Portico d’Ottavia,13 …I nostri approfondimenti… · 2018. 12. 27. · dobbiamo ricordare è...
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Portico d’Ottavia,13
…I nostri approfondimenti…
Istituto Comprensivo Giuseppe Garibaldi Fondi classe 3 N
… E‟ bello immaginare che inciampando tra le pietre dei ricordi possiamo rivivere
la storia feroce delle vittime del genocidio. La mia mente non dimenticherà mai gli
occhi della signora Rosina e la sua pelle rugosa, testimonianze di una vita che
abbiamo il doveredi ricordare. I suoi occhi hanno visto cose che noi solo
immaginiamo, occhi che hanno visto il dolore, ma il suo sorriso è il sorriso di chi le
ha passate tutte…
Grazie Anna Foa!!!
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Indice
_Modalità di rastrellamento:Cecilia Veglia
_ Modalità di rastrellamento e testimonianze storico,artistico e letterarie: Francesca,
Paola di Fazio
_ Fosse Ardeatine:Raffaele Zolofra
_ 16 Ottobre: Riccardo Biasillo, Giulia Riccardi, Lorenzo Recchia, Sara De Filippis,
Giuseppe Parisella, Consuelo Perricone, Maria Tobei BaluGiuseppe De Bonis, Alessandro
Puglianiello,
_ Recensione: Pier Paolo Di Manno
La Relazione
Titolo e Argomento: Roma, 16 Ottobre
Scaletta:
-Introduzione: Premessa sulla situazione politica Italiana e il Nazismo
-Corpo centrale:
_La razzia del 16 Ottobre in Via Portico d‟Ottavia 13
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_ Modalità di rastrellamento (Zoom spie sorelle Di Porto, sorelle Spizzichino
eBanda Cialli Mezza Roma)
_ Zoom Famiglia Di Veroli (Testimonianza Rosa Di Veroli)
_ Fosse Ardeatine
_ Pietre d‟inciampo (Costanza Sonnino)
-Conclusione: Perché abbiamo studiato e approfondito quest‟argomento? Per non
rifare gli stessi errori
Relazione: Portico d‟Ottavia 13, la strage del 16 Ottobre
“Al numero 13 di Via Portico d‟Ottavia, nel tratto
fra vicolo di Sant‟Ambrogio e il passaggio che
conduce a via di Sant‟Angelo in Pescheria, a fianco
dei ruderi romani del Portico, c‟è un vecchio portone
di legno che si apre inaspettatamente su un vasto
cortile circondato da logge rette da colonne antiche,
simile più ad un chiostro che ad un‟abitazione. In
questa casa ho abitato per dodici anni”.
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Così dice l‟autrice nella premessa del suo libro, descrivendo una casa
apparentemente normale, ma che cela dentro di se una delle parentesi più tragiche
della nostra storia, la razzia del 16 Ottobre degli ebrei di Roma nel ghetto di Via
Portico d‟Ottavia 13. Ma tanti sono stati gli avvenimenti storico-sociali prima di
arrivare a questo, alla così detta “soluzione finale”.
Tutto è cominciato quando nel 1923, in
Germania, vediamo nascere una nuova figura di
estrema destra, Adolf Hitler, che fonda il
Partito Nazionalsocialista o meglio conosciuto
come Partito Nazista. Gli ideali del nazismo
erano chiari: un esasperato nazionalismo,
avversione radicale verso ogni tipo di pensiero
democratico o socialista e, il punto cardine, il
razzismo verso tutti coloro che non venivano
considerati Ariani, omosessuali, zingari,
portatori di handicap, malati mentali ed in
particolare gli ebrei. Il culmine avvenne nel
Marzo 1933, quando Hitler assume il potere
assoluto a tutti gli effetti. Anni dopo, nel 1935,
dopo aver sterminato tutti gli avversari interni
del partito, la propaganda antiebraica diventò persecuzione, con le così dette
Leggi di Norimberga. Ciò comportò l‟esclusione degli ebrei dal diritto di voto,
dall‟esercizio di molte professioni, dal commercio, dalle banche, dall‟editoria e
furono vietati i matrimoni fra Ebrei ed Ariani. Un evento che in particolare
dobbiamo ricordare è “La notte dei Cristalli”, tra il 9 e il 10 novembre del ‟38,
quando in Germana si scatenò una vera e propria” caccia all‟ebreo”, molti furono
gli ebrei assassinati, migliaia i feriti, decine e decine di negozi dati alle fiamme e le
vetrine frantumate, che caratterizzarono quella tragica notte.
Gli stretti rapporti con la Germania nazista portarono l‟Italia mussoliniana, a
dover abbracciare questi ideali, facendo entrare in vigore Le leggi Razziali e
inculcando idee antisemite nella popolazione stessa.
Ed è ora che comincia il vero e proprio sterminio per
un totale di oltre 6 000 000 di persone.
Adesso ritorniamo a quel drammatico 16 Ottobre. La
razzia cominciò poco prima delle cinque e trenta, e
scrupolosamente, gradino dopo gradino, i nazisti
salirono le larghe scale di marmo della casa
fermandosi ad ogni porta senza tralasciarne nessuna.
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Gli ebrei furono presi in strada, nella piazza, nei bar e fatti salire nei camion diretti
chissà dove. Furono arrestati soprattutto dalle SS Tedesche e dai Fascisti, ma
anche dalle così dette” bande indipendenti” come quella di Cialli Mezza Roma, di
Remo Galeriani, delle sorelle di Porto, Irene e Celeste, o delle sorelle Spizzichino,
Letizia ed Elvira, anch‟esse ebree che segnalavano i fuggitivi o le persone nascoste
in abitazioni ariane ai Nazisti per salvaguardarsi in prima persona. Vi è inoltre
una digressione sul personaggio di Remo Valeriani, il quale, si dice, era solito
minacciare gli Ebrei, che venivano condotti in Questura, con una rivoltella che
teneva nascosta.
Una testimonianza dei fatti accaduti in quel giorno e nei giorni a seguire ci viene
fornita da Rosa Di Veroli, la quale narra degli avvenimenti accaduti alla sua
famiglia. I Di Veroli riuscirono a sfuggire alla deportazione nazista poiché si
rifugiarono, le donne presso le Madri Pie Filippine, gli uomini nel convento di San
Benedetto. Tuttavia, Rosa, testimonia come, successivamente, suo padre e suo
fratello vennero comunque individuati dai nazisti poiché si erano dovuti trasferire
in una fabbrica di camice, a seguito dei bombardamenti che avevano distrutto il
convento. Essi morirono poi fucilati dai Tedeschi in quanto facevano parte dei 335
italiani uccisi a seguito della morte di 14 SS.
Un ulteriore documento ci è dato dalla pietra
di inciampo recante il nome di Costanza
Sonnino, presente tutt‟ora in Via Portico
d‟Ottavia 13. Le pietre d‟inciampo sono di
fatto testimonianze molto importanti poiché
ricordano vittime ebree dell‟Olocausto o
persone ritenute “scomode” al regime
nazista come rom, omosessuali, testimoni di
Geova, oppositori politici, portatori di
handicap, zingari, malati di mente ecc. Esse
vengono depositate di fronte le abitazioni dei
deportati come se fossero dei sampietrini
permettendo di dare una nuova identità a
coloro che erano stati ridotti solo ad un numero.
