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rivista della società italiana di psico - neuro - endocrino - immunologia diretta da Francesco Bottaccioli PNEI NEWS I NUOVI SAPERI DELLA SCIENZA E DELLA SALUTE Rivista bimestrale - n. 1 - anno IX - Gennaio Febbraio 2015 NESSUNO È SANO DA SOLO. Le neuroscienze chiariscono le fonti sociali della salute e della malattia

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rivista della società italiana di psico - neuro - endocrino - immunologia diretta da Francesco Bottaccioli

PNEINEWSI NUOVI SAPERI DELLA SCIENZA E DELLA SALUTE

Rivista bimestrale - n. 1 - anno IX - Gennaio Febbraio 2015

NESSUNO È SANO DA SOLO.Le neuroscienze chiariscono le fonti sociali della salute e della malattia

PNEINEWS. Rivista bimestrale della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia.

Direttore ResponsabileFrancesco Bottaccioli - [email protected]

Hanno collaborato a questo numeroMassimo Agnoletti, Ermanno Bencivenga, Francesco Bottaccioli, Angelo Carrieri,Paola Emilia Cicerone, Alessandro Giuliani,Angelo Levis

Illustrazione di copertinaMargherita Allegri - www.margheallegri.com

Impaginazione e graficaArgento e China - www.argentoechina.it

StampaLa Grafica Faggian - www.lagraficafaggian.it

Registrazione Autorizzazione del Tribunale Bologna n° 8038 del 11/02/2010

Redazione Piazza Mincio, 1 - Roma

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SOMMARIOPNEINEWS - n° 1 Anno 2015 www.sipnei.it

EDITORIALE3 CANCRO E CATTIVA SORTE Francesco Bottaccioli

NEUROSCIENZE SOCIALI4 UNA RETE SOCIALE SANA È ALLA BASE DELLA SALUTE INDIVIDUALE Paola Emilia Cicerone

A colloquio con John T. Cacioppo leader delle neuroscienze sociali Una disciplina giovane nata negli anni ’90 del secolo scorso grazie anche a John Cacioppo, che nel 1992 ha firmato, insieme a Gary Berntson l’articolo sulla rivista American Psychologist dove la definizione compare ufficialmente per la prima volta.

7 LE ESPERIENZE OTTIMALI, LA RESILIENZA E LO STRESS Massimo Agnoletti Gli scarsi risultati della terapia farmacologica, orientata dalla vetusta teoria della schizofrenia come disordine recettoriale della dopamina, spingono a battere nuove strade per la comprensione di un fenomeno patologico multifattoriale, eterogeneo e fluttuante.

PSICOLOGIA Emozioni sociali11 L’INTELLIGENZA EMOTIVA, QUANDO L’EMOZIONE È UN’INFORMAZIONE Angelo Carrieri Si tratta di un concetto che ha colpito molto l’immaginario collettivo grazie alle opere divulgative di Daniel Goleman ma sul quale, tuttavia, l’accordo sul piano scientifico è in divenire rispetto alla sua formulazione e alla sua composizione psicometrica.

DOSSIER Campi elettromagnetici15 MA PER RENZI NON C’È RISCHIO Angelo Levis Cellulari, campi elettromagnetici non ionizzanti e principio di precauzione

FILOSOFIA Critica del riduzionismo20 FILOSOFIA CHIMICA. QUESTIONI DI STILE Ermanno Bencivenga, Alessandro Giuliani Normalmente si pensa alla chimica come a una scienza riduzionista. In realtà, essa è una scienza sistemica in quanto pone alla base della sua ricerca due principi fondamentali della complessità: attenzione al contesto e al livello di spiegazione di un fenomeno, che non necessariamente è quello minimo.

