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1 I NUOVI VOLONTARI Pier Luigi Amerio Inizio con un pensiero di Sant’ Agostino che trovo di una bellezza disarmante: “L’ amore uccide ciò che siamo stati perché si possa essere ciò che non eravamo” Per amore (e pensiamo all’ amore coniugale e a quello verso chi è meno fortunato) ci si annienta per diventare un’altra persona. Bellissimo In una sua lettera ai catechisti argentini, nel 2002, Papa Francesco, allora cardinale di Buenos Aires, testualmente affermava:” Credo di non esagerare quando affermo che ci troviamo in un tempo di “miopia spirituale e di piattezza morale” che fa sì che si voglia imporre come normale una cultura al ribasso nella quale non sembra esserci spazio per la trascendenza e la speranza”. La rapidità dei cambiamenti della società, il consumismo esagerato, la mancanza di va- lori che sta prendendo piede nella società, il volatilizzarsi del concetto di gratuità, la sempre maggior necessità di tempo libero per rilassarsi, per superare gli stress (frasi e termini all’ ordine del giorno) ecc…. ecc. rende necessario un riesame dei presupposti dell’ impegno nel volontariato. Il come essere visibili e credibili assume aspetti e dimensioni diverse. Le associazioni di volontariato devono mettersi al passo con i tempi e i volontari si devono adeguare. L’ approccio con gli amici in difficoltà cambia, perchè questi sono cambiati sia come tipo- logie che come esigenze. ‘E vero che immigrati, senza lavoro, separati ci sono sempre stati, ma attualmente la lo- ro situazione si sta facendo sempre più difficile. Analogamente cambia anche l’approccio tra volontari ed il modo di attirare nuovi volontari. In città e provincia per inziativa del volontariato Vincenziano si sono formate e si stanno formando sempre più realtà di assistenza complesse (per citarne alcune: la comunità di ragazze tolte dalla strada e dalla tratta, le comunità madre bambino, il gruppo del NES nessuno è straniero-, i consultori, la Giacomo 5, il centro di accoglienza e il centro di ascolto e le iniziative di cui vi parlerò questa mattina). Nella Regione ci sono progetti speciali a Varallo Pombia, di cui sentiremo parlare più tardi, a Novi (centro senza fissa

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I NUOVI VOLONTARI

Pier Luigi Amerio

Inizio con un pensiero di Sant’ Agostino che trovo di una bellezza

disarmante:

“L’ amore uccide ciò che siamo stati perché si possa essere ciò che non eravamo”

Per amore (e pensiamo all’ amore coniugale e a quello verso chi è meno fortunato) ci si

annienta per diventare un’altra persona. Bellissimo

In una sua lettera ai catechisti argentini, nel 2002, Papa Francesco, allora cardinale di

Buenos Aires, testualmente affermava:” Credo di non esagerare quando affermo che ci

troviamo in un tempo di “miopia spirituale e di piattezza morale” che fa sì che si voglia

imporre come normale una cultura al ribasso nella quale non sembra esserci spazio per

la trascendenza e la speranza”.

La rapidità dei cambiamenti della società, il consumismo esagerato, la mancanza di va-

lori che sta prendendo piede nella società, il volatilizzarsi del concetto di gratuità, la

sempre maggior necessità di tempo libero per rilassarsi, per superare gli stress (frasi e

termini all’ ordine del giorno) ecc…. ecc. rende necessario un riesame dei presupposti

dell’ impegno nel volontariato.

Il come essere visibili e credibili assume aspetti e dimensioni diverse. Le associazioni di

volontariato devono mettersi al passo con i tempi e i volontari si devono adeguare. L’

approccio con gli amici in difficoltà cambia, perchè questi sono cambiati sia come tipo-

logie che come esigenze.

‘E vero che immigrati, senza lavoro, separati ci sono sempre stati, ma attualmente la lo-

ro situazione si sta facendo sempre più difficile. Analogamente cambia anche

l’approccio tra volontari ed il modo di attirare nuovi volontari.

