verità

dell’incontro e credo che Santa Gianna può essere bene la patrona di questa visita feriale. Lei

che si è santificata proprio facendo le cose di tutti i giorni, prendendosi cura della sua famiglia e

della sua professione nel contesto in cui viveva. Quindi noi sentiamo l’intercessione di santa

Gianna per questo momento e per questo cammino che la comunità pastorale continua e, con

questa visita pastorale, ha trovato di precisare.

Che cos’è la conclusione di una visita pastorale feriale?

È una parola che l’Arcivescovo vuole rivolgere alla comunità per indicare alcune priorità.

Le priorità pastorali vogliono essere un invito a dire: “Queste cose vengono prima di altre”,

questa è la “priorità,” queste cose devono essere il criterio per valutare tutto quello che

facciamo”. In una comunità, talvolta, c’è un’esuberanza di iniziative, di incontri, di proposte, di

forme di impegno... Tutto va bene, però se diventa troppo, se questo “ tanto da fare” oscura le

priorità, forse siamo chiamati a una scelta di maggior intensità e sobrietà.

Le priorità che l’Arcivescovo mi incarica di raccomandare sono di due tipi. Ce ne sono tre

che sono per tutte le comunità della diocesi, tre punti da condividere come “cose da fare per

prime” e poi l’Arcivescovo assume dal discernimento fatto dal consiglio pastorale, dagli

operatori pastorali, dal Vicario di zona che è venuto in visita qui. Ecco, da questo lavoro

assume un passo da compiere. Quindi adesso io espongo queste priorità, poi lascio al parroco e

ai suoi collaboratori questo testo perché venga utilizzato proprio per orientare il cammino che

continua in questa comunità. Quali sono queste priorità?

La prima priorità si esprime così: “La comunità dei discepoli del Signore vive del rapporto

con il Signore. Si potrebbe dire che è una comunità che nasce dall’Eucaristia e che vive un clima di

preghiera fedele e fiduciosa, nella persuasione che senza il Signore non possiamo fare nulla.”1

La radicalità di questa espressione ci invita a verificare se nella vita della comunità

l’Eucaristia è il centro, è il punto che fa nascere la Chiesa. La Chiesa non nasce dalla tradizione

della gente che è abituata a fare delle cose, fossero pure delle cose belle... La Chiesa non nasce

dal fatto che noi siamo amici, parenti, compaesani e ci troviamo volentieri insieme... La Chiesa

nasce dall’Eucarestia. e perciò la priorità che l’Arcivescovo raccomanda è proprio quella di

1 Lettera ai fedeli della Comunità Pastorale Santa Gianna Beretta Molla e Beato Paolo VI, Milano

28 aprile 2017

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curare la celebrazione eucaristica, specialmente la celebrazione domenicale, in modo che si

capisca che la Chiesa nasce da qui, nasce dalla celebrazione condivisa e quindi l’Arcivescovo

raccomanda che ci sia la cura per la chiesa, per il canto, per il servizio liturgico, per la lettura

della Parola di Dio, per tutto quello che è la celebrazione. Però, certo che se noi celebriamo una

Messa perfetta e poi uscendo di chiesa non trasmettiamo i frutti dell’Eucaristia, la celebrazione,

per quanto bella e curata, è diventata un qualcosa che è rimasto in chiesa. Invece dalla chiesa,

dall’Eucaristia nasce la Chiesa. E quali sono questi segni che dicono che abbiamo celebrato

l’Eucaristia e tutta la vita cristiana? Però, almeno due segni voglio ricordarli. Chi ha celebrato la

Messa vive di questo incontro col Signore e perciò esce di chiesa contento. Ecco, la gioia! E

quindi se i cristiani escono di chiesa tristi, arrabbiati, scoraggiati, lamentosi, così come sono

entrati, si può dire che hanno celebrato l’Eucaristia? Come si fa a dire: “Ecco, la gente che non

viene a Messa, come fa a capire che i cristiani sono contenti d’andare a Messa, trovano qui il

principio della loro vita, se poi quando sono per le strade sono scoraggiati e lamentosi come

tutti?”. La gioia, la gioia è generata dall’Eucaristia e poi la carità, il fatto che l’Eucaristia ci rende

un cuor solo e un’anima sola! Per ciò si capisce che abbiamo celebrato l’Eucaristia: se usciamo di

chiesa riconciliati, se ci sentiamo fratelli e sorelle che si vogliono bene, che si danno una mano.

Qualche volta le nostre comunità cristiane sono segnate da tante rivalità, discussioni, malumori,

pretese che si uniscono intorno all’altare e poi rimangono rivalità, pretese, risentimenti e allora

uno dice: “Che Eucarestia hanno celebrato quelli li che si sono nutriti dell’unico corpo e sono

rimasti un popolo sparpagliato, un popolo diviso, un popolo pieno di gruppi che parlano male

l’uno dell’altro?” Da che cosa si capisce che hanno celebrato il sacramento dell’unità e della

carità? Ecco questa priorità di celebrare in verità l’Eucarestia, così che uscendo dalla chiesa, in

tutte le parrocchie di Magenta, quando si è celebrata la messa domenicale, i cristiani dovrebbero

riempire di gioia la città, dovrebbero seminare sorrisi, dovrebbero avere parole buone da dire,

dovrebbero essere contenti delle opere di carità e di misericordia che possono compiere. Ecco, la

celebrazione Eucaristica è ciò da cui nasce la Chiesa. E poi l’Arcivescovo dice che questa

centralità dell’Eucaristia, questo riconoscere che noi senza il Signore non possiamo fare nulla,

deve essere un motivo per pregare tutti i giorni, per vivere anche la Messa feriale, anche gli altri

momenti di preghiera: l’adorazione, il rosario, la via crucis, le diverse forme di preghiera che

aiutano giorno per giorno, secondo il tempo e la spiritualità che coltiviamo, aiutano a vivere

questo rapporto con il Signore. L’impressione qualche volta è che i cristiani siano molto

indaffarati anche per opere buone, ma quasi non hanno più il tempo e il desiderio di pregare.

