[Pittura - Arte - Cognitivismo] La Percezione Del Colore e Dello Spazio

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LA PERCEZIONE DEL COLORE E DELLO SPAZIO LA PERCEZIONE DEL COLORE E DELLO SPAZIO LUCE-COLORE COME ARCHITETTURA E CODICI VISUALI IL COLORE COME STRUMENTO OPERATIVO CONCLUSIONI: IL MITO DI SISIFO Francesco Bandini Da Etruria Medica 1994 n.2; Supplemento Arte Scienza e Cultura La percezione del colore e dello spazio Ci sembra di poter afferrnare come dato certo, che la lunghezza d'onda della luce riflessa dagli oggetti sull'occhio, abbia per base fisica il colore; non sembra invece che tale certezza possa esservi sul problema relativo al fatto, se il colore sia percepibile fino dal primissimo stadio dello sviluppo di tale percezione. Si è visto come la percezione del colore, nel variare di determinate aree geografiche e culturali, sia legata o comunque associata con sentimenti di piacere o di dolore. Appare inoltre costante, almeno fra i popoli dell'area occidentale, l'ordine delle preferenze disposto nel seguente ordine: blu; rosso; verde, viola, arancione e giallo. Meno piacevoli sono ritenuti invece i colori intermedi rispetto a quelli puri, anche se vi possono essere notevoli differenze individuali. Ad. es. alcune persone sembrano preferire i colori chiari oppure meno saturi, cioè dalla cromìa più tenue. Aggiungiamo ancora che determinati colori possono originare determinate reazioni emotive: il rosso provoca collera o quanto meno eccitazione, al blu ed al verde corrispondono stati di piacevole distensione: il nero ed il grigio provocano tristezza e depressione. Michel Pastoureau in un suo saggio L'uomo e il colore afferma: Il colore non è né una sostanza, né una frazione della luce: è una sensaziolle. La sensazione di un elemento colorato da una luce che lo illumina, ricevuta dall'occhio e comunicata al cervello. L'uomo non né ha il monopolio, ma divide questa proprietà con un gran numero di specie animali. Si può scrivere la storia di una sensazione? si direbbe di no, poiché fino ad oggi nessuno storico ha veramente cercato di farlo Solo qualche filologo e qualche storico della pittura ha tentato, nei propri campi specifici, di ripercorrere l'evoluzione lessicale o artistica dell'uso dei colori nelle società che ci hanno preceduto. Ma nessun ricercatore, che a noi risulti, si è ancora arrischiato a mettere in cantiere una sintesi sulla storia dei rapporti tra l'uomo ed i colori letti attraverso l'uso che nei secoli è stato fatto dei materiali; se poi a questa storia dei rapporti società- materiali e colore si aggiungono alcune riflessioni relative a possibili connessioni fra impiego di materiali e committenza-utenza e ancora sui significati sociali, ideologici e infille economici di determinate scelte si potrà ritenere di avere ipotizzato sia pure per grandi linee, una storia sociale del colore capace di riproporre nuovi codici segnici per un possibile quadro normativo. Qual'è il vostro colore preferito? il blu probabilmente, per lo meno per la media occidentale. Tutte le inchieste condotte dopo la seconda guerra mondiale halulo mostrato, con bella regolarità, che quasi il cinquanta per cento delle

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LA PERCEZIONE DEL COLORE E DELLO SPAZIO

LA PERCEZIONE DEL COLORE E DELLO SPAZIOLUCE-COLORE COME ARCHITETTURA E CODICI VISUALIIL COLORE COME STRUMENTO OPERATIVOCONCLUSIONI: IL MITO DI SISIFO

Francesco Bandini

Da Etruria Medica 1994 n.2; Supplemento Arte Scienza e Cultura

La percezione del colore e dello spazioCi sembra di poter afferrnare come dato certo, che la lunghezza d'onda della luce riflessa

dagli oggetti sull'occhio, abbia per base fisica il colore; non sembra invece che tale certezza possa esservi sul problema relativo al fatto, se il colore sia percepibile fino dal primissimo stadio dello sviluppo di tale percezione. Si è visto come la percezione del colore, nel variare di determinate aree geografiche e culturali, sia legata o comunque associata con sentimenti di piacere o di dolore. Appare inoltre costante, almeno fra i popoli dell'area occidentale, l'ordine delle preferenze disposto nel seguente ordine: blu; rosso; verde, viola, arancione e giallo.

Meno piacevoli sono ritenuti invece i colori intermedi rispetto a quelli puri, anche se vi possono essere notevoli differenze individuali. Ad. es. alcune persone sembrano preferire i colori chiari oppure meno saturi, cioè dalla cromìa più tenue. Aggiungiamo ancora che determinati colori possono originare determinate reazioni emotive: il rosso provoca collera o quanto meno eccitazione, al blu ed al verde corrispondono stati di piacevole distensione: il nero ed il grigio provocano tristezza e depressione.

