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www.luiginovarese.org RIVISTA MENSILE DEL CENTRO VOLONTARI DELLA SOFFERENZA Marzo 2016 3 Poste Italiane spa spedizione in a.p. D.L.353/03 (conv. In L.27/02/2004 N°46) art.1 comma 2 e 3 AUT C/RM/103 2004 ANC RA L’ O Questo è il giorno fatto dal Signore. Alleluia!

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www.luiginovarese.org

RIVISTA MENSILE

dEL centro volontari

della sofferenza

Marzo 2016 3

Poste Italiane spa spedizione in a.p. D.L.353/03 (conv. In L.27/02/2004 N°46) art.1 comma 2 e 3 AUT C/RM/103 2004

Anc rAL’ o

Questo è il giorno fatto dal Signore.

Alleluia!

Lega Sacerdotale Mariana – Silenziosi Operai della Croce

Presieduto da Sua Em.za Card. Paolo Romeo

Le meditazioni ai sacerdoti saranno tenute da

Sua Ecc.za mons. Domenico Cancian

Le catechesi ai pellegrini saranno proposte da

Sua Em.za Card. Gualtiero Bassetti

65° Pellegrinaggio

a Lourdes

“Siate Misericordiosicome il Padre” (Lc 6, 36)

21-27 luglio 2016

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di Janusz MalskiModeratore generale dei SOdC

Dalla schiavitù del malealla libertà del bene

Editoriale 3/2016AncorAL’

Il tempo di Quaresima ci ha predisposti spiritual-mente a vivere con gioia la Pasqua di resurrezio-ne nella quale, come ci ricorda papa Francesco, “Cristo è morto e risorto una volta per sempre e per tutti, ma la forza della Resurrezione, que-sto passaggio dalla schiavitù del male alla libertà del bene, deve attuarsi in ogni tempo, negli spazi concreti della nostra esistenza, nella nostra vita di ogni giorno”.In questo Anno giubilare, la Pasqua ci esorta ancora a riflettere sull’ineffabile misericordia di Dio nei nostri confronti, un Dio che si è avvici-nato con amore agli uomini, attraverso suo figlio Gesù, e con loro ha condiviso il grande mistero della sofferenza, del dolore fisico e spirituale.Un Dio che, ancora oggi, ci esorta ad affrontare le notti della vita, le apprensioni, le preoccu-pazioni, gli stati di salute precari, le delusioni, le ingiustizie con la forza dell’amore, della fede, della preghiera.Amore, fede e preghiera devono essere i punti di riferimento fondamentali affinché l’Anno della misericordia sia vissuto in pienezza, con gioia, con quella aderenza alla Parola di Dio che quo-tidianamente ci interpella: “Misericordia io vo-glio, non sacrifici” (Mt 9, 13). Divenire quindi, noi stessi strumenti dell’amore di Dio compien-do quelle opere di misericordia corporale e spiri-tuale, che caratterizzano il vero e gratuito amore nei confronti di chi ne ha bisogno.

La santa Pasqua, sia per tutti un’occasione propizia per rinnovare la preghiera per la pace nel mondo, per far sì che si instauri una giustizia equa e libera da false e fuorvianti ideologie, per il rispetto di quelle norme morali che non sono rigidi precetti da rispettare, ma pure aderenze al Magistero che, con entusiasmo e slancio, papa Francesco conti-nua a offrirci e sul quale ci invita a riflettere.Non possiamo poi non ricordare un importante

Roma, 3 febbraio 2016 – Processione di san Leopoldoe san Pio versola basilicadi san Pietro.

evento che ha caratterizzato il mese di febbraio e cioè l’arrivo a Roma delle spoglie mortali di san Pio da Pietrelcina e di san Leopoldo Mandic, due esempi di vera misericordia a favore degli uomi-ni, due sacerdoti che, attraverso il sacramento della riconciliazione, hanno saputo dare risalto a quell’amore misericordioso così come voluto da Dio nel perdonare i nostri peccati e, nello stesso momento, entrambi sono stati di esempio ai pre-sbiteri come ministri del perdono.Nel 1973, il beato Novarese, a proposito di pa-dre Pio, ricordava sulla rivista L’Ancora che fu proprio il santo di Pietrelcina “ad incoraggiarmi a proseguire nella costruzione della Casa di Re. Padre Pio mi diceva che sarebbe stato il luogo dove tanti ammalati avrebbero trovato la loro guarigione, evidentemente quella dell’anima, e di questo ne siamo testimoni”.Un augurio di cuore di buona Pasqua. ■

Fondatore: Mons. Luigi NovareseDirettore responsabile: Filippo Di Giacomo

Legale rappresentante: Giovan Giuseppe TorreRedazione:

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Segretario di redazione: Carmine Di PintoProgetto grafico e Art direction:

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Mauro Anselmo, Carmine Arice, Ilaria Barigazzi, Giovanna Bettiol, Cristian Catacchio, Giosy Cento,

Joelle Christille, Luigi Di Blasi, Felice Di Giandomenico, Leonardo Di Taranto, Letizia Ferraris, Remigio Fusi,

Janusz Malski, Walter Mazzoni, Sergio Melillo, Mario Morigi, Mauro Orsatti, Agnese Pagliotti, Angela Petitti

Foto di copertina: Connygats

Foto: Sir: pp. 3; Erminio Cruciani: pp. 14, 16, 17, 31, 32, 37; Unsplash: p. 28; pexels-photo: p. 42

Disegni: Nevio De Zolt: p. 36

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Finito di stampare: Febbraio 2016

Periodico associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

AncorA

L’

RIVISTAMENSILE dEL

centro volontari

della sofferenza

Marzo2016

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La Resurrezione di Cristorinnovi a fondo la nostra vita.

Ai nostri lettori,Buona Pasqua!

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La Resurrezione di Cristorinnovi a fondo la nostra vita.

Ai nostri lettori,Buona Pasqua!

1 Dalla schiavitù del male alla libertà del bene Janusz Malski

6 Essere “Chiesa in uscita” di Angela Petitti

8 La GMG a Cracovia di Cristian Catacchio

10 Giovani e anziani, fondamenta del CVS di Remigio Fusi12 Ed è di nuovo caldo di Joelle Christille14 Uno sguardo più attento sul prete di Mario Morigi 16 La conquista del benessere di Mara Strazzacappa 18 Lezioni di piano a Sanremo di Mauro Anselmo19 Tanti fatti! a cura della Redazione22 Diffondiamo l’apostolato!

23 Vi raccontiamo Luigi

lectio27 “Siate misericordiosi, come il Padre” (Lc 6,36) di Mauro Orsatti

celebrazione31 Misericordia è credere nella riconciliazione… con Maria di Giovanna Bettiol

33 5x100034 Fatti & notizie a cura della Redazione36 Visitare gli infermi di Carmine Arice38 Per il Giubileo, una messa alla tomba di Novarese di Sergio Melillo40 Da Nazareth a Calcutta di Felice di Giandomenico42 Perché sei andata via mamma!? Il Signore mi viene incontro su Facebook di Giosy Cento

44 Sempre sorridente e accogliente44 Sala Bartolacelli45 Angiolino Bonetta, un’anima ricolma di grazia45 In ricordo di Claribel45 La nostra storia

inascolto

informazione

indialogo

noicvs

una guida che continua

editoriale

l’Ancora dei piccoli

3/2016AncorAL’

ueste parole del beato Lu-igi Novarese risalgono al 1984, l’ultimo anno della

sua vita. Parole quasi come un testamento in cui si consegna in eredità non mezzi materiali ma “un patrimonio ideologico”.Il beato Novarese fa riferimen-to al convegno che l’anno pre-cedente era stato svolto a Re e che trattava del sofferente “realizzatore e diffusore dell’a-more misericordioso di Cristo”. Un convegno molto partecipa-to e riuscito in cui, a suo dire, “i temi basilari della vocazione

“É di vera necessità per il ringiovanimento dell’attività che ogni iscritto assicuri l’ampio patrimonio ideologico che le tematiche del Convegno di Re hanno dischiuso. Oserei dire che, se non si approfon-discono tali tematiche, non soltanto personalmente non apprezziamo il valore del nostro patrimonio ideologico e della nostra vocazione, ma non sapremo presentare i nostri obiettivi con argomentazioni precise, cedendo, a poco a poco, a un indifferentismo apostolico che, giacendo nel generico, non sol-tanto diventa insipido, ma reca vero danno al programma dell’Immacolata”.

di Angela Petitti

Q dell’ammalato e del perché “Vo-lontari della Sofferenza” sono stati approfonditi in maniera veramente magistrale”.Subito dopo, però, aggiunge che “tali idee portanti del no-stro apostolato non soltanto vanno affrontate, ma lungamen-te meditate da ciascun iscritto del nostro Centro, e portate poi avanti con forza nuova, con di-namica piena di carità, che si studia di presentare il program-ma dell’Immacolata con lucidità ed in modi sempre nuovi”.Consideriamo un primo momen-

to, quello dell’ascolto attento, in cui una riflessione viene fat-ta da qualcuno che parla con competenza su un tema, eser-citando la capacità di attenzio-ne di chi ascolta e seminando nel cuore qualcosa di bello. Perché è un’esperienza incre-dibilmente di crescita, quando una parola ascoltata diven-ta una realtà che matura man mano che le si dà attenzione e accoglienza. Questo è quello che succede molte volte con la Parola di Dio, davvero capace di portare frutto e discerni-

una guida che continua

6

Essere “Chiesa in uscita”Attraverso l’ascolto attento e la profonda riflessione è possibile maturare una

crescita personale che sollecita all’azione apostolica nel mondo della sofferenza.

Re (Vb),corso di Esercizi

spiritualiper bambini

e adolescenti

3/2016AncorAL’

Il beato Luigi Novarese, nel 1963 celebra l’Eucaristia con i Fratelli e Sorelle

degli ammalati e i pellegrini radunatialla stazione di Lourdes per preparare

il treno che accolga i sacerdoti ammalati della Lega Sacerdotale Mariana che fanno

ritorno in Italia.Il pellegrinaggio fu presieduto

dal card. Giuseppe Antonio Ferretto.

foto storica

mento nella vita. Ma questo può succedere anche quando parla qualcuno che ci colpisce, ci coinvolge nella sua riflessio-ne e apre una strada nel cuore, facendo sembrare credibile, de-siderabile e realizzabile quello che viene detto.Non è successo, forse, così ai tanti che, nel corso della vita fondazionale dell’Opera di mon-signor Novarese, udendolo par-lare, hanno aderito non tanto alla sua persona, quanto a ciò che le sue parole trasmettevano e che erano ispirate dallo Spiri-to Santo? Ma anche dopo la sua morte, il suo ideale ha continua-to ad attrarre molta gente all’a-desione a questo carisma così particolare. Anche gente lon-tana, che non aveva nemmeno sentito parlare di lui o di altri aderenti carismatici (Angiolino, Fausto, Anna Fulgida, Giunio, Alberto Ayala…), conquistati, tuttavia, dal loro pensiero scrit-to o riportato da chi li aveva conosciuti personalmente.Un secondo momento impor-tante riguarda, poi, la riflessio-ne e la crescita personale den-tro l’idea ascoltata.Il beato Novarese parla, infatti, di “idee lungamente meditate” e di un “arricchimento perso-

nale” derivante dalla lettura degli atti del convegno, capaci di offrire “un ottimo apporto ideologico da cui attingere, per presentare con vera consape-volezza l’apostolato”. Il fine di questa lettura attenta che con-duce a tenere nell’interiorità ciò che si scopre importante, è quello di acquisire consapevo-lezza.Non è questo il luogo per fare lunghe riflessioni sul legame (o opposizione) tra idea e ideolo-gia; riflessioni peraltro molto impegnative. Ci basti conside-rare che mentre ideologia ci fa pensare all’insieme organizzato di alcune idee e che riceviamo (anche se qualcuno usa il ter-mine “imposto”) da qualcuno, idea invece, ci fa pensare all’ap-porto personale che ognuno di noi può dare con la sua medita-zione individuale.Il beato Novarese usa entrambe le espressioni: ideologia, come patrimonio spirituale da acco-gliere; idee, come convinzioni e determinazioni che scaturisco-no dalle nostre considerazioni.Così, come afferma lui stesso, ricevere una ideologia, anche la più bella e attraente, non ci rende automaticamente apo-stoli.

Il terzo momento, quindi, è quello necessario dell’azione. Le idee, dopo essere state “affron-tate e lungamente meditate”, dice monsignor Novarese, vanno “portate avanti con forza nuova, con dinamica di carità, con luci-dità ed in modi sempre nuovi”.Se le idee sono dello Spirito Santo, di certo esse non perdo-no di significato e non cessano di riempire il cuore di grazia e di gioia, al di là della fatica per rimanere coerenti tra il pensare e l’agire; al di sopra dei dubbi. Prestando sempre ascolto gene-roso a ciò che il Signore deside-ra da noi.“Il Santo Padre in tutti i toni cerca di animarci e spingerci verso l’azione che ci è caratteri-stica, anche se non appariscen-te. Egli molto attende da noi, proprio per avere quella pie-nezza di grazia che soltanto si ha attraverso il completamento della passione di Nostro Signore Gesù Cristo”. Come allora Giovanni Paolo II, così oggi papa Francesco at-tende che tutti noi “centrati in Cristo e nel Vangelo”, possiamo “essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa in uscita” (Discorso a CL, 7 marzo 2015). ■

Le più belle parabole di Gesù cosa riguardano?Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr. Lc 15,1-32). In queste parabole troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono. Da un’altra parabola ricaviamo un insegnamento per il nostro stile di vita cristiano. Provocato dalla domanda di Pietro su quante volte fosse necessario perdonare, Gesù ri-spose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22), e raccontò la parabola del “servo spietato”. … Allora il padrone, venuto a conoscenza del fatto, si adira molto e richiamato quel servo gli dice: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18,33). E Gesù concluse: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascu-no al proprio fratello» (Mt 18,35). La parabola contiene un profondo insegnamento per ciascuno di noi. Siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un impera-tivo da cui non possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il ran-core, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l’esortazione dell’apostolo: «Non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in que-sto Anno santo. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri.

