Africa La Storia Ritrovata[1]

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1 AFRICA: la storia ritrovata 4) I rapporti con l'Europa fra XV e XVIII secolo e la tratta negriera 1- Scelte di periodizzazione L'arrivo degli europei costituisce certamente una svolta fondamentale nella storia di alcune aree della costa atlantica e di quella dell'Oceano Indiano, causando rilevanti trasformazioni di tipo socio-economico, politico, religioso, culturale e di composizione della popolazione. Fra il 400 e il 500 l'Africa viene rapidamente inserita nel nuovo, grande sistema dell'economia mondiale dominato dai paesi europei, e con il commercio degli schiavi dei quattro secoli successivi, partecipa in maniera fondamentale alla definizione del quadro demografico, culturale ed economico dell'America , soprattutto quella Atlantica. 2 – Oro e schiavi L'interesse per l'oro africano predomina nettamente nel 400 e 500, mentre nel corso del 600 gli schiavi andranno assumendo il ruolo di merce più ricercata e trattata dagli europei. L'interesse europeo per l'Africa resterà soprattutto economico- commerciale anche dopo l'abolizione dello schiavismo nell'800, usando il continente nero come serbatoio di materie prime per le nascenti potenze industriali europee. Per una lunga fase, l'obiettivo commerciale primario in Africa è stato l'oro, soprattutto per i portoghesi e olandesi nella Costa d'Oro e nel Golfo di Guinea. Ma queste due potenze europee, sono anche i principali operatori di un altro genere di attività, la tratta negriera. Tratta Negriera con questa espressione si intende l'esportazione di africani dal continente alla volta delle isole atlantiche, delle Americhe e del mondo islamico, al fine di impiegarli come schiavi, gestita tra il XVI e XIX secolo da sovrani, Stati o singoli commercianti. Esistevano due direttrici del traffico di schiavi : la prima e più antica verso i paesi del Golfo Persico, del Nord Africa e Medio Oriente; la seconda, iniziata dai portoghesi, verso le Americhe come manodopera per rispondere all'aumento della domanda di zucchero sui mercati europei. Nacquero diverse compagnie di navigazione europee che si specializzarono su questo traffico . I loro interlocutori erano gli africani che 1

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AFRICA: la storia ritrovata

4) I rapporti con l'Europa fra XV e XVIII secolo e la tratta negriera

1- Scelte di periodizzazione

L'arrivo degli europei costituisce certamente una svolta fondamentale nella storia di alcune aree della costa atlantica e di quella dell'Oceano Indiano, causando rilevanti trasformazioni di tipo socio-economico, politico, religioso, culturale e di composizione della popolazione.

Fra il 400 e il 500 l'Africa viene rapidamente inserita nel nuovo, grande sistema dell'economia mondiale dominato dai paesi europei, e con il commercio degli schiavi dei quattro secoli successivi, partecipa in maniera fondamentale alla definizione del quadro demografico, culturale ed economico dell'America, soprattutto quella Atlantica.

2 – Oro e schiavi

L'interesse per l'oro africano predomina nettamente nel 400 e 500, mentre nel corso del 600 gli schiavi andranno assumendo il ruolo di merce più ricercata e trattata dagli europei. L'interesse europeo per l'Africa resterà soprattutto economico-commerciale anche dopo l'abolizione dello schiavismo nell'800, usando il continente nero come serbatoio di materie prime per le nascenti potenze industriali europee.

Per una lunga fase, l'obiettivo commerciale primario in Africa è stato l'oro, soprattutto per i portoghesi e olandesi nella Costa d'Oro e nel Golfo di Guinea. Ma queste due potenze europee, sono anche i principali operatori di un altro genere di attività, la tratta negriera.

Tratta Negriera con questa espressione si intende l'esportazione di africani dal continente alla volta delle isole atlantiche, delle Americhe e del mondo islamico, al fine di impiegarli come schiavi, gestita tra il XVI e XIX secolo da sovrani, Stati o singoli commercianti.

Esistevano due direttrici del traffico di schiavi: la prima e più antica verso i paesi del Golfo Persico, del Nord Africa e Medio Oriente; la seconda, iniziata dai portoghesi, verso le Americhe come manodopera per rispondere all'aumento della domanda di zucchero sui mercati europei. Nacquero diverse compagnie di navigazione europee che si specializzarono su questo traffico. I loro interlocutori erano gli africani che procuravano gli schiavi, li convogliavano verso i centri di raccolta e le coste. Il commercio assumeva una “ forma triangolare ” , con le navi che viaggiavano sempre a pieno carico. Partivano dall'Europa verso le coste africane cariche di manufatti, armi da fuoco, polvere da sparo, tessuti, da usare come merce di scambio per gli schiavi (generalmente maschi adulti). Ripartivano poi alla volta delle Americhe piene di schiavi da vendere e utilizzare nelle piantagioni della canna da zucchero, cotone oppure nelle attività minerarie. Il triangolo commerciale si chiudeva con la ripartenza delle navi verso l'Europa cariche di materie prime acquistate con il ricavato della vendita degli schiavi e da utilizzare nelle industrie europee.

Il commercio degli schiavi però aveva suscitato ovvi problemi etici agli europei. Si verificarono diversi interventi di condanna da parte del magistero cattolico e di movimenti abolizionisti su basi umanitarie che stavano maturando in tutta Europa. Fra i primi ad abolire il commercio di schiavi ci furono la Danimarca e la Francia, quindi l'Inghilterra, gli Stati Uniti, l'Olanda e gradualmente il Portogallo.

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Quanto è costata la tratta in termini di perdita di vite umane e di popolazione? E' ovvio dire che la tratta ha causato un impoverimento della società africana, favorendo certe aree e regioni a discapito di altre. Il commercio degli schiavi ha rallentato per circa due secoli la crescita demografica della popolazione nera, quando nello stesso periodo altre parti del mondo conobbero tassi eccezionali di crescita.

5 – La complessità di un rapporto

Se paragonato alle circostanze drammatiche in cui viene stabilito il rapporto tra europei e popoli indigeni dell'America, il rapporto tra africani neri e europei è connotato da una condizione di normalità. Piccoli gruppi di europei hanno vissuto e operato in alcune parti dell'Africa già molti secoli prima della colonizzazione, con effetti molteplici per tutte e due le parti. Per tutto il 500 africani e europei sono molto simili per condizioni di vita, il rapporto con la malattia, la morte, la libertà personale, tecnologia, gerarchie sociali e politiche. L'elemento fondamentale di distinzione sta nella diversa collocazione religiosa, criterio primo dell'uomo europeo per decretare la propria superiorità.

La grande trasformazione culturale che avviene in Europa fra Sei e Settecento, pone le basi per una percezione diversa che l'europeo ha dell'altro: l'africano viene gradualmente percepito come incivile, cioè individuo separato da un “salto di civiltà”. E' attraverso questa idea che verrà poi giustificato il colonialismo, come esportatore di civiltà e modernizzazione.

5) L'800: i fattori esterni e le transizioni interrotte

2- Fine della tratta e nuovi equilibri socio-politici

L'800 vede succedere una serie di dinamiche che modificano profondamente l'assetto della società dell'Africa.

Un dato cruciale è rappresentato dalla fine dell'esportazione di schiavi dal continente. Anche se la tratta al di fuori del continente africano svanisce, non scompare però all'interno, dove gli Stati africani non attuano politiche abolizionistiche contro la schiavitù (per esempio, il califfato di Sokoto, a metà Ottocento rappresenta una delle maggiori società schiavistiche del globo). Proprio questa condizione è utilizzata come motivazione nella Conferenza di Berlino del 1884 per trattare l'Africa come legittimamente occupabile dalle potenze europee e non riconoscibile attraverso leggi internazionali.

Il commercio degli schiavi da parte degli europei, viene in questo periodo sostituito con il cosiddetto “commercio lecito”, ossia dall'esportazione di materie prime, in particolare di prodotti agricoli e di produzione forestale.

3 – Reti commerciali e dinamiche di integrazione economica e culturale

L'800 è il secolo in cui si realizza la saldatura fra i tre grandi sistemi commerciali del continente: quello atlantico, quello mediterraneo e quello dell'Oceano Indiano, nella regione del bacino del Congo, che sarà poi punto di incontro fra le direttrici d'espansione coloniale.

Il processo che conduce al congiungimento dei tre grandi sistemi commerciali africani, ha vaste ripercussioni d'ordine socio-economico: incentiva lo sviluppo di una cultura del commercio più autonoma; si affermano nuove forme di status acquisito non più per nascita, ma grazie all'iniziativa individuale; accelera esponenzialmente la diffusione di specifici tratti culturali unificanti, come la

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lingua. Vede poi un'eccezionale espansione musulmana, che fa dell'Islam, radicato da parecchi secoli in varie zone del continente, la religione predominante (eccetto Etiopia e poche altre regioni).

4 – Il rafforzamento dello Stato

L'800 vede in quasi tutto il continente un grande rafforzamento delle istituzioni statali africane e un'estensione grandissima delle loro capacità di controllo del territorio. Può essere definito come il secolo delle istituzioni statuali forti. Quasi tutti questi Stati, avevano una fortissima impronta islamica.

5 – Cambiamento e politiche di riforma

La seconda metà dell'800 è l'epoca in cui molti Stai africani tentano di completare la propria ristrutturazione attraverso processi di modernizzazione, che investe soprattutto il settore militare e aree produttive, come l'attività mineraria e l'agricoltura di piantagione ; ma esistono anche tentativi ambiziosi di forme di alfabetizzazione, cambio di religione e istruzione.

In generale però con l'avvento della modernizzazione, poco cambiano le condizioni di status sociale individuale e di gruppo, dove la violenza che può colpire i singoli (per esempio sacrifici umani) è ancora molto forte. Solo negli Stati influenzati dall'Islam, prende piede un principio di uguaglianza tra sudditi musulmani davanti alla legge, ricavata dal testo sacro.

6 – Scrittura, religione, innovazioni culturali

L'Africa conosce una sensibile avanzata di elementi culturali, anche non del tutto nuovi, ma comunque poco diffusi. La scrittura è il principale di questi elementi, che si diffonde grazie alle attività commerciali ma soprattutto legato alla massiccia adesione all'Islam e cristianesimo , le grandi religioni del Libro. Nell'800 si ha una ripresa dell'evangelizzazione delle Chiese d'Europa, già iniziata nel 500 dai portoghesi. L'attività missionaria si fa sempre più presente, non più solo nella costa (dove i missionari aiutano gli ex-schiavi alla nuova integrazione) ma anche nell'interno, dove lavorano figure di spicco come Daniele Comboni, poi fondatore dei Padri Comboniani e dove si vede lo sviluppo di un vigoroso clero africano, specialmente protestante.

7 – Dalla sovranità al colonialismo

Fino agli anni settanta dell'800, in Africa esistono società rette da gruppi dirigenti ancora in grado di avere autonomia su scelte politiche e culturali nonostante l'influenza crescente dell'Europa. Ma la veloce corsa alla conquista e alla spartizione negli anni ottanta, fanno declinare il rapporto tra società africane ed Europa, facendo cadere tutte le sovranità indigene e costituendo domini territoriali europei, le colonie.

