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1 Dalla Parola di Dio al Dio della Parola Domenica V del Tempo di Quaresima [B] Dalla PAROLA di Dio al DIO della Parola XXIX Marzo MMIX Sussidio a cura di TONINO FALCONE sdB [Dimensione teologico-biblica] e di JESUS MANUEL GARCIA sdB [Dimensione teologico-spirituale]. DOMENICA DELLA RESURREZIONE DI LAZZARO E DELL’INCONTRO CON I GRECI [CICLO B] A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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Dalla Parola di Dio al Dio della Parola Domenica V del Tempo di Quaresima [B]

Dalla PAROLA

di Dio al DIO della

Parola

XXIX Marzo

MMIX

Sussidio a cura di TONINO FALCONE sdB [Dimensione teologico-biblica]

e di JESUS MANUEL GARCIA sdB [Dimensione teologico-spirituale].

DOMENICA DELLA RESURREZIONE DI

LAZZARO E DELL’INCONTRO CON I GRECI

[CICLO B]

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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Dalla Parola di Dio al Dio della Parola Domenica V del Tempo di Quaresima [B]

DOMENICA “DOMENICA “DELLA RESURREZIONE DI LAZZARO11 E DELL’INCONTRO CON I GRECI””

V DEL TEMPO DI QUARESIMAV DEL TEMPO DI QUARESIMA22[B][B]

“Dalla PAROLA di DIO al DIO della“Dalla PAROLA di DIO al DIO della PAROLA!”PAROLA!”

1 L’Evangelo di oggi è Gv 11,1-45. La resurrezione di Lazzaro è il «7° “segno”» giovanneo, quello riassuntivo di tutti i precedenti e quindi il culminante. Questi 7 “segni” sono anticipativi del grande Segno: la Resurrezione del Signore che dà senso e valore a tutti i precedenti ed inaugura il Regno del Padre [Mt 12,28; Lc 12,20; Mc 1,15; vedi anche Es 8,15]: 1] Cana: a Cana simbolicamente comincia il Convito nuziale, culmine dell’Iniziazione; 2] la guarigione del figlio dell’ufficiale regio è la liberazione dalla morte imminente; 3] la guarigione del paralitico alla piscina probatica è il “segno” del recupero delle piene facoltà di vita dei figli di Dio; 4] la moltiplicazione dei pani e dei pesci è il “segno” dell’abbondanza messianica nel Regno; 5] il cammino sulle acque è il “segno” del dominio sovrano del Signore sulla creazione ancora ostile agli uomini, che la Resurrezione porterà alla piena redenzione; 6] la guarigione del cieco nato è il dono della Luce che è la Vita senza tramonti; 7] VII] la resurrezione di Lazzaro è il dono finale della Vita eterna. Ora, la Resurrezione, simboleggiata dai «7 segni», è donata come inizio vero, nucleo che si sviluppa in modo irresistibile, proprio nell’Iniziazione. In essa, i fedeli dallo Spirito del Padre sono fatti “con-morire” e “con-risorgere” con Cristo. Il medesimo avverrà per i catecumeni nella santa Notte. Adesso i fedeli ed i catecumeni sono pronti a celebrare [sia pure in due modi distinti] Cristo Signore nella sua Resurrezione: i primi, come normale e sempre nuovo modo di essere e di vivere della Chiesa, Domenica per Domenica, i secondi come primo ingresso nel Convito del Regno. La Quaresima culmina con la presentazione della Resurrezione del Signore anticipata nel «segno 7°» ed ultimo, la resurrezione di Lazzaro.

2 Prendiamo le Letture dal Lezionario del Messale Romano [LEV, 2007], preparato secondo l’editio typica altera dell’Ordo lectionum Missae, utilizzando la versione della Santa Bibbia curata dalla Conferenza Episcopale Italiana [CEI], approvata secondo le delibere dell’Episcopato. L’edizione 2007 del Lezionario del Messale Romano deve essere considerata “tipica” per la lingua italiana, ufficiale per l’uso liturgico. Il Lezionario si potrà adoperare a partire dal 2 dicembre 2007, Prima Domenica di Avvento; diventerà obbligatorio dal 28 novembre 2010.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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Dalla Parola di Dio al Dio della Parola Domenica V del Tempo di Quaresima [B]

1] Evangelo1] Evangelo33: : GiovanniGiovanni 11,1-45 11,1-4544

In quel tempo, era malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand’ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s’è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio 3 Forse è poco noto, che durante la riforma liturgica era stato redatto l’unico e grande Ciclo di Letture quaresimali, il Ciclo A, «di Matteo». Solo che con zelo indiscreto una minoranza di «periti» esercitarono un’indiscreta pressione per “riempire”, come dissero, «il vuoto» negli altri due Cicli. I Cicli B e C di Quaresima, se visti da vicino, in realtà nulla hanno di “quaresimale”, possono far parte di qualunque altro periodo dell’anno. Il Ciclo A in realtà fu concepito, è e resta come il vero Ciclo quaresimale originale. Esso fu composto in funzione della Chiesa missionaria, dove è obbligatorio, poiché in missione esistono sempre i catecumeni, i quali: 1] debbono ricevere l’ultima parte della loro preparazione catechetica, e 2] nella Notte del Sabato santo nella Grazia debbono essere iniziati al Mistero di Cristo dallo Spirito del Padre e del Figlio. E fu composto in concomitanza funzionale con l’Ordo initiationis christianae adultorum [OICA, o RICA in italiano], che prevede per la Quaresima le 3 «Domeniche degli scrutini» battesimali. Secondo le norme del Lezionario, il Ciclo A è sempre consigliabile per tutte le Chiese; i Cicli B e C restano secondari ed omissibili sempre. Infatti, solo così si ottiene la desiderata, anzi obbligatoria, comunione orante più stretta con la Chiesa missionaria. Con il Ciclo A la Quaresima così ottiene anche il grande risultato di rendere le vecchie Chiese più consapevoli e responsabili della predicazione di Cristo tra le nazioni.

4 Era uso della Chiesa antica leggere lunghe e numerose letture bibliche, e soprattutto proclamare abbondanti pericope evangeliche. Noi, pastori ed educatori, stiamo sempre al risparmio, credendo che “pastoralmente” [!] il popolo si annoi e non comprenda. È questa una mentalità razionalista che tende al nominalismo, alla disistima dell’intelligenza della Sposa del Signore [il popolo santo del Dio vivente!] e all’ignoranza delle sue vere necessità. La lunga pericope di oggi è un vero trattato di catechesi e di mistagogia. Occorre qui rifarsi al duplice insegnamento del Signore, in due fasi della sua vita: I] all’inizio amministra una catechesi primordiale: può solo operare grandi “segni” e insegnare a partire dalla sua Persona le Realtà del Regno del Padre, preparandovi i discepoli, i quali comprendono poco, non solo per una certa durezza di cuore, ma anche perché, come il Signore sa bene, ancora manca ad essi l’esperienza della divina Resurrezione. Il culmine di questa catechesi è la Croce, che precipita i discepoli nella disperazione; II] dopo la Resurrezione l’insegnamento diventa mistagogia, ossia, avendo i discepoli fatta l’esperienza completa di chi è il Signore, Egli può insegnare la fase finale e completa della Dottrina divina, che sarà sigillata dal Dono pentecostale dello Spirito Santo.A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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che deve venire nel mondo». Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». Maria, dunque, quando giunse dov’era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l’avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?». Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui.

2] Esegesi e Teologia2] Esegesi e Teologia55

Un’altra pericope lunga e densa. Essa si colloca verso la fine di quello che, in un’identificazione possibile della struttura dell’evangelo giovanneo, in «4 libri» in cui si crede di fare la distinzione, si conviene chiamare dai critici

5 Si avvisa il lettore che nel commentare “liturgicamente” la Santa Scrittura ci si attiene all’ormai pluridecennale proposta del compianto amico e collega prof. TOMMASO FEDERICI pubblicata nei suoi numerosi scritti [a cui si rinvia in nota e in bibliografia] e da noi rilanciata con le diverse pubblicazioni sullo studio del suo metodo “unico” di lavoro. Per i dettagli cfr. ANTONIO FALCONE, Tommaso Luigi Federici [in memoriam], in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 576-583.801-806; La lettura liturgica della Bibbia: il Lezionario, in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 747-756; La Bibbia diventa Lezionario, in Atti della Settimana Biblica Diocesana [21-23 febbraio 2002], Piedimonte Matese 2002, 1-16; Profilo biografico e bibliografia di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 17-55; Il metodo della “Lettura Omega” negli scritti biblici, patristici, liturgici e teologici di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 71-95; La comunità religiosa oggi, “scuola di preghiera”, in A. STRUS - R. VICENT [a cura di], Parola di Dio e comunità religiosa, ABS-LDC, Torino 2003, 87-97; The religious community today “a school of prayer”, in M. THEKKEKARA [edited by], The word of God and the religious community, ABS, Bangalore 2006, 117-134; “Annuncia la Parola ...” [2 Tim 4,2], in R. VICENT - C. PASTORE [a cura di], Passione apostolica. Da mihi animas, ABS-LDC, Torino 2008, 161-172; Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte I], in Parola e Storia 3 [2008], 67-101; Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte II], in Parola e Storia 4 [2008], 241-288. È utile avere sotto mano anche TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001; “Resuscitò Cristo!”. Commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina, Quaderni di “Oriente cristiano” 8, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1996; Cristo Signore Risorto amato e celebrato. La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale, Dehoniane, Bologna 2005; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo C, Dehoniane, Roma 1988, III, 828; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario , Dehoniane, Napoli 1987, I, 444; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo B, Dehoniane, Napoli 1987, II, 587; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo A, Dehoniane, Roma 1989, IV, 1232.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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Dalla Parola di Dio al Dio della Parola Domenica V del Tempo di Quaresima [B]

moderni il «libro delle opere» [Gv 5,1 - 12,50]. Gli altri sono il «libro dei segni» [Gv 1,1 - 4,54], il «libro del commiato» [13,1 - 16,25], il «libro della Passione» [18,1 - 20,29], con l’epilogo [20,20 - 21-25]. Sono così narrati qui due fatti strepitosi: una vera, inaudita resurrezione di un uomo vero, da tutti conosciuto e amato, Lazzaro, nome teoforico che significa «‘El-’azar, Dio fu aiuto», e la rivelazione suprema del Signore: «Io sono la Resurrezione e la Vita», ma in forza della sua morte. A questo deve seguire la fede. Così è bene leggere la pericope in 3 momenti, a partire dalla fine:

I] vv. 35-45, il fatto centrale; II] vv. 18-34, l’approccio immediato, con la chiave di lettura; III] vv. 1-17, l’antefatto. Vi si trovano le medesime risonanze: Cristo

Resurrezione, e la fede dei discepoli, di Marta e Maria, degli Ebrei amici.

I] Vv. 35-45. La sezione comincia con Gesù che piange [v. 35]. Tremendo è questo realismo. Colui che è la Resurrezione e la Vita si trova di fronte alla morte e come unica reazione piange. Certo, di fronte alla morte, dunque con ragione umana piena, piangono le sorelle e gli Ebrei amici [v. 33]. Qui Gesù ha una reazione simile: freme dentro, è sconvolto [ancora v. 33]. Di nuovo, poi, freme dentro quando sta sulla soglia della tomba di Lazzaro [v. 38]. Che significa? Due reazioni di Gesù sono facilmente spiegabili. Si irrita gravemente davanti al peccato ostinato, contro quella specie di personificazione tragica che è il Peccato, il Nemico del genere umano che porta all’ultima Nemica, la Morte [1 Cor 15,26; Ap 20,14; 21,4], altre personificazioni della rovina portata nella storia degli uomini dal Maligno. E, come al Getsemani, è sconvolto dalla morte. Ma quale morte, la morte di chi? Anzitutto, e soprattutto, la sua, del Dio Vivente e insieme dell’Adamo Ultimo, morte che deve accettare secondo la Volontà paterna, ma nella quale, nonostante tutto, vede quella dell’intero genere umano dall’Adamo antico in poi. In particolare, il Signore piange per Lazzaro, perché lo amava [Gv 11,36], tanto che gli Ebrei presenti, conoscendone la fama, e proprio vedendolo piangere, si chiedono dispiaciuti perché non lo abbia miracolato [v. 37]. Ma l’ora è venuta, e Gesù ordina di spostare la pietra che chiude la tomba [v. 39a], nonostante l’obiezione attenta di Marta, che lo avverte che il morto da 4 giorni emana la terrificante zaffata cadaverica [v. 39b]. Gesù l’ammonisce: solo se crede vedrà la Gloria annunciata ai vv. 25-25: Lui è la Resurrezione e la Vita! [v. 40].

Poi viene la celebrazione del Padre. Con il solito gesto sacerdotale innalza gli occhi in alto, e prega: «Padre, Io rendo grazie a Te, perché Mi ascoltasti», in quanto il Padre esaudisce sempre l’intercessione efficace del Figlio [v. 41]. Di fatto il Figlio sa che il Padre Lo ascolta sempre [v. 42a]. E non prega per sé, bensì per la folla presente, al fine supremo che credano che il Padre inviò il Figlio [v. 42b]. In un testo strettamente parallelo, nella Cena, con la «Preghiera sacerdotale» [Gv 17,1-26], Cristo accomuna il culmine della richiesta con la definizione della Vita eterna:

E questa è la Vita eterna:affinché essi conoscano Te, l’Unico Dio Vero, e Colui che inviasti, Gesù Cristo [v. 3].

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Quindi grida a Lazzaro di uscire dalla tomba [Gv 11,43], e quello esce ancora avvolto dalle bende funerarie, e il Signore ordina di liberarlo e di farlo andare libero [v. 44]. Così molti Ebrei videro, e come Marta e Maria credettero in Cristo.

II] Vv. 18-34. Adesso Gesù sta a Betania [v. 18], e trova molti Ebrei amici dei fratelli Marta, Maria e Lazzaro, venuti per consolare le due povere sorelle [v. 19]. Marta gli si fa incontro, Maria, la meditativa, resta in casa [v. 20]. Marta Lo affronta: «Se Tu stavi qui, Lazzaro non moriva», rimprovero per il ritardo della venuta del Signore [v. 21], però riconosce che la sua potenza intercessoria: «Se chiedi, Dio te lo concede», speranza dura da morire di una sorella disperata [v. 22]. Il Signore impegna allora il dialogo della fede ed assicura Marta che il fratello risorgerà [v. 23]. Marta, da buona ebrea, ha la fede nella resurrezione finale, predicata da secoli in Israele [v. 24]. Allora viene la rivelazione nuova: «Io sono la Resurrezione e la Vita» [v. 25a]. E chi avrà questa fede, non morirà [v. 25b], anzi, chi vive in Lui e crede in Lui, vivrà in eterno. E in conseguenza le rivolge la domanda fondamentale: «Tu, credi questo?» [v. 26]. La confessione di fede di Marta è piena: «Sì, Signore! Io ho creduto che Tu sei il Cristo Messia, il Figlio di Dio, il Veniente nel mondo», come gli Ebrei attendevano secondo la Promessa antica, adesso attuata in Cristo [v. 27]. La fede è dunque lo scioglimento della condizione terrificante della morte. Marta da donna fedele è la prima che la confessi pienamente, intorno alla Resurrezione.

III] Vv. 1-17. L’antefatto è il preludio della fede.

Lazzaro è malato a Betania e forma la famiglia con le sorelle Maria e Marta [v. 1]. Gesù li amava molto [v. 5]. Maria è identificata con l’episodio futuro dell’unzione dei piedi di Gesù [v. 2; cfr. 12,1-8]. Le sorelle hanno molta fede e così inviano a chiedere a Gesù un aiuto: «Lazzaro, che Tu ami …» [Gv 11,3]. Gesù predice ai discepoli che da questo il Figlio dell’uomo sarà glorificato [v. 4], perciò, nella meraviglia dei suoi, resta sul posto due giorni [v. 6]. Lazzaro nel frattempo è deceduto. Poi decide di andare in Giudea, dove sta Betania [v. 7]. I discepoli gli obiettano il pericolo della sua lapidazione [cfr. 8,59], ma Gesù controobietta che occorre procedere con la luce che dura 12 ore al giorno, in cui si può operare senza impedimento [Gv 11,9], mentre la tenebra della notte è di ostacolo [v. 10]. Poi annuncia: «Lazzaro, l’amico mio, dorme, ma Io vado e lo sveglio» [v. 11]. I discepoli credono che Lazzaro dorma di sonno normale, e quindi sarà guarito [v. 12]. Ma Gesù aveva parlato del sonno della morte, ed essi si erano creduti che era il sonno normale [v. 13]. Allora viene la rivelazione cruda, “aperta” [con parrhêsía], che Lazzaro in realtà è morto [v. 14], e che Lui è contento, ha atteso questo per suscitare la loro fede. Quindi dà l’ordine di andare lì [v. 15]. Tommaso, conoscendo le minacce di morte contro il Signore, dice ai condiscepoli: «Andiamo anche noi, per morire con Lui» [v. 16]. Manifesta fede e generosità, ma come anticipo pericoloso, perché poi al Getsemani lui e tutti gli altri, dopo tante promesse di voler stare sempre con il Signore, fuggiranno vergognosamente. Gesù dunque giunge a Betania e trova che

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Lazzaro da 4 giorni giace nella tomba [v. 17]. Da questo antefatto seguita a nascere faticosamente la fede incipiente dei discepoli i quali avevano assistito ai “segni” grandi del Signore e da Cana avevano manifestato le prime avvisaglie timide. Ma la fede divina in essi si svilupperà solo la sera della Resurrezione. La narrazione della resurrezione di Lazzaro si può considerare una vera e propria introduzione alla storia della Passione, che si concluderà con la Resurrezione dello stesso Gesù. La narrazione inizia con la presentazione dei protagonisti: Lazzaro, le sorelle Maria e Marta [Gv 12,1-8; Mt 26,6-13; Mc 14,3-9]. Maria è presentata come «quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli» [Gv 11,2]; il verbo è al passato, ma in realtà il gesto è narrato nel capitolo successivo [Gv 12,1-8; cfr. Mt 26,6-13] e ambientato nel festoso banchetto dopo la resurrezione di Lazzaro; il gesto di Maria è da Gesù messo in relazione alla sua sepoltura [Gv 12,7].

