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Storia e restauro della Madonnina del Gran Paradiso portata in vetta nel 1954 per comunicare umiltà e mitezza dalla più alta montagna interamente italiana il Valico Edizioni - www.valico.com a cura di LINA PEANO ed ADRIANO CHABOD NEL LIBRO ANCHE IL RACCONTO DELL’ASINO CHE SCALÒ IL GRAN PARADISO

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Storia e restauro della Madonnina delGran Paradiso portata in vetta nel 1954per comunicare umiltà e mitezza dallapiù alta montagna interamente italiana

il Valico Edizioni - www.valico.com

a cura di LINA PEANO ed ADRIANO CHABOD

NEL LIBRO ANCHE IL RACCONTO

DELL’ASINO CHE SCALÒ IL

GRAN PARADISO

Gli utili di questo libro vengono devoluti dai curatori a favore delle attività della Pro loco di Valsavarenche.

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VALSAVARENCHE

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VALSAVARENCHE& La Madonninadel Gran Paradiso

a cura diLINA PEANO ed ADRIANO CHABOD

Storia e restauro della Madonnina del Gran Paradisoportata in vetta nel 1954 per comunicare umiltà e mitezza

dalla più alta montagna interamente italiana

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1a edizione Giugno 2004ISBN 88-900256-8-9© 2004 il Valico Edizioni Via Carnesecchi, 13 - 50131 FirenzeRedazione della Valle d’Aosta:Loc. Derby, 249 - 11015 La Salle AOTel. 0165806404 - Fax 0165806921www.ilvalicoedizioni.itProprietà letteraria riservata

Copertina ed impaginazione realizzate dallo studio grafico interno della Casa Editrice il Valico Edizioni.

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Hanno collaborato:

Mons. Lorenzo Babando, Giulio Bausano, Luciano Berthod, Luigi Berthod, PrimoBerthod, Elio Blessent, don Giancarlo Boffa, Valeria Borgialli, Finette Bruil, GuidoChabod, Vera Chabod, Susanna Chiri, Adriano Cigliano, Franca Danzero, Emilio David,Geromina Dayné, Battistino De Paoli, Graziano Foglietta, Ottavio Losana, Maria IreneLuboz, Ilvo Martin, Cesare Milani, don Elio Mo, Fonderia F.lli Neirotti di Torino, PaoloPellissier, Albergo Parco Nazionale F.lli Preyet, Massimo Querio, Marco Savin, LuigiScagliotti, Mario Simone. A tutti i collaboratori un grazie di cuore per il loro preziosoaiuto nella raccolta dei documenti, per le notizie fornite durante le interviste e per il mate-riale fotografico messo a disposizione.

Un grazie particolare a Giulio Bausano, amico di don Pierino Balma e suo compagno ditante importanti cordate. Gli affettuosi ricordi di Giulio Bausano su don Balma e alcunitesti facenti parte di una nutrita rassegna stampa, raccolta e gelosamente conservata dallostesso Bausano, hanno consentito di rintracciare il filo conduttore del viaggio che la Ma-donnina del Gran Paradiso ha compiuto partendo dal sogno di don Balma e arrivandofino a Valsavarenche. Le tappe di quel semplice e significativo viaggio sono state poi rico-struite con l’aiuto di molte persone che vi hanno materialmente partecipato.

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alsavarenche è il paese dei naturalisti e de-gli alpinisti. Il primo a capirlo fu un im-portante cacciatore montanaro: il re d’Ita-lia in persona. Vittorio Emanuele II feceinfatti di Valsavarenche il centro di unasua estesissima riserva di caccia che risaleal 1856. Se oggi i naturalisti possono co-modamente passeggiare con i loro te-

leobiettivi macro fino a quote elevatissime lo si deve in primoluogo a questo amante della caccia e della montagna.

