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PONTIFICIO ISTITUTO BIBLICO SEMINARIO PER STUDIOSI DI S. SCRITTURA [2630 GENNAIO 2015] Sedute seminariali del pomeriggio Un episodio decisivo per lo sviluppo della trama nel Vangelo secondo Marco: Mc 8,27-33. L’analisi narrativa tra singola pericope e intero Vangelo Prof. Paolo MASCILONGO [lunedì 26 gennaio] Il lavoro di seminario utilizzerà, a partire dall’esempio specifico di Mc 8,27-33 (la mia prima area di interesse, studiata per il dottorato, ora AnBib 192), alcuni strumenti tipici dell’analisi narrativa dei racconti biblici per analizzare il testo marciano, privilegiando l’at- tenzione all’intero racconto di Marco e alla sua trama, piuttosto che al singolo episodio. In particolare, sarà possibile offrire elementi di studio su questi aspetti del metodo: trama, personaggi, rapporto tra diegesi ed extradiegesi. Il seminario presuppone alcune conoscenze di base di analisi narrativa, reperibili sui consueti manuali: Ska, Marguerat-Bourquin, Resseguie. Utili anche i commentari (van Ier- sel, Heil, Focant, Cuvillier) e gli studi dedicati all’intero vangelo di Marco che utilizzano metodologia narrativa, o simile (Rhoads-Michie-Dewey, Fowler, Bourquin, van Oyen). Per chi lo desidera, allego due testi che possono preparare la discussione e agevolare la comprensione: - l’Appendice II della mia tesi di Dottorato (AnBib 192) – Glossario narrativo; - un mio articolo pubblicato su AnBib 200 (FS Aletti) sul ruolo di Pietro a partire da Mc 8,27-33. Infine, qualche altro testo, ciascuno dei quali può essere utile per un approfondimento: ALETTI, J.-N., “La construction du personnage Jésus dans les récits évangéliques. Le cas de Marc”, in C. FOCANT – A. WÉNIN (edd.), Analyse narrative et Bible. Deuxième Colloque Inter- national du RRENAB, Luovain-La-Neuve, Avril 2004 (BEThL 191; Leuven 2005) 19-42. BONIFACIO, G., Personaggi minori e discepoli in Marco 4–8. La funzione degli episodi dei perso- naggi minori nell'interazione con la storia dei protagonisti (AnBib 173; Roma 2008). FABRE, J.-P., Le disciple selon Jésus. Le chemin vers Jérusalem dans l'évangile de Marc (Le livre et le rouleau 45; Paris 2014). FOCANT, C., “La construction du personnage de Simon-Pierre dans le second évangile”, ijn C. FOCANT (ed.), Marc, un évangile étonnant (BEThL 194; Leuven 2006) 95-113. MALBON, E. S., Mark's Jesus. Characterization as Narrative Christology (Waco, TX 2009). STOCK, A., Call to Discipleship. A Literary Study of Mark's Gospel (Good news studies 1; Wil- mington, DE 1982). VIRONDA, M., Gesù nel vangelo di Marco. Narratologia e cristologia (SRivBib 41; Bologna 2003). DE VULPILLIÈRES, S., Nature et fonction des injonctions au silence dans l'évangile de Marc (ÉB.NS 62; Pendé 2010).

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PONTIFICIO ISTITUTO BIBLICO 

SEMINARIO PER STUDIOSI DI S. SCRITTURA  [26‐30 GENNAIO 2015] 

Sedute seminariali del pomeriggio 

Un episodio decisivo per lo sviluppo della trama nel Vangelo secondo Marco: Mc 8,27-33. L’analisi narrativa tra singola pericope e intero Vangelo

Prof. Paolo MASCILONGO [lunedì 26 gennaio]

Il lavoro di seminario utilizzerà, a partire dall’esempio specifico di Mc 8,27-33 (la mia prima area di interesse, studiata per il dottorato, ora AnBib 192), alcuni strumenti tipici dell’analisi narrativa dei racconti biblici per analizzare il testo marciano, privilegiando l’at-tenzione all’intero racconto di Marco e alla sua trama, piuttosto che al singolo episodio. In particolare, sarà possibile offrire elementi di studio su questi aspetti del metodo: trama, personaggi, rapporto tra diegesi ed extradiegesi.

Il seminario presuppone alcune conoscenze di base di analisi narrativa, reperibili sui consueti manuali: Ska, Marguerat-Bourquin, Resseguie. Utili anche i commentari (van Ier-sel, Heil, Focant, Cuvillier) e gli studi dedicati all’intero vangelo di Marco che utilizzano metodologia narrativa, o simile (Rhoads-Michie-Dewey, Fowler, Bourquin, van Oyen).

Per chi lo desidera, allego due testi che possono preparare la discussione e agevolare la comprensione:

- l’Appendice II della mia tesi di Dottorato (AnBib 192) – Glossario narrativo; - un mio articolo pubblicato su AnBib 200 (FS Aletti) sul ruolo di Pietro a partire da

Mc 8,27-33.

Infine, qualche altro testo, ciascuno dei quali può essere utile per un approfondimento:

ALETTI, J.-N., “La construction du personnage Jésus dans les récits évangéliques. Le cas de Marc”, in C. FOCANT – A. WÉNIN (edd.), Analyse narrative et Bible. Deuxième Colloque Inter-national du RRENAB, Luovain-La-Neuve, Avril 2004 (BEThL 191; Leuven 2005) 19-42.

BONIFACIO, G., Personaggi minori e discepoli in Marco 4–8. La funzione degli episodi dei perso-naggi minori nell'interazione con la storia dei protagonisti (AnBib 173; Roma 2008).

FABRE, J.-P., Le disciple selon Jésus. Le chemin vers Jérusalem dans l'évangile de Marc (Le livre et le rouleau 45; Paris 2014).

FOCANT, C., “La construction du personnage de Simon-Pierre dans le second évangile”, ijn C. FOCANT (ed.), Marc, un évangile étonnant (BEThL 194; Leuven 2006) 95-113.

MALBON, E. S., Mark's Jesus. Characterization as Narrative Christology (Waco, TX 2009).

STOCK, A., Call to Discipleship. A Literary Study of Mark's Gospel (Good news studies 1; Wil-mington, DE 1982).

VIRONDA, M., Gesù nel vangelo di Marco. Narratologia e cristologia (SRivBib 41; Bologna 2003).

DE VULPILLIÈRES, S., Nature et fonction des injonctions au silence dans l'évangile de Marc (ÉB.NS 62; Pendé 2010).

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APPENDICE IIGLOSSARIO NARRATIVO

In questa seconda appendice si riportano, in ordine alfabetico,alcune note di carattere informativo e bibliografico sui principalitermini e concetti di analisi narrativa utilizzati nella presente ri-cerca. Non è scopo dell’appendice fornire un glossario esaurienteo una panoramica esaustiva di tali concetti: esistono ormai ma-nuali e dizionari ad hoc più che validi1; tuttavia, si è ritenuto utileraccogliere in poche pagine quanto emerso in diversi luoghi dellavoro, potendo così dedicare un po’ più di spazio ad una brevepresentazione delle problematiche coinvolte ed alle indicazionibibliografiche2.

1. Caratterizzazione (studio del personaggio)

Si intende per caratterizzazione l’insieme degli elementi narra-tivi che contribuiscono alla descrizione ed all’interpretazione deipersonaggi presenti in un racconto. Descrizione dei personaggi edinterpretazione della loro funzione narrativa costituiscono dueaspetti distinti ma correlati, come si può evincere dalla seguente

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In conclusione, sembra impossibile individuare argomenta-zioni decisive a favore dell’una o dell’altra ipotesi; è di certo pos-sibile accettare la lettura di 1,1 nella sua recensione più completa«Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio», pur senzaescludere la possibilità contraria. Si può però concordare conquanti sottolineano che, per la funzione narrativa complessiva delversetto, la differenza è resa meno decisiva dal contesto dell’interoprologo del vangelo, in cui la presentazione di Gesù come il Fi-glio di Dio è comunque garantita – se non da 1,1 – dalla voceproveniente dal cielo descritta in 1,11: come osservato nel capi-tolo terzo, si tratta in entrambi i casi di affermazioni sostanzial-mente extradiegetiche riservate al solo lettore, al quale sonofornite in questi primi tredici versetti quelle informazioni in piùche orientano la sua capacità di lettura e comprensione.

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1 In particolare si segnala, e sarà spesso utilizzato, ALETTI, Vocabulaire. Utili ancheJ. L. SKA, “Glossario”, Metodologia dell’Antico Testamento (ed. H. SIMIAN-YOFRE) (CSB25; Bologna 1995) 223-234 ed il Glossario riportato al termine del volume BERNAR-DELLI – CESERANI, Testo, 223-251, ricco e aggiornato. Molte informazioni si trovanoaltresì nei manuali: SKA, Our Fathers; MARGUERAT – BOURQUIN, Bible; RESSEGUIE,Narrative Criticism.

2 Nella maggior parte dei casi, si è suddivisa la bibliografia tenendo conto deglistudi di narrativa generale (non biblica), dei manuali biblici e di altri eventuali studimonografici, in particolare dedicati al secondo vangelo.

probably not coincidental that the earliest witness for the longer reading is Irenaeus,whose major work was written against heresies in the early Christian movement. Itis rather unlikely that the words were omitted by accident. But it is quite credible thatthey were added, either out of piety or to combat too human an understanding ofJesus. The addition probably occurred sometime in the second century» (ibidem 125).Si possono aggiungere come favorevoli alla recensione più breve anche gli studi diE. GÜTING, “The Relevance of Literary Criticism for the Text of the New Testament.A Study of Mark’s Traditions on John the Baptist”, Studies in the early text of the Gospelsand Acts. The Papers of the First Birmingham Colloquium on the Textual Criticismof the New Testament (ed. D. G. K. TAYLOR) (TaS.TS 1; Birmingham 1999) 142-167(cf. 147: «There are strong arguments, however, to support the view that we meet anancient gloss here»); GÜTING – GREEVEN, Textkritik, 41-43 e A. BELANO, Il Vangelosecondo Marco. Traduzione e analisi filologica (A10 361; Roma 2008) 17-18. Si puòinfine citare la posizione di N. C. CROY, “Where the Gospel Text Begins. A Non-theological Interpretation of Mark 1:1”, NT 43 (2001) 105-127, il quale ritiene chetutto il versetto 1,1 sia un’aggiunta tardiva.

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non poche opere dedicate ai personaggi biblici, sia dell’Antico chedel Nuovo Testamento6. La trattazione di singoli protagonisti dellenarrazioni evangeliche come personaggi o l’analisi complessiva della“caratterizzazione” all’interno di un vangelo sono diventati ormaiun elemento imprescindibile degli studi narrativi più recenti.

Si può accennare infine ad una critica sovente mossa all’analisinarrativa dei personaggi, quella cioè di fare delle narrazioni (evan-geliche) racconti di fiction in cui scompare ogni interesse per lastoricità. Identificare e trattare come “personaggi” i protagonistidi tali narrazioni porterebbe infatti decisamente in questa dire-zione. Non si nega che alcuni Autori possano giungere ad affer-mazioni di tal sorta7, ma sembra altresì ben possibile affrontare lostudio narrativo senza affatto negare l’importanza della dimen-sione storica del testo evangelico. Interessante la puntualizzazioneal riguardo fornita da J. L. Resseguie, attento a precisare che l’usodel termine “personaggi” non implica necessariamente che essisiano “immaginari”: «Characters are the dramatis personae, the per-sons in the story. Like the Lord God, who takes dust from the

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APPENDICE II. GLOSSARIO NARRATIVO

duplice definizione: «Caractérisation: Ensemble des traits par le-squels un personnage de récit est décrit (par son physique, sa cul-ture, sa moralité, etc.). Si au fur et à mesure qu’un récit (micro-ou macro-récit) progresse, les traits du personnage s’accumulent,on dit qu’il y a construction du personnage. […] Construction (dupersonnage): La construction d’un personnage est l’ensemble deses traits en tant qu’ils reflètent la progression du récit (laconstruction peut aller en positif ou en négatif, du plus obscur auplus clair, du plus superficiel au plus intérieur, etc.). Le terme cor-respondant anglais est characterization»3.