6) La spartizione del continente cause e modalità

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Colonialismo sistematica occupazione del continente africano sotto l’impulso del nazionalismo e del capitalismo, raggiunge il culmine alla fine dell’800, con l'obiettivo della “ Civilizzazione” cioè di convertire gli indigeni ai modi di vita occidentali, con il conseguente sfruttamento delle risorse e dei territori.

La superiorità dell’Europa si impose con il ‘700 e con l’occupazione francese da parte di Napoleone Bonaparte 1798/1801 in Egitto, si ebbe la svolta:

creazione degli stati nazione, affermazione della borghesia, idea di espansione nazionale per la creazione di grandi imperi territoriali fu centrale nella politica dei più importanti paesi europei Gb, Fr e a seguire tutti gli altri, Portogallo, Spagna, Belgio, Germania…All’imperialismo gli europei associarono il razzismo non dubitando mai del diritto morale ad agire in Africa.

Piccola spartizione dell’Africa—> a livello di sfere di influenza marittima o mediante insediamenti sulla costa, era già avvenuta nel ’600/‘700 in poi.

Robinson, parla di spartizione “proto coloniale” quando viene preparato il terreno per le future colonie. Spartizione “anticoloniale” quando si tratta di tener fuori una potenza rivale . Anche se fino a metà del 19°secolo, non si ha un sistema di dominazione che potesse definirsi coloniale, escludendo il Capo e l’Algeria.

L’autonomia dell’Africa era sopravvissuta all’esperienza della tratta degli schiavi, aveva conservato proprie istituzioni e proprie amministrazioni anche se questo tipo d’indipendenza non aveva rilevanza a livello di politica internazionale. La fine della tratta nei primi decenni dell’800 aveva posto fine ai traffici fra Africa ed Europa con la loro “merce” principale, uomini e donne da portare in America. Sorsero le prime associazioni schierate contro la schiavitù in tutta Europa grazie a personalità come Granville Sharp. Alla schiavitù subentrarono altri progetti di sfruttamento. Fra il 1820 e il 1850, dal commercio di schiavi si passò al “traffico lecito” di avorio, oro, legname, gomma ecc..e in Africa occidentale arachide e olio di palma, oli vegetali, ben presto però gli europei conclusero che oltre a nuovi prodotti servivano nuovi intermediari, e nuovi modi di governare cercando e preparando nuove forme di coercizione per far fronte ai problemi della demografia e della sicurezza. Il colonialismo era rivolto anche a gestire queste riconversioni.

Prima di dar corso alla conquista si ha un periodo di “ colonialismo anticoloniale ” .

L’Inghilterra nel 1865, voleva ritirarsi dall’Africa Occidentale mantenendo solo la Sierra Leone dove la Gb aveva dei doveri speciali nei confronti degli ex schiavi liberati.

La Francia più restia, dopo la sconfitta con la Germania nel 1870 a Sedan, pensava ad un revanscismo per la riconquista dell’ Alsazia e Lorena, sottolineando la sconvenienza sulla dispersione di forze per rifornire guarnigioni e terre lontane, dei suoi comptoirs commerciali fra Senegal e la Costa d’Avorio.

In Africa intanto nascevano nuove élite politiche ed economiche che cercavano di condurre in proprio le società locali imitando i metodi amministrativi degli europei e che erano disposte ad intensificare le relazioni con chi prometteva stabilità, sicurezza e progresso. Queste prestazioni richieste sono all’origine della spartizione con l’inglobamento al sistema capitalista e imperialista mondiale.

Da una parte i motivi umanitari e dall’altra gli interessi economici rendevano i confini Africa/Eu sempre più sfuggente. L’accresciuta mobilità sociale seguita alla fine della schiavitù stava minando

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poco a poco le precedenti strutture di egemonia, facendo emergere nuove figure sociali; i mercanti prima di tutto ma anche burocrati, militari, salariati.

Si diffusero anche il cristianesimo e l'alfabetizzazione, consumi e comportamenti europei. L’incremento dei rapporti in Africa ed Europa non implicò subito né dipendenza politica né trapianto del capitalismo ma gli sforzi delle varie formazioni statali africane o dei singoli gruppi dirigenti per adattarsi alle novità mantenendo l’iniziativa nelle proprie mani si rivelarono vani.

2 - Il ruolo delle compagnie commerciali: il colonialismo informale.

L’Africa esisteva strategicamente nell’ottica degli europei solo per le sue regioni costiere, in particolare sulla costa occidentale. Ad esempio la Francia in questo periodo teorizzò la “moltiplicazione dei punti di appoggio” per le sue navi da guerra e commerciali, che non furono però delle colonie vere e proprie.

Inizialmente l'Africa non rientrava nella strategia delle grandi potenze europee che erano orientate verso Asia e India.

Gb e Fr, infatti, cercavano di impossessarsi dei territori che permettevano l’accesso alla “via per le Indie”.

Fr allestì una catena di basi fra il mediterraneo e l’Indocina, Algeria, Tunisia, Somalia e “l ‘isola rossa” il Madagascar, e altre piccole isole nell’oceano indiano.

Gb Egitto, e principalmente la supremazia sul canale di Suez dal 1869.

Le mosse di avvicinamento coloniale o semicoloniale all’Africa Occidentale erano mimetizzate dietro l’impegno contro il “ commercio degli schiavi ” . Nell’Africa meridionale invece il colonialismo aveva stabilito degli avamposti solidi. L’annessione del Capo da parte di Gb nel 1814 rientrava ancora nella strategia delle comunicazioni interoceaniche con le Indie, ma questo disegno nel Sud Africa prenderà corpo solo fra gli anni ’70/’80 con un crescendo di aggressività fino alla guerra anglo boera 1899-1902, contro le due repubbliche boere, di origine olandese, costituite dopo il “Grande Trek” come Stati semiautonomi, il Transvaal e l’Orange.

In una prima fase di disegni imperiali coerenti, nacquero molteplici imprese al dettaglio e società commerciali, anche l’azione dei missionari si intensificò dal 1830 era volta a questi popoli come reazione alla scristianizzazione europea post rivoluzione francese e in questi territori si agiva a volte con diplomazia altre volte con la forza come ad esempio a Lagos, territorio di conquista inglese che sarà successivamente chiamato Nigeria nel 1914, o nella Costa d‘oro.

A metà del 19° secolo si intensificarono i trattati firmati da sovrani europei con rappresentanti, capi e sovrani africani, abusando delle condizioni di inferiorità degli interlocutori che produssero equivoci impliciti nella diversa concezione di sovranità, i trattati si dimostrarono un espediente a favore della penetrazione europea, come per i trattati ineguali imposti alla Cina, nello stesso periodo.

Molti erano i limiti che affliggevano le forme di statualità dell’africa precoloniale, dalla mancanza di collegamenti, indeterminatezza delle procedure per la successione , la porosità delle frontiere ecc.. con il commercio con l'estero principale strumento della penetrazione europea, si bloccò sul nascere il presupposto per una riorganizzazione autonoma degli stati africani, dal punto di vista della centralizzazione e della stabilizzazione del potere. Le stesse potenze coloniali pur disponendo di

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notevolissimi vantaggi, facevano fatica a padroneggiare un ambiente dispersivo, sottopopolato e turbolento. Gli stati dove si ebbero più tensioni in Africa Occidentale furono, l’attuale Ghana, Nuova Guinea e Costa d’avorio. Dagli stati Hausa al Nilo, la penetrazione europea dovette confrontarsi con gli effetti della rinascenza islamica, soppiantando gli arabi e i turchi, interrompendo le linee commerciali preesistenti. L’assimilazione francese partì da un atteggiamento favorevole all’Islam come anello intermedio della catena fra la tradizione e l’occidentalizzazione. L’impianto del colonialismo ebbe profonde conseguenze sulla demografia del continente.

3 - Imperialismo e colonialismo nella teoria e nella pratica:

La parola colonialismo spesso utilizzata come concetto intercambiale con imperialismo, deriva dal termine latino colonia, insediamento di cittadini romani in un territorio di nuova conquista. Ma di colonialismo e imperialismo in Africa si può parlare solo con gli anni intorno al 1880. Del resto prima e durante la tratta i rapporti dell’Europa con l’Africa non modificarono in termini di potere le autorità locali, che continuarono ad essere esercitate da africani. I primi viaggi nell’Africa nera avvennero intorno al 1830 ad esempio per stabilire il percorso del fiume Niger o del Nilo e individuarne le sorgenti, anche se con molti problemi sia economici che di morti nelle varie spedizioni.

La Francia considerò i vantaggi del “patto coloniale”, una politica che misurava la ricchezza di un paese nella quantità di metalli preziosi posseduti e che contava sulla fondazione di colonie in grado di fornire merci e alimenti. Le colonie dovevano produrre solo per la madrepatria, dovevano consumare solo i suoi prodotti e commerciare solo sotto la bandiera nazionale . I comptoirs commerciali venivano così trasformati in postazioni militari e colonie agricole per rifornimenti alimentari. La Gb difendeva con coerenza e costanza il libero scambio, scoraggiando con ciò l’espansione coloniale, inoltre la Gb non aveva bisogno di colonie estese, perché traeva il massimo profitto dalla sua egemonia nel mondo con un minimo di costi finanziari e militari.

Ma alla base del processo di accaparramento dell’Africa vi furono motivi politici ed economici, e le rivalità infraeuropee furono una concausa dello “ Scramble for Africa ” a partire dalla fine del 19°secolo. Dinamismo delle società europee, il senso morale di farsi carico dei continenti arretrati, furono fondamentali ma senza dubbio i fattori economici scandirono i modi e i tempi della spartizione, e questo venne ammesso in ogni opera da quelle di ottica più liberale a quelle marxiane, il capitalismo europeo induce a cercare altrove nuovi sbocchi e risorse e mercati.

Lenin vede l’espansione oltremare un passaggio obbligato.

Hobson critica l’imperialismo per la sua crudele opera di sfruttamento non presentando alcun vantaggio reale.

Schumpeter sostiene che i contenuti ideologici dell’imperialismo non possono essere misurati solo dal punto di vista del profitto in termini quantitativi, altri aspetti sul piano del consenso e dell’integrazione sociale derivano dalla conquista di beni e dei mercati in Africa.

Per i sostenitori di una antitesi a quella della spartizione secondo una ratio economica l’autore scrive.

Landes “ mentre è possibile che il vasto e crescente mercato interno sia stato sufficiente a suscitare e sostenere un rivoluzionamento del sistema produttivo in Europa, il commercio d’esportazione, tra cui quello coloniale, non può di per se averlo fatto” analizza così dati e statistiche principalmente su Gb e Fr.

