Pietro Cavara FRANZ, O DELL’ANIMA RITROVATA · narratore è, dunque, ad un tempo, artefice e...

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Pietro Cavara FRANZ, O DELL’ANIMA RITROVATA

Transcript of Pietro Cavara FRANZ, O DELL’ANIMA RITROVATA · narratore è, dunque, ad un tempo, artefice e...

Pietro Cavara

FRANZ,O DELL’ANIMA

RITROVATA

Copyright © MMIXARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2992–3

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con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre 2009

Indice

7 Prefazione di Luca Petricone 11 Premessa 13 Sbandamenti 15 Il Centro 30 Un terribile plagio 52 Un proprietario di libreria 63 Franz, o dell’anima ritrovata 65 Un Cavaliere d’altri tempi 75 Io, suo fratello: Alfred Weber 83 Invito al Castello 88 Vampiri 100 La nostra battaglia 104 Aspettando. Un uomo là dentro 116 Quel soggetto, un tripudio 123 Manie 133 Immaginare... da una posizione molto particolare 141 Aspettando... ancora 147 Il professore di composizione

Indice 6

Narrazione, sovrarealtà, partecipazione del circum-stare.Prefazione

diLuca Petricone*

Effetto frastornante e fluidità narrativa, delirio irriducibile e coin-volgimento nel guado dell’esistente, grottesco e drammatico. Così, presumibilmente, attraverso l’ambivalenza di simili coppie concettuali si possono riassumere i caratteri peculiari dello stile dei presenti rac-conti. Cavara non rinunzia, neanche stavolta, a creare un’atmosfera onirica, ma con l’aggiunta -assai significante nel quadro dello svilup-po della sua prospettiva letteraria- di una maggiore penetrazione nel vissuto, ora concepito come scenario da esperire in prima persona. Il narratore è, dunque, ad un tempo, artefice e protagonista di trame esi-stenziali non più recisamente frammentarie (come nelle precedenti raccolte1), ma sorrette da una consistente impalcatura narrativa, la quale, quasi a dispetto del bersaglio della sua caustica e serrata critica -il metodo-, si sostanzia in un percorso emotivamente e argomentati-vamente sensato. Donde una pluralità di quadri che si inscrivono in una “cornice esistenziale” che assimila medesime tensioni, inquietudi-ni e percezioni. Tutto questo non si traduce in una “svolta realistica” dell’autore. Qui la realtà -come anche altrove s’è avuto modo di osservare2- è real-tà “intorno al soggetto”: è realtà “di circostanza” -volendo far uso di un’ardita locuzione-, ossia realtà del circum-stare, rispetto alla quale il soggetto si rapporta dialetticamente; non dunque deriva romantica di un’inusitata ars cogitandi, né proiezione deliberata e solipsistica del proprio mondo, ma neanche tentativo di approdare ad una qualche versione di impressionismo o verismo descrittivi; bensì terreno privi-legiato di ricerca del sensus vitae attraverso l’immaginazione evoca-trice e situante. Il tutto viene debitamente bilanciato da una narrazio-

1 Cfr.,P.Cavara, Strani ottoni, Aracne, Roma, 2006 e Id., Trasfigurazioni, Aracne, Roma, 2007; tuttavia occorre rilevare che una significativa anticipazione di questa maturazione stilistica si può rinvenire nella raccolta P.Cavara, E io scrivo, Aracne, Roma, 2007.2 Cfr., Postfazione a E io scrivo, cit., pp.151-153.