Fino al 1868 chi voleva arrivare a Valsavarenche doveva percor-rere, come via principale, un vero e proprio sentiero. Fu infattiproprio in quell’anno che Vittorio Emanuele II ordinò la primaimportante sistemazione della viabilità principale per arrivare aValsavarenche. Nacque a questo scopo un consorzio, che riunivai Comuni di Villeneuve, di Introd e di Valsavarenche, il cui Con-siglio d’Amministrazione era presieduto dal Sindaco di Ville-neuve Jean-Jacques Lanier, il quale la mattina del 13 maggio 1868assegnò ufficialmente l’appalto, la cui base d’asta ammontava a23.600 lire. Venne adottato, per assegnare l’appalto, l’antico me-todo della candela, alla cui accensione le varie ditte che parteci-pavano alla gara potevano iniziare a fare le proprie offerte in ri-basso; quando la candela si era ormai consumata e quindi si spe-gneva nessun’altra offerta poteva esser fatta e l’esecuzione deilavori spettava alla ditta che per ultima, prima dello spegnimen-to della candela, aveva fatto l’offerta più bassa (cfr. La “Feuilled’Aoste” del 6.5.1868).

La strada mulattiera voluta dal re collegava Villeneuve a Val-savarenche in 24 chilometri che gli abitanti di Valsavarenche e glialpinisti percorrevano a piedi in circa cinque ore. L’attuale stradasi snoda, invece, oggi, lungo un tracciato che a quell’epoca eraappena un sentiero e arrivava solo fino all’altezza del villaggio diChevrère: da qui chi lo percorreva doveva poi attraversare il Sa-vara passando direttamente sul letto del torrente, perché non c’eraalcun ponte, e andare così a riprendere la strada mulattiera del re.Molti abitanti di Valsavarenche passavano dal sentiero benché

IL PAESE DEINATURALISTIE DEGLIALPINISTI

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fosse più scomodo, da qui infatti s’impiegava un po’ meno temporispetto alla mulattiera del re e ci si risparmiava un lungo tratto davertigini, su un vero e proprio precipizio, prima di Chevrère. Maper chi doveva trainare un carretto stracarico con la sola forza delleproprie braccia, come faceva ad esempio Lorenzo Chabod, quellastrada mulattiera fatta dal Consorzio era una vera benedizione.Nel 1910 un pilota della Fiat percorse, non senza difficoltà, questastrada in automobile; la notizia, data dal quotidiano La Stampa,venne ripresa il 7 ottobre 1910 con qualche scetticismo dal setti-manale valdostano Le Mont Blanc che scrisse: “se la cosa è veraquesto sarà un nuovo record negli annali dell’automobilismo”.Poco più di un mese dopo il passaggio della prima automobile di-retta a Dégioz, capoluogo di Valsavarenche, accadde però che lepersone non potevano più passare da quella strada a causa diun’improvvisa frana. Tanto era importante per gli abitanti quellavia di comunicazione, che un numeroso gruppo di Valsavareinsinviò al giornale Le Mont Blanc un’accorata lettera che suonavacosì: “Vogliate signor redattore attirare l’attenzione delle Autoritàsul cattivo stato della strada fra Villeneuve e Valsavarenche, un cuitroncone in particolare presenta un pericolo imminente e che èurgente riparare prima che il gelo e il ghiaccio impediscano di far-lo. Due muli sono ruzzolati nel torrente e uno di questi è morto.Gli uomini non osano più avventurarvisi perché il terreno è fra-nato. Bisogna aggrapparsi ai fianchi della montagna. […] Se leAutorità non s’affrettano a provvedervi, il nostro comune diValsavarenche resterà isolato per tutto l’inverno.”

