PREGHIERA PER LA CHIESA DI MILANO
«Padre nostro che sei nei cieli, venga il tuo regno:
ispira la nostra Chiesa perché, insieme con il suo Vescovo
attenda, invochi, prepari la venuta del tuo Regno.
Concedi alla nostra Chiesa di essere libera, lieta, unita,
per non ripiegarsi sulle sue paure e sulle sue povertà,
e ardere per il desiderio di condividere la gioia del Vangelo.
Padre nostro che sei nei cieli, sia fatta la tua volontà:
manifesta anche nella vita e nelle parole
della nostra Chiesa e del suo Vescovo
il tuo desiderio che tutti gli uomini siano salvati
e giungano alla conoscenza della verità.
Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome:
l’amore che unisce i tuoi discepoli,
la sapienza e la fortezza dello Spirito,
l’audacia nel costruire un convivere fraterno
renda intensa la gioia,
coraggioso il cammino,
limpida la testimonianza
per annunciare che la terra è piena della tua gloria».
Mons. Mario Delpini
Arcivescovo di Milano
Per annunciare
che la terra è piena
della gloria di Dio
A questa morte
si appoggia
chi vive
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Miei Cari
vi raggiungo in questo tempo di vacanza e di riposo con questo testo, che
raccoglie alcune provocazioni del nostro nuovo Arcivescovo Mons. Mario Delpini.
Ve lo consegno con una duplice finalità:
Iniziare a conoscere e a familiarizzare con il nostro nuovo Pastore a
partire dalle sue Parole. Questi sono i testi scelti:
le due lettere del Vicario Generale e dell'Arcivescovo Card Angelo Scola a
conclusione della Visita Pastorale.
L'Omelia alla nostra Comunità Pastorale di Magenta del 28 aprile 2017.
Due articoli del settembre 2016 per l'inizio dell'anno pastorale:
L'anno delle cose facili
Per configurare un volto nuovo di Chiesa
Tre Omelie sul volto della Chiesa, così come la Parola di Dio lo indica e il
discernimento spirituale del Vescovo lo accoglie:
Una Chiesa giovane
Ecco perché esiste una Comunità Cristiana
Santa Gianna ci aiuti a entrare in profondità nel mistero della
vita.
Raccogliere delle provocazioni che possano diventare saggi Consigli e
preziosi Suggerimenti per il primo incontro del CPdCP, che prevedo terremo nel
prossimo mese di settembre (cfr in allegato l'articolo di INSIEME: L'Anno che
verrà, del mese di Agosto).
Non ci sarà un vero e proprio ordine del giorno, ma raccoglieremo il frutto
del vostro discernimento per il cammino del prossimo anno pastorale.
Buone Vacanze e buon riposo a tutti.
La Madonna Assunta vegli su di noi!
don Giuseppe
Magenta, 22 luglio 2017
Festa di Santa Maria Maddalena.
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A R C I D I O C E S I D I M I L A N O Curia Arcivescovile
IL VICARIO GENERALE
Ai fedeli della Comunità pastorale
Santa Gianna Beretta Molla e Beato Paolo VI
MAGENTA
Carissimi,
siate benedetti nel nome del Signore! Vi porto la benedizione, il saluto,
l’apprezzamento e l’incoraggiamento del Cardinale Arcivescovo che rappresento in questa
fase conclusiva della Visita Pastorale.
La vostra comunità vive dentro la Chiesa Ambrosiana e nella comunione della Chiesa
Cattolica, continuando nel vostro territorio la missione che il Signore risorto ha affidato ai
suoi discepoli.
Nel contesto particolare di questo cambiamento d’epoca che stiamo vivendo nella
gioia dello Spirito, sotto la guida di Papa Francesco, accogliendo le indicazioni del
Cardinale Arcivescovo, siamo chiamati ad accogliere con gratitudine la grazia della
comunione che ci raduna e ad esprimerla in una coralità sinfonica che condivide alcune
priorità e si decide per un passo da compiere.
Quanto alle priorità da condividere è opportuno esplicitare alcuni tratti della
proposta pastorale che sono irrinunciabili
La comunità dei discepoli del Signore vive del rapporto con il Signore. Si potrebbe
dire che è una comunità che nasce dall’Eucaristia e che vive un clima di preghiera fedele e
fiduciosa, nella persuasione che senza il Signore non possiamo fare nulla.
La priorità deve essere quindi la cura per la celebrazione della Messa domenicale:
deve essere un appuntamento desiderato, preparato, celebrato con gioia e dignità: quindi è
necessario che ci sia un gruppo liturgico che anima la liturgia, un educazione al canto
liturgico, una formazione dei ministranti e di tutti coloro che prestano in servizio nella
celebrazione.
Deve essere favorita anche la preghiera feriale, promuovendo la partecipazione alla
messa, la preghiera della liturgia delle ore, l’adorazione eucaristica la preghiera del
rosario, le devozioni popolari. Le pubblicazioni proposte dalla Diocesi (La Tenda, la Diurna
Laus per esempio) offrono un aiuto prezioso per vivere quotidianamente la preghiera
liturgica. È poi opportuno che la chiesa sia aperta, per quanto possibile. È necessario che la
comunità esprima persone volontarie affidabili e convinte per tenere aperta la chiesa, per
animare la preghiera della comunità anche in assenza del prete (per esempio rinnovando il
gruppo dell’Apostolato della preghiera).
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La comunità dei discepoli del Signore è il contesto in cui ciascuno riconosce che la sua
vita è una grazia, una vocazione, una missione. Ogni proposta pastorale deve avere come
obiettivo l’aiuto perché ciascuno trovi la sua vocazione e la viva nelle forme che lo Spirito
suggerisce, quindi nella pluralità delle forme associative e dei percorsi personali. In
particolare la pastorale giovanile deve essere scuola di preghiera e percorso vocazionale.
La scelta dei diversi stati di vita deve essere accompagnato con sapienza e autorevolezza
dagli adulti della comunità così da favorire le decisioni definitive per la vita matrimoniale
o le forme di speciale consacrazione. La comunità degli adulti infatti deve pensarsi come
comunità educante.
La comunità dei discepoli del Signore è presente nel contesto in cui vive come il sale
della terra, la luce del mondo, il lievito che fa fermentare tutta la pasta. Nella complessità del
nostro tempo coloro che condividono la mentalità e i sentimenti di Cristo hanno la
responsabilità di testimoniare come la fede diventi cultura, proponga una vita buona,
desiderabile per tutti, promettente per il futuro del paese e dell’Europa. Nella
conversazione quotidiana, nell’uso saggio degli strumenti di comunicazione della
comunità (stampa parrocchiale, buona stampa, specie Avvenire, Il Segno, centri culturali,
sale della comunità, social, ecc) i discepoli del Signore condividono, argomentano,
approfondiscono quella visione dell’uomo e della donna, del mondo e della vita che si
ispira al Vangelo, che si lascia istruire dal magistero della Chiesa e dalla ricerca personale.
Quanto al passo da compiere individuato durante le fasi precedenti della visita
pastorale, è fatto proprio dal Cardinale Arcivescovo e raccomandato in questi termini:
E’ il momento di passare dalla valorizzazione delle singole parrocchie alla spinta nel
cammino verso la comunità pastorale. Viste alcune risposte esaltanti verso la carità e le
sue esigenze, è opportuno favorire una crescita nella libertà di amare nelle relazioni
quotidiane più semplici. Si deve intuire come valorizzare i ministeri e proporre itinerari di
formazione permanente dei laici perché se ne facciano carico.