Forse nella Chiesa di oggi si prega poco. E dunque, ecco quello che mi sembra il modo di

spiegare questa prima priorità e mi pare che santa Gianna rappresenti un modello di quella

preghiera quotidiana che dà una qualità a tutte le giornate.

La seconda priorità che l’Arcivescovo raccomanda a tutte le comunità si esprime così: “La

comunità dei discepoli del Signore è il contesto in cui ciascuno riconosce che la sua vita è una

grazia, una vocazione, una missione”.2

Cioè la cura per il cammino di fede, specialmente dei ragazzi, degli adolescenti e dei

giovani. è in sostanza la cura perché conoscano il significato della vita. La vita è un dono, non è

2 Ibid.

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un destino, non è una disgrazia, non è un caso, è un dono e colui che ce l’ha donata ci rivolge

una parola per dirci anche il fine della vita. Noi siamo chiamati alla vita, dunque abbiamo una

vocazione da realizzare e questa vocazione è per il bene di tutta la comunità e di tutta l’umanità.

Abbiamo una missione da compiere, dunque questa insistenza sul tema della vocazione è per

dire che, certo noi per i ragazzi, gli adolescenti e i giovani facciamo tante cose, abbiamo tante

iniziative, però tutto dovrebbe convergere lì: aiutare chi sta crescendo a capire che la sua vita è

un dono, a riconoscere che è chiamato con una vocazione santa e che questa vocazione è a

servizio della comunità e della società. Dunque la cura per la vocazione dei giovani: ecco questa

è la seconda priorità che l’Arcivescovo raccomanda e anche in questo settore mi pare che alcune

parole di santa Gianna sono particolarmente efficaci. Anche nella Liturgia delle ore che

celebriamo nella memoria di santa Gianna è proprio riportato un brano che parla

dell’importanza che ciascuno trovi la sua vocazione, che la giovinezza non sia un parcheggio

per tirare avanti, come se la vita non avesse uno scopo. La giovinezza non sia un tempo

insignificante da sperperare nei capricci. La giovinezza è il tempo della ricerca vocazionale.

Questa è la seconda priorità che l’Arcivescovo raccomanda a tutti.

E la terza priorità si esprime così: “La comunità dei discepoli del Signore è presente nel

contesto in cui vive come il sale della terra, la luce del mondo, il lievito che fa fermentare tutta la

pasta”.3

Cioè i cristiani sono presenti nella società come coloro che hanno qualcosa da dire, non

solo un buon esempio da dare, ma una testimonianza sulla visione della vita che hanno, sul

modo con cui i cristiani intendono la vita, la morte, l’essere uomo, l’essere donna, il matrimonio,

la nascita dei bambini, la malattia, le prove della vita, l’amministrazione pubblica, la politica...

Ecco i cristiani traducono la loro fede in una cultura e dunque sono presenti non come della

gente indaffarata a fare del bene senza più ricordarsi “per chi fa del bene, come si fa il bene e

come si costruisce una società che ha a cuore il bene comune”. Dunque questa è la terza priorità:

che la fede diventi cultura, che i cristiani siano capaci di argomentare la loro visione della vita,

di confrontarla con gli altri senza pretendere di imporre niente a nessuno, ma anche senza

essere così timidi da non sapere in che cosa credono, che cosa vogliono, che progetto hanno per

rendere più bello il mondo, per la pace, per la convivenza dei popoli. Ecco questa è la terza

priorità: noi siamo gente che ha un’idea della vita ed è capace di condividerla, di argomentarla,

di presentarla, di farla diventare cultura.

E poi, ecco, la comunità pastorale ha individuato il passo da compiere e l’Arcivescovo ha

fatto proprio dicendo: “Quello che voi avete individuato come una necessità da affrontare, una

sfida da raccogliere, questo io vi raccomando” E questo passo da compiere si esprime così:

“E’ il momento [tempo] di passare dalla valorizzazione delle singole parrocchie alla spinta

nel cammino verso la comunità pastorale. Viste alcune risposte esaltanti verso la carità e le sue

esigenze, è opportuno favorire una crescita nella libertà di amare nelle relazioni quotidiane più

3 Ibid.

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semplici. Si deve [devono] intuire come [dunque] valorizzare i ministeri e proporre itinerari di

formazione permanente dei laici perché se ne facciano carico [di questi servizi per la

comunità]”.4

Questo, dunque, un invito ad un cammino di comunione più intenso tra le diverse

parrocchie e ad un’espressione di carità che diventi rapporti quotidiani, che diventi

responsabilità specifica.