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Fra i protagonisti dello Scramble neppure tutti i paesi, come ad esempio l’Italia, avevano capitali in eccedenza da collocare in Africa, molte iniziative di conquista coloniale derivavano da obbiettivi strategici, come Suez, oppure territori con predilezione storica o psicologica, ex il Mare Nostrum tema ricorrente per la giustificare l’espansione dell’Italia.

La “ cultura dell’impero ” (E.Said) entusiasmava le società europee con il progetto di creare imperi, era come se il destino dei territori lontani era quello di essere conquistati e sottomessi per il loro bene. La conquista presupponeva una presenza in colonia e un sostegno attivo da parte della metropoli capaci di tradursi in strutture istituzionalizzate e atteggiamenti mentali duraturi.

Joseph Chamberlain ministro delle colonie inglese fra il 1895 e il 1900 non cessò mai di considerare “triviali” gli affari coloniali a confronto con i temi veramente rilevanti per il regno unito, ma non si fermò di fronte a nessun atto espansionistico.

Il colonialismo è stato un’impresa eroica che ha impegnato tutta la società europea, dall’economia, all’esercito, alla chiesa, le accademie...giustificata sia dalla povertà che dalla ricchezza. Da qui i personaggi di Rhodes, Livingstone, Kipling, Ruskin..

La segregazione razziale trovò la sua forma istituzionalizzata soprattutto in Sud Africa dei Boeri o Afrikaner, ma permeò a livello inconscio sia l’indirect rule inglese che l’assimilazione francese.

Nella seconda metà dell’800 la parola passò ai governi e alle forze armate, l’ordine coloniale si fondava su una nuova alleanza fra europei e africani con un progressivo spostamento del fulcro dai nodi commerciali agli apparati amministrativi. Sarebbero nate così le colonie concepite e amministrate come un bene delle sole metropoli, dalle colonie in senso proprio ossia popolate da emigranti della madrepatria, oppure a quelle in cui l’opera si limita al solo sfruttamento economico. Si cercava di sviluppare le periferie agevolando il progresso del mercato. Alla continuità del centro si contrappone la discontinuità in periferia, anche l’Africa è sollecitata a produrre per il centro, e l’imperialismo è essenziale per rimediare all’instabilità in Africa come nelle altre aree preindustriali del mondo.

4 - Avvio dello Scramble For Africa:

La conquista coloniale dell’Africa iniziò nel 1876 e fu completata già negli anni ’80 dell’800 con una decisiva impennata nel 1895/1896. I l cardine è costituito dal 1885 anno della conclusione del Congresso di Berlino, la conquista fu in parte improvvisata e tumultuosa, partiti e uomini politici come Ferry, Chamberlain, Rhodes e Crispi convinti della missione espansionistica e civilizzatrice, alfieri dell’imperialismo e del neoimperialismo, portavoci di una dottrina sulle responsabilità dell’Europa. Fra il 1876 e il 1914 le potenze coloniale si annessero territori in tutto il mondo.

Nell’Africa spartita la preponderanza economica doveva accompagnarsi a quella politica. Il rush della spartizione prese la mosse da una sfida tra la Fr e la Gb con l’interferenza tedesca, la Germania spesso al fianco della Fr per contenere il potere di Londra anche per dare uno sfogo alle frustrazioni delle province perdute con Sedan.

Gb escalation precipitosa verso il colonialismo globale per evitare il declino della supremazia assoluta, impresa d’Egitto con il generale Napier contro Arabi il Pascià, dove l’insediamento divenne permanente anche se le denominazioni cambiarono nel tempo da protettorato a occupazione militare, solo la questione di Suez fu regolata collegialmente fra le tre con la Convenzione di Costantinopoli nel 1888. Successivamente anche la Germania bismarkiana nel gennaio 1885 aprì le danze alla sua vocazione coloniale.

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Leopoldo II re del Belgio, agiva a titolo personale per l’associazione africana internazionale con i fondi della Société Générale, collaborando anche con il giornalista americano H.Stanley, mai suoi obbiettivi politici erano evidenti e allertarono tutti i governi presenti in Africa. Il Congo nel cuore dell’africa era diventato un gigantesco monopolio economico.

Secondo le risultanze storiografiche il maggior indiziato dell’avvio dello Scramble fu oltre l’Egitto il Congo. Anche se la Francia vide le sue prime avvisaglie dello Scramble in Tunisia, Congo e Senegal, secondo la Francia, a differenza inglese, elabora un’apposita dottrina a sostegno della proiezione in Africa e in Asia di un sistema di governo più che di un popolo, è per questo che la spartizione dell’Africa viene retrodatata alla nascita dello stato libero del Congo e all’espansione di Brière de l’Isle in Senegal a partire dal 1876. Il desiderio di rivincita sulla Gb, per la questione egiziana, portò la Fr ad un espansione ulteriore in Africa Occidentale e lo sviluppo di una comunità di assimilati. Dal Senegal all’alto Niger. La Germania profittò della disputa fra le due per stipulare trattati di protettorato in Togo e Camerun, Tanganika e nel sud ovest con l’attuale Namibia.

La Gb sarebbe emersa dallo Scramble come la superpotenza africana, il suo disegno imperiale prevedeva un asse ininterrotto dal Cairo al Capo attraverso la valle del Nilo i Grandi Laghi e le terre australi. Considerando tutti i suoi possedimenti l’impero inglese riuscì a coprire un terzo della superficie del globo.

5 - La diplomazia del colonialismo: il Congresso di Berlino.

Fra le spinte provenienti dall’Europa e l’instabilità africana fra evoluzione e cedimento si pone il Congresso o Conferenza internazionale sull’Africa a Berlino nel 1884-1885. Il congresso si limitò a stabilire quali dovessero essere le modalità per procedere in futuro all’occupazione e si dedicò principalmente a sancire il principio del libero commercio nei bacini dei fiumi Congo e Niger, ma fu percepito come una vera e propria spartizione dell’Africa.

L’altro Congresso di Berlino svoltosi nel 1878 riguardava gli esiti della guerra fra Russia e Turchia, assecondò implicitamente l’espansione coloniale con degli atti come quello di Cipro alla Gb e il riconoscimento della rivendicazione Fr sulla Tunisia.

Al congresso sull’Africa, i capi politici dei territori africani non furono neanche presi in considerazione, fra i suoi obbiettivi principali erano un accesso libero per tutti al commercio stabilendo nel contempo delle sfere d’influenza esclusive, il libero scambio richiedeva una forma di spartizione del territorio per garantire la necessaria sicurezza.

Si aprì il 15 Novembre1884 e si chiuse il 26 Febbraio 1885 e vi presero parte, Gb, Fr, Germania, Portogallo,Spagna e Italia, Belgio, Paesi Bassi, Austria-Ungheria, Danimarca, Svezia, Russia, Turchia, Usa, fu un evento europeo in cui si discusse di Africa in assenza di ogni tipo di rappresentanza, perché gli stati del continente non avevano alcuna voce nel “concerto delle nazioni” .

Se nelle sezioni multilaterali prevalse il dialogo sul libero commercio nei negoziati bilaterali si ebbero compromessi anche in termini di assegnazione e occupazione.

Questione centrale era quella del Congo , che venne proclamato stato libero con Leopoldo come sovrano. Dei 38 artt che compongono l’atto finale del Congresso il 34° e il 35° riguardano la spartizione dell’Africa relativa alla penetrazione coloniale. Subito dopo il congresso infatti iniziarono trattati e accordi fra le potenze europee e i capi locali e ci fu una vera e propria corsa all’Africa.

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Dove la spartizione era ritenuta una condizione del libero scambio o il libero mercato apparteneva alla retorica e la spartizione alla realtà. Tutte le forme di presenza europea, reale, larvale o solo pretesa, sulla base di vaghi fondamenti storici avrebbero di lì a poco costituito le basi di una spartizione globale ed effettiva che segnò l’apogeo dell’imperialismo nella sua fase coloniale.

6 - La conquista fra resistenza e collaborazione:

La conquista comportava il controllo fisico del territorio dalla costa verso l'interno. Non sempre l’occupazione fu indolore, limitandosi a riportare sul terreno i contenuti stipulati con le autorità africane o gli accordi fra le stesse potenze coloniali in esecuzione delle regole poste a Berlino.

È la fase definita di “ pacificazione ” , ovunque possibile gli africani difesero l’indipendenza e l’autorità costituita resistenza primaria cioè la lotta delle entità statali precoloniali nelle primissime fasi dell’impianto del colonialismo.

Per altri versi questo passaggio, mettendo alla prova la sua capacità di confrontarsi con il cambiamento si profila spesso come ipotesi alternativa di politica, “modernizzazione”, ordinamento di governo. I tentativi di alzare il livello del sistema politico, riformare gli eserciti e gli istituti del potere per far fronte all’offensiva coloniale e alla penetrazione europea non ebbero successo. Guerre coloniali furono combattute da GB e FR.

Caso unico dello Scramble furono le truppe italiane con il generale Oreste Baratieri battute dalle armate di Menelik, imperatore di Etiopia nei pressi di Adua il 1°Marzo 1896 . La resistenza dell’Etiopia assunse già in epoca coloniale una valenza nazionale esprimendosi attraverso strumenti moderni, un’ottima classe dirigente un efficace burocrazia e armi provenienti dai mercati europei. La disfatta dell’esercito italiano fu un evento sensazionale ma non bloccò la conquista nel Corno d’Africa. Con il successivo trattato di pace venne riconosciuta formalmente l’Eritrea come colonia africana

***L’Etiopia: il primo stato dell’Africa contemporanea

Lo stato più antico dell’Africa contemporanea è stato a lungo considerato dagli europei qualcosa di eccezionale, sia per la leggenda che fa risalire le sue origini al figlio della regina di Saba e del re Salomone, sia per la religione cristiana che ne faceva, ai loro occhi un “bastione civilizzato” in mezzo a popolazioni “pagane”. La battaglia di Abba Garima presso Adua 1896, in cui Menelik II sconfisse gli italiani che volevano conquistare il suo territorio, contribuì ad accrescere il prestigio di questo impero, oltre che a consacrarne l’indipendenza. L’imperatore intraprese una politica espansionistica, partecipando insieme agli altri colonizzatori europei, alla suddivisione dell’Africa. Stato Sovrano, l’Etiopia entrò nella SDN nel 1923. Di fronte alla nuova aggressione dell’Italia, nel 1935 gli altri membri dell’organizzazione internazionale reagirono soltanto con delle proteste di principio, nonostante che Selassié, incoronato imperatore nel 1930, fosse andato a Ginevra per perorare la causa del proprio paese: l’Etiopia ha subito un occupazione coloniale dal 1936 al 1941. Durante la 2GM Selassié organizzò una resistenza alla testa della “Gideon Force” composta da rifugiati etiopi in Sudan, si diresse verso la capitale, appena liberata dai britannici, dove entrò nel maggio 1941. Gli accordi del Gennaio 1942 e del Dicembre 1944 gli restituirono il governo del paese. Sostenuto dal presidente Roosvelt, aderì alla Carta di S. Francisco e firmò nel 1953 un trattato di difesa reciproca con gli USA. Dopo aver ingrandito il suo territorio con l’Eritrea, proclamò una nuova estensione della Costituzione nel 1955. Promotore del vertice di Addis Abeba, nel 1963, Selassié raggiunse l’apogeo del suo prestigio in Africa, nonostante i dissidi con la Somalia e l’inizio della rivolta in Eritrea 1961. In seguito, però, il rafforzamento del potere personale, con gli abusi che ne sono derivati, hanno condotto alla caduta

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dell’impero, con la rivoluzione del 1974. Il suo successore il colonnello Menghistu, instaurerà un regime dittatoriale.***

Le ribellioni provocate dalla durezza delle repressioni e dalla libertà e sovranità perdute furono molte le più importanti che permisero la costruzione dell’idealtipo di “ resistenza primaria ” da parte dello storico inglese Ranger avvennero in Rhodesia del sud nel 1896/1897 (rivolte di Shona e Ndebele. Ci fu la grande rivolta Maji Maji nella zona tedesca del Tanganika che prese l’aspetto di una ribellione rurale e la rivolta degli Herero nel sud ovest. Ci furono anche ribellioni di tipo religioso e anche cristiano come la rivolta nel Nyasaland sotto il dominio inglese nel 1915.