Cristian Catacchio

Coordinamentodei Settori giovanilisorella GIOVANNA BETTIOL Silenziosi Operai della Croce

Tel. 0639674243Fax 0639637828

[email protected]

Potranno partecipare alla GMG tutti i giovani, disabili e del Gruppo attivo fino al

raggiungimento del numero massimo di 100 partecipanti.

La GMG è un’esperienza di fede che ci mette in cammino, sia con i piedi sia con il cuore, è

un invito a mettersi in viaggio come pellegrini in cerca di Dio per testimoniare con gioia

l’attualità del messaggio cristiano. L’esperienza darà particolare attenzione ai giovani del gruppo attivo (per la prima volta con noi), ma farà incontrare anche giovani da tutto il mondo accompagnandoli nella formazione spirituale, nei momenti di celebrazione, di riconciliazione e nella veglia con papa Francesco.

Presso la Comunità di Głogòw dei SODC e successivamente la città di Cracovia. Gli alloggi verranno scelti e comunicati direttamente dal Comitato Organizzatore Locale alla CEI alcuni giorni prima o all’arrivo a Cracovia.

Il viaggio per raggiungere Głogòw e per poi tornare in Italia è previsto in aereo (con partenza da Roma e da Bologna, verso Berlino). Gli spostamenti a Głogòw saranno

effettuati con i bus non attrezzati. Durante, invece, il week-end a Cracovia i partecipanti dovranno spostarsi all’interno dell’area della GMG (dai luoghi degli alloggi a quelli degli eventi) utilizzando esclusivamente i mezzi pubblici gratuiti (il pass per il trasporto é incluso nel pacchetto). Per gruppi con persone disabili saranno messi a disposizione dal comitato locale mezzi attrezzati.

Dal 25 luglio al 1 agosto 2016Andata: partenza da Roma Fiumicinoore 14.10 arrivo a Berlino ore 16.15 Ritorno: partenza da Berlino ore 11.20 arrivo a Roma Fiumicino 13.30 Andata: partenza da Bologna ore 19.35 arrivo a Berlino ore 21.15 Ritorno: partenza da Berlino ore 17.20 arrivo a Bologna ore 19.00

Le più belle parabole di Gesù cosa riguardano?Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr. Lc 15,1-32). In queste parabole troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono. Da un’altra parabola ricaviamo un insegnamento per il nostro stile di vita cristiano. Provocato dalla domanda di Pietro su quante volte fosse necessario perdonare, Gesù ri-spose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22), e raccontò la parabola del “servo spietato”. … Allora il padrone, venuto a conoscenza del fatto, si adira molto e richiamato quel servo gli dice: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18,33). E Gesù concluse: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascu-no al proprio fratello» (Mt 18,35). La parabola contiene un profondo insegnamento per ciascuno di noi. Siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un impera-tivo da cui non possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il ran-core, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l’esortazione dell’apostolo: «Non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in que-sto Anno santo. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri.

Cristian Catacchio

“Dio, Padre misericordioso,che hai rivelato il tuo amore nel

Figlio tuo Gesù Cristo,e l’hai riversato su di noi nello

Spirito Santo, Consolatore,ti affidiamo oggi i destini

del mondo e di ogni uomo”.Ti affidiamo in modo particolare i giovani di ogni lingua, popolo e nazione: guidali e proteggili

lungo gli intricati sentieridel mondo di oggi

e dona loro la graziadi raccogliere frutti abbondanti

dall’esperienza della Giornata mondiale della gioventù

di Cracovia.Padre Celeste,

rendici testimonidella tua misericordia.

Insegnaci a portare la fede ai dubbiosi, la speranza

agli scoraggiati, l’amoreagli indifferenti, il perdono

a chi ha fatto del male e la gioia agli infelici.

Fa’ che la scintilla dell’amore misericordioso

che hai acceso dentro di noi diventi un fuoco che trasforma

i cuori e rinnova la facciadella terra.

Maria, Madre di Misericordia, prega per noi.

San Giovanni Paolo II,prega per noi.

Potranno partecipare alla GMG tutti i giovani, disabili e del Gruppo attivo fino al

raggiungimento del numero massimo di 100 partecipanti.

La GMG è un’esperienza di fede che ci mette in cammino, sia con i piedi sia con il cuore, è

un invito a mettersi in viaggio come pellegrini in cerca di Dio per testimoniare con gioia

l’attualità del messaggio cristiano. L’esperienza darà particolare attenzione ai giovani del gruppo attivo (per la prima volta con noi), ma farà incontrare anche giovani da tutto il mondo accompagnandoli nella formazione spirituale, nei momenti di celebrazione, di riconciliazione e nella veglia con papa Francesco.

Presso la Comunità di Głogòw dei SODC e successivamente la città di Cracovia. Gli alloggi verranno scelti e comunicati direttamente dal Comitato Organizzatore Locale alla CEI alcuni giorni prima o all’arrivo a Cracovia.

Il viaggio per raggiungere Głogòw e per poi tornare in Italia è previsto in aereo (con partenza da Roma e da Bologna, verso Berlino). Gli spostamenti a Głogòw saranno

effettuati con i bus non attrezzati. Durante, invece, il week-end a Cracovia i partecipanti dovranno spostarsi all’interno dell’area della GMG (dai luoghi degli alloggi a quelli degli eventi) utilizzando esclusivamente i mezzi pubblici gratuiti (il pass per il trasporto é incluso nel pacchetto). Per gruppi con persone disabili saranno messi a disposizione dal comitato locale mezzi attrezzati.

Dal 25 luglio al 1 agosto 2016Andata: partenza da Roma Fiumicinoore 14.10 arrivo a Berlino ore 16.15 Ritorno: partenza da Berlino ore 11.20 arrivo a Roma Fiumicino 13.30 Andata: partenza da Bologna ore 19.35 arrivo a Berlino ore 21.15 Ritorno: partenza da Berlino ore 17.20 arrivo a Bologna ore 19.00

3/2016 informazione

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AncorAL’

anziani dicono che non hanno più forze e che i giovani non accettato i loro in-terventi. I giovani accusano gli anziani

di frenare il loro entusiasmo e non accettano le novità. Eppure l’esistenza dei due Settori, secondo il beato Luigi Novarese, sono i pilastri dell’apostolato e quindi devono comprendersi a vicenda.Nel gruppo deve crescere la gioia. Ognuno deve far fruttificare il suo talento, il suo carisma, che hanno come fondamento l’umiltà e la carità. Ognuno deve rispettare il dono degli altri e ri-conoscere anche i propri limiti. Il seme posto nel cuore di ciascuno, dalla bontà d Dio, deve lievitare e far crescere l’apostolato. E questo è possibile solo se ci amiamo perché “l’amore è da Dio” e solo nella carità trova ali-

mento la nostra parola, il nostro impegno apo-

stolico. Solo così noi, in Cristo, possiamo essere collaboratori di Dio per far crescere ed edificare la sua Chiesa. Proviamo, allora, ad esaminare i due Settori nel loro specifico carisma.

Il carisma degli anzianiGli anziani, formati religiosamente, sono una testimonianza per i giovani; invece di badare a sé stessi pensano ai giovani, a quello che il loro atto di coraggio potrà lasciare loro in eredità.Papa Francesco, nell’omelia del 19 marzo 2013, diceva: “Viviamo in un tempo nel quale gli an-ziani non contano, si scartano perché danno fa-stidio. Gli anziani, invece, sono quelli che ci por-tano la storia, ci portano la dottrina, ci portano la fede e la danno in eredità; sono quelli, come il vino invecchiato, hanno questa forza dentro per dare un’eredità nobile”.

Pubblichiamo una riflessione del compianto don Remigio Fusi sacerdote dei Silenziosi Operai della Croce sulle difficoltà di sviluppo dell’apostolato quando emergono incomprensioni dei Settori anziani e giovani.

di Remigio Fusi

Gli

Giovani e anziani,fondamenta del CVS

3/2016AncorAL’

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Come tante persone anziane possono aiu-tare, sostenere, con-fortare il prossimo e testimoniare la loro fede. I loro anni non sono tempo fuggito, come la sabbia che lascia le mani vuote, come foglie secche di ricordi svaporati. Non possiamo pretendere da loro un discorso con parole ricercate. Pensiamo che la presenza di poche e di povere parole, sono frutto di fatica e di sofferenza. Per questo hanno conservato la fede. Le loro poche parole, anche se ripetute, ci parlano del loro amore per i giovani, perché vogliono che conservino o acquistino la fede e la fecondità apostolica.

Il carisma dei giovaniChi sono i giovani e perché sono necessari? “I giovani sono necessari per la dinamica e l’espan-sione dell’apostolato e per assicurare il suo svi-luppo. Sono pieni di speranza, di entusiasmo, di ottimismo. Non hanno paura delle grandi cose, liberi da certi pregiudizi, sono sinceri e pieni di ideali; perché sono capaci di sacrifico; perché sono una miniera di bene, desiderosi di cam-biare la faccia, basta metterli sulla linea giusta; perché cercano e desiderano una testimonianza di bene” sosteneva il beato Novarese. Dobbiamo tenere presente che sono minacciati soprattutto dal razionalismo e dal materialismo, dalla se-colarizzazione, che vuole affrontare i problemi dell’uomo alla luce della sola natura, da una vi-sione edonistica della vita che considera solo il piacere.Durante gli Esercizi spirituali vissuti nella Casa “Cuore Immacolato di Maria” a Re ho colto tan-te esperienze che confermavano ciò. Riporto una testimonianza di una giovane (22 anni) che sembra condensarne tante altre: “Sono par-tita piena di me, come se potessi cambiare il mondo. Cancellare la sofferenza, rendere felici chi incontravo. Quanto mi sono sbagliata! Qui ho imparato con sorpresa che io avevo biso-gno degli altri e specialmente della testimo-

nianza, della forza e della fede delle persone che soffro-no… Tante volte mi sono rimproverata in questi giorni, di non aver vissuto momenti di dolore con senso di sacri-ficio e di offerta!

Forse ho scoperto mo-menti di grazia unici! Ora non posso confermar-le che non ho più timore della sofferenza. Essa è e rimane qualcosa di profondamente negati-vo, ma ora Cristo mi sembra molto più vicino. Ora ho capito, grazie a persone che soffrono, che se la sofferenza c’è, essa può essere tra-sformata. Ed è questo che trasforma il mondo. Amo tantissimo la vita!”.Per questo occorre formare i giovani con “idee base” e “idee forza”, sicure: non bisogna, però, essere con loro esigenti, nel primo contatto, ma avvicinarli con tanta cura; non con l’animosità, ma con la caritatevole fermezza e soprattutto presentando loro i frutti di gioia e di conquista spirituale che possono realizzare.Occorre, prima di tutto, cercare una sana atmo-sfera nel gruppo, che si esprime in un rispetto e amore vicendevole, nell’impegno apostolico, nella fedeltà all’ideale, in una profonda spiritua-lità mariana. Farli crescere nella fede, quindi, alimentata dai sacramenti e da una vera dispo-sizione al sacrificio.E’ bene, pure, tenere presente che i giovani han-no sì delle esigenze di categoria, ma che non possono vivere separatamente dal gruppo, de-gli altri iscritti all’Associazione. Serve aiutarli a comprendere che non sono “i soli”, “i migliori”; che non sono rami a sé stanti, non sono avulsi da una vita familiare, associativa, sociale. De-vono sapere che hanno delle doti, ma anche dei limiti e che anche gli altri hanno dei difetti ma anche dei valori. Non è possibile realizzare dei progetti senza il contributo di tutti.Ricordiamo loro che siamo stati chiamati dalla stessa Mamma, per attuare un unico progetto: cooperare con lei nel rispondere alle attese del Figlio, che è la salvezza di tutti gli uomini. ■

3/2016 informazione

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AncorAL’

olline di un bellissimo gial-lo dorato contrastano con un cielo blu senza nuvo-

le, spezzato da alberi maestosi dalle forme sinuose che offro-no al sole rami spogli o ornati di forti foglioline verdi e di fio-rellini bianchi o simpatici ba-tuffolini gialli: madre natura ha dato vita ad una prodigiosa ta-volozza che si arricchirà di co-lori con l’annunciarsi della sta-gione delle piogge.In mezzo a quelle colline im-presse nel cuore di chi vi è arri-vato, c’è la Fondazione Betlem-me con i suoi tetti di lamiera che brillano al sole e riverbe-rano il chiaro di luna. Esiste un momento in cui guardandosi intorno si percepisce la calma assoluta. Non è che un attimo però, perché tutto qui freme anche quando non si incontra proprio nessuno. Alla crèche i bimbi tengono in allerta leva-

trici e infermieri; nei saré gli educatori hanno mille occhi per seguire i movimenti di bambini e giovani studenti; alla riabi-litazione i fisioterapisti e gli educatori non si scoraggiano davanti alle urla di dolore dei pazienti che, desiderosi di gua-rire, si allenano anche il sabato e la domenica mentre gli allievi del CFAAM, il centro artigiana-le, si godono un po’ di riposo prima di riprendere la formazio-ne del lunedì.Nel fremere di obiettivi da fissare, faccende da sbrigare e risultati da raggiungere, la Comunità dei Silenziosi Operai della Croce non tralascia di sti-molare grandi e piccini, esor-tando a coltivare la propria spi-ritualità per mantenere accesa la fiamma della speranza.In questo periodo di grande instabilità e violenza nascosta sotto un miraggio di quotidia-

na tranquillità, papa Francesco chiede di non arrendersi. In un rinnovato slancio di umanità, la Fondazione Betlemme ha ri-sposto al suo appello intrapren-dendo un percorso che porterà i bambini a scoprire i volti visi-bili e invisibili della misericor-dia. Attraverso la lettura ani-mata delle parabole raccontate da Gesù ai suoi discepoli anche i bambini potranno conoscere l’amore del Padre verso i suoi figli. L’icona di padre Marko I. Rupnik, riprodotta a mano dal nostro grafico Jean Baptiste, rimarrà nella veranda del centro fino alla chiusura del Giubileo a ricordarci che possiamo lasciar-ci portare da Gesù nei momenti di difficoltà e condividere con lui la nostra quotidianità. Il tema della misericordia ci ac-compagnerà per tutto il 2016 offrendoci spunti di riflessione anche attraverso il pellegrinag-