Incarico il consiglio pastorale di riprendere e attuare le indicazioni di questa lettera e
di verificarne puntualmente l’attuazione con scadenza annuale [nella prima settima di
quaresima degli anni a venire]
Accompagno il cammino di tutti con ogni benedizione e invoco ogni grazia per
intercessione dei santi Ambrogio e Carlo, dei santi patroni della parrocchia/comunità
pastorale
IL VICARIO GENERALE
Milano, 28 aprile 2017
Festa di santa Gianna Beretta Molla.
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LETTERA DELL' ARCIVESCOVO
ANGELO SCOLA
A CONCLUSIONE DELLA VISITA
PASTORALE
«Un cristianesimo di popolo
per tutti»
Carissime e carissimi,
con questa lettera desidero raggiungere tutti i battezzati, le donne e gli uomini delle
religioni e di buona volontà, per esprimere la mia gratitudine per il dono della Visita
Pastorale Feriale giunta ormai alla sua conclusione.
Nelle sue tre fasi, essa ha consentito a me e ai miei collaboratori di toccare con mano
la vita di comunione in atto nella Chiesa ambrosiana, non certo priva di difficoltà e di
conflitti e tuttavia appassionata all’unità. La preparazione della Visita, svoltasi in modo
forse un po’ diseguale nei vari decanati, l’atteggiamento di ascolto profondo in occasione
dell’assemblea ecclesiale con l’Arcivescovo, la cura nell’accogliere nelle realtà pastorali il
Vicario di Zona o il Decano, e la proposta del passo da compiere sotto la guida del Vicario
Generale, hanno confermato ai miei occhi la vitalità di comunità cristiane non solo ben
radicate nella storia secolare della nostra Chiesa, ma capaci di tentare, su suggerimento
dello Spirito, adeguate innovazioni. Questa attitudine di disponibilità al cambiamento l’ho
toccata con mano sia nelle parrocchie del centro, sia nelle grandi parrocchie di periferia,
esplose negli ultimi sessant’anni, sia nelle città della nostra Diocesi, sia nelle parrocchie
medie e piccole.
È stata però la Visita del Papa a farmi cogliere nitidamente l’elemento che unifica le
grandi diversità che alimentano la nostra vita diocesana. La venuta tra noi del Santo Padre
è stata, infatti, un richiamo così forte da rendere visivamente evidente che la nostra Chiesa
è ancora una Chiesa di popolo. Certo, anche da noi il cambiamento d’epoca fa sentire tutto
il suo peso. Come le altre metropoli, siamo segnati spesso da un cristianesimo “fai da te”:
ce l’hanno testimoniato gli arcivescovi di grandi Chiese in tutto il mondo che in Duomo
hanno raccontato l’esperienza delle loro comunità. Non manca confusione su valori
imprescindibili; spesso non è chiaro il rapporto tra i diritti, i doveri e le leggi… Ma è
inutile insistere troppo sull’analisi degli effetti della secolarizzazione su cui ci siamo
soffermati in tante occasioni. Più utile, anzi necessario, è domandarci – con ancora negli
occhi il popolo della Santa Messa nel parco di Monza, l’incontro con i ragazzi a San Siro,
l’abbraccio al Santo Padre degli abitanti delle Case bianche e dei detenuti di San Vittore, e
soprattutto la folla che ha accompagnato la vettura del Papa lungo tutti i 99 km dei suoi
spostamenti – che responsabilità ne viene per noi? Come coinvolgere in questa vita di
popolo i tantissimi fratelli e sorelle battezzati che hanno un po’ perso la via di casa? Come
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proporre con semplicità in tutti gli ambienti dell’umana esistenza la bellezza dell’incontro
con Gesù e della vita che ne scaturisce? Come rivitalizzare le nostre comunità cristiane di
parrocchia e di ambiente perché, con il Maestro, si possa ripetere con gusto e con
semplicità a qualunque nostro fratello “vieni e vedi”? Come comunicare ai ragazzi e ai
giovani il dono della fede, in tutta la sua bellezza e “con-venienza”? In una parola: se il
nostro è, nelle sue solidi radici, un cristianesimo di popolo, allora è per tutti. Non
dobbiamo più racchiuderci tristi in troppi piagnistei sul cambiamento epocale, né ostinarci
nell’esasperare opinioni diverse rischiando in tal modo di far prevalere la divisione sulla
comunione. Penso qui alla comprensibile fatica di costruire le comunità pastorali o
nell’accogliere gli immigrati che giungono a noi per fuggire dalla guerra e dalla fame. Ma,
con una limpida testimonianza, personale e comunitaria, con gratitudine per il dono di
Cristo e della Chiesa, siamo chiamati a lasciarlo trasparire come un invito affascinante per
quanti quotidianamente incontriamo.
A queste poche e incomplete righe vorrei aggiungere una parola su quanto la Visita
Pastorale ha dato a me, Arcivescovo. Lo dirò in maniera semplice: durante la celebrazione
dell’Eucaristia nelle tante parrocchie e realtà incontrate, così come nei saluti pur brevi che
ci siamo scambiati dopo la Messa, e, in modo speciale, nel dialogo assembleare cui ho fatto
riferimento, ho sempre ricevuto il grande dono di una rigenerazione della mia fede e
l’approfondirsi in me di una passione, quasi inattesa, nel vivere il mio compito. Ma devo
aggiungere un’altra cosa a cui tengo molto. Ho appreso a conoscermi meglio, a fare
miglior uso dei doni che Dio mi ha dato e, nello stesso tempo, ho imparato un po’ di più
quell’umiltà (humilitas) che segna in profondità la nostra storia. Ho potuto così, grazie a
voi, accettare quel senso di indegnità e di inadeguatezza che sorge in me tutte le volte che
mi pongo di fronte alle grandi figure dei nostri patroni Ambrogio e Carlo.
Se consideriamo la Visita Pastorale Feriale dal punto di vista profondo che la fede, la
speranza e la carità ci insegnano, e non ci fermiamo a reazioni emotive o solo sentimentali,
non possiamo non riceverla come una grande risorsa che lo Spirito Santo ha messo a
nostra disposizione e che ci provoca ad un cammino più deciso e più lieto. Seguendo la
testimonianza di Papa Francesco, la grande tradizione della Chiesa milanese può
rinnovarsi ed incarnarsi meglio nella storia personale e sociale delle donne e degli uomini
che abitano le terre ambrosiane.
La Solennità della Santissima Trinità che oggi celebriamo allarga il nostro cuore e
rende più incisivo l’insopprimibile desiderio di vedere Dio: «Il mio cuore ripete il tuo
invito: “Cercate il mio volto”. Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto»
(Sal 27 [26] 8-9a).