A questa allarmata lettera una nota della direzione del giornalerispondeva: “Vista la gravità della situazione noi speriamo che leAutorità, se non altro per dovere d’umanità, vorranno prendere inseria considerazione la questione.” (Le Mont Blanc dell’11.11.1910).La strada Villeneuve-Valsavarenche è stata più o meno felice-mente e utilmente utilizzata per diversi lustri, ma è stata sempreavvertita la necessità di studiare un tracciato meno esposto aglistrapiombi e più protetto dalle frane. Quest’esigenza fu efficace-mente espressa in un lunghissimo articolo che il 22 luglio del 1931occupò da un capo all’altro la prima pagina di un importante

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settimanale valdostano, La Revue Diocésaine d’Aoste. Il titolo diquest’articolo, di cui proponiamo ampi stralci, era sinteticamenteprofetico: Les stations d’avenir; l’articolista era ben consapevoleche Valsavarenche sarebbe diventata meta di veri e propri pellegri-naggi turistici, infatti essa conta oggi decine di migliaia di visitato-ri ogni anno. Ecco alcuni passi dell’articolo:

“[…] La Valsavarenche ha le sue attrattive e il suo carattere: un’a-ria di una mitezza quasi da paese balneare, una tranquillità che nien-te può turbare, delle passeggiate meravigliosamente soavi, cime aprofusione per gli alpinisti. Essa ha inoltre lo stambecco, perché è ilcentro del Parco Nazionale del Gran Pa-radiso. Entrando nella valle la prima im-pressione è di dolcezza e di spavento insie-me. L’abisso spalancato di Perreya e Che-vrère, terrificante e tutto coperto di verzu-ra. Il suo orrore è come mascherato dalfiotto di vegetazione che lo nasconde.

Continuando nella valle il paesaggiocambia una prima volta. In alto ci sonodelle pareti a picco di più di mille metri,quelle stesse pareti che evocavano al com-pianto curato Bionaz l’Inferno di Dante;in basso ci sono delle piccole praterie, tutte rannicchiate ai piedidelle rocce e dei burroni. C’è uno strano contrasto fra la maestàcupa di queste pareti e la timida mitezza di queste praterie. Molère,Fenille e Bois de Clin: piccole nidiate di case che si nascondono conterrore nei recessi protetti della valle per non essere seppellite dallevalanghe. Rovenaud: la valle è più larga, le praterie sono più vaste,la vista è più rilassante. Ma un po’ più in là, le stesse minacciosepareti, gli stessi canaloni che, in inverno, vomitano neve. Da unlato, a sinistra, i bei pascoli di Maisoncle iniziano a riposare la vistaossessionata dalla maestà immensa delle montagne. Una bella stra-da di montagna, costruita dal re Vittorio Emanuele II, che ogni vil-leggiante dovrebbe percorrere per suo diletto, vi ci conduce. Da unaltro lato la bella grotta calcarea di Borna de Ran, che si può visita-re con appena un’ora di passeggiata, in mezzo a un piccolo bosco.

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Stambecco a Valsavarenche.

(Capra ibex)

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Dégioz, il capoluogo. Un campanile romanico d’una linea perfet-ta, un po’ abbandonato dalla chiesa che sta un tantino più lontano;delle praterie un po’ tristi; la bella cascata del Pessin; la passeggia-ta incantevole fin verso l’accampamento reale di Orvieille; la vistariposante sui villaggi di Tignet e di Créton: ecco le attrattive diquesto villaggio. […] Più in alto la valle non è più selvaggia. Essaha anzi una dolcezza tranquilla che fa uno strano contrasto conl’entrata. Prati, campi, fitti boschi, passeggiate. Tignet, Créton,Bien, Maisonnasse, Eaux-Rousses. Poi la zona abitata durantetutto l’anno finisce. Ma colui che non ha visto che questa parte del-la Valsavarenche, non ha visto niente di essa. Bisogna andare piùlontano, più in alto per godere. Bisogna andare a Pont, a Breuil, alNivolet, bisogna percorrere la strada reale che sale all’alpeggio diDjouan e che di là attraversa orizzontalmente gli alti pascoli diMeyes, di Aouille, di Teureun, con in faccia, dall’altro lato dellavallata, ma molto vicino, tutta l’immensa catena del Gran Para-diso. Questa strada che nessuno segue e che tutti dovrebbero per-correre, tanto essa è dolce e facile, dà delle rare soddisfazioni. […]Tutte queste bellezze naturali, con la ricchezza dei prodotti delsuolo e delle foreste, tutto questo potrebbe essere valorizzato seci fosse una strada aperta. […] E’quello che la popolazione desi-dera. E’ ciò che non arriva mai. Basterebbe edificare un pontesull’abisso di Chevrère e la popolazione costruirebbe per contosuo il resto della strada. Non sarebbe perciò una spesa enorme perdegli organismi potenti come lo Stato o anche la Provincia. Sap-piamo del resto che progetti in questa direzione sono stati già fatti.Ma a quando le realizzazioni?”