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Tutti questi racconti, insieme ai molteplici
documenti storici, ci fanno capire quanto
la sete di potere umana e il delirio
d‟onnipotenza dell‟uomo possa produrre
effetti devastanti. Quando, infatti, un
uomo cerca di prevaricare l‟altro riduce la
propria esistenza simile a quella di un lupo
che lotta con altri lupi per il posto migliore
nel branco. L‟umanità durante il nazismo
si è spogliata dei suoi valori ed ha lasciato
che l‟odio, il disprezzo, la rabbia, annientassero ogni forma di amore e rispetto
producendo un orrore incommensurabile e che fa rabbrividire al solo pensiero.
Le testimonianze, la storia, i documenti, diventano perciò doppiamente essenziali
perché, da un lato ridanno dignità alle vittime di questo orrore, in quanto solo
conoscendo, studiando e avendo davanti agli occhi i resti di ciò che è stato
possiamo capire che la grandezza di un popolo non può basarsi su genocidi, odi,
razzismi, ma sulla profonda condivisone, tolleranza e rispetto dell‟altro, nella sua
diversità etica, morale e culturale.
Cecilia Veglia
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Relazione: Modalità di rastrellamento e testimonianze
del 16 Ottobre del „43
La Germania, dopo il crollo della borsa di
Wall Street (24 Ottobre 1929 - il
cosiddetto “Giovedì nero”) , assieme agli
Stati Uniti e al resto dell‟ Europa, cadde in
una profondissima crisi.
Approfittando di questo calo, proprio
come aveva fatto Benito Mussolini in
Italia, l‟estrema destra di Adolf Hitler o
anche FUHRER,come cominciò a farsi
chiamare; e il suo partito
nazionalsocialista presero il potere.
Questo nuovo regime politico, che non
impiegò molto tempo per rivelarsi
totalitario, si basava su tre punti
fondamentali :
- Un nazionalismo esasperato; in quanto la Germania doveva riacquistare un ruolo
di grande potenza;
- L‟ avversione alla democrazia e al socialismo; e
- Il razzismo; che era basato soprattutto sull‟odio degli ebrei. Quest‟odio
particolare però, era anche rivolto agli omosessuali, agli zingari, ai portatori di
handicap, ai testimoni di Geova, ai dissidenti politici, ai sinti e a tutti coloro che
non erano parte, secondo i nazisti, della RAZZA ARIANA, quella perfetta, dove
tutti gli uomini erano biondi, alti e con gli occhi azzurri; proprio come il monaco
svizzero Ario, da cui il nome della razza, che abitò l‟antica Germania secondo
un‟antica leggenda popolare.
Il nazismo di Hitler è famoso
per le sue torture e per le
persecuzioni contro persone del
tutto innocenti, tant‟è vero che
gli ebrei, ad esempio, partendo
dalla messa in pratica dei
nazisti, che ebbe inizio durante
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la così detta “Notte dei Cristalli”; vennero rinchiusi nei “ghetti” , obbligati a
vivere secondo delle leggi, che passarono alla storia come leggi di Norimberga, dal
nome della città tedesca da cui vennero emanate nel 1935 .
I ghetti erano soltanto delle soluzioni
temporanee per mantenere a bada gli
ebrei fino alle deportazioni nei campi di
lavoro e di sterminio. Tali deportazioni,
avvennero attraverso i rastrellamenti e i
pogrom, che furono istituiti in Polonia
nel 1941. Cominciò così la vera e propria
“SOLUZIONE FINALE”, attuata dai
tedeschi stanchi di anteporre le teorie alla
pratica!
Il nazismo di Hitler arrivò anche in Italia, a causa del nostro totalitarismo fascista
e dell‟alleanza fra Italia e Germania, “L‟asse Roma - Berlino”. Di conseguenza
anche le leggi razziali, come anche i rastrellamenti e i progrom. Tra i
rastrellamenti in Italia, quello più famoso, poiché infinitamente tragico, risale al
16 Ottobre 1943.
All‟inizio poteva apparire un sabato mattina come tanti altri. Qualcuno, con la
consapevolezza del giorno di festa, decise di prendersi qualche oretta di riposo in
più; altri erano andati a lavorare ignorando le solite abitudini; altri ancora, invece,
si erano recati alle porte del ghetto per la consegna mensile di sigarette.
Ben presto però, questa “tranquillità”, venne a mancare.
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Si sentirono in lontananza degli spari da parte delle SS tedesche e poi, verso le
cinque e trenta, la razzia cominciò.
I tedeschi bussavano alla porte come a tirarle giù, incutendo immenso terrore tra
la gente. Coloro che non avrebbero potuto resistere né al
viaggio né all‟ interno del campo, vennero sparati al momento. Altri cercarono di
scappare dalle finestre, attraverso i giardini o i balconi aiutandosi con i loro vicini.
A causa della fretta era normalissimo scivolare sui gradini delle abitazioni, i quali,
se ora potessero parlare, racconterebbero la storia di tutte quelle grida e di quei
pianti; proprio come farebbero i muri, che furono testimoni di numerosi via vai di
tedeschi e di ebrei.
Di questo caos e di tutte quelle vittime furono la causa anche i delatori e le
delatrici, tra cui ricordiamo le tre sorelle spizzichino,Elvira, Letizia e Graziella;
Cialli Mezzaroma e un'altra coppia di sorelle, Irene e Celeste Di Porto.
Per quanto furono odiate le sorelle
Spizzichino, le loro pietre d‟ inciampo ( una
memoria dei cittadini deportati nei campi
di sterminionazisti, presenti davanti alle
abitazioni che sono state teatro di
deportazioni. ) in via Santa Maria in
Monticelli; furono estratte dal selciato delle
strade e mal conciate; in quanto tutti
erano convinti del fatto che nessuna delle
tre meritasse un ricordo, figuriamo un San
Pietrino!
Celeste Di Porto, invece, aveva istituito un odio
particolare per gli ebrei in quanto erano tutti
contrari al suo matrimonio con un ricco tedesco
di cui lei era follemente innamorata.
Per riparare ai danni che commise sua figlia, il
papà di Celeste, dopo aver pagato enorme
somme di denaro agli ebrei, si consegnò
spontaneamente alle SS.
http://it.wikipedia.org/wiki/Memoria_collettivahttp://it.wikipedia.org/wiki/Deportazionehttp://it.wikipedia.org/wiki/Campi_di_sterminiohttp://it.wikipedia.org/wiki/Campi_di_sterminiohttp://it.wikipedia.org/wiki/Nazismo
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Il 16 Ottobre viene anche descritto da un famoso poeta fondato, Libero de Libero,
il quale vivendo a Roma, nel suo diario intitolato “Borrador”, descrive il momento
del rastrellamento: “I
tedeschi seguitano a minare la terra sotto i loro stessi piedi. Oggi hanno iniziato la
razzia delle famiglie ebree: mogli e mariti e figli,giovani vecchi fanciulli presi e portati
via su mostruosi camion coperti. Chissà dove,chissà dove. Penso ad essi, vittime
disperate, che a quest’ora (piove a dirotto,fa freddo, si sente l’inverno) giacciono
ammucchiati in chissà quale luogo.”
Proprio con queste parole de Libero inizia a descrivere quel pomeriggio freddo
d‟Ottobre; il quale si prospetta pieno di pensieri per il poeta, che, mentre si rifugia
tra i contadini della campagna romana, non fa altro che pensare a tutte quelle
persone innocenti che, nonostante il freddo, il gelo e la pioggia siano state portate
chissà dove.