Antitetica alla posizione dei ribelli e alla “resistenza primaria” fu la prospettiva in cui agirono i “ collaboratori ” . fonti francesi parlano di évolués e cioè di un tipo di evoluzione e di progresso che si era avuta dal colonialismo per questo alcune persone erano in grado di sopportarne l’intrusione e il dominio europeo. Uno scrittore senegalese sintetizzò con una metafora l’aspettativa di libertà e di progresso di cui l’Europa si faceva portatrice: “ Se gli europei sanno uccidere con efficacia, essi sanno anche guarire con la stessa arte”.

In alcuni casi si è avuta anche la situazione in cui le stesse élite o le stesse persone hanno praticato simultaneamente o in successione resistenza e collaborazione. La collaborazione può essere infatti una forma estrema della resistenza in difesa di una certa integrità. Una volta impiantata l’amministrazione coloniale, le potenze europee continuarono ad aver bisogno di collaboratori anche a livello di gestione degli affari statali: funzionari, interpreti, soldati.

7 - Il colonialismo in atto:

Accordo Franco-Inglese 1890 per l’Africa Occidentale.

Accordo Anglo- Tedesco 1890 per l’Africa orientale.

Accordo anglo-Portoghese del 1891.

Furono dei punti fermi sulle linee generali della spartizione con la delimitazione imperiali e scambi di territori.

La Gb che aveva annesso il Kenya nel 1866 ottenne nel 1890 l’Uganda importante per la sicurezza in Egitto e per i propri interessi economici perché sede di una delle sorgenti del Nilo.

Dal 1891 fino alla 1° guerra mondiale ci fu un’attività di occupazione sistemica, con il raggruppamento dei territori e il riordino amministrativo.

Il 1898 fu l’anno risolutivo per la competizione franco britannica in Africa. Crisi di Faschoda (Sudan), sull’orlo di uno scontro. La linea di penetrazione francese da ovest a est (Marchand ) si scontrò con il disegno inglese nord sud (Kitchener). Per la sproporzione delle forze convinse il governo di Parigi a ripiegare verso Obock e Gibuti, ma la tensione era alta non solo per l’Egitto e il Sudan ma anche per la regione del Niger dove Gb ne controllava una parte dal 1886 e la Fr un’altra dal 1888, la Faschoda del Niger si consumò a Bussa dove il contingente francese riconobbe la validità dei trattati firmati dagli agenti della Royal Niger Company. La Francia ottenne un collegamento con il bacino del Niger costituendo una continuità con le sue colonie occidentali, abbandonando però la regione del delta del Nilo.

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L’impero francese comprendeva: Senegal, Niger, Ciad, fino alla regione del Congo, ed era diviso nei due raggruppamenti dell’Africa Occidentale AOF con capitale Dakar e Africa equatoriale francese AEF con capitale Brazzaville. Fu esclusa dalla zona orientale che venne gestita da Gb, Germania e Italia, mantenne però le sue isole al largo del continente.

La Gb consolidò i suoi possedimenti nella Costa d’Oro e in Nigeria, nell’Africa australe ampliò i suoi territori con Rhodes alla testa della British south african company, impedendo al Portogallo di congiungere le sue colonie maggiori, Mozambico e Angola, e alla Germania di unire l’Africa del sud ovest con il Tanganika passando attraverso le repubbliche boere, potenziali alleati di Berlino. L’asse dal Capo al Cairo ideato dallo stesso Rhodes, fu completato a tutti gli effetti dopo la 1°GM, quando la colonia tedesca del Tanganika viene assegnata in mandato alla GB.

Il colonialismo era diventato una componente della “ grande politica ”, alcuni stati concorsero per prestigio o per emulazione.

Italia Eritrea, Somalia e Etiopia successivamente.

Belgio nel 1908 fece sua l’amministrazione del Congo in possesso al re Leopoldo.

Spagna Marocco e Sud del Sahara

Restarono fuori Danesi Olandesi e Scandinavi che avevano partecipato attivamente alle prime fasi della penetrazione europea. Restò formalmente fuori dalla conquista coloniale anche la Liberia, fondata da ex schiavi neri riportati in Africa dall’America e costituitasi in Repubblica indipendente dal 1847.

Sotto l’imperialismo inglese e in particolare quello feroce della guerra anglo boera nel sud-africa, venne promosso un progetto che esaltava la missione dell’uomo bianco, tutti i boeri anche quelli bianchi divennero oggetto dei processi di “ indigenizzazione ” e “ deumanizzazione ” che normalmente erano riservate solo ai neri. Dalla fusione fra le due colonie inglesi e le due ex repubbliche boere nacque nel 1902 l’Unione Sudafricana che nel 1910 divenne un dominion indipendente all’interno del Commonwealth.

Diverse regioni furono sottomesse effettivamente solo a molta distanza di tempo dalla proclamazione formale del rapporto coloniale e in molti casi l’amministrazione coloniale non riuscì mai ad insediarsi del tutto. A spartizione completata gli stati precoloniali non esistevano più e con essi si dissolse quell’ordine socio-istituzionale che pure le amministrazioni coloniali tenteranno più tardi di evocare e ricomporre, inventando anche le tribù africane (Ranger), per sfruttarle o per semplificare la gestione dei territori e per dare una configurazione culturale ai vari popoli.

8) Il colonialismo italiano

1- Dal Mediterraneo al Mar Rosso

Al pari delle altre potenze europee, l'Italia ha partecipato alle esplorazioni in Africa, e quindi alla penetrazione commerciale, economica e politica, ma il suo colonialismo è avvenuto in ritardo e con proporzioni molto ridotte. Questo ha permesso all'Italia alla fine del colonialismo, di recuperare velocemente una relazione di collaborazione con i paesi africani indipendenti senza l'ingombro di antichi rancori.

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L'Italia ha perduto le colonie come conseguenza della sconfitta nella 2GM e nella vita politica e nell'immaginario popolare, non c'è mai stato un esame di coscienza sulle implicazioni del colonialismo, ma è molto diffusa la tendenza a auto-assolversi e dare tutte le colpe al fascismo.

L'espansione dell'Italia in Africa si concentrò nella regione del Mar Rosso (Etiopia, Eritrea, Somalia) ma iniziò dalle coste del Mar Mediterraneo, già occupate però da nazioni molto più forti (la Francia in Algeria e Marocco e la GB in Egitto) e dovette quindi accontentarsi di una prelazione sulla Libia, che si tradusse in conquista solo nel 1911, grazie al tacito appoggio della GB, che preferiva la debolezza dello Stato Italiano ad una eventuale invasione della Libia e delle terre orientali da parte di Francia o Germania.

Per molti anni comunque l'Africa rimase un terreno secondario per la nostra politica, dove la Sinistra storica non vedeva con simpatia i programmi di conquista. L'Italia poi dopo l'unità aveva ancora problemi di instabilità e sviluppo, e non c'erano capitali e flussi economici da collocare all'estero. Ne risulta quindi un colonialismo improvvisato, spinto più per imitazione delle altre potenze che da vere esigenze statali. A spingere nel senso del colonialismo erano la Lega Navale, l'Istituto Coloniale Italiano, la Società d'esplorazione commerciale in Africa (per fini espansionistici e imperiali) e per fini economici la Marina Mercantile, l'industria cantieristica e bellica e le missioni cattoliche, impegnate a contendere fedeli all'Islam.

Tra gli obiettivi coloniali italiani, era oramai divenuto un chiodo fisso l'Etiopia. La posizione geopolitica dell'Italia al centro del Mediterraneo e la larga generalizzazione del fenomeno coloniale, costrinsero i politici italiani a spingere verso la conquista, per rimanere al passo con le altre potenze europee. Il 12 giugno 1882, Mancini proclamò che “l'Italia aveva assunto una missione di pace e civiltà nel Mar Rosso” e si prodigò affinchè il nostro paese fosse invitato al Congresso di Berlino nel 1884, dove l'Italia convertì la sua astensione a programmi coloniali con contenuti politici.

2 – I primi possedimenti

L'Italia aveva da tempo una molteplicità di agganci e tradizioni coloniali: le glorie delle repubbliche marinare, le iniziative economiche in Levante e nel Nord Africa, i grandi navigatori ed esploratori, il trasferimento oltremare di minoranze che hanno dato prova di una non comune capacità di integrarsi nelle società di accoglienza.

L'Insediamento dell'Italia in Africa orientale iniziò nel 1869, lo stesso anno dell'apertura del Canale di Suez, con l'atto di compravendita di Assab (uno scalo di piccolo rilievo commerciale sulla costa) stipulato tra la compagnia Rubattino di Genova e i sceicchi che ne detenevano la sovranità. Questa linea di comunicazione diretta tra Mediterraneo e Mar Rosso consentì all'Italia di avvicinarsi all'Etiopia e nel 1882 permise la nascita del “ colonialismo ufficiale italiano ” , con la bancarotta del Rubattino e il conseguente subentro dello Stato italiano.

Fondazione dell'Eritrea attorno ad Assab, venne creata una rete di interessi che culminò nella fondazione dell'Eritrea, la colonia primigenia, ritagliata a spese di Turchia, Egitto e Etiopia. Nel 1885 l'Italia occupò con una repentina operazione militare la città portuale di Massau e il relativo entroterra, con il tacito consenso dell'Inghilterra e la morte di centinaia di soldati italiani, impegnati a consolidare il possedimento prima dominato dall'altipiano abissino. La colonia Eritrea fu proclamata ufficialmente il 1° gennaio 1890 e Asmara come capitale.

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Somalia altra direttrice di penetrazione nell'Africa orientale fu la regione costiera del Corno vero e proprio, abitata da pastori islamizzati somali. L'Italia procedette per gradi, territorio dopo territorio e con vari trattati di cessione firmati con sultani locali, potè prendere il controllo diretto della Somalia nel 1905, fissando la capitale a Mogadiscio.