Non bisogna fare confusione fra Maria sorella di Lazzaro e la peccatrice nominata in Lc 10,36ss. Tale identificazione non è conosciuta dai Padri prima di Gregorio Magno ed è smentita dagli esegeti contemporanei. Lazzaro si ammala seriamente e le sorelle lo segnalano a Gesù, senza richiedere esplicitamente il suo intervento, come fa la madre di Gesù che segnala la mancanza di vino alle nozze di Cana senza aggiungere altro [Gv 2,3]. Va da sé che Gesù, data la familiarità con queste persone, capisce anche quello che esse tacciono per discrezione. Gesù commenta la notizia dicendo che non è una malattia per la morte, ma per la gloria di Dio e la glorificazione del Figlio [Gv 11,4; cfr. 9,3]. Nell’evangelo di Giovanni la glorificazione del Figlio è l’evento pasquale [cfr. Gv 3,14:8,28; 12,16-23: 13,31-32; 17,5] e la resurrezione di Lazzaro ne è un’anticipazione. Gesù si trattiene ancora due giorni nel luogo dove si trovava. Poi con grande risolutezza invita i discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea» [Gv 11,7]. Egli sa che là si deve compiere la sua missione e con coraggio la vuole portare a termine. Anche Luca ci presenta un Gesù risoluto mentre intraprende il suo ultimo viaggio a Gerusalemme, è un Gesù che «indurisce la sua faccia», vale a dire richiama tutto il suo coraggio, prima di affrontare con decisione il cammino verso la Passione [cfr. Lc 9,51]. I discepoli, appena Gesù ha espresso la volontà di andare in Giudea, gli ricordano timorosi che là era stato minacciato di morte [Gv 11,8]. Gesù risponde con una parabola [Gv 11,9-10] per rinfrancare i discepoli, che restano tuttavia tentennanti e, appena Gesù dice che Lazzaro si è addormentato ed egli vuole andare a riscuoterlo dal sonno, non vogliono capire e avanzano l’obiezione che se si è addormentato guarirà. Essi vogliono dissuadere Gesù dall’andare in Giudea e non colgono il secondo senso delle parole di Gesù, che si riferisce al sonno della morte. Allora Gesù dichiara apertamente che Lazzaro è morto ed è un bene che egli non era presente, perché ora essi avranno maggiore fede in lui. Poi rinnova l’invito a partire alla volta della Giudea. Fra i discepoli timorosi si distingue Tommaso [chiamato Didimo, che significa gemello] il quale, risoluto esorta i suoi compagni a condividere la stessa sorte di Gesù [Gv 11,16]. All’arrivo di Gesù a Betania Lazzaro è sepolto da quattro giorni [Gv 11,18] e molte persone si sono radunate in casa di Marta e Maria per partecipare al loro lutto [Gv 11,19]. Marta appena sente dell’arrivo di Gesù

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gli va subito incontro, mentre Maria rimane in casa [Gv 11,20]. Questo particolare fa venire in mente l’episodio narrato da Luca 10,38-42; probabilmente entrambi gli evangelisti avevano dei ricordi molto vivi della stessa famiglia e in particolare delle due sorelle.

La conversazione di Gesù con Marta introduce le motivazioni teologiche della rivelazione di Gesù che si presenta come «Resurrezione e Vita». Infatti la professione di fede di Marta nella resurrezione finale [Gv 11,24, cfr. Dan 12,1-3; 2 Mac 7,22-24,12,44] viene attualizzata da Gesù: «Io Sono, la Resurrezione e la Vita, chi crede in Me anche se morto vivrà» [Gv 11,25]. È una ripresa più esplicitamente riferita alla sua persona di quanto aveva già detto: «In verità, in verità, vi dico: viene l’ora ed è ora in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e coloro che l’avranno ascoltata vivranno» [Gv 5,25]. Alla domanda di Gesù «Credi tu questo?», Marta risponde con la bellissima “professione di fede” simile a quella di Simon Pietro: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo» [Gv 11,27, cfr. Mt 16,16]. Marta allora va a chiamare Maria che esce in fretta anche lei per incontrarlo. La seguono i suoi ospiti, che credono che sia uscita per andare al sepolcro [Gv 11, 28-31]. Gesù al vedere Maria e gli altri piangere è turbato e piange [Gv 11,33.35]. Il pianto ed il turbamento di Gesù di fronte alla morte di Lazzaro anticipano il turbamento di fronte alla propria morte: «ora la mia anima è turbata, e che devo dire? ... Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono venuto a quest’ora» [Gv 12,27]. Al sepolcro c’è un’altra conversazione con Marta che obietta alla richiesta di Gesù di aprire il sepolcro; ella non ha ancora capito fino in fondo le parole di Gesù. Appena tolta la pietra Gesù innalza con la piena fiducia di essere esaudito una preghiera di rendimento di grazie al Padre e lo fa a voce alta, perché gli astanti odano e credano, poi a «gran voce» esclama: «Lazzaro vieni fuori» e Lazzaro ubbidisce [Gv 11,41-44].

3] Lettura e Meditazione3] Lettura e Meditazione

Vi è un nesso ed una progressione nei grandi testi di Giovanni proposti in queste ultime Domeniche di Quaresima. Dopo averci parlato del Dono di Dio [l’Acqua viva], Gesù, Luce vera, ha aperto gli occhi al cieco nato. Questi gesti simbolici annunciavano il Battesimo, vale a dire la rinascita nell’acqua e nello Spirito. Oggi, un’altra azione simbolica ci parla delle conseguenze del Battesimo, ossia una vita nuova e imperitura. Fra le moltissime considerazioni possibili, soffermiamoci sul pianto di Gesù accanto alla tomba dell’amico Lazzaro. Se sapeva che gli avrebbe ridonato la vita, perché piangere? Le sue lacrime, pur realissime, hanno esse stesse valore di simbolo. È infatti tutta la miseria umana, che culmina nel fenomeno della morte corporea, a strappare a Gesù lacrime di compassione. Tutto il mistero della redenzione è proprio un mistero di pietà e di amore. La resurrezione di Lazzaro provocherà direttamente la condanna a morte di Gesù, che strappa gli altri alla morte proprio a prezzo della sua stessa morte. I Giudei diranno: «Ha resuscitato Lazzaro, salvi se stesso!». Ma se Gesù salvasse se stesso non potrebbe salvare noi. L’amore è dono. In Gesù vince l’amore, proprio perché egli non salva se stesso, ma muore per noi. Infatti l’amore,

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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per vincere, deve saper perdere: questa è la legge fondamentale del cristiano. Non possiamo ottenere qualcosa di bene per gli altri senza perdere noi stessi, nell’amore.

- La fede è dono di Dio6!

La fede, sempre la fede. Il Maestro la domanda, la cerca, ordina alle circostanze di farla nascere e sviluppare nelle anime. Se permette la morte dell’amico, non è certo perché non aveva pietà della tristezza e del dolore di Marta e di Maria - le vedremo presto piangere - ma perché un miracolo, un grande miracolo, è necessario per consolidare la fede degli apostoli prima della Passione che è ormai vicina e che l’odio sollevato tra i Giudei, per la risonanza della resurrezione di Lazzaro, farà precipitare. Questa morte è per la fede. Abbiate fiducia, fratelli, quando le vostre preghiere non sembrano essere esaudite. Non è che non siano entrate nel cuore di Gesù. Se apparentemente esse sono cadute nel vuoto, non è che egli non veda le nostre lacrime. Con uno sguardo che nulla appanna o distrae, egli segue tutti i progressi del male. Se non viene nel momento in cui lo aspettate, vuol dire che non è ancora la sua ora. Riserva la sua azione per una conversione che renda più grande e più manifesta la gloria di Dio, più perseverante e più ferma la nostra fede. Fiducia! Egli sceglie il suo momento e quando questo momento arriva, egli si leva dicendo: «Ora andiamo da lui» [Gv 11,7]. Avvertita dell’arrivo del Messia, Marta gli va incontro e gli dice: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto» [v. 21 ]. Egli le risponde con una promessa la cui grandezza sorpassa ogni speranza e sembra sconcertare la sua fede: «Tuo fratello risorgerà» [v. 23]. Gesù volendo far nascere e risplendere la fede e comandare la fiducia che desidera ottenere strappa il velo che nasconde l’intimo segreto della sua anima: «Io Sono, la Resurrezione e la Vita; chi crede in Me, anche se è morto, vivrà; e chiunque vive e crede in Me non morirà in eterno» [vv. 25s.]. La fede di Marta si solleva; oltrepassa il creato, raggiunge l’invisibile e coglie la fiamma dell’amore del Salvatore proprio lì dove è nata per spargersi nel mondo: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Messia, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo» [v. 27].

- Riflettiamo ancora sul testo

La tecnologia moderna ci ha permesso di infrangere dei tabù antichi e di vincere delle sfide apparentemente invincibili, tuttavia ancora non possiamo nulla contro la morte. Possiamo solo dilazionare, ma non evitare questo momento, che segna nella maniera più lampante il nostro limite umano, dichiarando la nostra radicale impotenza. Gesù che finora si è qualificato come il Pane, l’Acqua, la Luce, il Buon Pastore, riferendo a sé le realtà da cui dipende la nostra esistenza, adesso si presenta come colui che sconfigge la morte e dona la vita eterna. È interessante il modo in cui l’episodio è costruito. Al miracolo in quanto tale è riservato un versetto, mentre il resto

6 CARD. SALIÈGE, Ecrits spirituels, Paris 1960, 135s., passim.

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del capitolo è dedicato a far emergere diverse reazioni di fronte alla morte. C’è la reazione generosa, ma inconsapevole del discepolo, qui Tommaso, che a nome degli altri si dichiara disponibile a morire con Gesù. C’è la reazione del lutto, che soprattutto Maria incarna, c’è la reazione della fede in Gesù che Marta proclama: «Io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo». Forse le due sorelle esprimono due atteggiamenti tra i quali non occorre scegliere, perché le due modalità, pianto e fede, coesistono in noi. Gesù davanti al sepolcro «si commuove profondamente», cioè non viene rappresentato come le divinità greche, famose per la loro imperturbabilità; Gesù è sconvolto dal dolore che vede attorno a sé, vi partecipa intimamente. Poi prega ed anzitutto rendere grazie al Padre. Anticipa nel rendimento di grazie la certezza di essere esaudito e pone piuttosto l’accento sulla gente; lo preoccupa che la gente possa credere. E poi si avvicina al sepolcro fino a sentire il fetore che emana dalla morte. Gesù non compie il miracolo a distanza, ma si lascia come ‘toccare’ dalla morte, entra in qualche modo in contatto con essa, per poterla trasformare in vita. Infine parla a Lazzaro e gli grida: «Lazzaro, vieni fuori!», e il morto esce. Occorre che anche Lazzaro cooperi alla sua rinascita. Come avviene sempre nelle narrazioni dei miracoli, Gesù fa tutto, ma anche la persona malata, o morta, partecipa all’evento, o portando il suo lettuccio, o andando alla piscina di Siloe, o, come fa Lazzaro qui, obbedendo alla voce di Gesù, e accedendo alla vita. Anche a noi Gesù dice, come a Lazzaro, «Vieni fuori!», forse non ancora dalla morte biologica, ma senz’altro dall’indifferenza, dall’egoismo, dall’accidia, dalla disperazione, … da tutte quelle catene che anticipano la nostra morte e che ci impediscono di vivere la vita dello Spirito di cui parla Paolo nella II Lettura.

4] 4] Prima lettura [Profezia]: 4] 4] Prima lettura [Profezia]: EzechieleEzechiele 37,12-14 37,12-14

Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò.

La pericope completa si estende nei vv. 1-14, e qui si legge solo la finale. In questo brano il Signore si rivolge al sacerdote e profeta Ezechiele, chiamandolo non solo come testimone di suprema promessa, ma anche ad operare la venuta dello Spirito del Signore, il Resuscitatore dei morti [vedi il decisivo v. 9]. Qui il Signore induce il Profeta a profetizzare le sue parole di vita. Con le quali promette la resurrezione del suo popolo, morto spiritualmente in esilio. Di persona aprirà i sepolcri e ricondurrà gli esuli nella terra della promessa [v. 12]. Questa sarà l’esperienza della vita: quando aprirà le tombe e resusciterà il popolo della sua alleanza, «popolo mio», allora i fedeli «riconosceranno il Signore» Unico, da amare [v. 13; rinvio a Dt 6,4-5]. Ma questo avverrà solo perché Egli dona lo Spirito “suo” Vivificante tra i fedeli e dentro di essi, e darà pace nella terra in cui saranno

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tornati, e finalmente da questo «conosceranno il Signore». Si tratta di promessa divina infallibile: «Io parlai e feci - oracolo del Signore!» Il che significa che nel suo eterno presente il Signore senza intervallo concepì il Disegno, lo espresse e lo realizzò irreversibilmente [Ez 37,14].

Nella Liturgia odierna si parla di resurrezione in un crescendo che va da questo brano dell’A.T. alla vittoria definitiva di Cristo stesso sulla morte. Dio, attraverso la bocca del profeta Ezechiele preannunzia la prossima apertura delle tombe. Si tratta del ritorno degli esuli dall’esilio. Dal 586 a.C., infatti, gli Ebrei si trovano deportati a Babilonia e lo scoraggiamento si è impadronito dei loro cuori, ma il Signore fa fare al suo popolo, che in terra straniera si sente come morto, l’esperienza diretta della sua potenza vivificante. Dio, infatti, è colui il quale ha il potere di compiere tutto quanto promette [cfr. v. 14b]. Quel giorno sarà come una nuova creazione. L’immagine adoperata prelude alla futura proclamazione della salvezza integrale dell’umanità nella Resurrezione di Gesù.

5] Salmo responsoriale5] Salmo responsoriale77: 129,1-2.3-4.5-7a.7bc-8, SI [“Supplica: 129,1-2.3-4.5-7a.7bc-8, SI [“Supplica individuale”] individuale”]

Il celebre «De profundis» è una Supplica individuale. L’Orante riafferma la sua miseria nella situazione di depressione, «dall’abisso» della colpa, e chiede al Signore di essere esaudito [vv. 1-2]. Il Signore non deve tenere conto delle colpe, altrimenti non esiste più possibilità di salvezza, ma solo condanna [v. 3]. Però la fede dice che il Signore è sempre propizio [v. 4]. Del resto, l’Orante ebbe sempre fede nel Signore sulla base della sua Parola fedele [v. 5] ed ha sempre sperato in Lui, più che le sentinelle attendano in una notte orribile il loro turno di cambio all’alba [v. 6]. Con questa speranza Israele è teso al Signore perché sa per esperienza di sempre che il Signore è ricco di misericordia verso quanti Lo invocano e dona abbondante redenzione dalle colpe [v. 7]. Poiché solo il Signore lo redime, qualunque possa essere la sua iniquità [v. 8].

Il Versetto responsorio canta con il v. 7 la misericordia e la redenzione divine.

6] Seconda lettura [Apostolo]: 6] Seconda lettura [Apostolo]: RomaniRomani 8,8-11 8,8-11

7 T. FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001. Cfr. anche Comprendiamo e celebriamo i Salmi. A. I Salmi di Supplica e Fiducia, «Doxologia» 9, pro manuscripto, P.U.U., Roma 31994, 1-307; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. B. I Salmi di Lode, «Doxologia» 10, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1990, 307-482; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. E. I Salmi di Azione di Grazie, «Doxologia» 19, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1996, 858-1020; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; A. WEISER, I Salmi, I-II, Edizione italiana a cura di T. FEDERICI, Paideia, Brescia 1984.

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Fratelli, quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

La pericope è tratta dal denso e difficile cap. 8 dell’Epistola paolina, che tratta della «vita nella carne», ossia nel vecchio regime del peccato e del libertinaggio pagano, opposta alla «vita in Cristo vita nello Spirito Santo», il regime nuovo della santità ricevuta divinamente. Ora, Paolo in questa tragica opposizione nega ogni compromesso: chi procede «nella carne», espressione semitica per indicare la debolezza effimera dell’uomo sottoposto al regime della non grazia, non può piacere a Dio [v. 8]. Tuttavia i fedeli in forza del Dono ricevuto dal Padre, lo Spirito Santo [cfr. poi v. 15], hanno ricevuto l’inabitazione dello Spirito stesso, che in essi ha abolito la vita nella carne [v. 9a]. L’identificazione è precisa: si deve trattare solo dello «Spirito di Cristo», che fa diventare «di Cristo» [v. 9b]. Questo precisamente Paolo chiama «vita in Cristo vita nello Spirito». Quindi, se i fedeli possiedono «Cristo in essi», la loro situazione è duplice, in una lotta drammatica, in un certo senso ancora negativa, ma splendidamente aperta a Dio: il corpo è ancora soggetto alla morte, che è l’amara sequela del peccato, tuttavia in essi lo Spirito Santo è la Vita divina che nel loro spirito umano si è inserita e porta alla giustizia, l’amicizia trasformante con il Padre [v. 10]. Viene il v. 11, che fonda sulla Resurrezione la legge principale della salvezza in tutta la Rivelazione divina, e che vale la pena avere in versione letterale fedele:

Se poi lo Spirito del Risvegliante Gesù dai morti abita in voi,il Risvegliante dai morti Cristo Gesù vivificherà anche i mortali corpi vostrimediante l’inabitante Spirito suo in voi.