Siamo in Africa, a Mouda, presso la Fondazione Betlemme, dove fervonole attività apostoliche della Comunità dei Silenziosi Operai della Croce.

di Joelle Christille

C

Ed è di nuovo caldo

3/2016AncorAL’

Il vescovo Barthtèlemy a RomaNel mese di febbraio il vescovo Barthtèlemy Yaouda Hourgo della diocesi di Yagoua (Camerun) – a cui appartiene la Fondazione Betlemme di Mouda – è stato a Roma, ospite presso la Direzione generale dei Silenziosi Operai della Cro-ce in via di Monte del Gallo 105. Per l’occasione, domenica 14 febbraio u.s. nella Chiesa di Santa Maria del Suffragio in via Giulia, è stata celebrata una santa messa, presso la tomba di monsignor Novarese, per affidare al Signore le attività apostoliche dell’Associazione in terra africana.

gio per settori alla Porta santa del santuario di Figuil dedicato a Nostra Signora di Czestochowa.Le tappe consuete dell’anno li-turgico non ci lasceranno indif-ferenti. Nel tempo di Quaresima la Comunità di Mouda condurrà il Centro e i suoi ospiti nella preparazione della Pasqua. Ogni giovedì l’appuntamento è fissa-to alle cinque del pomeriggio al cancello d’ingresso della Fonda-zione Betlemme per percorrere le quattordici tappe della via crucis posizionate all’interno del Centro. I nostri passi sul terreno arido e sassoso fanno alzare una polvere fine che, as-

sieme al caldo della stagione secca, accoglie e accompagna il nostro raccoglimento. Tutt’intorno la vita continua in un amalgamarsi di abitudini e novità. Dopo i festeggiamenti per il cinquantesimo anniversa-rio della festa della gioventù, tenutosi lo scorso 11 febbraio, sono ora le donne a preparar-si a commemorare la giornata dell’8 marzo. I pagnes a tema sono stati comprati e distribu-iti e la prima riunione ha già avuto luogo. Il seguito si svi-lupperà tenendo conto della sicurezza locale, messa a dura prova da un nuovo attentato

kamikaze avvenuto venerdì 19 febbraio al mercato della citta-dina di Meme, a soli 33 km a nord di Maroua, e il cui bilancio è di 20 morti e numerosi feriti.La campana suonata ogni po-meriggio alle sei ci riporta alla routine. I bambini partono ra-pidi verso il refettorio per con-sumare il pasto serale e tornare poi nei saré a ripassare la le-zione e a giocare in attesa che, con un po’ di fresco, il sonno faccia capolino e lasci la cal-ma pervadere la Fondazione per qualche ora di meritato riposo prima di intraprendere un nuo-vo cammino. ■

Fondation “Bethleem” – Mouda B.P. 316 Maroua - Nord Cameroun

[email protected]

uando pensiamo alla figu-ra del prete, a molti di noi si presenta alla memoria

il volto e la veste del beato Luigi Novarese. Molti l’abbia-mo conosciuto direttamente per anni. Altri l’hanno visto o ascoltato o hanno letto i suoi scritti. Egli ha incarnato con spessore vigoroso il prete nella Chiesa del suo tempo. È un’immagine inconfondibile. Il suo ministero un po’ partico-lare: lo studio, la parrocchia

3/2016 informazioneAncorAL’

senza responsabilità dirette, il lavoro in Vaticano, un oriz-zonte pastorale quasi inedito: i malati.Da subito, la sua amabile sen-sibilità si orientò proprio verso i preti. «Inventò» la Lega sa-cerdotale mariana per unirli e avviarli di più alla spiritualità. Lui stava temprando una vita sacerdotale accanto a Maria. Provava vivo desidero che tanti preti si affidassero alla mater-nità di lei.

La realtà del prete riportata in cantiereNei primi anni Sessanta s’è ce-lebrato il Concilio. Non stan-chiamoci di dire che è stato un grande dono dall’Alto alla Chie-sa. E che oggi non lo è meno di ieri. In occasione del Vaticano II e nello stesso lavoro conci-liare la figura del presbitero è stata assai e variamente scru-tata. Questo era necessario. La sua identità sotto vari aspetti dall’insegnamento conciliare è 14

Il prete è guida delle comunità. In lui si condensal’agire di Cristo. Ogni fedele sia più consapevole

di questa figura amata e discusa.

di Mario Morigi

Q

Uno sguardopiù attento sul prete

3/2016AncorAL’

stata riassestata. Così anche la guida dei seminari e la strut-tura della formazione al presbi-terato. Per considerare il prete del Con-cilio si parte da Cristo, profeta, sacerdote e pastore. E, a livello pastorale, bisogna partire dal vescovo. Hanno cominciato a profilarsi panorami un po’ nuo-vi. C’è stato chi si è intimorito. C’è stato chi è entrato in crisi grave. Molti hanno capito l’a-pertura e hanno gioito.

La figura del presbitero non è né povera, né facile, né se-condaria nelle comunità. In lui si condensa l’agire di Cristo e la presenza del vescovo nella Chiesa locale. Gli stessi fedeli hanno cominciato a guardare il prete con occhi più attenti e penetranti. I laici a comprende-re se stessi come una presenza rinnovata accanto al prete. La loro crescita spirituale e pasto-rale dipendeva da lui, ma era di aiuto e spronava la sua crescita. Ci fu chi imbalsamato da vec-chie e consolidate consuetudini non capì la novità dello Spirito. C’era chi pretendeva subito una 15

novità che aveva bisogno di crescere con i ritmi della matu-razione. Nella Chiesa l’impegno e l’esperimento non è stato me-diocre. Eppure non sempre ha dato ottimi risultati per una rie-dizione ripristinata e arricchita. La strada è aperta: non senza qualche deviazione spiacevole, la cara figura del prete viene ricomponendosi dentro e a ser-vizio della comunità cristiana e non più al di sopra di essa. Punti fermi che diventano fer-mentiIl prete è guida delle comunità dei fratelli e delle sorelle. Deve essere una figura storicamente aggiornata. Accanto ai riferi-menti suaccennati, che sono intrinseci, ne vengono avanti alcuni altri. Il prete è costrui-to dalla Chiesa per costruire la Chiesa. Non solo. Deve lasciar-si fare un riferimento senza equivoci nei confronti di Cri-sto. Nonostante che le menta-lità, le fatiche e le nebbie della cultura dominante influenzino le linee dell’autocoscienza del prete. Tutto ciò è inevitabi-le, ma può offrire un sussulto positivo. Infatti, la figura del prete non è da consegnare alla

storia come una realtà fossile, imbalsamata. È viva, è influen-zabile e risente dei fenomeni che sono di tutti, ma discerne.Punti fermi che diventano fer-menti: Cristo la radice perma-nente, il vescovo, riferimento esistenziale e pastorale. Anche il clima diffuso nella Chiesa e i fatti del giorno lo spingono alla fedeltà. Gli stessi avvenimen-ti socioculturali che segnano un’epoca s’abbattono sul prete. Così che di continuo egli deve ricomporsi in sintesi ottimale.Il beato Novarese ci dà alcune coordinate insostituibili. Sono la spiritualità ardente, la de-dizione spinta, l’apertura alla maternità premurosa di Maria, l’incontro con un mondo che grida o geme nella sofferenza e merita priorità su tante cose.La stagione ecclesiale che vi-viamo è favorevole. La CEI ha avviato da poco il riesame del ministero del prete e della sua permanente formazione.Ma vorrei che ogni fedele più consapevole nella comunità, non restasse estraneo alla ri-flessione su questa figura, ama-ta e discusa, ma necessaria nel cammino di comunità cristia-ne. ■

Mons. Novarese con i sacerdoti

ammalati a Lourdes

Il castello Bonoris di Montichiaridi Michela Carrara - pp. 140 - € 12

In questo testo c’è il tentativo di regalare al lettore un piccolo saggio sul castello di Montichiari (BS). La storia di un maniero dove nel 1965 si stabilisce, la Comunità dei Silenziosi Operai della Croce. Da allora l’attività apostolica non ha conosciuto soste: proprio nel castello molte iniziative sono state programmate e realizzate dal beato Luigi Novarese, divenendo il centro di formazione e di studio per coloro che intendevano seguire il carisma dei Silenziosi Operai della Croce, nonché punto di riferimento per gli aderenti al Centro Volontari della Sofferenza.

1952 il beato Luigi No-varese esortava a con-siderare il benessere

non solo come frutto della ric-chezza che, lo sappiamo non è in grado di preservarci dal-le malattie o dalle sofferenze e mai potrà preservarci dalla mor-te: “La malattia è la prima peni-tenza, che tocca tutti gli strati sociali. Ricchi e poveri soffrono. Nobili e gente del popolo, tutti sono attanagliati dalla sofferen-za, nessuno è stato escluso dal castigo della morte. Se il dolore, sia esso fisico o morale, non avesse uno scopo costruttivo, sarebbe un contro-senso. Il Verbo Eterno prese il dolore, frutto del peccato, e lo ha tra-sformato in strumento oltre che di espiazione anche di propizia-zione. All’umanità stordita che vuole soltanto godere, il cuore mater-no della Vergine Immacolata, insegna a soffrire”. Bellissimo questo passaggio per comprendere qual è il vero benessere della persona: la trasformazione del dolore da frutto del peccato a strumen-to positivo di bene, strumen-to di espiazione che purifica e

raffina e strumento di propi-ziazione per attrarre grazie e doni spirituali per i fratelli. Già negli anni ’50, Novarese cono-sceva un’umanità stordita che vuole soltanto godere, un’u-manità che vede il benessere come oblio, come distrazione continua, come divertimento

a tutti i costi, come potere dato dai soldi. Ma un Cuore di Madre non può lasciare che i propri figli si disperdano dietro illusioni sterili e vuote e l’Im-macolata desidera insegnarci a soffrire perché saper soffrire significa saper vivere e godere della vita in pienezza, perché

3/2016 informazione

16

AncorAL’

Il benessere (da ben – essere = “stare bene” o “esistere bene”) è uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell’essere umano, e caratterizza la qualità della vita di ogni singola persona. Non è quindi uno stato oggettivo, ma molto dipende da come vengono vissuti gli eventi e le situazioni, da quali spinte emozionali, sentimentali e spirituali ci muovono.

di Mara Strazzacappa

Nel

La conquista del benessere

Giovane iscritto al CVS duranteil Pellegrinaggio a Lourdes del 2011

Liviana Siroli con Sorella Elvira Myriam Psorulla nella chiesa di S. Maria del Suffragio a Roma (2009)

3/2016AncorAL’saper soffrire è saper amare e

solo amando si raggiunge la felicità, la gioia, il benesse-re spirituale che è serenità e pace. In una ulteriore riflessione sull’argomento, nel 1960, il beato esortava a comprende-re quali sono le vere ricchez-

ze, perché se pensiamo che la ricchezza è data dalla stima di ciò che si possiede (e quindi si desidera sempre di più) o dalla posizione che occupiamo nella società, allora abbiamo bandi-to Dio dalla nostra vita e non potremo più dare significato alla malattia, alla sofferenza che diventano solo causa di squilibrio, rappresentano uno “stop” alla nostra possibilità di raggiungere il benessere.“Si pensa al concetto della ric-chezza soltanto attraverso il valore di stima delle cose che si posseggono e si conservano; e si pensa al concetto di pro-duzione e di benessere in base alla considerazione dell’atti-vità e stabilità del lavoro che una persona può svolgere per la conquista e la elevazione della propria posizione nella società.Di fronte a questi concetti veri e reali, la malattia, mol-to spesso, viene considerata

come una causa di sbilancio per quanto si possiede o di arresto dell’attività personale per la conquista del benessere.Queste idee dimostrano l’assen-za di formazione cristiana ed indicano l’impostazione laica e senza Dio del più grande pro-blema che tocca l’esistenza.La problematica, adunque, che immediatamente s’impone alla nostra considerazione nasce dalla constatazione della laiciz-zazione della vita: non afferria-mo e non comprendiamo più il senso della passione di Nostro Signore Gesù Cristo, continuata nei nostri ammalati”.Quanto è triste una vita che

non sa capire e vedere il senso della croce di Cristo, che non sa contemplare la sua Passio-ne, che ignora quanto amore si riversa su di noi, sui nostri limiti, le nostre debolezze. Un amore che ci toglie dalla pre-occupazione di dover essere dei supereroi, ma ci sprona a fidarci di Dio per riversare in Lui le nostre malattie e soffe-renze.Tutto questo ci aiuta a capire e relativizzare: “Se il dolore non è il peggiore dei mali nemmeno la salute è il migliore dei beni. Il distacco da tutte le cose per la salvezza dell’anima propria, fermamente insegnato da No-stro Signore Gesù Cristo, viene con molta opportunità ed egua-le fermezza richiamato da Ma-ria Santissima. La salute è un mezzo per anda-re a Dio”.Non esistono cose buone in assoluto e non esistono cose esclusivamente cattive. Ogni cosa ha valore per come la vivo. Il dolore non è il peggio-re dei mali se lo posso vivere in unione con Cristo sotto lo sguardo di Maria facendone un dono per i fratelli e la salute non è il migliore dei beni se mi fa credere di essere auto-sufficiente ed autoreferenzia-le in maniera egoistica. Ogni cosa diventa positiva se rie-sco a viverla con la fermezza del distacco, con gli occhi che hanno saputo avere la Madon-na ed il beato Luigi Novarese. Tutto è un bene se considerato e vissuto tenendo presente la nostra meta: il Cuore miseri-cordioso di Dio. ■ 17