Attualmente possediamo molte testimonianze dirette di ebrei che proprio quel 16
Ottobre del 1943 si trovano nel ghetto e vissero quel momento. Una di queste è
quella di Rosa o Rosina Di Veroli. Questa donna, un tempo ragazzina di circa 14 o
15 anni, è figlia di Letizia di Trivoli e Donato di Veroli e costituisce una delle più
lucide testimonianze ebraiche. Rosa abitava in via Portico d‟Ottavia numero 13
assieme ai suoi 8 fratelli e sorelle e ai suoi genitori. Quella mattina la mamma di
Rosa aveva lasciato il tavolo da pranzo ancora apparecchiato, per via di una
credenza religiosa ebraica, quando sentirono la gran confusione che vi era fuori.
La ragazza e la sua famiglia fecero in tempo a sfuggire ai tedeschi e a rifugiarsi in
un convento nei pressi del Gazometro. Questo convento era diviso in due parti: da
una parte vi erano i monaci, i quali ospitarono gli uomini della famiglia di Veroli;
l‟altra parte invece era abitata da alcune monache “Madre Pie Filippine”, che
accolsero le donne della famiglia, tra cui Rosa. In questo luogo Rosa, per non
sentirsi inutile e di intralcio decise di fare dei lavoretti per impiegare il suo tempo
libero; infatti aiutò molto spesso nel fare le pulizie dell‟edificio e cercò di dare una
mano anche con i bambini dell‟oratorio, dato che a lei sarebbe piaciuto diventare
una maestra. Quando non lavorava in convento, impiegava il suo tempo per
comprare qualcosa da mangiare per lei e la sua famiglia; come il formaggio, di cui
era golosa. Una mattina, il 23 Marzo 1944, mentre andava a comprare il
formaggio, non solo si trovò a Via Rasella durante la rivolta dei partigiani contro i
tedeschi, ma al suo ritorno trovò il convento in fiamme.
Vedendo ciò lei e la sua famiglia cominciarono disperatamente a cercare un altro
rifugio, infatti, ben presto, trovarono un riparo temporaneo in una fabbrica di
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camicie, di cui la proprietaria era una signora simpatica e tanto gentile, la quale
però poté dare riparo alla famiglia solo durante la notte. Il giorno successivo, la
famiglia, decise di nascondersi nel teatro Marcello. Qui però furono visti da un
amico del padre di Rosa, il quale, forse un delatore, riferì il nascondiglio della
famiglia alle SS, che decisero di mettere il padre di Rosa, in quanto capofamiglia,
in carcere. Il fratello quattordicenne di Rosa, pur di non lasciare suo padre da solo
in quella brutta situazione, decise di consegnarsi volontariamente ai tedeschi.
Entrambi, poi, vennero imprigionati nel terzo braccio di Regina Coeli, da dove
vennero presi per essere fucilati nelle Fosse Ardeatine con altri 333 uomini, tratti
per la maggioranza dalla strada e per la restante parte dal carcere di Via Tasso.
Se parliamo dell‟eccidio delle Fosse Ardeatine, avvenuto il 24 Marzo ‟44, è
d‟obbligo citare ancora una volta il nostro caro de Libero in quanto scrisse un
importantissima poesia per tutte le vittime; dimostrandosi ancora una volta in
grado di immedesimarsi nei panni di tutti coloro martiri di questa brutta pagina
della storia dell‟umanità:
” Erano creature erano pensieri
Ora eterni nomi e un onda di pece
Le pianure hanno sommerso di tanti occhi,
e il grano è sempre nuovo.
Ritorni a tessere radici l‟alba
Di quel marzo con l‟urlo che la schianta,
il sole abbandoni il suo teschio nero
alla fame di belve condottiera.”
Altre testimonianze di poeti che fanno riferimento alla
situazione dei bombardamenti o degli eccidi tedeschi
sono: PRIMO LEVI, SALVATORE QUASIMODO,
UMBERTO SABA, LORENZA MAZZETTI E ANNA
FRANK.
Primo Levi inizialmente, per quanto riguarda la Shoah,
ci parla della sua cattura con il suo racconto intitolato
”L‟inizio del viaggio”, tratto dal libro “Se questo è un
uomo” . In questo racconto esprime tutte le sue angosce
e preoccupazioni relative a quello che gli stava per
succedere. Con la poesia “La Bambina di Pompei”
invece vuole darci l‟immagine di una bambina morta
http://www.google.it/url?url=http://blog.quotidiano.net/marchi/2013/07/31/compleanno-primo-levi-torino-31-luglio-1919-la-bambina-di-pompei/&rct=j&frm=1&q=&esrc=s&sa=U&ei=UkURVfjlKcz5UtOJhMgN&ved=0CB4Q9QEwBA&usg=AFQjCNGVH0vEI5346ObNh2Qx9o1UYeSnXg
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,duemila anni fa,durante l‟eruzione del Vesuvio; che pian piano, ci aprirà uno
scenario sulla distruzione totale creata dall‟uomo; dalla persecuzione degli ebrei,
facendo riferimenti ad Anna Frank; fino all‟esplosione di una bomba atomica.
Anna rappresenta non solo una semplice “Fanciulla d‟ Olanda murata fra quattro
mura che pure scrisse la sua giovinezza senza domani”; ma è considerata anche il
simbolo di tutte le vittime tedesche; che siano bambini,neonati,adolescenti,adulti
o anziani. Si ha questa considerazione di Anna Frank per il suo diario scritto nel
periodo in cui lei e la sua famiglia si nascondevano dai nazisti e per la sua tragica
morte nel campo di concentramento di Bergen-Belsen.
Anche Lorenza Mazzetti,nipote di Albert Einstein, come
Anna Frank e Primo Levi, costituisce una prova sicura
degli eccidi tedeschi. Anche lei, come le altre
testimonianze precedentemente elencate, ha messo, nel
2011, la sua storia su carta. Nel suo libro “Il Cielo Cade”
infatti, descrive la sua storia assieme a quella della
sorella, per mezzo delle due protagoniste del libro Penny
e Baby, le quali, dopo aver affrontato la morte dei
genitori sono costrette anche a subire la morte della zie e
delle due cuginette, a causa dei tedeschi; e il suicidio dello
zio, che malgrado avesse le sue due nipotine su cui
contare; non resiste alla morte di sua moglie e delle sue
duefiglie.
Inoltre come testimonianze possediamo elencare quelle proposte da Salvatore
Quasimodo in “Milano, Agosto 1943” dove afferma che “I MORTI NON
HANNO PIU’ SETE” e da Umberto Saba con la poesia “ La Capra”.
Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s'è udito l'ultimo rombo
sul cuore del Naviglio: E l'usignolo
è caduto dall'antenna, alta sul
convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
http://it.wikipedia.org/wiki/Diario_(Anna_Frank)http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_concentramento_di_Bergen-Belsen
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i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.
Quasimodo in questa poesia si arrende al destino dell‟intera popolazione di Milano,
in quanto crede che non ci sia più nulla da fare. La mano dei sopravvissuti infatti
“cerca invano tra la polvere ” e l‟usignolo, che prima canticchiava sul tetto del
convento; ora è caduto anche lui.
“Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita”
Saba, invece, con la poesia “La capra”, vuole paragonare un capra incatenata agli
ebrei dipendenti dalle leggi razziali.