Si ha questa sequela:

il Padre con il suo Spirito Santo resuscitò il Figlio dai morti; se questo medesimo Spirito del Padre e del Figlio inabita nei fedeli,

ossia essi lo accettano come Ospite divino, allora il Padre, precisamente come agì con il Figlio, resusciterà anche

i corpi dei fedeli, soggetti alla morte secondo le leggi attuali della creazione.

Si tratta di certezza storica, che produce la fede, che fa tendere alla speranza, poiché si fonda sulla Carità del Padre per tutti i figli suoi. È l’attualizzazione del precedente oracolo di Ezechiele: lo Spirito «abita stabilmente» [potremmo dire ‘riposa finalmente’] nell’uomo [v. 9]. Per l’uomo questo è fonte di sicurezza, di pace, di gioia, perché costituisce il fondamento inamovibile della sua appartenenza a Cristo [vv. 9s.]. Perciò la fedeltà al suo Signore è non solo possibile, ma già in atto: «Non siete» [è un

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presente] sotto il dominio della carne [v. 9]... Il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita [v. 10]. Il duello tra la morte e la vita è stato combattuto storicamente, una volta per tutte, sulla Croce. Per ogni singolo cristiano è attualizzato nel rito del Battesimo. Ora dunque bisogna crederci, giorno per giorno, momento per momento, nei fatti, cioè non vivendo più secondo la carne [v. 8] in attesa che la vittoria sia definitiva [v. 11; cfr. anche Rm 5,10; 6,5].

Se meno bene si fa l’errore teologico e pastorale di accettare il Ciclo B

1] Evangelo: 1] Evangelo: Giovanni Giovanni 12,20-3312,20-3388

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

2] Esegesi e Teologia2] Esegesi e Teologia

La grande settimana è ormai alle porte e già noi stiamo pensando già al Gesù in Croce; due delle letture di oggi [la seconda e la pagina dell’evangelo] ci presentano tuttavia un punto di vista inedito: Cristo prima della Croce; ossia, che cosa ha provato pensando alla propria passione. È qualcosa che ci interessa da vicino; infatti tutti noi sperimentiamo che il pensiero della sofferenza [quando questa è soltanto annunciata o

8 Come già abbiamo detto e poi verificato, testi alla mano, lo scorso anno, ribadiamo ancora una volta che la Quaresima «prepara» alla Resurrezione; ma solo come tempo. Come contenuti, invece, celebra la Resurrezione, in specie nelle sue Domeniche [sulla duplice indole cfr. SC 109 e 110 del Concilio Vaticano II]. È stato disposto che l’anno A sia come il prototipo di quello che deve essere questo tempo liturgico; per la grande importanza che i brani biblici del Ciclo A hanno in rapporto all’Iniziazione cristiana, è data la possibilità di proclamarli anche negli anni B e C, specialmente se ci sono dei catecumeni. Sono stati perciò conservati, nella I e nella II Domenica, i temi tradizionali delle Tentazioni del Signore e della Trasfigurazione, che per di più sono comuni ai tre cicli, ma sono stati ricuperati, per le domeniche III, IV e V, gli Evangeli classici della Quaresima catecumenale: la Samaritana, il Cieco nato e la Resurrezione di Lazzaro. Queste Domeniche negli anni B e C, si occupano di aspetti del mistero pasquale e della chiamata alla conversione. La Domenica delle Palme si concentra sulla proclamazione della Passione del Signore, letta ogni anno nel testo di uno degli evangelisti Sinottici, esattamente come si fa nelle Domeniche I e II nelle quali gli eventi delle Tentazioni e della Trasfigurazione sono presi da uno dei detti evangelisti.

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immaginata] è qualcosa di terribile. La lettera agli Ebrei ci presenta un quadro di impressionante drammaticità: Gesù piange e rabbrividisce nella prospettiva della morte. Prova angoscia. Gesù non affronta la prova come un eroe impavido; è un figlio obbediente, ma che rifiuta la parte dell’eroe che sovente noi gli attribuiamo. L’eroe si colloca a una distanza irraggiungibile. Lui, invece, vuole manifestarsi come fratello vicino a noi; uno che prova i nostri stessi terrori, passa attraverso la nostra stessa paura. È Lui stesso che si strappa di dosso l’armatura, l’immaginetta devota, e appare debole, fragile, indifeso, smarrito. Ma c’è pure un aspetto pedagogico nella sofferenza: il Figlio, infatti, «imparò l’obbedienza dalle cose che patì». Quella Croce è un’educazione dolorosa, eppure necessaria, insostituibile. L’esaudimento da parte del Padre non è consistito nel dispensare Gesù dalla prova terrificante, ma nella trasformazione della sofferenza in cammino di salvezza. Nel testo greco c’è l’assonanza singolare tra due verbi che non è possibile riprodurre nella traduzione italiana: pathéin/mathéin. Ossia, soffrendo si impara. Il dolore trasforma l’uomo ed ecco il vero esaudimento della preghiera. Grazie a Cristo, l’obbedienza, la docilità totale verso Dio, diventa anche amore fraterno per gli uomini. Il dolore accettato per amore diventa così sacramento di fraternità, scuola di umanità.

Dopo l’ingresso trionfale del Messia nella città di Davide, il 4° evangelista riporta un brano drammatico, composto di diverse scene, nel quale è proclamata l’imminente glorificazione di Gesù con la sua esaltazione sul trono della croce. I Sinottici all’entrata del Cristo in Gerusalemme, fanno seguire la purificazione del tempio [Mc 11,15ss e par.]. Giovanni, che ha già riportato questo evento in occasione del primo viaggio del Maestro nella città santa, pone come epilogo della rivelazione del Verbo incarnato davanti al mondo, la pericope nella quale è preannunziata l’inaugurazione dell’«ora» di Gesù. Quindi il brano di Giovanni che sarà proclamato nella liturgia eucaristica di domani può essere considerato realmente come il vertice della sezione conclusiva del ministero pubblico di Gesù.

Giovanni non crea dal nulla questa composizione altamente drammatica, non inventa nulla con la sua fervida fantasia; egli trasmette delle notizie tradizionali o dei ricordi personali che ha rielaborato. Infatti, molti passi della pericope in esame, si trovano sotto forma simile negli altri evangeli. Si veda l’espressione sulla venuta dell’«ora» di Gesù, per mezzo del quale egli sarebbe stato glorificato con la passione e la morte [Gv 12,23], che ricorre anche in Mc 14,35. In Gv 12,27s Gesù manifesta la sua angoscia per il sopraggiungere della sua ora, per cui prega il Padre non di salvarlo, ma di glorificare il suo nome. Ora, nei passi dei sinottici che descrivono l’agonia del Getsemani, troviamo tematiche analoghe, in quanto si parla del profondo turbamento dell’anima di Gesù fino alla morte ed è riportata la sua preghiera al Padre per ottenere la liberazione da quest’ora di angoscia [Mc 14,34ss e par.]. Il confronto sinottico dei testi, oltre a mettere in risalto le numerose corrispondenze insinua che in Gv 12,27s abbiamo l’anticipazione dell’agonia di Gesù. Per i Sinottici questo evento si è verificato nel Getsemani, invece per Gv alla fine della rivelazione pubblica del Cristo.

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In Eb 5,7ss. Paolo tratta temi simili, in quanto parla della preghiera del Figlio al Padre per essere salvato dalla morte e della sua obbedienza durante la Passione. Per quanto concerne la sintetica parabola del chicco di grano [Gv 12,24], che deve cadere in terra, essere sepolto e marcire, per portare frutto, nei vangeli sinottici troviamo una lontana eco in Mc 4,30-32. La corrispondenza dei testi mostra che pur riecheggiando la tematica della parabola [gli elementi ci sono tutti: il chicco, la caduta in terra, il suo fruttificare], tuttavia è diversa la prospettiva. Giovanni utilizza l’immagine del chicco di grano per mettere in risalto la necessità della morte del Figlio dell’uomo, mentre i sinottici vogliono illustrare la crescita del regno Di Dio. Anche in Gv 12,26.28b-29 contiene espressioni riscontrabili presso i sinottici: in Mc 10,45, come in Gv 12,26, si parla del servire [«diakonéin»] e del servo [«diàconos»]; mentre in Mc 8,34 e in Gv 12,26 troviamo l’identica esortazione di Gesù al suo discepolo. Ecco le locuzioni simili in parallelo:

Mc 8,34: Gv 12,26:Se uno vuol venire dietro di me Se uno mi serve, . . . mi segua [«akolouthéitô moi»] mi segua

[«emòi akolouthéitô»].

Il passo di Gv 12,28 trova una lontana eco nelle scene sinottiche del Battesimo e della Trasfigurazione di Gesù. Le parole di Gesù concernenti la sconfitta o la cacciata del diavolo, il principe di questo mondo [Gv 12,31], si trovano in forma analoga nella scena del terzo evangelo che descrive il ritorno dei 72 discepoli dalla missione [Lc 10,18]. Il passo giovanneo della pericope in esame che riecheggia più da vicino frasi dei sinottici, è il detto concernente l’amore o l’odio per la propria anima. Il confronto fra Gv 12,25 e Mc 8,35 lo mostra con chiarezza. Questo confronto dei testi ha messo in risalto come Gv abbia utilizzato del materiale sinottico per comporre la nostra pericope; egli non ha inventato, ma ha solo rielaborato e ampliato elementi tradizionali, creando una pagina di alto valore teologico e letterario. Per quanto riguarda le più vistose particolarità giovannee, ci limitiamo ad elencare le seguenti: la scena iniziale che rappresenta l’incontro dei greci con i due apostoli Filippo e Andrea per vedere Gesù [vv. 20-22] è esclusiva di Giovanni; il dialogo tra Gesù e la folla che aveva udito la voce celeste [vv. 29-31a], non sembra avere paralleli negli Evangeli Sinottici; il dialogo finale tra Gesù e il popolo, incentrato nell’esaltazione del Figlio dell’uomo e nella fede alla luce [vv. 32-36], pare caratteristico di Giovanni; gli altri evangelisti non riportano scene del genere.

Esaminiamo il brano

v. 20 - «c’erano alcuni Greci»: non sono Giudei ellenisti, ma proprio Greci, probabilmente dei proseliti, dato che vengono a Gerusalemme in occasione della Pasqua. Costoro non possono essere ebrei della diaspora, anche perché in Gv 7,35 il medesimo sostantivo «éllên» indica i pagani. È un segno della universalità della salvezza, un fondamento storico della missione ai pagani nella vita di Gesù [cfr. 10,16] ed un anticipo dell’attrazione di tutti al Figlio dell’uomo [cfr. 12,32].

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vv. 21-22 - «Andrea e Filippo»: Non esiste una ragione chiara e inconfutabile, per cui questi Greci si siano rivolti proprio a Filippo e non a un altro apostolo. Forse il suo nome greco o la sua origine da una regione della Palestina, aperta ai pagani e perciò chiamata «Galilea delle genti» [era di Betsaida, come Andrea, Gv 1,44; cfr. anche Is 8,23 e Mt 4,15], può aver indotto i greci a servirsi della mediazione di Filippo [insieme ad Andrea forse erano quelli che conoscevano meglio la lingua greca]. È da osservare come questo discepolo più di una volta funge da mediatore [cfr. Gv 1,45; 6,5]; sembra quindi che Giovanni gli abbia riservato questo ruolo specifico. Filippo però non agisce da solo, ma va ad informare della faccenda l’amico Andrea, un altro apostolo dal nome greco. Questi due discepoli si trovano sulla scena insieme anche nel brano che descrive la moltiplicazione dei pani [Gv 6,5-8].

«Vogliamo vedere Gesù»: vogliono cioè parlare con Gesù. Se non la fama di lui certamente non era passata loro inosservata, l’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme, che tanto subbuglio aveva creato nella popolazione. Una vera e propria risposta non c’è né si può richiamare al dialogo con Nicodemo che finisce con un monologo come ad un esempio analogo. Qui in realtà non viene registrato nessun dialogo, ma solo il monologo di Gesù. La risposta si deve cercare quindi a livello della teologia dell’evangelista: il loro desiderio di vedere Gesù è considerato un segno dell’arrivo dell’ora dell’innalzamento della croce ed alla gloria, in cui effettivamente Gesù attrarrà tutti a sé, giudei e pagani.

v. 23 - «È venuta l’ora»: finora avevamo sentito ripetutamente che l’ora, segnata dal Padre, non era ancora venuta [cfr. 2,4; 7,30; 8,28]. Ora è venuta, ed è l’ora della glorificazione del Figlio dell’uomo.

v. 24 - in questo versetto è riportata una breve parabola o similitudine sul grano di frumento, riferita all’ora di Gesù. L’introduzione è quella solenne propria di Giovanni [«In verità, in verità vi dico»; cfr. Gv 1,51; 5,19.24 ecc.], quando vuole introdurre detti del Maestro molto importanti. È una parabola che certamente ha una base storica; infatti il tema del grano si trova diffusamente anche nei Sinottici. È una predizione della morte imminente, che trova il suo corrispondente nella conclusione del brano, i vv. 32-33.

v. 25 - Questo e il detto seguente riguardano invece i discepoli. Quattro verbi vengono usati in forma dialettica: all’amare corrisponde il perdere, all’odiare il conservare per la vita eterna. «Amare-odiare»: è una tipica contrapposizione semitica [cfr. Lc 14,26]. Il discepolo di Gesù è chiamato a seguire il maestro sulla via della morte di croce; anch’egli deve accettare di morire per poter conservare la sua vita autentica, quella escatologica, «per la vita eterna».

v. 26 - È ancora un detto sul discepolato, coniugato non più sul tema del «seguire Gesù», ma su quello del «servire». Il servizio reso a Gesù va senz’altro considerato come attività missionaria; è l’annuncio della Parola con la testimonianza [martyrium] della propria vita.

vv. 27-28a - È il ricordo sinottico del Getsemani che abbiamo ricordato nella parte generale.

v. 28b - «Venne allora una voce dal cielo»: non è la «bathqôl» [= figlia della voce, cioè l’eco della voce di Dio nella Scrittura] rabbinica, che considerava

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la Scrittura un’eco della parola di Dio, direttamente rivolta ai profeti. Qui si tratta di una vera e propria rivelazione diretta di Dio. «E l’ho glorificato e lo glorificherò»: è usato il passato ed il futuro. Il passato si riferisce alla gloria che il Padre ha dato a Gesù mediante i segni [1,14; 2,11; ecc.] e mediante la stessa rivelazione. La futura glorificazione è quella che avverrà con la morte-risurrezione-dono dello Spirito, in cui Gesù attrarrà tutti a sé.

v. 29 - «Allora la gente»: non sono più i Greci, già dimenticati, né i Giudei ostili, ma la folla anonima, la quale si divide, come di solito, di fronte alla rivelazione, dimostrando così di non comprendere. Il tuono, nell’A.T. [cfr. 1 Sam 12,17-18; Sal 29,3-9] era considerato «voce di Dio»[cfr. Esodo, Mosè sul monte Sinai]. Un angelo: qualche esegeta prospetta la possibilità di una allusione all’angelo consolatore di Lc 22,43.

v. 30 - Gesù rettifica l’incomprensione della folla, interpretando la voce come un segno: la determinazione del tempo decisivo per il giudizio e la salvezza.

v. 31 - «Mondo»: in questo versetto ha senso negativo ed indica il complesso delle potenze mondane che sono contro Dio ed il suo inviato.

«Il principe di questo mondo»: è colui con il quale Gesù si confronta [14,30]; nel N.T. esistono anche altre denominazioni [vedi il diavolo: 6,70; 8,44; 13,2; il maligno: 1 Gv 2,13-14; 3,12; 5,13].

«Sarà cacciato fuori»: nella tradizione sinottica, Gesù si presenta con poteri di esorcista, che caccia il demonio dall’uomo, liberandolo dalla sua potenza malefica. In tutte le occasioni è stato sempre utilizzato il verbo che qui viene usato da Giovanni [ekballo]. La cacciata del demonio è il segno dell’avvento del regno di Dio nel mondo con Gesù [cfr. Mt 12,28-29 e par.]. In Giovanni l’affermazione, slegata dal contesto storico dei Sinottici [Giovanni non parla affatto di un’attività esorcistica di Gesù] acquista un carattere più generale. La vittoria sul mondo e sul principe di questo mondo avverrà proprio con la morte-resurrezione-dono dello Spirito. L’uomo sa che in Cristo ha vinto e può vincere il potere del male, presente in modo così massiccio nel mondo.

v. 32 - L’«essere innalzato da terra»: significa l’innalzamento sulla Croce, ma anche l’innalzamento alla gloria con il ritorno al Padre. Gesù, innalzato e glorificato, diventa centro di salvezza universale.

«attrarrò tutti»: altri leggono «attrarrò tutto» che suggerisce l’idea di una redenzione cosmica sorta sotto l’influsso di Col 1,16-17. Da preferirsi la scelta fatta nel nostro testo perché ha a suo favore una testimonianza esterna maggiore, ed è più coerente con la teologia giovannea.

v. 33 - È una nota redazionale, che interpreta il detto precedente come profezia enigmatica della morte di Croce.