Etiopia Eritrea e Somalia erano tappe di avvicinamento. La posta più ambita del colonialismo italiano era l'Etiopia. Con il Trattato di Uccialli (2 maggio 1889), firmato insieme all'imperatore Menelik II, l'Italia presumeva di avere istituito sullo stato del negus un protettorato. Menelik invece attribuiva al trattato un valore molto minore e e nel 1893 denunciò una delle clausole (art.17) le cui versioni in italiano e amharico erano diverse. Si creò cosi un clima di diffidenza e tensione che portò Italia ed Etiopia alla guerra. Aiutata anche da rifornimenti militari francesi, il 1°marzo 1896, l'Etiopia sconfisse l'Italia ad Adua, chiudendo cosi l'avventura coloniale italiana. Con il Trattato di Addis Abeba del 26 ottobre 1896 che pose fine alla guerra, l'Italia riconobbe a tutti gli effetti la sovranità dell'Etiopia, facendosi però confermare il possedimento dell'Eritrea Per alcuni anni in Italia nessuno volle più sentire parlare di colonialismo e Africa, e fino all'aggressione fascista del 1935, Adua è stata un'onta insopportabile per i nazionalisti di casa nostra.

3 – Gli anni della Prima guerra mondiale

Nella promozione di una ripresa d'interesse per il colonialismo, si distinse Ferdinando Martini, letterato e politico, che divenne il primo governatore civile dell'Eritrea e che invito politici e stampa italiana al Congresso di Asmara nel 1905, per sensibilizzare il pubblico e le autorità sul successo italiano in questa colonia. Nacque cosi l'Istituto Italiano Coloniale (ICI) nel 1906.

Nonostante le sconfitte e l'impiego di forze nel Corno d'Africa, l'Italia non aveva rinunciato al Mediterraneo, e prese spunto dalla crisi marocchina per far rivalere i propri diritti sulle province ottomane di Tripolitania e Cirenaica. Per assicurarsi il controllo della Libia, l'Italia dovette combattere una guerra contro la Turchia, che durò pochi mesi, e una successiva contro le formazioni politico-religiose che difendevano l'autonomia della Cirenaica e Tripolitania come parte delle terre dell'Islam Trattato di Losanna 18 ottobre 1912 il governo ottomano abdicò e il territorio che passò sotto la sovranità italiana si estendeva dal mare fin dentro il Sahara

La conquista della Libia segnò un salto di qualità e di quantità nell'azione coloniale italiana. L'Italia ufficiale era oramai decisa ad imporre con tutte le forze le sue mire coloniali , e venne creato il ministero delle Colonie, che formò competenze in ambito coloniale.

4 – La fondazione dell'Impero

L'occupazione effettiva dei possedimenti in Africa ebbe luogo nel periodo tra le due guerre, molto più tardi rispetto alle costruzioni imperiali delle maggiori potenze europee e quando il colonialismo su scala mondiale era oramai in regresso.

Le circostanze in cui si attuò l'opera coloniale dell'Italia fascista, prima il Libia e poi in Etiopia, macchiò di infamia il nostro colonialismo. Il regime costituito da Benito Mussolini nel 1922, raccolse e coordinò suggestioni ideologiche e ambizioni di potenza, di fierezza razziale e nazionalistica, che culminò con l'occupazione dell'Etiopia e nella proclamazione dell'impero.

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Libia L'azione militarmente più impegnativa prima dell'invasione dell'Etiopia, fu la lunga guerra contro la Senussia in Libia. Dopo la prima guerra mondiale, l'Italia fu costretta a ritirarsi dal territorio libico, tenendo la propria sovranità solo in poche città sul litorale. Dopo dieci anni, l'esercito italiano rinforzato da truppe eritree, impiegò armi e rappresaglie contro i civili, istituì campi di concentramento e decimò il bestiame dei pastori beduini per annientare il nemico. La sconfitta finale della Senussia fu sancita con la cattura, condanna a morte ed esecuzione in pubblico del prestigioso Omar al Mukhtar, un patriota per tutti i libici. La Libia fu poi organizzata per essere una colonia di popolamento, dove una massiccio trasferimento di italiani aveva dotato di infrastrutture viarie, idriche e abitative il territorio. Lo scoppio della 2GM impedì la completa realizzazione di queste grandi opere.

Somalia Negli anni 20, fu completata l'occupazione e ricomposizione della Somalia italiana, che aveva già lo statuto di colonia dal 1908. I somali erano troppo dispersi e divisi da rivalità interne per far fronte comune alla conquista coloniale. Con il consolidamento delle posizioni in Somalia, erano state poste le basi per l'attacco all'Etiopia.

Etiopia Il pretesto per attaccare l'Etiopia, fu fornito dall'instabilità della frontiera con la Somalia italiana, nella zona semidesertica dell'Ogaden. Il 5 dicembre 1934 nell'oasi di Ual Ual ci fu uno scontro a fuoco tra le truppe etiopi e le truppe italiane che presidiavano il confine. Tutti i tentativi di conciliazione e di mediazione caddero nel vuoto. L'imperatore Haile Selassie portò la questione davanti ad un arbitrato internazionale e poi alla Società delle Nazioni. L'Italia però, senza aspettare nessun verdetto, penetrò in territorio etiopico, ponendo tutti davanti al fatto compiuto.

I primi reparti italiani agli ordini di Del Bono e Badoglio, varcarono il 3 ottobre 1935 il fiume Mareb, entrando in Etiopia dall'Eritrea. Altri reparti mossero invece dalla Somalia. L'Etiopia restò sola a difendere la propria dipendenza, e l'esito sembrava scontato. Ma la resistenza etiope si fece molto dura e da Roma giunse l'ordine di usare tutti i mezzi possibili, anche passando sopra le norme internazionali (gas tossici) per avere la meglio. L'imperatore Selassie esiliò in Inghilterra, per cercare nuovi appoggi diplomatici, e cosi l'esercito italiano al comando di Badoglio, il 5 maggio 1936 entrò ad Addis Abeba.

Il 9 maggio dal balcone di Palazzo Venezia, il Duce proclamò la fondazione dell'impero.

L'Eritrea e la Somalia furono riunite con l'Etiopia in un insieme che fu ribatezzato Africa orientale italiana (AOI) e il primo vicerè fu Pietro Badoglio.

Dietro agli abusi commessi dagli italiani, che ebbero conseguenze ancora più pesanti dopo le leggi razziali del 1938, fu condotta comunque una politica di sviluppo e di modernizzazione (strade, nuovi quartieri, ospedali, scuole). La presenza italiana in Etiopia durò soltanto 5 anni e fu poco più di una occupazione militare, che fu sempre contrastata dal popolo etiope e che rese il controllo del territorio sempre molto precario.

5 – La perdita delle colonie

Tutti i possedimenti italiani in Africa vennero perduti nel corso della seconda guerra mondiale, sotto l'offensiva degli eserciti alleati, in maggioranza inglesi.

L'Africa orientale fu persa nel 1941, quando Haile Selassie rientrò ad Addis Abeba al seguito delle truppe inglesi vittoriose e riprese il potere in Etiopia, mentre Eritrea, Somalia e Libia (persa nel 1943) vennero occupate dalle armate britanniche.

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A parte l'Etiopia, che recuperò subito la sua indipendenza, sugli altri territori si aprì dopo la fine della guerra una contorta vicenda in sede internazionale, fatta di trattative e baratti che ebbe come protagoniste le potenze europee e non i popoli e le elitè politiche delle colonie. Il Trattato di pace prescriveva che il destino ultimo delle ex colonie italiane doveva essere deciso dalle quattro superpotenze vincitrici e in mancanza di un accordo entro un anno, dalle Nazioni Unite. I quattro grandi non trovarono mai un accordo, perchè le ex colonie avevano una importanza strategica di primo rilievo nei nuovi equilibri internazionali:

la Gran Bretagna aveva costruito basi in Libia

gli Stati Uniti avevano aperto in Eritrea presso Asmara una stazione per il controllo delle comunicazioni che considerava essenziale, e poi aveva un interesse per l'Etiopia cristiana

la Francia era contraria a riconoscere con troppa fretta l'indipendenza delle ex colonie italiane, per la paura che questo potesse creare un precedente per i propri possedimenti e fomentare la voglia di libertà dei popoli colonizzati

l'URSS era interessata a gestire uno dei possedimenti per accreditarsi come grande potenza alla pari e per assicurarsi un accesso ai mari caldi

Guerra Etiopia – Eritrea

La situazione in Eritrea si presentava molto intricata. La Gran Bretagna pensava ad una spartizione fra zone cristiane da annettere all'Etiopia e zone musulmane da annetter invece al Sudan. Agli Stati Uniti premeva dare soddisfazione all'Etiopia. I Paesi Arabi volevano difendere il carattere islamico dell'Eritrea e non volevano rafforzare l'Etiopia cristiana. Nel fronte interno, c'era da una parte la vocazione indipendentista dei musulmani e l'unionismo invece con la Chiesa e la dinastia etiopica dei cristiani.

La decisione fu presa dalle Nazioni Unite, spinta dagli Stati Uniti , che il 2 dicembre1950 costituì l'Eritrea come “unità autonoma” federata all'Etiopia scelta di difficile attuazione, estranea alla cultura locale e viziata dal fatto che la politica estera e le finanze erano controllate dal solo governo etiopico. Questo diverso livello di potere intralciava l'inglobamento dell'Eritrea all'Etiopia. Intanto il governo autonomo eritreo fu gestito dagli unionisti cristiani, finchè con un atto di forza mascherato da un voto del parlamento di Asmara, nel 1962 l'Eritrea divenne a tutti gli effetti provincia etiope. Iniziò una guerra che durò 30 anni fra i Fronti di liberazione eritrei per la dipendenza e la difesa ad oltranza dell'Etiopia, soprattutto per non perdere lo sbocco al mare. L'Eritrea giunse alla dipendenza nel 1991, con la caduta del regime militare dell'Etiopia.

Indipendenza della Libia

La sistemazione del caso libico fu meno contrastato rispetto al caso etiope. L'Italia capì che sulla Libia non aveva più margini di manovra e si delineò cosi l'indipendenza, che fu approvata dall'ONU il 21 novembre 1949. Capo dello stato diventò Idris es-Senussi, vecchio antagonista dell'Italia, che governò lasciando una certa autonomia alle tre componenti della Libia indipendente (Cirenaica, Tripolitania e Fezzan) e confermò la concessione delle basi militari a GB e Stati Uniti.

Indipendenza della Somalia

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Nonostante la GB avesse accarezzato il sogno della “Grande Somalia”, proponendosi di unire tutte le terre abitate dai somali su cui esercitare la sua alta influenza, l'ONU decise di affidare all'Italia l'amministrazione fiduciaria della Somalia per dieci anni, a partire dal 1950. Il compito italiano era quello di preparare , attraverso verifiche periodiche dell'ONU, la Somalia all'indipendenza , che avvenne nel 1° luglio 1960 . Il bilancio italiano positivo, anche se erano pochi i capitali investiti e la Somalia rimase uno dei paesi africani più poveri. Nei medesimi giorni, la GB concesse l'indipendenza al Somalidad che potè così definitivamente fondersi con la Somalia, formando la Repubblica Somala.