La tematica del “personaggio” è ampiamente trattata dai ma-nuali non biblici4, ma questo studio può essere utilmente appli-cato anche alla narrativa biblica, mantenendo le dovute cautele:manca, infatti, nella grande maggioranza dei testi biblici, ogni in-teresse alla descrizione psicologica o introspettiva peculiare dellaletteratura contemporanea5. Sono così apparse negli ultimi anni

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3 ALETTI, Vocabulaire, 71-72.4 Si possono vedere: R. SCHOLES – R. KELLOG, The Nature of Narrative (New York,

NY 1966) 160-206; CHATMAN, Story, 107-138; MARCHESE, L’officina, 185-222; R. CE-SERANI, Guida breve allo studio della letteratura (Manuali di base 10; Roma – Bari 2003)242-243; BERNARDELLI – CESERANI, Testo, 147-153; BERNARDELLI, Narrazione, 78-84.

5 «Briefly, in Biblical narratives, characters are most of the time at the service ofthe plot and seldom presented for themselves» (SKA, Our Fathers, 84). Interessanti i ter-mini del dibattito personaggio/trama svoltosi nella critica recente, come sono rias-sunti in BERNARDELLI – CESERANI, Testo, 149-150: «E infatti, mentre può apparireun po’ riduttiva la concezione semiotica del personaggio che per qualche tempo hadominato tutte le analisi narrative (i personaggi diventavano, infatti, degli attori o at-tanti e si riducevano al ruolo o alla funzione che svolgevano nella trama narrativa),sempre più ha preso vigore la concezione del personaggio di un’opera narrativa comenucleo forte di significati, investimento di tratti fisici, psicologici, caratteriali che disolito (o perlomeno nel caso di personaggi di qualche peso, o di quelli che Forsterdefiniva “personaggi a tutto tondo”e distingueva da quelli che chiamava “personaggipiatti”) vanno oltre la semplice indicazioni di alcuni attributi e di alcune funzioni.Ciò non toglie che, all’interno del mondo narrativo, le funzioni che svolgono i per-sonaggi siano importanti e soprattutto che essi definiscano la propria identità e lapropria funzione nella trama soprattutto attraverso il rapporto (di contrapposizione,di alleanza, di adesione sentimentale, di distacco critico) che hanno con gli altri per-sonaggi. Per questo è abbastanza importante, in ogni opera narrativa, ricostruirequello che è stato chiamato il sistema dei personaggi».

6 Per una trattazione teorica in generale nella narrativa biblica si vedano: POWELL,Narrative Criticism, 51-67; SKA, Our Fathers, 83-94 ; MARGUERAT – BOURQUIN, Bible,75-98 ; RESSEGUIE, Narrative Criticism, 121-166. Utili nozioni teoriche sono reperibilianche in opere dedicate ad alcuni personaggi, o narrazioni, particolari, come D. B.GOWLER, Host, guest, enemy and friend. Portraits of the pharisees in Luke and Acts(Emory Studies in Early Christianity 2; New York, NY 1991) 1-176; F. W. BURNETT,“Characterization and Reader Construction of Characters in the Gospel”, Semeia 63(1993) 1-26; TOLBERT, “Character”; P. MERENLAHTI, “Characters in the Making. In-dividuality and Ideology in the Gospels”, Characterization in the Gospel. ReconceivingNarrative Criticism (ed. D. M. RHOADS – K. SYREENI) (JSNT.S 184; Sheffield 1999)49-72; D. M. RHOADS – K. SYREENI (ed.), Characterization in the Gospel. ReconceivingNarrative Criticism (JSNT.S 184; Sheffield 1999); E. MALBON STRUTHERS, The Com-pany of Jesus. Characters in Mark’s Gospel (Louisville, KY 2000); SVARTVIK, Mark,240-283; VIGNOLO, Personaggi, 3-45; P. L. DANOVE, The Rhetoric of the Characterizationof God, Jesus, and Jesus’ Disciples in the Gospel of Mark (JSNT.S 290; New York, NY2005). La bibliografia completa sui discepoli in Mc, trattati come personaggi è nelquarto capitolo (§ 1.2).

7 Si veda ad esempio questo giudizio un po’ troppo deciso, presente in VORSTER,“Characterization”, 58: «I will argue that Peter is a character in Mark’s narrative andnot in the first place, a historical person»; l’analisi offerta nel resto dell’articolo con-ferma (purtroppo!) il tono di questa affermazione.

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caduto, mentre il discourse è la narrazione così com’è, disponibile al let-tore. Analogamente, il livello diegetico riguarda la realtà dei perso-naggi così come sono nel racconto, ciò che si potrebbe chiamare il“mondo”dei personaggi e degli avvenimenti. Ma un racconto istitui-sce anche legami e rapporti al di fuori del mondo della narrazione (li-vello extradiegetico): tale complesso di elementi, “esterno”al racconto,è disponibile solo al lettore e ne fa parte anche la modalità con cui ècostruito il racconto (secondo le modalità proprie del discourse).

Per avere un quadro più completo, interessanti come di con-sueto le (quattro) definizioni relative alla problematica reperibilinel Dizionario curato da J.-N. Aletti: «Extradiégétique: Est extra-diégétique ce qui est extérieur au récit, comme l’auteur et le lec-teur, qui sont pour cela appelés instances extradiégétiques […].Intradiégétique: Est appelé intradiégétique ce qui est interne aurécit, comme les personnages et les types de relations qui les re-lient et structurent le développement de l’intrigue […]. Histoire:En narratologie, le terme histoire (en anglais, story) désigne lesévénements tels qu’ils ont pu arriver (le signifié, le what), et nonles événements tels qu’ils sont (ou comment ils sont) racontés(car le narrateur fait des choix, accentue tel détail ou tel autre, ra-conte lentement ou va directement à l’essentiel, il change l’ordredes événements, etc.); le comment du raconter (le signifiant, lehow) s’appelle la mise en récit […]. Mise en récit: La mise en récit neconsidère pas les événements en leur déroulement chronologique(l’histoire ou Story), mais dans la façon dont ils sont mis ensemble(le comment, le how). L’autre appellation, anglaise, de la mise enrécit, est discourse, à ne pas confondre avec le terme discours»11.

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APPENDICE II. GLOSSARIO NARRATIVO

earth and breathes life into Adam, the author of a narrativebreathes life into a character that is realized in the reader’s imag-ination. This does not imply that biblical characters are fictionalany more than Mary of Magdala or Jesus would be consideredfictional characters. Rather it implies that an author is selective inwhat he or she writes in a narrative, for only some events andspeeches can be narrated. No author can give a complete recordof everything that happens in a person’s life, and no autobiogra-pher can record everything about himself or herself. Thus, to acertain extent, literary characters, whether real life or fictional, aregiven life by an author and re-crea ted in the reader’s imagina-tion»8. In ogni caso, quando in questo lavoro si è parlato di Gesù,Pietro, o i discepoli come di “personaggi”, non si è inteso in alcunmodo mettere in dubbio o sminuire la loro “realtà” o storicità9.

2. Diegesi, extradiegesi, storia e racconto

La distinzione tra storia e racconto è tra le principali acquisizionidella teoria narrativa recente. Si tratta di una distinzione presente inautori di diverse aree linguistiche e teoriche, per cui essa si presentacon sfumature e differenze anche terminologiche10. La story si puòdefinire negli autori di area latina anche diégèse (diegesi) o storia, il di-scourse si può altresì definire récit o racconto. In tal senso si nota l’in-treccio di questa prima suddivisione fondamentale con un’ulterioredistinzione non meno importante, tra livello diegetico e livello extra-diegetico della narrazione (anche se non esiste tra discourse ed extradie-gesi la medesima corrispondenza che c’è tra story e diegesi).

Molto in breve, si potrebbe definire la story come la ricostruzioneastratta e cronologicamente e logicamente ordinata di ciò che è ac-

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8 RESSEGUIE, Narrative Criticism, 121. Una buona discussione e presentazione ditale problematica si trova anche in GESCHÉ, “Identité”, 355-356, WIARDA, Pattern,218-226 ed ora in MALBON, Jesus, 244-256.

9 Cf. VIGNOLO, Personaggi, 17-18 e VIRONDA, Gesù, 6.10 Per un primo chiarimento, molto utile SKA, Our Fathers, 5-6, secondo il quale

la distinzione tra story e discourse è la prima da fare nell’analisi narrativa; egli fornisceanche un rapido sguardo terminologico e metodologico al panorama degli studiosie la rassegna completa delle diverse denominazioni.

11 ALETTI, Vocabulaire, 73-76. Per la parte teorica si possono vedere: TODOROV,“Catégories”; G. GENETTE, Figure III (Paris 1972) 71-76; CHATMAN, Story, 15-42 (matutto il volume, com’è chiaro dal titolo, Story and Discourse, affronta estesamente talequestione); MARCHESE, L’officina, 69-99 e 157-183; C. SEGRE, Avviamento allo studio deltesto letterario (Torino 1985) 102-104; U. ECO, Lector in Fabula. La cooperazione inter-pretativa nei testi narrativi (Tascabili Bompiani 27; Milano 1979) 102-110 (dove ilcritico bolognese tratta del rapporto tra intreccio e fabula); CESERANI, Guida breve, 215e 218-219; BERNARDELLI – CESERANI, Testo, 13-20 e 244-245. Anche nell’esegesi nar-rativa la questione è normalmente affrontata, almeno a livello teorico: buone sintesiin POWELL, Narrative Criticism, 23-34 e MARGUERAT – BOURQUIN, Bible, 25-38.

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tions to expose gaps in an adversary’s point of view as well as tostate the obvious»14.

Le domande retoriche sono diffuse nel parlare di Gesù de-scritto dal vangelo secondo Marco, normalmente in scene di dia-logo o controversia, come espediente per sostenere un’argo men tazione:esse appaiono nell’istruzione in parabole, con tono di rimprovero(4,13); nell’episodio della tempesta sedata; durante la discussionesul puro e sull’impuro (7,18-19). Da notare in particolare la lungaserie di sette domande (quasi tutte retoriche) nell’episodio nar-rato in 8,14-21.

4. Focalizzazione, modo e voce narrativa, punto di vista

Si riuniscono qui concetti piuttosto disparati che tuttavia sonospesso accomunati – non senza una certa confusione – negli studinarrativi. La complessità nasce, da un lato, da una certa vaghezza delconcetto, molto usato, di “punto di vista”, dall’altro dalle diversemodalità concrete utilizzate dagli studiosi per applicarlo ai testi: ter-mini come focalizzazione o modo e voce narrativa sono stati spesso uti-lizzati come “traduzione”del concetto più generico di punto di vista.

Come definizione piuttosto generale di punto di vista, si può ri-tenere la seguente: «La metafora del punto di vista viene impiegatanegli studi narratologici per indicare il modo in cui l’autore gestisceil flusso delle informazioni da fornire al lettore riguardo alla storia.Così come la mia posizione di fronte a un paesaggio mi permettedi vedere alcune cose e non altre – in ragione degli ostacoli naturalie dei limiti fisici della mia percezione –, così nella struttura del rac-conto la posizione da cui si osservano le azioni e i personaggi cam-bia la quantità delle informazioni a disposizione del lettore»15.

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APPENDICE II. GLOSSARIO NARRATIVO

Il rapporto tra i due livelli della narrazione è significativo inparticolare nella valutazione delle differenti informazioni acces-sibili al lettore ed ai personaggi. Infatti, ogniqualvolta si comuni-cano esplicitamente delle informazioni a livello diegetico, tra ipersonaggi della storia narrata, esse sono ovviamente disponibilianche al lettore, a livello extradiegetico. Il viceversa non è invece va-lido, in quanto vi sono spesso informazioni disponibili solamenteal di fuori della storia narrata: si pensi ai commenti del narratorerivolti al lettore, o più semplicemente anche a quegli avvenimentipur raccontati e facenti parte della story, che il lettore conoscema che certi personaggi (o tutti) non hanno conosciuto. Inoltre,il lettore può anche interpretare il “come” la storia è raccontata(discourse). Come si intuisce, spesso questa differenza di piani for-nisce un “vantaggio” al lettore il quale può ricostruire avveni-menti, giudicarli, conoscerli in anticipo, ecc… Si dà però nellanarrazione anche il caso inverso, per cui al lettore è “nascosta”qualche informazione che è invece disponile ai personaggi (manon esplicitamente); si pensi all’esempio dell’esegesi scritturisticafornita da Gesù ai “discepoli di Emmaus”, ma tenuta nascosta allettore (Lc 24,27)12.