Non è casuale che una località tanto cara agli alpinisti come Val-savarenche venga descritta con tale partecipazione su una rivistacattolica. Se infatti è vero che la storia della selvicoltura e delle si-stemazioni idraulico forestali non può fare a meno delle prezio-se esperienze e delle ricerche svolte dai monaci (basti pensare chela prima scuola superiore di Scienze Forestali in Italia è nata inuna comunità di monaci benedettini presso il monastero di Val-lombrosa, vicino a Firenze, fondato da San Giovanni Gualberto,

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I preti alpinisti

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patrono dei forestali, appunto), è altrettanto vero che la storia del-l’alpinismo intercetta, durante il suo percorso, importanti bio-grafie di sacerdoti. “Fra tutte le professioni, fatta eccezione na-turalmente per quella delle Guide, la categoria dei Preti è quel-la che fornisce, in Valle d’Aosta, la più grande quantità di a-scensioni e, attraverso i suoi lavori e i suoi scritti, il più ampiocontributo allo studio delle Alpi.” Quest’ultime parole sono delsacerdote Joseph-Marie Henry, nato a Courmayeur il 10 marzo1870, che per primo celebrò Messa in cima al Monte Bianco, l’11agosto 1893. Sono state tratte da una rubrica intitolata L’Alpi-nisme et le Clergé valdôtain, pubblicata nel 1905 su Le Duchéd’Aoste. Parroco di Valpelline per oltre quarant’anni, l’Abbé Hen-ry era naturalmente innamoratissimo del Gran Paradiso e in quel-lo stesso periodo scriveva: “Il Gran Paradiso è la montagnaclassica dell’alpinismo, di cui rappresenta l’abbecedario. Offreuna sorta di compendio di tutte le emozioni che possono tro-varsi in alta montagna.” Henry voleva diffondere la notizia cheda Valsavarenche parte una via talmente facile per arrivare sui4061 metri del Gran Paradiso che grazie ad essa le emozioni del-l’alta montagna sono veramente a portata di mano anche per glialpinisti non ancora esperti. Così nel 1932 diede alle stampe unracconto in cui egli narrava di un’ascensione molto particolaresul Gran Paradiso, compiuta l’anno prima, il 2 luglio 1931 e cheaveva come protagonisti lui stesso, un suo amico di Valsavaren-che e l’asino Cagliostro. Pubblicato in lingua francese, il simpa-tico racconto divenne subito celebre e tre anni dopo venne anchetradotto in italiano dalle Edizioni Montes di Torino. Nella cer-tezza di fare, tra l’altro, un omaggio a tutti quei sacerdoti chehanno voluto e hanno saputo far conoscere le forti emozioni del-l’alta montagna, viene riportato anche in questo libro il raccontoCagliostro, pubblicato nel 1932 su Le Messager Valdôtain. Il si-gnificato di quell’ascensione è molto chiaramente espresso dallostesso Henry. Pubblichiamo integralmente anche il testo france-se originale perché il lettore possa cogliere fino in fondo le diver-tenti sfumature che facevano parte dello stesso carattere sempli-ce e solare di quel prete alpinista.

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Il y avait longtemps que je caressaisun projet. On sait que le GrandParadis est une montagne assezélevée, puisqu’il atteint les 4061

mètres. On sait aussi que c’est la plushaute montagne entièrement italienne,car les eaux de tous ses versants tombenten Italie et vont verser dans l’Adriatique.On sait encore, en général, que c’est unemontagne pas difficile à gravir. Mais, cequ’on ne sait pas encore assez, c’est quenon seulement le Grand Paradis n’estpas difficile à gravir, mais qu’il est mêmetrès facile.