Per concludere, si può dire che l'Italia ha lasciato fragili tracce nel colonialismo. Non si è formato in Africa un blocco di paesi italofoni: la Somalia ha provveduto a dotarsi di una lingua nazionale, la Libia è divenuta un paese arabo a tutti gli effetti e in Etiopia e Eritrea l'italiano è parlato sempre meno man mano che scompaiono le generazioni che sono venute a contatto direttamente con l'amministrazione italiana.

9) Origini e sviluppo del nazionalismo

1 – Vecchia e nuova statualità

Il colonialismo stabili una nuova mappa geopolitica dell'Africa. Il sistema coloniale privò le èlites del potere e lo stesso quadro etnico-territoriale ne uscì sconvolto. La lista delle entità statali africane sparite o spartite è lunghissima, molti sovrani e capi di stato vennero uccisi o esiliati e in breve si costituirono poche decine di possedimenti più o meno ampi, retti da sistemi di governo europei che diventeranno poi i futuri stati africani indipendenti.

Ciò che sopravvisse alla sconfitta generalizzata dell'Africa, è il senso di identità etnica o politica, che fece nascere il movimento anticoloniale e il nazionalismo, proponendosi di ricostituire Stati e nazioni indipendenti. La leadership di questi movimenti venne comunque assunta dalle piccole borghesie burocratiche, commerciali ed intellettuali, cresciute nelle strutture del potere coloniale. Da qui nasce il concetto scritto da uno storico ghanese in cui afferma che “Il nazionalismo africano fu uno dei sottoprodotti accidentali del colonialismo”.

2 – Il mito dell'Etiopia e il caso della Liberia

La Liberia e L'Etiopia, e solo questi due Stati nel continente, conservarono l'indipendenza attraverso tutta la fase della conquista e spartizione dell'Africa. Il grido che nell'era del nazionalismo e del liberalismo si levò da tutta l'Africa e dagli africani era per i riscatto dei neri, ovunque si trovassero. Ad Etiopia e Liberia spettava un compito speciale: la prima perché la sua immagine mitizzata di Madre Nera dava sollievo ai neri oppressi; la seconda perché la sua stessa esistenza era una prima prova della liberazione degli africani che avevano patito la schiavitù.

Caso Liberia Nasce tecnicamente nel 1822 , come colonia dell'American Colonization Society, allo scopo di installarvi gli afro-americani liberi che desideravano sfuggire all'oppressione dello schiavismo e del razzismo in America. La Liberia venne salutata come il nucleo originario di un più vasto Stato africano e il suo nome teneva alta la torcia della libertà. Nel 1847 divenne ufficialmente una repubblica indipendente con capitale Monrovia, governata da una minoranza di americano-liberiani (chiamati “creoli”) di cultura apertamente Occidentale nello stile di vita, nella lingua inglese, nella professione del cristianesimo e nelle istituzioni politiche.

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In un misto di realtà, utopia e retorica, la Liberia era dipinta come la nuova Etiopia per la nuova Africa. Ma la costituzione della Repubblica di Liberia era stata accompagnata da speranze esagerate, e già nel 1875-76 le illusioni di gloria erano finite. Il governo di Monrovia era in mano ad una coalizione di uomini insensibili alle necessità del paese e ai nativi del posto, ma preoccupati soltanto di dare potere alla minoranza dei neri “rimpatriati”. Continuava poi a essere soggetta ad interferenze delle potenze europee, che con aiuti finanziari la poneva sempre in posizione di dipendenza, tanto che venne percepita poi come colonia effettiva della Gran Bretagna.

3 – Panafricanismo e Negritudine

Pur nella diversità delle rispettive situazione, Panafricanismo e Negritudine si rivolgevano agli africani e ai neri al di là dell'Atlantico con finalità sempre orientate alla libertà, alla rivendicazione d'indipendenza e al recupero dell'identità negata.

Panafricanismo i suoi promotori sono neri americani che militarono nelle associazioni in difesa dei diritti dei neri e ha soprattutto carattere politico. Marcus Garvey è il fautore del “ritorno” dei neri in Africa per creare uno Stato unitario e redimere l'Africa. Fondò la Universal Negro Improvement Association e costituì una compagnia di navigazione per organizzare il trasporto dei neri in Africa. Il suo nazionalismo però assunse un aspetto razziale. Du Bois invece andava alla radice della discriminazione di cui erano vittime i neri e affermando che la liberazione era un processo soprattutto culturale e sociale, organizzò una serie di congressi in città europee per abituare i leaders neri e africani a discutere dei problemi del progresso e della libertà.

Negritudine fu elaborata soprattutto da intellettuali francofoni, prevale quindi il movimento culturale. Agisce soprattutto sulla considerazione che i neri hanno di se e della propria civiltà, e punta a riammetterli indipendenti e sicuri di se nella civiltà universale.

4 – Gli effetti delle due guerre mondiali

Per tutto il periodo coloniale, l'Africa restò ai margini della scena internazionale e non aveva titolo per pronunciarsi sulle vicende della comunità delle nazioni. Non mancò comunque di subire i contraccolpi dei più importanti eventi mondiali, dalle guerre ai progressi tecnologici e crisi finanziarie.

1° Guerra Mondiale

Il coinvolgimento dell'Africa nella guerra fu duplice: come teatro bellico per lo scontro fra le varie potenze e per l'impiego di soldati delle colonie sui campi di battaglia. L'Africa a causa della guerra subì gravi carestie ed epidemie, soprattutto causate da malattie, fra cui l'influenza, portate dagli europei. Ma l'uso di soldati africani impiegati anche nelle battaglie europee, ha permesso a molti giovani di prendere conoscenza diretta con la realtà europea, in Francia soprattutto. I soldati africani colsero il loro padroni coloniali in un momento di grande debolezza, e questo favorì poi l'emancipazione africana, smitizzando il mito dell'invincibilità dell'uomo bianco . Alla fine della guerra, i paesi africani non videro cambiare il proprio status di colonie, ma videro nascere i primi movimenti e partiti a tendenza nazionalista. Associazioni politiche si formano soprattutto nelle città e nel 1922 nasce in Sud Africa il primo partito africano , l' African National Congress , e nel 1927 a Bruxelles si tenne la Conferenza dei popoli oppressi , il primo grande congresso afro-asiatico della storia, che proclamò i temi dell'indipendenza e dell'emancipazione.

2° Guerra Mondiale

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La Seconda guerra mondiale continuò e completò il processo iniziato con la Prima. Il principio dell'autodeterminazione venne ufficializzato nella Carta atlantica redatta da Roosvelt e Churchill nel 1941: i popoli colonizzati furono prontissimi a cogliere la portata rivoluzionaria di quelle dichiarazioni e il mito della supremazia dell'uomo bianco, già intaccato nella Prima guerra, non sopravvisse alla Seconda. Guidata dai “reduci”della guerra, tornati nel proprio continente dai vari fronti europei, anche l'Africa imboccò la strada dell'indipendenza.

10) Processo di decolonizzazione e indipendenza

1. Un evento di portata generale:

l’indipendenza dei paesi asiatici arabi e africani rispondevano a fattori e stimoli locali mentre la decolonizzazione ha avuto una dimensione globale, perché:

ha proceduto in modo pressoché simultaneo in tutti i continenti

perché fu incoraggiata o appoggiata da mutamenti politici ed economici che si determinano nel mondo per effetto della 2°GM.

La guerra fredda con la scesa in campo delle due superpotenze sovvertì gli equilibri favorendo la fine dell’imperialismo o quantomeno dell’imperialismo nella sua forma coloniale.

La guerra ebbe l’effetto di cancellare dall’Africa i possedimenti italiani e tedeschi, che persero le loro colonie al termine della 2° o della 1° GM. Nelle conferenze di guerra fra gli Alleati fu messo apertamente in discussione il diritto della GB e della FR a riprendere possesso dei territori dell’Asia, di cui avevano perduto il controllo.

Le implicazioni generali della decolonizzazione favorirono il movimento verso l’indipendenza dell’Africa come di tutti i popoli coloniali , anche se era dipeso dai calcoli di forze superiori.

Il principio e il diritto di autodeterminazione, fu impedito dalla guerra fredda. La decolonizzazione sconta l’aporia di essere un grande processo dal basso per l’emancipazione e la liberazione dei popoli colonizzati e nello stesso tempo una riaggregazione vigilata dall’alto per redistribuire il potere in base ai rapporti di forza sanciti dalla guerra.

I paesi membri delle Nazioni Unite che erano 51 nel 1946, raddoppiarono nel 1960, anno passato alla storia come “ l’anno dell’Africa ”, in cui 17 paesi proclamarono la propria indipendenza.

La decolonizzazione nel mondo ha avuto un andamento irregolare, a cerchi concentrici, per continente o per potenza coloniale, un percorso che inizia dal Medio Oriente prosegue con l’Asia Meridionale, Sud-Orientale e si conclude con l’Africa, prima quella araba e poi con quella del sud del Sahara. Gli stati coinvolti furono la Gb, la Fr, il Portogallo, il Belgio e la Spagna. Rientrano nella decolonizzazione anche rotture di carattere rivoluzionario in stati che non erano possedimenti coloniali in senso stretto. Si pensi al Nasserismo in Egitto o alla proclamazione della Repubblica popolare cinese nel 1949.

Anche se la decolonizzazione si colloca logicamente nella dimensione nord-sud delle relazioni internazionali, i suoi sviluppi interferirono con l’asse est-ovest e viceversa . I vari atti della

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decolonizzazione furono tutt’altro che indolori e la sicurezza internazionale e la pace vennero continuamente messe alla prova dalle tensioni e dalle guerre che l’hanno costellata.

Si può distinguere una decolonizzazione che segue procedure essenzialmente politiche, negoziali o invece una decolonizzazione che ricorre all’azione diretta e alla lotta armata, esiste un’ampia tipologia anche per le guerre di liberazione nazionale: Algeria, colonie portoghesi e africa australe nonché Palestina o Vietnam.

L’ideologia alla base del movimento è il nazionalismo, che si autolegittima con il riferimento a una nazione o ad un popolo che reclama la propria emancipazione in un territorio dato. In africa contribuirono anche ideologie transazionali a carattere universaleggiante: come il panafricanismo e la negritudine fungono da sfondo per l’indipendenza dei singoli territori africani.