Angelo Card. Scola
Arcivescovo
Nella Solennità della Santissima Trinità
Milano, 11 giugno 2017
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OMELIA A CONCLUSIONE DELLA VISITA PASTORALE
(Mons. Mario Delpini - Magenta, 28 aprile 2017)
Proprio oggi, mentre in tutta la Chiesa si celebra la festa di santa Gianna, sono venuto qui
a nome del Cardinale Arcivescovo per questo momento conclusivo della visita pastorale che ha
avuto diverse fasi e che l’Arcivescovo ha voluto chiamare la “visita pastorale feriale”, cioè un
incontro del Vescovo e dei suoi collaboratori con le comunità cristiane che avviene in un modo
feriale, non tanto quindi con la cura per la solennità dell’evento, ma una cura per la verità
dell’incontro e credo che Santa Gianna può essere bene la patrona di questa visita feriale. Lei
che si è santificata proprio facendo le cose di tutti i giorni, prendendosi cura della sua famiglia e
della sua professione nel contesto in cui viveva. Quindi noi sentiamo l’intercessione di santa
Gianna per questo momento e per questo cammino che la comunità pastorale continua e, con
questa visita pastorale, ha trovato di precisare.
Che cos’è la conclusione di una visita pastorale feriale?
È una parola che l’Arcivescovo vuole rivolgere alla comunità per indicare alcune priorità.
Le priorità pastorali vogliono essere un invito a dire: “Queste cose vengono prima di altre”,
questa è la “priorità,” queste cose devono essere il criterio per valutare tutto quello che
facciamo”. In una comunità, talvolta, c’è un’esuberanza di iniziative, di incontri, di proposte, di
forme di impegno... Tutto va bene, però se diventa troppo, se questo “ tanto da fare” oscura le
priorità, forse siamo chiamati a una scelta di maggior intensità e sobrietà.
Le priorità che l’Arcivescovo mi incarica di raccomandare sono di due tipi. Ce ne sono tre
che sono per tutte le comunità della diocesi, tre punti da condividere come “cose da fare per
prime” e poi l’Arcivescovo assume dal discernimento fatto dal consiglio pastorale, dagli
operatori pastorali, dal Vicario di zona che è venuto in visita qui. Ecco, da questo lavoro
assume un passo da compiere. Quindi adesso io espongo queste priorità, poi lascio al parroco e
ai suoi collaboratori questo testo perché venga utilizzato proprio per orientare il cammino che
continua in questa comunità. Quali sono queste priorità?
La prima priorità si esprime così: “La comunità dei discepoli del Signore vive del rapporto
con il Signore. Si potrebbe dire che è una comunità che nasce dall’Eucaristia e che vive un clima di
preghiera fedele e fiduciosa, nella persuasione che senza il Signore non possiamo fare nulla.”1
La radicalità di questa espressione ci invita a verificare se nella vita della comunità
l’Eucaristia è il centro, è il punto che fa nascere la Chiesa. La Chiesa non nasce dalla tradizione
della gente che è abituata a fare delle cose, fossero pure delle cose belle... La Chiesa non nasce
dal fatto che noi siamo amici, parenti, compaesani e ci troviamo volentieri insieme... La Chiesa
nasce dall’Eucarestia. e perciò la priorità che l’Arcivescovo raccomanda è proprio quella di
1 Lettera ai fedeli della Comunità Pastorale Santa Gianna Beretta Molla e Beato Paolo VI, Milano
28 aprile 2017
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curare la celebrazione eucaristica, specialmente la celebrazione domenicale, in modo che si
capisca che la Chiesa nasce da qui, nasce dalla celebrazione condivisa e quindi l’Arcivescovo
raccomanda che ci sia la cura per la chiesa, per il canto, per il servizio liturgico, per la lettura
della Parola di Dio, per tutto quello che è la celebrazione. Però, certo che se noi celebriamo una
Messa perfetta e poi uscendo di chiesa non trasmettiamo i frutti dell’Eucaristia, la celebrazione,
per quanto bella e curata, è diventata un qualcosa che è rimasto in chiesa. Invece dalla chiesa,
dall’Eucaristia nasce la Chiesa. E quali sono questi segni che dicono che abbiamo celebrato
l’Eucaristia e tutta la vita cristiana? Però, almeno due segni voglio ricordarli. Chi ha celebrato la
Messa vive di questo incontro col Signore e perciò esce di chiesa contento. Ecco, la gioia! E
quindi se i cristiani escono di chiesa tristi, arrabbiati, scoraggiati, lamentosi, così come sono
entrati, si può dire che hanno celebrato l’Eucaristia? Come si fa a dire: “Ecco, la gente che non
viene a Messa, come fa a capire che i cristiani sono contenti d’andare a Messa, trovano qui il
principio della loro vita, se poi quando sono per le strade sono scoraggiati e lamentosi come
tutti?”. La gioia, la gioia è generata dall’Eucaristia e poi la carità, il fatto che l’Eucaristia ci rende
un cuor solo e un’anima sola! Per ciò si capisce che abbiamo celebrato l’Eucaristia: se usciamo di
chiesa riconciliati, se ci sentiamo fratelli e sorelle che si vogliono bene, che si danno una mano.
Qualche volta le nostre comunità cristiane sono segnate da tante rivalità, discussioni, malumori,
pretese che si uniscono intorno all’altare e poi rimangono rivalità, pretese, risentimenti e allora
uno dice: “Che Eucarestia hanno celebrato quelli li che si sono nutriti dell’unico corpo e sono
rimasti un popolo sparpagliato, un popolo diviso, un popolo pieno di gruppi che parlano male
l’uno dell’altro?” Da che cosa si capisce che hanno celebrato il sacramento dell’unità e della
carità? Ecco questa priorità di celebrare in verità l’Eucarestia, così che uscendo dalla chiesa, in
tutte le parrocchie di Magenta, quando si è celebrata la messa domenicale, i cristiani dovrebbero
riempire di gioia la città, dovrebbero seminare sorrisi, dovrebbero avere parole buone da dire,
dovrebbero essere contenti delle opere di carità e di misericordia che possono compiere. Ecco, la
celebrazione Eucaristica è ciò da cui nasce la Chiesa. E poi l’Arcivescovo dice che questa
centralità dell’Eucaristia, questo riconoscere che noi senza il Signore non possiamo fare nulla,
deve essere un motivo per pregare tutti i giorni, per vivere anche la Messa feriale, anche gli altri
momenti di preghiera: l’adorazione, il rosario, la via crucis, le diverse forme di preghiera che
aiutano giorno per giorno, secondo il tempo e la spiritualità che coltiviamo, aiutano a vivere
questo rapporto con il Signore. L’impressione qualche volta è che i cristiani siano molto
indaffarati anche per opere buone, ma quasi non hanno più il tempo e il desiderio di pregare.
Forse nella Chiesa di oggi si prega poco. E dunque, ecco quello che mi sembra il modo di
spiegare questa prima priorità e mi pare che santa Gianna rappresenti un modello di quella
preghiera quotidiana che dà una qualità a tutte le giornate.
La seconda priorità che l’Arcivescovo raccomanda a tutte le comunità si esprime così: “La
comunità dei discepoli del Signore è il contesto in cui ciascuno riconosce che la sua vita è una
grazia, una vocazione, una missione”.2
Cioè la cura per il cammino di fede, specialmente dei ragazzi, degli adolescenti e dei
giovani. è in sostanza la cura perché conoscano il significato della vita. La vita è un dono, non è
2 Ibid.
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un destino, non è una disgrazia, non è un caso, è un dono e colui che ce l’ha donata ci rivolge
una parola per dirci anche il fine della vita. Noi siamo chiamati alla vita, dunque abbiamo una
vocazione da realizzare e questa vocazione è per il bene di tutta la comunità e di tutta l’umanità.