CONOSCEREE CURARE L’ESSERE UMANO NELLA SUA INTEREZZATorino 30-31 ottobre 2015Aula Magna Rettorato

Relatori: Ghigo, Cifone, Bottaccioli,Pagotto, Siniscalco, Bologna,Torta, Lazzari, Maina, Coppedè, Abbate Daga, Migone, Gianotti, Minelli, Benedetti, Cauda, La Bella, Scavino

Programma su www.sipnei.it

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EDITORIALE

articolo pubblicato su Science nel gennaio scorso1, secondo cui la grande maggioranza dei tumori dipenderebbe dal caso e cioè dalle mutazioni genetiche spontanee che, stocasticamente, intervengono durante la normale divisione cellulare, ha suscitato un putiferio mondiale, amplificato dalla grande stampa.Le risposte pertinenti non sono tardate. Una prima raffica è comparsa sulla stessa rivista del 13 febbraio2, dove gruppi di scienziati del MIT, dell’Agenzia Internazionale di Ricerca sul cancro, del Cancer Research Center di Seattle (IARC), della Harvard University e di altre prestigiose istituzioni scientifiche hanno evidenziato le debolezze metodologiche, la sostanziale falsità e la pericolosità delle conclusioni dello studio dei biostatistici della Johns Hopkins University.Di queste critiche non c’è traccia nella stampa italiana, i cui giornalisti, nella gran parte dei casi, dipendono dai comunicati delle Agenzie, non avendo l’abitudine e spesso le competenze per un accesso diretto alle fonti informative.Le critiche sono così riassumibili. Lo studio trascura l’analisi dei tumori a più larga diffusione (seno, prostata, stomaco, cervice uterina, linfomi) mentre enfatizza tumori relativamente rari come l’osteosarcoma. Inoltre la ricerca prende in esame solo gli Stati Uniti e quindi non tiene in conto l’evidenza che l’incidenza del cancro varia, nello spazio, tra le popolazioni umane e, nel tempo, nella stessa popolazione. Per esempio il cancro all’esofago ha un’incidenza che varia di 100 volte se si paragonano popolazioni cinesi della regione dello Jiashan (a 80 Km da Shangai) e gli Afroamericani della Carolina del sud, dove l’incidenza è massima, rispetto ai maschi di Algeria dove è minima. E ancora: in Giappone, l’incidenza del cancro al colon-retto, raro in passato, è quadruplicata negli ultimi due decenni, verosimilmente in relazione a cambiamenti ambientali, alimentari e di stili di vita. E così i tumori al polmone correlati al tabacco, la cui incidenza cala nei maschi e aumenta nelle femmine in relazione ai cambiamenti di genere nel vizio del fumo.

La risposta dei biostatistici della Hopkins a queste ed altre critiche è sostanzialmente una: fino ad ora, nella eziologia del cancro, non si è pesata la componente legata alla replicazione cellulare delle cellule staminali e agli inevitabili errori di replicazione genica. Il che è vero, ma è anche ovvio: aumentando il numero delle divisioni cellulari e quindi anche la vecchiaia dei tessuti, aumenta il rischio di errore, tanto è vero che il rischio di cancro aumenta con l’aumentare dell’età della popolazione. È un po’ come dire che, invecchiando, aumenta il rischio di morire e che, tra le diverse cause di morte, il cancro è certamente in prima fila.Ma, attenzione, il ragionamento proposto non è banalmente innocuo: la conclusione di Tomasetti e Vogelstein infatti è molto pericolosa perché, sulla base della preponderanza del caso nella genesi del cancro, la medicina e le istituzioni pubbliche dovrebbe puntare non tanto sulla prevenzione primaria, quanto sulla diagnosi precoce. Quindi non cambiare i fattori di rischio ambientale (inquinamento) e sociale (alimentazione, stress, sedentarietà), bensì usare lo screening di massa per individuare lesioni cancerose sempre più minuscole. Strategia che è ormai chiaro essere fallace e foriera di più danni che benefici3. La strada maestra è la prevenzione primaria, come argomenta in questo numero Angelo Levis, autorità nel campo della mutagenesi ambientale, a proposito della esposizione ai campi elettromagnetici non ionizzanti prodotti dalle reti Wi-Fi. Il che chiama in causa le istituzioni e la società perché, come ci ricorda, nell’intervista che ci ha concesso, John Cacioppo, leader delle neuroscienze sociali, nessuno è sano da solo.