Michel Pastoureau in un suo saggio L'uomo e il colore afferma: Il colore non è né una sostanza, né una frazione della luce: è una sensaziolle. La sensazione di un elemento colorato da una luce che lo illumina, ricevuta dall'occhio e comunicata al cervello. L'uomo non né ha il monopolio, ma divide questa proprietà con un gran numero di specie animali. Si può scrivere la storia di una sensazione? si direbbe di no, poiché fino ad oggi nessuno storico ha veramente cercato di farlo Solo qualche filologo e qualche storico della pittura ha tentato, nei propri campi specifici, di ripercorrere l'evoluzione lessicale o artistica dell'uso dei colori nelle società che ci hanno preceduto. Ma nessun ricercatore, che a noi risulti, si è ancora arrischiato a mettere in cantiere una sintesi sulla storia dei rapporti tra l'uomo ed i colori letti attraverso l'uso che nei secoli è stato fatto dei materiali; se poi a questa storia dei rapporti società- materiali e colore si aggiungono alcune riflessioni relative a possibili connessioni fra impiego di materiali e committenza-utenza e ancora sui significati sociali, ideologici e infille economici di determinate scelte si potrà ritenere di avere ipotizzato sia pure per grandi linee, una storia sociale del colore capace di riproporre nuovi codici segnici per un possibile quadro normativo.

Qual'è il vostro colore preferito? il blu probabilmente, per lo meno per la media occidentale. Tutte le inchieste condotte dopo la seconda guerra mondiale halulo mostrato, con bella regolarità, che quasi il cinquanta per cento delle persone interrogate sia in Europa occidentale che negli Stati Uniti e in Canada, rispondevano a questa domanda indicando il blu. Seguono il verde (un pò meno del venti per cento), il bianco e il rosso (circa l'otto per cento ciascuno) mentre gli altri colori si piazzano molto più indietro.

La nozione di colore preferito è in se stessa estremamente fluida: si può dire in assoluto, al di fuori di ogni contesto, qual'è il colore che si preferisce? e quale conseguenza ciò può avere sul lavoro del ricercatore in scienze sociali, e particolarmente dello storico? Quando si indica il blu per es. ciò significa che lo si preferisce realmente a tutti gli altri colori e che questa preferenza si estende a tutti i campi, dal vestiario alla decorazione degli interni, agli oggetti di vita quotidiana come al simbolismo politico, ai gusti artistico architettonici e alla dimensione onirica dei colori? Per una determinata sensibilità a volte è meno importante scegliere un blu o rosso o il giallo, che se si è in presenza di un colore opaco (matto) o brillante. Questa differenza fra colore brillante

o opaco è molto importante nella sfera asiatica mentre in quella della civiltà dell'Africa nera è essenziale sapere se si tratta di un colore secco o umido, morbido o duro, sordo o sonoro,

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allegro o triste: in questi casi il colore non è dunque definibile come fenomeno soltanto ottico ma è percepito insieme con altri parametri sensoriali.

Non è però sempre ben chiaro in quale misura queste reazioni emotive siano spontanee, oppure siano inconsciamente o simbolicamente associate quali conseguenze di tradizioni o condizionamenti culturali. Come è noto i colori variano per luminosità e saturazione, cioè secondo il loro grado di amalgama del bianco e della luce colorata e queste caratteristiche influiscono sulla valutazione del colore. Il colore di superficie varierà inevitabilmente di aspetto a secondo di come quel dato materiale venga trattato e quindi a seconda del tipo di superficie che Potrà essere ruvida o liscia, lucida o opaca.

La luce, riflettendo in modo diverso su tali superfici influirà dunque sull'aspetto del colore e quindi sul suo grado di intensità percettiva.

Potrà sembrare inoltre che alcuni colori predominino o riversino l'uno sull'altro la loro intensità cromatica, specialmente se le campiture di colore sono di ridotte dimensioni. Basterà ricordare gli effetti ottenuti nell'ambito della corrente pittorica che va sotto il nome di «divisionismo» laddove pittori come Seurat furono in grado di ottenere effetti sorprendenti mediante l'uso di diversi colori puri giustapponendoli con piccoli punti. Tali sensazioni si ottengono di regola in quanto noi non percepiamo isolatamente il colore di un materiale o della sua superficie ma la nostra percezione è chiaramente influenzata dal colore delle superficie circostanti o dal grado di lurninosità ambientale, sia naturale che artificiale, in modo tale da intensificare o diminuire il contrasto fra di esse.