Abbiamo una missione da compiere, dunque questa insistenza sul tema della vocazione è per
dire che, certo noi per i ragazzi, gli adolescenti e i giovani facciamo tante cose, abbiamo tante
iniziative, però tutto dovrebbe convergere lì: aiutare chi sta crescendo a capire che la sua vita è
un dono, a riconoscere che è chiamato con una vocazione santa e che questa vocazione è a
servizio della comunità e della società. Dunque la cura per la vocazione dei giovani: ecco questa
è la seconda priorità che l’Arcivescovo raccomanda e anche in questo settore mi pare che alcune
parole di santa Gianna sono particolarmente efficaci. Anche nella Liturgia delle ore che
celebriamo nella memoria di santa Gianna è proprio riportato un brano che parla
dell’importanza che ciascuno trovi la sua vocazione, che la giovinezza non sia un parcheggio
per tirare avanti, come se la vita non avesse uno scopo. La giovinezza non sia un tempo
insignificante da sperperare nei capricci. La giovinezza è il tempo della ricerca vocazionale.
Questa è la seconda priorità che l’Arcivescovo raccomanda a tutti.
E la terza priorità si esprime così: “La comunità dei discepoli del Signore è presente nel
contesto in cui vive come il sale della terra, la luce del mondo, il lievito che fa fermentare tutta la
pasta”.3
Cioè i cristiani sono presenti nella società come coloro che hanno qualcosa da dire, non
solo un buon esempio da dare, ma una testimonianza sulla visione della vita che hanno, sul
modo con cui i cristiani intendono la vita, la morte, l’essere uomo, l’essere donna, il matrimonio,
la nascita dei bambini, la malattia, le prove della vita, l’amministrazione pubblica, la politica...
Ecco i cristiani traducono la loro fede in una cultura e dunque sono presenti non come della
gente indaffarata a fare del bene senza più ricordarsi “per chi fa del bene, come si fa il bene e
come si costruisce una società che ha a cuore il bene comune”. Dunque questa è la terza priorità:
che la fede diventi cultura, che i cristiani siano capaci di argomentare la loro visione della vita,
di confrontarla con gli altri senza pretendere di imporre niente a nessuno, ma anche senza
essere così timidi da non sapere in che cosa credono, che cosa vogliono, che progetto hanno per
rendere più bello il mondo, per la pace, per la convivenza dei popoli. Ecco questa è la terza
priorità: noi siamo gente che ha un’idea della vita ed è capace di condividerla, di argomentarla,
di presentarla, di farla diventare cultura.
E poi, ecco, la comunità pastorale ha individuato il passo da compiere e l’Arcivescovo ha
fatto proprio dicendo: “Quello che voi avete individuato come una necessità da affrontare, una
sfida da raccogliere, questo io vi raccomando” E questo passo da compiere si esprime così:
“E’ il momento [tempo] di passare dalla valorizzazione delle singole parrocchie alla spinta
nel cammino verso la comunità pastorale. Viste alcune risposte esaltanti verso la carità e le sue
esigenze, è opportuno favorire una crescita nella libertà di amare nelle relazioni quotidiane più
3 Ibid.
10
semplici. Si deve [devono] intuire come [dunque] valorizzare i ministeri e proporre itinerari di
formazione permanente dei laici perché se ne facciano carico [di questi servizi per la
comunità]”.4
Questo, dunque, un invito ad un cammino di comunione più intenso tra le diverse
parrocchie e ad un’espressione di carità che diventi rapporti quotidiani, che diventi
responsabilità specifica.
Ecco, queste dunque le linee che concludono la visita pastorale feriale e l’augurio che
voglio rivolgere a nome mio e dell’Arcivescovo è proprio che santa Gianna, patrona della vostra
comunità, proprio con la sua vita spirituale, la sua idea di una vita come vocazione, la sua
presenza nella professione medica come persona che vive in coerenza con la fede il suo lavoro,
possano aiutare a mantenere vive queste priorità, farle diventare criterio per valutare tutto
quello che si fa, per scegliere ciò che è più importante. Così la comunità possa veramente
crescere nella carità, nella gioia, nel trovarsi unita, nell’inventare un volto di Chiesa in questa
città che possa essere un messaggio di speranza per tutti coloro che vi abitano.
4 Ibid. I vocaboli tra [ ] sono quelli usati durante l’omelia.
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L’ANNO DELLE COSE FACILI
(Mons. Mario Delpini - La Fiaccola n 8/9 2016)
Capisco che proporre cose facili possa sembrare offensivo, come si è offeso Naamàn,
comandante dell’esercito del re di Aram, quando per guarire dalla lebbra Eliseo gli ordinò una
cosa tanto facile come bagnarsi sette volte nel Giordano (cfr. 2Re 5,10-11).
Tuttavia la vita è già tanto difficile, i rapporti con le persone sono già tanto complicati, le
tribolazioni che irrompono nelle giornate sono tanto gravi, così non credo che anche il Padre
misericordioso voglia aggiungere pesi sulle spalle dei suoi figli.
C’è infatti anche l’idea che il cristianesimo sia un peso in più: «Già le cose che si devono
fare sono piuttosto pesanti; ebbene, se vuoi essere un bravo cristiano e andare in Paradiso,
mettiti sulle spalle anche qualche altro dovere, rinuncia a qualche divertimento e annoiati un
po’ di più degli altri!».
A dire la verità, il messaggio cristiano è stato annunciato come una promessa di
liberazione, l’offerta di una comunione che offre sollievo e speranza e perciò una buona notizia,
un Vangelo, si direbbe.
Pertanto, se dipendesse da me, proporrei come tema e proposta pastorale per le nostre
comunità per l’anno 2016-2017, l’anno delle cose facili.
RICEVERE
Una cosa facile è ricevere, accogliere la grazia di Dio, lasciarsi raggiungere dal suo amore:
«Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. …Anzi, questa
parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,11.14).
Il momento di grazia più facile e vicino è la Messa domenicale: lì siamo tutti attesi e
convocati per ricevere grazia su grazia. Pertanto si potrebbe proporre di ridurre o eliminare
tante parole e tante riunioni e darsi tutti appuntamento alla Messa della domenica, che
trasforma i molti in un cuor solo e un’anima sola e rivela la potenza di Dio che salva dalla
morte. Ci sarebbero quindi buone ragioni per far festa alla domenica: «Erano perseveranti
nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42).
CON LETIZIA E SEMPLICITÀ DI CUORE
Una cosa facile è sorridere, essere lieti. Non perché le cose vadano tutte bene, non perché
tutti i desideri si realizzino, non perché non ci siano problemi e tribolazioni.
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La letizia cristiana, che si esprime sorridendo e seminando sorrisi, è facile perché è un
dono dello Spirito: accompagna i discepoli nelle vicende quotidiane, i santi nelle coerenze
difficili e persino i martiri incamminati verso il martirio.
Se lasciamo tempo allo Spirito perché in noi germogli la gioia, sarebbero aboliti i lamenti
inutili, i malumori deprimenti, che contribuiscono a dissimulare l’attrattiva della vita cristiana.
«Se essere cristiani vuol dire lamentarsi dal mattino alla sera, come fanno tutti, allora
tant’è!». Invece dei cristiani si dice: «prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46).