3] Lettura e Meditazione3] Lettura e Meditazione

Giovanni narra la visita dei Greci al Signore. I Greci sono proseliti pagani, che per sé avevano manifestata una prima fede, e si preparavano a ricevere l’inserzione nel popolo di Dio dell’A.T. Essi già praticano le usanze ebraiche, tra cui il triplice pellegrinaggio annuale a Gerusalemme [v. 20]. Di certo qui hanno sentito di Gesù, e si rivolgono a Filippo, un discepolo per accostare il

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Maestro [v. 21]. Filippo chiama in aiuto anche Andrea, e manifestano a Gesù il desiderio dei Greci [v. 22]. Gesù in apparenza non li riceve, ma dà un insegnamento valido per tutti. E annuncia anzitutto che ormai «venne la hôra», il tempo stabilito dal Padre, il momento della Croce, che glorificherà Lui, il Figlio dell’uomo [v. 23]. La parabola del chicco di grano insegna l’esito della Croce: il chicco deve cadere in terra, esservi sepolto, altrimenti resterebbe solo e sterile, ma disfacendosi nella terra produce molto frutto [v. 24]. Per ottenere questo occorre «odiare la propria vita» nel mondo presente, il proprio egoismo, per conservarsela e giungere così alla vita eterna; altrimenti, la perderebbe [v. 25]. Chi si pone alla sua diaconia, deve seguirlo dovunque, ed essere diacono fedele di Lui [v. 26a]. Ma tale diacono fedele sarà onorato dal Padre con la Vita eterna [v. 26b]. Il Signore confessa che sul momento, nella previsione della sua “ora”, è sconvolto. E vorrebbe chiede al Padre di salvarlo da questa “ora” terrificante [v. 27a]. Qui è discretamente alluso il Getsemani. Ma non può farlo, poiché Egli venne nel mondo in funzione di quella “ora” [v. 27b]. Quindi al Padre può chiedere solo che sia glorificato il Nome suo. Il Padre, come al Giordano e alla Trasfigurazione [che Giovanni non narra], adesso parla: «Già Lo glorificai e di nuovo Lo glorificherò», indicando così la Gloria eterna della Generazione eterna del Monogenito, e quella che verrà dalla Croce [v. 28]. La folla sente in modo indistinto, credendo in un tuono, o che fosse un “angelo” [v. 29]. Gesù spiega che questa Voce paterna venne non per Lui, ma per i presenti, per la loro fede [v. 30]. E annuncia che il Giudizio contro il mondo malvagio, la Croce, adesso è celebrato, e in forza di esso il «Principe di questo mondo», il diavolo, sarà espulso “fuori”, via dalla vita [v. 31]. Invece Cristo innalzato sulla Croce attirerà tutti a sé [v. 32]. Con questo indicava la morte che avrebbe subito [v. 33].

Ambientazione della pericope in Gv 129

Il capitolo 12° con il quale si conclude la prima parte dell’Evangelo giovanneo, può sembrare a prima vista sovrabbondante di tematiche. Vi convergono, infatti, i grandi temi sia del “Libro dei Segni” [1,19-12,50], sia del “Libro della Gloria” o “degli addii” [13,1-20,31]. Tuttavia, ha una sua unità, che si può riassumere nell’affermazione: “la vita viene dalla morte e la gloria dalla Croce”. Gli eventi finali dell’esperienza terrena di Gesù vengono riletti in relazione alla fede o all’incredulità dei Giudei. Come la resurrezione di Lazzaro [Gv 11,1-53] ha portato alla decisione di far morire il Maestro, così l’unzione di Betania [Gv 12,1-11] preannuncia la Passione legata alla sepoltura; l’ingresso regale e trionfale a Gerusalemme [Gv 12,12-19] annuncia il processo davanti al procuratore romano Pilato, dove la regalità del Cristo è affermata ripetutamente; il discorso pubblico di Gesù sulla sua morte [Gv 12,20-36] preannuncia l’Evento finale della crocifissione, e i ripetuti ed insistenti accenni a Lazzaro sono indicatori della meta finale che corre verso la Resurrezione e la Gloria10. Secondo lo stile letterario dell’Evangelista, Giovanni 12 è composto da due racconti

9 Cfr. ANTONIO FALCONE, L’incontro di Gesù con i Greci in Gv 12,20-36, pro manuscripto, PUU-Roma 2000, 18-55.

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[12,1-36, l’incontro di Gesù con i Greci, e 37-50, l’incredulità dei Giudei], seguiti da un discorso di Gesù [12,23-28.30-32.35-36] e da una conclusione dell’autore sul ministero pubblico del Nazareno. Esso può essere strutturato nel seguente modo:

Racconti introduttivi alla Passione di Gesù [12,1-36]; L’unzione di Betania [12,1-11]; L’entrata messianica di Gesù a Gerusalemme [12,12-19]; La venuta del Greci con l’ultimo discorso pubblico di Gesù [12,20-

36]; Valutazione e bilancio del ministero apostolico di Gesù [12,37-50]; bilancio sui segni con due citazioni di Isaia [12,37-41]; fede pavida di alcuni capi [12,42-43]; dichiarazioni finali di Gesù sulla sua missione e sulla sua parola

[12,44-50].

Di fronte a Gesù “Luce del mondo” [Gv 8,12], il ripetuto contrasto tra fede ed incredulità si acuisce. Da una parte i capi dei Giudei diventano sempre più ostinati nella loro cecità, dall’altra l’arrivo dei Gentili apre la porta della fede e allarga i confini del popolo di Dio. Due movimenti opposti si delineano tra coloro che ascoltano le parole del Maestro: gli uni si chiudono nella propria autosufficienza, gli altri si aprono ad accogliere la novità di Rivelazione di Cristo.

La struttura della pericope

X. Leon-Dufour11 ha proposto una struttura della pericope [Gv 12,24-32] a forma concentrica o a chiasmo, secondo lo schema “a b c d c’ b’ a’”, secondo la proposta di a v. 24 Il chicco di grano caduto in terrab v. 25 Chi odia la propria persona in questo mondoc v. 26 mio Padre lo onoreràd v. 27 Sono giunto a questa orac’ vv. 28-30 Padre glorifica il tuo Nome! E l’ho glorificato e lo glorificherò!b’ v. 31 Si attua il giudizio di questo mondoa’ v. 32 Quando sarò innalzato da terra.

10 Cfr. B. MAGGIONI, «Il vangelo di Giovanni», in I Vangeli, Assisi 1975, 1540. Cfr. anche G. ZEVINI, «Vogliamo vedere Gesù». Gv 12,20-36. L’universalità salvifica di Gesù Cristo secondo Giovanni , in Parola Spirito Vita 26 [1992] 113-115.

11 Cfr. X. LEON DUFOUR, “Trois chiasmes johanniques”, in New Testament Studies 7 [1960-61], 249-251. Secondo lo studioso, l’evangelista Giovanni ha dato unità al brano costruendolo in forma chiasmatica: alla “ora” del v. 23 corrisponde la “ora” del v. 27; questi due versetti costituiscono il centro di un chiasmo: 1] a “cade in terra” del v. 24 [A] corrisponde “elevato da terra” del v. 32 [A’]; 2] a “odia la sua vita in questo mondo” del v. 25 [B] corrisponde il “giudizio di questo mondo” del v. 31 [B’]; 3] a “il mio Padre lo onorerà” del v. 26 [C] corrisponde “Padre, glorifica il tuo Nome” del v. 28 [C’]. Cfr. anche, dello stesso autore, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, II, Cinisello Balsamo 1992, 575. A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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Come si può ben vedere dalla struttura della pericope quindi, il pensiero dell’Evangelista risulta chiaro: affinché tutti gli uomini siano attratti verso il Figlio è necessario che questi, come il chicco di grano, cada in terra e muoia per portare frutto [vv. 24.32]. Ma poiché “il mondo” è sottoposto al suo principe, cioè a Satana, ogni uomo deve “odiare la propria persona” in questa vita terrena. Ciò sarà possibile perché il giudizio attuale è la condanna e la cacciata del principe di questo mondo [vv. 25.31]. E inoltre poiché il Padre ha già glorificato il Figlio, Egli onorerà chiunque seguirà il Figlio come discepolo e si farà suo servitore. In tal modo il servo fedele sarà condotto alla vita eterna, dove è Gesù a contemplare la sua gloria [vv. 26.28-30]. Però ogni discepolo deve, anzitutto, come Gesù, passare attraverso la oscura voragine della morte, ossia attraverso la sofferenza della hôra [v. 27], che egli potrà dunque superare sostenuto dalla preghiera al Padre e dal pensiero che gli è riservato un destino di gloria.

Analisi esegetica del testo

Prima di cominciare dettagliatamente l’esegesi della pericope di Gv 12,20-36, suddivido il medesimo in più segmenti:

1. la richiesta dei Greci di voler vedere Gesù e il modo di arrivare a Lui [vv.20-22];

2. la hôra e la doxa dette con la quasi-parabola del chicco di frumento [vv.23-28a];

3. la sconfitta del principe di questo mondo e l’innalzamento di Gesù [vv. 28b-36];

4. Greci e Giudei a confronto [vv. 36b-41].

Così suddivisa procedo alla sua analisi, senza trascurare di cogliere gli elementi che sono propri a ciascun versetto.

3.1. I Greci vogliono vedere Gesù: Gv 12,20-22

vv.20-22: “C’erano poi alcuni Greci tra quelli che erano saliti per adorare nella festa. Questi dunque si avvicinarono a Filippo di Betsaida di Galilea e lo pregavano dicendo: ‘Signore, vogliamo vedere Gesù’. Filippo va e parla ad Andrea, [poi] Andrea e Filippo vanno e parlano a Gesù”. La venuta di Gesù in città non passa inosservata. Anche un gruppo di greci, giunti nella città per celebrare i riti della Pasqua, sentono parlare di Gesù e rimangono colpiti dall’interesse popolare al punto di cercare Gesù. Questi “Greci” [= Héllenes] non sono Ebrei della Diaspora, ma Gentili simpatizzanti che avevano accolto il monoteismo ebraico. In altre parole erano dei “timorati di Dio” [cfr. At 10,2.22-35; 13,16.26; 17,4] che praticavano alcuni riti religiosi e gli ideali morali del giudaismo12. Qui, stando alla maggior parte degli

12 Cfr. H. WANKE, voce: Hellen, in BALZ H. - SCHNEIDER G., Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, I, Brescia 1989, 1160-1161. Per l’identità dei Greci cfr. A. DURAND, Vangelo secondo San Giovanni, 441. Ampia documentazione è offerta da H. B. KOSSEN, Who were the Greeks of John 12,20?, in Studies in John 24, Leiden 1970, 97-110. Alle stesse conclusioni giungono anche G. SEGALLA, Giovanni, 343; A., WIKENHAUSER, L’evangelo secondo A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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studiosi e commentatori moderni, è quasi certo il secondo significato.

Nota su Héllas, Héllen, Héllenikos, Héllenis, Héllenistes, Héllenisti

Prima di continuare nella lettura esegetica del testo, rilevo quei testi espliciti sui Greci, così come sono riportati dalle Concordanze, allo scopo di chiarirne l’identità:Mc 7,26: “… quella donna che lo pregava di scacciare il demonio della

figlia era greca, di origine siro-fenicia”. Gesù si dirige fuori dalla Galilea verso la regione di Tiro e Sidone e si incontra con una donna che di nascita era siro-fenicia. L’evangelista annota con cura che quella donna era greca. Si pone in evidenza la preoccupazione pastorale di Gesù anche per i pagani.

Lc 23,38: “C’era anche una scritta al di sopra di [Gesù], in caratteri greci, latini ed ebraici …”. Luca riporta la testimonianza che sulla croce di Gesù il cartiglio contenente la derisione era scritto con i caratteri di tre grandi lingue, ebraico, la lingua sacra per i giudei, latino, la lingua del popolo dominatore, greco, la lingua più diffusa dell’impero romano.

Gv 7,35: “I giudei si dissero … Va a raggiungere quelli che sono dispersi tra i greci e a istruire i greci?” [vedi infra a pag. 54].

Gv 12,20: “C’erano là alcuni greci, di quelli che salivano per adorare durante la festa ... Essi interrogavano [Filippo] … noi vorremmo vedere Gesù”.

Gv 19,20: “... il cartello era redatto in ebraico, in latino e in greco” [vedi infra a pag. 63].

At 6,1: “... ci furono delle mormorazioni tra gli Ellenisti contro gli Ebrei”. Gli Ebrei fattisi cristiani si limitavano a sovvenire alle loro vedove indigenti. Si tratta di Ebrei pii, che rispettano le prescrizioni della Tôrah, e non possono mangiare insieme ad estranei. Il loro comportamento appare ingeneroso, contro la carità comunitaria; gli Ellenisti, proseliti che provenivano dalla paganità, anziché rivolgersi agli Apostoli, preferiscono “mormorare”-goggýzô, ossia contestare con contesa. Il torto è reciproco.

At 9,29: “[Saulo] si rivolgeva anche agli Ellenisti ... questi macchinavano la sua perdita”. Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava in tutti i modi di intrattenersi familiarmente con i discepoli, ma tutti avevano timore, non credendo ancora che fosse un discepolo come loro. Intervenne quindi Barnaba, il quale lo presentò agli apostoli e narrò loro quanto gli è capitato [cfr. Gal 1,11-24; At 9,1-19]. Così si intrattenne con essi e andava e veniva a Gerusalemme liberamente, discutendo anche con Ebrei di lingua greca. Ma costoro però, tentarono di ucciderlo.

At 11,20: “... alcuni Ciprioti e Cirenei che, venuti ad Antiochia, si rivolgevano anche ai Greci”. Nel contesto della fondazione della chiesa di Antiochia, i dispersi a motivo della persecuzione scoppiata al tempo di

Giovanni, 316-317; H. STRATHMANN, Il vangelo secondo Giovanni, 313. Vedi anche R.E. BROWN, Giovanni. Commento al vangelo spirituale, Assisi 1979, 406.606; X. LEON-DUFOUR, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, 574; B. LINDARS, The Gospel of John, London 1972, 427; R. BULTMANN, The Gospel of John. A Commentary translated from the 1964 printing of Das Evangelium des Johannes, Göttingen 1971, 423; R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, 634; M. J. LAGRANGE, Évangile selon Saint Jean, “Études bibliques”, Paris 1925, 329.

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Stefano, predicavano la parola di Dio unicamente ai Giudei. Alcuni di loro però, di loro iniziativa, incominciarono a predicare la buona novella del Signore Gesù anche ai Greci.

At 14,1: “A Iconio ... una gran folla di giudei e di greci credette”. Giunti a Iconio, Paolo e Barnaba, durante la liturgia sabatica sinagogale, parlarono in modo tale che un cospicuo numero di giudei e greci divennero credenti.

At 16,1: “Timoteo, figlio di una giudea divenuta credente, ma di padre greco ...”. Nella Licaonia, Paolo si recò a Derbe e a Listra. Qui si aggrega Timoteo, assai stimato dai fratelli, figlio di una donna giudea credente e di padre greco.

At 16,3: “[Paolo] lo circoncise a causa dei giudei … perché tutti sapevano che suo padre era greco”. Paolo volle che Timoteo partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere, poiché tutti sapevano che suo padre era greco.

At 17,4: “Alcuni dei [giudei] rimasero convinti ... e così pure una moltitudine di greci [e di] adoratori [di Dio]”. A Tessalonica, Paolo e Sila, per tre sabati consecutivi discussero con i giudei sulla base delle Scritture, spiegandole e dimostrando che il Cristo doveva morire e poi resuscitare dai morti. Non pochi si convinsero. Tra questi un buon numero di greci, credenti in Dio, e una moltitudine di donne.

At 17,12: “Molti [giudei] credettero ... e così pure delle donne greche di rango”. Molti giudei aderirono alle parole di Paolo e Sila e con loro anche donne greche di alto rango.

At 18,4: “... ogni sabato, [Paolo] ... si sforzava di persuadere giudei e greci”. Paolo, dopo aver lasciato Atene si diresse alla volta di Corinto. E ogni sabato, nella sinagoga, discuteva e cercava di persuadere molti, giudei e greci.

At 19,10: “... tutti gli abitanti dell’Asia, giudei e greci, poterono ascoltare la parola”. A Efeso, Paolo entrò nella sinagoga, e per tre mesi, vi potè parlare liberamente, cercando di persuadere gli ascoltatori, giudei e greci, circa il regno di Dio.

At 19,17: “Tutti gli abitanti di Efeso, giudei e greci, seppero la cosa”. Dio intanto operava prodigi non comuni per opera di Paolo … Il fatto fu risaputo da tutti i giudei e dai greci che abitavano a Efeso e tutti furono presi da timore.

At 20,2: “[Paolo] attraversò [la Macedonia] ... e giunse in Grecia”. Paolo abbandonò Efeso, e si mise in viaggio per la Macedonia. Dopo aver attraversato quelle regioni, esortando con molti discorsi i fedeli, arrivò in Grecia, e vi rimase per tre mesi.

At 20,21: “... scongiuravano giudei e greci di convertirsi a Dio”. Paolo, da Mileto mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa. Quando giunsero, Paolo rivolge loro parole di commiato, e tra queste ricorda di aver sempre scongiurato giudei e greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore Gesù.

At 21,28: “[Paolo] ha persino introdotto dei greci nel tempio e profanato questo santo luogo!”. Giunto a Gereusalemme paolo fu arrestato. Le accuse rivoltegli furono diverse. Tra queste anche quella di aver

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introdotto Trofimo, greco, di Efeso, nel tempio, luogo santo riservato ai giudei.

At 21,37: “Tu sai il greco? chiese [il tribuno a Paolo]”. Sul punto di essere condotto nella fortezza, Paolo si rivolse al tribuno, in greco, e gli chiese di poter predicare ai giudei di Gerusalemme, essendo lui anche ebreo, nativo della Cilicia.

Rom 1,14: “Io sono debitore ai greci come ai barbari …”. Paolo, alla comunità di Roma, sostiene di essere in debito verso i greci come verso i barbari, e di essere quindi pronto, per quanto sta in suo potere, a predicare l’evangelo a ognuno.

Rom 1,16: “[l’evangelo] è una forza di Dio per la salvezza di ogni credente, prima di tutto del giudeo, poi del greco”. Paolo, non vergognandosi dell’evangelo, afferma che esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo innanzitutto e poi del greco. In esso si rende manifesta la giustizia di Dio.

Rom 2,9: “Tribolazione e angoscia … prima di tutto al giudeo, poi al greco”. Paolo parla ai giudei richiamandoli ad una condotta santa e irreprensibile. Essi devono convertirsi se vogliono evitare l’ira divina. Per quanti operano il male, giudei e greci, il Signore riserverà tribolazione ed angoscia.