Prefazione

ne, anche qui, sovrareale degli eventi (“Caienni non si scompone, un foulard allacciato, l’ampio cappello posato da un lato, parla di chi-rurgia, di operatività della ricerca… no, niente chirurgia, o forse un tipo molto particolare di chirurgia!”), ove questi sono addirittura il veicolo di contenuti che trascendono la dimensione del quotidiano -per proiettare il lettore nell’universo della sospensione del giudi-zio: “La necessità di essere operativi. Homo faber, che altro cerchi? Ascolta la fredda vocetta adulta di un saggio parlatore”. Ma è proprio il tema della “ricerca” e del “metodo”, nel mondo ac-cademico e nell’esistenza in lato sensu, ad inaugurare il percorso del-l’autore. Allora si ravvisa, sotto traccia, la frequente denuncia dello svuotamento di un termine che non designa più, come in origine, il “camminare-attraverso” in vista di un orizzonte non definibile a prio-ri (metà-hodos), ma il volto più sclerotizzato della ricerca umana e scientifica: il metodo confuso con la metodica, dunque; questa, quale insieme di asfittiche norme procedurali altamente vincolanti, soffoca l’altro, quale snodo fecondo per imprese umane di inaudita portata. Altro elemento di importanza cardinale negli sviluppi tematici del-l’opera (e in linea di continuità con la problematica del metodo) è quello dell’autenticità-e-dell’onestà-nell’imediatezza-esistenziali tema che, se viene riproposto in varie forme anche in altri racconti della rac-colta, è proprio in Un proprietario di libreria che trova la sua singo-lare esemplificazione: nella selva angusta metropolitana3 una libreria assurge a santuario della salvezza e della speranza, della giustizia e della redenzione. Dinanzi al problema del plagio letterario, e alle con-seguenze che esso comporta sulla vita di un scrittore defraudato, è proprio la scrittura -e soltanto la scrittura- ad esser eletta a strumento con cui perseguire il tanto agognato riscatto. Ma una simile aspettati-va, una simile tensione, diviene invero l’elemento pretestuoso per di-pingere, in maniera stavolta tutt’altro che rapsodica4 (e quindi all’in-3 Invero questo tema lo si ritrova anche in Trasfigurazioni, op.cit., passim, ma è nel-la presente raccolta che trova il suo compimento.4 Occorre anche in questo caso rilevare una rimarchevole differenza stilistica rispetto a Strani ottoni e a Trasfigurazioni: ivi una qualche “unità compositiva” di vari fram-menti era rintracciabile nella ritmica e dalla musicalità del narrare; ora una certa “se-mantica del contrasto” -se è consentito adoperare una simile espressione- anima ogni passaggio narrativo: contrasto, come s’è visto, tra un’idea precostituita di “metodo formalizzante”, ad esempio, e il suo opposto; donde una dialettica, che investe idee e

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Prefazione

terno di trame bellamente coinvolgenti), personaggi, situazioni, emo-zioni che esprimono i vari volti dell’umanità ingessata nei conformi-smi e nella voluttà dell’apparire piccolo borghese, perseguiti a qualsia-si costo. Nell’iter narrativo, dunque, non v’è “nodo” e “suo scioglimento”, perché Cavara rifugge, opportunamente, da ogni linearità atta a con-fortare un risultato prevedibile, mediocre, rassicurante e catartico; egli privilegia le opacità e le penombre dell’esistere, in maniera sempre ironica ed efficacemente plastica. Anche qui si assiste alla creazione di scenari emotivi originali, che aprono la mente e il cuore all’idea dell’esistenza concepita nella sua interezza, di contro ad ogni attitudine logica e “metodologica” parcel-lizzante.

*Studioso di filosofia e critico letterario. Autore di saggi di estetica e sul naturalismo americano, collabora con la cattedra di Estetica del-l’Università di Roma Tre.

personaggi, che conduce ad un epilogo dai contorni sfumati (la sospensione del giu-dizio si potrebbe dire, ma forse è il caso di adoperare “giudizio che sospende”-pro-prio ad indicare quell’attitudine ad estraniarsi immediatamente-sopra-la-realtà-vissu-ta).

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Premessa

Nostalgie: un mondo alla rovescia...… quello in cui si spera,

capitanato da folli, da geni nascosti, un’idea nuova di democrazia,

una corsa contro questo infausto tempo.Troppo lontano, ardito, difficile.

Comunque, leggendo… nessun rimorso.

Il protagonista delle storie

Questa raccolta si divide in tre parti: Sbandamenti, Franz, Il pro-fessore di composizione. Ciascuna parte si compone poi di diversi racconti, ad eccezione dell’ultima.

L’elemento comune a tutta la raccolta è il personaggio principale che costantemente si racconta, sempre identico, sempre alla ricerca di …

Data la consecutio temporis, dalla prima all’ultima pagina, se ne consiglia la lettura dall’inizio.

Il titolo del libro è dovuto al ruolo determinante - si fa per dire - che la seconda parte acquista nella visione d’insieme della intera narrazione.

Pietro Cavara

Sbandamenti

Metodologia carceraria.La studi e non la assimili,

la impari a memoria e non la ricordi.Ti possiede, però.

Ma in fondo è un’altra cosa, per quello che - da qui in poi - leggendo,

si può aver pensato che fosse.

Il protagonista

Il Centro

Caienni… falcate d’acciaio allo svincolo dell’istituto. Pare eretto e lo è per davvero.

Porta il busto del dottor Gibaud. La barba bianca, i capelli scomposti, armato di esagerata determinazione,

si avvia alla stanza di ricevimento.

Il protagonista

Un personaggio ansioso. Il suo esilio, in un impeto di trasporto si racconta.

Tra Gabetti e…non so. Arrivi a una porta vetrata di un basso com-plesso. L’apri e sali su, all’unico grande piano.