Ecco, queste dunque le linee che concludono la visita pastorale feriale e l’augurio che

voglio rivolgere a nome mio e dell’Arcivescovo è proprio che santa Gianna, patrona della vostra

comunità, proprio con la sua vita spirituale, la sua idea di una vita come vocazione, la sua

presenza nella professione medica come persona che vive in coerenza con la fede il suo lavoro,

possano aiutare a mantenere vive queste priorità, farle diventare criterio per valutare tutto

quello che si fa, per scegliere ciò che è più importante. Così la comunità possa veramente

crescere nella carità, nella gioia, nel trovarsi unita, nell’inventare un volto di Chiesa in questa

città che possa essere un messaggio di speranza per tutti coloro che vi abitano.

4 Ibid. I vocaboli tra [ ] sono quelli usati durante l’omelia.

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L’ANNO DELLE COSE FACILI

(Mons. Mario Delpini - La Fiaccola n 8/9 2016)

Capisco che proporre cose facili possa sembrare offensivo, come si è offeso Naamàn,

comandante dell’esercito del re di Aram, quando per guarire dalla lebbra Eliseo gli ordinò una

cosa tanto facile come bagnarsi sette volte nel Giordano (cfr. 2Re 5,10-11).

Tuttavia la vita è già tanto difficile, i rapporti con le persone sono già tanto complicati, le

tribolazioni che irrompono nelle giornate sono tanto gravi, così non credo che anche il Padre

misericordioso voglia aggiungere pesi sulle spalle dei suoi figli.

C’è infatti anche l’idea che il cristianesimo sia un peso in più: «Già le cose che si devono

fare sono piuttosto pesanti; ebbene, se vuoi essere un bravo cristiano e andare in Paradiso,

mettiti sulle spalle anche qualche altro dovere, rinuncia a qualche divertimento e annoiati un

po’ di più degli altri!».

A dire la verità, il messaggio cristiano è stato annunciato come una promessa di

liberazione, l’offerta di una comunione che offre sollievo e speranza e perciò una buona notizia,

un Vangelo, si direbbe.

Pertanto, se dipendesse da me, proporrei come tema e proposta pastorale per le nostre

comunità per l’anno 2016-2017, l’anno delle cose facili.

RICEVERE

Una cosa facile è ricevere, accogliere la grazia di Dio, lasciarsi raggiungere dal suo amore:

«Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. …Anzi, questa

parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,11.14).

Il momento di grazia più facile e vicino è la Messa domenicale: lì siamo tutti attesi e

convocati per ricevere grazia su grazia. Pertanto si potrebbe proporre di ridurre o eliminare

tante parole e tante riunioni e darsi tutti appuntamento alla Messa della domenica, che

trasforma i molti in un cuor solo e un’anima sola e rivela la potenza di Dio che salva dalla

morte. Ci sarebbero quindi buone ragioni per far festa alla domenica: «Erano perseveranti

nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42).

CON LETIZIA E SEMPLICITÀ DI CUORE

Una cosa facile è sorridere, essere lieti. Non perché le cose vadano tutte bene, non perché

tutti i desideri si realizzino, non perché non ci siano problemi e tribolazioni.

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La letizia cristiana, che si esprime sorridendo e seminando sorrisi, è facile perché è un

dono dello Spirito: accompagna i discepoli nelle vicende quotidiane, i santi nelle coerenze

difficili e persino i martiri incamminati verso il martirio.

Se lasciamo tempo allo Spirito perché in noi germogli la gioia, sarebbero aboliti i lamenti

inutili, i malumori deprimenti, che contribuiscono a dissimulare l’attrattiva della vita cristiana.

«Se essere cristiani vuol dire lamentarsi dal mattino alla sera, come fanno tutti, allora

tant’è!». Invece dei cristiani si dice: «prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46).

CONDIVIDERE

Una cosa facile è imparare a vivere poveri, piuttosto che inseguire un avido e illusorio

sogno di ricchezza.

Alle orecchie mondane la parola evangelica che proclama «beati voi poveri» (Lc 6,20) suona

come una ridicola sciocchezza. Perciò la sapienza mondana ha indotto molti ad affannarsi per

procurarsi cose, soldi, possibilità di sperperi e di capricci: una frenesia che sembra avere rubato

l’anima alla gente.

La proposta pastorale invita a convertirsi al modo di pensare e di sentire di Cristo.

Pertanto i discepoli cercano la loro sicurezza non nel conto in banca e in investimenti che

promettono miracoli e assicurano delusioni, ma nella condivisione, nella scelta di una vita

sobria, nell’investire nella solidarietà.

Fin dove si può spingere l’esercizio spirituale dell’ ”abituarsi a fare a meno”? «Avevano

ogni cosa in comune, vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno

di ciascuno» (At 2,44-45).

MOSTRARE UNA VIA POSSIBILE

Una cosa facile è conversare con gli amici, i colleghi, i vicini di casa. La conversazione non

è la chiacchiera per non dire niente, non è la “lezione di dottrina” di chi presume di insegnare

come risolverebbe i problemi che lui non ha, non è il comizio per conquistare consenso.

La conversazione è il linguaggio per parlare di cose serie in modo semplice e testimoniare

una via possibile per una vita buona. La conversazione non teme di entrare negli argomenti

decisivi che spesso sono taciuti per una reticenza imbarazzata: quando si dovrebbe parlare della

vita, della morte, di Dio, del dolore, dell’amore, dell’uomo, della donna, della politica, della

finanza, della povertà, del lavoro, dei figli, dei dogmi del presente e dei rischi del dissenso.

Se ne può parlare e, se hai qualche cosa da dire che non si riduca a luoghi comuni, puoi

offrire la testimonianza di un modo di vivere che, per quanto ordinario, è meraviglioso e

riempie di stupore gli uomini e gli angeli. «… Godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore

ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2,47-48).