Rom 2,10: “ ... gloria, onore e pace ... al giudeo prima di tutto, poi al greco”. Per coloro che si convertono e operano il bene e vincono il male facendo del bene, siano essi giudei o greci, il Signore invece riserverà gloria, onore e pace.

Rom 3,9: “Giudei e greci, tutti sono sottomessi al peccato”. Paolo afferma che tutti sono colpevoli, e che sia i giudei sia i greci, sono sotto il dominio del peccato.

Rom 10,12: “... nessuna distinzione tra giudeo e greco; per tutti è lo stesso Signore”. I giudei hanno misconosciuto la giustizia di Dio. E Dio non fa alcuna preferenza di persone. Poiché è il Signore di tutti, è ricco verso tutti coloro i quali, giudei o greci, lo invocano.

1 Cor 1,22-24: “... i greci sono in cerca di sapienza … noi predichiamo, invece, un Cristo crocifisso … follia per i pagani, ma per quelli che sono chiamati, giudei come greci, è Cristo, … sapienza di Dio”. Poiché nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i giudei chiedono i segni, i greci domandano la sapienza. Punto nodale di questa predicazione è quindi la croce, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani. Per quanti sono chiamati, giudei e greci, Cristo invece è potenza e sapienza di Dio.

1 Cor 10,32: “Non date scandalo né ai giudei né ai greci, né alla Chiesa di Dio”. Paolo esorta i presenti a non dare scandalo a nessuno, e a fare tutto per la gloria di Dio. Né i giudei, né i greci, devono scandalizzarsi per colpa nostra.

1 Cor 12,13: “Noi siamo stati battezzati tutti per formare un solo corpo, giudei o greci”. Parlando dei carsiami, Paolo ricorda a ciascuno che tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, giudei o greci, schiavi o liberi.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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Gal 2,3: “... di Tito ... che era greco, non si pretese che si facesse circoncidere”. Dopo 14 anni Paolo andò a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con sé anche Tito, che sebbene fosse greco, tuttavia non fu obbligato a farsi circoncidere.

Gal 3,28: “Non c’è né giudeo né greco … voi tutti non siete che uno in Cristo Gesù”. Il battesimo produce effetti inaspettati ed universali. Esso annulla tutte le differenze dello statuto dell’uomo: statuto religioso [ebrei e greci] e culturale, statuto sociale [servo e libero], statuto della condizione di opposizione dei sessi [maschio e femmina]. Perciò tuttioramai, a causa dell’unico battesimo, sono diventati “uno” in Cristo.

Col 3,11: “... non c’è più greco né giudeo ... non c’è che Cristo”. Nella parte parenetica dello scritto, Paolo detta i precetti generali della vita cristiana, e sostiene che non c’è più greco né giudeo, circoncisione né incirconcisione, barbaro né Scita, schiavo né libero, poiché Cristo è tutto in tutti.

Ap 9,11: “[l’angelo dell’Abisso] si chiama in ebraico Abbadôn, e in greco ... Apollyôn”. Al suono della quinta tromba il quinto angelo apre il pozzo dell’Abisso … il re si chiamava in ebraico Abbadôn-perdizione e in greco Apollyôn-sterminatore.

Questi “non giudei”, “rappresentanti del mondo greco”, pagani che, diversi per razza, cultura e lingua, tuttavia hanno compreso la superiorità della religione ebraica, se si convertono pienamente diventano “proseliti” [cfr. Mt 23,15, dove vi è traccia di una certa attività missionaria dei Farisei]. Altrimenti, rimangono dei semi-proseliti che almeno in parte sono ammessi alle feste giudaiche. Queste persone infatti venivano volentieri in pellegrinaggio a Gerusalemme per la Pasqua, come attesta anche Giuseppe Flavio13, ma allo stesso tempo non potevano mangiare dell’agnello pasquale. L’Evangelista infatti annota che erano saliti alla Città santa per adorare. È quindi normale, che alcuni di loro siano presenti a Gerusalemme in occasione della Pasqua. L’Evangelista pone dunque il loro pellegrinaggio assieme a quello dei Giudei e li presenta come coloro i quali vanno dall’apostolo Filippo spinti dal desiderio di conoscere Gesù. Ma per l’Evangelista si aggiunge un motivo più profondo: i pagani sono ormai vicini alla salvezza e cercano la vera adorazione “in Spirito e Verità” [cfr. Gv 4,33]. I Greci, molto probabilmente hanno sentito parlare di Gesù tra la folla e vorrebbero conoscerlo direttamente. La visita a Gerusalemme è per loro un’occasione speciale anche in questo senso. Non a caso chiedono l’aiuto dell’apostolo Filippo avanzando arditamente la richiesta: “Signore, noi vogliamo vedere Gesù” [v.21]. Come Giovanni annota, Filippo14 è originario

13 GIUSEPPE FLAVIO, De bello iudaico, V 9,3,427: “Quegli stranieri che si fossero trovati presenti agli atti di culto non potevano prendere parte al banchetto pasquale”. Cfr. anche R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, IV 634.

14 Una tradizione collega Filippo a Hierapolis in Frigia, Asia Minore, secondo la lettera di Policrate al papa Vittorio riportata in EUSEBIO DI CESAREA, Historia ecclesiastica 3,31,3 e 5,24,2: “Filippo [del gruppo] dei dodici apostoli, che è sepolto a Hierapolis”. Lo stesso Eusebio, contraddicendosi, afferma altrove che si tratta dell’evangelista Filippo nominato in Atti. Ma le testimonianze provano che “Filippo” non ha avuto alcun ruolo in Asia Minore. Anche Andrea, dallo stesso Eusebio, è nominato come uno dei condiscepoli di Giovanni, ed è nominato per primo nella citazione di Papia. Cfr. ancora EUSEBIO DI CESAREA, Historia ecclesiastica, 3,39,4.

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di Betsaida di Galilea15 [Gv 1,44], una zona in cui i contatti con i pagani sono abbastanza frequenti. Forse con lui è più facile intendersi anche parlando la lingua greca. Filippo si consiglia con Andrea che è un compaesano16 e con il quale pare molto legato, e insieme si recano da Gesù per sottoporgli la richiesta. I due infatti, compaiono insieme anche in Gv 6,7-8, prima della moltiplicazione dei pani e dei pesci, e sono gli unici due tra gli apostoli, i cui nomi sono non semitici, bensì prettamente greci. Forse, in seguito, essi furono particolarmente coinvolti nella missione ai pagani. “Vedere Gesù” è un’espressione fondamentale in Giovanni: non si tratta solo di un vedere fisico, ma è un vedere in profondità, un “credere in” [Gesù]; un intuire nella visione il mistero della persona di Gesù. E’ la prima categoria per esprimere la ricerca nella fede e l’esperienza spirituale di Gesù17 [Gv 1,18.14.1]. Anche il fatto di aver nominato quali intermediari Filippo e Andrea, due discepoli dal nome greco e di origine della Galilea, “terra aperta ai pagani”, può avere un significato sul piano simbolico: i Gentili giungono all’Evangelo di Gesù non per conoscenza diretta della persona del Cristo, bensì attraverso la predicazione degli apostoli. Tutto questo dice che l’Evangelista, al culmine del ministero pubblico di Gesù, esprime il suo interesse per la diaspora giudaica e per il suo desiderio di conoscere Gesù. Questi infatti, “non ha più alcun posto in quel giudaismo che ha misconosciuto il proprio posto nei piani di Dio18”.

3.2. la hôra e la doxa comunicate con una quasi-parabola: Gv 12,2-38a

vv. 23-28a: “Gesù risponde loro dicendo: ‘È giunta l’ora perché il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto nella terra non muore, esso rimane solo; se muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la salverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, lì anche sarà il mio servo; se uno mi vuol servire, il Padre mio lo onorerà. Ora la mia anima è turbata; e cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora! Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo Nome’”. L’incontro con i Greci offre a Gesù la possibilità di un breve ed ultimo discorso pubblico [Gv 12,23-36], che non è una risposta diretta per loro, ma verte, in chiave teologica, sul tema dell’hôra, nella quale Egli, attraverso la

15 Alcuni commentatori rilevano in Giovanni un errore storico e geografico circa Betsaida di Galilea. Cfr. ad es.: A. WIKENHAUSER, L’evangelo secondo Giovanni, 317: “Betsaida, villaggio di pescatori, sorgeva ad oriente dello sbocco del Giordano nel lago di Tiberiade, ed era nel territorio della tetrarchia di Filippo, che poco lontano da esso fondò Giulia; a parlar propriamente, quindi, non era Galilea”; R. BULTMANN, The Gospel of John, 323 n. 3. Altri studiosi lo confermano. Cfr. H. STRATHMANN, Il vangelo secondo Giovanni, 312; J. MARSH, The Gospel of John, London 1968, 463; M. J. LAGRANGE, Évangile selon Saint Jean, 329.

16 Cfr. A. DURAND, Vangelo secondo San Giovanni, 441.

17 Il verbo “vedere” è frequentissimo in Giovanni. Esso compare così: horáō, 31 volte nell’Evangelo e 8 nelle Lettere; theáomai, 6 volte nell’Evangelo e 3 nelle Lettere. È usato spesso anche il verbo theoréō, usato 24 volte in Giovanni. Il verbo è spesso collegato con pisteuein-credere.

18 Cfr. C. K. BARRETT, The Gospel according to St. John, London 1965, 127.

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Croce, sarà glorificato. Tra il desiderio espresso dai Greci, primizia delle “genti”, ed il loro ingresso nel Regno per mezzo della predicazione degli apostoli, vi è l’evento pasquale di Gesù, la sua hôra, che dischiude la via della fede nel Cristo a tutte le nazioni. All’Evangelista non interessano le singole persone protagoniste dell’episodio, dato che di questi Greci poi non ne parla più. Questi infatti, scompaiono di scena allo stesso modo in cui fu perso di vista Nicodemo [Gv 3]. Gli sta a cuore in questo episodio non tanto i Greci in quanto tali, bensì ciò che il loro gesto significa: affermare l’universalità della salvezza estesa a tutti gli uomini che vogliono incontrare il Cristo. E Gesù sottolinea l’importanza del momento illuminando la folla perché comprenda bene il suo messianismo: “È venuta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’Uomo” [v.23]. L’ora che più volte l’Evangelista ha indicato in prospettiva futura si fa presente con la richiesta dei pagani di incontrare Gesù. L’ora che più volte è stata accostata alla sua cattura e alla sua morte qui diventa rivelazione di gloria. Per Gesù ormai, è finito il tempo della rivelazione con parole e con “segni” indicatori, e inizia quello del grande “segno” realizzatore, cioè della “Passione gloriosa” del Figlio dell’Uomo, il cui vero trionfo messianico coincide con il suo innalzamento in Croce per la redenzione del mondo. Ancora pochi giorni e poi tutti, compresi i pagani, potranno vedere nell’Uomo Crocifisso innalzato, la Gloria di Dio, che aprirà la via della salvezza a tutte le genti. Le parole di Gesù in questo suo ultimo discorso pubblico sono “una risposta indiretta al desiderio espresso dai pagani: Cristo, attraverso la sua Passione e Morte, in quanto immolato, diverrà accessibile ad essi19”.

Al v. 23b pertanto, Gesù annuncia l’arrivo della hôra, ed è bene prima di proseguire nell’esegesi, soffermarci brevemente a raccogliere qui le informazioni più significative al riguardo, in una visione la più possibile unitaria20. Il termine “hôra” ricorre già negli Evangeli Sinottici per indicare il momento della Passione. L’Evangelista Matteo difatti riporta questo testo: “Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori” [26,45b], e Marco “si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora” [14,35]. Un uso ancora precedente deve essere stato quello di applicare il termine al momento critico del “giudizio”. Leggiamo infatti nel cosiddetto “discorso escatologico”: “Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce …” [Mt 24,36; Mc 13,32]. Dunque nella tradizione sinottica, l’ora è collegata al giudizio e alla Passione, al momento cruciale della storia e della vicenda di Gesù. Il nostro evangelista presenta una serie più abbondante di testi che possiamo raccogliere in quattro gruppi:

Spesso egli afferma che l’ora sta per venire. Così descrive imminente il tempo in cui, dopo la morte e la Resurrezione di Cristo, sarà inaugurato

19 Cfr. G. ZEVINI, <<Vogliamo vedere Gesù>>. Gv 12,20-36, 118; R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, IV, 636-637.

20 Cfr. G. DELLING G., voce: hôra, in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico del Nuovo Testamento, GLNT a cura di F. MONTAGNINI, G. SCARPAT, O. SOFFRITTI, Brescia 1989, XV, 1341-1358. Cfr. anche H. GIESEN, voce: hôra, in BALZ H. - SCHNEIDER G., Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Brescia 1998, I, 2001-2005.

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un nuovo genere di culto [“adorare”]; i credenti affronteranno persecuzioni; per opera dello Spirito Consolatore essi avranno una comprensione più diretta della stessa Rivelazione; avrà luogo la resurrezione dei morti …:

“Credimi, donna, giunge il momento in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre” [4,21];

“ … viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno …” [5,28];

“Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” [16,2];

“ … viene l’ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente …” [16,25].

A volte l’Evangelista presenta frasi che contengono una curiosa mescolanza di presente e di futuro:

“è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità …” [4,23]; “è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio” [5,25];

“Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete … e mi lascerete solo” [16,32]. Realtà come il culto “in Spirito [Santo] e Verità” e la Resurrezione sono in qualche modo, ma realmente, già anticipate; la presenza di Cristo le rende come attuali. Anche la Passione di Gesù è tanto vicina da essere detta “già venuta”.

In altri casi l’Evangelo dice che l’ora non è ancora venuta ed è ancora lontana. Non sempre è chiaro di quale “ora” si tratta: il momento della visibile diffusione dei beni messianici; oppure il momento della Passione inteso come reale inizio della mortificazione di Gesù. Sono aspetti che non si escludono a vicenda, ma che possono essere individuati e distinti. “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora” [2,4]. “Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora” [7,30]. “E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora” [8,20].

Infine, altri brani ancora contengono l’affermazione, un po’ sorprendente ma chiara, secondo cui l’ora è presente, già venuta. Qui si esprime, in modo più accentuato la diffusa tendenza a dire che le realtà future e definitive si devono considerare anticipate; la Passione e la Gloria si manifestano come già presenti nei fatti che precedono il momento critico finale. Gli avversari di Gesù hanno preso abbastanza presto una decisione definitiva; infatti, già dopo una riunione del Sinedrio leggiamo in 11,53: “Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo”. Lo strano gesto di Maria che unge i piedi al maestro, è un anticipo simbolico degli onori funerari [cfr. 12,7]. E oramai i pagani dicono: “Vogliamo vedere Gesù” [12,21]. Di conseguenza l’Evangelista riporta affermazioni come le seguenti: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo …” [12,23]; “Per questo sono giunto a quest’ora!” [12,27]; “ … Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo

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al Padre, …” [13,1]; “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo …” [17,1].

Il termine “hôra” nel quarto Evangelo non ha dunque sempre le medesime sfumature di significato, anche se risulta costante l’idea di momento decisivo, carico di rivelazione e di salvezza. Sul compimento della hôra, Gesù vuol poi richiamare l’attenzione. Resta tuttavia il fatto che essa è già cominciata, come è confermata dai tre “nyn” nei vv. 27.31ab. L’ora del turbamento [v. 27], l’ora del tradimento [13,31], l’ora della esaltazione sulla croce [12,31] e glorificazione [v.23] sono un unico evento: la hôra di Gesù.

La necessità della morte per portare frutto: Gv 12,24-26

Nei vv. 24-26 Gesù spiega come si realizzerà il mistero paradossale della vita tramite la morte, come Egli porterà a compimento la sua missione e come il discepolo, se vuole essere tale, deve imitarlo: “In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto” [v.24]. La piccola e icastica parabola del seme che cade nel terreno e muore ha valore cristologico ed è assai espressiva e semplice: il seme è Gesù stesso che, come il chicco di frumento21, deve morire per diventare sorgente di vita per molti. Senza la morte non c’è fecondità, vita nuova e abbondanza di frutti. La parabola, o al dire di diversi commentatori “quasi-parabola” del chicco di frumento, non ha la forma di racconto, tipica invece delle parabole che si leggono negli Evangeli Sinottici; tuttavia utilizza un’immagine più volte ricorrente proprio nelle parabole22. Qui, l’immagine serve a dire come il momento critico di Gesù sia simultaneamente di morte e di vita rigogliosa. Non è certamente facile capire questo insegnamento parabolico: né per i discepoli testimoni, né per i discepoli contemporanei dell’Evangelista. L’immagine adoperata è familiare a tutti e presa in prestito dall’esperienza agricola più comune. Essa viene usata per indicare in maniera efficace che non è strano combinare prospettive di morte e di vita, di sofferenza e di gloria. Gesù, ci si chiede, è vicino alla morte oppure è vicino alla gloria? Egli tra poco verrà sconfitto, ma non vinto; anzi, la sua “fine” segnerà un inizio inaspettato, insospettato e grande. Come il chicco di frumento seminato nella terra perde la sua compattezza, marcisce e muore, ma solamente per diventare fonte prodigiosa della vita di molti altri chicchi, analogamente sta per accadere a Gesù. Il chicco che non muore conserva la sua identità, ma “rimane solo”, non provoca nient’altro. Se invece muore, “produce molto frutto”. Anche Gesù tra poco morirà. Ma quella morte sarà la causa di una vita più grande e più alta, per tutti. Un’altra quasi-parabola è simile: la

21 Cfr. R. E. BROWN, Giovanni, 606. L’autore sostiene che il greco sitos può significare “frumento” in particolare, o “grano” in generale. Lo stesso termine è adoperato dall’evangelista Matteo in 13,25. Cfr. anche B. LINDARS, The Gospel of John, 428-429.

22 Cfr. R. E. BROWN, Giovanni, 613. L’autore documenta ampiamente che il logion del chicco di frumento che muore, sia per la forma sia per il simbolismo, rappresenta una breve parabola, molto simile alle parabole contenute negli Evangeli Sinottici.