Sì, tra Gabetti e… Gabetti: modernità dell’arredare.

Sali, dunque. Scala a chiocciola e in alto, due scelte: a sinistra scen-di e prosegui tra porte di lato in direzione del bagno in fondo; alla tua destra un medio corridoio, e ancora… giù, altra porta del bagno.

Postmoderno, monotonia dell’arredare. Una realtà geometrica dai bassi soffitti illuminati a coprire tutta la superficie. Luce, luce e ancor più luce, ma che sia media e artificiale. Tanto è vero che… attorno un che di grigio.

Luogo nascosto, proibito, di che si ciancia neppur io so.Vado alla mia destra per il corridoio: piatti armadi alla sinistra, ter-

za porta sull’altro lato. Busso, entro, mi faccio largo. A una tavola ro-tonda: struttura e arredamento dell’ingresso, ma l’ambiente è più lar-go, da seduta.

Barbuto, gli occhialini, capelli bianchi alla rinfusa, una vocetta ar-rugginita in un fisico adulto: Caienni istruisce a un gruppo di donnette. Semplici, ariose, con pretese, insomma…come le vuoi.

Magari…ma son tutt’altro: tiratrici scelte, ciniche apprendiste. Il mio compare ha già preso posto. Alto, magrolino, pochi capelli

neri, il volto a prisma da pastore tedesco. Non abbaia mai. Ti vede, ti sorride.

Sbandamenti

Caienni non si scompone, un foulard allacciato, l’ampio cappello posato da un lato, parla di chirurgia, di operatività della ricerca… no, niente chirurgia, o forse un tipo molto particolare di chirurgia!

La necessità di essere operativi. Homo faber, che altro cerchi? Ascolta la fredda vocetta adulta di un

saggio parlatore.Proporsi un fine. Di più: agire con un metodo precedentemente se-

lezionato. Diversamente: agire con lo stesso fine, ma senza alcun espediente o

struttura di contenimento dell’azione. Si troverà che non è la stessa cosa.

Agire in base a un metodo. Lo penso, lo faccio mio, sperimento… tra Gabetti e Gabetti, tra un

fare e l’altro, un razzo di dietro ben piazzato, la volontà è ferma, la posizione anche.

Esplodo, buco il cielo, sembra finita, grazie. Insegnamenti per donnette.

Caienni: il metodo… l’antimetodo.Nozioni di operatività… ma io non sono venuto qui per questo. Focalizzare sul metodo: neppure questo mi basta.

Poco più tardi. Un’altra aula dell’istituto, stessa struttura dell’in-gresso, un po’ più al buio. Faiani mi fa vedere dal suo grande scher-mo. E’ un uomo piccolo, magro, le guance scavate, corti capelli neri. Edoardo o… non so.

- Da questo passo ricaviamo il criterio massimo di operatività. Vedi?

Ha una voce calda, amichevole. Invita a potenziare tutti i mezzi che si possiedono.

- Il risultato è sempre lo stesso. Non se ne esce. Si è sempre esatta-mente sul piano estremo di irriducibilità.

Sullo schermo comparvero immagini rigate, frammenti di marcia-piedi, cieli grigi, viavai di persone indistinte. Poi…apparve tutto più chiaro: una grande piazza, l’affastellamento da un lato di edifici omo-

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Sbandamenti

loghi, incastonati da lamiere, tribunali… Osservavo omuncoli dagli sguardi grevi stringersi nei paltò, giudici fascisti, alti, spavaldi, dai sorrisi atrofizzati. E nel dileguarsi apparvero composti di tenebra, sporcizia.

- Che ne diresti di un bel repulisti? - soggiunse Faiani ponendosi per profilo.

- Penso che sarebbe una cosa giusta. Un affermazione fatta senza remore. Come dire…“sono con voi”.

La sera. Da solo per il lungo strada, oltre Gabetti. Sul marciapiede, sovrastato da costruzioni basse, a due piani, com-prendenti le squallide aule di quel Centro. Dall’altra parte… corsie di macchine, alberi ingrigiti in primo piano. Sembrava tutto provvisorio, e all’improvviso forse… sarebbe finito.

Ma quando? Ma come? Per volontà altrui, per decisione dell’istituto.

Vivi il Centro, fallo tuo, stacci…anche se non vuoi.

Oltre Gabetti un bar. Mi pare di vedere Caienni. Ma è solo un’illu-sione. La barba bianca, il suo foulard… se potesse ordinerebbe ogni volta un cuscus. Non è lui, è uno molto più giovane. Del resto è raro vederlo. Non deve, non può. Neppure io…dal momento che dovrei stare altrove.

Cosa ne so di Caienni? Cosa ne so di questo posto?