1. Tomasetti C., Vogelstein B (2015) Variation in cancer risk among tissues can be explained by the number of stem cell division, Science 347: 78-81

2. Sills J (ed) Letters, Science 347: 727-731

3. Ahn HS,  Kim HJ,  Welch HG. (2014). Korea’s thyroid-cancer “epidemic”--screening and overdiagnosis. N Engl J Med 371(19):1765-7; vedi anche: Bilder Adorno N., Juni P. (2014) E se abolissimo il programma di screening mammografico? Pnei News 3-4: 20-22

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Cancro e cattiva sorteFrancesco Bottaccioli – Direzione Master in “Pnei e Scienza della cura integrata”, Università dell’Aquila

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acioppo - il nome tradisce l’origine italiana e in effetti, spiega il ricercatore, “Il mio nonno paterno era italiano e anche mia moglie, che è francese, è di origine italiana“ - ha fatto delle neuroscienze sociali il centro delle sue ricerche, ma anche del suo impegno come divulgatore e sul terreno sociale. Tanto da dare spazio sul suo sito a diverse iniziative per combattere la solitudine, individuata proprio da lui come uno dei rischi peggiori per la salute fisica e mentale.Per questo gli abbiamo chiesto di ripercorrere per noi la storia e l’evoluzione di questa disciplina così attuale: “dietro alla definizione di neuroscienze sociali “, esordisce Cacioppo, “c’è l’idea di individuare i meccanismi neurali, ormonali cellulari e genetici alla base del comportamento sociale. Quando abbiamo cominciato a parlarne, abbiamo dovuto prima di tutto convincere la comunità scientifica che non si trattava di un ossimoro, e individuare le basi teoriche che giustificassero i nostri sforzi. Le tappe successive - dall’individuazione dei neuroni specchio al riconoscimento dell’importanza delle influenze sociali sui processi epigenetici, a molte altre scoperte che evidenziano l’importanza di una rete sociale sana per la nostra salute fisica e mentale - non hanno modificato l’assunto di base. Ma hanno fatto crescere l’apprezzamento per la sua rilevanza e il suo rigore metodologico”.

Parlando di tecnologia, è possibile dire quali tecniche d’indagine abbiano contribuito maggiormente ai progressi delle neuroscienze sociali? “ E’ importante ricordare che la scienza ha risolto il mistero del funzionamento del cuore, dei polmoni, dell’apparato muscolo

scheletrico e così via, mentre le funzioni cerebrali rimangono ancora in gran parte da spiegare. Le tecniche di neuroimaging possono aiutare a farlo: il fatto che si tratti di tecniche non invasive gioca un ruolo molto importante nello sviluppo, nella verifica e nel raffinamento delle teorie sui processi psicologici complessi, difficili da studiare negli animali non umani. Ma è più probabile che si riesca a trarre beneficio dalle conoscenze che ne ricaviamo, se possiamo combinarle con analisi concettuali che permettano di destrutturare costrutti psicologici complessi nei loro component i fondamentali, e con altre tecniche di analisi comportamentali e sperimentali. In sintesi il neuroimaging ci porta a ripensare la parcellizzazione delle funzioni psicologiche e neurali: le tante questioni aperte in questo campo sono al tempo stesso una sfida e un’eccitante opportunità”.

Lei ha esordito studiando economia, e all’inizio della sua carriera si è occupato di psicologia cognitiva: cosa l’ha spinta a dedicarsi a questi temi? “La matematica mi piaceva, ed ero attratto dalla logica quantitativa e convincente dell’economia. Tuttavia l’assunto alla base dell’economia all’inizio degli anni ’70 - che gli esseri umani fossero creature razionali, e che tutto potesse essere ridotto al suo valore monetario - mi pareva in contrasto con quello che ritenevo essere la nostra natura fondamentale. Ancora prima di laurearmi, avevo trovato due professori che mi permettevano di studiare con gli strumenti della psicologia vari aspetti della nostra natura fondamentalmente sociale. Ma gli accademici che lavorano in ambito sociale e biologico tendono a non essere in buoni rapporti tra loro, e quando mi succedeva di combinare le due prospettive

Una rete sociale sana è alla base della salute individualeA colloquio con John T. Cacioppo leader delle neuroscienze sociali Paola Emilia Cicerone - Giornalista scientifica

Una disciplina giovane nata negli anni ’90 del secolo scorso grazie anche a John Cacioppo, che nel 1992 ha firmato, insieme a Gary Berntson l’articolo sulla rivista American Psychologist dove la definizione compare ufficialmente per la prima volta. Oggi è uno dei settori di punta della ricerca, uno sforzo interdisciplinare per valutare le relazioni tra sistemi biologici e costrutti sociali.