In città e provincia per inziativa del volontariato Vincenziano si sono formate e si stanno

formando sempre più realtà di assistenza complesse (per citarne alcune: la comunità di

ragazze tolte dalla strada e dalla tratta, le comunità madre bambino, il gruppo del NES –

nessuno è straniero-, i consultori, la Giacomo 5, il centro di accoglienza e il centro di

ascolto e le iniziative di cui vi parlerò questa mattina). Nella Regione ci sono progetti

speciali a Varallo Pombia, di cui sentiremo parlare più tardi, a Novi (centro senza fissa

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dimora), a Biella (casa di accoglienza e centro ascolto), a Vercelli (gli orti). Sono tutti

modi nuovi di essere volontari, che non tolgono alcuno spazio e alcuna importanza ai

gruppi più datati, ma che richiedono maggior duttilità, più informazioni e conoscenza,

quindi necessità di maggior aggiornamento, maggior disponibilità sia di tempo che men-

tale.

In questi termini il volontariato non sarà mai un di più, fatto nei ritagli di tempo e per

tranquillizzare la propria coscienza, ma è la convizione che ci sono problemi enormi che

senza il volontariato non troverebbero mai soluzione.

Nello stesso tempo il nuovo volontariato non è una cosa per pochi eletti, ma è per tutti,

basta volerlo. ‘E sufficiente togliere un pò di croste dalla nostra anima e dal nostro cuo-

re, essere un po’ più disponibili, mettersi maggiormente in gioco, rischiando di perdere

spesso, ma sicuramente di vincere nella lunga distanza. C’è posto per tutti, per tutte le

attitudini dalle più semplici alle più complicate.

Questa relazione costituisce quella che nei gruppi di spiritualità di coppia delle E.N.D.,

è chiamata compartecipazione. Si tratta di un esame di coscienza su circa trent’ anni di

servizio che passa attraverso l’esame e la condivisione con voi delle esperienze fatte in-

sieme a tanti amici, dei quali alcuni qui presenti, per arrivare poi ad alcune conclusioni

circa le vie migliori per convincere amici, parenti conoscenti ed estranei a frequentare il

mondo del volontariato, ad approfondire il significato di essere volontari, e ad agire all’

interno di organizzazioni valide. Sin da subito vi invito a pensare non all’ espressione”

fare il volontario”, ma a quella “essere volontario”. Ci ritorneremo più di una volta.

Nella mia vita dall’ età di 19 anni fino a 39 c’era stato interesse al volontariato ma come

spot, cose a tempo, non continuative. Erano cose fatte proprio nei ritagli di tempo, un

po’ per stupire e un po’ per tranquillizzare la coscienza.

Alla soglia dei 40 anni in una riunione dell’Equipe Notre Dame abbiamo letto il Vange-

lo delle Beatitudini e ci siamo fermati alla prima” Beati i poveri……” Non si tratta sol-

tanto di dire che sono beati, ha interloquito il nostro consigliere spirituale, mas di fare

qualcosa per loro. Alle beatitudini oggi aggiungo anche il vangelo della vedova che do-

na le sue uniche due monetine, simbolo di un dono integrale di se stessa, sia sotto il pro-

filo economico, ma, estendendo il concetto, anche sotto il profilo del tempo e

dell’impegno, come dovrebbe essere il nostro donarsi.

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Questo nucleo iniziale aveva deciso di mettersi in discussione anche praticamente, ma

con l’idea di non fermarsi ad un volontariato tradizionale, ma che permettesse un mag-

gior coinvolgimento delle proprie vite personali.

Cercavamo qualcosa di nuovo, un associazione aperta al futuro dei problemi

dell’assistenza e una persona che ci sapesse stupire e stimolare.

Abbiamo trovato il volontariato vincenziano e Suor Angela.

La lettura dei Vangeli che ho citato ha suscitato nel nucleo iniziale di Nuova Aurora la

consapevolezza di voler rendere più vivibile questo mondo. I termini: compassione pro-

fonda, amore, umiltà, dolcezza, dignità, pazienza, accoglienza, coerenza, fantasia, si-

lenzio, generosità, continuità, dialogo, legalità, libertà, mitezza, sono parole antiche, di

tempi passati, ma che, a mio avviso, dicono ancora qualcosa e dipende da noi rendere

questo qualcosa comprensibile e appetibile anche oggi.

Dobbiamo ritornare a guardarci l’un l’altro in modo diverso da quello che si usa adesso.

Dobbiamo saper guardare quelli che nessuno guarda, che sono tanti e che continuano ad

aumentare. Ma il guardare non è quello attraverso face book o altre diavolerie moderne.

I nuovi strumenti telematici sono utilissimi e non devono essere demonizzati, ma devo-

no essere usati con discernimento, non è l‘uomo ad essere dipendente della macchina,

ma questa ad essere dipendente dall’ uomo.