Vado al ritrovo protestante: una costruzione adiacente il nostro Centro in stile liberty, grigia, spezzata da linee geometriche. Il grigio …sempre, dappertutto, anche dentro. Afferro le chiavi appese alla pa-rete. Vado su, al buio, vado a dormire.

Le parole di Caienni invitavano al sonno. Da quando gli idraulici se ne sono andati al Centro si sta meglio: meno chiasso, meno gente… meno ladri.

Faiani non deve avere un grosso ascendente su Caienni. Eppure do-vrebbe dirglielo lui. Non serve che il metodo sia forte. Se va preso con

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Sbandamenti

elasticità vuol dire che non è poi così importante, che la soluzione non sta nel metodo, o nell’antimetodo…sta al di fuori del metodo.

Faiani ha ragione. L’ostinazione di Caienni ha qualcosa di insop-portabile. Bisognerebbe fare qualcosa senza pensarci, senza meditare, farla è basta. Ma cos’è poi il metodo? Cosa significa: agisco in base a un metodo?

L’indomani. Fa freddo per il Centro. La luce artificiale dai bassi soffitti geometrici, media, continua, rende ogni cosa omologa, giallo-gnola, priva di senso. Vi si aggira un uomo in giacca blu, capelli neri compatti. Caienni esce dall’aula buia, una vocetta.

- Venga Laghetti, venga.L’uomo si fa strada, entrano in aula.Io e il collega dal volto a prisma, la magrezza di un pastore tedesco.Dio è nella Tecnica… non nel metodo che è pura razionalizzazione

del pensiero. Lo pensai ma…

Faiani… lui sa che le cose stanno diversamente da come le intende Caienni. Faiani non ha la sua stessa autorevolezza.

Caienni è un ottuso, Laghetti un illuso.Cesco Laghetti: il principale referente informativo del Centro.

Volto lo sguardo e mi appare il portiere in guardiola. Alto, scontro-so, un che di barba: un tecnico in pullover prestato ad altra mansione …all’altezza dello svincolo tra destra e sinistra, tra un troncone e l’al-tro del Centro. Dà poche informazioni, non ti guarda neppure… si sente un dio!

Qui i tecnici sono molto richiesti. Anche un portiere è necessario sia un tecnico. Centinaia di richieste ogni giorno… lo vogliono tutti.

I tecnici dovrebbero vestire tutti allo stesso modo, dovrebbero di-stinguersi. E’ un provvedimento che non è mai stato attuato, chissà… disguidi momentanei. Eppure la loro attività non è qualunque, neppure quella di un portiere alto, saccente, frustrato.

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Homo faber, homo deus.Io e il collega confusi con le donnette. Si scherza, si ride, che il

tempo passi. Caienni…ancora dentro con Laghetti. Un caffè al bar, poi di nuovo su… in attesa. La metodica: un’arte che non serve più a nulla.

Caienni accompagna Laghetti di fuori. Lo vedo fare cenno a qual-cuno, un uomo in tuta, un tecnico portiere o…

Rientra in aula, alza le serrande, fa entrare un po’ d’aria. - Senta…- gli faccio.- Entri, entri pure…- sorride appena e… si gira alle finestre.- Pensavo… pensavo a quanto ha detto ieri.

Richiesta di spiegazioni: come determinare immediatamente il mo-dello aprioristico di eziologia comparata a livello di operatività. E’ il bisogno di sapere: una metodologia che si ponga all’origine dell’os-servazione delle azioni su basi deduttive.

Si potrebbe, certo! Se soltanto si conoscesse. Si volta. Di una serietà imperturbabile.- Non c’è altro che il metodo. - e fa un sorriso ristretto, quasi un’i-

stantanea fotografica, mentre io… abbasso la testa.- Già…il metodo o… l’antimetodo. - rialzo la testa.- Certamente.Come replicare…

C’è ancora parecchia gente in corridoio. Decisamente una mattinata affollata. Allo svincolo…sempre il solito portiere: alto, un che di bar-ba, la parte inferiore del corpo nascosto dal metallo.

Un tecnico in portineria: mezzo busto incastonato alla guardiola.

Mi chiedo qua dentro: siamo un insieme o un aggregato?Un aggregato di parti. Come si conviene, come si vuole che sia… il

metodo. Direi che in apparenza potrebbe anche andare, ma solo l’insieme

chiarisce perché siamo tutti qui.

Discorsi dal profondo, discorsi da dentro.

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Essere parte di qualcosa. Ma se ci si dissocia…cosa rimane di sé? Cosa rimane del resto?