CONDIVIDERE
Una cosa facile è imparare a vivere poveri, piuttosto che inseguire un avido e illusorio
sogno di ricchezza.
Alle orecchie mondane la parola evangelica che proclama «beati voi poveri» (Lc 6,20) suona
come una ridicola sciocchezza. Perciò la sapienza mondana ha indotto molti ad affannarsi per
procurarsi cose, soldi, possibilità di sperperi e di capricci: una frenesia che sembra avere rubato
l’anima alla gente.
La proposta pastorale invita a convertirsi al modo di pensare e di sentire di Cristo.
Pertanto i discepoli cercano la loro sicurezza non nel conto in banca e in investimenti che
promettono miracoli e assicurano delusioni, ma nella condivisione, nella scelta di una vita
sobria, nell’investire nella solidarietà.
Fin dove si può spingere l’esercizio spirituale dell’ ”abituarsi a fare a meno”? «Avevano
ogni cosa in comune, vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno
di ciascuno» (At 2,44-45).
MOSTRARE UNA VIA POSSIBILE
Una cosa facile è conversare con gli amici, i colleghi, i vicini di casa. La conversazione non
è la chiacchiera per non dire niente, non è la “lezione di dottrina” di chi presume di insegnare
come risolverebbe i problemi che lui non ha, non è il comizio per conquistare consenso.
La conversazione è il linguaggio per parlare di cose serie in modo semplice e testimoniare
una via possibile per una vita buona. La conversazione non teme di entrare negli argomenti
decisivi che spesso sono taciuti per una reticenza imbarazzata: quando si dovrebbe parlare della
vita, della morte, di Dio, del dolore, dell’amore, dell’uomo, della donna, della politica, della
finanza, della povertà, del lavoro, dei figli, dei dogmi del presente e dei rischi del dissenso.
Se ne può parlare e, se hai qualche cosa da dire che non si riduca a luoghi comuni, puoi
offrire la testimonianza di un modo di vivere che, per quanto ordinario, è meraviglioso e
riempie di stupore gli uomini e gli angeli. «… Godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore
ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2,47-48).
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PER CONFIGURARE UN VOLTO NUOVO DI CHIESA
(Mons. Mario Delpini - Avvio dell’anno pastorale 20 settembre 2016)
Forse nei calendari parrocchiali e nelle agende degli impegnati non ci sono più date
disponibili.
Forse alla gente l’anno pastorale appare come un insieme di iniziative stentate perché
«siamo sempre meno e sempre più vecchi».
Forse sui bollettini parrocchiali non c’è più spazio per nuovi annunci.
Allora, che pur con tutta la buona volontà, delle indicazioni dell’Arcivescovo per l’anno
pastorale 2016/17 non se ne farà nulla.
L’Arcivescovo infatti propone di lasciarsi condurre dallo Spirito di Dio a configurare un
nuovo volto di Chiesa, una Chiesa riformata dalla docilità allo Spirito nell’«assecondare la
realtà».
La realtà è la famiglia nella complessità delle sue forme e delle sue storie: la proposta
pastorale non chiede alle famiglie ulteriori impegni per essere «soggetti di evangelizzazione».
Piuttosto trova modo di accompagnare la vita ordinaria di ciascuna famiglia per aiutarla a
essere luogo di Vangelo: nel dare la vita e nel custodirne la buona qualità si rivela anche il
significato della vita e la sua vocazione.
Che valga la pena di propiziare l’ascolto della Parola di Dio in famiglia e la partecipazione alla
Messa domenicale?
La realtà è la pluralità di presenze personali e associative: la proposta pastorale non
vuole organizzare una spartizione di compiti, spazi e potere, né includere alcuni ed escludere
altri. Piuttosto vuole alimentare un senso di comunione, così che il dono di ciascuno sia per
l’edificazione di tutti.
Che valga la pena di invitare tutti a partecipare alla Messa domenicale?
La realtà è la società nella sua molteplicità di componenti: la proposta pastorale non
presume di esercitare una egemonia nella società plurale, ma offre a uomini e donne di questo
tempo la testimonianza di una speranza affidabile. In altre parole vive la fede in modo che
diventi cultura.
Che valga la pena di incoraggiare i cristiani a conversare con colleghi, amici, vicini di casa sulle
cose serie della vita?
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UNA CHIESA GIOVANE
(Mons. Mario Delpini 3 giugno 2017)
Questo momento di preghiera nella Veglia di Pentecoste rievoca quella sera in cui i
discepoli con Maria e qualche altra presenza, nel cenacolo, continuavano a pregare invocando la
potenza dall’alto che Gesù aveva promesso. Anche noi ci sentiamo come nel cenacolo, insieme
con Maria e con gli altri discepoli che sono qui presenti. Dunque ci sentiamo come all’inizio
della chiesa, all’inizio della missione, all’inizio del costituirsi del gruppo dei discepoli come
testimoni del Risorto, all’inizio.
Questo è per contestare quella mentalità che sembra rassegnata a vivere questi anni,
questo tempo, come il tempo della fine. C’è da parte di alcuni un atteggiamento di
rassegnazione che sembra sposare la tesi che questo è il tempo della fine del cristianesimo, è il
tempo del declino della chiesa, almeno nelle nostre terre di antica tradizione cristiana.
Serpeggia anche in molti intellettuali, anche in molte persone che, per forza di cose, studiato o
letto libri, non hanno condiviso le critiche della filosofia, della mentalità corrente. Questo clima
di rassegnazione, questo clima di declino, questa impressione di nostalgia che spesso risuona
anche nelle nostre comunità sembra quasi dire: siamo alla fine. Eravamo tanti, adesso siamo di
meno. Eravamo tutti giovani entusiasti adesso siamo tutti attempati e un po’ stanchi. Eravamo
significativi, il paese contava, la parrocchia contava sui cristiani, adesso ci sono tante idee, tanti
gruppi e non si sa più chi conta. Alcune espressioni per dire: siamo in un’epoca di declino.
Noi siamo qui per dire: no, no, siamo all’inizio. Ogni stagione della chiesa è tempo di
inizio. Perciò io sono qui oggi per concludere la visita pastorale nel decanato Valle Olona, poi
passerò nelle parrocchie, nelle comunità pastorali per concludere la visita pastorale. Questo è il
messaggio che voglio lanciare a nome dell’Arcivescovo: siamo all’inizio, ripartiamo, abbiamo
una missione che ci rilancia, ci impegna, ci apre le porte. Ecco, siamo all’inizio perché non conta
quanti siamo, quale stima ci riserva il contesto in cui viviamo. Non conta quanto potere
abbiamo, quante strutture abbiamo. Conta quanta forza di Dio c’è dentro di noi. Questo fuoco
dello spirito, quest’acqua zampillante per la nostra sete, questo conta.
Perciò io vorrei dire che il messaggio alla chiesa dovrebbe essere questo: Chiesa di Dio, tu
sei giovane. Sei giovane e vivrai.
Chiesa di Dio, tu sei giovane perché sperimenti la tua debolezza, la tua pochezza, la tua
inadeguatezza non come un motivo per scoraggiarti ma come una invocazione.
Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché preghi, perché sei consapevole di non bastare
all’impresa della missione ma tu preghi e nella tua debolezza si manifesta la potenza di Dio.
Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché vivi così la tua inadeguatezza.
Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché la varietà, la molteplicità, la pluralità per te non
sono un fastidio ma una ricchezza.
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Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché guardi intorno e non distingui tra chi è italiano e
chi non è italiano perché tutti riconosci come fratelli, come sorelle.
Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché accogli. Perché ti interessano gli altri. Perché sei
aperta a tutti. Perché apri le porte delle tue parrocchie e dici: venite, venite tutti, noi vi
cerchiamo, uomini e donne voi siete nostri fratelli, noi esistiamo per voi, la chiesa esiste per voi,
è un segno, è una proposta, è una casa.
Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sai accogliere e sai entusiasmarti per la presenza
di persone nuove, per la ricerca di volti, lingue, culture nuove che ti arricchiscono. Tu sei
giovane perché accogli.
Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sei inquieta. La chiesa di Dio non è mai statica.
Non è come le persone di mezza età che dicono: ecco quante cose ho fatto, quante imprese
posso vantare, persone che si assestano nei loro successi illudendosi di aver fatto chissà che
cosa.
No, santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sei inquieta, perché non ti basta quello che
c’è. Non ti basta questa vita terrena e cerchi la vita eterna. Non ti basta il tuo passato, invochi il
futuro.
Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché le strutture di questo mondo, il potere di questo
mondo, il potere dei soldi o del lavoro non ti lasciano soddisfatta.
Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sei profezia, perché hai qualcosa da dire, perché
hai una contestazione contro l’ingiustizia di questo mondo.
Santa chiesa di Dio, tu sei giovane perché sei inquieta, sei profetica, perché hai una sfida
da raccogliere. Ecco, questo giovane che diventa prete questi ragazzi che si sposano tra un po’,
ecco la tua giovinezza è questo guardare al futuro come una vocazione da realizzare.
Ecco l’augurio che voglio fare a questo decanato.
Deve imparare a mettere in comune le forze. Deve imparare a far circolare le idee. Deve
imparare a porsi di fronte al territorio come una chiesa giovane.
Giovane perché prega.
Giovane perché accoglie.
Giovane perché è inquieta.
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ECCO PERCHÉ ESISTE UNA COMUNITÀ CRISTIANA
(Mons. Mario Delpini - 25 maggio 2014)
Nella Grazia di essere una comunità che genera stupore. Noi cristiani di queste terre della
Diocesi di Milano, siamo gente pacifica, siamo gente che vive la sua vita cristiana con una specie
di naturalezza, forse perché qui il Vangelo è stato predicato fin dai primi secoli della storia della
chiesa.
Forse perché le generazioni che ci hanno preceduto hanno, per così dire, cristianizzato
tutto: il tempo, con il calendario tutto segnato dalle feste cristiane, lo spazio, con le chiese e con i
luoghi di culto con i piccoli segni di devozione che ci sono in giro per la città e per la campagna.
Forse per questo noi, abbiamo l’impressione di non essere tanto originali a essere cristiani,
non abbiamo il piglio degli eroi, o il tratto dei martiri, noi abbiamo, siamo gente pacifica. Certo,
abbiamo fatto e facciamo tanto, ma non perché dobbiamo dimostrare qualcosa, ma piuttosto
come chi asseconda una consuetudine, vive una bella tradizione quindi, fa quello che si deve
fare: la preghiera, la carità, la gioia di stare insieme, le discussioni, tutte le cose della vita
cristiana ci sembrano come cose ordinarie.
Il nostro cristianesimo è dunque un cristianesimo pacifico, e forse rischia perfino di essere
un po’ innocuo e scontato, come quelle belle immagini che magari si tengono in casa ma che a
furia di tenerle lì appese al muro uno non le guarda neanche più, tanto sono diventate abituali.
O come quelle belle feste che si celebrano ogni anno e che celebriamo quasi per inerzia piuttosto
che per entusiasmo.
Noi siamo gente pacifica e non amiamo andare a cercare i fastidi, anzi ci sembra che
evitare di dare fastidio agli altri sia già un atto di carità. Facciamo il bene e ci dedichiamo alle
opere buone ma non pretendiamo pubblicità, anzi qualche volta siamo persino inclini a far
dimenticare il perché facciamo il bene. Non vogliamo imporre niente, anche forse perché siamo
diventati un po’ superficiali e non sappiamo bene neanche noi che cosa crediamo e quali sono le
convinzioni più irrinunciabili.
Siamo gente pacifica e non cerchiamo fastidi, con il rischio che qualche volta diventiamo
anche insignificanti. Eppure se andiamo appena un poco oltre la superficie e le inerzie ci
rendiamo conto che se anche noi non cerchiamo i fastidi, i fastidi vengono a cercare noi. E anche
il fare il bene, così alla buona come lo facciamo noi, talvolta suscita contrasti, genera tensioni,
cioè come uno scontro tra lo spirito del mondo e lo Spirito di Cristo, di cui parla la seconda
lettura di oggi. Anche i discepoli, i primi discepoli Pietro e Giovanni, che hanno guarito questo
malato, non hanno suscitato un entusiasmo ma piuttosto discussione e persino scandalo come
attesta la prima lettura.
Dunque c’è come, se ci fosse un contrasto tra lo spirito del mondo e lo Spirito di Dio e lo
spirito del mondo dice: “ma tu, non fare l’originale, tu cerca di essere come gli altri. Anche se
senti che qualcosa non va, non essere originale, passa oltre altrimenti rischi di restare solo. Se
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tutti ripetono i luoghi comuni e non sanno dire altro che parole di lamento e malumore, parla
anche tu così: lamentati, esprimi malumore, critica tutto, non credere a niente, altrimenti diventi
il bersaglio di qualcuno che ti attacca, altrimenti sembri un presuntuoso quindi, non essere
originale”, dice lo spirito del mondo.
Ma forse voi, sentite che c’è un altro Spirito che dice:” Mosso dallo Spirito, l’uomo di Dio
giudica ogni cosa, e non è giudicato da nessuno”, e dice San Paolo: “ Noi abbiamo il pensiero di
Cristo” e noi proclamiamo con Pietro, quella parola che lascia stupiti: “Non c’è altro nome che
quello di Cristo nel quale è possibile che siamo salvati”.
Ecco perché esiste la chiesa, ecco perché qui è stata costituita cinquant’anni fa e ha
vissuto una comunità cristiana, gente pacifica, eppure gente che non può tacere quella parola
che lascia stupiti: “Non c’è altra via di salvezza se non in Cristo Crocifisso e Risorto”, dunque,
ecco perché c’è una comunità, perché sia una comunità capace di generare stupore. E lo spirito
del mondo dice:”ma tu pensa a te stesso, gli altri sono un fastidio, ciascuno ha i suoi problemi,
tu pensa ai tuoi. Uno come te non può farci niente a risolvere i problemi del mondo e dunque
preoccuparti, pensa a te stesso. Se sei buono, gli altri se ne approfittano, ti portano via tutto, e
perciò il tuo tempo tienilo per te. Le tue capacità sfruttale per te stesso, i tuoi soldi, spendili per
te, così che si vive bene.” Se uno è egoista così dice lo spirito del mondo. Ma forse in voi sentite
che parla in voi un’altro Spirito, è lo Spirito di Gesù che ti dice: ” Guardati intorno, e riconosci il
bisogno che c’è di consolazione, di guarigione, di amicizia. Non passare oltre con indifferenza,
non chiuderti nei tuoi problemi, vivi in quella pace che non è la pace di gente pacifica che non
vuole fastidi, ma è piuttosto l’intraprendenza che costruisce legami, che raduna, che si prende
cura, che trova il suo riposo nella fraternità e non nella solitudine”.