2. Territori, nazioni e Stati:

Prendendo come data d’inizio del colonialismo il 1880, l’Africa ha subito l’impatto più marcato sul piano della politica e della statualità. Con la decolonizzazione la storia non è ricominciata dove era stata interrotta dallo Scramble. Le formazioni statali che hanno sostenuto l’urto del colonialismo europeo a sud del Sahara non sono sopravvissute al colonialismo. Per questo viene a volte definito dagli storici con una funzione oggettiva di Nation-building, l’ideologia dell’indipendenza si era richiamata solo minimamente al passato precoloniale. Pur lottando contro il potere coloniale, le élite non avevano interesse ad abbattere del tutto il mondo del colonialismo, perché la richiesta dell’indipendenza partiva dalla situazione coloniale e da un ceto dirigente che conosceva solo quell’esperienza e si era formato in essa.

Lo stato africano indipendente è un insieme complesso, in esso convivono motivi, codici e modi di derivazione europea e in parte riflettono la storicità africana. Gli stati della decolonizzazione hanno dato una prova di durata insospettabile di fronte a difficoltà strutturali spesso disperanti e nell’insieme la diplomazia africana è riuscita a mantenere la continuità ininterrotta di una cinquantina di Stati.

***La nascita degli Stati africani è avvenuta nell’arco di alcuni decenni.

L’indipendenza, negoziata ed ottenuta con la guerra, in generale non ha mai portato a una vera rottura con la madrepatria.

L’evoluzione dell’Africa nera francese verso l’indipendenza è paragonabile a quella dei territori inglesi dell’Africa occidentale, anche se è avvenuta successivamente ed è stata imposta alla Fr dalla necessità di concentrare tutte la sue forza in Algeria. La legge quadro o legge Defferre stabilì un regime di autonomia interna nel Giugno 1956. I governi locali, diretti da personalità africane elette a suffragio universale, avevano la facoltà di decidere degli affari interni di ogni territorio; la madrepatria manteneva però sul posto un proprio alto funzionario. Appena giunto al potere il generale De Gaulle propose la creazione di una comunità francese che fu approvata il 28 Settembre 1958 con un referendum in Francia e nei paesi africani e malgasci; soltanto la Guinea non accolse la proposta, diventando immediatamente indipendente. I territori godevano a questo punto di una completa autonomia interna, ma la politica estera rimaneva competenza della Fr. Questa soluzione non è duratura tuttavia a lungo, dato che a partire dal 1960 i governi locali si sono pronunciati a favore dell’indipendenza, anche se poi hanno mantenuto rapporti con l’ex madrepatria attraverso convenzioni bilaterali. Il tentativo di realizzare una struttura francese paragonabile al Commonwealth è così fallito.

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Nei territori britannici dell’Africa orientale e centrale, a differenza di quelli dell’Africa Occidentale, il problema politico era reso ancora più difficile dall’esistenza di una popolazione eterogenea: colonizzatori bianche, gruppi asiatici e una maggioranza nera in continuo aumento.

Il principio della partnership e dell’associazione delle razze, da realizzarsi sulla base del grado di civilizzazione raggiunto, portò nel 1953 alla creazione della federazione dell’Africa centrale, che riuniva le Rhodesie e il Nyansland.

Le indipendenze difficili: l’accesso all’indipendenza dei territori inglesi e francesi dell’africa nera ha creato un contesto favorevole alle rivendicazioni nazionali dei territori ancora dipendenti.

Nel Congo belga i movimenti politici si sono sviluppati più lentamente a causa della politica attendista e paternalista della madrepatria. La situazione si era sbloccata nel 1958, in seguito ad una serie di eventi esterni: l’evoluzione del Congo dopo il discorso del generale De Gaulle a Brazzaville, la conferenza panafricana di Accra nella quale Lumumba aveva incontrato alcuni dirigenti nazionalisti, l’esposizione universale di Bruxelles, che aveva permesso a molti congolesi di uscire dal paese e di confrontare la propria situazione con quella di altri popoli africani. Una sanguinosa sommossa nel gennaio 1959 “la giornata dei martiri” diede luogo alla formazione di una commissione d’inchiesta e ad una dichiarazione di re Baldovino all’indipendenza del Congo belga. Una tavola rotonda riunita nel Gen-Feb 1960 nono portò a nessun risultato, i nazionalisti infatti si rifiutarono di accettare il regime parlamentare proposto dai belgi.

La loro richiesta di indipendenza fu accettata dalla madrepatria il 30 giugno 1960, di cui si parlò di “indipendenza svenduta” per la rapidità della sua concessione, a questa popolazione che era stata sempre lontana dalla vita politica. In seguito, l’esplosione di conflitti interni ha messo in pericolo l’esistenza del nuovo Stato sin dalla sua nascita.

In Algeria, invece, l’indipendenza è stata raggiunta solo dopo la guerra scatenata dalla Francia in risposta alle rivendicazioni nazionali. I contingenti militari impiegati dalla Fr furono aumentati progressivamente fino a 400.000 dopo il voto che aveva concesso poteri speciali al governo Guy Mollet. Parallelamente il FLN, fronte di liberazione nazionale algerino riorganizzò le proprie forza al congresso clandestino detto della “Summam” il 20 agosto 1956, nel quale fu eletto un Consiglio nazionale della Rivoluzione algerina CNRA, composto da 34 membri col compito di dirigere la politica del FLN, che doveva essere realizzata da un comitato di coordinamento e di esecuzione di 5membri. Contemporaneamente l’armata di liberazione nazionale ALN veniva unificata sotto la guida di Belquasem Krim. Le operazioni militari e rappresaglie si intensificarono. Servendosi di metodi sbrigativi come la tortura, l’esercito francese aveva iniziato una caccia ai terroristi che raggiunse il culmine con la “battaglia di Algeri” dal Gennaio al Settembre 1957. La situazione era resa più difficile dal fatto che i francesi d’Algeria temevano di essere abbandonati dalla madrepatria, dove una parte sempre maggiore della popolazione chiedeva che venissero avviate delle trattative di pace. La manifestazione organizzata dai francesi d’Algeria il 13 maggio 1958 portò alla creazione di un Comitato di salute pubblica diretto dall’esercito che reclamò l’avvento al potere del Generale De Gaulle. Il 1 giugno vennero conferiti pieni poteri a De Gaulle che iniziò i suoi lavori per la 5° Rep. E optò per un ritiro progressivo delle truppe francesi, in cui propose soluzioni graduali che portarono prima all’apertura delle trattative e infine gli accordi di Evian 1962. Sull’altro fronte il FLN aveva costituito nel marzo 1958 al Cairo il governo provvisorio della Repubblica algerina (GPRA), riconosciuto da 15 paesi e portò all’indipendenza il 5Luglio 1962. L’indipendenza mise fine a 132 anni di colonizzazione, al referendum per l’autodeterminazione previsto in base agli accordi di Evian del 18 Marzo 1962hanno

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vinto i Si, la folla davanti alla prefettura di Algeri acclama Ben Keddha e i membri del GPRA che si era costituito il 18 Settembre 1958.

Anche nelle colonie portoghesi la nascita dei nuovi stati indipendenti è avvenuta in un contesto di repressione e di guerra. La politica portoghese fu contestata sia da africano che da europei, l’amministrazione instauré allora un regime di terrore e gli arresti si intensificarono nel 1959/1960, fra i quali spicca quello di Neto, presidente del movimento popolare di liberazione dell’Angola che portò all’immediata conseguenza della fuga dei nazionalisti verso paesi vicini. La situazione si è risolta in seguito alla rivoluzione dell’Aprile 1974, condotta da alcuni ufficiali portoghesi, che accettò l’indipendenza della Guinea Bissau, del Mozambico e dell’Angola. I nuovi stati erano destinati a fare i conti con le divisioni ereditate dal periodo della lotta anticoloniale.

Dopo il ritiro del Portogallo non rimanevano più possedimenti europei in Africa, a parte il Sahara occidentale spagnolo. I confini ereditati dalla colonizzazione sono stati mantenuti per garantire la pace nel continente. È su questa base che i nuovi stati danno vita a rapporti di cooperazione internazionale e interafricana.

Gli stati europei hanno comunque mantenuto una notevole influenza sulle loro ex colonie, intervenendo talvolta anche nella loro politica interna, com’è accaduto per la Gb in Uganda e Kenya nel 1964 e per la Fr in Gabon nello stesso anno.

I paesi africani sono stati oggetto dei tentativi delle superpotenze di portarli nelle rispettive sfere d’influenza, sia per il peso che assumevano nell’Assemblea dell’Onu sia per motivi di ordine geostrategico. Il gioco delle rivalità internazionali si è manifestato in alcuni conflitti, come la crisi del Katanga 1960/1963 o la guerra del Biafra.

Gli Usa già presenti in Liberia, hanno creato nuove basi in Etiopia, Libia e Marocco e hanno accresciuto i loro rapporti economici in Sud Africa, Tunisia, Ghana e Nigeria.

L’URSS si è rivolta al continente africano più tardi, allacciando rapporti con l’Egitto . Assieme alle democrazie popolari, ha approfittato dell’indipendenza della Guinea 1958, e quindi dei dissidi tra Mali e Fr per cercare di sostituirsi a quest’ultima. La sua influenza si è poi accresciuta sulla spinta delle scelte rivoluzionarie proclamate da alcuni governi, come quelli del Congo, del Madagascar, del Benin dell’Etiopia.

Altri paesi hanno rafforzato la propria presenza in Africa per altri motivi: la RFT, i Paesi Bassi, l’Italia, il Giappone per ragioni commerciali, Israele per cercare alleati contro i Paesi Arabi, le due Cine per consolidare ciascuna la propria posizione internazionale. Il legame con i paesi africani, di solito accompagnato da aiuti e assistenza tecnica si basava su accordi bilaterali, oppure si realizzava attraverso le relazioni multilaterali allacciate nell’ambito delle Nazioni Unite come la Fao, l’Unesco, l’Oms o attraverso la CE.

A cavallo fra gli anni’60/’70 le rivalità internazionali in Africa si sono sempre più intensificate . I rapporti di forza nel continente sono stati resi più complicati dall’intervento diretto di nuovi Stati come la Cina e dalla politica aggressiva messa in atto da alcuni Stati come la Libia di Gheddafi . Lo scontro fra le grandi potenze si svolgeva talvolta per via diretta come ad esempio in Angola, dove gli USA, l’URSS la Cina e Cuba sostenevano ciascuno un partito diverso. Il continente africano costituiva per loro un importante sbocco per la crescente vendita di armamenti. Nel periodo 1973/83 i paesi venditori erano: URSS ( 41,4%), la Francia (12,5%), gli USA (9,6%) l’Italia (5,4%), RFT (4,8%) GB (3,7%) altri (22,6%).

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Rafforzamento del potere personale, opposizioni imbavagliate, corruzione, repressione, l’evoluzione degli Stati africani verso regimi autoritari si è compiuta col pretesto che le popolazioni non erano “ mature ” per la democrazia.