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PER CONFIGURARE UN VOLTO NUOVO DI CHIESA

(Mons. Mario Delpini - Avvio dell’anno pastorale 20 settembre 2016)

Forse nei calendari parrocchiali e nelle agende degli impegnati non ci sono più date

disponibili.

Forse alla gente l’anno pastorale appare come un insieme di iniziative stentate perché

«siamo sempre meno e sempre più vecchi».

Forse sui bollettini parrocchiali non c’è più spazio per nuovi annunci.

Allora, che pur con tutta la buona volontà, delle indicazioni dell’Arcivescovo per l’anno

pastorale 2016/17 non se ne farà nulla.

L’Arcivescovo infatti propone di lasciarsi condurre dallo Spirito di Dio a configurare un

nuovo volto di Chiesa, una Chiesa riformata dalla docilità allo Spirito nell’«assecondare la

realtà».

La realtà è la famiglia nella complessità delle sue forme e delle sue storie: la proposta

pastorale non chiede alle famiglie ulteriori impegni per essere «soggetti di evangelizzazione».

Piuttosto trova modo di accompagnare la vita ordinaria di ciascuna famiglia per aiutarla a

essere luogo di Vangelo: nel dare la vita e nel custodirne la buona qualità si rivela anche il

significato della vita e la sua vocazione.

Che valga la pena di propiziare l’ascolto della Parola di Dio in famiglia e la partecipazione alla

Messa domenicale?

La realtà è la pluralità di presenze personali e associative: la proposta pastorale non

vuole organizzare una spartizione di compiti, spazi e potere, né includere alcuni ed escludere

altri. Piuttosto vuole alimentare un senso di comunione, così che il dono di ciascuno sia per

l’edificazione di tutti.

Che valga la pena di invitare tutti a partecipare alla Messa domenicale?

La realtà è la società nella sua molteplicità di componenti: la proposta pastorale non

presume di esercitare una egemonia nella società plurale, ma offre a uomini e donne di questo

tempo la testimonianza di una speranza affidabile. In altre parole vive la fede in modo che

diventi cultura.

Che valga la pena di incoraggiare i cristiani a conversare con colleghi, amici, vicini di casa sulle

cose serie della vita?

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UNA CHIESA GIOVANE

(Mons. Mario Delpini 3 giugno 2017)

Questo momento di preghiera nella Veglia di Pentecoste rievoca quella sera in cui i

discepoli con Maria e qualche altra presenza, nel cenacolo, continuavano a pregare invocando la

potenza dall’alto che Gesù aveva promesso. Anche noi ci sentiamo come nel cenacolo, insieme

con Maria e con gli altri discepoli che sono qui presenti. Dunque ci sentiamo come all’inizio

della chiesa, all’inizio della missione, all’inizio del costituirsi del gruppo dei discepoli come

testimoni del Risorto, all’inizio.

Questo è per contestare quella mentalità che sembra rassegnata a vivere questi anni,

questo tempo, come il tempo della fine. C’è da parte di alcuni un atteggiamento di

rassegnazione che sembra sposare la tesi che questo è il tempo della fine del cristianesimo, è il

tempo del declino della chiesa, almeno nelle nostre terre di antica tradizione cristiana.

Serpeggia anche in molti intellettuali, anche in molte persone che, per forza di cose, studiato o

letto libri, non hanno condiviso le critiche della filosofia, della mentalità corrente. Questo clima

di rassegnazione, questo clima di declino, questa impressione di nostalgia che spesso risuona

anche nelle nostre comunità sembra quasi dire: siamo alla fine. Eravamo tanti, adesso siamo di

meno. Eravamo tutti giovani entusiasti adesso siamo tutti attempati e un po’ stanchi. Eravamo

significativi, il paese contava, la parrocchia contava sui cristiani, adesso ci sono tante idee, tanti

gruppi e non si sa più chi conta. Alcune espressioni per dire: siamo in un’epoca di declino.

Noi siamo qui per dire: no, no, siamo all’inizio. Ogni stagione della chiesa è tempo di

inizio. Perciò io sono qui oggi per concludere la visita pastorale nel decanato Valle Olona, poi

passerò nelle parrocchie, nelle comunità pastorali per concludere la visita pastorale. Questo è il

messaggio che voglio lanciare a nome dell’Arcivescovo: siamo all’inizio, ripartiamo, abbiamo

una missione che ci rilancia, ci impegna, ci apre le porte. Ecco, siamo all’inizio perché non conta

quanti siamo, quale stima ci riserva il contesto in cui viviamo. Non conta quanto potere

abbiamo, quante strutture abbiamo. Conta quanta forza di Dio c’è dentro di noi. Questo fuoco

dello spirito, quest’acqua zampillante per la nostra sete, questo conta.

Perciò io vorrei dire che il messaggio alla chiesa dovrebbe essere questo: Chiesa di Dio, tu

sei giovane. Sei giovane e vivrai.

Chiesa di Dio, tu sei giovane perché sperimenti la tua debolezza, la tua pochezza, la tua

inadeguatezza non come un motivo per scoraggiarti ma come una invocazione.

Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché preghi, perché sei consapevole di non bastare

all’impresa della missione ma tu preghi e nella tua debolezza si manifesta la potenza di Dio.

Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché vivi così la tua inadeguatezza.

Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché la varietà, la molteplicità, la pluralità per te non

sono un fastidio ma una ricchezza.