3. Domanda retorica

Dato l’ampio utilizzo nel secondo vangelo, è opportuno for-nire una definizione anche di questa categoria propria della re-torica classica. «La domanda retorica […] ha questo di particolare,che non è una richiesta di informazioni, poiché non attende altrarisposta se non l’ovvia conferma di ciò intorno a cui si fa mostradi interrogarsi»13. Sulla stessa linea anche la definizione che ne dàJ. L. Resseguie: «A rhetorical question is a statement in the formof a question that does not expect a reply but is stated to achievegreater persuasive power than a direct statement. The answer toa rhetorical question is usually obvious and is the only one avail-able. In the New Testament, […] Jesus also uses rhetorical ques-

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12 Cf. ALETTI, Art de raconter, 177-198.13 B. MORTARA GARAVELLI, Manuale di retorica (Tascabili Bompiani 94; Milano

62002) 269-270.

14 RESSEGUIE, Narrative Criticism, 60.15 BERNARDELLI – CESERANI, Testo, 80. Per un primo orientamento nello sviluppo

delle teorie critiche sul punto di vista, sono utili alcune rassegne retrospettive, presentiad esempio in RESSEGUIE, Narrative Criticism, 167-173, che dedica un intero capitoloalla tematica, notando la “confusione” presente in letteratura e cercando di precisarei rapporti con la concezione di focalizzazione dovuta a G. Genette; P. PUGLIATTI, Losguardo nel racconto (Critica Letteraria Contemporanea 3; Bologna 1985) 1-32 (lavorointeramente dedicato al punto di vista); YAMASAKI, Point of View, 1-43.

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Solo recentemente, all’interno della critica letteraria non bi-blica, sono stati operati tentativi volti ad uscire dall’empasse susci-tata dalla complessità della situazione, così come sono emersealcune riletture globali della problematica. Gli studiosi più recenti,consapevoli della complessità dei concetti utilizzati, tentanoun’unificazione ad un livello più generale; così R. Ceserani a ra-gione organizza tutta la problematica sotto l’idea di “Regolazionedell’informazione narrativa”19. In ambito francese, si deve segna-lare il recente tentativo di ripensamento operato da A. Rabatel,che propone un nuovo approccio complessivo al concetto dipunto di vista, superando la focalizzazione di Genette20.

La complessità della tematica permane, naturalmente, anche al-l’interno delle applicazioni esegetiche. I principali riferimenti sulpunto di vista si possono trovare nei manuali21.Alcuni autori trattanoseparatamente, seguendo in questo maggiormente G. Genette,anche le categorie di modo e voce narrativa, di certo non prive di au-tonoma importanza22. Esiste inoltre un’ampia letteratura anche perquando riguarda il secondo vangelo, che rispecchia la varietà diimpostazioni delle differenti teorie23; come si può notare, sono piùorientati ad uno studio del modo narrativo e delle voci della narra-

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APPENDICE II. GLOSSARIO NARRATIVO

In generale ed in sintesi, si possono individuare due teorie ormaiclassiche di riferimento, tra loro divergenti. La prima è elaborata da G.Genette, il quale specifica il concetto di punto di vista mediante le ca-tegorie di mode de la narration e soprattutto di focalisation: «Le récit peutfournir au lecteur plus ou moins de détails, et de façon plus ou moinsdirecte, et sembler ainsi (pour reprendre une métaphore spatiale cou-rante et commode, à condition de ne pas la prendre à la lettre) se tenirà plus ou moins grande distance de ce qu’il raconte ; il peut aussichoisir de régler l’information qu’il livre, non plus par cette sorte defiltrage uniforme, mais selon les capacités de connaissance de telle outelle partie prenante de l’histoire (personnage ou groupe de person-nages), dont il adoptera ou feindra d’adopter ce que l’on nommecouramment la “vision”ou le “point de vue”, semblant alors prendreà l’égard de l’histoire (pour continuer la métaphore spatiale) telle outelle perspective»16. Una seconda teoria, maggiormente seguita neglistudi biblici, è quella di B. Uspensky, cui si deve la precisazione delconcetto di punto di vista ideologico, così definito all’inizio del suo trat-tato: «We are interested in this problem: whose point of view does theauthor assume when he evaluates and perceives ideologically theworld which he describes. This point of view, either concealed oropenly acknowledged, may belong to the author himself; or it may bethe normative system of the narrator, as distinct from that of the au-thor (and perhaps in conflict with the author’s norm); or it may be-long to one of the characters. Various ideological points of view maybe involved in the composition of a text»17. In oscillazione tra questedue posizioni estreme si trovano gli altri studi di critica letteraria18.

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«MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?»

16 G. GENETTE, Figure III, 183-184. Egli dedica al modo il capitolo IV del suosaggio (183-224), introducendo le nozioni di distanza, prospettiva e visione; nel suc-cessivo capitolo V (225-268), G. Genette introduce la voce narrativa, categoria in basealla quale egli sviluppa il rapporto tra diegesi ed extra-diegesi.

17 B. USPENSKY, A Poetics of Composition.The Structure of the Artistic Text and Ty-pology of a Compositional Form (Berkeley, CA – Los Angeles, CA – London 1973)8. Si tratta del più utilizzato tra i differenti risultati dello studioso russo, sebbene esi-stano studi basati anche sugli altri aspetti del punto di vista da lui proposti (fraseolo-gico, spazio-temporale, psicologico).

18 SCHOLES – KELLOG, Narrative, 240-282; CHATMAN, Story, 151-161 (con un in-teressante tentativo di chiarificazione e composizione delle differenti prospettive);MARCHESE, L’officina, 157-183 (più vicino a Genette); SEGRE, Avviamento, 15-28.

19 CESERANI, Guida breve, 247-248; cf. anche BERNARDELLI – CESERANI, Testo,79-83 e BERNARDELLI, Narrazione, 85-108.

20 Si possono vedere A. RABATEL, La construction textuelle du point de vue. Sciencesdes discours (Paris 1998), ma anche il breve ma chiaro RABATEL, “Représentations”.

21 Come sempre, molto chiaro anzitutto SKA, Our Fathers, 65-81; si vedano anchePOWELL, Narrative Criticism, 23-25 e 53-54; MARGUERAT – BOURQUIN, Bible, 75-98(gli Autori ne trattano in diversi passaggi all’interno del capitolo sui personaggi);ALETTI, Vocabulaire, 78; in base alle teorie di riferimento utilizzate, si riscontra unacerta disomogeneità nella terminologia.

22 Si possono vedere i manuali: POWELL, Narrative Criticism, 25-32; SKA, Our Fathers,39-54 e MARGUERAT – BOURQUIN, Bible, 102-120 e 129-152. Una rassegna pres-soché esaustiva si trova ora in YAMASAKI, Point of View, cui si rimanda; utili anche larecente raccolta RRENAB (ed.), Regards croises sur la Bible. Études sur le point de vue.Actes du III Colloque international du Réseau de recherche en narrativité biblique,Paris, 8-10 juin 2006 (LeDiv hors série; Paris 2007) e J. L. RESSEGUIE, The StrangeGospel. Narrative Design and Point of View in John (BiblInterp 56; Leiden 2001), ilquale tuttavia nell’analisi è a volte un po’ macchinoso e non sempre chiaro.

23 Si possono ricordare, in particolare per Mc, PETERSEN, “Point of View” (il quale uti-lizza la teoria di Uspensky); DEWEY, “Point of View” (che utilizza la teoria di Genette);

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le opzioni di alcuni autori statunitensi, come S. Fish27, alla basedella scuola del reader-response criticism. Ciò che accomuna le di-verse teorie è il quadro di riferimento che prevede un precisomodello di comunicazione tra autore e lettore, e la consapevo-lezza della “distanza” presente tra le persone reali corrispondentia queste istanze (autore e lettore reale) e la figura teorica di riferi-mento che il testo stesso presuppone (autore/lettore modello o im-plicito)28. Le differenze si inseriscono nell’effettiva descrizione diquesta figura teorica e nel ruolo maggiore o minore che si asse-gna al lettore nella costruzione del significato della lettura29. Perle singole scuole di pensiero, l’area francese afferente allo struttu-ralismo si rifà, anche in questo caso, al lavoro di G. Genette, men-tre nell’area tedesca si ha l’opera di W. Iser30, ampiamenteutilizzata anche nel mondo anglosassone31. Molto interessante iltaglio dato agli studi in Italia da U. Eco, che presenta una posi-zione equilibrata sulla cooperazione del lettore nell’interpreta-zione dei testi, e sulla possibilità di individuare interpretazionilegittime o meno32.

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APPENDICE II. GLOSSARIO NARRATIVO

zione alcuni lavori di area anglosassone24. Infine, si segnalano alcuniesegeti che non si rifanno a questo quadro di riferimento25.

5. Lettore (e reader-response criticism)

Argomento particolarmente importante è ciò che attiene al-l’individuazione del lettore di un testo narrativo. Si tratterà breve-mente anche del reader-response criticism e della questione del lettorereale di Mc.

Pur senza poter troppo approfondire, si possono individuarealcune teorie simili ma divergenti, che adottano anche linguaggidifferenti. Seguendo A. Bernardelli e R. Ceserani, si può parlaredi una scuola “francese” ed una “tedesca”26, che utilizzano rispet-tivamente i concetti di lettore modello e lettore implicito; più radicali

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«MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?»

CULPEPPER, Anatomy, 15-49 (vicino a Uspensky); BALAGUER, Testimonio, 37-134 (cheutilizza sistematicamente la teoria di Genette); HOWELL, Inclusive Story, 179-203(Uspensky); SMITH, Lion, 166-191 (Uspensky); NALUPARAYIL, Identity, 431-517 (Uspen-sky); WITHERINGTON, Mark, 109-119 (anch’egli vicino alle posizioni di Uspensky).

24 FOWLER, Loaves e FOWLER, Let the Reader (tra i primi ad effettuare sistematica-mente lo studio della voce del narratore nel secondo vangelo; in particolare, nellaprima opera, 157-175 e nella seconda 81-154); BEAVIS, Audience, 177-180; TOLBERT,Sowing, 90-97; SMITH, Lion, 34-38; RHOADS – DEWEY – MICHIE, Story, 39-62. Si vedaanche la voce “Narratore” più oltre.

25 Si può citare l’opera di D. TOVEY, Narrative Art and Act in the Fourth Gospel(JSNT.S 151; Sheffield 1997) che utilizza la metodologia presentata in modo auto-nomo da F. K. STANZEL, Theorie des Erzählens (UTB 904; Göttingen 41989) (cf. YA-MASAKI, Point of View, 38-40 e 101-103 e MALBON, Jesus, 241-244). Le nuoveprospettive di A. Rabatel sono utilizzate da BOURQUIN, Marc e Y. BOURQUIN, “Versune nouvelle approche de la focalisation”, Analyse narrative et Bible. Deuxième Col-loque International du RRENAB, Luovain-La-Neuve, Avril 2004 (ed. C. FOCANT

– A. WÉNIN) (BEThL 191; Leuven 2005) 497-506.26 «Parlando della figura del lettore, abbiamo usato in questo capitolo la terminologia

molto rigorosa di Genette e dello strutturalismo francese, distinguendo fra lettore mo-dello e lettore empirico e contrapponendo tali figure a quelle dell’autore modello e del-l’autore empirico. Da una scuola critica diversa, quella tedesca della teoria della ricezione(scuola di Costanza), meno concentrata sui meccanismi interni del testo e più attenta aiproblemi della sociologia letteraria e dei ruoli assunti storicamente dal pubblico nella ri-cezione delle opere letterarie, viene una terminologia diversa, che distingue fra lettoreimplicito nel testo e lettore storicamente determinato (pubblico), il quale si avvicina altesto con un particolare orizzonte di attesa» (BERNARDELLI – CESERANI, Testo, 103).

27 S. E. FISH, Is There a Text in This Class? The Authority of Interpretive Commu-nities (Cambridge, MA – London 1980, 2003).

28 «L’autore e il lettore modello sono quindi ‘creature’ cartacee, anzi ancor meglio,sono creature puramente retoriche e testuali: non sono di carne e di ossa, ma sonofatte di meccanismi della narrazione, di suspense, agnizioni, narratori e giochi con latemporalità narrativa» (BERNARDELLI – CESERANI, Testo, 16-17).

29 Naturalmente le considerazioni sul lettore si intrecciano con quelle sull’Autore; tut-tavia, si sono rivelati più fecondi, in esegesi come nella critica letteraria, gli studi sulruolo del lettore, in quanto è da questo “lato” del testo che si gioca l’interpretazione deltesto, ed è quindi necessario sviluppare un modello teorico adeguato. Trattazioni pano-ramiche del tema in CHATMAN, Story, 147-151; SEGRE, Avviamento, 9-15; J. P. TOMPKINS,Reader-Response Criticism. From Formalism to post-Structuralism (Baltimore, MD –London 1983); COMPAGNON, Démon, 147-176; CESERANI, Guida breve, 246-247.