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donna che sta per partorire prova dolori che l’avvicinano alla morte; il momento è critico [cfr. Gv 16,21: “è giunta la sua hôra”]. Ma lo stesso momento è insieme quello della nascita. La vita nuova che Gesù dona è logica conseguenza della sua disponibilità e della sua morte. Il tema della parabola del seme è presente anche negli Evangeli Sinottici con il granello di senape [Mc 4,30-32], il grano che cresce da sé [Mc 4,26-29], e il seme che cade in terreni diversi [Mt 13,3-8; Lc 8,5-8; Mc 4,1-9], ma con la differenza che qui il seme indica la Parola del Dio vivente o il Regno, mentre in Giovanni il seme è Gesù stesso che tra poco morirà per donare a tutti i frutti della Vita eterna. L’immagine del seme e del grande albero richiama poi quella del sogno del profeta Daniele23 e preannuncia, anticipa, prefigura e presimbolizza, l’ingresso delle genti nel Regno di Dio. La forma linguistica mostra un certo influsso semitico e probabilmente “proviene da un’antica tradizione pre-giovannea e può essere benissimo un’autentica parola di Gesù24“.

4.1. Il discepolo accetta il destino del seme: Gv 12,25

La parabola giovannea dunque, si inquadra nell’ambito della profezia della passione di Gesù. E’ visibile il rapporto con l’evangelista Marco [8,31], in quanto alla parabola fanno seguito due parole sul perdere la vita e sul seguire nella morte, che anche nei Sinottici vengono dopo la profezia della morte di Gesù. Il tema della parabola è sviluppato al versetto seguente, con un linguaggio non parabolico25 ma sotto forma di “insegnamento per il discepolo”: “Chi ama la propria persona la perde e chi invece odia la propria persona in questo mondo la custodisce per la vita eterna” [v.25]. L’episodio dei Greci a questo punto sembra del tutto dimenticato. Ora Gesù parla ai suoi e dice a quali condizioni essi possono seguirlo, per fare ed essere come Lui26. L’opposizione amare-odiare è segno di stile e linguaggio semitico ed equivale come significato al nostro “preferire27“. Gesù dice con forza che Egli deve avere il primo posto sempre e comunque e su tutte le realtà, anche se queste sono in se stesse molto buone. Con queste parole, la parabola precedente viene estesa alla situazione di ogni discepolo: il destino di Gesù, fatto di morte e di gloria, è la prospettiva inevitabile di ogni vero

23 Cfr. Dan 4,7-12, testo greco dei LXX e quello di Teodozione.

24 Cfr. R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, 637, n. 12. L’autore, richiamandosi allo studio di J. JEREMIAS, asserisce anche che è da escludersi una parentela della nostra quasi-parabola con il culto di Demetra ad Eleusi, perché là il grano [o le spighe] non simboleggiavano la resurrezione.

25 Cfr. A. DURAND, Vangelo secondo San Giovanni, 444.

26 Anche nei Sinottici si trovano diversi detti simili [Mt 10,39; 16,25; Lc 9,24; 17,33; Mc 8,35], ma il detto giovanneo sembra indipendente e, secondo il DODD, sarebbe più vicino all’originale aramaico che non le forme conservate negli evangeli Sinottici; cfr. CH. H. DODD, L’interpretazione del quarto vangelo, Brescia 1974, e G. SEGALLA, Giovanni, 346.

27 R. E. BROWN, Giovanni, 607. 615-617, pone in evidenza come l’uso semitico predilige vivaci contrasti per esprimere preferenze. Altri esempi sono in Dt 21,15; Mt 6,24; Lc 14,26; Mc 8,35. Vedi anche X. LEON-DOFOUR, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, II, 578-579.

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discepolo del Maestro. La strada percorsa dal Maestro diviene la stessa che deve percorrere il discepolo, anche se questa conduce alla croce, perché è partecipando alla sua morte che si raggiunge la gloria incorruttibile della vita. Solo chi si perde è colui il quale si realizza. Il più grande ostacolo alla piena donazione e conseguentemente alla realizzazione di sé è nel timore di perdersi e di sacrificarsi in questo mondo. Gesù avverte con chiare note ogni discepolo: l’attaccamento a se stesso conduce al compromesso, la completa maturità, invece, risiede nell’attività dell’amore, nella donazione fatta servizio ad ogni fratello.

4.2. Condizioni sulla sequela: Gv 12,26

Gli Evangeli Sinottici riportano spesso le esigenze radicali per essere discepoli [Mt 10,39; 16,25; Lc 9,24; 17,33; Mc 8,35]. E Giovanni le riassume nel destino di morte e di gloria del Cristo che ogni discepolo è chiamato a rivivere. Solo colui il quale dona totalmente se stesso per amore porta frutto e si apre a un destino pieno di vita eterna. Gesù dopo aver svelato che il cammino della piena realizzazione del discepolo è nel dono di sé per amore, invita i suoi uditori a seguirlo sulla strada del servizio generoso, gratuito e disinteressato: “Se qualcuno vuol servire a me, mi segua, e dove sono Io là sarà anche il mio servitore. Se qualcuno serve a me, il Padre mio lo onorerà” [v.26]. Questo detto sul servizio28 implica nel discepolo non solo sequela, bensì identità di vedute e di ideali, collaborazione alla medesima missione, imitazione sino alla sofferenza ed alla morte. A questo punto i discepoli, compresi i Greci, sono in grado di “vedere e fare” l’esperienza di Gesù. I Greci chiedevano di incontrare il Cristo “della storia”, e viene loro invece indicata la strada per giungere al Risorto, l’”Innalzato”. Ma il Cristo Risorto non è allo stesso tempo accessibile direttamente. Invece la strada che conduce a Lui è quella del servizio, che ha come conseguenza l’accettazione volontaria della morte. Questo orientamento di vita, che condiziona la fede nella persona di Gesù, è legato ad una ricompensa assicurata: la certezza di stare unito con Lui, di dimorare nell’amore del Padre [Gv 14,3; 17,24] e di ricevere una “gloria” simile a quella del Figlio. Se il mondo disprezzerà i discepoli di Gesù, il Padre stesso li onorerà e li tratterà come figli [Gv 5,44] rivelando loro il suo Amore [Gv 17,24-26]. Con questo versetto poi, si ripete e si sente più esplicito il tema del v.25.

La Glorificazione di Gesù in Croce: Gv 12,27

Ai versetti 25-26, dedicati ad una precisa istruzione dei discepoli, l’Evangelista fa seguire un monologo di Gesù sugli intimi sentimenti del suo animo in questa particolare circostanza. Egli è consapevole di essere a una svolta decisiva della sua vita e ciò gli provoca un turbamento interiore: “Adesso la mia anima è turbata. Ma che posso dire? Padre, salvami da

28 La tradizione sinottica parla di qualcuno che vuol venire dietro a Gesù; Giovanni parla di chi vuole servire Gesù. La sequela Christi è un “servizio”. Può darsi che la forma giovannea di questa affermazione sia la più antica. Ampia documentazione è offerta da R.E. BROWN, Giovanni, 618; X. LEON-DOFOUR, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, II, 581, n.47; B. LINDARS, The Gospel of John, 430.

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questa ora? Ma io sono venuto proprio per questa ora!” [v.27]. Queste parole ci introducono al Getsemani del quarto evangelo, anticipando al ministero pubblico la scena narrata dagli evangeli sinottici29 [Mt 26,36-46; Lc 22,40-46; Mc 14,33-36]. Gesù, come ogni uomo, avverte l’ora drammatica ed imminente della sua morte e vive una lotta interiore tra lo spontaneo tentativo di evitarla [“Salvami da questa ora?”; cfr. Ebr 5,7] e la volontà ferma di restare fedele al Progetto preparatogli dal Padre [“Ma Io sono venuto proprio per questa ora!”]. L’Evangelista narra altri momenti di turbamento vissuti da Gesù, come quello presso la tomba di Lazzaro [Gv 11,33] e quello nel Cenacolo quando svela il suo traditore [Gv 13,21]; ma certamente, questo in Gv 12,27 è più intenso in quanto Gesù si trova dinanzi all’ora della sua morte. Tale situazione vissuta da Gesù, è ben tratteggiata dagli evangeli Sinottici nella scena dell’agonia al Getsemani, come detto poco sopra, che Giovanni però non riporta nel suo documento.

5.1. L’ora dell’angoscia mortale per la gloria

Negli Evangeli Sinottici, infatti, si accenna all’angoscia di Gesù, al suo grido al Padre di allontanare la coppa della sofferenza, all’anima che è triste sino alla morte, al fatto che “suda a gocce come scorre il sangue” [Lc 22,44], e alla preghiera per evitare una simile “hôra”. Qui, invece, il Gesù giovanneo appare forte davanti ai suoi eventi dolorosi, dominatore della situazione, anche se umanamente turbato30, protagonista consapevole della volontà del Padre, a cui non rivolge altra preghiera che questa: “Padre, glorifica il tuo Nome31” [v.28a]. Gesù reagisce alla tentazione di una qualche “fuga” riaffermando la sua decisione di porre in primo piano la volontà del Padre suo. Anche nei Sinottici, dopo la preghiera di smarrimento, segue una ripresa importante [cfr. Mc 14,36: “Però, non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”]. In Giovanni invece, emerge una specie di entusiasmo32. Gesù chiede che il Padre stesso venga glorificato. L’accettazione da parte di Gesù dell’ora della sua morte e della volontà del Padre fa sì che il Figlio porti a

29 Cfr. A. DURAND, Vangelo secondo San Giovanni, 445. Anche altri commentatori rilevano che in Giovanni è scomparsa l’agonia del Getsemani e di essa è rimasto solo il turbamento generico e la preghiera, espressa però in forma di domanda [“Padre, salvami da quest’ora?”] di modo che è subito superata dalla richiesta che sia glorificato il Padre attraverso l’ora della glorificazione del Figlio [Gv 12,23]: l’innalzamento sulla croce [Gv 12,32-33]. Cfr. G. SEGALLA, Giovanni, 347; R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, IV, 640-641; R. E. BROWN, Giovanni, 607.

30 L’evangelista Giovanni non voleva passare sotto silenzio il turbamento di Gesù, ma lo ha interpretato secondo la sua cristologia. Il verbo “tarassomai o embrimasmai-turbare” che in Giovanni compare anche altrove [11,33: “enebrimêsato”; 13,21: “etarachthê” ], esprime infatti, una interiore commozione, emozione, agitazione, ma mai paura della morte.

31 Gesù pronuncia la parola dell’obbedienza: “Padre glorifica il tuo Nome”. La breve preghiera si può considerare come una variante cristologica dell’invocazione del Pater noster: “sia santificato il tuo nome” [Mt 6,9; Lc 11,2]. Cfr. R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, IV, 643; R. E. BROWN, Giovanni, 608; B. LINDARS, The Gospel of John, 431.

32 R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, IV, 642, afferma che il Gesù giovanneo “non indugia negli abissi della morte e dell’annientamento. Perciò anche quando Gesù si rivolge al Padre, non è per rivolgergli una preghiera ma per fare nuovamente una domanda”. Cfr. anche M. J. LAGRANGE, Évangile selon Saint Jean, 333.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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compimento nell’obbedienza l’opera del Padre. Questo rivelerà agli uomini il suo amore. Quanto alla gloria-doxa33 sia ha che nel quarto Evangelo, come sempre nel N.T., il suo senso dipende dall’uso che ne fa l’A.T., specialmente la versione greca alessandrina detta dei LXX. Le varie sfumature di significato possono essere espresse con “fama”, “potenza”, “magnificenza”, “splendore”, “forza”, ecc. La Scrittura considera a volte la gloria di qualche personaggio umano, specialmente del re, e intende parlare della sua potenza che in qualche modo si fa visibile. Il caso però di gran lunga più frequente e teologicamente rilevante è quello della “gloria di Dio”. In questo concetto sono presenti sempre due elementi: quello di forza [o potenza o sovranità] e quello di una certa manifestazione sensibile. Le azioni prodigiose di YHWH a favore del suo popolo [il passaggio del mar Rosso, la manna, gli interventi per salvare o per riedificare Israele, …] sono eventi che manifestano la sua gloria [cfr. Es 14,18; 16,7; Is 35,1-4; 40,5; Sal 101,17]; anche la creazione manifesta Dio: “I cieli narrano la gloria di Dio …” [Sal 18,2]. Si riferiscono anche episodi di manifestazione più diretta di tale gloria, meno legati alla dimostrazione di potenza e costituiti, invece, da visioni abbaglianti e solo vagamente descrivibili; l’esempio più noto è quello di Is 6. Infine, anche quando non è visibile, la Gloria di YHWH abita nel tempio [1 Re 8,10-11] e sovrasta Gerusalemme [Is 60,1]. Essa è la presenza di Dio fra gli uomini. Il N.T. in genere attribuisce al Cristo la medesima gloria di Dio; esprime così, la sua divinità, la dignità, il potere, la sovranità. Molte volte si afferma che il Cristo riceve questa gloria nel momento della Resurrezione e la possiede da allora in poi [cfr. Mt 19,28; 25,31; Mc 9,38; 10,37; 13,26; 2 Cor 3,18]. Per dire che egli vive di nuovo con Dio, si dice che “è entrato nella sua Gloria” e per indicare la sua manifestazione finale, si dice che Egli “verrà nella Gloria” [Lc 9,26]. Si parla di gloria del Cristo durante la sua vita terrena soltanto in occasione dell’evento della trasfigurazione [Lc 9,32; 2 Pt 1,17]. Il quarto evangelista, invece, fa eccezione perché afferma ripetutamente anche la gloria del Gesù terreno; egli ha compreso più a fondo degli altri che già nella sua condizione umana, apparentemente umile, Gesù è pieno di gloria di Dio e la manifesta. Di conseguenza è possibile vederla nei suoi gesti o negli eventi che lo riguardano, ed è possibile credere [cfr. Gv 2,11]. Rileggiamo e colleghiamo brevemente alcuni dei testi più significativi, anche per mostrare come tutto questo è detto da Giovanni anche con la quasi-parabola del chicco di frumento: Cristo, come il chicco muore, ma per la vita-doxa.

“E il Verbo si fece carne … e noi vedemmo la sua Gloria” [1,14]. L’Evangelista dichiara: noi abbiamo visto e contemplato e creduto che Egli ha portato nel mondo “la grazia e la verità” [1,17], vale a dire la potenza salvifica di Dio e la sua volontà di Rivelazione. In questo senso non si tratta della gloria di un semplice messaggero [come un profeta], ma di quella del “Figlio [Mono]Unigenito” [1,18].

“Così Gesù diede inizio ai suoi segni in Cana di Galilea, manifestò la sua 33 Cfr. G. VON RAD - G. KITTEL, voce: doxa, in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico del Nuovo Testamento, GLNT a cura di F. MONTAGNINI, G. SCARPAT, O. SOFFRITTI, Brescia 1965-1989, II, 1348-1358.1383-1398; H. HEGERMANN, voce: doxa, in BALZ H. - SCHNEIDER G., Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Brescia 1998, 921-923; G. NOLLI, Lessico biblico, Roma 1970, 573-575.

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Gloria e i suoi discepoli credettero in Lui” [2,11]. Varie persone vedono quel segno, l’inizio dei segni, eppure soltanto dei discepoli si dice che “credono”, ossia che lo comprendono come manifestazione della Potenza di Dio che inaugura i tempi messianici. Infatti essi vedono nel gesto di Gesù la presenza stessa di Dio in azione.

“Io non ricevo gloria dagli uomini …”; “voi prendete gloria gli uni dagli altri …” [5,51; 5,44]. In questi casi “gloria” sembra indicare il riconoscimento pubblico del potere e dell’autorità; è vicina al significato di “onore”. Gesù non cerca riconoscimenti umani; i Giudei, invece, sono molto interessati in tal senso [cfr. 12,43].

“Io non cerco la mia gloria, vi è chi la cerca e giudica” [8,50]. Gesù vuole obbedire cercando soprattutto la gloria del Padre che lo ha mandato [cfr. 7,18]. La sua gloria, nel senso di onore e autorità riconosciuti, è sicura anche se non sempre visibile: il Padre gliela garantisce. In 8,54 Egli afferma che non avrebbe valore una sua ricerca della propria gloria.

“Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato” [11,4]. Tutta la vicenda di Lazzaro, anche la malattia e la morte, non è triste ma gloriosa; infatti Dio l’assume come occasione in cui manifesta la sua Potenza e Salvezza mediante Gesù.

“Venne allora una Voce dal Cielo: L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!” [12,28]. Come in risposta al turbamento di Gesù, il Padre dichiara che la sua presenza attiva nel Figlio è già iniziata e deve ora continuare. Sembra un accenno ai segni già presenti e alla resurrezione finale.

“Ora il Figlio dell’Uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato da parte sua e lo glorificherà subito” [13,31-32]. Il testo è denso dal punto di vista del nostro tema: tutta l’esistenza storica di Gesù è Rivelazione della realtà del Padre, quindi lo glorifica. Viceversa, in tutta l’esistenza terrena di Gesù l’azione di Dio glorifica lui come strumento unico: al culmine, lo glorificherà mediante la Resurrezione [cfr. 17,1; 16,4-5].

“In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto …” [15,8]. Anche i discepoli possono e debbono glorificare Dio, ossia manifestare la sua forza di salvezza. Infatti il loro agire da credenti fa conoscere l’azione di Dio stesso. Molto simile è il rapporto con Gesù, il quale in 17,10 dice: “ … io sono glorificato in loro”.

“E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro …” [17,22]. Il riconoscimento Padre-Figlio quasi coincide con la loro vita. Quel riconoscimento e quella vita sono dati anche ai discepoli; credendo, essi sono uniti al Padre e al Figlio e partecipano dell’unica gloria.