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Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché guardi intorno e non distingui tra chi è italiano e

chi non è italiano perché tutti riconosci come fratelli, come sorelle.

Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché accogli. Perché ti interessano gli altri. Perché sei

aperta a tutti. Perché apri le porte delle tue parrocchie e dici: venite, venite tutti, noi vi

cerchiamo, uomini e donne voi siete nostri fratelli, noi esistiamo per voi, la chiesa esiste per voi,

è un segno, è una proposta, è una casa.

Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sai accogliere e sai entusiasmarti per la presenza

di persone nuove, per la ricerca di volti, lingue, culture nuove che ti arricchiscono. Tu sei

giovane perché accogli.

Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sei inquieta. La chiesa di Dio non è mai statica.

Non è come le persone di mezza età che dicono: ecco quante cose ho fatto, quante imprese

posso vantare, persone che si assestano nei loro successi illudendosi di aver fatto chissà che

cosa.

No, santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sei inquieta, perché non ti basta quello che

c’è. Non ti basta questa vita terrena e cerchi la vita eterna. Non ti basta il tuo passato, invochi il

futuro.

Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché le strutture di questo mondo, il potere di questo

mondo, il potere dei soldi o del lavoro non ti lasciano soddisfatta.

Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sei profezia, perché hai qualcosa da dire, perché

hai una contestazione contro l’ingiustizia di questo mondo.

Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sei inquieta, sei profetica, perché hai una sfida

da raccogliere. Ecco, questo giovane che diventa prete questi ragazzi che si sposano tra un po’,

ecco la tua giovinezza è questo guardare al futuro come una vocazione da realizzare.

Ecco l’augurio che voglio fare a questo decanato.

Deve imparare a mettere in comune le forze. Deve imparare a far circolare le idee. Deve

imparare a porsi di fronte al territorio come una chiesa giovane.

Giovane perché prega.

Giovane perché accoglie.

Giovane perché è inquieta.

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ECCO PERCHÉ ESISTE UNA COMUNITÀ CRISTIANA

(Mons. Mario Delpini - 25 maggio 2014)

Nella Grazia di essere una comunità che genera stupore. Noi cristiani di queste terre della

Diocesi di Milano, siamo gente pacifica, siamo gente che vive la sua vita cristiana con una specie

di naturalezza, forse perché qui il Vangelo è stato predicato fin dai primi secoli della storia della

chiesa.

Forse perché le generazioni che ci hanno preceduto hanno, per così dire, cristianizzato

tutto: il tempo, con il calendario tutto segnato dalle feste cristiane, lo spazio, con le chiese e con i

luoghi di culto con i piccoli segni di devozione che ci sono in giro per la città e per la campagna.

Forse per questo noi, abbiamo l’impressione di non essere tanto originali a essere cristiani,

non abbiamo il piglio degli eroi, o il tratto dei martiri, noi abbiamo, siamo gente pacifica. Certo,

abbiamo fatto e facciamo tanto, ma non perché dobbiamo dimostrare qualcosa, ma piuttosto

come chi asseconda una consuetudine, vive una bella tradizione quindi, fa quello che si deve

fare: la preghiera, la carità, la gioia di stare insieme, le discussioni, tutte le cose della vita

cristiana ci sembrano come cose ordinarie.

Il nostro cristianesimo è dunque un cristianesimo pacifico, e forse rischia perfino di essere

un po’ innocuo e scontato, come quelle belle immagini che magari si tengono in casa ma che a

furia di tenerle lì appese al muro uno non le guarda neanche più, tanto sono diventate abituali.

O come quelle belle feste che si celebrano ogni anno e che celebriamo quasi per inerzia piuttosto

che per entusiasmo.

Noi siamo gente pacifica e non amiamo andare a cercare i fastidi, anzi ci sembra che

evitare di dare fastidio agli altri sia già un atto di carità. Facciamo il bene e ci dedichiamo alle

opere buone ma non pretendiamo pubblicità, anzi qualche volta siamo persino inclini a far

dimenticare il perché facciamo il bene. Non vogliamo imporre niente, anche forse perché siamo

diventati un po’ superficiali e non sappiamo bene neanche noi che cosa crediamo e quali sono le

convinzioni più irrinunciabili.

Siamo gente pacifica e non cerchiamo fastidi, con il rischio che qualche volta diventiamo

anche insignificanti. Eppure se andiamo appena un poco oltre la superficie e le inerzie ci

rendiamo conto che se anche noi non cerchiamo i fastidi, i fastidi vengono a cercare noi. E anche

il fare il bene, così alla buona come lo facciamo noi, talvolta suscita contrasti, genera tensioni,

cioè come uno scontro tra lo spirito del mondo e lo Spirito di Cristo, di cui parla la seconda

lettura di oggi. Anche i discepoli, i primi discepoli Pietro e Giovanni, che hanno guarito questo

malato, non hanno suscitato un entusiasmo ma piuttosto discussione e persino scandalo come

attesta la prima lettura.

Dunque c’è come, se ci fosse un contrasto tra lo spirito del mondo e lo Spirito di Dio e lo

spirito del mondo dice: “ma tu, non fare l’originale, tu cerca di essere come gli altri. Anche se

senti che qualcosa non va, non essere originale, passa oltre altrimenti rischi di restare solo. Se

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tutti ripetono i luoghi comuni e non sanno dire altro che parole di lamento e malumore, parla

anche tu così: lamentati, esprimi malumore, critica tutto, non credere a niente, altrimenti diventi

il bersaglio di qualcuno che ti attacca, altrimenti sembri un presuntuoso quindi, non essere

originale”, dice lo spirito del mondo.