In questo periodo in cui si va tutti di fretta dobbiamo saper rallentare il passo quando ce

n’è bisogno. Dobbiamo saper aprire bene le porte, perché se si va di fretta si rischia di

sbatterle in faccia a chi ne ha bisogno. Non dobbiamo mai dimenticare che aprire le por-

te all’ indigente, che è amato dal Signore, significa aprirle al Signore.

Da questo primo contatto nasce la mensa festiva per senza fissa dimora che occupa i vo-

lontari tutte le domeniche e tutti i giorni di festa sia civile che religiosa, tranne il mese di

agosto, a turni di 20 per volta. I volontari sono circa un centinaio e quindi si hanno turni

diluiti nel tempo, ove si cerca il contatto umano oltre che risolvere il problema del pasto.

Nel 1998 nasce Nuova Aurora, la holding del volontariato: mensa festiva, comunità mi-

norenni, i servizi principali, do ut des e do utD’Expo per ora sospesi. Il primo vendeva

capi di vestiario ottenuti gratuitamente dalle ditte produttrici e il secondo esposizione e

vendita di opere d’ arte di giovani.

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Della mensa abbiamo accennato soffermiamoci sulla comunità di minorenni che dei

servizi speciali è, attualmente il più importante. Il progetto nasce come progetto di “ac-

coglienza e legalità” progetto impegnativo per quanto andrò a spiegare.

Nel novembre del 1998 arriva in v. Saccarelli una telefonata dell’assessore all’ assisten-

za che chiede se il Volontariato Vincenziano può prendersi l’ incarico di gestire una

comunità di bassa soglia di minorenni albanesi soli sul territorio torinese.

Bassa soglia significa apertura della comunità dalle 19 della sera alle 8 del mattino suic-

cessivo.

Dopo pochi giorni i volontari, a causa dell’aspetto sparuto dei 15 ragazzi a noi assegnati

che alle 18 erano già in attesa di entrare e che si sono ammalati quasi tutti, hanno deciso

di fare assistenza completa 24 ore su 24.

A quel punto sia i volontari che i ragazzi dovevano imparare quello che era necessario

per convivere e aiutarsi reciprocamente.

Era necessario

- Conoscere le motivazioni del viaggio: minorenni, lontani dalle famiglie ma che

non avevano interrotto il rapporto con la famiglia di origine;

- Conoscere le loro abitudini e volontà di farle convivere con le nostre

- Noi genitori negli affetti con poteri limitati per la loro educazione e la loro matu-

razione>necessità del dialogo e della mediazione ed ogni tanto, anche, del metaforico

bastone

Il nostro ruolo ha assunto molto importanza quando ciascun volontario si è preso in ca-

rico un minorenne e, senza trascurare gli altri, ha instaurato un rapporto privilegiato con

uno

Dagli albanesi siamo passati ai rumeni, poi agli afgani e agli africani di tutte le speci.

Per questi due ultimi gruppi si è fatto impellente la questione dell’asilo politico perché

erano tutti in fuga dai paesi in guerra e dalle relative atrocità. Non avevano più nessuno

sul territorio né la possibilità di ritornare nel paese di origine.

Qualche esempio di vita vissuta:

- C’ è quello che per giocare pensa di raggiungere il primo piano dal secondo at-

traverso la finestra e non scendendo le scale (45 giorni di gesso),

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- C’è quello che siccome aveva avuto dei problemi con la polizia un giorno seduto

in automobile con un volontario fa le linguacce e il gesto dell’avambraccio ad una vo-

lante che passava: immaginatevi le conseguenze volevano arrestare tutti;

- C’è quello che alle 22 viene fermato mentre aspetta il tram armato di un nodoso

bastone, probabilmente perché aveva sentito dire che di sera sui mezzi pubblici si pos-

sono incontrare gli immigrati con cattive intenzioni;

- C’è quello che andato in vacanza a trovare la famiglia in Albania arrivato, al ri-

torno a Brindisi non può sbarcare perché ritengono erroneamente che il permesso sia

falso e quindi lo rimandano indietro e ci vogliono tre mesi per convincere Questura e

Procura della Repubblica che il permesso è regolare e intanto perde il lavoro;

- C’è quello che senza dire niente a nessuno ed ancora in attesa di permesso di

soggiorno, fa venire in Italia clandestinamente il fratello, perché noi siamo bravi e sicu-

ramente lo sistemeremo,

- Ci sono poi i problemi di salute seri: un operazione al cuore e un’altra operazio-

ne per tumore all’ ipofisi;

- Ci sono, infine, quelli che con calma e determinazione sono riusciti a riunire re-

golarmente tutta la famiglia a Torino, trovando lavoro regolare per tutti.