Ho stima di Faiani. E’ l’unica persona che trovo convincente, l’uni-co che sia umano. La voce calda, espressiva, ragionevole, un perso-naggio alla Edoardo, o forse lui stesso, la parlata napoletana appena soffocata.

Se si potesse tutto ridurre a quanto segue, se del metodo non ci fos-se davvero bisogno, se tutto apparisse finalmente, irrevocabilmente chiaro…

- Prendiamo questa unità…- così Faiani al computer nel suo studio, luce media e artificiale. - …diciamo i soliti pivelli.

Già… i pivelli che vorrei non esistessero.- Se adesso ne tolgo quattro e disintegro gli altri… così… - digita-

va - …ho distrutto una parte o l’insieme?- Una parte. - E no! Perché l’insieme non c’è più. Se ne lascio vivi quattro su

dieci, quei quattro non compongono più l’insieme.- Ne fanno un altro.- Fanno un’altra cosa. A come insieme non esiste più. Quindi è l’in-

sieme ciò che conta nel singolo. Tu da solo, senza gli altri, non sei niente, no? e neppure gli altri se non ci sei tu.

- E l’aggregato? - E l’aggregato non è niente.- Comunque un metodo c’è.- No, non c’è. - si alzava, infilava le mani nella giacca, estraeva

qualcosa. - …perché quando sai che ogni cosa fa parte di un insieme a che ti serve? No, dimmi a che ti serve?

- Non saprei.- Apposta. L’operatività prescinde dal metodo. Tu decidi di stermi-

nare sei pivelli su dieci e non ti poni il problema se così facendo li ri-duci a un aggregato o distruggi un insieme, no? Operi e basta.

- Certamente. Bisognerebbe farlo capire a Caienni…Usciva facendo spallucce.- Eee… ma quello sta lì ancora coi topi. Capirai che scienza…Immaginai…

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Caienni e Laghetti in aula. Tanto buio, due lampade sul tavolo, una cavia dentro la gabbia coi piccoli.

- Vede… - sorridendo a Laghetti. E la barbetta lo rese ancora più striminzito, i capelli rasi, oltre i sessanta.

- Formidabile. - rispose quello.- Ma formidabile cosa, scusi? Una cucciolata?Laghetti si sistemava nella giacca deglutendo a stento.- Intendo dire… - proseguì spostando una lampada sulla cavia men-

tre l’altra di minor luce illuminava le bestiole. - …la madre senza i piccoli è comunque parte e non ancora insieme, è aggregato di un in-sieme immaginato. Abbiamo qualcosa, l’aggregato senza qualcos’al-tro, e quindi non la totalità misurabile del reale ma…la parte del na-scosto che si mostra!

Qualcosa di decurtato dovrebbe comprendere ciò che non è più. Il rimanente tangibile più qualcosa che non si vede. Quattro pivelli sopravvissuti non sono più insieme: ma gli altri sei

fatti fuori continuano a esserci al di là dalla nostra vista, sono memo-ria.

Eppure Faiani non ha detto questo, ha detto che l’insieme non esi-ste più. Non ha aggiunto altro.

Di fuori. Ancora Caienni con le donnette. Ma non vedo il collega, forse è in giro, scodinzola, ma… senza corde, chi lo sente?

Caienni e Laghetti al buio di quella sala… il metodo…

Tra Gabetti e Gabetti, tra un fare e l’altro, non ho più un metodo, ma un razzo di dietro ben piazzato, e qualcosa mi dice che se faccio kamikaze…potrebbe anche andare a farsi fottere il Centro intero. Perciò…

Né insieme, né aggregato: tutto ciò che si è distrutto. E l’invisibile che c’è! Le parole di Caienni si riproducevano a eco. Un fisico smilzo con

barbetta e rasi capelli banchi.

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L’insieme che traspare anche dopo aver operato, sterminato i pivel-li.

Noi, il Centro, i pivelli… tutti distrutti.Va bene andiamo.

Metodologia carcerariaFinalmente qualcosa che serve, che aiuta, che comprende.Uomini in cella… ogni cella un capitale umano. Parole vive, parole sante.

Metodologia carcerariaE io son qui a rimirar di fuori, oppure all’aperto, tra Gabetti e Ga-

betti, nel traffico, nel fumo, nell’impudico stare. Invece di sgobbar di dentro… da Caienni o da Faiani non importa. Importa lo stare, lavorar sodo, compiere il dovere.

Metodologia carceraria… e nulla più. Nulla che rispecchi, che determini, che imponga. Occuparsi di cose terribili, di cose noiose, di cose odiose.

Metodologia carcerariaC’è poca letteratura…e per fortuna. Perché ogni lezione è uno strazio, ogni avvertimento una cella buia. Arrendiamoci all’evidenza: una concreta rassegnazione.E un solo pensiero a contener lo strazio.Lo star qui e basta.In definitiva: ciò che conta.