Ma forse voi, sentite che c’è un altro Spirito che dice:” Mosso dallo Spirito, l’uomo di Dio

giudica ogni cosa, e non è giudicato da nessuno”, e dice San Paolo: “ Noi abbiamo il pensiero di

Cristo” e noi proclamiamo con Pietro, quella parola che lascia stupiti: “Non c’è altro nome che

quello di Cristo nel quale è possibile che siamo salvati”.

Ecco perché esiste la chiesa, ecco perché qui è stata costituita cinquant’anni fa e ha

vissuto una comunità cristiana, gente pacifica, eppure gente che non può tacere quella parola

che lascia stupiti: “Non c’è altra via di salvezza se non in Cristo Crocifisso e Risorto”, dunque,

ecco perché c’è una comunità, perché sia una comunità capace di generare stupore. E lo spirito

del mondo dice:”ma tu pensa a te stesso, gli altri sono un fastidio, ciascuno ha i suoi problemi,

tu pensa ai tuoi. Uno come te non può farci niente a risolvere i problemi del mondo e dunque

preoccuparti, pensa a te stesso. Se sei buono, gli altri se ne approfittano, ti portano via tutto, e

perciò il tuo tempo tienilo per te. Le tue capacità sfruttale per te stesso, i tuoi soldi, spendili per

te, così che si vive bene.” Se uno è egoista così dice lo spirito del mondo. Ma forse in voi sentite

che parla in voi un’altro Spirito, è lo Spirito di Gesù che ti dice: ” Guardati intorno, e riconosci il

bisogno che c’è di consolazione, di guarigione, di amicizia. Non passare oltre con indifferenza,

non chiuderti nei tuoi problemi, vivi in quella pace che non è la pace di gente pacifica che non

vuole fastidi, ma è piuttosto l’intraprendenza che costruisce legami, che raduna, che si prende

cura, che trova il suo riposo nella fraternità e non nella solitudine”.

Ecco, lo Spirito di Dio è come un fuoco che continua ad ardere perché avvolge del suo

calore: chi ha freddo, chi è buttato via, chi è spento. Il fuoco, il fuoco vive se contagia quello che

c’è intorno a noi e così l’amore vive se coinvolge gli altri. Ecco, c’è una voce, c’è un amore, c’è

una forza che fa sperimentare che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e che si vive bene

quando si vive non per essere serviti ma, per servire.

Ecco perché esiste la Chiesa, ecco perché qui è stata costituita una comunità. Gente

pacifica perché costruisce la pace, perché accoglie nella comunità e vive della fraternità. Una

comunità unita e accogliente in un contesto malato di solitudine e indifferenza. Ecco una

comunità che genera stupore. E lo spirito del mondo dice:”Di speranza non ce n’è più, il futuro

è solo una minaccia, la sapienza più intelligente è la disperazione, il pensiero più acuto è quello

di chi non crede a niente e la condizione più normale è la rassegnazione e dunque, vivi e

accontentati, godi del presente se ci riesci, e non aspettarti niente dal domani”. Così, parla lo

spirito del mondo.

Ma forse, noi sentiamo che c’è un’altra voce dentro di noi, è la voce dello Spirito di Dio che

dice:” Quel Gesù che voi avete crocifisso, Dio lo ha risuscitato dai morti, è Lui la pietra che è

stata scartata da voi costruttori e che è diventata testata d’angolo, quindi fondamento sicuro su

cui si può costruire”. La voce dello Spirito mandato da Gesù, che come dice il Vangelo, ci

ricorderà ogni cosa. E’ come un vento amico che spinge avanti, che ci fa vivere nell’attesa

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perché Gesù ha detto: ” Vado e tornerò da voi e se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al

Padre perché il Padre è più grande di me”.

Dunque lo spirito è come un vento che ci fa vivere la vita come una traversata del mare.

Un mare talora tempestoso eppure che orienta e porta verso una meta che ci rallegra. Noi

abbiamo speranza di vita eterna e perciò viviamo il tempo, non come quella condizione che

consuma tutto, ma come l’occasione data per amare, per sperare, per preparare la strada al

Signore che viene.

Ecco perché esiste la Chiesa, ecco perché qui è stata costituita una comunità, perché ci sia

gente animata dalla speranza: viva, e perciò il mondo rassegnato ad essere condannato a morte

noi proclamiamo che siamo fatti per vivere, per vivere felici, per vivere sempre. Noi viviamo di

una pace che non è quella che da il mondo, cioè la pace della rassegnazione, ma una pace che è

ardente di speranza, perciò siamo una comunità che genera stupore.

Ecco la Grazia che celebriamo concludendo questo anno cinquantesimo della parrocchia,

la Grazia di essere una comunità che genera stupore, perché lo Spirito di Dio ci rende capaci di

essere originali, ci rende dediti a costruire una fraternità accogliente, ci rende vivi di una

speranza di vita eterna. È proibito essere tristi, siate lieti!

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SANTA GIANNA CI AIUTI A ENTRARE IN PROFONDITÀ

NEL MISTERO DELLA VITA

(Mons. Mario Delpini - Magenta, 28 aprile 2014)

“Un senso di timore era in tutti”.

Così gli Atti degli Apostoli descrivono un aspetto del clima che regnava in questa comunità

primitiva, questi primi credenti che si erano lasciati convincere dalla predicazione di Pietro.

Il senso del Timore è il contrario della presunzione.