Altra testimonianza molto toccante che mi piacerebbe ricordare è quella di
Costanza Sonnino, alla quale possiamo far riferimento non solo grazie al libro della
storica Anna Foa, ma anche grazie alla sua pietra d‟inciampo messa di fronte al
portone di casa sua. Anche lei era ebrea ma nata a Roma il 4 Luglio del 1909, figlia
di Mosè Sonnino e Sara Moscati. Costanza, assieme alla sua famiglia e i suoi
genitori, decise di giocare d‟anticipo, infatti, già prima del 16 Ottobre si era
trasferita e nascosta a Capratica. A Roma abitava in via portico D‟Ottavia 13 e vi
era ritornata per partorire, in quanto già al nono mese di gravidanza. Invece di
fermarsi a dormire a casa della suocera però, ritornò nella casa del ghetto,
approfittando del fatto che dovette fare anche compagnia a sua sorella e ai suoi
due bambini Giuditta di 14 anni e Leone di 12. Malgrado le sue condizioni fu
arrestata ed deportata, come tutti, ad Auschwitz; in Polonia. Insieme a lei, anche
a sua sorella Speranza e ai suoi due figlioli non venne risparmiato nulla.
http://1.bp.blogspot.com/-b614MfpgqwM/T-gnRzgBTHI/AAAAAAAAAJ0/7db2LO5AFJ0/s1600/capra-saba.jpg
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Una delle pagine più brutte della nostra storia …
Francesca, Paola di Fazio
RELAZIONE SUL LIBRO Di ANNA FOA
“Portico d‟‟Ottavia” - Fosse Ardeatine
In questo libro, “Portico D‟Ottavia 13” di Anna Foa, si parla del periodo storico
1943\45 e degli eventi accaduti in questi tragici anni. Un episodio che mi ha
colpito molto è stato quando il 23 marzo 1944, i partigiani si ribellarono contro
l‟11 Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment Bozen tedesco in via
Rasella perché volevano cacciare i tedeschi da Roma. Ma l‟attentato non andò
benissimo perché l‟esplosione non uccise tutto il battaglione tedesco. Quando la
notizia arrivò al comandante della piazza di Roma Kurt Malzer, lui diede il
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permesso di procedere alla vendetta per ì poveri kameraden e poco dopo arrivò
Kappler,colonnello tedesco alla caserma insieme al consigliere d‟ambasciata
Mollhausen a calmare la rabbia di Malzer. Questa notizia arrivò fino in Germania
ad Adolf Hitler che saputa la notizia disse arrabbiato, che per ogni tedesco morto
sarebbero dovuti morire tra i 30 a i 50 italiani. Il generale Von Mockensen e il
colonello Kappler ritennero opportuno che per ogni tedesco morto venissero uccisi
10 italiani. Per tutta la notte il colonnello Kappler cercò i 320 italiani da uccidere
ma era difficilissimo trovare così tante persone in una notte e lui quindi, chiese a
tutti i generali tedeschi una lista di 50 prigionieri. Prese la maggior parte dei
prigionieri nel terzo braccio di Regina Coeli e nella prigione di via Tasso. Nelle
notte viene comunicato a Kappler che era morto un altro tedesco quindi la lista si
aggirava su 330 italiani ma lui portò anche 5 in più così andarono a morire 335
italiani. La mattina seguente verso mezzogiorno il colonnello Kappler si diresse
verso la caserma del comandante Malzer per dargli la lista degli uomini che
sarebbero morti.
Il pomeriggio seguente tanti camion tedeschi si diressero alle Fosse Ardeatine, o
cava di Pozzolana o cave di tufo, lì i tedeschi fecero il genocidio di 335 italiani.
Essi uccisero gli uomini portandoli dentro le cave sparandogli alla nuca e quando
vennero uccisi tutti, fecero esplode le cave. Nelle dopoguerra, Herbert Kappler
venne processato e condannato all‟ergastolo da un tribunale italiano e rinchiuso in
carcere. Colpito da un tumore inguaribile, con l‟aiuto della moglie riuscì ad
evadere dall‟ ospedale militare del Celio, il 15 agosto 1977, e a rifugiarsi in
Germania, ove morì pochi mesi dopo, il 9 febbraio 1978.
I principali collaboratori di Kappler, l‟ex-capitano delle SS Erich Priebke, dopo
una lunga latitanza in Argentina, nel 1995 venne arrestato in Italia, ove,
processato, venne condannato all‟ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine.
Morirà a Roma l‟11 ottobre 2013.
Anche Albert Kesselring, catturato a fine guerra, processato e condannato a morte
il 6 maggio 1947 da un tribunale militare britannico per crimini di guerra e per
l‟eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu poi commutata nel carcere a
vita. Nel 1952 fu scarcerato per motivi di salute e fece ritorno in Germania, dove si
unì ai circoli neonazisti bavaresi.
Morì nel 1960 per un attacco cardiaco. Da quello che ho capito e studiato è che la
storia ci serva da lezione perché se si dovesse presentare un pazzo, come Hitler o
simili, bisogna fermarlo subito.
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RAFFAELE ZOLOFRA
Il 16 Ottobre 1943
Il 16 ottobre 1943 sicuramente è una data da non dimenticare, un periodo della
storia che ci fa riflettere sulla guerra, sulla natura dell‟uomo e sulla tragicità della
vita umana. Testimonianza di quanto è successo sono le pietre d‟ inciampo. Le
pietre d‟ inciampo sono un‟iniziativa del tedesco Gunter Demning per collocare nel
tessuto urbanistico e sociale delle città europee una memoria diffusa dei cittadini
deportati nei campi di sterminio nazisti. L‟ iniziativa consiste nell‟ incorporare nel
selciato delle città davanti alle abitazioni che sono state teatro di deportazione, dei
blocchi in pietra muniti di una piastra d‟ ottone. L‟ iniziativa è partita a Colonia
nel 1995 e ha portato nel 2015 all‟ installazione di 50.000 pietre in vari paesi
europei: Germania, Austria, Polonia, Italia ecc…E‟ da sottolineare che la maggior
parte delle pietre d‟ inciampo, ricordiamo vittime ebree dell‟olocausto, alcune sono
in memoria di persone, gruppi etnici e religiosi ritenuti indesiderabili dalla
dottrina nazista e fascista: omosessuali, oppositori politici, rom, zingari ecc… Ciò
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ci porta a pensare come è perversa la mente umana. Io ho rivissuto quei momenti
della nostra storia attraverso la lettura di un libro di Anna Foa “Portico d‟
Ottavia 13”. Questo libro mette in luce ciò che è accade in, un‟antica casa
medievale, ormai semi-distrutta… E‟ proprio in questa abitazione che il 16
ottobre 1943 i nazisti arrestarono più di trenta ebrei, un terzo dei suoi abitanti, tra
i più poveri della comunità. Sono per lo più donne, vecchi e bambini catturati e
trattati come oggetti, senza pensieri, senza un‟anima e senza nemmeno un nome
considerando che, al posto dei loro nomi c‟ erano dei numeri. Una cosa vergognosa,
profondamente vergognosa! Grande studiosa e ricercatrice di quest‟ anni
indimenticabili è Anna Foa che grazie a delle testimonianze ci riporta indietro nel
tempo, ed eccoci in quella casa in quel lontano ma pur sempre vicino al 1943.