Metodologia carcerariaE a rimaner non si può più.Desiderio di vita, di svago. Ma sempre con un “metodo”,ed è ciò che guasta alfine qualsiasi impennata risoluzione.

Una cena al kasherIo e il collega, quattro donnette, Caienni a capotavola.

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Sbandamenti

Una cena da noi offerta per lui…a base di cuscus. Detesto il cuscus, lo trovo indigesto, pesante. Eppure sembra non lo

sia affatto. Per il vero Caienni ha scelto un calzone di pezzettini di car-ne semicruda, frattaglie, che so… qualcosa che non ho ancora capito. L’assapora con gusto, pur mantenendo un ordine, un distacco nella posa, nel portare il cibo alla bocca, su per la barbetta.

La condizione fondamentale: non parlare del metodo. Dimenticar-lo, reprimerlo, schiacciarlo. Per una volta, quella sera, da lasciarsi alle spalle, evitare qualsiasi allusione, pretesto o ripicca per disconosciuta dignità personale: qualcosa…riguardo al metodo. Caienni lo esige. Non tollera, non vuole queste cose. E poi …non è il momento, se ne parlerà, certo, non ora.

Il collega, il volto segnato quasi a prisma con bargiglietti rattrappiti per far posto al sorriso…vorrebbe interloquire con Caienni. Parla di cucina, di una poesia che ha scritto. Non sa che Caienni non ha alcun interesse per lui. Gli interessa il metodo, anche se solo fuori pasto, e in certe occasioni come queste…essere lasciato in pace.

Non se ne può più. Sarà un cibo meraviglioso ma questo cuscus si attacca alle pareti dell’esofago, è una pappa interminabile. Si avrebbe voglia di lasciarlo se non fosse che Caienni non vuole. Si sa…il cibo si consuma tutto, e in silenzio.

Qualche intervento se lo può permettere solo lui. Ne ha il diritto, l’autorità. Credo che il collega abbia capito. Ha smesso di intervenire. Neppure una replica ai suoi interventi.

Caienni: l’accortezza di posare il cappello sulla spalla della sedia, leggermente chinato, la forchetta con quei pezzettini di carne su per la bocca sfiorando la barba, chiudendo gli occhi, assaporando lentamente e con gusto.

Non so come ho fatto a finire. Accompagnavo il boccone con ab-bondanti sorsi di vino così da stornarne il sapore. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di non dover ingurgitare quella sbobba.

Sì, ecco, ancora un momento e mando giù.

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Sbandamenti

Il collega consumava il pasto con calma. Non si dava pensiero, mentre le donnette alternavano bocconi a occhiatine maliziose. Insul-se, ridicole… streghe!

Sarà sembrato palese a tutti che a qualcuno il cuscus faceva schifo.Ancora un sorso e…Caienni concentrato sul suo cibo… non si ac-

corgeva di niente.Pagare per lui, ma perché?

Il collega…Fuori di lì hai voluto esibirti, recitare una tua poesia. E io mi son chiesto: ce n’è proprio bisogno? Ha tanti pregi ma

quella cosa davvero non l’ho capita. Un omaggio a Caienni, ai giardinetti di Piazza Bologna attorniati

da un chiassoso viavai di automezzi, tutto orecchi, si fa per dire, dopo quel micidiale polpettone sullo stomaco.

Ma non ti sei resi conto che a lui non fregava niente? Fosse stato Faiani…avrei capito.

Insomma ti sei esibito…arioso, felice, alla ricerca di sguardi… tra me che scuotevo la testa, le occhiatine maliziose delle donnette. Ca-ienni neppure ti guardava. E quando finisti…Bravo bravo… bravo davvero.

Ecco: tutto quello che ha saputo dirti. Sei contento, ora? In un istante precipitavamo al bar oltre la strada.Dopo la tua prestazione…Caienni nell’ala protetta del bar della

piazza con noi e le donnette: a spiegare, motivare… senza il metodo toccare. In silenzio sapendo che se lo avessimo interrotto non avrebbe protestato, ma in fondo ci sarebbe rimasto molto male.

Le parole di Caienni, la sua vocetta fredda, distaccata, il collega che mi guarda, abbassa appena la testa come un monaco alla ricerca di divino conforto. Non sa spiegarsi perché ha fatto questo.

Ho ordinato un caffè…ma avrei avuto bisogno di un concentrato.

RientrareDi notte, la strada che conduce alla porta vetrata dell’edificio. Co-

struzioni basse su un cielo senza stelle, gli alberi dalle foglie emaciate,

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Sbandamenti

il lungo strada a due corsie, l’inverno continuo. Prendo congedo, dopo Gabetti, dopo il Centro, all’istituto protestante. Mi avventuro nel buio.