30 GENETTE, Figure III e W. ISER, Der implizite Leser (UTB 163; München 21979);W. ISER, Der Akt des Lesens.Theorie ästhetischer Wirkung (UTB 636; München 41994).

31 In particolare nella traduzione inglese del primo lavoro, leggermente differentedall’originale tedesco del 1979: ISER, Implied.

32 Dello studioso bolognese si possono vedere U. ECO, Lector; U. ECO, I limiti del-l’interpretazione (Il campo semiotico; Milano 1990); U. ECO, Sei passeggiate nei boschinarrativi. Harvard University, Norton Lectures, 1992-1993 (Tascabili Bompiani 59;

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modello/implicito da quelle sul lettore reale né offrire una valida in-terpretazione di un testo senza una conoscenza almeno appros-simativa delle condizioni in cui esso è sorto; ciò vale a maggiorragione per testi come i vangeli35. Si segnalano pertanto alcunistudi che affrontano direttamente il problema dell’in dividuazionedel lettore reale di Mc, normalmente con interessanti valutazionisul testo e la teologia del secondo vangelo36.

6. Narratore

«In reading a Biblical text, the essential point of the analysis isto perceive the voice of the narrator even though he is most ofthe time very discrete. Once the narrator’s voice is perceived, itis easier to understand the strategies that he adopted and to ap-preciate the shape that he gave to the narrative text»37. Le paroledi J. L. Ska ben introducono le brevi note sul narratore.

L’individuazione e lo studio di questa particolare istanza narrativasono normalmente parte delle trattazioni generali di analisi letteraria38.

Il narratore si può così definire: «Le narrateur est une personnequi raconte (on l’appelle encore la voix narrative). Comme pourle narrataire, il faut distinguer: - le narrateur intradiégétique, qui

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APPENDICE II. GLOSSARIO NARRATIVO

Negli studi biblici, oltre ai consueti cenni teorici dei manuali33,si è sviluppato un ampio utilizzo delle considerazioni sul lettore,in particolare con autori che si rifanno al reader-response criticism;molti gli studi proprio sul vangelo secondo Marco34.

Prima di terminare, si può spendere un cenno per una serie distudi solo marginalmente ascrivibili alla narrativa, ma che si oc-cupano di individuare il possibile lettore reale del secondo van-gelo. Si tratta, evidentemente, di lavori di stampo storico; ma nonè possibile astrarre completamente le considerazioni sul lettore

342

«MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?»

Milano 1994); riassume sinteticamente la sua posizione sul ruolo del lettore la se-guente affermazione, contenuta in U. ECO, Sulla letteratura (Milano 2002) 11: «La let-tura delle opere letterarie ci obbliga a un esercizio della fedeltà e del rispetto nellalibertà dell’interpretazione. C’è una pericolosa eresia critica, tipica dei nostri giorni,per cui di un’opera letteraria si può fare quello che si vuole, leggendovi quanto inostri più incontrollabili impulsi ci suggeriscono. Non è vero. Le opere letterarie ciinvitano alla libertà dell’interpretazione, perché ci propongono un discorso dai moltipiani di lettura e ci pongono di fronte alle ambiguità e del linguaggio e della vita. Maper poter procedere in questo gioco, per cui ogni generazione legge le opere lette-rarie in modo diverso, occorre essere mossi da un profondo rispetto verso quella cheio ho altrove chiamato l’intenzione del testo».

33 POWELL, Narrative Criticism, 16-18; SKA, Our Fathers, 54-63; MARGUERAT –BOURQUIN, Bible, 153-186; RESSEGUIE, Narrative Criticism, 30-33.

34 R. M. FOWLER, “Who is ‘the Reader’ of Mark’s Gospel?”, Society of Biblical Lit-erature 1983 Seminar Papers (ed. K. H. RICHARDS) (SBL.SPS 22; Chico, CA 1983) 31-53; N. R. PETERSEN, “The Reader in the Gospel”, Neotest. 18 (1984) 38-51; BEAVIS,Audience, 13-44; W. S. VORSTER,“The Reader in the Text. Narrative Material”, Semeia48 (1989) 21-39; B. M. F. VAN IERSEL, “The Reader of Mark as Operator of a Systemof Connotations”, Semeia 48 (1989) 83-134; FOWLER, Let the Reader; R. M. FOWLER,“Reader-Response Criticism. Figuring Mark’s Reader”, Mark & Method. New Ap-proaches in Biblical Studies (ed. J. C. ANDERSON – S. D. MOORE) (Minneapolis, MN1992) 50-83; B. COSGROVE, “‘It is Requir’d You do Awake your Faith’. Reader-Re-sponse and the Gospel of St Mark”, PIBA 27 (2004) 33-39; BOURQUIN, Marc, 105-115; M. KLINGHARDT, “Erlesenes Verstehen. Leserlenkung und implizites Lesen inden Evangelien”, ZNT 21 (2008) 27-37; I. H. HENDERSON,“Reconstructing Mark’sDouble Audience”, Between Author and Audience in Mark. Narration, Characterization,Interpretation (ed. E. MALBON STRUTHERS) (New Testament monographs 23;Sheffield 2009) 6-28; VAN OYEN, “Paradoxes”. Si rifà ad U. Eco per le sue conside-razioni sulla “costruzione” del lettore da parte del testo e sulla strategia narrativa (ap-plicata a Marco), GRILLI, Impotenza. Un originale contributo, utile perché applica taliteorie narrative proprio al vangelo di Mc, è TATE, Reading Mark.

35 Si vedano le considerazioni iniziali in VAN IERSEL, Mark, 14-29. Da questo punto divista, interessanti considerazioni si trovano ora in KILGALLEN, Introductions (per Mc: 9-35).

36 E. BEST, “Mark’s Readers: A Profile”, The Four Gospels 1992. Festschrift FransNeirynck (ed. F. VAN SEGBROECK et al.) (BEThL 100; Leuven 1992) II, 839-858; D.N. PETERSON, The Origins of Mark. The Markan Community in Current Debate(BiblInterp 48; Leiden 2000); P. G. BOLT, Jesus’ Defeat of Death. Persuading Mark’sEarly Readers (MSSNTS 125; Cambridge 2003); INCIGNERI, Romans; E.-M. BECKER,Das Markus-Evangelium im Rahmen antiker Historiographie (WUNT 2.R. 194; Tübin-gen 2006); H. N. ROSKAM, The Purpose of the Gospel of Mark in its Historical and SocialContext (NT.S 114; Leiden 2004); E. W. KLINK (ed.), The Audience of the Gospels. TheOrigin and Function of the Gospels in Early Christianity (LNTS 353; London –New York, NY 2010).

37 SKA, Our Fathers, 54.38 Si possono vedere per un quadro teorico di riferimento: CHATMAN, Story – in

particolare il capitolo quarto (“Discourse: Nonnarrated stories”, 146-195) e quinto(“Discourse: Covert versus overt narrators”, 196-262); W. C. BOOTH, The Rhetoric ofFiction (Chicago, IL 21983) 169-210; MARCHESE, L’officina, 168-183; BERNARDELLI

– CESERANI, Testo, 74-79.

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7. Setting(s)

Con questo termine si intende il “quadro” o “ambiente” o “cor-nice” dell’azione («Settings represent that aspect of narrative thatprovides context for the actions of the characters. [...] they designatewhen, where, and how the action occurs»42). Pur potendo parlare,per certi aspetti, di un elemento non centrale della narrativa, lo stu-dio del setting è presente in alcuni manuali di riferimento, che oscil-lano nella terminologia43. Alcuni autori – secondo un’accezionedifferente del termine, più “storica” – evidenziano il ruolo inter-pretativo che anche le cadre può avere: «Cadre: Ensemble des donnéesconstituant les circonstances de l’histoire racontée (cadre temporel,spatial, social, religieux, etc.), et souvent très utiles pour mieux com-prendre un récit (qui reflète toujours une époque donnée)»44.

8. Showing e Telling

«Le showing (litt., en montrant) consiste à montrer les faits, au-trement dit à laisser parler les personnages, à décrire leurs actionsdans le détail, pour que le lecteur ait en quelque sorte l’impres-sion d’y assister. Le telling (litt., en disant) consiste à exposer lesfaits en les mentionnant succinctement, sans les décrire longue-ment, sans les montrer (sans dialogues, sans descriptions longuesdes personnages, de leurs paroles et de leurs gestes, etc.). Certainsauteurs emploient aussi ce terme pour un type de narration danslequel le narrateur “explique” l’action au lieu de laisser parler etagir les personnages»45. Si tratta di un aspetto legato alla partico-

345

APPENDICE II. GLOSSARIO NARRATIVO

fait partie du récit, comme un de ses personnages (tel le narrateurdes Actes des Apôtres à partir d’Ac 16, 10; ou le prophète Nathanqui raconte la parabole du riche et du pauvre en 2 S 12, 1-4); -le narrateur extradiégétique, qui n’est pas un personnage du récit,mais peut intervenir pour faire ses remarques sur la situation ousur ce qu’il pense des personnages, et signaler aussi éventuelle-ment s’il partage ou non leur point de vue. Les narratologues dis-tinguent entre auteur et narrateur, car la voix narrative esttoujours ou presque à distance de l’auteur»39.

Un aspetto particolarmente interessante – e studiato nell’ambitodel secondo vangelo – è la modalità di presenza che il narratore as-sume all’interno dell’opera; in particolare i commenti del narratoreche svolgono una funzione importante nel racconto, e sono unmezzo per orientare la lettura40; ed i sommari, che – come nota Y.Bourquin – si trovano soprattutto nei primi capitoli del vangelo,proprio per il medesimo motivo41.

344

«MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?»

39 ALETTI, Vocabulaire, 76-77. In generale, nella narrativa biblica, si possono vedere an-zitutto alcuni manuali, in particolare SKA, Our Fathers, 43-54 e MARGUERAT – BOURQUIN,Bible, 129-152; trattazioni generali su Mc si trovano anche in: BALAGUER, Testimonio, 142-152; SMITH, Lion, 13-51; RHOADS – DEWEY – MICHIE, Story, 39-62. Si possono vedereanche F. HAHN (ed.), Der Erzähler des Evangeliums. Methodische Neuansätze in der Mar-kusforschung (SBS 118/119; Stuttgart 1985) e C. W. HEDRICK,“Narrator and Story in theGospel of Mark: Hermeneia and Paradosis”, PRSt 14 (1987) 239-258. Infine, tratta del nar-ratore anche R. ZWICK, Montage im Markusevangelium. Studien zur narrativen Organisationder ältesten Jesuserzählung (SBB 18; Stuttgart 1989) (in particolare 24-126), pur con unasingolare prospettiva che legge Mc come un’opera di “montaggio cinematografico”.

40 Per questa problematica, rimane tuttora valido lo studio di FOWLER, Loaves (in par-ticolare 157-175); egli si prende la briga di fornire un catalog of reliable commentary presentinel vangelo, suddivisi in Direct Comments to the Reader (13,14 e 1,1.2-3); Linking State-mentes (come 6,52); Parenthetical Constructions (traduzioni, spiegazioni di costumi stranieri,ammiccamenti al lettore, frasi di commento…); Inside Views; Unanswered Questions; Re-liable Characters; Prospective Passages: Backdrops and Introductions. Un’ulteriore classificazione,leggermente diversa, è riproposta in FOWLER, Let the Reader, dove appaiono le due ca-tegorie di Explicit (81-126) e Implicit (127-154) commentary by the narrator; a parte alcunedifferenze di catalogazione, l’Autore riprende sostanzialmente il suo precedente studio.

41 «La répartition [des sommaires] est assez significative: on n’en compte plus un seulaprès le chapitre 10 (et un seul après 6,56) ; la plupart se trouvent au chapitre 1, qui fonc-tionne un peu comme une clé dans ce domaine» (BOURQUIN, Marc, 55 e 77-83; cf. anchepiù avanti, nota 53).

42 POWELL, Narrative Criticism, 69.43 Per un primo quadro teorico si veda CHATMAN, Story, 138-145 (nell’edizione

italiana, 144-151, setting si traduce con “ambiente”); POWELL, Narrative Criticism, 69-83. A sua volta il termine è tradotto “ambientazione” nell’edizione italiana di RES-SEGUIE, Narrative Criticism, 87-120 e “cornice” nell’edizione italiana (83-90) diMARGUERAT – BOURQUIN, Bible, 99-108 (che traduce il francese cadre, equivalentea sua volta all’inglese setting, come si evince da ALETTI, Vocabulaire, 127).