Nello specifico si ha l'effetto che se l'uno dei due colori è complementare all'altro quest'ultimo sarà posto in risalto dal primo. Per es. una superficie adiacente ad una rossa apparirà potenzialmente tendente al blu-verde. Ancora, se guardiamo a lungo e con intensità una superficie rossa e subito dopo una grigia, quest'ultima apparirà chiazzata di blu-verde e lo stesso effetto lo si avrà con il blu e con il giallo. Questo fenomeno che avviene nei meccanismi retinici del colore, noto come contrasto simultaneo e successivo, è conseguenza di una forte e prolungata stimolazione che produce il risultato di diminuire la sensibilità a quel dato colore complementare e quindi la corrispondente percezione dell'altro colore è aumentata. Cosi nel fascio di onde riflesse da una superficie grigia, esposta simultaneamente in aree successive nella stessa area ad essa adiacente, sono percepite quelle del colore complementare.

Questi esempi, esposti ovviamente in modo estremamente semplificato fanno parte di una serie complessa dì fenomeni. Ve ne SOIIO infine altri chiamati «costanza del colore», cioè fenomeni che si pongono in rapporto alle modificazioni della luce riflessa detti anche «costanza di luminosità».

La diffrazione è il modo di propagarsi della luce intema ad un oggetto come un'architettura o un contesto urbano.

Le onde-luce si propagano come le onde d'acqua a raggi concentrici fino al punto in cui non trovano altri ostacoli dai quali nuovamente si dipartono altri raggi concentrici di minore intensità. Vi sono altri due modi in cui si comporta la luce a seconda della superficie in cui si propaga. Essi sono: la riflessione, cioè la luce che rimbalza su una superficie e la rifrazione, cioè la luce che passa da un mezzo all'altro con una velocità di propagazione diversa e che vienedeviata. L'olografia in tempo reale, infine è il fenomeno che consellte di osservare la mappa delle deformazioni di Ull oggetto, istante dopo istante, proprio attraverso i diversi modi di propagazione, diffrazione e rifrazione della luce stessa.

Sarà dunque evidente, come al variare del trattamento epidermico, della «buccia dei materiali impiegati e diversamente lavorati in superficie, corrisponderà un diverso effetto percettivo sia del colore che della luminosità ambientale e quindi un diverso grado di percezione cromatica che il progettista, architetto, designer o urbanista che sia, può «pilotare» proprio in funzione del risultato che vuole ottenere.

Per noi, dopo l'esperienza di Newton, dopo la scoperta dello spettro e la classificazione spettrale dei colori (dagli infrarossi agli ultra violetti, è evidente che il verde si colloca tra il giallo e il blu ma nel Medio Evo non è mai così come per es. il grigio che per noi è una mescolanza di nero e bianco, nella sensibilità medievale non esiste e basta; è inteso invece come idea di macchie e screziature. Michel Pastoureau (L'uomo e il colore, inserto redazionale allegato al n. 5 della rivista mensile «Storia e Dossier», marzo 1987, Giunti-Barbera, Firenze) cita in proposito una prova divertente di ciò, data dai naturalisti e sedicenti viaggiatori di quel tempo che affermano che un uomo bianco che procrea con una donna nera non può avere che figli a scacchi bianchi e neri o figli rossi! nel!a scala dei colori a partire dal XIII secolo non vi è infatti il grigio ma è il rosso il «terzo colore».

Altri contrasti:chiaro e scuro, rado-denso, freddo-caldo, pulito e sporco.

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Sistemi simbolici: il verde e il blu sono classificati nella gamma dei neri, così il giallo è assimilato al bianco (più raramente al rosso, quest'ultimo usato per esprimere violenza mentre il giallo odio e disprezzo).

Bludenso e brillante non solo per mezzo del costoso indaco, importato da molto lontano ma anche per mezzo del guado ordinario (pianta la cui coltivazione conobbe rapidamente una grande espansione).

Per quanto riguarda il colore delle stoffe per tendaggi e nell'abbigliamento, nel Medio Evo i tintori operavano in una sola gamma di colori: così i tintori in blu non avevano il diritto di tingere in rosso e viceversa. A loro volta in alcune città i tintori in blu si dividevano in tintori di guado o pastello e di indaco come i tintori del rosso si specializzavano alcuni nell'uso della robbia o in quelli che utilizzavano il chermes o la cocciniglia.

Certo, ad essere in causa non è solo il colore, ma esso costituisce una dimensione importante, perchè la sua scelta sottolinea fino a che punto il colore sia qualcosa che si definisce e si pratica differentemente a seconda delle culture.

Fenomeni del genere non dipendono però esclusivamente della funzione della retina ma comportano anche fenomeni che si svolgono nel cervello, ma che certamente non interessano questo nostro studio almeno nell'attuale fase.

Ma non è sui fenomeni scientifici in senso «meccanico» che vorremmo accentrare la nostra riflessione, anche se alcuni cemli ci sembravano utili e opportuni. Abbiamo infatti rilevato che determinati oggetti, percepiti in un campo complesso e la chiarezza e la precisione con cui sono percepiti, appaiano connessi con l'interesse del soggetto a percepirli.

Rimane infine da considerare un tipo di percezione estremamente importante ai fini della nostra ricerca: la percezione della posizione di oggetti e/o forme architettoniche in rapporto a determinate e reciproche relazioni spaziali ed ancora, di quelle rispetto all'osservatore ed all'ambiente in generale, nonché la percezione del movimento.