Spaziare con la mente, ritrovare il modo di riallacciarsi a qualcosa per cui valga la pena perderci del tempo. Per questo serve il metodo.

Ad esempio. Salgo al piano superiore del nostro edificio. Mi trovo allo svincolo tra destra e sinistra e un tecnico tutto busto con un che di barba nelle vesti di portiere mi ferma, mi interpella. Dubita che faccia parte del gruppo e io… potrei mandarlo a farsi fottere, ne avrei tanta voglia e invece… lei non potrà mai parlare a nome dell’istituto, non potrà mai prendere le parti del tutto, perché gli altri sono diversi da lei, lei è solo una parte, tutt’al più…il modo in cui il tutto si manife-sta, che il tutto non è. Per cui si levi dalle scatole e mi faccia passare.

Avrei detto così.E se poi aprissi le porte delle aule interne e trovassi che Caienni,

Faiani, e chi più ne ha più ne metta, si comportano esattamente come quell’unico esemplare incastonato alla guardiola, sorta di portiere con pretese, non poi così raro di questi tempi… cosa dovrei pensare?

Non son più dalle parti di Faiani, eppure son ben lontano dal giusti-ficare l’impostazione di Caienni.

L’elasticità del metodo! che vale a dire che il metodo poi non con-ta, perché di un insieme così complesso, così non tutto visto! non è le-cito argomentare. Anzi, è giusto dubitare… ipotizzare che il portiere la pensi come gli altri e che mandando lui a farsi fottere compirei un’a-zione a nome di tutto il Centro.

Sarebbe più onesto operare con sintesi: mandare lui a quel paese, e poi… aggiungerci il metodo.

Abbandono Caienni solo per patteggiare con Faiani, che poi non mi impedisce di apprezzare Faiani pur riallacciando con Caienni.

Nel mentreConcepire il Centro quasi fosse una Centrale.Ed è per questo che, nel clima di segretezza così imposto, posso al-

meno scriverne nella semioscurità del ritrovo protestante.

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Sbandamenti

Un Centro sicuro in quanto molti, forse troppi, vi danno silente appoggio, nella certezza di non arrivare a conseguenze estreme.

Certo, c’è da chiedersi, come hanno fatto, dal momento che la pro-posta di entrarvi mi è stata fatta a ciel sereno, senza alcun vincolo se non quello di mantenere la promessa di non far voce.

Trasgredire? Non mi preoccupa. E non preoccupa neanche loro. Forse perché… questo lo sanno…sono con loro.

Se non ci fossi sarebbe uguale o al più… un risibile imprevisto. Davvero nient’altro.

Un giorno forse si saprà ma oggi è necessario non dire, trattenersi.

Ho pensato a cosa avrebbe voluto significare tradire: ho provato vergogna, una serpeggiante ammorbante vergogna. Poi mi volto e … … Faiani in calzoncini. Capelli a conchiglia sul volto smilzo, come dire… tutto zigomi e scavature. Si tende, altroché se si tende: braccia unite verso l’alto, ac-quisisce il Cielo… un basso opaco soffitto.

Muscoli tesi, rilassa, ruota i fianchi: in equilibrio su posizioni in bi-lico… strettamente posturali.

Molla, lungo in saltello. Di nuovo flesso, si gira a torso chino, allunga le braccia, mira… in

alto ancora.

Per la verità mi appare diverso. Con la tuta da astronauta il suo fisi-co scompare. Assorbito, ristretto. Candelotti tutto attorno, alla vita, al costato, un candelotto per ogni lato, saldamente agganciato alla tuta.

Spingi il pulsante e…bum! Faiani non c’è più.A pericolo estremo, rimedio estremo. E’ urtante doversi preparare

anche a questo, ma…meglio una vita da rivoluzionario che un’esisten-za da coglione.

Protratto, disteso nel tempo, nel vivere, nel pensare. Insomma, Faiani. E così tirato, proteso verso mete stabilite passa da un esercizio al-

l’altro, da un ragionar all’altro, ormai chiuso al suo studio, circonfuso dalla luce del computer.

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Sbandamenti

Uscire dal Centro per rientrare nel Centro. Un’ipotetica follia… come quando avendo fatto ondate a piedi im-

provvisamente ti ritrovi con tuo profondo disagio al punto di partenza.

Policentro: una sorta di Policlinico al Centro che, raddrizzando la traiettoria, può trasformarsi in un Centro con diramazioni policliniche: un operazionismo visibile a occhio nudo col supporto della teoria, di un agire con cognizione, razionalizzando, controllando, dilazionando il corpo.