44 ALETTI, Vocabulaire, 71. Si può vedere anche, per Mc, RHOADS – DEWEY – MI-CHIE, Story, 63-72; SVARTVIK, Mark, 222-239; BOURQUIN, Marc, 42-51.

45 ALETTI, Vocabulaire, 80. Analoghe definizioni e brevi esposizioni in: POWELL,Narrative Criticism, 52-53 MARGUERAT – BOURQUIN, Bible, 89-91; SKA, Our Fathers,

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In particolare, è interessante la variazione del tempo narrativoall’interno della narrazione, mediante il susseguirsi di episodi nar-rati in modalità e con tempi differenti: «L’autore può scegliere difare corrispondere il tempo della storia e il tempo del raccontofacendo scorrere la descrizione delle azioni in una sorta di“tempo reale”. Tale modalità del discorso narrativo è chiamatascena. Una tipica esemplificazione di una scena consiste nei braniin cui l’autore rappresenta un dialogo o un colloquio tra due opiù personaggi attraverso l’uso del discorso diretto […]: dopo unaserie di dati di fondo e di azioni ripetute nel tempo ed espresseal verbo imperfetto, ecco iniziare una scena con […] il passaggioal passato remoto e a uno scambio di battute»51.

Di fronte a trattazioni troppo sofisticate, però, si può convenirecon A. Marchese, che rimarca una certa arbitrarietà di simili“misurazioni”: «Il confronto fra la durata di un racconto e quelladella storia è un’operazione in qualche modo arbitraria, perchéè impossibile misurare con precisione la durata narrativa, che èdurata di scrittura/lettura, e quindi intrinsecamente soggettiva.Tuttavia si può convenire che una scena dialogata realizzi unaspecie di eguaglianza fra il segmento narrativo e il segmentodiegetico, cioè fra il tempo del racconto-narrazione e il tempodella storia»52.

Infine, per il secondo vangelo, è interessante la tematica, a cuisono stati dedicati numerosi studi, dei sommari (Sammelbericht), in-

347

APPENDICE II. GLOSSARIO NARRATIVO

lare modalità di narrazione, ma si è visto, nel corso del lavoro,come l’utilizzo di queste differenti modalità di narrare possa vei-colare giudizi e punti di vista diversificati46.

9. Tempo narrativo

Di tempo narrativo si deve parlare a partire dalle intuizioni diG. Genette, creatore della teoria classica47, ma l’argomento è trattatoampiamente in tutti gli autori più recenti (significativa l’assenzadella tematica in manuali più datati48).Anche gli esegeti che utiliz-zano approcci narrativi dedicano normalmente adeguato spazioall’argomento, come testimoniato dai manuali49, anche se è più raroincontrare un’adeguata e fruttuosa applicazioni a singoli studi50.

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«MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?»

53-54; RESSEGUIE, Narrative Criticism, 126-130. Tra gli studiosi non biblici, va consi-derato anzitutto la posizione (piuttosto critica) di GENETTE, Figure III, 183-223; moltoestesa la trattazione di CHATMAN, Story, 196-262, ma interessanti anche le conside-razioni di BOOTH, Fiction, 3-20 e 211-240, nonché di MARCHESE, L’officina, 164-165(egli considera questo aspetto all’interno del più ampio discorso sulla modalità espres-siva, in base alla posizione di G. Genette).

46 Come riconosciuto ad esempio da RESSEGUIE, Narrative Criticism, 126-127:«Two generally recognized narrative techniques of characterization are showing andtelling. In showing, which is also called the dramatic method or indirect presentation,the author simply presents the characters talking and acting and leaves the reader toinfer the motives and dispositions that lie behind what they say and do […]. In telling,which is also called direct presentation, the narrator intervenes to comment directlyon a character – singling out a trait for us to notice or making an evaluation of a char-acter and his or her motives and disposition. This method does not rely upon thereader’s ability to infer a character’s attribute from what he or she does and says.Rather, the narrator tells us about the character’s traits and motivations».

47 GENETTE, Figure III, 77-182.48 Cf. SCHOLES – KELLOG, Narrative; su posizioni simili a Genette sono CHATMAN,

Story, 62-84 e MARCHESE, L’officina, 129-156. Più divulgative, ma certamente inte-ressanti, le due lectures dedicate al tempo narrativo da ECO, Sei passeggiate, 33-90. Cf.anche CESERANI, Guida breve, 248 e 254-255; infine, ottima sintesi di tutta la proble-matica in BERNARDELLI – CESERANI, Testo, 84-88.

49 POWELL, Narrative Criticism, 73-75; MARGUERAT – BOURQUIN, Bible, 109-128;SKA, Our Fathers, 7-15.

50 Si possono ricordare: N. R. PETERSEN, “Story Time and Plotted Time in Mark’sNarrative”, Literary Criticism for New Testament Critics (ed. N. R. PETERSEN) (Philadel-phia, PA 1978) 49-80; D. MARGUERAT, “Raconter Dieu. L’évangile comme narra-

tion historique”, La narration. Quand le recit devient communication (ed. P. BÜHLER

– J. F. HABERMACHER) (LiTh 12; Genève 1988) 83-106; BALAGUER, Testimonio, 163-208; D. B. HOWELL, Matthew’s Inclusive Story. A Study in the Narrative Rhetoric ofthe First Gospel (JSNT.S 42; Sheffield 1990) 96-110; SMITH, Lion, 124-150; B. D.SCHILDGEN, Crisis and Continuity.Time in the Gospel of Mark (JSNT.S 159; Sheffield1998); D. S. DU TOIT, “Prolepsis als Prophetie. Zur christologischen Funktion narra-tiver Anachronie im Markusevangelium”, WuD 26 (2001) 165-189.

51 BERNARDELLI – CESERANI, Testo, 86.52 MARCHESE, L’officina, 146. Cf. anche SKA, Our Fathers, 12-13: «A “Scene”, in this

context, means a section of a narrative where narration time tends to equal narrativetime, especially in dialogues, In a “summary”, many events of the “story” are con-densed in a short section of the “discourse” (a few word or sentences)».

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razione (a scapito dei personaggi, visti soprattutto in funzionedella trama stessa)57, a considerazioni più equilibrate ed all’analisidi tipo più “dinamica” di come essa viene costruita e sviluppatanel testo, in rapporto dialettico con la funzione dei personaggi.Anche nell’analisi svolta qui, si è preferito effettuare considera-zioni di più ampio respiro, attente soprattutto a determinare lestrategie narrative globali presenti nel testo, cogliendo gli aspettiparticolari legati alla trama episodica, alla differenza tra rivelazionee risoluzione, all’individuazione dei vari elementi della trama pre-senti nel testo58.

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APPENDICE II. GLOSSARIO NARRATIVO

dividuata come espressione peculiare di Mc, con risvolti in par-ticolare per la strutturazione del vangelo53.

10. Trama

«Intrigue. Développement de l’action qui part d’un état initial,puis par tensions successives arrive à sa résolution. Les grandesétapes de l’intrigue (en anglais, plot) sont en général le nouement,les complications, le climax et le dénouement. Il existe plusieurstypes d’intrigue: De résolution: L’intrigue de résolution qui cor-respond à la question : “que va-t-il arriver ou se passer?” […]. Derévélation: L’intrigue de révélation, qui consiste en un processusde révélation ou de connaissance d’un personnage (souvent leprotagoniste)»54.

Ovviamente, la trama è una delle principali e classiche tema-tiche trattate nei testi di narrativa55, e fa capolino fin dai primi la-vori di analisi narrativa applicati al Nuovo Testamento, come adesempio nello studio di N. Perrin56.

Nell’applicazione di questo elemento narrativo, si è passati dauna forte sopravvalutazione del suo valore all’interno della nar-

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«MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?»

53 A proposito dei sommari, trattati narrativamente, si possono vedere: BREYTEN-BACH, “Episodische Erzählung”; BEAVIS, Audience, 177-180; E. BEST, “Mark’s Narra-tive Technique”, JSNT 37 (1989) 43-58; ONUKI, Sammelbericht; DORMEYER,Idealbiographie, 158-184; J. DELORME, “Les sommaires en Marc. Problèmes de mé-thode et de sens”, Mysterium Regni, Ministerium Verbi. Scritti in onore di mons. VittorioFusco (ed. E. FRANCO) (SRivBib 38; Bologna 2000) 119-136 – secondo il quale sipuò parlare di due tipi di sommari: brani di collegamento collocati tra due scenesuccessive, i quali riassumono in poche espressioni una serie ampia di avvenimentidella storia (il récit-sommaire); brevi brani all’interno di un episodio (sommaire élémen-taire); J. DELORME, “Déconstruire le texte construire la lecture. Un sommaire enMarc (6, 53-56)”, SémBib 100 (2000) 50-65; FOCANT, Marc, 138-139; BOURQUIN,Marc (vengono elencati a p. 55), LARSEN, Seeing, 19-21.

54 ALETTI, Vocabulaire, 75.55 Cf. SCHOLES – KELLOG, Narrative, 207-239; TODOROV, Catégories; CHATMAN,

Story, 43-95; CESERANI, Guida breve, 205-206; BERNARDELLI – CESERANI, Testo, 239.56 PERRIN, “Author”; Anche nei manuali di narrativa biblica, il tema è trattato

ampiamente: POWELL, Narrative Criticism, 35-50; SKA, Our Fathers, 17-38; MARGUE-RAT – BOURQUIN, Bible, 53-74 (con una certa macchinosità di impostazione e dianalisi, però); RESSEGUIE, Narrative Criticism, 187-240.

57 Posizione propria dello strutturalismo, secondo la quale del resto anche la“trama”non descrive alcun elemento di realtà, ma solo elementi di linguaggio: cf. R.BARTHES, “Introduction à l’analyse structurale des récits”, Communications 8 (1966)27 («“ce qui se passe” dans le récit n’est, du point de vue référentiel (réel), à la lettre:rien ; “ce qui arrive”, c’est le langage tout seul, l’aventure du langage, dont la venuene cesse jamais d’être fêtée»).

58 Le considerazioni a proposito di tali aspetti della trama del vangelo secondoMarco sono state sviluppate ampiamente nel corpo del lavoro.

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IL RUOLO NARRATIVO DI PIETRO NEL VANGELO SECONDO MARCO,

ALLA LUCE DI MC 8,27-33

Paolo Mascilongo

Oggetto di questo breve lavoro è – ancora una volta1 – il di-scepolo Pietro, nella presentazione che ne offre il vangelo se-condo Marco. Il tema non è nuovo; tuttavia, le caratteristichepeculiari di questo studio ne giustificano la ripresa. La prima ca-ratteristica è la scelta della metodologia narrativa, che consente direstringere alquanto il panorama scientifico di riferimento2. Laseconda è che il ruolo del discepolo è discusso a partire da unparticolare brano, Mc 8,27-33. Infine, la scelta è dettata dalla per-sonale riconoscenza verso il p. Jean-Noël Aletti, che, con le sueacute e profonde osservazioni sul ruolo di Pietro nel secondovangelo, ha dato il via ad un lungo cammino di studio sotto la suapaziente e magistrale guida.

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1 La bibliografia relativa a Pietro è sterminata; se ne darà conto qui in particolareper quanto riguarda quella narrativa marciana.

2 Si osservi che, parlando nel titolo di «ruolo narrativo», si intende tanto la carat-terizzazione di Pietro nel vangelo, quanto la funzione narrativa che il discepolo as-sume in Mc. Alcuni studi narrativi su Pietro in Mc sono: W. S. VORSTER,“Characterization of Peter in the Gospel of Mark”, Neotest. 21 (1987) 57-76; A. BOR-RELL, The Good News of Peter’s Denial. A Narrative and Rhetorical Reading of Mark14:54.66-72 (University of South Florida. International Studies in Formative Chris-tianity and Judaism 7; Atlanta, GA 1998); T. J. WIARDA, “Peter as Peter in the Gospelof Mark”, NTS 45 (1999) 19-37; C. FOCANT, “La construction du personnage deSimon-Pierre dans le second évangile”, Marc, un évangile étonnant (ed. C. FOCANT)(BEThL 194; Leuven 2006) 95-113; più in generale utile anche R. J. CASSIDY, Fourtimes Peter. Portrayals of Peter in the Four Gospels and at Philippi (Interfaces; Colle-geville, MN 2007).

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1. La svolta di Cesarea

Quasi al centro del secondo vangelo, la «confessione di Pietro»(Mc 8,27-30) e il successivo «primo annuncio della passione»(Mc 8,31-33), coppia di episodi strettamente legati, segnano unadecisa svolta narrativa nel racconto3.