Giovane iscritto al CVS duranteil Pellegrinaggio a Lourdes del 2011

Liviana Siroli con Sorella Elvira Myriam Psorulla nella chiesa di S. Maria del Suffragio a Roma (2009)

informazione

ercoledì 10 febbraio 2016 un pianista di fama inter-nazionale, fra i più grandi

compositori al mondo, è salito sul palcoscenico di Sanremo. Ma in modo diverso rispetto agli altri ospiti: a spingerlo sul-la carrozzina è stato il presen-tatore del Festival, Carlo Conti. Per tredici minuti Ezio Bosso, 44 anni, malato di Sla, malat-tia degenerativa del sistema nervoso che rallenta progressi-vamente i gesti e la parola, ha eseguito al pianoforte una sua composizione Following a Bird e risposto alle domande.“Ogni giorno ho bisogno di im-parare a conoscere il mio cor-po. A capire come assecondar-lo”. E ancora: “Non sempre è brutto perdere: ad esempio è bellissimo perdere i pregiudi-zi”. “La musica è una fortuna, la nostra vera terapia. E ci insegna la cosa più impor-tante: l’ascolto”.Bosso che è nato a Torino e vive a Londra, ha diretto la London Symphony, ha composto per le orchestre sinfoniche e per la danza, ha scritto musiche per il cinema. In un’intervista ri-lasciata al settimanale Va-nity Fair prima dell’arrivo a Sanremo, aveva raccontato la sua malattia.

“È un’esperienza orrenda che non auguro a nessuno. Cin-que anni fa sono entrato in una stanza buia e ho disimpa-rato tutto: a parlare, cammina-re, suonare. E poi ho imparato tutto di nuovo. È come se fos-si rinato: ho deciso per la pri-ma volta di incidere un disco, ho trovato il coraggio di fare il primo tour da solo”. Le parole di Ezio hanno fatto il giro del mondo. I media hanno puntato l’attenzione sul malato che è capace di reagire senza piangersi addosso, che vive la malattia lavorando su se stesso e affidando alle risorse interiori il compito di non arrendersi ai limiti dell’impedimento fisico. “Il coraggio è come l’amore – dice Ezio – riconosce la pau-ra e va oltre. La paura esiste, inutile negarlo, ma la tieni, ne

Al Festival della canzone il compositore di fama internazionale Ezio Bosso malato di Sla. Le cui parole sulla malattia ricordano sorprendentemente l’insegnamento del beato Novarese.

di Mauro Anselmo

M

Lezioni di piano a Sanremo3/2016

18

AncorAL’

prendi le misure. E dici: sì, io vado”. Parole che interrogano la pro-fondità di ciascuno di noi. Ma anche parole che ricordano sor-prendentemente quelle del sa-cerdote che per primo, nell’I-talia degli anni Cinquanta, si prese cura dei disabili inse-gnando loro a valorizzare al meglio le potenzialità terapeu-tiche dell’amore. Il beato Luigi Novarese sfidò l’i-ronia dei medici e le resistenze di alcuni ambienti ecclesiastici per dare il via ai corsi di Eserci-zi spirituali per malati e diver-samente abili. Fu lui a prender-si cura per primo del “malato interiore”. E gli insegnò che la capacità di amare gli altri in-fonde coraggio e avvicina al Si-gnore, che prende il malato per mano e lo accompagna. ■

il 1956 e il 1958, il beato Luigi No-varese lanciò un appello via radio tramite una rubrica intitolata “Tanti

fatti” in cui veniva chiesto ai bambini d’Ita-lia di raccogliere carta, quaderni, francobolli ed altro per sostenere la costruzione della Casa “Cuore Immacolato di Maria” di Re.A questo appello aderirono in tanti, sia bam-bini singoli che intere classi scolastiche. Lui-gi Novarese ha sempre risposto alle letterine inviategli dai bambini invitandoli a pregare per i sofferenti e benedicendoli con tanto amore.Fu un periodo difficile quello che interessò la fine degli anni ’50, anni in cui spesso i la-vori della Casa si interrompevano per man-canza di fondi.Ma la semplicità e l’entusiasmo dei bambi-ni nel sostenere l’appello di Monsignore si rivelò alla fine di grande aiuto. L’iniziati-va di raccogliere carta, stracci, turaccioli, pezzi di ferro ed ottone e quaderni vecchi, raccolse ampi consensi e il beato Novare-se esortò i Capigruppo affinché i bambini potessero essere coinvolti nell’iniziativa e donare agevolmente le loro piccole-grandi offerte.Di seguito vengono riportate alcune let-tere e “preghierine” spedite al beato No-varese dai bambini; ciò a dimostrare con quanto entusiasmo e partecipazione que-sti piccoli contribuirono alla costruzione della prima Casa di Esercizi spirituali per ammalati e disabili.

Anche i bambini collaborarono alla costru-zione della Casa “Cuore Immacolato di Ma-ria” a Re (Vb).

3/2016AncorAL’informazione

Tanti fatti!

Traa cura della Redazione

19➔

20

Reverendo don Luigi Novarese, siamo gli alunni della scuola di un paesello di montagna che ab-biamo accolto l’invito trasmesso da “La radio per le scuole” ed abbiamo pensato di unire i no-stri quaderni a quelli di tanti bimbi d’Italia per aiutare a rea-lizzare una grande opera. Il no-stro desiderio è quello di visitare un giorno questa grande casa, dove tanti sofferenti avranno trovato sollievo. Assicuriamo la nostra preghiera alla Madonna per i malati, perché possano anch’essi un giorno sorridere. Coi migliori auguri i nostri ri-spettosi saluti.

Gli alunni delle scuole elementari di Arpuilles - Aosta

17 marzo 1958

Sono tanto contenta di offrire i miei quaderni finiti per un’ope-ra così buona. Sono una piccola cosa, eppure so che saranno uti-li. Com’è buono il Signore a fare cose grandi con le nostre piccole cose!

Antonietta,una bambina di Modena, 1958

Mia cara Madonnina, spero non sia tardi nel portarti questo pac-co di carta che don Luigi trasfor-merà in un mattone per la casa degli ammalati, che sorge in Tuo onore. Madonnina, fammi crescere sano e buono. Cercherò altra carta e te la porterò.

Giovanni,un bambino di Roma

Molto reverendo Monsignore, siamo delle bambine in un Isti-tuto che vive sotto le ali della Provvidenza ed il materno man-to di Maria. Abbiamo terminato le scuole elementari ed ora fac-ciamo il corso d’avviamento. Al mattino però lavoriamo e all’ora della trasmissione della radio per le scuole ascoltiamo e stia-mo molto attente specialmente il lunedì a “Tanti fatti”. Ci è pia-ciuta l’iniziativa di monsignor Novarese per la Casa della sof-ferenza e anche a noi è venuto il desiderio (non potendo fare di più) di mandare i nostri qua-derni e qualche rivista, contente della trasformazione che subi-ranno per un’opera così grande e santa. Potessero le pareti di questa casa che sorgerà, par-lare ai sofferenti e dire quello che i cuori di tutti i bambini e bambine d’Italia vorrebbero fare per essi. Sentirebbero preghiere, canti e parole di conforto, per-ché tutti vorremmo fare tanto per alleviare le loro pene. Una

cosa è certa, che questo piccolo pacco lo accompagneremo con preghiere alla cara Mamma Ce-leste.Le bambine dell’Istituto mons.

Giacomelli di Pesina - Verona 25 marzo 1958

Cara Mamma Celeste, io sono una bambina che fre-quenta la quarta elementare. Sono cattiva e disubbidiente però prometto con il tuo inter-vento di essere buona e brava. Desidero avere una grande gra-zia per la mia sofferente mam-mina la quale, dalla mia nascita, è malata di artritismo. I dottori non sono riusciti a farla guari-re. Tu sola puoi farlo ed è per questo che mi rivolgo con il mio cuoricino pregando vivamente ad esaudirmi. Madonnina cara, aiutami, non lasciarmi delusa, dimostra al mondo intero la tua esistenza, concedimi questa sospirata grazia, sarò sempre a pregarti, non mi stancherà mai d’invocarti. Nel contempo pro-teggimi nello studio e nella vita.Ti mando tanti bacetti e tanti ancora al mio caro Gesù.

Bianca Maria Pisanidi Catania, 1958

Reverendissimo Padre, sono una fanciulla di 12 anni e siccome frequento la secon-da media non posso ascoltare la trasmissione scolastica delle undici. La mia mamma che se-gue invece la trasmissione, con piacere ha sentito il suo appel-lo parlato. Ed anch’io, seppure grande, ho voluto ugualmente partecipare alla sua raccolta di quaderni. Ho detto alle mie compagne di collaborare con me e credevo di ricevere tan-ti quaderni, ma sono rimasta

3/2016AncorAL’

E il beato Novareserisponde ai bambini:

Cari Bambini, sono stato contento di vedere che il Signore e la Vergine Santa lavorano nella vostra anima e vi mantengono in un santo entusiasmo. Dal canto mio vi accompagno con le mie pre-ghiere affinché possiate continuare e ad amare sempre meglio il Signore e la Madonna. Vi ringra-zio del desiderio grande e della promessa di aiu-tarci a portare a termine la casa degli ammalati. Certamente, quando sarà finita, potrete venire a visitarla. Intanto, però, occorre pregare molto perché la Madonna mandi gli aiuti indispensabili per riprendere i lavori che per mancanza di mezzi sono sospesi.Alla Madonna sono molto graditi i fioretti che Le offrono i bambini buoni e sono certo che anche voi ne farete molti. Cerchiamo di far conoscere a tante

anime il Centro Volontari della Sofferenza e racco-gliere il più possibile le offerte per la Casa di Re.Quando avrete un bel mucchietto di quaderni usati ed anche giornali vecchi, vendeteli e poi mandate a questo Centro il ricavato. Vi unirete così a tante anime che con la Madonna si sfor-zano di attuare in loro le richieste che la Vergine Santa ha fatto a S. Bernadetta e poi ai pastorelli di Fatima.Maria Santissima vi benedica per quanto farete. Vi benedico anch’io.Dev.mo don Luigi Novarese ■ 21

delusa: nemmeno uno. Ma la mia sorellina mi ha consolata un po’ cominciando anche lei a scrivere e a voler comprati i quaderni e i pastelli. I miei quaderni erano stati conserva-ti dalla mamma come ricordo della scuola elementare, ma io li invio con piacere. Pregherò tanto il Bambino Gesù affinché benedica la sua santa opera e forse un giorno ammirando il grande edificio sarò orgogliosa di aver cooperato anch’io nella costruzione insieme a tanti al-tri ragazzi d’Italia e del mondo.

Chiedo la sua paterna be-nedizione.

Dolores Cosentinodi Caltanissetta, 1958

Sono una bambina di die-ci anni faccio la quinta elementare. La mia mam-ma che ascolta sempre

la vostra trasmissione mi parla sempre della “Casa della Soffe-renza” per la quale lanciate il vostro appello. Voglio anch’io contribuire col mio modesto mattone e per questo ho raccol-to tutti i miei quaderni e qual-che rivista che non sono più uti-li e ve li mando, fiduciosa che vogliate accettare il mio piccolo modesto dono, che offro con cuore sincero e con l’augurio che tutti facciano così per far sì che la vostra casa sorga presto bella e utilmente grandiosa.Con questa speranza e questo augurio porgo i miei saluti.

3/2016AncorAL’Appena posso, cara “Casa del-

la Sofferenza” ti manderò altri quaderni e spanderò la voce alle mie amiche.

Rosetta, Pescarenico - Lecco25 febbraio 1958

Carissimo Monsignore,sono un bambino di terza classe elementare e dalla radio ho sen-tito ciò che lei ha chiesto ai pic-coli per la casa da costruire. Ho parlato con i miei compagni ed ho raccolto tanti quadernini; li ho rivenduti ed ho ricavato lire 400 che ho spedito per mezzo della signorina Sandra Craglia.Spero che lei vorrà gradire il pensiero che è partito dal mio cuoricino di bimbo. Io pregherò perché tutti possano fare qual-cosa per aiutare tanti sofferenti.Lei voglia essere così buono da benedirmi.

Giuseppe Granadelli,Fermo (AP), 28 aprile 1958.