Sappiamo che la percezione del movimento è determinata dalla diversa collocazione di oggetti, siano essi valori architettonici o scultorei in relazione allo sfondo. Così, se un determinato valore plastico (il vuoto di un arco, l'aggetto di lesene o colonnale o un gruppo scultoreo) viene posto sopra uno sfondo variegato, assumerà certamente una sensazione di minore rilievo che non rispetto ad un fondale uniforme, così come in un campo visivo ristretto lo stesso valore plastico assume un'importanza inversamente proporzionale, cioè maggiore.

Nelle sensazioni sopra accennate la percezione del valore spaziale non è ancora divenuta movimento ma i rapporti fra gli oggetti sembrano assumere valenze dinamiche. Ciò sarà ancora più evidente solo si pensi alle rigorose geometriche architetture, scandite dai puri ritmi delle prospettive brunelleschiane del Quattrocento fiorentino e le si paragoninoagli cenografici effetti delle barocche architetture del Bernini o del Borromini. Potremmo anche notare, che ciò che le persone percepiscono in una qualsiasi data situazione ambientale, può variare in rapporto a loro precedenti esperienze culturali o per quel tanto che esse influiscono su ciò che esse si aspettono di vedere. Dovremo infatti essere tutti pienamente consapevoli che, quando desideriamo percepire qualcosa chiaramente e con precisione, concentriamo su di essa la nostra attenzione. E' dunque nella misura in cui un determinato scenario, si organizza ed articola in forme architettoniche diverse, la percezione e l'attenzione dell'osservatore si acuiscono in diversa maniera.

Passare dal ristretto campo visivo del microscopio, ad un contesto più vasto ma la cui attenzione venga attratta su un particolare di esso o invece non prestare affatto attenzione alcuna, significa che gli stimoli interagenti sulla nostra attenzione si impongono in diversa misura alla nostra coscienza, facendoci concentrare o meno su tale evento, compiendo lo sforzo di percepire con chiarezza, effetti dinamici ed emotivi psicologicamente definibili. Vedere come è stato impiegato o collocato un marmo, una pietra, una vasta superficie di bianca calce, significa dunque vedere «agire» il materiale, vedere, «agire» il colore, materiali e colore, in una concezione del mondo, di questo nostro mondo, che è animato da un'adesione al proprio habitat che significa «ipotizzare forme, determinate da eventi = capacità di produrre l'evoluzione dell'uomo e del suo ambiente». L'arte non si crea - si afferma - per riempire necessità economiche o per esprimere idee o credi religiosi o filosofici, ma per modellare Ull universo autoesistente di valori autonomi, allo scopo di incamare aspetti di realtà e di verità attraverso un individuo.

Se come abbiamo più volte espresso, l'epoca che stiamo vivendo tende a porre l'accento su tutte le forme del pensiero operativo, queste notazioni hanno soltanto il compito di presentare in modo propedeutico alcune problematiche relative ad Ull certo modo di porsi di fronte a tali complessi temi di cui la lettura cromatica dei materiali e del loro uso, che tecnici e studiosi hanno fatto nel tempo, significhi un modo diverso e nuovo, sicuramente più consapevole, di guardare alla storia della città.

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Luce-colore come architettura e codici visualiTutti conosciamo bene la luce che ci viene dal sole o dalle lampade elettriche, eppure essa

è un fenomeno fisico molto complesso, sulla natura del quale si è discusso a lungo.Adesso sappiamo che la luce è fatta di onde, che però a volte si comportano come particelle

chiamate fotoni.Come lo sappiamo? perché esistono certi fenomeni quali la difrazione e l'interferenza che

sono comuni a tutti i tipi di onde, siano esse elettriche, acustiche, ecc. ben noti a chiunque abbia osservato le onde del mare o abbia gettato dei sassi in uno stagno, senza parlare del fenomeno dei «miraggi» nei deserti, anch'essi dovuti a rifrazioni di fascie luminose ed immagini su strati orizzontali di aria calda che agiscono da veri e propri specchi riflettenti le stesse imrnagini a centinaia di chilometri di distanza.

Ebbene, la luce presenta questi fenomeni ed è quindi formata da onde dette appunto onde luminose.

Come si osservano questi fenomeni? Basterà osservare come determinate superfici piane sapientemente disegnate in motivi geometrici, sembrano assumere attraverso i meccanismi complessi della visione, l'effetto di figure solide; si vedranno particolari soluzioni architettoniche ruotare e cambiare dimensione nello spazio come non ricordare gli effetti ottici degli scorci prospettici di piazza S. Pietro a Roma e di piazza S. Marco a Venezia!). Ma l'aspetto ancora più affascinante e difficile da capire rimalle quello della luce strettamente correlata al colore dei vari materiali ed al loro trattamento e impiego. Sono essi dunque, i colori, proprietà della luce oppure sono creazioni del nostro cervello, cui vengono condotti dai nervi ottici, i segnali lun~inosi ricevuti dall'occhio?