Il primo di essi è un chiaro momento di riconoscimento nellatrama di rivelazione4. È infatti possibile mostrare che il vangelo se-condo Marco istituisce un percorso narrativo che ha il suo puntodi arrivo in 8,27-30, laddove giunge ad un vertice il cammino didomanda sull’identità di Gesù, che per la prima volta trova nel-l’affermazione cristologica di Pietro una risposta adeguata. Il se-condo episodio, narrato in 8,31-33, a sua volta dà il via al nuovopercorso del racconto che ha come meta gli episodi conclusividel vangelo (passione, morte e resurrezione), evocati prolettica-mente in 8,31, versetto in cui Gesù introduce per la prima voltail tema5. Leggendo insieme i due episodi, è possibile riconoscere

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PAOLO MASCILONGO

3 Sul perché sia necessario considerare distinti i due episodi, si veda P. MASCILONGO,“Ma voi, chi dite che io sia?”. Analisi narrativa dell’identità di Gesù e del cammino deidiscepoli nel Vangelo secondo Marco, alla luce della “Confessione di Pietro” (Mc 8,27-30) (AnBib 192; Roma 2011) 15-31; questa posizione è, tra gli altri, di: R. PESCH, DasMarkusevangelium (HTkK II; Freiburg – Basel – Wien 21980) II, 27-36; C. FOCANT,L’évangile selon Marc (CBNT 2; Paris 2004) 313-317; B. STANDAERT, Évangile selon Marc(EtB 61; Paris 2010) 60-61.

4 Molti autori parlano esplicitamente di anagnorisis («Le […] moment où, dansune intrigue de révélation, s’opère le passage de l’ignorance à la connaissance»; cosìJ.-N. ALETTI – M. GILBERT – J. L. SKA – S. DE VULPILLIÈRES, Vocabulaire raisonné del’exégèse biblique. Les mots, les approches, les auteurs (Outils bibliques; Paris 2005)70), già a partire da E. J. BICKERMAN, “Das Messiasgeheimnis und die Kompositiondes Markusevangeliums”, ZNW 22 (1923) 122-140. Più recentemente: A. COLLINS

YARBRO, Mark. A Commentary (Hermeneia; Minneapolis, MN 2007) 91-93, STAN-DAERT, Marc, 605 e S. DEVULPILLIÈRES, Nature et fonction des injonctions au silence dansl’évangile de Marc (EtB 62; Pendé 2010) 261-262. A. REGINATO, “Che il lettore capisca!”(Mc 13,14). Il dispositivo di cornice nell’Evangelo di Marco (Studi e Ricerche As-sisi 2009) 139 giustamente nota che «in Marco – caso unico nella letteratura antica– abbiamo due scene di riconoscimento: prima a Cesarea, poi sul Golgota».

5 Sono molti gli elementi linguistici e tematici che appaiono per la prima voltain 8,31-33; cf. C. FOCANT, Marc, 321-322; R. A. CULPEPPER, Mark (Smyth & HelwysBible Commentary; Macon, GA 2007) 271; STANDAERT, Marc, 616.

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un importante legame consequenziale: proprio perché Pietro hasaputo raggiungere una conoscenza adeguata dell’identità del Na-zareno, è iniziato il nuovo cammino6.

Naturalmente, in entrambi i brani il ruolo del primo apostoloè del tutto rilevante, tanto da giustificare un tentativo di letturaglobale della caratterizzazione di Pietro in Mc sulla base di questiversetti7. È lui che fa risuonare nel racconto il termine Cristo,j in8,29; in 8,31-33 è sempre lui a mettere in evidenza, per contrasto,il radicale nuovo inizio impresso da Gesù al cammino evangelico.

Così, 8,27-33 non è rilevante solo per il tema che esprime,ma anche – secondo una tipica considerazione narrativa – per ilruolo che riserva a Pietro nel veicolare il contenuto proposto; ilpersonaggio dell’apostolo si colloca, per così dire, su entrambe lesponde del vangelo, che nel passaggio da 8,30 a 8,31 ha uno spar-tiacque decisivo.

2. Caratterizzazione narrativa di Pietro in Mc 8,27-33

La confessione (Mc 8,27-30). L’andamento di 8,27-30 è benmarcato; se da un lato la narrazione delinea con forza il ruolo delprotagonista (è Gesù che «esce» alla volta di Cesarea, 8,27a; ponela prima domanda, 8,27b; riprende con la seconda, 8,29; concludecon l’ammonimento al silenzio, 8,30) e mette a tema la sua iden-tità, dall’altra essa coinvolge esplicitamente i discepoli8. Essi sonoben più che semplici comparse, fin dalla prima domanda; e la ten-sione narrativa è sciolta da Pietro con la seconda risposta. L’apostolo,non menzionato in precedenza (quasi «nascosto» nel gruppo dei

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IL RUOLO NARRATIVO DI PIETRO NEL VANGELO SECONDO MARCO

6 Si vedano VULPILLIÈRES, Silence, 134 e MASCILONGO, Confessione, 108-111.7 Si intende con caratterizzazione lo studio del personaggio secondo la metodologia

narrativa. Per una definizione, ALETTI, Vocabulaire, 71-72. Inoltre: J. L. SKA, Our Fatherstold us. Introduction to the Analysis of Hebrew Narrative (SubBi 13; Roma 1990,2000) 83-94; J. L. RESSEGUIE, Narrative Criticism of the New Testament. An Introduc-tion (Grand Rapids, MI 2005) 121-166.

8 Soprattutto la seconda domanda, che inizia con l’enfatico umei/j de,, chiama diret-tamente in causa i discepoli; un breve confronto sinottico mostra che questa domanda(umei/j de. ti,na me le,gete ei=naiÈ) è l’unica frase identica nei tre vangeli.

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discepoli: che fosse Pietro a rispondere, quindi, non era prevedi-bile), risalta con particolare evidenza nella parte terminale delracconto. Come la seconda risposta si distingue nettamente dallaprima, così Pietro si distingue dal gruppo; narrativamente, la co-struzione del brano non lascia dubbi9.

Anche il contenuto della confessione («Tu sei il Cristo»), na-turalmente, attira l’attenzione su Pietro, che sembra raggiungerequi una designazione adeguata di Gesù. La dinamica narrativa delbrano porta infatti a considerare positivamente la sua risposta, siaper l’andamento delle due domande/risposte che per il confrontotra il termine Cristo,j ed i precedenti «Giovanni Battista», «Elia»o «profeta»10. Ma è in particolare il confronto tra livello diegeticoed extradiegetico del racconto a convalidare il titolo utilizzato daPietro in 8,29; esso infatti è inedito a livello di storia, ma non delracconto11, così il lettore riconosce il termine utilizzato in 1,1 dalnarratore, il che rappresenta un forte indizio a favore della suavalidità. Tuttavia, non è affatto raro in letteratura incontrare giu-dizi sospesi o apertamente negativi nei confronti della risposta

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PAOLO MASCILONGO

9 Cf. CASSIDY, Peter, 23: «Peter speaks authoritatively and before any other disci-ple responds. Mark’s portrayal does not indicate whether any others of the Twelvewere capable of this identification. Here, clearly, Mark’s spotlight is on Peter fun-ctioning in a decisive manner».

10 Si condivide pienamente qui l’idea di J.-N. Aletti per cui anche l’interpretazionedei titoli cristologici deve avvenire narratologicamente; cf. il recente J.-N. ALETTI, LeJésus de Luc (CJJC 98; Paris 2010), ad esempio 241. Si vedano anche J. J. KILGALLEN,A Wealth of Revelation. The Four Evangelists’ Introductions to Their Gospels (SubBi34; Roma 2009) 14-21, e J. MARCUS, Mark 8-16. A New Translation with Intro-duction and Commentary (AncB 27A; New York, NY – London – Toronto – Sydney– Auckland 2009) 612-613 e 1104-1107.

11 Dopo l’incipit extradiegetico del vangelo (il titolo 1,1: «Inizio del vangelo di GesùCristo, [Figlio di Dio]»), il termine «messia» non era più apparso, come nota B. M. F.VAN IERSEL, Mark. A Reader-Response Commentary (JSNT.S 164; Sheffield 1998)282: «This apposite word has not yet been used by anyone in the story, but the rea-der remembers it as one of the significant words in the title of the book». Pietro rag-giunge così un livello di conoscenza finora riservato al lettore, colmando parte delloscarto i mondi narrativi della storia e del racconto: «Grâce au prologue de l’évangile, lelecteur dispose d’une longueur d’avance sur les personnages du récit et d’une assezbonne connaissance de l’identité de Jésus» (FOCANT, Marc, 315).

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del discepolo: quanto egli afferma – si dice – non è affatto ade-guato a comprendere l’identità del protagonista12. Ciò accade prin-cipalmente perché nell’episodio non è espresso alcun punto di vista(valutativo) esplicito a favore della confessione. Il comando di si-lenzio finale lascia infatti aperte differenti interpretazioni13 e non èchiaro in che modo il termine «Messia» sia inteso da Pietro, né nel-l’episodio in sé, né in base alla storia narrata fino a questo punto14.Inoltre – dal confronto con 1,1 – emerge un ulteriore fattore didubbio, perché, rispetto a quel versetto, ora non si fa menzionedell’espressione Figlio di Dio (si pensi a Mt 16,16!). Il lettore rico-nosce allora una certa parzialità nella risposta di Pietro: egli ha dettobene, ma non ha detto tutto15! Si tratta, in conclusione, di un epi-sodio luminoso per Pietro, ma non del tutto privo di ombre…

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IL RUOLO NARRATIVO DI PIETRO NEL VANGELO SECONDO MARCO

12 Ciò accade anche all’interno dell’approccio narrativo, dove si può andare dal ri-conoscimento di una piena validità dell’affermazione petrina – così S. RATHINAM,“The Way to Discipleship. A Synchronic Narrative Study of Mark 8:27-38”, Vidya-jyoti 67 (2003) 683 – alla perplessità di chi sottolinea i limiti della concezione del-l’apostolo, come C. FISCHER, Les disciples dans l’évangile de Marc. Une grammairethéologique (EtB 57; Paris 2007) 106, il quale rigetta tout court la confessione comedemoniaca.

13 Cf. VAN IERSEL, Mark, 282-283 ; RATHINAM, “Way”, 683 e MARCUS, Mark, 612;tuttavia, in base ai precedenti simili, J.-N. ALETTI, “La construction du personnageJésus dans les récits évangéliques. Le cas de Marc”, Analyse narrative et Bible. DeuxièmeColloque International du RRENAB, Luovain-La-Neuve, Avril 2004 (ed. C. FO-CANT – A. WÉNIN) (BEThL 191; Leuven 2005) 26, può affermare: «Le silence qu’il[Jésus] demande doit être logiquement interprété comme celui qu’il a imposé au-paravant aux démons, c’est-à-dire comme un refus de voir divulguée une caractéri-sation vraie, mais dangereuse, car liée à des représentations triomphalistes»; cf. ora,per tutta la questione, VULPILLIÈRES, Silence.

14 «Le narrateur ne fournit aucune indication sur le caractère positif ou négatif decette réponse de Pierre, si ce n’est que Jésus impose le silence […]. Son caractère la-conique ne permet pas, en effet, de savoir vraiment ce que Pierre entend par“Christ”» (FOCANT, “Simon-Pierre”, 100).

15 Cf. P.-Y. BRANDT, L’identité de Jésus et l’identité de son disciple. Le récit de la trans-figuration comme clef de lecture de l’Evangile de Marc (NTOA 50; Fribourg – Göt-tingen 2002) 213: «La confession de Jésus comme “messie” est incorrecte ouinsuffisante, contrairement à celle de “Fils de Dieu”». Molto più equilibrata l’esposi-zione narrativa dei termini Messia e Figlio di Dio, in M. VIRONDA, Gesù nel vangelo diMarco (SRivBib 41; Bologna 2003) 142-163.