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“Siate misericordiosi,come il Padre vostro” (Lc 6,36)

inascoltoLectio 3/2016AncorAL’

entrambi su questo punto. Il minore, conscio della gravità del suo errore, ritorna dal padre con la convinzione che non potrà più essere figlio. Il suo domani è annerito, impoverito, molto di-verso dal suo passato remoto, quando viveva in casa. Il suo passato di giovane gaudente e sca-pestrato gli impedisce di guardare avanti con oc-chi limpidi. La sua colpa pesa come un macigno e il senso di colpa non lo abbandona. Presente e futuro sono irrimediabilmente compromessi.Il padre ha un’altra prospettiva: quando sente che quello si dichiara non figlio, lo blocca im-pedendogli di continuare e perciò il figlio non riesce a dire di trattarlo come un servo. Il figlio è sempre figlio, anche se degenere e scapestra-to. L’atteggiamento del padre, più eloquente di una cascata di parole, gli dimostra che lui è an-cora figlio, anzi, più di prima. Ecco perché gli fa indossare la veste lunga della festa, l’anello dell’autorità, i sandali segno del prestigio sociale e soprattutto l’uccisione dell’animale ingrassato, riservato per i grandi eventi di famiglia.Il padre dimostra che non si deve essere pri-gionieri del passato, ma partire dalla lucida co-

termine latino misericordia, composto da misereri e cor, indica un cuore che ha com-passione per la miseria umana, un cuore

magnanimo che si fa carico della debolezza e povertà altrui.Anziché zigzagare in tanti testi biblici con il rischio che alla fine diventi una scorribanda dispersiva, faremo riferimento alla notissima parabola del Padre misericordioso, solitamente conosciuta come la Parabola del Figliol Prodigo. Sebbene consacrato dall’uso, quest’ultimo tito-lo non rende ragione del vero contenuto della parabola, che non è la vetrina dello scapestra-to figlio giovane, né quella dell’arrogante figlio maggiore, bensì la scia luminosa di una bontà che il padre manifesta con sensibilità e fantasia all’uno e all’altro. E se proprio siamo affezionati all’aggettivo “prodigo”, lo conserviamo, attri-buendolo al padre, cosicché diventa la Parabola del Padre prodigo, dove l’aggettivo acquista il significato positivo di disponibilità, apertura, squisita sensibilità e attenzione.Essendo la parabola molto nota nella sua tra-ma, sarà sufficiente indicare alcune conclusioni operative, visualizzandole attraverso il prisma della misericordia, tema e impegno per l’Anno giubilare.

Regalare futuro a se stessi e agli altriPer l’uomo, il passato non è mai senza futuro. Se ci si volta indietro, è per andare avanti meglio, proprio come accade quando si guarda nello specchio retrovisore dell’automobile. Il passato non deve condizionare e tanto meno impedire di imboccare la strada nuova del rinnovamento. La parabola proposta mostra il vicolo cieco in cui si mette chi non si regala futuro o non lo regala agli altri. I due figli hanno sbagliato

di Mauro Orsatti

Il

Palma il giovane:“Il ritornodel Figliol prodigo”

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3/2016AncorAL’

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scienza del proprio negativo per incominciare un cammino nuovo di onestà. Anche per questo lui è il padre misericordioso.Pure il figlio maggiore sbaglia clamorosamente, perché con il suo giudizio glaciale non permette al fratello di ripartire. Non sa cogliere i fremi-ti di novità che sprizzano da quell’inaspettato ritorno. Per lui chi torna è solo uno spensie-rato gaudente che ha dilapidato il patrimonio, vivendo in modo immorale. Non percepisce che c’è stato un cambiamento, una conversione. In lui si specchiano tutti i farisei di ieri e di oggi, ancorati a un passato che non c’è più, e non attenti a un presente che sta fiorendo, e tanto meno protesi a un futuro da costruire. Compi-to del padre sarà di fargli intravedere la novità del momento e di accoglierlo, integrandolo nel corretto reticolo di relazioni familiari: non solo figlio del padre, ma anche suo fratello, come ai bei tempi della piena armonia di casa. Così fa-cendo, il padre chiede al figlio maggiore di re-galare futuro al fratello, di partecipare alla festa di famiglia. Regalando futuro al fratello, lo re-gala anche a se stesso, perché legge la realtà in modo nuovo, colorato, sinfonico, gioioso.

Superare tutte le forme di apartheidApartheid è parola della lingua afrikaans che indica la politica di separazione tra bianchi e neri, adottata in Sudafrica alla fine della secon-da guerra mondiale. Recente è il termine, ma antico il meccanismo, e inoltre iniquo, perché utilizza metri valutativi spesso opinabili e divi-de creando muri di separazione.La comune distinzione tra buoni e cattivi, iden-tificati con scribi e farisei da una parte e pub-blicani e peccatori dall’altra - concretamente nella nostra parabola tra figlio maggiore e figlio minore - sembra a Gesù arbitraria e superficiale. Perciò rimescola le carte, bocciando l’apartheid che qualcuno voleva creare e conservare. Ven-gono in mente le sue parole di fuoco: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31). Le divi-sioni sommarie, le facili classificazioni, sono in genere poco attendibili e contrarie alla realtà, sempre più complessa di quello che appare. È

facile dare giudizi impietosi verso gli altri e fare gli avvocati premurosi con se stessi. Chi isola gli altri si autoesclude, così come chi sparge letame finirà per calpestarlo lui stesso. Il figlio maggio-re che non accetta il fratello, si autoesclude e rimane fuori dalla festa.La gioia richiede la condivisione. Il padre del-la parabola evangelica ricorda che la vera festa, l’unica, è quella che vede tutti insieme, riuniti nell’intimità familiare. Per questo sollecita il fi-glio maggiore a entrare e a partecipare alla fe-sta. Inutilmente il figlio rivendica la fedeltà al genitore se non si “apre” al fratello. Capire il padre è capire il fratello, capire il fratello è ca-pire il padre. Non basta essere sempre rimasti in casa per partecipare al banchetto, né non aver fatto nulla di riprovevole. Occorre compiere un passo più avanti, come ha fatto il padre e come sollecita a fare. La lezione è chiara: anziché un giudizio glaciale e presuntuoso, come quello del figlio maggiore, comportiamoci come il padre, che non lascia ca-dere nessuna goccia di bene che intravede nel ritorno del figlio minore, ma la raccoglie, molti-plicandola in una zampillante fontana di speran-za. Ci fa così capire che ogni forma di apartheid è malefica, antievangelica, forse addirittura sa-tanica.

Un inguaribile ottimismoDovremmo essere tutti malati di un inguaribile ottimismo. Perché? Rispondiamo con le parole

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di papa Francesco: “La misericordia sarà sempre più grande del peccato, e nessuno può porre un limite all’amore che perdona” (MV, 3). Il padre perdona il figlio che ritorna, lo accoglie, lo rein-tegra nell’intimità familiare. Coglie il positivo del momento, anziché il marcio del passato.L’ottimismo interiore si manifesta all’esterno con serenità per il presente e per il futuro, spar-gendo a larghe mani la speranza. Diventiamo sempre più seminatori di speranza! Regaliamo ottimismo e serenità a un mondo che tante vol-te ha la sindrome del clown: deve ridere e far ridere, anche se dentro ha vuoto e morte.Il nostro è un ottimismo pasquale, realistico, non patinato di illusioni o sdolcinature. Diversa-mente dalla logica degli adolescenti: “tutto, su-bito, facilmente”, la nostra viene da Gesù: «Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10,38).Non spaventano le difficoltà e gli insuccessi e, in modo paradossale, neppure il peccato. Il gio-vane della parabola mostra uno scatto di bril-lante spiritualità, proprio quando sembra aver toccato il fondo. Infatti riconosce umilmente il suo peccato e chiede perdono a Dio e al padre.

Usare parametri divini La misericordia non si oppone alla giustizia, ma la supera, va oltre. La semplice giustizia potreb-be essere anche una larvata forma di vendetta: “Ha sbagliato, ora paga… e ben gli sta!”. È il sentimento che spesso soggiace a una fredda

e impietosa giustizia. Se questa ci vuole, altri-menti sarebbe un Far West con la legge del più forte, da sola non basta, perché rischia di man-tenere un parallelismo simmetrico e, alla fine, asettico.Gesù aveva già suggerito uno sbilanciamento, un andare contro corrente, un allinearsi al com-portamento divino: “Se amate quelli che vi ama-no, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? (Mt 5,46-47). Sono frasi che precedono il già citato imperati-vo: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48), che all’inizio abbiamo proposto come equivalente di “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericor-dioso” (Lc 6,36). Perciò dobbiamo andare oltre ed essere più pro-fetici. Roger Schulz di Taizé amava ripetere che compito della vita religiosa è di anticipare l’au-rora. L’impegno è estendibile a tutti i cristiani. Andiamo a svegliare l’aurora della novità con la misericordia: essa è il novum che prendiamo da Dio e che ci sforziamo di introdurre nella nostra vita per renderla “divina”.

Attenzione all’altro, secondo il suo specifico bisognoIl padre della parabola è davvero misericordio-so perché tratta ciascuno con rispetto e amore, secondo il bisogno del momento. Prima va in-contro al minore, poi al maggiore, ascoltando le parole di pentimento dell’uno e le parole di rimostranza dell’altro. Dopo aver ascoltato, in-terviene in modo diverso secondo le esigenze proprie di ognuno: al minore non risponde con parole, ma con una serie di gesti che esprimono la calorosa accoglienza e la rinnovata integra-zione nella comunione familiare; al maggiore, che richiede la spiegazione di quello che egli vive come torto personale, risponde aiutandolo a superare la frontiera di un miope individuali-smo per convincerlo a valorizzare la vita che era fiorita sull’albero secco dell’esperienza negativa e del pentimento.Potremmo dire che il padre si trova al centro

Preghiera3/2016AncorAL’

dell’interesse letterario e teologico mentre i due figli sono equamente distanti, gravati da due esperienze diverse, ma entrambe negative, nei confronti del padre. Questi muove il primo pas-so per andare incontro ai due con amorosa pa-zienza che sa capire, accogliere e promuovere. Ne risulta una stupenda figura di pedagogo che

insegna con la sua arte raffinata e consumata un atteggiamento di validità perenne. Scriveva san Giovanni Bosco che l’educazione è cosa del cuore. Un padre così grande e così buono non può essere che il Padre nei cieli che Gesù ci ha fatto conoscere, il vero prodigo della parabola, prodigo del suo immenso amore verso tutti. ■

DOMANDE ALLA VITAIO COME IL MINORE1. Vivo la dimensione triangolare: io - Dio - gli altri? Mi manca forse qualche lato?2. Mi trovo a mio agio nella casa del Padre, la comunità ecclesiale, o respiro un’aria pesante, un clima opprimente o anche

solo un senso di disagio? Conosco le cause? Che cosa faccio per porvi rimedio?3. Quali sono per me gli ingredienti della vera felicità? Ritengo anch’io giovinezza, libertà e denaro valori assoluti o di pri-

maria importanza? Quali sono i valori del mio ambiente familiare e sociale? Posso definirli valori evangelici? In che cosa mi adeguo e come reagisco?

4. Come e quanto mi lascio interpellare dai ‘segni dei tempi’ per ripensare la mia vita, esaminare le mie scelte e il mio operato? Quando l’ultima volta? Cosa è cambiato in seguito?

5. Ho il coraggio di riconoscere la mia colpa, di presentarmi a Dio senza giustificazioni e attenuanti? Sono capace di rico-noscere i miei sbagli anche davanti agli altri, in casa e fuori? Ricordo l’ultimo caso? Fu debolezza o forza d’animo?

IO COME IL MAGGIORE6. Quali sono le pretese che avanzo nei confronti di Dio e degli altri (salute, riconoscimento dei miei meriti...)? Sono forse

arrogante? Ricordo qualche caso di cui non posso vantarmi?7. Mi illudo anch’io di costruire un autentico rapporto con il Padre senza impegnarmi per costruirlo anche con il fratello?8. Mi sforzo di adattarmi agli schemi del Vangelo (quelli del Padre) o voglio incapsulare il Vangelo entro quelli della logica

umana (il figlio maggiore)? Sono capace di dialogo e di accoglienza? Quando l’ultimo esempio?

IO COME IL PADRE9. Il Padre perdona, guarda avanti. E io? Fin dove il passato altrui mi blocca o mi condiziona? A chi ho concesso il perdono

l’ultima volta? A chi l’ho negato? Che cosa ho provato e che cosa provo ora? Che cosa imparo dalla parabola?10. Ho capacità di adattamento e di elasticità mentale per le situazioni diverse? Abbino la diversità con l’amore o solo con il

mio interesse e il mio comodo?11. Gioisco con chi gioisce e soffro con chi soffre?12. Vivo la novità della grazia che trasforma l’uomo vecchio in uomo nuovo? La mia presenza è portatrice di vita o di morte?

Di novità o di vecchiume?

Signore, mi rispecchio nella vicenda del figlio giovane, perché anch’io qualche volta sono uscito di casa sbattendo la porta perché non ho capito e apprezzato il tuo amore, sognando una libertà che era solo volontà di

inseguire il mio capriccio. E mi sono ritrovato solo, povero e disgustato.Signore, mi ritrovo spesso a impersonare il figlio maggiore, perché mi arrogo il diritto

di giudicare e di condannare gli altri, valutandoli con lo striminzito metro della mia orgogliosa supponenza, condannato la pagliuzza dell’altro senza vedere la trave che mi acceca l’occhio. Signore, concedimi di respirare l’aria della tua libertà, percepire i battiti del tuo cuore, essere

accogliente e comprensivo come sei tu. Amen.