Ricordiamo con grande affetto le storie di alcune delle tante famiglie che fecero
questa negativa esperienza di vita. Vediamo come la scrittrice attraverso un
linguaggio semplice e profondo descrive in modo accurato la personalità di Rosina
che è un membro della famiglia di Attilio di Veroli e fu una testimone di quanto
accade in quel periodo. Era la seconda figlia di Veroli e fu intervistata sulla
situazione di quegli anni. Fu l‟unica intervistata rilasciata sulla Shoah Foundation
cioè colei che è sopravvissuto in quei tragici giorni. Rosina ricorda con lucidità ciò
che è successo alla sua famiglia. La madre in quel indimenticabile giorno, era in
preda all‟ ansia e si affacciava sempre alla finestra perché aveva paura di essere
scoperti. Una donna chiamata la cornacchia, incitava gli altri a lasciare le
abitazioni. I Di Veroli, vestiti come potevano riuscirono a fuggire dal retro della
casa. Arrivarono verso le undici e trenta nella parrocchia di San Benedetto e
bussarono alla porta e Rosina ricorda come il parroco gli fece entrare volentieri.
Però ben presto suo padre e suoi fratelli vennero arrestati perché un loro
conoscente aveva fatto l spia. Rosina nel frattempo aveva cambiato identità per
non farsi riconoscere. La figura di Rosina si può affiancare alla vicenda di altri
situazioni simili come quella della famiglia di Marco di Veroli. Nella deviazione
che si apre al pian terreno sulla sinistra, in cima ad una scaletta di pietra, abitava
una famiglia che fu completamente distrutta dalla razzia del dodici ottobre, quella
di Marco di Veroli, la sua era una famiglia numerosa con ben nove bambini, fra i
nove e i diciassette anni. Tutti furono arrestati, tutti perirono ad Auschwitz. Il
padre aveva quarant‟ anni e faceva il facchino, la madre Fortunata di Porto ne
aveva quarantatre e faceva la cucitrice. Insieme a loro abitavano anche il fratello
di Marco, Leonardo che faceva il commerciante con sua moglie Ester Calò, in tutto
erano tredici persone. Leonardo ed Ester non avevano figli e nessuno dei due fu
arrestato. Forse tra il 1938 e 1943 avevano cambiato casa o si erano nascosti. Della
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famiglia di Marco, Fortunata fu uccisa insieme ai sette figli fra i tredici i due anni,
già all‟ arrivo ad Auschwitz senza essere immatricolata. Marco divenne la
matricola numero 158545 e morì in un luogo ignoto dopo il 1945, durante la
marcia della morte. Anche delle due figlie più grandi, Enrica e Pina non sappiamo
nulla, se non il nome e in quale appartamento abitavano. Queste come ho detto
prima, sono solo alcune delle tante storie degli abitanti della casa e dei nove mesi
segnati per gli ebrei romani da oltre duemila deportazioni. Sono stati presi
ovunque: per strada, nel quartiere del vecchio ghetto, nelle stesse case, nei negozi,
dappertutto insomma... Li arrestano soprattutto i fascisti, le bande di Kappler
mosse per denaro o semplicemente per il gusto di fare del male. Tutto può accadere
ed è la crudeltà la protagonista, o meglio ancora la “caccia spietata all‟ uomo”. Si
manda a morte anche solo per un capriccio. Gli occhi non vedono che orrore,
bombardamenti, fame, rastrellamenti e morte. I nazisti come dei cacciatori vanno
in cerca delle loro prede e sanno dove trovarle.
Riccardo Biasillo
16 Ottobre 1943
Il 16 ottobre 1943 è una triste data per la comunità ebraica di Roma e per tutta la
città, infatti in quel giorno vennero catturati 1024 ebrei per essere inviati nei
campi di sterminio. Fu scelta questa data poiché essendo il sabato festivo per gli
ebrei, Kappler pensava in questo modo di sorprenderli e catturarne di più.
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In effetti gli ebrei romani, nonostante le leggi razziali del 1938, non si aspettavano
di essere deportati, sia perché pensavano che i tedeschi non avrebbero usato la
violenza nella città del papa, sia perché avevano pagato a Kappler un riscatto di
50 kg di oro, faticosamente raccolti nella loro comunità e con piccole donazioni di
gente comune in segno di solidarietà agli ebrei.
La razzia iniziò poco dopo le 5:00 del mattino, quando le SS invasero le strade del
ghetto di Roma, portando con loro gli elenchi con i nomi e gli indirizzi delle
famiglie ebree. Avevano l‟ordine di rastrellare tutti: uomini, donne, bambini,
anziani malati e perfino neonati. Molte famiglie vennero sorprese nel sonno.
Circa 30 degli ebrei rastrellati, vennero presi dalla casa medievale che si trovava al
numero 13 di via Portico d‟Ottavia. Questo indirizzo dà il titolo ad un libro scritto
da Anna Foa, che racconta le storie degli abitanti della casa durante i nove mesi
nei quali il quartiere ebraico diventa la sede di una spietata caccia all‟uomo.
Questa caccia venne portata avanti non solo dalle SS, ma soprattutto dai fascisti
che venivano informati da spie e delatori attratti dalla ricompensa. Una banda
che si distinse per la sua ferocia fu quella Cialli Mezzaroma che si avvaleva della
collaborazione di Celeste Di Porto, un‟ebrea che fu una delatrice molto attiva,
soprattutto successivamente all‟attentato di via Rasella, ad opera dei partigiani,
nel quale morirono 33 soldati tedeschi. Infatti la Di porto segnalò i nascondigli di
26 ebrei che furono catturati e uccisi alle Fosse Ardeatine, la rappresaglia dei
tedeschi in risposta all‟attentato.
In tutto alle Fosse Ardeatine furono uccise 335 persone. La vittima più giovane fu
Michele Di Veroli che aveva solo 14 anni e che era detenuto insieme al padre
Attilio nel terzo braccio di Regina Coeli. Il resto della famiglia, come raccontato
nel libro di Anna Foa, riuscì a sfuggire al rastrellamento rifugiandosi in un
convento di suore e preti.
Il 18 ottobre, 18 vagoni piombati partirono dalla stazione Tiburtina di Roma,
diretti al campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, dove arrivarono 6
giorni dopo. All‟arrivo, vennero divisi in due gruppi: da una parte, uomini e donne
fisicamente sani e dall‟altra, quelli inabili al lavoro, che furono immediatamente
portati nelle camere a gas e uccisi.
Di tutti gli ebrei inviati ad Auschwitz dopo il rastrellamento del 16 ottobre,
sopravvissero solo 15 uomini ed una donna. Nessuno degli oltre duecento bambini
fece mai ritorno a casa. L‟unica donna sopravvissuta fu Settimia Spizzichino, la
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quale è stata negli anni successivi, fino alla sua morte, avvenuta nel 2000,
un‟importante memoria storica dell‟olocausto, pubblicando le sue memorie nel
libro “Gli anni rubati”. A Roma le sono stati dedicati: un viale nel Parco della
pace, una scuola media, un cavalcaferrovia tra via Ostiense e circonvallazione
ostiense.