Tutto ciò che sappiamo è che qualsiasi colore può essere ottenuto come somma di tre colori fondamentali, e cioè il rosso, blu e verde; combinandoli insieme in proporzioni varie si ottengono tutti i colori dello spettro.

Ogni messaggio viene espresso attraverso un proprio supporto pur potendo essere trasmesso in modo diverso. Gli input trasmessi da una quinta architettonica per via visiva, hamlo un preciso significato ed una dimensione misurabile attraverso un codice visuale legato al mix-color dei materiali impiegati, al loro valore ottico-cromatico, all'effetto architettura-spazio nel contesto ambientale. Conoscere la comunicazione visiva è dunque imparare a leggere l'architettura attraverso i suoi segnali fisici e spaziali. Una interessante analisi sul modo di leggere codici e linguaggi dell`architettura ci viene offerta da Umberto Eco il quale commentando la classificazione degli elementi dell'architettura proposta da Italo Gamberini ammette che tale tipo di classificazione è ben diversa dalle retoriche classificazioni del passato. Il fatto che l'architettura sia facilmente descrivibile sulla base di forme geometriche, non deve portarci alla conclusione che l'architettura, in quanto tale, è tutta riconducibile ad un UlliCO codice di lettura basato sulla geometria. Abbiamo infatti visto il gioco che la luce assume in architettura, quadrati visti da determinate angolazioni divenire rettangoli; oppure divenire parallelepipedi ad effetti tridimensionali come pure maglie reticolari apparire, nel movimento dell'osservatore, ondulazioni dovute anche a fenomeni d`interferenza ottico- luminosa, ecc. «Tutta l'architettura insornma è riconducibile - afferma Giovanni K. Koenig - a codici spaziali nei quali, i 'choremi', quest'ultimi intesi come segni definiti nel loro valore posizionale, privi di significato autonomo, concorrono complessivamente a determinare un significato>.

Sarà dunque opportuno avere presente che, come ci sono frasi confuse, composte di parole che si prestano a più di un significato, così ci sono espressioni architettoniche la cui comunicazione visiva è confusa da una serie di immagini non bene definite in termini spaziali e quindi non correttamente percepibili.

Le modalità di percezione visiva sono ampiamente studiate dalla psicologia, ed il limite di percezione di un'immagine elementare, gli effetti di moiré (dal termine francese che significa «marezzato»), cioè quei fenomeni di interferenza e di deformazione più volte accennati in termini percettivi; le illusioni ottiche derivanti dal mix-color dovuto all'accostamento cromatico di materiali diversi; il movimento apparente e la permanenza di immagini nella retina come nella memoria (credere di vedere), sono dunque aspetti di questo nostro modo di porsi davanti all'analisi della comunicazione visiva. Molti di questi problemi sono stati affrontati da scrittori ed artisti nei secoli passati (abbiamo citato spesso le ben note teorie sul colore di J. W. Goethe e le rivoluzioni plastiche e coloristiche di Kandinsly e Mirò) fino alle esperienze intorno agli anni venti di questo secolo condotte alla Bau Haus con le famosissime lezioni di Paul Klee sulla forma e la figurazione.

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Ma prima ancora di addentrarci nell'analisi cromatica dei materiali vorrei soffermare ancora la nostra attenzione sul codice sintattico architettonico la cui provenienza è pur sempre quella dell'universo naturale.

Ciò significa che, fermarsi ad elencare semplicemente una serie di elementi segnici che a secondo della moda o delle convenienze saranno poi distribuiti in modo sparso lungo l'epidermide muraria, porterà inevitabilmente ad una lettura che ancora non ci consentirà di individuare se queste opere sono davvero il filtro naturale tra natura e pensiero, pure sedimentazioni di immagini la cui lettura ci perviene priva del suo referente.

E' questa possibile scollatura dell'interpretazione che non ci torna, perchè un codice per leggersi (le liste e gli archemi predisposti dal Gamberini e dal Krampten con la rilettura in chiave semiologica di Umberto Eco e di Giovanlli K.Koenig) pur nella nella sua intrinseca metologia è pur sempre una interpretazione e dunque una sorta di nuovo inganno.