Se l’operare del Policlinico fosse il risultato del progettare del Cen-tro quanto sarebbe tutto più chiaro… più “a ragione d’uomo”.

Difficili interni.Un Centro che si fa riserva, Policlinico o Centrale, sempre qui, ma

anche lì, in ogni istante.E come non intendere, stando dentro, quando si è in mezzo tra due

svincoli. A sinistra, giù fino alla porta del bagno; a destra, fino ad altra porta, altro bagno. E poi… le aulette chiuse, i bassi soffitti geometrici illuminati di squallido pallore.

Prendi e vai. Ma per dove?E pensare che uscendo sarei accolto dal lungo strada in discesa ver-

so il tunnel, gli alberi anneriti. In questa struttura mediana tra Gabetti e…

Un cubo rivoltante incastonato tra un negozietto di arredamento e l’istituto protestante in mattone.

Carbonio, benzina, no… molto peggio. Tra Gabetti e suonerie di clacson all’impazzata, il mondo che corre.

Dentro… a destra o a sinistra… per chi ha necessità di fare pipì, per chi non si arrende al facile convincimento… “percorri la tua strada e sarai presto a casa tua.”

Qui sei sempre “dentro”. Il fine è unico: consumare per vivere.

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Sbandamenti

Concedersi un rilassamento: di là o di qua, dentro o fuori… è del tutto indifferente. E l’anima…non c’è più.

Sopra ogni misera cosa: un potente desiderio di distruzione.Spingi il pulsante e.. magnifico: fuori tutti.Vedere dallo schermo ogni nemico, ogni ignobile individuo ignaro

di essere visto. Qui dal Centro: un osservatorio sul mondo.

Vita di ognuno: codificata, espressa, visualizzata nel tempo presen-te. C’è un fucile col silenziatore puntato su ogni individuo selezionato. Premere un pulsante è come premere un grilletto.

Centrare l’obiettivo, spingere… è semplice, immediato.

Neanche a dire: me la do a fette. L’arma è invisibile, la traiettoria certa, la sicurezza di passarla liscia tutt’altro che assodata.

Fuori tutti… e io dormo. Uccidere nel sonno… questi maledetti parvenu di un’epoca idiota e

criminale...Uccidere gli uccisori.Mi addormento, intanto il computer svolge la richiesta programma-

ta: li scova, li identifica, li uccide… e io dormo.

Girare su se stessi. Una prassi ricercata con al fondo un metodo, una volontà di impazzire.

Osservo chi si esercita. Barba bianca, un faccione rugoso con due occhi arzilli, pieni di spirito. Forse è Caienni, ma sì, è proprio lui, il Direttore del Centro presso il quale albergo, il punto principale di ogni riferimento. Ecco, lo vedo: i bermuda che ne mettono in evidenza i gambetti esili e nervosi, i pedalini corti e colorati, come un vecchietto in stato di elettrificazione.

Al centro di una stanza sgombra. Afferra un piccone, si mette in posizione. Una gambetta chinata, l’altra di sostegno. Comincia a gira-re su se stesso, da sinistra a destra, poi da destra a sinistra, sempre più forte, più veloce, si avvita.

Gira gira gira gira. Lancia il piccone. Colpisce!

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Sbandamenti

Potrebbe però risolversi diversamente. Ecco! Gira attorno all’edificio con il piccone in mano correndo da destra

a sinistra, poi da sinistra a destra, sempre più forte, più veloce. Oooooh! Colpisce!

Un Gibaud per Caienni, l’uomo dei bottoni… l’avrei detto di Faia-ni, con quell’aria discreta, colloquiale, giacca grigia e colletto aperto, un lavoro manuale per chi in verità meriterebbe molto… molto di più.

Ho pensato a Caienni, invece è Faiani l’addetto ai bottoni. Una stanza dei bottoni adibita per chi sa usare i mezzi necessari alla

sua sopravvivenza e a quella del suo entourage. Non che Caienni non saprebbe …è fin troppo chiaro di chi parlo, ma a questi certe cose evi-dentemente non gli vanno a genio.

Se vuoi dar sfogo ai risentimenti, se vuoi indicare persone da elimi-nare in modo silenzioso, professionale, nascosto, è a Faiani che devi rivolgerti. Indicane quanti ne vuoi… è come precipitare, lo so, ma.. cos’altro si dovrebbe fare?

Precipitare dalla soglia di un vulcano, giù…dove il fuoco dissolve, dove è facile smaltire chi è stato scelto per essere eliminato.

Girare per dimenticare, oppure… girare per credere. Sempre più forte, più veloce. Girare per vivere.

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