Ce n’est qu’une succession de collinesde neige entremêlées de terrasses ausside neige. Si on y va un peu tôt dans lasaison, dans la première quinzaine dejuillet, on n’y rencontre aucune crevas-se, on n’y voit pas affleurer un seul mor-ceau de glace, on n’a pas même besoinde tailler une seule marche. Ce n’est queun peu tard dans la saison que quelquescrevasses entr’ouvrent leurs lèvres etque la glace affleure mais encore seule-ment au dernier bout.

Beaucoup d’affiliés au Club Alpin vontsur le Grand Paradis parce qu’ils ontentendu dire que c’est une montagne pasdifficile à gravir ; mais si l’on savait bienque non seulement il n’est pas difficile,mais qu’il est très facile, il irait là-haut des-sus dix fois plus d’alpinistes. Pour prouverqu’il est facile, on a déjà porté là-haut descaravanes de 100, de 150, de 200 person-nes à la fois, mais ce n’est pas encore assez.

Moi je voudrais que tous, au moins unefois dans leur vie, aillent au GrandParadis, pour savoir et pour comprendrequelles grandes satisfactions la montagneréserve à ceux qui l’aiment. Le GrandParadis est une montagne tout-à-faittaillée pour cela. Elle met à la disposition,à la portée de tous, des jambes débilescomme des poumons fatigués, à peu defrais, à peu de peine, toutes les impres-sions profondes, suaves, terribles, gran-dioses que donne la grande montagne.

Era parecchio tempo che io acca-rezzavo un progetto. E’ noto cheil Gran Paradiso è una montagnapiuttosto elevata, poiché rag-

giunge i 4.061 metri. E’ altrettanto notoche è la più alta montagna interamenteitaliana, giacché le acque di tutti i suoiversanti ricadono in Italia e vanno a river-sarsi nell’Adriatico. Si sa inoltre, in gene-rale, che è una montagna non difficile dascalare. Quel che però non è ancora abba-stanza noto è che non solo il GranParadiso non è difficile da scalare, ma èaddirittura molto facile.

Non si tratta che di una successione dicolline di neve inframmezzate da terrazzianch’essi innevati. Se ci si va un po’ pre-sto nella stagione, entro la prima quindi-cina di luglio, non s’incontra alcun cre-paccio, non si vede affiorare nemmeno unpezzo di ghiaccio, non c’è bisogno ditagliare neppure un solo gradino. Solo unpo’ avanti nella stagione alcuni crepaccisocchiudono le loro labbra e il ghiaccioaffiora in superficie, ma anche in questocaso soltanto nell’ultimo tratto.

Molti tesserati del Club Alpino vannosul Gran Paradiso perché hanno sentitodire che è una montagna non difficile dascalare; se si sapesse però bene che nonsolo non è difficile, ma è molto facile,andrebbero su in vetta dieci volte piùalpinisti. Per provare che è facile sono giàstate portate lassù carovane di 100, di 150,di 200 persone alla volta, ma non è anco-ra abbastanza!

Io, da parte mia, vorrei che tutti, almenouna volta nella loro vita, andassero sulGran Paradiso, per conoscere e per com-prendere quali grandi soddisfazioni lamontagna riserva a coloro che la amano.Il Gran Paradiso è proprio una montagnafatta su misura per questo. Essa mette adisposizione, alla portata di tutti, dellegambe deboli come pure dei polmoniaffaticati, con poca spesa, con poca fatica,tutte le emozioni profonde, soavi, terribi-li, grandiose che dona l’alta montagna.

Cagliostro

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Pour pousser tout le monde au GrandParadis, et pour prouver que tout lemonde peut y arriver au sommet, j’ai faitune expérience tout-à-fait convaincanteet concluante. Et c’est cette expérienceque je vais décrire point par point. Siaprès cela, vous n’allez pas au GrandParadis, la faute n’en sera pas à moi ;mais elle sera imputable seulement àvotre paresse et à votre peu d’amour dessensations qu’offre la nature.