Ecco, lo Spirito di Dio è come un fuoco che continua ad ardere perché avvolge del suo
calore: chi ha freddo, chi è buttato via, chi è spento. Il fuoco, il fuoco vive se contagia quello che
c’è intorno a noi e così l’amore vive se coinvolge gli altri. Ecco, c’è una voce, c’è un amore, c’è
una forza che fa sperimentare che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e che si vive bene
quando si vive non per essere serviti ma, per servire.
Ecco perché esiste la Chiesa, ecco perché qui è stata costituita una comunità. Gente
pacifica perché costruisce la pace, perché accoglie nella comunità e vive della fraternità. Una
comunità unita e accogliente in un contesto malato di solitudine e indifferenza. Ecco una
comunità che genera stupore. E lo spirito del mondo dice:”Di speranza non ce n’è più, il futuro
è solo una minaccia, la sapienza più intelligente è la disperazione, il pensiero più acuto è quello
di chi non crede a niente e la condizione più normale è la rassegnazione e dunque, vivi e
accontentati, godi del presente se ci riesci, e non aspettarti niente dal domani”. Così, parla lo
spirito del mondo.
Ma forse, noi sentiamo che c’è un’altra voce dentro di noi, è la voce dello Spirito di Dio che
dice:” Quel Gesù che voi avete crocifisso, Dio lo ha risuscitato dai morti, è Lui la pietra che è
stata scartata da voi costruttori e che è diventata testata d’angolo, quindi fondamento sicuro su
cui si può costruire”. La voce dello Spirito mandato da Gesù, che come dice il Vangelo, ci
ricorderà ogni cosa. E’ come un vento amico che spinge avanti, che ci fa vivere nell’attesa
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perché Gesù ha detto: ” Vado e tornerò da voi e se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al
Padre perché il Padre è più grande di me”.
Dunque lo spirito è come un vento che ci fa vivere la vita come una traversata del mare.
Un mare talora tempestoso eppure che orienta e porta verso una meta che ci rallegra. Noi
abbiamo speranza di vita eterna e perciò viviamo il tempo, non come quella condizione che
consuma tutto, ma come l’occasione data per amare, per sperare, per preparare la strada al
Signore che viene.
Ecco perché esiste la Chiesa, ecco perché qui è stata costituita una comunità, perché ci sia
gente animata dalla speranza: viva, e perciò il mondo rassegnato ad essere condannato a morte
noi proclamiamo che siamo fatti per vivere, per vivere felici, per vivere sempre. Noi viviamo di
una pace che non è quella che da il mondo, cioè la pace della rassegnazione, ma una pace che è
ardente di speranza, perciò siamo una comunità che genera stupore.
Ecco la Grazia che celebriamo concludendo questo anno cinquantesimo della parrocchia,
la Grazia di essere una comunità che genera stupore, perché lo Spirito di Dio ci rende capaci di
essere originali, ci rende dediti a costruire una fraternità accogliente, ci rende vivi di una
speranza di vita eterna. È proibito essere tristi, siate lieti!
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SANTA GIANNA CI AIUTI A ENTRARE IN PROFONDITÀ
NEL MISTERO DELLA VITA
(Mons. Mario Delpini - Magenta, 28 aprile 2014)
“Un senso di timore era in tutti”.
Così gli Atti degli Apostoli descrivono un aspetto del clima che regnava in questa comunità
primitiva, questi primi credenti che si erano lasciati convincere dalla predicazione di Pietro.
Il senso del Timore è il contrario della presunzione.
La presunzione ostenta una certezza che deriva dall’arroganza, piuttosto che dalla sapienza.
La presunzione è l’atteggiamento che crede di aver già capito tutto e di non aver niente da
imparare da nessuno, crede di essere il meglio che c’è e non sa apprezzare gli altri.
La presunzione non è capace di pregare, se non per esibire le sue qualità, come ha fatto il
fariseo, quando pregando diceva: “Ti ringrazio perché non sono come gli altri, che son tutti ladri e
tutti malfattori, io invece faccio tante di quelle opere buone…”.
La presunzione non ascolta gli altri perché non ritiene di aver qualcosa da imparare dagli altri.
La presunzione dentro una famiglia o dentro una comunità mette a disagio, perché la
presunzione si mette al centro e pretende di essere servita, non si rende conto dei sentimenti e degli
atteggiamenti degli altri, perché li considera come dei propri satelliti.
La presunzione non si lascia interrogare dai bisogni degli altri, perché vede solo se stessa.
“Un senso di timore era in tutti”. Ecco, il timore di cui si parla qui è il contrario della
presunzione, cioè è l’atteggiamento di coloro che si rendono conto d’aver ricevuto tutto quello che
hanno, non lo ritengono una loro proprietà, o un loro merito. Questi primi cristiani si sentono
sorpresi dalla gioia, sorpresi dalla grazia, e perciò vivono di gratitudine. E la consapevolezza di aver
tutto ricevuto li mette in quell’atteggiamento di umile gratitudine e di vigilanza, perché nulla vada
perduto. È così grande il dono ricevuto - la rivelazione di Gesù, la sua Parola – che lo raccolgono
come un tesoro prezioso perché nulla vada perduto.
Perciò chi vive in questo timore prega continuamente dicendo grazie.
Chi vive in questo senso di timore vigila su chi gli stava vicino e si dispone a interpretare i loro
bisogni come facevano questi primi cristiani, che si curavano di chi aveva meno di loro perché
nessuno fosse nel bisogno. Questo senso del timore riempie di commozione questi primi cristiani,
perché grande è il dono ricevuto.
A me sembra che Santa Gianna è stata abitata da questo senso di timore, da questa
gratitudine per i doni che ha ricevuto, per le persone della sua famiglia, per la sua capacità
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professionale, e perciò ha inteso la sua vita come una disponibilità, come un’attenzione agli altri,
come una premura per chi si trovava nella condizione di malato o nella condizione del bisogno.
Il senso del Timore è anche il contrario della superficialità.
La superficialità è l’atteggiamento di chi si interessa di tutto, ma non sa niente, di chi è capace
di parlare di tutto, ma quando l’ascolti non impari niente, perché dice soltanto cose superficiali,
ripete cose già sentite.
La superficialità passa da una cosa all’altra, ma non entra seriamente in niente.
La superficialità non è capace di pregare, perché quando si mette a pregare continua una
continua distrazione, il pensiero corre qua e là, e non riesce a posarsi su un atteggiamento di ascolto,
su una parola che venga da Dio.
La superficialità vive in compagnia, ma non sa trasformare la compagnia in amicizia e in
amore profondo.
La superficialità accumula esperienze, ma non è capace di costruire una storia, vive tante
esperienze, ma non sa qual è la sua vocazione, fa della sua vita un insieme di frammenti che non si
compongono in un disegno.
E la superficialità di fronte agli altri non sa cogliere quello che dicono, quello che provano,
perché è sempre interessata agli spetti più particolari, ai particolari più insignificanti e non coglie le
cose più importanti.