Daniele Crivelli sullo stesso tema pone allora una domanda: se il codice sintattico diventasse struttura stessa della realtà e non un suo ristretto doppio? Bisogna vedere cosa si intende per struttura della realtà, ovviamente. E' certo che se alla forma ricoincide la forma, potrei correre il rischio di non avere più alcun dubbio, di essere talmente certo della mia certezza quasi da esserne pietrificato. Ma, prosegue allora il Crivelli, «una casa è fatta di pietre tutte uguali murate, ma ogni pietra giunge da un posto diverso ed è costretta ad essere aggiustata per ricamare decorosamente quella tessitura». Si ha allora la certezza dell'indubitabilità del segno-pietra murata nel muro, come qualcosa che si è reso immobile nella nostra mente in un disegno più complesso come quello dell'intera superficie murariia ma che ci lascia tutta la nostra libertà di interpretazione e la nostra fantasia e non ci pietrifica, come invece avviene con l'elemento di funzione (secondo la lettura semiologica di U. Eco, il muro è un muro tout-court e basta), oltre il quale non posso scendere con il mio microscopio. Questi segni naturali elaborati dal pensiero dell'uomo, le pietre, le travature di legno, le decorazioni, sono segni che ritroviamo nel codice sintattico dell'architettura ma che provengono da una struttura tutt'altro che assente, anzi sempre in continua mutazione nella misura in cui muta in continuazione fruitore e referente.

Se abbiamo presente che una mutazione costante non ci permette di dare interpretazioni univoche, solo allora potremo elaborare dalle strutture naturali un ordine di segni.

Che cosa cambia in questo modo di leggere la forma? Non si avrà più un mero elenco di elementi architettonici ma cercando di comprendere l'impostazione progettuale che l'ha determinata e quindi quel dato punto di vista, si cercherà di risalire al momento creativo dell'architetto e forse al motivo intrinseco della committenza.

I lati di una certa costruzione, esempio la struttura geometrica albertiana di S. Maria Novella interpreta le travi ed i pilastri del tempio greco così come i pilastri in cemento trattati a legno da Giovanni Michelucci che sembrano reggere la Volta di rame della Chiesa di S. Giovanni Battista, è vero che non rispondono tanto a principi statici e strutturali, quanto sono in grado di evocare le sensazioni derivanti dal concetto di sosta e di riposo (la tenda e l'oasi del deserto). Si potrà obiettare che in questo caso la forma, rispondendo più ad una installazione militare che ad un accampamento beduino può non essere la soluzioe progettuale più corretta ma è comunque il pensiero e non la struttura di per sé che caratterizza l'opera. Anzi è lo stesso materiale che diviene colore per meglio rispondere a quel determinato concetto. Il pUlltO più interessante diviene così quello decorativo. Una moltitudine di forme uscite dalla materia grazie alla natura che nel corso di milioni di anni ha permesso ciò, consentono così all'uomo di rifarsi espressamente a determinati ritmi temporali in un modo di raccontare e quindi di essere riletto, che potremmo dire ciclico.

Una struttura ritrovata, visto che colui che operò, nella riscoperta del suo pensiero non è più presente ma la sua idea, volontà, potenza economica e politica sono ancora fra noi e ci parlano.

Il colore come strumento operativoIl colore è una qualità caratteristica che tutti noi riconosciamo e che ci consente di

identificare un determinato aspetto degli oggetti sia che si tratti di un edificio, di una scultura o di un semplice oggetto d'uso. Non c'è dubbio però che questi oggetti- soggetti della nostra attenzione possono differire notevolmente l'uno dall'altro per via del colore. Si è detto come la percezione del colore è spesso associata con sentimenti di piacere o di dispiacere e comunque con determinati stati d'animo influenzabili e condizionabili a secondo delle determinate aree culturali in cui ci si trovi ad operare.

Uno degli ostacoli, nella scelta dei colori e delle loro sfumature intermedie è costituito dal ristretto numero dei termini comunemente usati per designare i colori.

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Nell'ordine delle varie migliaia di tinte che pure si possono distinguere, il numero dei terrnini d'uso comune è ristretto a otto: rosso, rosa, arancione, giallo, verde, blu, viola e marrone. Ad altri colori si dà una denominazione descrittiva, come azzurro/cielo,verde/mare, ecc. ma di rado questi corrispondono esattamente a una specifica lunghezza d'onda luminosa.

I manifattori tessili e i designatori di moda inventano nomi come viola/pervinca, rosso/shoking, grigio/talpa per particolari sfumature di colore ed anche gli architetti o designer dell'arredo urbano etichettano colori come rosso/fortezza, grigio/piombaggine, ecc. per associare uno pseudo materiale ad un pre-determinato risultato cromatico. In che modo è allora possibile predisporre uno schema metodologico che consenta ad Wl approccio sistematico ad una corretta lettura degli aspetti cromatici dei loro accostamenti e trattamenti delle diverse superfici, in una parola, del loro uso espresso in codici visuali?

Vi sono anzitutto curiose peculiarità della visione cromatica che caratterizzano interi periodi storici o determinati manufatti, spesso conseguenza diretta sia dei condizionamenti culturali precedentemente detti, sia di precise indicazioni o motivazioni pratiche. Ad esempio è stato rilevato come in occasione di opere di bohifica o di risanamento di aree soggette a epidemie malariche (Agro- pontino, Maremma, ecc.) le case coloniche venivano colorate in azzurro indaco o blu intenso o rosso/vino perchè era stato dimostrato che tale colore produceva un effetto repellente agli insetti che infestavallo la zona. Da questa semplice costatazione ne è derivata la scelta apparentemente banale e se vogliamo violenta per il suo impatto ambientale, di colorare di un azzurro elettrico i cassonetti per la raccolta dei rifiuti urbani che l'Azienda fiorentina ha desseminato nel centro storico.