Giulia Riccardi
Portico d‟Ottavia,13
Portico d‟Ottavia 13 è un palazzo in stile medievale con un giardino
rinascimentale, ma è anche un libro scritto dall‟ autrice ANNA FOA che spiega
meglio il rastrellamento e il significato della SHOAH. È un sabato ma non uno
qualunque è sabato del 16 ottobre 1943 e, nel Portico entrano i tedeschi che
catturano ebrei a caso, sono più di 30, tra cui donne, anziani e bambini colpevoli di
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niente e vittime sacrificali di un disegno spietato fatto da una mente contorta e
criminale. La scena provoca i brividi anche a chi legge, alcuni cercano di scappare
dalle finestre, altri si arrampicano sulle scale che portano sul tetto, tra pianti e
urla strazianti, così ci racconta Rosina di Veroli capì subito che doveva scappare e
andò a rifugiarsi in un monastero vicino al Gazometro, la torre Eifelle italiana, e lì
stette per 7 mesi. Una mattina Rosina andò a comprare il formaggio perché ne era
golosa, e al suo ritorno trovò il monastero in fiamme. Rosina durante la sua
testimonianza alla fondazione SHOAH FONDATION, parla dell‟uccisione di 335
italiani a causa dell‟attentato fatto dai partigiani in Via Rasella a Roma. Dopo
questo attentato vennero prese persone dal terzo braccio di REGINA CELI e
vennero portati alle Fosse Ardeatine che in quel tempo venivano usate per
prendere tufo e marmo. Vennero accese tutte le camionette per coprire il rumore il
rumore degli spari, venivano presi a caso in gruppi da 5, portati nella cava, fatti
sedere in ginocchio e piegare il collo e poi soldati o generali tedeschi li sparavano.
Dopo 4 mesi, il dottore Attilio Ascarelli iniziò l‟identificazione dei corpi e si scopri
il padre e il fratello della povera Rosina, addirittura si seppe che il fratello fu il più
piccolo a essere ucciso dai tedeschi, l‟unico 14enne. La loro fine non fu diversa da
quelli degli altri, vennero portati nelle cave e strappate alla loro vita. Ho
analizzato altre microstorie di altre persone, di altre vittime, una di quella che mi
è rimasta nel cuore, è stata la storia di Costanza Sonnino. Era incinta al nono mese
e appena arrivò nei campi subì un operazione per asportarle il bambino dal
grembo, purtroppo morì subito. Senza mai avere tra le braccia il suo piccolo e
godere della gioia della maternità. Grazie al libro ho scoperto l‟esistenza e il
significato delle “PIETRE D‟ INCIAMPO” che sono state ideate dal tedesco
GUNTER DEMNIG. Esse sono dei veri e propri SAN PIETRINI che vengono
collocati nelle vie di varie città europee per ricordare le vittime del genocidio di
HITLER. Due pietre d‟ inciampo vennero rubate e poi rimesse perché ricordavano
le sorelle SPIZZICHINO, che furono delle DELATRICI,cioè delle spie che
riferivano alle SS la posizione, la casa,gli appartamenti degli ebrei in cambio di
ricchezza e salvezza dai campi di sterminio. È bello immaginare che si inciampa
tra le pietre dei ricordi per entrare nella vita e rivivere la morte feroce delle vittime
del genocidio. La mia mente non dimenticherà mai gli occhi della signora Rosina,
la sua pelle rugosa è testimonianza di una storia che abbiamo il diritto di
ricordare, i suoi occhi hanno visto cose che noi solo immaginiamo, occhi che hanno
visto tanto ma il suo sorriso è il sorriso di chi l‟ha passate tutte. Grazie Anna
Foa!!!!Recchia Lorenzo
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Il 16 Ottobre 1943
Il 16 Ottobre 1943 i nazisti fecero irruzione nella zona del ghetto di Roma,
“Portico d‟Ottavia” dove vivevano numerose famiglie. Alcune di queste furono
deportate ad Auschwitz e interamente sterminate, in altre invece si salvò solo
qualche componente. I nazisti all‟interno della Casa salivano velocemente i gradini
e giunti davanti all‟abitazione, bussavano brutalmente con il calcio del fucile sulle
spoglie porte di legno, che talvolta buttavano a terra. Girovagavano per l‟intero
condominio con dei fogli in mano, liste sulle quali c‟era scritto il nome di ogni
ebreo da catturare. Spesso incontravano gli abitanti del palazzo mentre
scendevano le scale e pronti a catturarli gli chiedevano l‟identità e qualcuno più
fortunato che conosceva la lingua tedesca, molte volte riusciva a scampare
l‟arresto, come nel caso del carabiniere Terracina. Altre famiglie più premonite, si
rifugiarono prima della razzia fuori Roma, in paesetti come Velletri, Capranica e
Norcia. Molti ebrei venivano aiutati dal portiere della Casa che li avvisava e poi li
faceva nascondere presso persone di fiducia, altri portinai invece erano usati dal
regime da informatori e minacciavano di denunciare chi si nascondeva nelle case di
non ebrei. Inoltre una buona parte di quelli che quel giorno si salvarono, ci
riuscirono perché essendo il sabato giorno di festa, non lavoravano e
approfittavano per fare spese e compere necessarie per tutta la settimana, tra cui
l‟acquisto delle sigarette nei pressi dell‟isola Tiberina. Infatti molti uomini,
proprio dopo aver svolto queste faccende, al loro ritorno non trovavano il resto
della famiglia che era stato già catturato. Una famiglia che ebbe particolarmente
fortuna fu quella del signor Fatucci. All‟alba, Rosa, la moglie dell‟uomo si era già
svegliata e sentendo dei rumori si affacciò alla finestra. Dopo aver visto che alcuni
dei suoi coinquilini sedevano accalcati nei camion in moto, fece subito scappare i
suoi quattro figli maschi dal balcone e, attraverso un appartamento vuoto a
fianco, riuscirono a fuggire senza essere visti. Rosa e suo marito, al contrario,
approfittarono della confusione per andare via tra la gente e, dopo aver
peregrinato per una notte intera, la mattina del giorno seguente si rifugiarono in
un convento. Famiglie più sfortunate invece furono quella dei Vivanti dove ci
furono circa 10 vittime tra donne e bambini, e quella dei Di Veroli. Di questa
famiglia, abbiamo avuto occasione a scuola di sentire l‟intera storia raccontata
direttamente dall‟unica sopravvissuta, Rosina Di Veroli. Nell‟ intervista infatti,
ha parlato della sua vita e di come, insieme ai suoi cari, erano riusciti a sfuggire
all‟arresto in quella terribile mattina del 16 Ottobre. Lei e la sua famiglia appena
videro i nazisti riuscirono a scappare e trovarono rifugio presso il convento di S.
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Benedetto al gazometro. Questo convento era diviso in due sezioni: quella
maschile gestita dai frati, e quella femminile dalle suore. Lei per rendersi utile
aiutava la suore a svolgere le attività quotidiane e in più insegnava ai bambini
dell‟oratorio. Alcuni mesi dopo, precisamente il 23 Marzo, dopo che furono
costretti a cambiare rifugio poiché il convento era stato bombardato, ci fu
l‟attentato in via Rasella, nel quale persero la vita 33 soldati tedeschi. La notte tra
il 23 e il 24 marzo, suo padre e suo fratello che erano rinchiusi nel terzo braccio del
carcere di Regina Coeli, insieme ad altri 333 uomini, furono condotti alle Fosse
Ardeatine, per essere giustiziati, affinchè riscattassero la morte dei 33 tedeschi
avvenuta durante l‟attentato. Questa forse è una delle più tristi storie tra tutte
quelle degli ebrei assassinati in quegli anni. Un‟ altra che però non è passata
inosservata è quella della povera Costanza Sonnino. Costanza nacque a Roma il 4
Luglio 1909. Era figlia di Mosè Sonnino e Sara Moscati. Da ragazza visse con la
sua famiglia al portico in un appartamento centrale. Sposata con Vittorio Moscati
si nascose a Capranica prima del 16 Ottobre, ma proprio in quei giorni, poiché era
al nono mese di gravidanza, era tornata a Roma per partorire, lasciando nella casa
fuori città, con il resto della famiglia, il marito e il figlioletto Giovanni. Era
ritornata insieme a sua sorella Speranza e ai due figli di quest‟ultima, ma all‟alba
dell‟indescrivibile giorno di metà ottobre, furono prese entrambe con i due
bambini e all‟arrivo ad Auschwitz tutti furono subito inviati nelle camere a gas.