La presunzione ostenta una certezza che deriva dall’arroganza, piuttosto che dalla sapienza.

La presunzione è l’atteggiamento che crede di aver già capito tutto e di non aver niente da

imparare da nessuno, crede di essere il meglio che c’è e non sa apprezzare gli altri.

La presunzione non è capace di pregare, se non per esibire le sue qualità, come ha fatto il

fariseo, quando pregando diceva: “Ti ringrazio perché non sono come gli altri, che son tutti ladri e

tutti malfattori, io invece faccio tante di quelle opere buone…”.

La presunzione non ascolta gli altri perché non ritiene di aver qualcosa da imparare dagli altri.

La presunzione dentro una famiglia o dentro una comunità mette a disagio, perché la

presunzione si mette al centro e pretende di essere servita, non si rende conto dei sentimenti e degli

atteggiamenti degli altri, perché li considera come dei propri satelliti.

La presunzione non si lascia interrogare dai bisogni degli altri, perché vede solo se stessa.

“Un senso di timore era in tutti”. Ecco, il timore di cui si parla qui è il contrario della

presunzione, cioè è l’atteggiamento di coloro che si rendono conto d’aver ricevuto tutto quello che

hanno, non lo ritengono una loro proprietà, o un loro merito. Questi primi cristiani si sentono

sorpresi dalla gioia, sorpresi dalla grazia, e perciò vivono di gratitudine. E la consapevolezza di aver

tutto ricevuto li mette in quell’atteggiamento di umile gratitudine e di vigilanza, perché nulla vada

perduto. È così grande il dono ricevuto - la rivelazione di Gesù, la sua Parola – che lo raccolgono

come un tesoro prezioso perché nulla vada perduto.

Perciò chi vive in questo timore prega continuamente dicendo grazie.

Chi vive in questo senso di timore vigila su chi gli stava vicino e si dispone a interpretare i loro

bisogni come facevano questi primi cristiani, che si curavano di chi aveva meno di loro perché

nessuno fosse nel bisogno. Questo senso del timore riempie di commozione questi primi cristiani,

perché grande è il dono ricevuto.

A me sembra che Santa Gianna è stata abitata da questo senso di timore, da questa

gratitudine per i doni che ha ricevuto, per le persone della sua famiglia, per la sua capacità

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professionale, e perciò ha inteso la sua vita come una disponibilità, come un’attenzione agli altri,

come una premura per chi si trovava nella condizione di malato o nella condizione del bisogno.

Il senso del Timore è anche il contrario della superficialità.

La superficialità è l’atteggiamento di chi si interessa di tutto, ma non sa niente, di chi è capace

di parlare di tutto, ma quando l’ascolti non impari niente, perché dice soltanto cose superficiali,

ripete cose già sentite.

La superficialità passa da una cosa all’altra, ma non entra seriamente in niente.

La superficialità non è capace di pregare, perché quando si mette a pregare continua una

continua distrazione, il pensiero corre qua e là, e non riesce a posarsi su un atteggiamento di ascolto,

su una parola che venga da Dio.

La superficialità vive in compagnia, ma non sa trasformare la compagnia in amicizia e in

amore profondo.

La superficialità accumula esperienze, ma non è capace di costruire una storia, vive tante

esperienze, ma non sa qual è la sua vocazione, fa della sua vita un insieme di frammenti che non si

compongono in un disegno.

E la superficialità di fronte agli altri non sa cogliere quello che dicono, quello che provano,

perché è sempre interessata agli spetti più particolari, ai particolari più insignificanti e non coglie le

cose più importanti.

“Un senso di timore era invece nei primi discepoli”. Il contrario della superficialità; è cioè una

persuasione che la parola di Dio va continuamente ascoltata: “Erano attenti e docili agli insegnamenti

degli apostoli”. Continuavano a vivere in una preghiera, perché il dono ricevuto potesse portare

frutto. E, come i discepoli del Vangelo, cercano di non perdere l’occasione unica della loro vita, cioè

quando passa il Signore Gesù. E non è una delle esperienze fra tante, ma è l’occasione della loro

vocazione e, vivendo con intensità il rapporto con Gesù, rimangono con Lui, costruiscono con Lui la

loro storia, perciò la loro vita diventa una vocazione.

Santa Gianna ha avuto una tale intensità nel cercare la sua vocazione, che veramente l’ha

intesa come una risposta alla chiamata di Dio. Ha inteso la sua vita, non come un insieme confuso di

esperienze, ma come una responsabilità da assumere: verso il marito, i figli, verso i suoi pazienti,

verso tutte le aggregazioni e le forme di espressione della comunità.

Ecco Santa Gianna ha vissuto la sua professione come un impegno ad approfondire

continuamente, perché non si vive di cose soltanto già sapute, sempre, sempre si deve imparare.

Ecco questo senso del timore, la consapevolezza di non essere mai arrivati, di non aver mai

capito tutto, e quindi questa pazienza dell’approfondire, dell’ascoltare, del silenzio, in cui la

preghiera, dunque, non diventa una parola da dire distrattamente, ma un appuntamento d’amore

da vivere intensamente, una possibilità di ascoltare che segna una direzione nella vita.

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Il senso di Timore è anche il contrario della fretta sbrigativa.

La fretta sbrigativa è quell’atteggiamento per cui uno è sempre indaffarato, preoccupato del

risultato, ha bisogno di arrivare a poter misurare il frutto del suo lavoro. Ha sempre fretta, perciò le

persone le tratta come dei numeri o dei casi, che gli servono per organizzare la sua vita, o il suo

progetto, o le sue aspettative.