Misericordia è crederenella riconciliazione…con Maria

(Preghiera del rosario)

inascoltoCelebrazione 3/2016AncorAL’

Canto e introduzione.Lettore: Egli disse loro questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Guida: Siamo sempre un po’ rattristati dai comportamenti dei due figli di questa parabola che rac-conta Gesù. Figli di un padre sempre attento e generoso, uno sperpera e l’altro trattiene. Questi due verbi ci fanno riflettere sull’impostazione della nostra vita: l’attenzione a non sprecarla in nessun modo, a non consumare i doni ricevuti, a non banalizzare il progetto di figlio che ho ricevuto nel Battesimo. Se riconciliare significa riportare all’unità se stessi, comprendiamo che la prospettiva di una vita riconciliata è attenta a mantenere l’unione con il Padre e la comunione con i fratelli.

1° mistero: il figlio ritorna in séLettore: Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariatiGuida: Il figlio ritornò in sé, e riconosce il suo peccato, tanto che pre-para una solenne dichiarazione per il padre, che esprime anche dolore e pentimento. Con il suo atteggiamento questo giovane ha rifiutato di essere figlio, di dipendere dall’amore del padre e di riconoscere in questa situazione la sua vera dignità e ricchezza, ma come tutto era iniziato “in fretta, senza pensare troppo”, la conversione inizia con “pensare, rientrare dentro di noi”.

Si recita la decina…2° mistero: il padre aspetta il figlioLettore: Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

di Giovanna Bettiol

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DOMANDE ALLA VITA

Vivere una vita piena di virtù sembrerebbe un invito a vivere in pace, ad una vita gioiosa, ad una vita tranquilla; non è così, non è così. Abbiamo noi nell’anima il desiderio smoderato che ci spinge a ricercare la comodità, la felicità, la gioia anche al di fuori di Dio. Il giorno in cui non ci siamo dati delle mazzolate sulla testa, sui propri vizi, noi in quei giorni precisi abbiamo perso tempo, abbiamo fatto dei passi indietro; si richiede quindi questo sguardo interiore fisso su quello che noi vogliamo (Mons. Luigi Novarese, Formazione, 10 ottobre 1966, Montichiari).

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Guida: Il padre vede il figlio quando è ancora lontano, atteggiamento che denota attesa, affetto, attenzione; ne ebbe compassione o meglio si commosse. Lo aspettava! Stupendo questo sguardo di Dio all’orizzonte della mia vita sempre lontana da lui e dai fratelli ma anche da me stesso! Il termi-ne indica una commozione profonda che interessa tutta la persona; è l’espressione della tenerezza materna, il padre è al contempo madre.

Si recita la decina…3° mistero: fare festaLettore: Il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.Guida: Non si tratta semplicemente di riportare il figlio alla condizione di agiatezza, ma di resti-tuirgli lo status di figlio. L’abito lungo era segno di grande onore; l’anello di autorità; i sandali di libertà. Da badante di maiali all’essere rivestito come un principe, questa è la misericordia di Dio, ci lava, ci profuma, ci veste di una vita nuova, una gioia incontenibile da coinvolgere tutti in una grande festa. Tutto sembra esagerato, nessun padre terreno avrebbe fatto questo, Gesù ci dice che l’amore del Padre è smisuratamente al di là di ogni nostro pensiero o idea.

Si recita la decina…4° mistero: il Padre ci cercaLettore: Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo.Guida: Ecco la seconda uscita del padre, il padre esce di nuovo, per lui non ci può essere festa se qualcuno è fuori dalla casa. Continuamente il Padre esce per cercarci, per spingerci in casa. Le pa-role dure sprezzanti del figlio maggiore ci rivelano che anche lui era lontano da casa. Come il figlio maggiore quanti sono rimasti nella casa del padre e lo hanno sempre servito fedelmente corrono il rischio di sentirsi creditori nei confronti di Dio e di avvertire come un torto la sua misericordia verso i peccatori.

Si recita la decina…5° mistero: perdersi per ritrovarsiLettore: Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma biso-gnava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.Guida: Conoscere il cuore di Dio è conoscere l’amore con cui il Padre va in cerca di chi è “perduto”. Di chi non conta niente, di chi è spesso oggetto del nostro: “Ma lascialo perdere!”. Il perduto è il peccatore così grande che nessuno pensa che per lui ci sia possibilità di recupero; il perduto primo sono io, perso in mille compensazioni che creano tristezze e prigionie. Ma il perduto ritrovato è la gioia del Padre.

Si recita la decina…Salve Regina e canto finale.

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indialogo3/2016AncorAL’

Non è nuovo papa Francesco alle ricette mediche e alle terapie. Ricordate la “Misericordina”, rosario impacchettato a mo’ di medicina con tanto di foglietto illustrativo, indicazioni terapeutiche e posologia? Nel suo viag-gio in Messico in visita l’ospedale pediatrico “Federico Gómez” (Città del Messico, 14 febbraio 2016) ha lanciato due azioni cariche di significato positivo: l’affetto-terapia per i più piccini e l’ascolto-terapia per i ragazzi e gli adolescenti. Non c’è dubbio: i bambini hanno bisogno di amore. Il calore umano, il contatto intenso, fatto di scambi psicologici e biochimici.Ma i nostri figli soffrono anche per l’eccesso soffocante di attenzioni sba-gliate, altra forma di non amore, che si caratterizza per la saturazione dei desideri e l’assenza di autentico amore. Insomma l’affetto-terapia non è legata alla quantità delle attenzioni river-sate in eccesso o in difetto, ma alla autenticità dell’amore. Il Papa ha una parola anche per i più grandicelli. Inutile sottoporli a fiumi di parole, rimproveri, chiacchiere e consigli, meglio, molto meglio ascoltarli: è l’ascolto-terapia. E già, perché noi adulti siamo estenuati dai silenzi degli adolescenti: non ce ne siamo accorti, ma da molto tempo gli adolescenti hanno smesso di parlarci. Ignoriamo gran parte del loro mon-do interiore e ci accontentiamo di controllarli attraverso i cellulari.Ecco, l’ascolto-terapia parte dall’abc della relazione: innanzitutto esserci, ascoltare, avere un vero e reale interesse per il figlio. E anche qui entra in gioco l’autenticità. Affetto-terapia e ascolto-terapia vanno bene, anzi benis-simo: ma chi farà l’autentico-terapia ai fragili adulti social dei tempi di oggi?

Il 24 febbraio, nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo, è stata in-titolata a Moro una sala alla presenza delle autorità italiane e Ue.Una sala al giurista italiano, formatosi nell’associazionismo cattolico, pa-dre costituente, più volte premier, e infine ucciso dalle Brigate Rosse. Un politico che sapeva collocare i problemi del Paese nella più ampia e decisi-va dimensione continentale e internazionale, in un’epoca, la sua, segnata

dall’eredità della seconda guerra mondiale, dalla ricostruzione interna nel quadro della “guerra fredda” e della vicenda Cee. Moro lascia un solco profondo sia in Italia sia in Europa, tanto da poterlo collocare nell’“olim-po” dei sostenitori dell’Europa unita, con quella ispirazione cristiana che segnò profondamente la vita, il pensiero, l’azione del Moro pubblico e privato. Bruxelles rende onore a questa personalità, dei cui tratti peculiari oggi - in tempi di Europa ri-piegata e sotto pressione - si avvertono la man-canza e la necessità.

L’autentico-terapiaper i fragili

adulti socialdel nostro tempo

L’Europarende omaggio

a Moro

Papa Francesco visita l’ospedalepediatrico “Federico Gómez”

(Città del Messico, 14 febbraio 2016)

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I giochi divisi per genere, maschile e femminile, rischiano di scomparire. Il motivo è semplice: un prodotto che non escluda l’altra metà della popo-lazione è più redditizio.In realtà la situazione è molto più complessa di così e sono molte le con-cause di quello che sta per diventare un fenomeno culturale preoccupante. Si comincia con la divisione degli scaffali nei grandi negozi di giocattoli che eliminano le barriere di genere nella esposizione. Che siano destinati alle bambine o ai bambini, i giochi sono proposti in spazi comuni, senza soluzione di continuità. Si tratta però ancora solo di un effetto del cambiamento epocale in atto. La causa è più profonda e ha a che fare con la tecnologia.Il cambiamento, infatti, è cominciato con la diffusione massiccia di smartphone e tablet nelle mani dei bambini di tutto il mondo. Gli apparecchi mobili, infatti, sono neutrali, dal punto di vista del genere. Possono essere usati indifferentemente da uomini o da donne. Lo stesso, a maggior ragione, vale per l’infanzia. C’è anche da dire che lo sviluppo di applicazioni o di videogiochi di successo, richiede investimenti impressionanti nella ricerca, nel-lo sviluppo e nel marketing. Diventa così più facile capire perché le grandi multinazionali dei giochi per bambini abbiano scelto la strada della confusione di genere per i loro prodotti. A sentire cosa hanno da dire i responsabili delle grandi catene produttive di giochi per bambini, resta il dubbio che sia in atto una rivoluzione an-tropologica più grande di una semplice strategia di marketing.

È stato un vero e proprio ‘annus horribilis”’ quello appena trascorso per le violazioni dei diritti umani nel mondo. A ribadirlo è Amnesty International che ha diffuso il suo Rapporto 2015-2016 in cui fornisce un’analisi della situazione globale dei diritti umani in 160 Paesi di tutti i continenti. Il Rapporto denuncia, tra l’altro, violenze e minacce contro attivisti per i diritti umani, l’adozione di misure draconiane di sicurezza, la sofferenza di milioni di persone nelle mani di gruppi armati. I numeri del Rapporto sono chiari: “60 milioni le persone che si trovano lontano dalle loro case, molte delle quali da diversi o molti anni; almeno 113 i Paesi nei quali la libertà d’espressione e di stampa sono state sot-toposte a restrizioni arbitrarie; almeno 30 i Paesi che hanno rimandato illegalmente rifugiati verso Paesi in cui sarebbero stati in pericolo; almeno 19 i Paesi nei quali sono stati commessi crimini di guerra o altre violazioni delle ‘leggi di guerra’; almeno 36 i Paesi nei quali gruppi armati hanno commesso abusi”. Una lista lunga che denuncia anche la morte di “almeno 156 difensori dei diritti umani occorsa durante la prigionia o altrimenti uccisi, la detenzione di prigionieri di coscienza, ossia persone che aveva-no solamente esercitato i loro diritti e le loro libertà, la celebrazione di processi iniqui, maltrattamenti e torture”.

Una raccolta di notiziepiù o meno note sul mondo cattolico Fonte Sir

La confusionedi generesi nascondee proliferanelle Appper bambini

Amnesty International:diritti umaniin pericoloe assalto globalealle libertà

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3/2016 indialogoAncorAL’

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racconto evangelico del giudizio finale (cfr. Mt 25,31-46) si legge l’ammoni-mento di Gesù «Ero malato e mi avete

visitato» (Mt 25,36). È un ammonimento per-ché alla sera della nostra vita saremo giudica-ti sull’amore e non sulle buone intenzioni che avremo avuto. E neppure il nostro atto di fede è sufficiente per essere riconosciuti benedetti dal Padre di Gesù Cristo, perché «la fede opera per mezzo della carità» (Gal 5,6) ci ricorda l’aposto-lo Paolo. La misericordia “si fa”. Scrive il papa nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare: «La misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui egli rivela il suo amo-re come quello di un padre e di una madre che

Le opere di misericordiacorporale e spirituale

Nel si commuovono dal profondo delle viscere per il proprio figlio» (Bolla, n. 6). Per questo la Chiesa parla di opere di misericordia. La quinta opera di misericordia corporale è visi-tare gli infermi. Possiamo pensare che nel verbo “visitare”, vi sia anche il verbo assistere, pren-dersi cura! La visita agli infermi è un momen-to privilegiato nel quale la comunità ecclesiale porta la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono, riconoscendo con umiltà che il Signore Gesù si è identificato con il malato e non con il visitatore. Rivestito di “sacramentalità cristica” il malato chiede al visitatore di condividere una dimensione di spoliazione, di impotenza, di po-vertà. Egli è espressione della comunità cristia-

Visitare gli infermi“Visitare” cioè assistere, prendersi cura degli infermi. Questa visita è un momento privilegiato nel quale la comunità ecclesiale porta la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono.