Che ci sia un legame fra sensazioni psicologiche, visive e perfino uditive e tattili è in effetti dimostrato da numerosi altri esperimenti in cui è sembrato che la stimolazione di uno di questi potesse assumere preminenza o abbassare la soglia assoluta degli altri.

Progettare dunque con il colore o usare in ogni caso quest'ultimo come un vero e proprio strumento operativo è un altro degli aspetti di questo nostro studio che abbiamo inteso affrontare. Un'ultima considerazione sulla quale vogliamo soffermarci è relativa alla fluttazione dell'attenzione.

E' noto che se determinati soggetti, e ovviamente il tema da noi considerato è per eccellenza la cortina muraria, fossero percepiti più chiaramente nel senso di concentrarvi sopra una maggiore attenzione, questi verrebbero ricordati sia per un periodo di tempo più lungo, sia maggiormente gustati nella loro composizione architettonica. Quante volte davanti a complessi monumentali pur eccezionali abbiamo creduto in uno slancio emotivo di poterne conservare perennemente il ricordo (legato magari ad un particolare viaggio all'estero) e, se non pochi mesi, certamente nel volgere di un anno o due conservarne un vago ricordo confondendone perfino fra loro i nomi delle località, nelle quali si è veduto quel dato monumento!

Apparirà chiaro che noi percepiamo molti aspetti di un campo visivo ma senza dirigere su di essi la nostra attenzione. Guardiamo senza vedere. Esiste invece una teoria che noi qui vogliamo ricordare, proprio per la sua capacità di essere tradotta in codici di lettura architettonica, per la quale vi è in ogni opera d'arte o di uno spazio urbano, un considerevole numero di «livelli di attenzione>~ che variano dal più alto, in cui l'attenzione è focalizzata e strettamente concentrata su un particolare settore del campo, al più basso, trattato come semplice consapevolezza di operare su una parte marginale del campo. Nell'esame che sarà dunque effettuato su quel dato campo visivo e del suo fondale architettonico le componenti della forma, della dimensione, del colore, ecc. dovranno essere allora lette anche nel loro aspetto distributivo per «sapere vedere>~ in quale modo è stato risolto quel determinato livello sul quale il progettista voleva fosse attirata la maggiore attenzione.

Nella sua Psicologia della percezione, M. D. Vernon afferma quanto poco in realtà si conosca riguardo ai vari gradi di consapevolezza. E' chiaro che gli eventi talvolta si producono in primo luogo, fuori del centro focale dell'attenzione poichè noi possiamo essere scarsamente consapevoli di una certa presenza a noi familiare, in cui vi sia poco o nessun movimento o cambiamento. Ci si accorge, o meglio, si prende consapevolezza dell'esistenza di una stupenda vetrata, solo nel momento in cui il gesto vandalico di una sassata la riduce in pezzi !

Altri esempi di fluttuazione sono dati da fenomeni di <~figura» e «fondo~> che si alternano dall'introduzione di dettagli come finestre, porte ed altri oggetti tali da rendere un cortile quadrangolare simile ad un corridoio in prospettiva. Concluderemo allora dicendo che la coscienza, la percezione e il pensiero possono restare normali solo in un ambiente costantemente variabile.

A questo punto ritengo opportuno fermarmi, altrimenti rischierei di andare ben oltre i termini prefissati per questa mia comunicazione che per la sua lettura completa si rinvia agli

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ATTI che cura della segreteria scientifica del Convegno saranno pubblicati in modo esauriente e definito.

Mi sia però consentita una divagazione di sapore mitologico quale conclusione di questo mio excursus nel mondo dell'arte, dal titolo: IL MITO DI SISIFO

IL MITO DI SISIFO.Gli Dei avevano condannato Sisifo a far rotolare senza posa un macigno sino alla cima di

una montagna, dalla quale la pietra ricadeva per azione del suo stesso peso.Essi avevano pensato, con una certa ragione, che non esiste punizione più terribile del

lavoro inutile e senza speranza.Se si crede ad Omero,Sisifo era il più saggio e il più prudente dei mortali; ma secondo

un'altra tradizione tuttavia, egli era incline al mestiere di brigante. Io non vedo in questo una contraddizione e diverse sono infatti le opinioni riguardanti le cause per le quali divenne l'inutile lavoratore degli inferi.

Omero ci racconta pure, e Camus nel suo "libro di idee" su Sisifo; a metà strada tra filosofia e letteratura ce ne offre una testimonianza vivissima della crisi spirituale di un'età che è anche la nostra, Omero dicevo, ci racconta che Sisifo aveva incatenato la morte. Plutone, non potendo sopportare lo spettacolo del suo impero deserto e silenzioso, mandò il dio della guerra, che liberò la Morte dalle mani del suo vincitore.