On sait que le chanoine Carrel (1800 -1870), l’introducteur et le pionnier de l’al-pinisme en Vallée d’Aoste, avait adopté cemoyen-ci pour prouver que la montagneest facile: il y faisait aller des femmes. Si lesexe faible y va, à plus forte raison peu-vent y aller les hommes. L’argument étaitpéremptoire. Ainsi, pour prouver que leMont Emilius (3.559 m) est facile, il y fitaller en 1830 la demoiselle Argentier. Ileut même le courage de faire aller auCervin (4.482 m) sa nièce Félicité : ellearriva presque sous le sommet, au delà duPic Tyndall (4.245 m) à un replat qu’onappelle encore aujourd’hui de son nomCol Félicité (4.310 m).

Moi, j’ai voulu faire plus que le bon cha-noine, et pousser encore plus loin l’expé-rience. Pour prouver que le Grand Paradisest extrêmement facile, j’y ait fait aller,devinez qui ? Un âne. Oui, un âne en chairet en os. Et il est allé très bien au sommet,et il en est revenu très bien au fond ! Aprèscela, raisonnant comme le chanoineCarrel, je pourrais bien dire : si les ânesvont au Grand Paradis, à plus forte raisonpeuvent y aller les gens. Mais, je ne feraipas cette comparaison : elle est sans doutestrictement logique mais elle est un peublessante. Quoi qu’il en soit, après cetteexpérience, tout le monde doit dire : jeveux aller moi aussi au Grand Paradis. Etje veux y aller tout de suite, la champagneprochaine. Et c’est justement la conclu-sion que je veux que vous tiriez de monexperimentum in anima vili. Je serai bienpayé de la peine que j’ai prise si je puisfaire quelques recrues à l’alpinisme.

Per spingere tutti sul Gran Paradiso e perprovare che tutti possono arrivarvi incima io ho fatto un esperimento assoluta-mente convincente e conclusivo. Ed èquest’esperimento che io sto per descri-vere punto per punto. Se dopo questomio racconto voi non andate sul GranParadiso la colpa non sarà mia, ma essasarà imputabile solo alla vostra pigrizia eal vostro scarso amore per le sensazionisublimi che offre la natura.

E’ noto che il canonico Carrel (1800 -1870), divulgatore e pioniere dell’alpini-smo nella Valle d’Aosta, aveva adottatoquesto mezzo per provare che la monta-gna è facile: vi faceva andare delle donne.

Se il sesso debole ci va, a maggior ragionepossono andarvi gli uomini. L’argomentoera perentorio. Così per provare che ilmonte Emilius (3.559 m) fosse facile vifece andare, nel 1830, la demoiselleArgentier. Egli ebbe anche il coraggio difar salire sul Cervino sua nipote Félicité:ella arrivò quasi sotto la cima, al di là delPic Tyndall (4.245 m), presso un ripianoche si chiama ancora oggi, dal nome di lei,Col Félicité (4.310 m).

Io ho voluto fare più del buon canonicoe spingere ancora oltre l’esperimento. Perprovare che il Gran Paradiso è estrema-mente facile, indovinate chi ci ho fattoandare? un asino! Sì, un asino in carne edossa. Ed esso è andato molto bene in cimaed è ritornato molto bene in fondo! Dopoquesto, ragionando come il canonicoCarrel, io potrei ben dire: se gli asini vannosul Gran Paradiso, a maggior ragione pos-sono andarci le persone. Ma io non faròquesto paragone: esso è senza dubbio rigo-rosamente logico, ma è un po’ offensivo.Comunque sia, dopo quest’esperimento,tutti devono dire: “Vogliamo andarcianche noi sul Gran Paradiso. E vogliamoandarci immediatamente, la prossima sta-gione.” Ed è proprio la conclusione che iovoglio che voi tiriate dal mio experimen-tum in anima vili. Io sarò ben ripagato delfastidio che mi son preso se potrò guada-gnare qualche recluta all’alpinismo.

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