3/2016AncorAL’na che desidera incontrarsi con il volto di Cristo

sofferente. Riconoscendone la sacramentalità e la sua inalterabile dignità, il visitatore entra nella stanza dell’infermo “in punta di piedi” e con profondo rispetto.La sofferenza e la malattia aggrediscono l’uomo come i briganti, nella nota parabola lucana del buon samaritano, hanno aggredito il malcapita-to. Con il disagio fisico, il malato sperimenta an-che la solitudine che nei casi più gravi può farsi anche disperazione. Il dolore isola. «Colui che soffre fortemente vede dalla sua condizione, con terribile freddezza, le cose al di fuori: tutte quelle piccole ingannevoli magie in cui di consueto nuo-tano le cose, quando l’occhio sano vi si affissa, sono per lui dileguate; anzi egli si pone dinanzi a se stesso privo di orpelli e di colore (F. Nietzsche, in Aurora). Malattia, povertà e sofferenza ferisco-no la persona, aggravando il disagio fisico con quello morale. La nudità nella quale viene lascia-to il malcapitato della parabola lucana è icona del pudore violato di ogni malato. In lui sempre albergano, anche se inespressi, la domanda di senso e il peso dei suoi problemi esistenziali. Visitare il malato significa, allora, offrire con di-screzione, amore e competenza, una vicinanza per attraversare insieme il guado della malattia, farlo sentire meno solo e fargli percepire, anche se è permanentemente infermo in un letto, di essere parte integrante e importante della co-munità ecclesiale a cui appartiene. È utile te-nere presente che sempre di più i malati e le persone anziane non autosufficienti abitano le case più che gli ospedali o le strutture di rico-vero. Per questo si rende sempre più necessaria una presenza capillare sul territorio di operatori pastorali preparati che, oltre a visitare i malati nei luoghi di cura, frequentino le case di chi in un letto vive la sua giornata spesso in solitudine. Occorre considerare che se la visita del Mi-

nistro straordinario della santa Comunione ge-neralmente è rivolta ai soli fedeli cristiani che desiderano l’Eucaristia, la visita agli infermi può e deve raggiungere tutti i malati della parrocchia e dei luoghi di cura.Poiché l’efficacia della relazione pastorale d’a-iuto dipende in gran parte dalle qualità umane e spirituali di chi la esercita, può essere utile ricordare alcune attenzioni particolari che un operatore pastorale che visita gli infermi deve tenere presente, senza la pretesa di voler essere esaustivi sull’argomento. L’operatore pastorale non porta qualcosa ma te-stimonia Qualcuno anzitutto attraverso il dono di sé, del suo tempo, del suo cuore ospitale, ac-cogliente della storia del malato nella sua vul-nerabile individualità (non ci sono malati ma singole persone malate). Nella visita all’infermo l’operatore accoglie i suoi sentimenti di rabbia o di accettazione della situazione, ugualmente nobili. Il protagonista dell’incontro che segna tempi e ritmi del colloquio pastorale è il malato che ha il diritto di esprimere quello che ha nel cuore finanche a gridare, come Cristo in croce «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mc 15,34). Per questo all’operatore viene chie-sto soprattutto capacità di ascolto della narrazione verbale e non verbale del visita-to offrendo all’infermo una comprensione empatica che gli faccia percepire di essere stato accolto e compreso.Questi atteggiamenti del visitatore posso-no aiutare il malato a dotare di senso la sua esperienza e assumono valore “sacra-mentale”; se offerti con gratuità, amore e competenza favoriscono, nel rispetto dei tempi e della sensibilità stessa del malato, l’incontro con Cristo medico nella preghie-ra, nella Parola di Dio e nei sacramenti. Non dimentichiamo, inoltre, che là dove non è possibile, per vari motivi, pregare con il malato, è sempre possibile, nel silenzio e

in tempi diversi dalla visita, pregare per il malato.

Carmine AriceCEI - Direttore dell’UfficioNazionale per la pastorale

della salute

L’articolo è trattodal libro:

“L’avete fatto a me – Le opere

di misericordia corporale e

spiritualenel mondo della

cura”.

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occasione del Giubileo della misericordia, alcuni fedeli della diocesi di Ariano Irpino (Av) si sono recati in pel-legrinaggio a Roma. Don Marco Castellazzi (SOdC) li ha

accompagnati nei giorni della loro permanenza, celebrando una santa messa presso la chiesa di Santa Maria del Suffragio in via Giulia, dove riposano le spoglie mortali del beato Novarese.Il vescovo di Ariano Irpino-Lacedonia, mons. Sergio Melillo, ha consegnato ai pellegrini un messaggio, nel quale rivela la pro-fonda personale riconoscenza nei confronti di mons. Luigi Nova-rese, ricordandone il carisma. Proponiamo volentieri questo messaggio ai nostri lettori, invi-tandoli a pregare per l’intercessione del beato Novarese e per l’apostolato delle persone sofferenti.

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Per il Giubileo,una messa alla tomba

di Novarese

In

O Padre,fonte di misericordia e consolazione,Ti ringraziamo dei doni concessi al Beato Luigi Novarese,Fondatore dei Silenziosi Operai della Crocee del Centro Volontari della Sofferenza.Tu lo hai reso, con la grazia dello Spirito Santo,sacerdote del tuo Figlio Crocifisso e Risorto,apostolo della Sua tenerissima misericordia.Fa’, o Padre, che noi seguiamo il suo luminoso esempionell’affidamento alla Vergine Immacolata,nel servizio alla Chiesa, nell’accoglienza della sofferenzacome tempo santo ove si manifestano le Tue grandi opere,e nella promozione umana e cristiana dei sofferenti.Rendici, o Padre, testimoni credibili di Cristo e concedici,per intercessione del Beato Luigi, la grazia che imploriamo da Te,l’unico onnipotente nell’amore...Gloria al Padre... Beato Luigi Novarese, prega per noi.

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Ariano Irpino,7 febbraio 2016

Il beato Luigi Novarese (1914-1984) ha lasciato una indelebile traccia nel-la mia vita.Ho avuto nella mia adolescenza la pos-sibilità di incontrarlo nei pellegrinag-gi della Lega Sacerdotale a Lourdes.Sono ricordi che mi ritornano in men-te e mi sostengono nel ministero.Luigi Novarese è stato un sacerdote che ha servito con amore e passione la Chiesa.Era amico fraterno del venerato ve-scovo di Avellino mons. Pasquale Venezia (1911-1991), pastore della mia diocesi di origine, che mi inviò per gli studi e la formazione sacer-dotale al seminario dei padri gesuiti di Posillipo.Monsignor Venezia incoraggiò noi giovani – studenti di belle speranze – a fare l’esperienza del volontaria-to a Lourdes! Eravamo ragazzi di di-versa età ed estrazione, accomunati

dallo slancio giovanile per il volontariato verso i fratelli ammalati. Anni dominati dall’entusia-smo, in un mondo semplice e aperto al futuro. Fiorì in alcuni di noi la prospettiva di un cam-mino di fede all’ombra del grande santuario ma-riano che ci aiutò a percorrere un percorso vo-cazionale.Questa esperienza di volontariato ci spinse all’apostolato nel Centro Volontari della Soffe-renza quali fratelli degli ammalati.

Cari figli, il vostro pellegrinaggio – a cui mi sento unito spiritualmente – alla tomba del beato Luigi Novarese nella chiesa di Santa Ma-ria del Suffragio, è una opportunità affinché sia

ancora attuale il valore della vita, dalla fami-glia e dell’accompagnamento dei nostri fratel-li infermi.In questo momento penso al nostro santuario Mariano “Salus Infirmorum” di Valleluogo, dove tanti fratelli hanno fatto l’esperienza degli Eser-cizi spirituali che, come ci ricorda il beato No-varese: “...sono la formula migliore che, più di qualsiasi altra, va in profondità... In essi si impa-ra a sempre meglio valorizzare la sofferenza e ci si educa a diventare fermi e costanti realizzato-ri delle richieste della Madonna rivolte a Lourdes ed a Fatima.I frutti degli Esercizi spirituali sono consolanti e suscitano in noi una sete inestinguibile di cer-care sempre qualcosa di nuovo... e per risveglia-re nei cuori il desiderio di Dio, il desiderio del-la santità”.

Monsignor Novarese era un sacerdote innamo-rato della Madonna, che all’apparenza suscita-va soggezione ma, che con sguardo paterno, in-vogliava ad accogliere il messaggio evangelico.È stato un testimone ed un apostolo del mondo della sofferenza, dell’apostolato dell’ammalato per l’ammalato.Era consapevole – ci ricordava papa Francesco nell’udienza ai Silenziosi Operai della Croce ed al Centro Volontari della Sofferenza del 17 mag-gio 2014 – che “la sofferenza non è un valore in se stessa, ma una realtà, che Gesù ci insegna a vivere con l’atteggiamento giusto... ci insegna a vivere il dolore accettando la realtà della vita con fiducia e speranza, mettendo l’amore di Dio e del prossimo anche nella sofferenza: è l’amore che trasforma ogni cosa”.

Vi accompagni nel pellegrinaggio la mia pre-ghiera e pregate per me.

Vi benedico paternamente.✝Sergio Melillo

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iornate intense quelle che hanno coinvolto, oltre al Patriarcato di Gerusalemme e alla Custodia di Terra Santa, affidata da secoli

ai frati minori francescani, anche la rappresen-tanza del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, la Comunità dei Silenziosi Operai del-la Croce e molti pellegrini provenienti da varie parti del mondo che operano nel mondo dell’as-sistenza e della cura degli ammalati.Importante sottolineare che, da quando san Gio-vanni Paolo II istituì la Giornata mondiale del malato, il 13 maggio 1992, (da svolgersi ogni 11 febbraio, solennità di nostra Signora di Lourdes) è la prima volta che le celebrazioni di tale even-to si tengono in Terra Santa, nella città dove Dio è entrato nella storia dell’umanità incarnandosi

nel seno della Vergine Santa e che ha visto cre-scere Gesù nella Sacra Famiglia di Nazareth.Alle celebrazioni erano presenti anche rappre-sentanti di altre Chiese cristiane presenti in medio-oriente e di vari riti cattolici tra i quali melchiti e maroniti.Il legato papale, l’arcivescovo Zygmunt Zi-mowski, che ha guidato la delegazione della Santa Sede per la Giornata mondiale, durante l’omelia tenuta nella basilica superiore dell’An-nunciazione, riprendendo le parole di papa Fran-cesco così si è espresso: “Possiamo chiedere a Gesù misericordioso, attraverso l’intercessione di Maria, Madre sua e nostra, che conceda a tutti noi questa disposizione al servizio dei bisognosi e concretamente ai nostri fratelli e alle nostre

di Felice Di Giandomenico

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Da Nazareth a CalcuttaXXIV Giornata mondiale del malato

Si è svolta a Nazareth la XXIV Giornata mondiale del malato che, quest’anno, aveva come tema la frase evangelica della Ver-gine Santa proferita durante le nozze di Cana: “Fate tutto quello che vi dirà” (Gv 2, 5).

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sorelle malati… Cristo, chiamato con fiducia presso i malati, Cristo chiamato dagli ammalati, Cristo al servizio degli uomini sofferenti”. Alla fine della santa messa, l’arcivescovo ha an-nunciato che la prossima Giornata mondiale del malato, fra tre anni, sarà celebrata in India e precisamente a Calcutta.La sera del 10 febbraio c’è stata la veglia di pre-ghiera con la recita del rosario e una processio-ne “aux flambeaux” cui hanno partecipato molti fedeli. Il giorno prima, a Gerusalemme, si era tenuto un convegno pastorale internazionale sul tema: “La vita umana è sacra, preziosa e invio-labile – Problemi del fine vita e accoglienza dei disabili” e anche un incontro con i responsabili della pastorale della salute in medio-oriente.Nella basilica del Getsemani, si è poi tenuto l’incontro con gli ammalati di Gerusalemme a cui è stata somministrata l’unzione degli in-fermi. Annualmente le nostre sorelle Silenziose Operaie della Croce, che operano nella Casa di Betania, sono impegnate nella preparazione di questa Giornata dell’ammalato.Momenti, dunque, vissuti all’insegna del ser-vizio, della gratuità, di una spiritualità che si nutre di Vangelo per portare la luce di Cristo nei cuori di tutti coloro che soffrono nel corpo e nell’anima.

Riguardo alla scelta di papa Francesco di cele-brare la Giornata mondiale del malato in Terra Santa, il patriarca di Gerusalemme, Sua Beatitu-dine mons. Fouad Twal, molto vicino all’Opera del beato Luigi Novarese, ha detto di essere grato al Pontefice per questa decisione. Questi luoghi rap-presentano “la Chiesa del Calvario, la Chiesa della sofferenza, la Chiesa della Croce”. Per questo ce-lebrare in Terra Santa la Giornata del malato assu-me un rilievo tutto particolare. La dimensione del soffrire e della malattia, soprattutto in una terra multireligiosa come quella dove convivono cri-stiani, musulmani ed ebrei, rappresenta un punto che accomuna, anche spiritualmente tutti questi differenti modi di rapportarsi con l’Assoluto.La delegazione pontificia, ha potuto visitare le varie realtà assistenziali (ospedali, orfanatrofi, centri per disabili, ecc.) presenti nei territo-ri palestinesi e israeliani e notare le differenti modalità con le quali gli ammalati e i sofferenti vengono assistiti. Nonostante il numero dei cri-stiani presenti in Terra Santa rappresenti solo l’1% della popolazione, le strutture preposte all’assistenza e sostegno sanitario sono la te-stimonianza delle opere che la Chiesa sta com-piendo nella terra di Gesù, a prescindere dalla religione di appartenenza dei singoli che a tali strutture si rivolgono. ■ 41

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“Cristo è per strada... si può incontrare (stai attento!!!...)”

Perché sei andata via mamma!?Il Signore mi viene incontro su Facebook

ncontro una nonna con un immenso dolore: la figlia è morta per una malattia in-

curabile. Racconta a lungo la vita, le bellezza, la bontà, la sua mitica figlia. Insiste in tutti i particolari, dice quanto ha pregato, si domanda tanti perché: “Dio porta via mia fi-glia e lascia qui me che sono vecchia!”. Ora il suo cruccio più grande sono i due nipoti: 17 anni il ragazzo, 10 anni la bambina. Vivono con il padre, ma la loro casa è ormai diven-tata quella dei nonni.La bambina parla e piange quando guarda solo la foto della mamma. Gianni non ne

parla mai, non piange, non va al cimitero, non ama stare in casa. Sembra rifugiarsi tra ami-ci poco affidabili e la nonna non vive più: “Come faccio io a seguirlo? Il padre va a lavorare e tocca a me tutto”. La sua pre-occupazione è Gianni e la sua giovinezza sconvolta, la possi-bilità di combinare qualcosa e di rovinarsi la vita. Provo a dire che Dio nel dolore non abban-dona. Lei è d’accordo ma, giu-stamente e umanamente vor-rebbe vedere i segni di questo Signore che si occupa di questi “loro” due figli: figli di famiglia e figli di Dio. La rassicuro che cercherò di incontrare Gianni,

ma che non sarà facile perché lui in questo momento cerca solo sua madre e non vuole in-torno né padre, né nonni e tan-tomeno il prete. Solo gli amici e forse neanche con loro riesce a dire qualcosa.A volte però il Signore è così grande e così presente nel-la semplicità della vita che ci viene incontro dove meno ce lo aspettiamo. La nonna quasi aspettava un segno per credere che Gianni avesse ancora nel cuore la mamma e che non si era dato alla droga o ad altro.Un pomeriggio, mentre seguivo il profilo su Facebook di Giosy Cento Sacerdote Cantautore, mi

IUna domanda, purtroppo, “normale” quando una mamma, in qualunque modo,

se ne va via troppo presto dalla Terra, lasciando bambini o figli giovani.