La fretta sbrigativa non ha tempo di pregare, perché ha sempre qualcosa da fare, ha sempre un

appuntamento da inseguire.

La fretta sbrigativa non guarda le persone, ma guarda all’organizzazione. Dentro una

comunità, la fretta sbrigativa diventa una specie di ossessione per i programmi, per le verifiche, per

i calendari, per i risultati.

“Un senso di timore era in tutti”. Ecco, il senso di timore che abitava nella comunità cristiana,

e che è proposto anche a noi, è quell’atteggiamento per cui le persone non devono andar sciupate,

contano più delle cose, contano più dei risultati, e l’atteggiamento del timore rende possibile

vigilare perché ci sia anche il tempo della festa, della gratuità, della contemplazione della natura,

dell’apprezzamento per i doni ricevuti. Non passa di fretta in mezzo alle cose della natura, perché

anche questi sono doni di Dio, e vanno apprezzati. E si può anche perdere il tempo a parlare con un

bambino, a curare un malato che non può guarire, ad ascoltare un povero uomo che ha un problema

insolubile. Chi ha fretta dice: Cosa serve, tanto non si risolve niente!

Chi è abitato da questo senso di timore invece è delicato, rispettoso, perde il tempo con le

persone se è necessario perché tutti si sentano importanti, amati, e non macinati dentro in una fretta

che vuole sempre arrivare alla conclusione.

Ecco, anche in questo mi sembra che Santa Gianna ci è modello, perché il suo modo di

accudire alle persone della sua casa, il suo modo di curare i pazienti, il suo modo di contemplare la

natura, il suo modo di apprezzare le cose belle della vita, dicono che non è stata divorata da questa

fretta sbrigativa, ma è stata presa da questo senso di timore, che è intenso nel rispetto,

nell’attenzione, che sa vivere la gioia, che sa apprezzare le cose belle, che se ne rallegra e rende

grazie a Dio.

In questa memoria di santa Gianna mi pare che noi da questa parola del Signore siamo invitati

a vigilare per non essere presi dalla presunzione, o dalla superficialità, o dalla fretta sbrigativa e

invece a onorare Santa Gianna, seguendone l’esempio per imparare questo senso di timore che ci

rende capaci di apprezzare il dono ricevuto, e anche la grazia di questa Santa della nostra terra.

Ecco, che questa Santa della nostra terra ci unisca tutti, che ci aiuti tutti a vivere come questa

comunità primitiva, in cui l’importante non era affermare se stessi, ma il formare un cuor solo e

un’anima sola.

La Santa ci aiuti a entrare in profondità nel mistero della vita, così da capirla come una

vocazione. La Santa ci aiuti ad avere quella calma, quella capacità di ascolto e di apprezzamento

delle cose belle che trasforma la nostra vita in un cantico di gratitudine.

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L’anno che verrà

Miei cari,

questo numero agostano dell’Insieme chissà dove vi raggiungerà: ai monti, al mare, o

nella nostra bellissima Magenta, in Italia, all’estero… A tutti l’augurio di un tempo di vero riposo

in vista di una nuova ripartenza.

Ci attende un nuovo anno pastorale, scolastico, sociale. Come sarà?

Come sarà? Chi lo sa! Anzitutto – non dimentichiamolo mai – come prega il Salmo: «nelle

tue mani sono i miei giorni» (Sal 31). Sono le mani di un Padre provvidente, innamorato di noi,

onniamante: a Lui onore e gloria!

- l’anno che verrà sarà l’anno in cui accogliere il nuovo Arcivescovo Mons. Mario Delpini.

Lo accogliamo come colui che è benedetto, perché viene nel Nome del Signore. Chi è? Come sarà?

Ti invito a consultare il sito della nostra Comunità Pastorale, dove troverai alcuni suoi testi, che ho

inviato al Consiglio Pastorale.

- L’anno che verrà sarà ancora in parte Anno della Santità, che ci accompagnerà fino al

prossimo 8 dicembre. Quali frutti lascia nei nostri cuori? Può conoscerli un po’ il nostro cuore, ma

soprattutto li conosce Dio. Mi piacerebbe tanto che come scia - quasi come la coda di una stella

cometa - lasciasse in tutti il desiderio di fare della nostra vita un capolavoro di santità, in quanto:

“Sarete santi perché Io sono santo”.

- L’anno che verrà sarà forse – come amava dire il Cardinale Carlo Maria Martini – un anno

sabbatico, ovvero un anno non per dormire, ma per dare profondità alle scelte del cammino fatto

fin qui. Non sarà un anno di nuove iniziative, ma un tempo in cui riscoprire il valore della

quotidianità. Un anno che non deve vederci oziosi o un po’ nostalgici di qualcosa che sta alle

spalle, ma come sempre propositivi, attivi e corrispondenti.

- L’anno che verrà sarà secondo i suggerimenti che attendiamo prossimamente dal Consiglio

Pastorale della Comunità Pastorale. Sarà anche secondo i consigli e l' impegno che molti vorranno

offrire per il bene delle nostre cinque parrocchie. Lo Spirito santo parla infatti al cuore di ciascuno.

Non teniamo segretamente per noi ciò che lo Spirito ci comunica e impegniamoci a tradurlo in

azioni conseguenti.

Tanti Auguri uniti a preghiere. La Madonna Assunta ci benedica!

don Giuseppe