“Un senso di timore era invece nei primi discepoli”. Il contrario della superficialità; è cioè una
persuasione che la parola di Dio va continuamente ascoltata: “Erano attenti e docili agli insegnamenti
degli apostoli”. Continuavano a vivere in una preghiera, perché il dono ricevuto potesse portare
frutto. E, come i discepoli del Vangelo, cercano di non perdere l’occasione unica della loro vita, cioè
quando passa il Signore Gesù. E non è una delle esperienze fra tante, ma è l’occasione della loro
vocazione e, vivendo con intensità il rapporto con Gesù, rimangono con Lui, costruiscono con Lui la
loro storia, perciò la loro vita diventa una vocazione.
Santa Gianna ha avuto una tale intensità nel cercare la sua vocazione, che veramente l’ha
intesa come una risposta alla chiamata di Dio. Ha inteso la sua vita, non come un insieme confuso di
esperienze, ma come una responsabilità da assumere: verso il marito, i figli, verso i suoi pazienti,
verso tutte le aggregazioni e le forme di espressione della comunità.
Ecco Santa Gianna ha vissuto la sua professione come un impegno ad approfondire
continuamente, perché non si vive di cose soltanto già sapute, sempre, sempre si deve imparare.
Ecco questo senso del timore, la consapevolezza di non essere mai arrivati, di non aver mai
capito tutto, e quindi questa pazienza dell’approfondire, dell’ascoltare, del silenzio, in cui la
preghiera, dunque, non diventa una parola da dire distrattamente, ma un appuntamento d’amore
da vivere intensamente, una possibilità di ascoltare che segna una direzione nella vita.
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Il senso di Timore è anche il contrario della fretta sbrigativa.
La fretta sbrigativa è quell’atteggiamento per cui uno è sempre indaffarato, preoccupato del
risultato, ha bisogno di arrivare a poter misurare il frutto del suo lavoro. Ha sempre fretta, perciò le
persone le tratta come dei numeri o dei casi, che gli servono per organizzare la sua vita, o il suo
progetto, o le sue aspettative.
La fretta sbrigativa non ha tempo di pregare, perché ha sempre qualcosa da fare, ha sempre un
appuntamento da inseguire.
La fretta sbrigativa non guarda le persone, ma guarda all’organizzazione. Dentro una
comunità, la fretta sbrigativa diventa una specie di ossessione per i programmi, per le verifiche, per
i calendari, per i risultati.
“Un senso di timore era in tutti”. Ecco, il senso di timore che abitava nella comunità cristiana,
e che è proposto anche a noi, è quell’atteggiamento per cui le persone non devono andar sciupate,
contano più delle cose, contano più dei risultati, e l’atteggiamento del timore rende possibile
vigilare perché ci sia anche il tempo della festa, della gratuità, della contemplazione della natura,
dell’apprezzamento per i doni ricevuti. Non passa di fretta in mezzo alle cose della natura, perché
anche questi sono doni di Dio, e vanno apprezzati. E si può anche perdere il tempo a parlare con un
bambino, a curare un malato che non può guarire, ad ascoltare un povero uomo che ha un problema
insolubile. Chi ha fretta dice: Cosa serve, tanto non si risolve niente!
Chi è abitato da questo senso di timore invece è delicato, rispettoso, perde il tempo con le
persone se è necessario perché tutti si sentano importanti, amati, e non macinati dentro in una fretta
che vuole sempre arrivare alla conclusione.
Ecco, anche in questo mi sembra che Santa Gianna ci è modello, perché il suo modo di
accudire alle persone della sua casa, il suo modo di curare i pazienti, il suo modo di contemplare la
natura, il suo modo di apprezzare le cose belle della vita, dicono che non è stata divorata da questa
fretta sbrigativa, ma è stata presa da questo senso di timore, che è intenso nel rispetto,
nell’attenzione, che sa vivere la gioia, che sa apprezzare le cose belle, che se ne rallegra e rende
grazie a Dio.
In questa memoria di santa Gianna mi pare che noi da questa parola del Signore siamo invitati
a vigilare per non essere presi dalla presunzione, o dalla superficialità, o dalla fretta sbrigativa e
invece a onorare Santa Gianna, seguendone l’esempio per imparare questo senso di timore che ci
rende capaci di apprezzare il dono ricevuto, e anche la grazia di questa Santa della nostra terra.
Ecco, che questa Santa della nostra terra ci unisca tutti, che ci aiuti tutti a vivere come questa
comunità primitiva, in cui l’importante non era affermare se stessi, ma il formare un cuor solo e
un’anima sola.
La Santa ci aiuti a entrare in profondità nel mistero della vita, così da capirla come una
vocazione. La Santa ci aiuti ad avere quella calma, quella capacità di ascolto e di apprezzamento
delle cose belle che trasforma la nostra vita in un cantico di gratitudine.
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L’anno che verrà
Miei cari,
questo numero agostano dell’Insieme chissà dove vi raggiungerà: ai monti, al mare, o
nella nostra bellissima Magenta, in Italia, all’estero… A tutti l’augurio di un tempo di vero riposo
in vista di una nuova ripartenza.
Ci attende un nuovo anno pastorale, scolastico, sociale. Come sarà?
Come sarà? Chi lo sa! Anzitutto – non dimentichiamolo mai – come prega il Salmo: «nelle
tue mani sono i miei giorni» (Sal 31). Sono le mani di un Padre provvidente, innamorato di noi,
onniamante: a Lui onore e gloria!
- l’anno che verrà sarà l’anno in cui accogliere il nuovo Arcivescovo Mons. Mario Delpini.
Lo accogliamo come colui che è benedetto, perché viene nel Nome del Signore. Chi è? Come sarà?
Ti invito a consultare il sito della nostra Comunità Pastorale, dove troverai alcuni suoi testi, che ho
inviato al Consiglio Pastorale.
- L’anno che verrà sarà ancora in parte Anno della Santità, che ci accompagnerà fino al
prossimo 8 dicembre. Quali frutti lascia nei nostri cuori? Può conoscerli un po’ il nostro cuore, ma
soprattutto li conosce Dio. Mi piacerebbe tanto che come scia - quasi come la coda di una stella
cometa - lasciasse in tutti il desiderio di fare della nostra vita un capolavoro di santità, in quanto:
“Sarete santi perché Io sono santo”.
- L’anno che verrà sarà forse – come amava dire il Cardinale Carlo Maria Martini – un anno
sabbatico, ovvero un anno non per dormire, ma per dare profondità alle scelte del cammino fatto
fin qui. Non sarà un anno di nuove iniziative, ma un tempo in cui riscoprire il valore della
quotidianità. Un anno che non deve vederci oziosi o un po’ nostalgici di qualcosa che sta alle
spalle, ma come sempre propositivi, attivi e corrispondenti.
- L’anno che verrà sarà secondo i suggerimenti che attendiamo prossimamente dal Consiglio
Pastorale della Comunità Pastorale. Sarà anche secondo i consigli e l' impegno che molti vorranno
offrire per il bene delle nostre cinque parrocchie. Lo Spirito santo parla infatti al cuore di ciascuno.
Non teniamo segretamente per noi ciò che lo Spirito ci comunica e impegniamoci a tradurlo in
azioni conseguenti.
Tanti Auguri uniti a preghiere. La Madonna Assunta ci benedica!
don Giuseppe
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