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“Cristo è per strada... si può incontrare (stai attento!!!...)”

appare il nome di Gianni. Lo clicco e vado un attimo a cu-riosare. Ecco cosa trovo: “Manchi tanto e bastano piccole cose per ro-vinarmi le giornate. Basta una foto, un ricordo, un sogno, per spezzarmi il cuore, ma ormai è così, il destino non si cambia, non ci posso fare niente, posso solo rialzarmi e continuare que-sta vita. Potrebbero trattarmi bene tutti, ma non come facevi tu, come quando non mi facevi mancare niente, come quando mi assicuravi che tutto andava bene, mi sentivo proprio bene, quel bene che mi faceva esse-re spensierato, al contrario di adesso, sempre con mille pen-sieri in testa e mille ostacoli da superare da solo... non posso fare niente, ma vorrei che tu fossi contenta di me, anche se sbaglio, anche se non prendo mai le decisioni giuste... quella brutta malattia mi ha levato la vita, ha creato troppi problemi la tua mancanza, eri fondamen-tale per me... anche se faccio finta di niente con tutti, io non sto mai bene, dentro di me ci sono solo paure che rimarranno aperte per sempre... quando te ne sei andata la mia testa ha cancellato tutti i miei ricordi di quando c’eri tu, non so, forse il dolore ha creato questo... l’ulti-mo mio ricordo è quel bacetto che ti ho dato il giorno prima che te ne andavi, so che anche tu te lo ricordi... mamma ti vo-glio bene”.Mi sono scese lacrime e lacri-me e mi commuovo anche ora che la presento a tutti come un pezzo di meravigliosa lettera-tura dell’umano-giovane.

di Giosy Cento

Quando la vita e la morte si incontrano ecco cosa avviene: la nudità vera dell’anima e il cuore che si toglie le maschere. Emerge l’umano-umano e quel sottile divino che ogni creatura si porta dentro.“Mi manchi tanto”. Se la ma-dre è il grembo, significa che è l’assoluto dal quale si è ge-nerati e che, senza di lei, nulla sembra avere più senso e che, anzi, bisogna trovare un nuovo senso e nuovi equilibri quoti-diani. Devi ri-disegnare vita e relazioni. Una mancanza che è di ogni istante e che non è fa-cile compensare.“Basta un niente per spezzarmi il cuore”. A 17 anni. Sento il mio cuore spezzarsi.“Non ci posso fare niente, posso solo rialzarmi e continuare que-sta vita”.È grande questo figlio: ha già capito l’impotenza umana di fronte alla morte e forse an-che la responsabilità di essere giovane e di poter diventare un appoggio per papà, sorellina e nonni: rialzarmi e continuare la vita. Parole da adulto: questa è la profondità sconosciuta di questi ragazzi di oggi che spes-so giudichiamo, troppo in fret-ta, superficiali.Bello il racconto delle coccole e della sicurezza materna che ga-rantisce la spensieratezza della giovinezza.Poi: “Vorrei che tu fossi conten-ta di me”: qui il cuore batte a mille e fa capire davvero chi è la mamma e chi è per lei un fi-glio per tutta la vita su questa Terra. È l’unico regalo che Gianni ha capito di poter fare alla mam-

ma che c’è “di più”: che lei sia orgogliosa del suo Gianni par-torito sulla Terra.“Anche se faccio finta di niente con tutti, io non sto mai bene”: questa durezza della quale tutti possiamo vestirci nel dolore e poi… non stare mai bene. La nonna ora capirà questa ap-parenza e sopporterà questa finzione di Gianni e lo amerà vedendo il suo cuore e non la faccia dura.“L’ultimo mio ricordo è quel bacetto che ti ho dato il gior-no prima che te ne andavi, so che anche tu te lo ricordi...”: la tenerezza assoluta della vita in un momento così drammatico. “Quel bacetto” è il ricordo eter-no che Gianni lascia alla mam-ma per sempre.“Mamma ti voglio bene”: che c’è di più?Leggendo queste righe ho rin-graziato Facebook, anzi ho rin-graziato lo Spirito Santo che ha suggerito al cuore di Gianni questo… sfogo…Ora la nonna legge e rilegge Gianni con occhi nuovi e co-mincia a credere che Dio… non abbandona mai. ■

noicvs NoiCVSnoicvsnoicvsNOIcvsnoicvs3/2016

AncorAL’

noicvsNOIcvsNoiCVSnoicvsnoicvs noicvs

domenica 17 gennaio 2016: la Chiesa nella liturgia eu-caristica raduna il suo po-

polo e fa festa chiamandoci a partecipare alle nozze a Cana di Galilea con Maria, la madre di Gesù. Serafina Peluso, nelle prime ore del mattino entra nella stanza dello Sposo, Gesù risorto, per partecipare definitivamente alle nozze eterne.È il momento solenne della storia di una persona, asse-gnata e consegnata a Cristo Signore. La comunità terrena è confusa di fronte al miste-ro della morte, ma ora si sente illuminata e capace di guarda-re oltre, contemplare il volto sempre sorridente ed acco-gliente di Serafina.Nata nel 1953 e consacratasi l’8 dicembre 1988 nei Silenzio-si Operai della Croce, Serafina ha accolto e vissuto il carisma del beato Luigi Novarese nella valorizzazione della sofferenza, nel credere che proprio lei era chiamata ad una vocazione spe-

vescovo di Modena mons. Erio Castellucci il 24 gennaio u.s. ha intitolato una stanza del Centro Pastorale “Famiglia di Nazareth” alla serva di Dio Anna Fulgida Bartolacelli – Silenziosa Operaia

della Croce (1928-1993).Anna Fulgida ha vissuto con fede esemplare e coraggio nello spirito del beato Luigi Novarese, pienamente conformata alla volontà divi-na. Chi ebbe modo di frequentarla la ricorda come una donna di stra-ordinarie virtù nella forma concreta di santità maturata attraverso la sofferenza, fatta esempio con la parola semplice e la testimonianza umile e serena che facevano trasparire in lei la dimensione interiore del suo spirito.

Sempre sorridente e accogliente

Sala Bartolacelli

avellino brescia

modena

ciale: dare la vita. Lo ha fatto instancabilmente soprattutto nella parrocchia “San Francesco d’Assisi”, dove è stata presente per il suo cammino di fede.La sofferenza del distacco dà spazio alla certezza che Serafi-na vive nella pienezza della vita ed è in comunione con noi e ci esorta a rilanciare l’apostolato

nella nostra Chiesa avellinese. È forte la sua vivacità nel pro-porci la genuinità del pensiero del beato Novarese. Il CVS di Avellino ha goduto per molti anni della sua pre-

è

Il

senza apostolica e anche della sua responsabilità quale incari-cata diocesana. Caratteristica della vivacità di Serafina era la facilità di azione con la carroz-zina sulla strada. Richiesta di portare la sua testimonianza in varie parrocchie, si mostra-va particolarmente attenta e preparata, semplice e coinvol-gente. Pronta e disponibile ad incontrare, ad ascoltare e ad incoraggiare chiunque si tro-vasse in difficoltà. Oggi, siamo impegnati a ri-leggere la sua testimonianza consegnata a noi e a continua-re la nostra missione. Tutti gli operatori nell’apostolato della valorizzazione della sofferenza e in particolare quanti l’han-no conosciuta personalmente sono grati al Signore Gesù, che chiama e glorifica nella croce le persone che predilige. L’Eccomi dell’Immacolata, ac-colto e vissuto da Serafina, ci aiuta a dare slancio al nostro servizio pastorale nella Chiesa.

(Luigi Di Blasi)

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noicvs NoiCVSnoicvsnoicvsNOIcvsnoicvs noicvsNOIcvsNoiCVSnoicvsnoicvs noicvs3/2016AncorAL’Sempre sorridente e accogliente Angiolino Bonetta, un’anima ricolma di graziabrescia

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iovedì 28 gennaio 2016 nella Chiesa parrocchiale di Cigole (BS), nell’anniver-

sario della morte (avvenuta 53 anni fa) del servo di Dio Angio-lino Bonetta, è stata celebrata una santa messa presieduta da don Luigi Garosio, Vice-respon-sabile dei Silenziosi Operai del-la Croce, e concelebrata da don Abramo Camisani, don Pietro Bonfadini e don Pietro Manen-ti che hanno conosciuto molto bene il giovane “che sorrideva sempre e seppe sorridere anche alla sofferenza”.

(Agnese Pagliotti)

Dall’omelia di don Luigi Garosio.

Angiolino Bonetta (1948-1963): un’anima ricolma di grazia, che seppe abbandonarsi alla Misericordia del Signore, compiendo la sua volontà e accettando di vivere la sofferenza come un dono da condividere. Una breve esistenza la sua, ma molto intensa.La spontaneità e la freschezza di un ragazzino vivace e molto sveglio che lo contraddistinsero da tutti gli altri, finché un gior-no, all’età di circa dodici anni, è colpito da un male incurabile al ginocchio e i medici si vedono costretti ad amputargli la gamba.Da questo momento il vispo ragazzino intraprende un percorso di maturità nella fede, una fede viva, che gli permette di non chiudersi nel suo dolore, ma di avvicinare altre persone malate e condividerne la sofferenza, facendosi apostolo tra gli ammalati: “l’ammalato per mezzo dell’ammalato”.Angiolino ha conosciuto monsignor Luigi Novarese a Re e, nono-stante la giovane età, diventa “Silenzioso Operaio della Croce” con

profonda convinzione. Capisce molto bene come tutta l’Opera che ha appena abbracciato, sia ispirata alla Madonna e dice: “Questo è il giorno più bello della mia vita”.Ciò che colpisce di quest’anima bella è come Angiolino in così poco tempo, dai dodici ai quattordici anni, età in cui muore, sappia vivere la sofferenza provocata dalla malattia, lavo-rando da vero Silenzioso Operaio della Croce e scoprendo che accettare e offrire la sofferenza a compimento dei patimenti di Cristo, secondo le richieste fatte dalla Madonna nelle ap-parizioni a Lourdes e a Fatima, significa conoscere il prezzo della misericordia per rendersi collaboratore per la salvezza di tante anime.

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obbiamo essere come i servitori delle Nozze di Cana che hanno avuto fiducia in Gesù, il quale non mancherà mai di trasformare l’acqua in vino”. Così don Armando Aufiero, di

fronte a un centinaio di civuessini arrivati da tutto il Piemonte (alcuni anche da fuori regione), ha introdotto con una catechesi la giornata di riflessione sul Giubileo della misericordia, orga-nizzata dal CVS di Torino che si è tenuta il 21 febbraio presso il Gruppo Abele di Torino.“In questi anni ho saputo apprezzare il vostro lavoro, la spiri-tualità e l’insegnamento del beato Novarese”, ha detto durante l’omelia monsignor Marco Brunetti, nominato da poco da papa Francesco vescovo di Alba e per anni Responsabile della Pastorale della salute della diocesi di Torino. Nel pomeriggio Mauro Ansel-mo, giornalista, ha introdotto lo spettacolo teatrale “La nostra Storia” ideato e realizzato dal CVS di Vercelli, in cui la compa-gnia, composta da ventisei volontari dagli 8 agli 80 anni prove-nienti da diocesi diverse e guidati da Letizia Ferraris, ha messo in scena una rappresentazione dei momenti più significativi della vita del beato Novarese.«Papa Francesco ci esorta a diventare “misericordiosi come il Pa-dre” e anche noi siamo invitati a riprendere i nostri impegni associativi e aderire alle proposte diocesane – spiega Giovannina Vescio, coordinatrice del CVS del Piemonte e tra gli organizzatori della giornata – e a svolgere il nostro apo-stolato con più determina-zione, portando dove è pos-sibile il carisma del nostro Luigi Novarese».

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3/2016AncorAL’

La nostra storiatorino

“Della Chiesa di Santa Caterina, alla presenza di diversi sacer-doti della diocesi, l’8 febbraio

2016, l’estremo saluto a Claribel Ybiosa Pellacani. La cerimonia è stata presieduta dall’arcivescovo emerito di Ravenna Cervia, Giu-seppe Verucchi.Claribel, nata nel 1959 nelle Iso-le Filippine, giunge in Italia nel 1992 anno in cui si unisce in ma-trimonio con Marco Pellacani, Re-sponsabile del CVS di Modena. Claribel ha seguito ed abbracciato con impegno e fedeltà la causa del Centro Volontari della Sofferenza come Sorella degli Ammalati. Ha svolto mansioni di segreteria del CVS modenese e ha sostenuto sin dall’inizio la Causa di Canonizza-zione e Beatificazione della serva di Dio Anna Fulgida Bartolacelli che ha avuto la grazia di conosce-re personalmente. Ha affrontato con fede e speranza tutta la sua vita nonostante i mo-menti difficili. È giunta alla Casa del Padre il 4 febbraio 2016.

In ricordo di Claribel

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