Per superare l’handicap del sottosviluppo sono state sperimentate varie soluzioni economiche, in un contesto di crisi mondiale di enorme divario tra la crescita demografica e un inadeguato aumento delle risorse. Le caratteristiche dell’economia coloniale si ripercuotevano sull’intero sistema produttivo di ogni territorio. Le madrepatrie avevano infatti ridotto le colonie a meri fornitori di materie prime ed acquirenti di prodotti finiti ed avevano quindi dato vita ad infrastrutture destinate a rendere più agevole lo scambio con l’estero. La maggior parte del Pil era costituita da prodotti primari vegetali o minerali, il settore manifatturiero aveva un ruolo marginale, mentre il terziario era troppo sviluppato rispetto agli altri settori produttivi, nel 1960 l’agricoltura occupava la maggioranza della popolazione attiva con percentuali dal 52 in Congo al 95 in Ciad Ruanda e Niger. La produzione mineraria si concentrava in alcune zone, le pochissime industrie appartenevano a stranieri.

Nonostante gli sforzi prodotti le economie africane sono rimaste dipendenti dall’estero. I redditi agricoli e le entrate realizzate dagli Stati con le esportazioni dipendevano sempre dai prezzi delle materie prime. E questi, in termini di valore reale, nel lungo periodo sono calati. Le difficoltà, in una fase di crescita generale non sembravano insormontabili, ma l’aumento della pressione demografica, maggiore di quello delle risorse, ha accentuato le debolezze strutturali di queste economie.***

3. L’anno dell’Africa:

Si produsse in senso opposto lo stesso andamento vertiginoso ed emulativo dello Scramble per il processo di decolonizzazione in Africa. Partendo dal nord Africa, a parte l’Egitto formalmente indipendente dal 1922, ottennero l’indipendenza la Libia, il Sudan e i possedimenti francesi di Marocco (progetto del Grande Marocco) e Tunisia (1956).

Algeria, colonizzata dalla Francia dal 1830 è il possedimento di più antica data che era parte integrante del territorio francese metropolitano, con l’assimilation che aveva sedotto con la prospettiva della francesizzazione. Nel 1954, dopo lo shock di Dien Bien Phu che segnò la sconfitta dell’esercito francese in Vietnam e in Indocina, iniziò l’insurrezione in Algeria la cui guerra finì solo nel 1962, con l’indipendenza ma anche con migliaia di morti, distruzione e il crollo della 4° Rep. Fr., contraccolpi analoghi avverranno in Portogallo logorato sui tre forti Angola, Mozambico e Guinea Bissau, che portarono alla Rivoluzione dei Garofani nel 1974/1975.

La Gb si comportò differentemente durante il processo di decolonizzazione, infatti, fu un modello gradualistico perseguito dal Colonial Office che consisteva nell’allargamento di funzioni e poteri degli organi rappresentativi locali, Consiglio legislativo ed esecutivo, pregiudicando gli istituti dell’indirect rule attraverso l’emanazione di Costituzioni, le prime furono nel 1946 quelle della Costa d’Oro e in Nigeria.

Complessivamente ben 17 nuovi stati africani, ex possedimenti, francesi , inglesi e belgi, più la Somalia previa la funzione fra Somalia italiana e britannica, pervennero all’indipendenza nel 1960.L’africa veniva da un decennio di crescita e sviluppo grazie a investimenti delle potenze coloniali e all’aumento dei prezzi delle materie prime dovuto alla guerra di Corea. Fu un trapasso relativamente indolore se si esclude il caso del Congo (Lumumba).

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Nigeria “il gigante dell’Africa” lo stato più popoloso in assoluto del continente e grande produttore di petrolio, scontava le traversie di una decolonizzazione che aveva ruotato attorno alla scelta della natura dello Stato: unitario o federale. La democrazia rappresentativa funzionò per alcuni anni in un crescendo di tensione fino al colpo di Stato che nel 1966 interruppe brutalmente la continuità costituzionale.

4. La seconda decolonizzazione:

Procedette secondo il modello costituzionale più congeniale delle élite di collaborazione e confinante con il compromesso neocoloniale.

Il Portogallo affrontò la decolonizzazione con un regime autoritario (Salazar)che faceva del colonialismo uno dei pilastri della retorica nazionalista e un motivo essenziale della sua stessa capacità di sopravvivere.

Aveva trasformato i suoi possedimenti dall’interno, dando vita ad un sistema fortemente integrato, le colonie africane erano delle “province d’oltremare” i cui sudditi potevano acquisire lo status di assimilati e diventare cittadini a tutti gli effetti. Per questo il governo di Lisbona trasformò il colonialismo portoghese in “ultracolonialismo” , cercando paradossalmente di intensificare al politica coloniale in tutti i suoi aspetti. (Angola,Mozambico, Guinea). L’indipendenza fu raggiunta solo dopo un decennio di guerre di diversa intensità, fino alla “ Rivoluzione dei Garofani ” che rovesciò la dittatura di Salazar, e il nuovo governo portoghese dichiarò subito di voler provvedere alla liquidazione dell’impero.

La “ questione sudafricana ” si era ridotto al confronto fra due progetti di Stato quello democratico e quello razzista. Il razzismo aveva tradotto in pratica le ossessioni della popolazione boera o afrikaner, convinta di dover realizzare in terra d’Africa una missione metapolitica come popolo “eletto”. Solo nel 1990 De Klerk annunciò la fine del razzismo e della guerra, rilasciando i prigionieri politici e legalizzando i partiti antirazzisti . Venne così rilasciato anche Nelson Mandela che divenne nel 1994 il primo presidente del sud Africa. Qui il passaggio dal razzismo alla democrazia è avvenuto secondo modalità che sono l’ opposto del distacco e il nazionalismo riprese il suo significato integrazionista anziché separatista. La liberazione del sud Africa è stata il coronamento della decolonizzazione per tutta l’Africa inserendola nella realtà postcoloniale.

5. Instabilità politica e sottosviluppo:

Anche nella fase dell’emancipazione politica l’Africa ha verificato quanto sia difficile costruire Stati vitali nelle condizioni di vastità spaziale, sottopopolamento o diseguale distribuzione della popolazione e penuria di risorse che caratterizzano il continente. Un segno evidente della crisi è lo scarto fra crescita della popolazione e poca produttività di cibo, nonostante la “rivoluzione verde” , si è arrivati ad un afflusso tumultuoso di popolazione verso le città.

L’OUA, organizzazione dell’unità africana fondata nel 1963 con il suo primo atto solenne ratificò l’assetto statuale della decolonizzazione: le frontiere ereditate dal colonialismo non potevano essere cambiate se non con il consenso di tutte le parti interessate. L’OUA ha applicato pressoché automaticamente il principio che fa di ogni territorio coloniale uno Stato virtuale e dopo la Costituzione dei vari Stati ha difeso coerentemente il principio d’inamovibilità delle frontiere. Gli Stati africani di nuova indipendenza mancavano di quadri adeguati per numero, qualità ed esperienza.

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Lo Stato postcoloniale in Africa è “forte” per le sue tendenze all’abuso di potere ma ha i caratteri dello Stato “soffice”. Ci sono settori della vita associata in cui lo Stato non interviene in questo delicato equilibrio di competenze entrano anche le gerarchie tradizionali: quasi ovunque esse sono state compresse dalle autorità dello Stato indipendente, ma conservano un’influenza in quanto tali a livello locale o come gruppo di pressione dentro o fuori l’apparato del potere.

Dopo il primo colpo di Stato avuto nel 1963 nel Togo, si avviò il processo di militarizzazione del potere che andò generalizzandosi. Contro il dilagare dei colpi di Stato non hanno funzionato né i parlamenti, né i partiti unici, neppure le organizzazioni di giovani, di donne o dei sindacati.

La questione etnica che può adombrare disuguaglianze d’altro genere, ha avuto esiti diversi nei vari paesi africani, segnando anche molti degli eventi più catastrofici come la lunga guerra fra nord e sud in Sudan e il genocidio in Ruanda. La contraddizione etnia-Stato non è stata risolta.

Nel 1981 è stata adottata a Nairobi la Carta Africana dei diritti umani e dei popoli, ma molti stati non l’hanno ancora ratificata e ancora meno sono i governi che l’osservano nella politica quotidiana. Per mettere in atto un meccanismo per la risoluzione dei conflitti e per una maggior tutela dei diritti umani scongiurando interventi dall’esterno, l’Africa si è dotata nel 2002 di una nuova organizzazione, l’Unione Africana UA, che ha preso il posto dell’OUA e dovrebbe disporre di poteri sovranazionali affidati alle potenze africane più forti e autorevoli, Sud Africa e Nigeria, attenuando il dogma della non interferenza negli affari interni su cui si reggeva la carta di Addis Abeba, troppo condizionata dalle sensibilità dell’immediato post-decolonizzazione.

*** Costruire uno stato moderno e uscire dal sottosviluppo: è questa la doppia sfida che si sono trovati ad affrontare i paesi africani al momento dell’indipendenza: avevano i mezzi ed erano preparati dalle madrepatrie a farlo? No. all’interno di ciascuno degli imperi coloniali coesistevano infatti realtà estremamente diverse. Le diverse condizioni nelle quali i paesi africani hanno raggiunto la sovranità, indipendenza concessa, negoziata oppure conquistata con la lotta armata, hanno in realtà inciso sul loro futuro solo nei primi anni. Non sono quindi le diverse tipologie di dominio coloniale a spiegare l’evoluzione dell’Africa nell’ultimo trentennio.

I principali problemi politici che gravano su questo continente traggono la loro origine, dall’adozione del modello dello Stato-Nazione e della sua applicazione su territori i cui confini sono stati tracciati nell’ambito della suddivisione geopolitica coloniale. I detentori del potere ossessionati dal mantenimento dell’ordine, hanno represso ogni forma di opposizione interna e tutte le aspirazioni identitarie, producendo parallelamente, a tutela del predominio, apparati clientelari e corruzione. La violenza quindi, in molti paesi africani è diventato lo strumento normale per accedere al potere e alle risorse pubbliche.

Gli Stati africani non sono però gli unici responsabili di questa situazione. La Comunità Internazionale ha riconosciuto senza batter ciglio i governi nati da colpi di Stato, così come ha accettato i regimi dittatoriali. Allo stesso modo, i finanziatori non hanno mancato di concedere loro crediti e aiuti finanziari. Neanche il “premio alla democratizzazione”, a partire dalla fine degli anni’80, è servito a moralizzare la vita pubblica…inoltre la crisi mondiale innescata negli anni ’70 dalla questione petrolifera ha avuto effetti pesanti su paesi che si trovano a fronteggiare una forte crescita demografica, e ha fatto si che questi rimanessero in una situazione di dipendenza economica. L’Africa subisce così in pieno le conseguenze della mondializzazione.

In questa situazione, resa ancor più grave dalle guerre e dalle catastrofi naturali, sono aumentate le disparità tra Paesi , e all’interno di questi tra gruppi sociali. Vivere per la maggior parte degli

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africani, significa dover ricorrere ogni giorno alla propria capacità di adattamento. Questo dinamismo si scontra però con l’immobilismo delle istituzioni, è chiaro che solo una riforma profonda dello Stato, delle concezioni che stanno alla sua base come delle sue strutture, potrà salvare gli africani.***

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