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L’annuncio della passione (Mc 8,31-33). L’episodio seguente,strettamente legato alla confessione, si apre con un «nuovo inse-gnamento» di Gesù, rivolto sempre a Pietro e ai discepoli. In que-sto brano, per quanto riguarda Pietro, la narrazione si faparticolarmente esplicita, veicolando un chiaro giudizio del prota-gonista nei suoi riguardi: u[page ovpi,sw mou( satana/( o[ti ouv fronei/jta. tou/ qeou/ avlla. ta. tw/n avnqrw,pwn (8,33); l’apostolo diventacosì quasi un antagonista del maestro16. Se tuttavia si ricorda laprecedente confessione e si considera che il forte rimprovero èconseguenza della reazione di Pietro al piano divino descritto,per la prima volta, in 8,3117, è facile intravvedere qui una precisastrategia narrativa volta a «stupire» il lettore18. Narrativamente,l’accostamento ravvicinato di confessione e rigetto di Pietro –con il suo brusco cambio di prospettiva – rappresenta un «puntoesclamativo», un richiamo deciso per chi legge, a favore di una piùprofonda comprensione del tema in gioco in entrambi gli episodi:la persona di Gesù. Dopo il punto fermo messo con la confes-sione, le affermazioni di 8,31 introducono infatti un aspetto com-pletamente nuovo del destino del Nazareno19. È questo ilcontenuto dirompente del brano, l’inizio di quel nuovo percorsonarrativo che giungerà fino al racconto di morte e risurrezione,

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16 Questo giudizio è molto diffuso: VORSTER, “Characterization”, 64: «[Peter is]the Opponent of Jesus who reveals a total lack of understanding»; CULPEPPER, Mark,274: «He [Peter] was playing out the role of the tempter»; CASSIDY, Peter, 4-5: «Yet asthe second section of the Gospel begins, Peter emerges as the disciple who decisi-vely rebukes Jesus!» e infine FOCANT, “Simon-Pierre”, 112: «Dans la seconde [partiede l’évangile], il [Pierre] est le chef de file d’une opposition à la Passion de Jésus».

17 Cf. E. MALBON STRUTHERS, Mark’s Jesus. Characterization as Narrative Chri-stology (Waco, TX 2009) 177-178.

18 REGINATO, Cornice, 133 può affermare che Mc è «un racconto sconcertanteper un lettore sconcertato, il cui sapere viene continuamente decostruito».

19 Nuovo, cioè, anche per il lettore. Infatti, che Gesù dovesse morire non era statoancora detto al lettore (cf. I. B. DRIGGERS, Following God through Mark. TheologicalTension in the Second Gospel (Louisville, KY 2007) 81-82). E non si può misco-noscere la difficoltà di una simile interpretazione anche per il lettore cristiano: «It isnow a question of how can one who has the power and wisdom and holiness of themessiah meet such a contradictory end. Is this crucified man Messiah? Can we stillcall him that?» (KILGALLEN, Wealth, 16).

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non a caso qui proletticamente annunciate per la prima volta conchiarezza. Davanti a questo annuncio, e a questo cammino, Pie-tro esprime il punto di vista umano di chi non comprende talenovità, e così si assume il ruolo di evidenziarne – per contrasto– tutto il paradosso20: grazie all’apostolo, il lettore può soppesarecon maggior attenzione la portata delle affermazioni di Gesù.Così, all’interno di un episodio pieno di ombre per Pietro, nonè impossibile scorgere bagliori di luce.

Al termine di queste brevi note su 8,27-33, si nota anzituttola centralità degli episodi per la caratterizzazione di Pietro; in se-condo luogo, la complessità del suo ritratto, volutamente lasciatonell’ambiguità dal narratore, che intreccia note positive e notenegative; infine, la forte dipendenza della figura di Pietro da quelladi Gesù, vero protagonista degli episodi, sia nella forma del rac-conto che nel suo contenuto. Di certo si prospetta la necessità diestendere la ricerca alle restanti sezioni del vangelo, per cercareconferme di tali caratteristiche in tutta la narrazione.

3. Il cammino di Pietro in Mc 1,1 – 16,8

La posizione di Pietro è di assoluto rilievo lungo tutto il vangelo,come di norma riconosciuto nella ricerca21. Più controverso è ilruolo che gli viene attribuito, o il giudizio che se ne fa derivare.

Egli è il primo discepolo ad essere chiamato, insieme al fratelloAndrea e all’altra coppia di fratelli Giacomo e Giovanni (1,16-20);subito dopo, il discepolo è ricordato nell’episodio della guari-gione della suocera, ambientata nella casa di lui (1,29-30) e nel-l’episodio conclusivo della «prima giornata» di Gesù a Cafarnao

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IL RUOLO NARRATIVO DI PIETRO NEL VANGELO SECONDO MARCO

20 Analogamente, alcuni autori parlano di “concentrazione cristologica” – favoritaper contrasto – a proposito dell’incomprensione dei discepoli in Mc 4 – 8, in quantoessa non pregiudica il loro rapporto con il maestro, ma evidenzia l’assoluta novità dellapersona di Gesù. Su questo, cf. G. BONIFACIO, Personaggi minori e discepoli in Marco 4–8. La funzione degli episodi dei personaggi minori nell’interazione con la storia deiprotagonisti (AnBib 173; Roma 2008) 22-37 e MASCILONGO, Confessione, 187-284.

21 «After Jesus, Peter plays the most important role in terms of plot of each of theGospels» (CASSIDY, Peter, 2).

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(1,36-39); successivamente egli è nominato al momento della«scelta» dei Dodici (3,13-19): Simone è il primo dell’elenco, ericeve qui il suo nuovo nome Pietro22. Ricompare poi nell’epi-sodio della guarigione della figlia di Giairo (5,21-43), ancora unavolta insieme a Giacomo e Giovanni. Dopo il capitolo quinto, finoa Cesarea, Pietro non è più citato esplicitamente, il che risulta stranoin una sezione del vangelo che vede spesso i discepoli protagoni-sti. L’effetto è tuttavia interessante, perché, proprio mentre ai di-scepoli non sono risparmiate critiche pesanti (da parte del narratoreo di Gesù stesso)23, il racconto non evidenzia il primo degli apo-stoli come soggetto di tali critiche. In tal modo, il ritratto emer-gente nei primi otto capitoli del vangelo è sostanzialmente positivo.

Dopo il forte rimprovero di 8,31-33, Pietro è chiamato da Gesùall’esperienza particolare della trasfigurazione (9,2-13), ricevendouna fiducia per nulla scontata24. Proseguendo nel racconto, Pietrointerroga Gesù in uno dei molti insegnamenti riservati ai dodici(10,23-31); dopo l’ingresso a Gerusalemme, Pietro si rivolge almaestro durante un dialogo riservato (11,21) e torna, con Gia-como, Giovanni e Andrea, nell’introduzione del discorso escatolo-gico di Gesù (13,3). Nel capitolo quattordicesimo, infine, il ruolodi Pietro risalta dapprima durante l’ultima cena, con la sua pro-messa di fedeltà (14,29); poi in quanto chiamato da Gesù nell’orto(14,33.37); infine, come protagonista solitario del rinnegamento,magistralmente narrato in 14,54.66-72. Dopo il silenzio nei rac-conti di passione e morte, Pietro riemerge in 16,7, evocato nelleparole del giovane angelico alle donne, presso il sepolcro.

Gli episodi che vedono protagonista l’apostolo sono pertantonumerosi; è tuttavia necessario individuare criteri ermeneuticiadeguati per una valutazione complessiva. Tali criteri saranno quidesunti dall’analisi narrativa.

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22 Non si può dar conto qui dell’interessante dibattito sul nome dell’apostolo. Peruna più ampia bibliografia, si veda MASCILONGO, Confessione, 216, n. 61.

23 Si veda ad esempio il commento del narratore in 6,52 oppure il dialogo in 8,14-21.24 Cf. CASSIDY, Peter, 27.

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4. La caratterizzazione di Pietro: valutazioni narrative

Narrativamente occorre anzitutto domandarsi se l’apostolo,come personaggio, subisca un processo di caratterizzazione par-ticolare, in confronto agli altri personaggi, soprattutto i discepoli.La questione è dibattuta e molti autori narrativi ritengono chePietro debba essere semplicemente visto, in Mc, come il «porta-voce» del gruppo25. A partire tuttavia dalla centralità della sua ca-ratterizzazione e funzione narrativa in 8,27-33, è possibile cercaredi scoprire analoga centralità nell’intero vangelo.

La trama. Si può partire considerando la trama del vangelo; siè visto come proprio la trama avesse una decisa svolta in 8,27-33,ed il ruolo di Pietro in questo passaggio. Nel suo complesso, ilvangelo secondo Marco è un testo narrativo di tipo episodico26,la cui trama è costruita mediante la giustapposizione, a volte conlegami molto labili, di brani differenti. In simili testi, sono im-portanti gli elementi che garantiscono l’unità: tra i personaggi,insieme naturalmente a Gesù, i discepoli sono il più potente ele-mento unificatore del vangelo. Ebbene, a Pietro è dato un ruoloestremamente specifico in tal senso, essendo egli il primo (1,16)e l’ultimo (16,7) dei discepoli ad essere citato27. Si può affermarequindi che, all’interno del gruppo, egli sia messo in risalto inmodo particolare e che la sua posizione nel gruppo dei discepolifavorisca la coesione narrativa dell’intero vangelo.

I personaggi. Naturalmente, in molte altre pagine del vangeloPietro condivide la caratterizzazione complessiva del gruppo deidiscepoli e non è menzionato da solo; va quindi descritta la suarelazione in particolare con questi altri personaggi del vangelo28.

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IL RUOLO NARRATIVO DI PIETRO NEL VANGELO SECONDO MARCO

25 Questo è il giudizio più diffuso negli studi dedicati ai discepoli in Mc; non sonoquindi molti gli studi su Pietro, come già visto nella precedente nota 2. Recente-mente, ribadisce questo ruolo anche per la confessione VULPILLIÈRES, Silence, 255.

26 Si veda BONIFACIO, Personaggi, 46-54. 27 Cf. P. WARGNIES, “Marc 16,1-8. Les femmes et le jeune homme dans le tom-

beau”, NRTh 132 (2010) 380.28 Non è possibile affrontare l’interessante confronto con i «personaggi minori» del se-

condo Vangelo. Per questo, cf. BONIFACIO, Personaggi e MASCILONGO, Confessione, 266-269.

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Di tale caratterizzazione, il tratto più evidente è il loro legamecon il maestro, emergente con chiarezza fin dai primi episodi nar-rati. Dentro il gruppo, Pietro è colui che più rappresenta tale le-game, facendo da ponte tra Gesù e gli altri discepoli in diverseoccasioni: nel capitolo terzo egli è menzionato per primo tra iDodici; nel capitolo quinto egli è presente al miracolo in casa diGiairo chiamato lì, con il gruppo dei tre, dal Signore; anche in8,29, come visto, si rivela ancora una volta il suo ruolo di cernieratra Gesù ed il gruppo; analoghe considerazioni valgono per l’epi-sodio della trasfigurazione. Nei capitoli conclusivi del vangeloPietro torna ad essere descritto in modo più definito, sempre inrelazione al maestro ed agli altri discepoli, com’è evidente negliepisodi dell’ultima cena (dove Pietro esprime la propria fedeltà ericeve l’annuncio specifico del rinnegamento), della preghieranell’orto (dove Pietro condivide con gli altri l’accompagnamentodi Gesù, ma è l’unico rimproverato esplicitamente) e del rinne-gamento (dove l’apostolo, in qualche modo, rappresenta plastica-mente con il suo atteggiamento la fuga di tutti). Tuttavia,l’episodio che più di altri rappresenta al meglio la specifica posi-zione di Pietro all’interno del gruppo dei discepoli è il breve re-soconto della resurrezione in Mc 16,1-829. La narrazione, «aperta»e analettica, suggerisce al lettore che per i discepoli sia possibileuna nuova storia con Gesù (storia che non fa parte del racconto)30. Enon si può non sottolineare quel kai. tw/| Pe,trw| con cui in 16,7si esprime il giovane dalle fattezze angeliche; del tutto superfluo aifini della comprensione, perché non c’è alcun dubbio che Pietrofaccia parte del gruppo dei discepoli, se ne comprende l’impor-

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29 Cf. FOCANT, Marc, 599-600; ALETTI, “Personnage Jésus”, 38-39; Y. BOURQUIN,Marc, une théologie de la fragilité. Obscure clarté d’une narration (MoBi 55; Genève2005) 271-339; C. FOCANT, “Une christologie de type «mystique» (Marc 1.1-16.8)”,NTS 55 (2009) 5-8; J. H. MORALES RÍOS, “La respuesta a la pregunta de los dísci-pulos (Mc 4,41): todo un itinerario narrativo”, “Perché stessero con Lui”. Scritti inonore di Klemens Stock SJ, nel suo 75° compleanno (ed. L. DE SANTOS – S. GRASSO)(AnBib 180; Roma 2010) 200; J. PALACHUVATTIL, “The story of discipleship in theGospel of Mark”, “Perché stessero con Lui”, 172-180.