Tutte queste microstorie compongono la storia dell‟inverno 1943/1944 che per
tutti sembrava interminabile. Io non so quante persone da quell‟inverno ad oggi
sono ancora vive, ma anche se ce ne fosse uno soltanto andrebbe pluripremiato,
dal momento che non tutti riuscirebbero ad accantonare un passato così duro e
colmo di sofferenza per andare avanti.
Sara De Filippis
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RELAZIONE LIBRO “PORTICO D‟OTTAVIA”
Questo libro, scritto da Anna Foa, ha come tema centrale la razzia del ghetto di
Roma del 16 Ottobre 1943, quando le SS naziste entrarono bussando a tutte le
porte.
Di Questo rastrellamento non abbiamo foto, filmati ma testimonianze scritte che
servono a ricostruire quel terribile giorno. Questo libro, non ci fa ricordare soltanto
il periodo storico, ovvero quando i nazisti avevano il controllo su tutto e
obbligavano gli ebrei a rispettare le loro leggi raziali, ma soprattutto le persone
che furono prese dal ghetto e mandate alle Fosse Ardeatine e nei campi di
concentramento.
L‟elemento protagonista di questo libro è la casa del Portico D‟Ottavia 13 nel
ghetto,dove appunto avvenne la razzia. Questa casa, è molto grande, ha colonne,
tanti piani ed è come un labirinto, inoltre ha anche un giardino interno.
Il libro, ci parla del lungo inverno del ‟43, dove succedettero molte cose, fra
deportazioni, omicidi e bombardamenti; in alcuni casi, la gente, per sfuggire ai
tedeschi, aveva avuto il coraggio di buttarsi dalla finestra.
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Alcune persone, furono capaci di tradire la propria famiglia, come Celeste di Porto
che arrabbiata per questioni familiari rivelò ai tedeschi il nascondiglio degli ebrei.
Inoltre c‟era anche il pericolo del coprifuoco, che ti obbligava a rientrare in casa
dopo una certa ora. Noi in classe, abbiamo approfondito la microstoria di una delle
sopravvissute, Rosa Di Veroli la quale, si è rifugiata con la propria famiglia in un
convento per sfuggire ai tedeschi. Se si era fortunati, si trovava un convento dove
le persone erano gentili e ospitali.
Qui Rosa aveva trovato un passatempo da maestra, perché all‟intero c‟era una
piccola scuola.
Una mattina, mentre era uscita a fare compere, cadde una bomba proprio nel
negozio dove lei aveva comprato del formaggio. Così, insieme alla sua famiglia fu
costretta ad andare via dal convento perché i bombardamenti arrivarono anche lì.
Il libro, riporta anche le microstorie di molte altre persone che vissero nella zona
del ghetto, come Settimio Calò che come tanti altri uomini, aveva un deposito di
merci nella casa di fronte al Portico d‟Ottavia.
Un giorno, andato sull‟isola Tiberina a fare rifornimento di sigarette, al ritorno
non ha trovato più sua moglie.
Ovviamente tutta la merce che aveva un valore altissimo veniva sequestrata dai
nazisti.
Il 23 Marzo del ‟44 ci fu l‟attentato a via Rasella, dove i partigiani fecero esplodere
una bomba, uccidendo 33 tedeschi.
Per ogni tedesco morto vennero presi 10 italiani e mandati direttamente alle Fosse
Ardeatine.
Vennero prese anche altre persone dal terzo braccio di Regina Coeli, tra cui anche
il papà e il fratello di Rosa Di Veroli.
Il comandante Kappler poi fu processato, ma non per i 330 italiani, ma bensì per i
cinque presi in più.
Una volta uccisi con un colpo di pistola alla testa i tedeschi facevano esplodere le
cave per occultare completamente i cadaveri.
Il fatto venne a conoscenza solo dopo 2 mesi e tutti i familiari, con l‟aiuto di un
medico riuscirono a riconoscere tutti i loro parenti.
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L‟autrice ci trasmette degli stati d‟animo molto intensi, anche nel ricordare la
storia di ogni singola persona.
A volte, può sembrare difficile seguire la trama vista la grande quantità di
informazioni presenti e le storie di tutte le famiglie, però Anna Foa riesce lo stesso
a farci capire molto bene gli avvenimenti.
Giuseppe Parisella
Portico d‟Ottavia, 13
Io e la mia classe abbiamo letto il libro “Portico d‟Ottavia, 13” e nei primi
capitoli si parla del rastrellamento. L‟argomento che vorrei approfondire è il
16 Ottobre 1943. Abbiamo due testimonianze: il libro e quella di Rosina di
Veroli. Nel libro arriva il 16 Ottobre 1943 e i tedeschi iniziano a portare via
gli ebrei dalle loro case, alcuni cercarono di scappare anche senza
riuscirci,alcune donne pensando che prendessero solo gli uomini rimasero
nelle loro case ma sbagliando perché furono prese anch‟esse. Furono portati
fuori e messi in riga ad aspettare i camion che li avrebbero portati nei campi
di concentramento. Rosina di Veroli racconta che la sera prima, il venerdì,
lei e la sua famiglia avevano lasciato la tavola apparecchiata perché secondo
la loro credenza gli angeli sarebbero andati nelle case. La mattina seguente
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mentre la madre sparecchiava sentì dire a Elena “la Matta” che i nazisti
stavano arrivando e quindi bisognava scappare. Alle 11:30 Rosina e i suoi
familiari erano scappati e si fermarono nel convento di S. Benedetto dove
per occupare le loro giornate aiutavano a pulire, facevano la spesa e Rosina
insegnava ai più piccoli. Dopo il bombardamento dovettero scappare ma,
purtroppo avevano rifugio solo di notte in una fabbrica di camicie e il giorno
dovevano girovagare. Il 23 Marzo del 1944, a via Rasella ci fu un attentato
da parte dei partigiani che uccise trentatre tedeschi e così fu appeso un
manifesto in cui si diceva che per ogni tedesco ucciso sarebbero morti dieci
italiani. Per questo attento furono presi anche il padre e il fratello di Rosina
e portai nel terzo braccio di Regina Coeli. Furono portati
trecentotrentacinque deportati, cinque uomini in più per sicurezza, alle
Fosse Ardeatine e a gruppi di cinque furono uccisi con un colpo alla testa.
Una volta uccisi tutti, le entrate furono chiuse per evitare che i corpi
venissero trovati. Dopo sette mesi, però furono trovati e l‟umidità causata
dal tufo delle Fosse Ardeatine fece in modo che i corpi rimasero intatti. Il
dottore Attilio Ascarelli, prendendo ciocche di capelli e oggetti personali
fece in modo che i parenti riconoscessero le vittime. L‟uccisione alle Fosse
Ardeatine fu commessa dal generale Kappler che verrà poi processato nel
1947 e incarcerato a Gaeta da dove riuscirà a scappare, anche se poi venne
catturato di nuovo. Per ricordare questi morti furono costruite le pietre
d‟inciampo, pietre di ottone con su scritto il nome, la data di nascita, luogo
e data di morte (se conosciuta), da Gunter Demnig, hanno la misura di un
sampietrino (10cmX10cm) e vengono messe davanti la casa delle persone
morte, con il consenso dei condomini che abitavano i palazzi. Adesso sono
cinquantamila e la cinquantamillesima è stata sistemata a Torino.