5.2. La sconfitta del Principe di questo mondo e l’Innalzamento di Gesù

vv. 28b-36: “Allora dal Cielo venne una voce: ‘[L]’ho glorificato e di nuovo [lo] glorificherò!’. Dunque la folla, che c’era e aveva ascoltato, diceva che era stato un tuono; altri dicevano: ‘Un angelo gli ha parlato’. Gesù rispose e disse: ‘Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora si fa giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. Ed Io, se sarò innalzato da terra, trarrò tutti [gli uomini] a me’. Questo diceva

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indicando di quale morte stava per morire. La folla dunque gli rispose: ‘Noi abbiamo udito dalla Legge che il Cristo rimane per sempre; e come dici tu che è necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo?’. Gesù rispose loro: ‘Ancora per poco tempo la luce è in voi. Camminate mentre avete la luce, affinché non vi sorprenda [la] tenebra; chi cammina nella tenebra non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, affinché diventiate figli della luce’. Queste cose disse Gesù, poi andatosene si nascose da loro”.

La preghiera di Gesù riceve subito una conferma di esaudimento: “Allora dal Cielo venne una voce: [l]’ho glorificato e [lo] glorificherò ancora!” [v.28b]. È come una risposta alle parole pronunciate da Gesù. E’ la prima volta che il quarto Evangelo ci fa sentire la “voce” diretta del Padre [cfr. Gv 1,33], “voce” che negli evangeli Sinottici risuona nella scena teofanica del battesimo e della trasfigurazione. In Giovanni c’è qualcosa di analogo nella testimonianza del Battista, ma la rivelazione è al discorso indiretto. Essa, come è noto nella letteratura biblica, designa un’autentica Rivelazione divina [cfr. Dan 4,28; At 9,3; 10,13; Ap 10,4]. Non è la “bath qôl” [= “figlia della voce”], ossia la eco della voce di Dio nella Scrittura, secondo l’interpretazione rabbinica, che considerava la Scrittura appunto come un’ eco della parola di Dio rivolta ai suoi profeti34. Ma qui si tratta di una vera e propria manifestazione diretta di YHWH. E in realtà il Padre afferma in questa dichiarazione, riguardante sia il tempo passato che il futuro, di accogliere l’obbedienza e il compimento della missione del Figlio attraverso la sua glorificazione35. La glorificazione al futuro fa riferimento agli Eventi della Passione-Morte-Resurrezione di Gesù e all’opera dello Spirito Santo con i quali il Padre sarà glorificato di fronte al mondo [Gv 11,40].

“La voce dal Cielo è il secondo messaggio divino che appare nell’Evangelo. Il primo fu rivolto a Giovanni Battista per fargli conoscere Gesù e annunciargli quale sarebbe stata la sua missione. Ora, al principio dello stadio finale, c’è un altro messaggio divino che annuncia alla moltitudine il proposito del Padre, confermando la missione di Gesù. Quel messaggio descriveva la sua investitura, preparandone l’attività; questo viene dato quando, terminata la sua attività, giunge l’ora di Gesù, nella quale la sua opera arriverà al culmine36”. La “voce” dal Cielo quindi non è solo conferma del Padre sulla missione e sull’opera del Figlio, ma esprime bene quanto i Greci speravano di ottenere nel “vedere” Gesù: che Egli fosse segno e speranza di salvezza non solamente per l’Israele di Dio, ma anche per tutto il resto santo dell’umanità creata e redenta.

34 Cfr. X. LÉON-DOFOUR, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, 589, n.56 e 591, n.58; C. A. EVANS, The Voice from Heaven: a Note on John 12,28, in “Catholical Biblical Quarterly” 43 [1981] 405-408.

35 È da notare che con nessuno dei due tempi del verbo è espresso l’oggetto. Cfr. a tal proposito R. E. BROWN, Giovanni, 608. 619-620.

36 Cfr. R. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, IV, 646-647. L’autore, tra l’altro, documenta che anche nei racconti della conversione dell’apostolo Paolo si ricorre all’uso di esempi analoghi [cfr. At 9,7; 22,9; 24,13-14]. Cfr. anche A. DURAND, Vangelo secondo San Giovanni, 446-447; R. BULTMANN, The Gospel of John, 328-329. L’autore cita testi mandei, ma non c’è bisogno di queste vie traverse, dato che sono sufficienti idee giudaiche; M. J. LAGRANGE, Évangile selon saint Jean, 333.

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Il Cristo crocifisso attrae a sé tutte le genti

La voce teofanica e la risposta del Padre sulla missione di Gesù non sono comprese dalla folla, benché “avesse udito” le parole appena riferite. Per alcuni è una manifestazione divina, forse carica di minacce; per altri è un messaggio dell’Angelo di Dio, destinato a Gesù. Il tuono nell’A.T. designa spesso la voce di Dio ed è espressione di una vaga, misteriosa e potente parola di Dio [cfr. Es 19,16; 1 Sam 12,17-18; Sal 28,3-9]. Il messaggio angelico37 forse si collega alla tradizione lucana, secondo la quale durante l’agonia “gli apparve un angelo dal Cielo, e lo confortò” [Lc 22,43]. Ai tempi di Gesù era pertanto molto diffusa la convinzione degli angeli presenti nella vita degli uomini. Solo Gesù ne ha colto il senso e il messaggio. E in realtà la voce sembra proprio per Gesù. Ma Egli pensa soprattutto alla folla e ai discepoli [cfr. 11,42!]. Ammonisce i presenti a non ritenersi spettatori estranei e disinteressati, poiché quello che sta accadendo li riguarda appieno. Gesù “risponde” anche se nessuno gli ha posto una domanda. Egli vuole ammonire, dicendo che la voce è una rivelazione sul senso degli eventi. Afferma che il momento critico è oramai prossimo e con esso si avrà una grande rivelazione della “gloria”. Del resto anche in Gv 5,25-28 si accenna a una voce che si udrà nel momento del giudizio. Egli allora precisa ai suoi interlocutori che la “voce celeste” non interpella tanto Lui, quanto loro stessi, affinché comprendano che egli è la “persona divina del Verbo incarnato”, inviata da Dio al fine di rivelare il disegno di amore e di salvezza a tutti gli uomini. Quella “voce” si tratta di comprenderla. Ma qual è il suo significato? La “voce” di Dio, estremo e straordinario “segno” che determina il tempo decisivo della salvezza, è una rivelazione sul senso degli eventi finali di Gesù, di cui la morte è la grande rivelazione di “gloria” che decide il destino di tutti.

6.1. Il giudizio del mondo è salvezza e condanna: Gv 12,31

Gesù poi continua asserendo: “Ora si fa giudizio del mondo, ora il principe di questo mondo sarà cacciato fuori” [12,31]. Alcuni38 traducono con “condanna”: infatti questo è il significato del greco krisis in un contesto come il nostro. Senza passaggi intermedi, si afferma che la non-comprensione di chi non crede porta con sé il giudizio. L’idea non è nuova in Giovanni. Già in 3,18 afferma: “Chi non crede è già stato condannato”, ma ora riguarda un ambito più universale. Essa, quindi, non è una sentenza di condanna da parte di Dio. “Il giudizio-condanna si compie nel comportamento stesso che gli uomini assumono di fronte a Gesù; consiste nella loro decisione, nella loro scelta, dinanzi alla sua luce e alla sua

37 L’opinione che un angelo abbia parlato a Gesù sembra derivare da una concezione veterotestamentaria [Gen 21,17; 22,11; 1 Re 13,18] ed apocalittica [Dan 10,9; 14,33; Ap 4,1; 5,2; 6,1]. La fede negli angeli si era indubbiamente molto diffusa in quei tempi.

38 Cfr. R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, 651, n.10; G. SEGALLA, Giovanni, 349.

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verità39”. La presenza e la missione di Gesù hanno come effetto una discriminazione tra gli uomini [cfr. 9,39], determinata dal loro atteggiamento o di fede o di incredulità. Segue poi anche l’altra affermazione tipicamente giovannea, in quanto non ricorre negli evangeli Sinottici: “il principe di questo mondo sarà gettato fuori”. L’espressione in Giovanni indica, in linguaggio quasi mitico, il capo40 dell’opposizione a Dio e a Cristo [14,30; 16,11]. Nel testo si dice che “ora” sarà condannato e “cacciato fuori”: dove? Non fuori dal cielo o dal mondo, ma piuttosto fuori dalla vita dei credenti. Il suo dominio viene eliminato, il suo potere distrutto. Sono i sintomi di una “battaglia celeste” che altrove è più esplicita [Apoc 12,7; 1 Cor 2,6-8; 2 Cor 4,4; Ef 2,2; 6,12; 1 Tess 2,18; 2 Tess 2,8-9; Col 2,15; Eb 2,14]. Così, mentre sembra vinto, Gesù è il vincitore [16,33].

6.2. Cristo innalzato “polo” di attrazione a sé

L’apice della rivelazione di Gesù è il suo essere innalzato da terra. Il verbo “hypsôthênai-innalzare” è un evidente caso di netto “doppio significato”, dal momento che indica sia la morte [= appeso in alto, sul legno della croce] sia la gloriosa resurrezione [= elevato sopra la terra]. Qui l’Evangelista parla in primo luogo della morte [v.33], ma non esclude affatto la gloria; anzi, essa è la prospettiva già indicata prima. Inoltre, il suo innalzamento sul legno della croce implica l’esercizio della regalità di Gesù e la sua vittoria sul principe di questo mondo. Se la Croce sarà il “luogo” della salvezza universale di tutte le genti e la scaturigine della vera vita degli uomini, tutto questo produrrà come effetto l’attrazione di tutti a sé, salvatore e redentore41 [Gv 12,31-32]. Il suo essere innalzato da terra, infatti, è per “attirare tutti” a sé e per sconfiggere il principe e capo di questo mondo. L’aspetto positivo più importante dell’ora di Gesù consiste nella salvezza di credenti, e precisamente in una dimensione universale: di tutti gli uomini che vengono a lui e da lui si lasciano guidare. Il trionfo sul nemico e la conquista degli uomini si condizionano, quindi, reciprocamente. Poiché Gesù toglie il suo potere al “principe di questo mondo”, egli può “trarre tutti a sé”, e poiché introduce con sé questi uomini nella sfera della vita di Dio, egli fa uscire dalla sfera di potere del nemico di Dio e reggitore del mondo, dalla sfera “delle tenebre e dell’ombra di morte”. Ma ancora una volta la folla non

39 I. POTTERIE DE LA, Studi di Cristologia giovannea, Genova 31992, 115.

40 Con l’espressione “il principe di questo mondo” si intende colui con il quale Gesù si confronta e lotta [Gv 14,30]. Ci sono anche altre denominazioni della potenza personale del male: “Satana” che entra in Giuda Iscariota [13,27]; il “Diavolo” [6,7; 8,44; 13,2]; il “Maligno” [1 Gv 2,13-14; 3,12; 5,18]. In Qumran si parla dell’ “angelo delle tenebre” [1 QS 3,20-21] e di Belial che personifica il potere del male [1 QS e M]. Per tutto questo cfr. R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, IV, 649; G. SEGALLA, Giovanni, 349; R. E. BROWN, Giovanni, 608-609; X. LEON-DOFOUR, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, II, 594 n.60.

41 Il tema dell’attrazione universale di Gesù va visto alla luce di Ger 31,10: “Colui il quale ha disperso Israele lo raduna e lo protegge, come un pastore il suo gregge”. Le promesse veterotestamentarie si sono realizzate nel Nuovo Testamento quindi e in specie con l’Evento della Pentecoste [cfr. At 2,5-11.39; 4,31-37; 8,14-17; 10,34-46; 19,1-7] e in Giovanni sulla Croce [11,51-52; 19,23-24; cfr. anche 6,44 e 12,32]. L’attrazione universale a sé avrà come risposta la fede nel Cristo crocifisso, ma Risorto. Cfr. A. WIKENHAUSER, L’evangelo secondo Giovanni, 322-325.

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comprende. Sospetta che Gesù voglia dire di essere il Messia atteso, eppure sente parlare anche di Figlio dell’uomo; e non sa come collegare le due idee. Per il Messia era diffusa la convinzione dei profeti che il suo regno dovesse durare in eterno, senza limiti né fallimenti. Gesù sembra applicare ad esso il titolo di “Figlio dell’uomo” [cfr. Dan 7,13-14] destinato ad una morte drammatica. Ma la folla sa che questa prospettiva non coincide con le comuni attese nazionalistiche circa il Messia; generalmente anche il “Figlio dell’uomo” è pensato come un essere celeste pieno di onore. Di conseguenza la folla non capisce Gesù e lo interroga bruscamente circa l’identità di questo personaggio che dovrebbe “essere elevato” [v.34]. A questa domanda però non si dà risposta.

Con ironia, forse, si lascia che l’incomprensione sia schiava di quell’idea, ossia del “Cristo che rimane in eterno” [cfr. Salmo 88,37 LXX]; idea d’altronde in parte sbagliata e in parte verissima. La folla che non ha capito nulla di tutto questo, salvo che Gesù parla della sua partenza e della fine della sua attività terrena, si scandalizza che Gesù parli della “esaltazione del Figlio dell’uomo”: “Come è possibile?”. Credevano tutti che fosse il Messia, ma questi doveva essere “ricolmo di onore e di potenza e apportare il regno eterno” [cfr. Dan 7,13-14], ed ora si sentono dire che è il “Figlio dell’uomo”. Gesù non indugia sull’obiezione sollevata dalla folla; e neppure l’Evangelista ritiene necessario, per i suoi lettori, controbattere l’obiezione. Essi sanno che il loro Cristo “resta per sempre” e i giudei lo attestano senza volerlo. Tipica ironia giovannea42.

6.3. Cristo vera Luce

Qui Gesù si mette ad esortare. Oramai il tempo è breve [7,33], la luce dura per poco, poi vengono le tenebre che possono “sorprendere” e paralizzare. Ancora per qualche tempo la luce, Gesù in persona, è presente e offre un ultimo e pressante appello alla conversione, un’altra possibilità: credere e diventare figli [v.36]. Più tardi, durante l’ora delle tenebre, prevale lo smarrimento più grave [cfr. 8,12]. Le sue parole, in definitiva, sono un appello a decidersi invece che discutere. E Gesù, dopo aver comunicato queste realtà, non sfugge una folla che, sbagliando, vuole farlo re [6,15] o i Giudei che vogliono ucciderlo [8,59]. Ora, egli se ne va perché il suo tempo di parlare è finito, la sua attività pubblica è conclusa. Il “mondo” adesso non ha più occasioni per vedere e credere: rimane solo il processo e la croce. Da questo momento, infatti, Gesù agisce e parla solamente con i discepoli; inizia con la salita a Gerusalemme la via della passione. Ma per la gloria. L’evangelista Luca d’altronde, è l’unico che riporta il fatto che Gesù, dopo queste cose, non tornò più nel tempio e neppure a Gerusalemme se non due giorni dopo, per morirvi. Egli si ritirava sul Monte degli ulivi a pregare43 [Lc

42 Cfr. R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, IV, 656-657. Non mancano studi che leggono il testo di Gv 12,34 in sinossi con il Targum di Is 9,5. Cfr. B. CHILTON, John XII 34 and Targum Isaiah LII 13, in Novum Testamentum 22 [1980] 176-178; G. BAMPFYLDE, More light on John XII,34, in “Journal for the Study of NT” 17 [1983] 87-89; J. BEUTLER, “Greeks come to see Jesus”, in Biblica 71 [1990] 335-340.

43 Cfr. A. DURAND, Vangelo secondo San Giovanni, 451.

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21,37].

4] Prima lettura [Profezia]:4] Prima lettura [Profezia]: GeremiaGeremia, 31,31-34, 31,31-34

Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande - oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato.

Cfr. Domenica VII del Tempo Ordinario [B].

5] Salmo responsoriale5] Salmo responsoriale4444: 50,3-4.12-13.15-16, SI [“Supplica: 50,3-4.12-13.15-16, SI [“Supplica individuale”]individuale”]

6] Seconda lettura [Apostolo]: 6] Seconda lettura [Apostolo]: Ebrei Ebrei 5,7-95,7-9

Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Il testo rievoca l’episodio del Getsemani, adombrato nella pericope evangelica. Lì Cristo Signore nel dolore e nel pianto grande aveva chiesto al Padre di salvarlo dalla morte. Il Padre avrebbe potuto farlo, trovando anche altri modi dell’umana salvezza. Ma desidera manifestare il suo Amore eccedente per gli uomini. Perciò “esaudisce” il Figlio, però non nella sua richiesta, bensì nella sua volontà filiale di obbedire in tutto al Padre [v. 7]. Egli come Figlio di Dio ebbe dalla sua Passione l’intera esperienza di che cosa significa obbedire in tutto e sempre al Padre [v. 8]. Il Padre allora Lo consacrò [teleiôthéis viene dal vocabolario sacerdotale dell’A. T. in questo preciso significato!] Sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec

44 T. FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001. Cfr. anche Comprendiamo e celebriamo i Salmi. A. I Salmi di Supplica e Fiducia, «Doxologia» 9, pro manuscripto, P.U.U., Roma 31994, 1-307; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. B. I Salmi di Lode, «Doxologia» 10, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1990, 307-482; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. E. I Salmi di Azione di Grazie, «Doxologia» 19, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1996, 858-1020; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; A. WEISER, I Salmi, I-II, Edizione italiana a cura di T. FEDERICI, Paideia, Brescia 1984.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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Dalla Parola di Dio al Dio della Parola Domenica V del Tempo di Quaresima [B]

[vedi Gen 14,18-20, e Sal 109,3], e così solo Lo manifesta e Lo pone quale unica Causa della salvezza eterna per tutti quelli che poi gli obbediranno nella fede [Ebr 5,9].