30 FOCANT, Marc, 532: «Cette anticipation est donc une note d’espérance qui ouvreau-delà du récit évangélique».

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tanza narrativa: da una parte, per ribadire un ruolo che l’apostoloha sempre avuto fin da 1,16 (come già ricordato); dall’altro, per-ché il lettore si attende – dopo il rinnegamento – un’assicurazioneesplicita sul reintegro del pescatore di Galilea. E quelle parole nonlasciano dubbi: anche a Pietro è riservata di nuovo la possibilità diun incontro con il Signore. Come all’inizio, è da Gesù che di-pende la sua vita31. Così, anche il lungo silenzio della passione nonha chiuso la questione, ed il messaggio conclusivo del vangelo sul-l’apostolo (e sugli altri discepoli) è quello di una sua permanenzanella fedeltà al maestro così prontamente seguito fin dall’inizio.

Il punto di vista. Come già detto, proprio in 8,27-33 per la primavolta si raggiunge un livello di caratterizzazione per Pietro in cuiegli emerge come «personalità» autonoma: capace di un propriopunto di vista nella confessione di 8,29 e oggetto di un esplicitopunto di vista del Signore su di lui in 8,31-3332. La dura affermazionedi 8,33 su Pietro non è però l’ultima parola sull’apostolo. Pur senzaesplicitare il punto di vista di Gesù, già l’episodio della trasfigura-zione, in cui il Signore chiama di nuovo a sé Pietro, veicola un fat-tore importante di valutazione positiva per lui33. Un punto di vistaesplicito di e su Pietro torna solo nei capitoli conclusivi del van-gelo: per la caratterizzazione di Pietro, essi si possono paragonare

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31 Cf. STANDAERT, Marc, 1188. In altre parole, grazie a Gesù (ancora una volta!),neppure in questo caso si può parlare di un venir meno del rapporto, ma piuttosto«dell’offerta di una nuova possibilità futura» (REGINATO, Cornice, 249); cf. anche VAN

IERSEL, Mark, 499; DRIGGERS, Following, 82; MALBON, Jesus, 50-51; VULPILLIÈRES, Si-lence, 314; M. COMPIANI, Fuga, silenzio e paura. La conclusione del Vangelo di Mc.Studio di Mc 16,1-20 (TGr.T 182; Roma 2011) 153-156.

32 Non sfugga l’importanza dell’emergere del punto di vista di Gesù, che rappre-senta, nel vangelo, il personaggio portatore del punto di vista più autorevole, alli-neabile a quello divino; cf. VIRONDA, Gesù, 118-19 e, per alcune puntualizzazioni,MALBON, Jesus, 129-194.

33 Alcuni recenti studi sul punto di vista evidenziano la necessità di riconoscerel’emergere di un punto di vista, minimale o implicito, in ogni elemento della narrazione.Si veda D. MARGUERAT, “Il «punto di vista» nella narrazione biblica”, RivBib 58 (2010)331-353. Sono osservazioni narrativamente importanti, perché la caratterizzazioneglobale di Pietro (come di ogni altro personaggio) non si ottiene «algebricamente»sommando gli episodi positivi e quelli negativi, ma rispettando la costruzione narra-tiva del racconto, che si sviluppa organicamente, episodio dopo episodio.

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per importanza ad 8,27-33, in quanto l’apostolo ne emerge conuna propria fisionomia, manifesta un punto di vista con parole edazioni, è oggetto di caratterizzazione esplicita da parte di Gesù34.La menzione di Pietro è legata da subito al rinnegamento, fin da14,29. Le sue parole, riportate in forma diretta e tese a rivendi-care per sé un ruolo specifico, sono prontamente e duramentesmentite da Gesù: il gioco dei punti di vista «condanna» inevita-bilmente Pietro, e la successiva narrazione conferma il giudizio diGesù nei suoi confronti. L’asciutto racconto di resurrezione(16,1-8), tuttavia, cambia ancora – in modo inatteso – la pro-spettiva e i discepoli, all’inizio assenti, quasi «sostituiti» dalledonne, rientrano in scena tramite le parole del giovane in 16,7.Egli, con un puntuale riferimento alla predizione di 14,2835,esprime il punto di vista di Gesù e quindi, ora più che mai, quellodivino36. Il finale di Mc, pertanto, riporta Pietro sotto una valu-tazione decisamente positiva e lo fa nel modo più autorevole pos-sibile. Al termine di un percorso lungo e travagliato, l’ultimaparola, e quindi l’ultimo punto di vista espresso sull’apostolo, èuna parola di riconciliazione e di apertura.

Il ruolo del lettore. Un’ultima osservazione tipicamente narra-tiva si può riservare al ruolo del lettore. Senza svilupparne tuttele possibili implicazioni37, si cercheranno gli elementi per ri-spondere alla seguente domanda: è possibile che Pietro sia pre-

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34 Rimane molto utile l’ampio studio di BORRELL, Good News, 119-172.35 Le sue parole riprendono esattamente le precedenti: proa,gei uma/j eivj th.n Galilai,an

ed anzi richiamano esplicitamente quella predizione: kaqw.j ei=pen u`mi/n.36 Così COMPIANI, Fuga, 33: «il fallimento dei discepoli non può essere colto come

definitivo e neppure come un rigetto da parte di Dio. Piuttosto, esso viene inscrittoin un progetto più ampio di cui Gesù è l’interprete unico e veritiero, capace di rian-nodare le vicende umane alla volontà divina di cui egli è il rivelatore».

37 Per una prima bibliografia, si vedano anzitutto i manuali: SKA, Our Fathers, 54-63;RESSEGUIE, Narrative Criticism, 30-33. Recentemente: M. GRILLI, L’impotenza che salva.Il mistero della croce in Mc 8,27-10,52 (CSB 58; Bologna 2009); I. H. HENDERSON,“Reconstructing Mark’s Double Audience”, Between Author and Audience in Mark. Nar-ration, Characterization, Interpretation (ed. E. MALBON STRUTHERS) (New Testamentmonographs 23; Sheffield 2009) 6-28; G. VAN OYEN, “The Vulnerable Authority of theAuthor of the Gospel of Mark. Re-Reading the Paradoxes”, Bib 91 (2010) 161-186.

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sentato, al lettore del Vangelo, come un modello di identifica-zione38? Fin dall’inizio il lettore è posto a fianco di Pietro e deglialtri discepoli, ed è portato ad un confronto serrato con tali per-sonaggi, sempre presenti accanto al Signore. Inoltre, il loro ruolodi spettatori di ogni azione narrata nel vangelo è un fattore divicinanza e favorisce l’identificazione con chi legge, che, analo-gamente, «assiste» a tutte le scene descritte dal Vangelo. Ora, diquesta identificazione partecipa naturalmente anche Pietro. Ma in8,27-33 avviene qualcosa di nuovo: infatti proprio Pietro, con laconfessione cristologica, raggiunge una conoscenza finora riser-vata al lettore. Com’è possibile mostrare, ciò determina quasi unricongiungimento dei livelli diegetico ed extradiegetico perquanto riguarda la conoscenza dell’identità di Gesù39. Anche8,31-33 contribuisce a questa identificazione: è vero infatti chequi Pietro viene ripreso aspramente (il che lo allontana da chilegge), ma è proprio la sua ritrosia davanti all’annuncio della pas-sione a sottolineare, a beneficio del lettore, la novità di quell’in-segnamento di Gesù. Davanti all’affermazione della necessità dipassione e morte, che suona nuova anche per chi legge, la rea-zione di Pietro diventa perciò un appello perché colga la posta ingioco. In altre parole: se Pietro mostra di non capire tale neces-sità, questa non comprensione diventa un elemento di condivi-sione con chi legge, perché il lettore stesso patisce, davanti allacroce, la medesima incomprensione. Pietro, incapace di fare unpasso nuovo, è quanto mai vicino ad ogni lettore che tale passo èchiamato lui stesso a compiere (si pensi all’appello di 8,34).Quanto narrato in 8,27-33 è quindi un passaggio di forte vici-nanza tra lettore e Pietro, in cui è l’apostolo ad accompagnare chilegge nella svolta narrativa più importante del vangelo, trovan-dosi su entrambe le sponde del crinale. In tal modo, il personag-

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38 Secondo i principi della lettura attiva dei testi, ogni lettore – davanti ai perso-naggi – è indotto ad una particolare empatia positiva o negativa nei loro confronti.Interessante, in tal senso, il recente S. P. AHEARNE-KROLL, “Audience Inclusion andExclusion as Rhetorical Technique in the Gospel of Mark”, JBL 129 (2010) 717-735,che riconosce appunto ai discepoli questo ruolo.

39 Si veda MASCILONGO, Confessione, in particolare 115-186.

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gio Pietro assume nel secondo vangelo, e specificatamente in8,27-33, il ruolo di «specchio critico» nei confronti del lettore,delle sue conoscenze, della sua comprensione e condivisione delcammino di Gesù, ed è proposto come la figura di maggiore im-medesimazione. Quanto acquisito in 8,27-33, poi, si conservafino al termine del vangelo, e si ripropone in modo analogo negliepisodi della passione-resurrezione, in cui alla debolezza davantialla passione così magistralmente espressa da Mc, fa riscontro lafedeltà del Risorto che all’apostolo si rivolge in 16,7, secondo ladinamica già descritta. Il finale del vangelo offre così al lettoreimportanti elementi di vicinanza con il reintegrato gruppo deidiscepoli, non ultimo l’elemento di apertura (16,7-8) che spingein avanti (verso quindi il tempo ed il mondo del lettore) l’in-contro dei discepoli con il risorto.

Conclusioni

Pur nella brevità dell’indagine, si spera di aver fornito elementichiari per valutare narrativamente la caratterizzazione di Pietronel secondo vangelo, mostrando in particolare l’importanza, inquesto processo, di 8,27-33. I due episodi ambientati a Cesarea,infatti, non hanno valore solo per le tematiche che presentano,com’è facilmente riconosciuto. Essi assumono anche un valoredecisivo per la descrizione marciana del rapporto tra Gesù ed isuoi discepoli, e si concentrano sulla figura di Pietro in modo deltutto peculiare. Proprio alla luce di questi episodi, è stato possi-bile riconoscere che Pietro possiede, anche nel vangelo secondoMarco, una caratterizzazione specifica rispetto a quella comunea tutti i discepoli (intesi come personaggio collettivo); che svolgeun ruolo importante nell’unificazione della trama episodica delvangelo, essendone protagonista dall’inizio alla fine; che infineviene proposto come figura di identificazione al lettore, che pro-prio in 8,27-33 si riconosce come mai prima «vicino» all’apo-stolo, sia in bene che in male.

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Tali caratteristiche, narrativamente rilevanti, consentono di af-fermare che la caratterizzazione di Pietro (perché proprio di unacaratterizzazione specifica si tratta) è curata in Mc in modo par-ticolare ed è complessivamente positiva. E ciò che è narrato in8,27-33 può assurgere a «modello» dell’intera narrazione evan-gelica riguardo all’apostolo, perché in questi due episodi stretta-mente intrecciati si evidenziano tutte le principali peculiaritàdella sua caratterizzazione, come si spera di aver mostrato. Propriocome a Cesarea, il secondo vangelo non nasconde alcun ele-mento negativo dell’apostolo e non ne fa un «eroe senza macchia»del racconto, tuttavia mette in atto accorgimenti precisi e chia-ramente identificabili che fanno di Pietro, dopo Gesù, il perso-naggio evangelico maggiormente delineato, con un importantee specifico ruolo narrativo e teologico, capace di catalizzare l’at-tenzione e la vicinanza del lettore di ogni tempo.

Abstract

This article examines the narrative role of Peter in the Gospel of Mark, tak-ing as a starting point the way he is portrayed in Mark 8:27-33, a very impor-tant and much studied passage. In these two episodes (the “confession” in 8:27-30and the subsequent “rebuke” in 8:31-33) the role of Peter is highlighted, and itpresents ambivalent but very interesting characteristics. The article starts by givinga narrative analysis of these verses, going on to explore the characterization ofPeter in the whole Gospel, paying particular attention to the plot, the characters,the point of view and the role of the reader. Contrarily to what many scholarsthink, the study reveals that Peter’s character is drawn in a more specific way com-pared to that of the other disciples; that he fulfills an important role in unifyingthe episodic plot of the Gospel; and finally that he is portrayed as a figure withwhom the reader can identify. Precisely in Mark 8:27-33 the reader, as never be-fore, can see the similarities between himself and the apostle, both in positive andnegative ways. In conclusion, the character of Peter in the Gospel of Mark isdrawn in a particularly careful way, and Mark 8:27-33 can be seen as a “model”of how the apostle’s character is portrayed in the narrative of the whole Gospel.

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IL RUOLO NARRATIVO DI PIETRO NEL VANGELO SECONDO MARCO

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