Consuelo Perricone
Portico d‟Ottavia
Il libro Portico d Ottavia 13 parla del razzismo in Italia e degli ebrei che sono stati
deportati da questo ghetto in via Portico d Ottavia 13.
Le persecuzioni in Italia sono iniziate a causa delle leggi razziali messe da Hitler in
Germania nel 1935 e da Mussolini in Italia nel 1938.
Questo è un libro storico, formato da tante microstorie.
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Il 16 ottobre 1943 a Roma i Tedeschi sono entrati nelle case degli ebrei e le hanno
deportate nei campi di concentramento, delle persone sono anche riuscite a
scappare come Rosina Di Veroli, altre invece no per esempio Costanza Sonnino.
Tutto cominciò all‟alba e mentre la gente dormiva, i Tedeschi entravano nelle loro
case e li prendevano e li portavano ad Auschwitz nei campi di concentramento e li
facevano lavorare duramente.
Questa storia andò avanti per molto tempo, ma il 23 Marzo del 1944 a via Rasella
i Partigiani per vendicarsi dei Tedeschi fecero scoppiare una bomba. Morirono 35
Tedeschi, e Kappler oridinò di uccidere 10 italiani per un Tedesco ucciso.
Furono portati alle Fosse Ardeatine che sono delle cave di tufo, alcuni dei
prigionieri del carcere di via Tasso e del carcere del 3 Braccio: in tutto 330
prigionieri, ma poi ne aggiunsero 5 perché nella notte tra il 23 e 24 Marzo mori un
altro Tedesco. Furono portati alle Fosse e vennero uccisi tutti, e dopo misero una
bomba alle Fosse per cancellare le tracce del massacro.
Il dottor Attilio Ascarelli analizzò tutti i corpi che c‟erano nelle Fosse Ardeatine e
restituì alle famiglie delle persone morte le cose dei familiari che avevano trovato.
Il 4 Luglio gli Americani liberarono Roma.
Tra tutte le microstorie che ci sono nel libro, la più importante è quella di
Costanza Sonnino, che viene ricordata grazie ad una Pietra D‟Inciampo a suo
nome davanti al Portico D‟Ottavia.
Le Pietre D‟Inciampo le inventò l‟artista tedesco Gunter Demnig, e le ha collocate
in tutti i paesi dove è avvenuta la Deportazione.
Le Pietre D‟Inciampo sono dei blocchi in pietra muniti di una piastra in ottone;
fra le Pietre D‟Inciampo, ricordiamo quelle delle sorelle Spizzichino, che sono delle
sorelle ebree delatrici.
Qualcuno ha levato le loro Pietre D‟Inciampo, perché sostenevano che loro non
meritavano di essere ricordate.
Grazie alle Pietre D‟Inciampo e alle Testimonianze delle persone sopravvissute,
noi possiamo ricostruire e ricordare le storie di persone che hanno visto scene
orribili; hanno visto uccidere molte persone innocenti.
Maria Tobei Balu
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Relazione
Nel libro “Il portico di Ottavia 13” di Anna Foa si parla della razzia del 16 ottobre
1943. La razzia iniziò verso le 5:00 in cui i tedeschi delle SS entrarono nella “casa”
per prendere gli ebrei. Ne presero 35 perché molti si salvarono scappando dalle
finestre oppure come altri che si erano salvati perché erano usciti al mattino per
prendere le sigarette. Anche Rosina Di Veroli riuscì a sfuggire ai nazisti grazie al
vescovo del convento che venne a chiamare il padre di Rosina così loro si
andarono a rifugiare nel convento. Ogni giorno Rosina andava a prendere il pane
ed il formaggio al solito negozio ma un giorno lo trovò bombardato e così capì che
dovevano abbandonare il convento. Poi un giorno il padre ed il fratello di Rosina
vennero presi dai nazisti e poiché il figlio non voleva abbandonare il padre venne
preso anche lui. Nel 23 marzo del 1944 i partigiani fecero esplodere una bomba a
via Rasella e per questo morirono 32 tedeschi. Il generale Kappler dopo questo
attentato decise di uccidere 10 italiani per ogni tedesco ucciso. Kappler portò tutti
gli italiani presi dal carcere di via Tasso e quelli del terzo braccio di regina Coeli
alle fosse ardeatine dove morirono 335 italiani tra cui il padre ed il fratello di
-
Rosina Di Veroli. I tedeschi, dopo aver ucciso gli italiani,fecero crollare la cava di
tufo. Le pietre d‟ inciampo sono dei sanpietrini d‟ ottone posti davanti alle
abitazioni delle vittime con su scritto il loro nome. Per la prima volta questa
“tradizione” venne ideata in Germania precisamente a Colonia.
Puglianiello Alessandro
Recensione Finale
Il libro Portico d‟Ottavia è stato scritto da
Anna Foa una studiosa dell‟età moderna.
Prendendo in esame la persecuzione subita dagli ebrei romani durante
l‟occupazione tedesca della città tra il Settembre del 1943 e il Giugno 1944. La
particolarità del libro è data dalla scelta di concentrare l‟attenzione su un singolo
edificio: un antico fabbricato di una casa in via Portico D‟Ottavia 13, luogo che
era stato il ghetto di Roma. In questo libro viene rappresentato l‟edificio che nel
1943 era abitato interamente da ebrei. Luogo affascinante e misterioso con logge
ed un cortile. In molte pagine traspare l‟aspetto autobiografico che sta alla radice
del libro. L‟autrice infatti ha abitato in questo edificio per dodici anni. Il libro è
diviso in nove capitoli ma la parte più interessante per me, riguarda il punto che
approfondisce la deportazione di questi ebrei presso i campi di sterminio nazisti.
Qui emerge la paura di queste persone costrette a fuggire dalla finestra e dai tetti.
Commovente è l‟episodio in cui viene descritto la cattura di una donna incinta che,
pur essendo sfollata in provincia, in quei giorni era tornata a Roma per partorire;
stessa sorte toccata ad un‟altra donna che insieme ai figli si era fermata a dormire
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dai parenti. Molto interessante risulta la costruzione della casa e dei suoi abitanti
dopo il 16 Ottobre (cap. 3).Qui traspare la forte volontà di coloro che erano
scampati al rastrellamento di tornare nelle proprie abitazioni, anche solo per
qualche giorno, nonostante il rischio di essere individuati, emerge il loro legame
con la casa e con la famiglia ;la relazione tra ebrei e non all‟ interno del quartiere
che grazie alla conoscenza reciproca potevano attivare forme di protezione e
soccorso, ma anche rendere più facile la cattura. Presente l‟aspetto antisemita di
fascisti che arrestavano tutti gli ebrei che individuavano senza differenza di donne
e bambini. Il libro è stato molto interessante, in quanto riproduce
dettagliatamente storie individuali e famigliari avvenute nella seconda guerra
mondiale. Leggendo il libro mi sembra ritornare a quel periodo in cui la vita delle
persone veniva spezzata via dagli orrori della guerra.
Pier Paolo Di Manno