Si dice ancora che Sisifo, vicino a moríre, volle imprudentemellte; avere una prova d'amore di sua moglie e le ordinò di gettare il suo corpo senza sepoltura nel mezzo della piazza pubblica.

Sisifo si ritrovò agli inferi, e là, irritato per una obbedienza così contraria all'amore umano, ottene da Plutone il permesso di ritornare sulla terra per castigare la moglie. Ma quando ebbe visto di nuovo l'aspetto del mondo, ed ebbe gustato l'acqua e il sole, il mare e l'amore non volle più ritornare nell'ombra infernale. I richiami, le collere, gli avvertimenti non valsero a nulla. Molti anni ancora visse davanti alla curva del golfo, di fronte al mare scintillante ed ai sorrisi della terra.

Fu necessaria una sentenza degli dei, Mercurio venne a ghermire l'audace per il bavero e, togliendolo dalle sue gioie, lo ricondusse con la forza agli inferi, dove il macigno era già pronto. Si è già capito che Sisifo è l'artista, cioè l'eroe assurdo del nostro tempo.

L'artista con le sue passioni ed il suo tormento, l'odio contro la morte, la passione per la vita, per la bellezza e l'amore, I'artista che si adopra con tutto il suo essere e la sua capacità affinchè questo mona'o non fnisca. E' il suo prezzo, tormento e tributo, l'opera che egli paga per le passioni della terra.

L'opera d'arte è come il mito, la natura vivificata dall'immaginazione umana ed è al tempo stesso la confessione dell'artista, in uno stile personale di colui che prendendo congedo da una vita dura e tediosa ne illumina potentemellte tutto il percorso fatto a ritroso travasando nella sua opera, amore e dolore, miseria e grandezza.

Di questa miscela, inebriante di cinismo e di passioni, di abbandono voluttuoso e l'imperiosa esigenza di chiarezza, si nutrirono avidamente intere generazioni d'artisti. Oggi, crollati tanti miti, in un rinnovato inverno, il messaggio di Sisifo scuote come una folata gelida ma vivificante.Siamo di nuovo allo sforzo di un corpo teso nel sollevare l'enorme pietra, la gota appiccicata contro la pietra, il soccorso portato da una spalla che riceve il peso della massa coperta di creta, le mani contratte sullo scalpello che plasma la materia, il viso impiastricciato di colore, la sicurezza tutta umana di due mani piene di terra tese a fissare sulla tela, quasi intesa come termine estremo di questo lungo sforzo la cui misura è data dallo spazio bianco e dal tempo senza profondità; la meta è raggiunta.

L'artista guarda allora la sua opera, contempla per alcuni istanti quel mondo superiore, quella raggiunta, per pochi istanti sommità, dalla quale poi ritornerà a precipitare ancora una volta perchè, come disse LE CORBUSIER, a proposito delle sue opere d'architettura, "l'arte è ricerca paziente".

Un umile, consapevole ridiscendere al piano.E' durante questo ritorno che Sisifo Artista mi interessa.Quest'ora è quella della coscienza. Sisifo, artista degli dei, impotente e ribelle, conosce tutta

l'estensione della sua condizione in rapporto alla grandezza del disegno divino che è chiamato a realizzare.

Ed è a questa grandezza che pensa durante la discesa.La ricerca paziente, il dominio della materia, il tempo nemico dell'uomo che brucia le

migliori ore della sua, come della nostra vita, consuma in quegli stessi istanti di gioia la sua vittoria.

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Vittoria: questa parola non è esagerata in arte. Quando le immagini della terra sono troppo attaccate al ricordo di ciò che si è creato; quando il richiamo della felicità si fà troppo incalzante, capita che nasca nel cuore dell'uomo la tristezza.

E' la notte del Gethsemani. E' la verità schiacciante che fà soccombere l'artista per il solo fatto che ha conosciuto un suo limite. Così la saggezza antica si ricollega all'artista moderno.

"Io reputo che tutto sia bello" dice Edipo, e le sue parole sono sacre, risuonano nell'universo dell'uomo e insegnano che tutto non è stato esaurito.

Lasciamo ancora una volta Sisifo ai piedi della montagna: si ritrova sempre una nuova fatica d'arte da compiere, un'esperienza da vivere!

Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore che nega gli dei e solleva i macigni.Anch'egli giudica che sia bene. Anche per l'artista questo universo non è nè sterile nè futile.

Ogni nuovo colpo di scalpello, un segno di grafite o di sanguiglla, ogni bagliore di colore sulla bianca tela, formano da soli un mondo.

Quella ricerca nell'arte e per l'arte; basta a recuperare il cuore dell'artista. Bisogna immaginare un uomo felice. Grazie.