INTERVISTA Neuroscienze Sociali

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si creava un aperto antagonismo. Di conseguenza, all’inizio della mia carriera academica mi trovai a lavorare su due linee di ricerca separate, una in psicologia sociale e una in psicobiologia. Che nel corso del tempo sono riuscito a unificare sotto forma di neuroscienze sociali”.

Un settore che lei definisce interdisciplinare, non multidisciplinare. Può spiegare la differenza? “La multidisciplinarietà è una semplice aggregazione di competenze, l’interdisciplinarietà crea sinergie che trasformano i ricercatori, e la disciplina stessa. Un processo rischioso ma potenzialmente molto più in grado di produrre innovazione. E quella delle neuroscienze sociali è per definizione una prospettiva che può dare e ricevere molto da diverse discipline”.

Passando a temi più concreti, cosa possiamo dire degli effetti dello stress sulle funzioni cognitive?“Gli individui che appartengono a specie sociali, dai moscerini della frutta agli umani, non se la cavano bene da soli. Irresistibilmente portati a dare significato a ogni esperienza, siamo drammaticamente colpiti dall’isolamento sociale percepito, quello che in linguaggio corrente definiamo “solitudine”. Che non è solo un fattore di rischio o un’aggravante per una riduzione generalizzata delle prestazioni cognitive. Contribuisce anche ad accelerare il declino cognitivo, rende meno efficienti le funzioni esecutive, genera depressione e negatività, aumenta la sensibilità alle minacce sociali - quello che si definisce un bias di conferma,

che è autoprotettivo ma al tempo stesso paradossalmente controproducente - aumenta la tendenza all’antropomorfismo e a contagi emozionali che possono compromettere la coesione sociale. Tutto questo ha un impatto generalizzato, che può contribuire all’associazione tra solitudine e declino cognitivo e più in generale tra solitudine e malattia”.

Una meta-analisi realizzata da Julianne Holt-Lunstead e pubblicata nel 2012 citata nei suoi studi, paragona gli effetti della solitudine sulla salute a fumo e obesità. Il rischio è davvero così elevato? “Questa meta-analisi indica che l’assenza di valide connessioni sociali rappresenta un fattore di rischio paragonabile al fumo, e circa tre volte più elevato rispetto all’obesità. Dati che le nostre ricerche ridimensionano - in realtà gli effetti sono paragonabili a quelli dell’obesità -ma il valore della meta analisi sta nel fatto che mantenendo immutate le altre variabili, le stime sono più accurate quanto più il campione si allarga”.

Si tratta comunque di dati indicativi. Può spiegare in che modo la solitudine agisce a livello neurobiologico interferendo con le funzioni neuroendocrine? “Il cervello è l’organo fondamentale per creare, mantenere, ripristinare, e rimpiazzare relazioni efficaci con i nostri simili. Studi sull’uomo e su modelli animali mostrano che i meccanismi di stress neuroendocrino che potrebbero essere coinvolti si basano sull’attivazione dell’asse.

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INTERVISTA Neuroscienze Sociali

Quindi la disciplina è ormai accettata dalla comunità scientifica? “Oggi le neuroscienze sociali sono caratterizzate da una collaborazione sempre più stretta tra quelle che sono state a lungo aree di ricerca nettamente separate. C’è chi studia gli insetti sociali per capire la genetica dei comportamenti umani, chi indaga, sempre in modelli animali, le relazioni con l’epigenetica e la neurobiologia, chi si concentra sul brain imaging o sulle relazioni tra stress e comportamenti sociali atipici. La collaborazione tra ricerche su modelli animali, studi clinici e modelli epidemiologici è una realtà sempre più affermata, e uno strumento fondamentale per capire i meccanismi alla base del cervello sociale. Senza dimenticare il ruolo di una gran varietà di metodi e strumenti di ricerca”. Ipotalamo- ipofisi- surrene, un fenomeno che si acuisce se parliamo non tanto di solitudine quanto della rottura di un legame significativo.”