7] Preghiera e Contemplazione7] Preghiera e Contemplazione

A] Esercizi di felicità45

«Una mia ex-studentessa, una ragazza tranquilla e riservata, venne a trovarmi. Chiacchierammo per un po’, quindi le domandai se stava utilizzando il suo diploma di infermiera. «No», rispose. «Vede, sto morendo. Ho la leucemia e sono in fase terminale». Naturalmente, rimasi senza fiato. Quando mi ripresi dall’emozione, chiesi a Betty che cosa provasse: «Che cosa si prova a ventiquattro anni, quando pensi che hai davanti tutta la vita e all’improvviso ti metti a contare i giorni che ti restano?». Col suo solito atteggiamento riservato e sereno, mi rispose: «Forse non riuscirò a spiegarmi, ma questi sono i giorni più felici della mia vita. Quando pensi di avere tanti anni davanti è facile rimandare le cose. Uno dice a se stesso: «Mi fermerò e annuserò il profumo dei fiori la prossima primavera». Ma quando sai che i giorni della tua vita sono limitati, ti fermi ad annusare il profumo dei fiori e a sentire il calore dei raggi solari proprio oggi. A causa della malattia di cui soffro, ho subìto numerosi prelievi del midollo spinale. È un procedimento doloroso, ma il mio ragazzo mi stava vicino e mi teneva la mano. Credo che fossi più consapevole del conforto della sua mano nella mia che dell’ago inserito nel mio midollo spinale».

Parlammo a lungo della morte e delle prospettive che essa apre. Avevo sempre sentito dire che non si potrebbe vivere in pienezza se non si sapesse che la vita un giorno o l’altro finirà. Betty mi aiutò a capire questa verità. Adesso è morta, la leucemia se l’è presa. Grazie a lei ho capito che è indispensabile godere di tutte le realtà buone di questa vita. Era come se Dio mi stesse dicendo attraverso di lei: «Sei un pellegrino in viaggio, ma prova a goderti il viaggio».

B] La morte, comune eredità degli uomini

Il grande esegeta RIESENFELD ha scritto: «Dobbiamo considerare la morte come un tutto suddiviso in diversi momenti; ciò che accade al termine della vita terrena non è che il compimento finale di quanto abbiamo già subito in parte al momento del Battesimo. Così, quando un giorno dovremo morire, quel fatto non conterrà niente di veramente nuovo per noi.

Per analogia con la vita eterna, la morte, sia quella che è dietro di noi che quella che aspettiamo, riceve la sua impronta da ciò che accade sul Golgota. La morte appare in tutto il suo orrore in quanto giudizio dell’esistenza umana decaduta [cfr. Gv 12,31]. Ma proprio allora la

45 JOHN POWELL, Esercizi di felicità, Effatà, Cantalupa 41997, 134-135.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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morte cessa una volta per tutte di presentarsi come qualcosa di definitivo e senza speranza [cfr. 1 Cor 15,55]».

C] C’era una volta l’uomo46 …

Gli uomini e le donne di oggi vivono in uno stato di sottosviluppo che sono lontani dal supporre. Eppure sono belli. Non c’è dubbio del loro genio: la loro energia, la loro intelligenza, le loro capacità sono magnifiche. Ma quanti esistono nel cuore di loro stessi? Molti si sono costruiti alla periferia di loro stessi, hanno messo su una bella facciata. Hanno sviluppato doni meravigliosi che possiamo contemplare e di cui beneficiamo. Ma nel cuore di loro stessi esistono? Quanti sono minati dalla non-esistenza e sono fragili mentre ostentano una grande sicurezza?

Tutti i mali sociali che deploriamo non sono forse il frutto della disperazione che si è installata nel cuore di quelli che non si sono sentiti riconosciuti ed accolti e che, non sentendosi il diritto di esistere, non hanno potuto prendere il loro posto nella nostra Umanità? Sono stati condannati al sottosviluppo interiore, a una vita da larva. Si capiscono allora quelli che tra loro cercano di dimenticare ... o che cercano di farla finita ... o di far saltare in aria questa Società che non ha dato loro il diritto di esistere.

Ci sono quelli che hanno sufficiente capacità di reazione e abbastanza doni periferici per risollevarsi e ricostruirsi nonostante tutto. Arricchiscono l’Umanità nel settore in cui si impegnano, è vero. Ma non possono costruire che un mondo a loro immagine, un mondo fragile, un mondo in lotta, in cui ogni persona è un nemico potenziale o un concorrente pericoloso. Se si pensa all’educazione ci si dice: ci roviniamo di generazione in generazione, poco o tanto, portando tuttavia in noi il desiderio di fare bene. Quando riusciremo a spezzare questa catena in cui gli schiavi di ieri, i bambini, diventati padroni oggi, incatenano senza saperlo le generazioni che seguono! E tutto questo cercando di far meglio di quanto non si sia fatto con loro.

Ci sono quelli che non sono stati feriti nel cuore di sé. Sono numerosi? Non sembra. Possono essere poli di costruzione per i bambini che nascono e di ricostruzione per gli adulti che vogliono guarire. Ce ne vorrebbero molti. E prima di tutto nei punti chiave della Società.

Quando si vede ciò che diventano quelli che guariscono e la meravigliosa creatività che si libera in loro, viene da dire: Acceleriamo la liberazione profonda del maggior numero di persone, di tutti quelli che hanno voglia di esistere nel cuore di loro stessi e di veder cadere le catene interiori che li bloccano. Una volta portate alla luce le loro ricchezze arricchiranno l’umanità. La loro creatività liberata contribuirà a trovare soluzioni adeguate ai mille problemi su cui la nostra civilizzazione inciampa.

Usciamo insieme, solidariamente, noi tutti che lo vogliamo, da questo stato di sottosviluppo interiore e trasciniamo quelli che si sono addormentati senza sapere che nel più profondo di loro sono sotterrati dei tesori. Si, noi

46 ANDRÈ ROCHAIS, C’era una volta l’uomo …, «Come facilitare la crescita delle persone», PRH-Intenazionale 2001.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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dormiamo su dei tesori, su pozzi di energia, su un vulcano di creatività, su incredibili riserve di amore vero.

C’è tutto, in questo sottosuolo dell’Umanità, in questo sottosuolo interiore degli uomini e delle donne di questo pianeta: c’è tutto per forgiare un mondo più umano o meglio l’anello di oggi che trasmetteremo alla generazione successiva.

E ci si sorprende a sognare... Che diventerebbe la nostra Nazione, che diventerebbe l’Umanità se una formazione adeguata potesse guarire tutti quelli che sono stati feriti nel cuore di loro stessi e che vivono la non-esistenza?

Quante ricchezze sarebbero liberate! Ognuno prenderebbe il suo posto, vi darebbe la sua piena misura senza

pestare i piedi agli altri, senza entrare in concorrenza con nessuno, dato che l’uomo non è un prodotto standardizzato. In piedi, l’uno accanto all’altra, in unità, l’uomo e la donna, gli uomini e le donne organizzerebbero questo mondo ricevuto dalla generazione precedente per trasmetterlo più bello e più umano alla generazione che segue. I popoli prenderebbero il loro volto di Popolo perché è verosimile che ogni Popolo sia unico e abbia il suo posto e il suo ruolo in questa grande carovana umana e nella sinfonia del mondo.

Poco a poco si avanzerebbe verso questa unità dell’Umanità che si cerca attivamente e che si tenta di organizzare faticosamente, come si può e spesso con la forza. Sembra infatti che questa unità si trovi alla convergenza di tre linee: che ognuno sia pienamente ciò che è nel cuore di se stesso; che l’uomo e la donna, in piedi, l’uno vicino all’altra, in unità, vivano

pienamente ciò che sono nel cuore di loro stessi; che ogni popolo scopra il suo essere di popolo e cammini verso la sua

pienezza. Sogno?... Sì... Pazzo?... Da vedere! Se guardiamo la nostra storia contemporanea, è proprio in questa direzione

che sembrano andare tutti quelli che lavorano per un avvenire migliore... Un Nuovo Mondo da promuovere, un Nuovo Mondo che altro non è se non il sogno pazzo che abita gli uomini e le donne e l’Umanità tutta intera: un Mondo veramente UMANO.

D] Il primo movimento della danza di Dio47

Lasciate che vi descriva … i movimenti della danza, lasciate che sia per un momento il vostro maestro di danze! Il primo movimento è il perdono. È un movimento molto difficile, ma tutti gli inizi sono difficili e vi è tanto da perdonare. Dobbiamo perdonare i nostri genitori perché non sono stati capaci di darci un amore senza condizioni, i nostri fratelli e sorelle perché non ci hanno dato il sostegno che sognavamo, i nostri amici per non essere stati con noi quando ce lo aspettavamo. Dobbiamo perdonare la nostra Chiesa ed i responsabili del bene comune per le loro ambizioni e le loro

47 HENRI J.M. NOUWEN, La sola cosa necessaria - Vivere una vita di preghiera, Queriniana, Brescia 2002, 168-169.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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manipolazioni. Al di là di tutto questo, dobbiamo perdonare tutti coloro che torturano, uccidono, stuprano, distruggono: che fanno di questo mondo un luogo così buio. E anche a noi, a noi stessi, dobbiamo chiedere perdono. Più avanziamo con l’età, più vediamo chiaramente che anche noi abbiamo ferito profondamente gli altri e facciamo parte di una società di violenza e di distruzione. È molto difficile perdonare e chiedere perdono; ma se non compiamo questo passo rimaniamo incatenati al nostro passato: incapaci di danzare … Il perdono ci rende capaci di fare il primo passo della danza.

E] L’abbraccio di un Dio che perdona48

Pregare significa smetterla di aspettare da Dio la stessa meschinità che scopri in te stesso. Pregare è camminare nella piena luce di Dio e dire semplicemente, senza tirarti indietro: “Io sono umano e tu sei Dio”. In quel momento avviene la conversione, il ristabilimento di un vero rapporto. Un essere umano non è qualcuno che ogni tanto fa un errore e Dio non è qualcuno che ogni tanto perdona. No! Gli esseri umani sono peccatori e Dio è amore … questa conversione reca con sé la distensione che ti fa respirare di nuovo e ti fa riposare nell’abbraccio di un Dio che perdona.

* Per l’elaborazione della «Riflessione sulla Parola di Dio» di questa Domenica V del Tempo di Quaresima [ciclo B], oltre al

nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:- Lezionario domenicale e festivo. Anno A, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008;- TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001;- TOMMASO FEDERICI, “Resuscitò Cristo!”. Commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina, Quaderni di “Oriente cristiano” 8, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1996;- TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale, Dehoniane, Bologna 2005; - TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo C, Dehoniane, Roma 1988, III, 828;- TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Dehoniane, Napoli 1987, I, 444;- TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo B, Dehoniane, Napoli 1987, II, 587;- TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo A, Dehoniane, Roma 1989, IV, 1232;- TOMMASO FEDERICI, La Trasfigurazione del Signore. Saggio d’esegesi antica e moderna per una «tradizione ermeneutica», P.I.B., Roma 1971, 35;- TOMMASO FEDERICI, Echi d’Oriente, La Trasfigurazione “Ascolto” del “Figlio diletto”, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 7 [1979], 13; - TOMMASO FEDERICI, La «narrazione visiva» della Trasfigurazione, in «L’Osservatore Romano», 06.08.1995, 3;

48 HENRI J.M. NOUWEN, A mani aperte, in ID., La sola cosa necessaria - Vivere una vita di preghiera, Queriniana, Brescia 2002, 177.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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- TOMMASO FEDERICI, La Trasfigurazione gloria dell’uomo, in «L’Osservatore Romano», 03.08.1997, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. A. I Salmi di Supplica e Fiducia, «Doxologia» 9, pro manuscripto, P.U.U., Roma 31994, 1-307;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. B. I Salmi di Lode, «Doxologia» 10, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1990, 307-482;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. E. I Salmi di Azione di Grazie, «Doxologia» 19, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1996, 858-1020;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862;- TOMMASO FEDERICI, Celebriamo Cristo Risorto Battezzato nello Spirito. La grande Festa del Battesimo del Signore - Domenica 1 per l’Anno, in Culmine e Fonte, II/7 [1981], 1-10;- TOMMASO FEDERICI, La Quaresima santa e grande. Cristo Signore Risorto celebrato con lo Spirito Santo con la Quaresima, pro manuscripto, «Formazione permanente del Clero», Roma 1999-2000, 42;- TOMMASO FEDERICI, Quaresima: ascolto di conversione pasquale, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 3 [1976], 4; - TOMMASO FEDERICI, Speciale: Echi d’Oriente, Quaresima per la Pasqua del Signore, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 1 [1979], 13; - TOMMASO FEDERICI, Quaresima: necessità e permanenza, in «L’Osservatore Romano», 09.02.1997, 4-5; - TOMMASO FEDERICI, Ritrovare l’armonia dell’esistenza nel cammino quaresimale, in «L’Osservatore Romano», 01.03.1995, 7.

- AA.VV., Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Editrice Domenicana italiana, Napoli 2007;- ALCESTE CATELLA - RINALDO FABRIS, Guidami nelle tue vie. Anno A, Dehoniane, Bologna 1998;- ANNA MARIA CENCI, La Parola di Dio nel Vangelo di Matteo, Piemme, Casale Monferrato 1995;- ANTONIO FALCONE, Trasfigurazione di Cristo e trasfigurazione dell’uomo icona di Dio. Sintesi dei trattati teologici alla luce della Trasfigurazione, pro manuscripto, UPS, Roma 1997; - ANTONIO FALCONE, Tommaso Luigi Federici [in memoriam], in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 576-583.801-806;- ANTONIO FALCONE, La lettura liturgica della Bibbia: il Lezionario, in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 747-756; - ANTONIO FALCONE, La Bibbia diventa Lezionario, in Atti della Settimana Biblica Diocesana [21-23 febbraio 2002], pro manuscripto, Piedimonte Matese 2002, 1-16; - ANTONIO FALCONE, Profilo biografico e bibliografia di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 17-55; - ANTONIO FALCONE, Il metodo della “Lettura Omega” negli scritti biblici, patristici, liturgici e teologici di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 71-95; - ANTONIO FALCONE, La comunità religiosa oggi, “scuola di preghiera”, in A. STRUS - R. VICENT [a cura di], Parola di Dio e comunità religiosa, ABS-LDC, Torino 2003, 87-97; - ANTONIO FALCONE, The religious community today “a school of prayer”, in M. THEKKEKARA [edited by], The word of God and the religious community, ABS, Bangalore 2006, 117-134; - ANTONIO FALCONE, “Annuncia la Parola ...” [2 Tim 4,2], in R. VICENT - C. PASTORE [a cura di], Passione apostolica. Da mihi animas, ABS-LDC, Torino 2008, 161-172; - ANTONIO FALCONE, Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte I], in Parola e Storia 3 [2008], 67-101; A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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- ANTONIO FALCONE, Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte II], in Parola e Storia 4 [2008], 241-288;- ANTONIO FALCONE, L’incontro di Gesù con i Greci in Gv 12,20-36, pro manuscripto, PUU-Roma 2000, 18-55;- AA-VV., Temi di predicazione, Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2002-2003; 2005-2006; 2006-2007; 2007-2008;- CHRISTOPHE SCHÖNBORN, L’icona di Cristo. Fondamenti teologici, Paoline, Cinisello Balsamo 1988;- DANIEL J. HARRINGTON, Il Vangelo di Matteo, LDC, Torino 2005; - DONATO GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografa contemporanea, Ancora, Milano 2003.- ENZO BIANCHI ET AL., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 88 [2007] 10, 69 pp;- ENZO BIANCHI, Le parole della spiritualità, Rizzoli, Milano 21999;- ERMANNO ETTORRI, La liturgia dell’evangelo. Annuncio, carità, culto in Paolo apostolo, Dehoniane, Roma 1995;- FILIPPO CONCETTI, «Non in solo pane vivit homo» [Mt 4,4; Dt 8,3]. Studio di antropologia teologica liturgica della Messa della Domenica 1 di Quaresima. [Ciclo A], P.I.L., Tesi di licenza moderata dal Prof. TOMMASO FEDERICI, 1981-1982; - FRANCESCO ARMELLINI, Ascoltarti è una festa. Le letture dominicali spiegate alla comunità. Anno A, Messaggero, Padova 2001;- GIORGIO CASTELLINO, Il Libro dei Salmi, LSB, Torino 1965;- GIORGIO ZEVINI - PIER GIORGIO CABRA [edd.], Lectio divina per ogni giorno dell’anno, Queriniana, Brescia 2000;- GIUSEPPE GIOVANNI GAMBA, Vangelo di San Matteo. Una proposta di lettura, Las-Roma 1998; - GIUSEPPE POLLANO, Alla mensa della Parola. Omelie per l’anno A, LDC, Torino 2007; - GIUSEPPE SALA - GIULIANO ZANCHI [postfazione di SILVANO PETROSINO], Un volto da contemplare, Ancora, Milano 2001;- JESUS MANUEL GARCIA, pro manuscripto, UPS-Roma 2004-2008;- JOACHIM JEREMIAS, Il messaggio centrale del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1968; - LORENZO ZANI, I Salmi preghiera per vivere. Breve guida al Salterio, Ancora, Milano 2003;- MANLIO SODI - GIUSEPPE MORANTE, Anno liturgico: Itinerario di fede e di vita, LDC, Torino 1988;- MARC GIRARD, I Salmi specchio della vita dei poveri, Paoline, Cinisello Balsamo 1994; - MARIO CIMOSA, Con te non temo alcun male. Lettura esegetica e spirituale della bibbia, Dehoniane, Roma 1995;- MARIO CIMOSA, Nelle tue mani è la mia vita. Lettura esegetica e spirituale della bibbia, Dehoniane, Roma 1996;- MARIO CIMOSA, Se avessi le ali di una colomba. Lettura esegetica e spirituale della bibbia, Dehoniane, Roma 1997;- PIERRE GRELOT, Il Mistero di Cristo nei Salmi, Dehoniane, Bologna 22000;- SALVATORE GAROFALO, Parole di vita. Commento ai vangeli festivi. Anno A, LEV, Città del Vaticano 1980.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].