È possibile anche individuare una relazione tra solitudine e infiammazione? “Gli ormoni glucocorticoidi come il cortisolo regolano diverse serie di processi fisiologici, alterando la trascrizione di centinaia di geni. In seguito all’attivazione dell’asse ipotalamo –ipofisi- surrene, queste molecole si diffondono nel sangue raggiungendo ogni tipo di cellula, e grazie alle loro piccole dimensioni possono introdursi nel citoplasma e legarsi ai recettori intracellulari alterandone il normale funzionamento e compromettendone la funzione antiinfiammatoria. Diversi studi suggeriscono che le minacce sociali, e in particolare la solitudine, siano associate con queste forme di resistenza e con un complementare incremento dell’espressione genica pro infiammatoria che può contribuire a produrre le situazioni patologiche che associamo alla solitudine”. Lei sottolinea spesso che a creare problemi è la solitudine percepita, mettendo l’accento sul vissuto personale, e sulla qualità delle relazioni. In questo ambito, ritiene che oggi internet e i social media contribuiscano a farci sentire più -o meno-soli? “Le medesime relazioni, ad esempio un coniuge, possono essere percepite come accudenti e protettive o come causa di isolamento e sfruttamento, a seconda delle esperienze precedenti dell’individuo, della situazione e in generale dell’atteggiamento individuale. Può anche succedere di trovarci in compagnia di individui che accrescono il nostro senso di isolamento o ci fanno sentire minacciati - pensiamo a familiari non affidabili o a nemici - e ci sono situazioni in cui sentiamo il bisogno di stare da soli

pur mantenendo un contatto emotivo con altri, pensiamo a una mamma che si prende una pausa di riposo. L’associazione tra gli indici di solitudine percepita e solitudine reale è mediata dalla qualità percepita della relazione. Per quanto riguarda internet, è uno strumento, e può aumentare o diminuire la nostra solitudine a seconda di come lo usiamo. Così come un’automobile può essere un guscio dal quale osservare le esistenze altrui o un mezzo per raggiungere i nostri cari”.

Ha scritto che le neuroscienze sociali possono contribuire a spiegare i meccanismi alla base delle malattie mentali. Con quali potenziali ricadute? “Le scienze sociali progrediscono facendo interagire concetti biologici e teorie sociali e comportamentali, con molti strumenti diversi per capire meglio come funziona il nostro sistema nervoso. Al momento ci sono vari percorsi di ricerca, che stanno progredendo in modo indipendente. Sarà necessario riuscire a integrarli per lavorare sulla diagnosi e il trattamento dei disturbi mentali. Per esempio, quello che oggi sappiamo della solitudine percepita ci sta aiutando a comprendere meglio i suoi effetti sulla salute mentale “.

NONNO PATERNO E MOGLIE ITALIANI, FONDATORE DELLE NEUROSCIENZE SOCIALI

John Cacioppo è fondatore e direttore del Center for Cognitive and Social Neuroscience dell’ Università di Chicago. Dopo aver studiato economia all’Università del Missouri, si è laureato e specializzato in psicologia presso la Ohio State University. Prima di trasferirsi a Chicago ha insegnato alla Università di Notre Dame in Indiana (77/79), all’Università dello Iowa (79/89), e alla Ohio State University (89/99), oltre ad aver ricoperto incarichi presso gli atenei

di Amsterdam e di Pechino. E’ considerato uno dei fondatori delle neuroscienze sociali ed è autore di oltre 500 articoli scientifici e di venti saggi. E’ associate editor della rivista Social Neuroscience e responsabile della collana di libri ad essa collegata. Nell’aprile del 2014 è stato nominato nel comitato presidenziale per la National Medal of Science.

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