Non parliamo poi delle fatiche titaniche per convincerli ad usare il biglietto del tram a

trattare con rispetto non soltanto gli uomini anziani ma anche le donne, a far capire che

una ragazza giovane con minigonna e pancino di fuori non è detto che sia una prostituta.

E gli episodi potrebbero continuare perché su cento ragazzi nell’ arco di 17 anni gli

aneddoti sono numerosissimi.

In tutti c’era e c’è la curiosità e l’insofferenza giovanile, mitigata dalla maturazione fatta

sul campo attraverso tutte le difficoltà superate per arrivare fin qui perché non sempre l’

Italia è stata la prima mèta

Gestire un affare del genere non è stata e non è una cosa semplice, perché è significato

impegnare tutte le risorse e tutte le capacità dei volontari, specialmente quelli impegnati

giornalmente, dalla gestione giornaliera della comunità, allo studio dei ragazzi e poi al

lavoro, alla regolarità dei permessi, è significato mettere in campo tutte le capacità psi-

cologiche, tutte le professionalità, tutte le conoscenze dei volontari. Non si è trattato e

non si tratta di avere un rapporto sporadico con l’amico in difficoltà, ma è un rapporto

24 ore su 24, 365 giorni all’ anno ormai dal novembre 1998.

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Dall’ inizio ad oggi anche noi siamo cambiati, perché ogni ragazzo è diverso dall’ altro,

ogni gruppo ha motivi e vissuti diversi e il volontario se non vuole fallire deve adeguar-

si.

I riscontri positivi: a tutti coloro che adesso sono maggiorenni è stato dato il permesso di

soggiorno, hanno un lavoro regolare sul territorio e incominciano a fare qualche proget-

to per il futuro. Alcuni albanesi si sono sposati in Albania, sono padri di famiglia, sono

diventati proprietari immobiliari e stanno pagando un mutuo con i proventi del loro la-

voro.

Il risultato più bello: alcuni sono diventati volontari anche loro.

Questa in breve la storia: una goccia nel mare dell’immigrazione clandestina

2) Riprendendo alcuni concetti iniziali I Volontari, che hanno dato la propria disponibi-

lità per queste iniziative non sono degli esseri particolari. Innanzitutto sono persone, so-

no persone dotate di gran cuore, che hanno accettato di mettersi in gioco in una situa-

zione completamente nuova. Si tenga presente che nel 1998 comunità del genere che vi

ho detto si contavano sulle dita di una mano e il problema dei minorenni extracomunita-

ri era proprio scoppiato in quei mesi del 1998.

Quindi, come sempre nel volontariato, le provenienze sono state le più disparate (molte

coppie, genitori e figli, liberi professionisti, impiegati, operai, psicologi, educatori)

In pochi, forse pochissimi, con esperienze di comunità minorili, per di più stranieri

……. esperienze e culture diverse.

Come tutti sappiamo, nel volontariato tutti sono utili nessuno è indispensabile, ma, tut-

tavia, c’è necessità di tutte le professionalità.

Ogni volontario ha un qualcosa di diverso dall’ altro che è qualcosa in più per il volonta-

riato, quello che il filosofo tedesco Dharendorf chiama chance e il Vangelo talento.

Nella nostra iniziativa parlo volentieri di “scommessa”, perché, come anticipato, il pri-

mo nucleo di volontari ad occuparsi del problema era composto a) da persone che svol-

gevano servizio di volontariato ma in settore completamente diverso da quello dei mino-

renni, b) da persone che non avevano mai fatto volontariato ed infine c) da poche perso-

ne che avevano avuto rapporti con minorenni abbandonati, ma che comunque non ave-

vano mai gestito una comunità.

A mettere insieme queste diverse realtà era necessaria un’ occasione, un’ intuizione e

la Provvidenza Divina che va messa al primo posto.

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Della Provvidenza sono il meno titolato a parlarne, ma comunque, vi garantisco che

dopo aver vissuto questa esperienza, posso dire che ho avuto la conferma che esiste

realmente. L’ occasione abbiamo visto è stata la richiesta dell’Assessore Lepri,

l’intuizione è stata di Suor Angela.

Io ricordo molto bene quella domenica quando Suor Angela chiese ai volontari presenti

per il servizio di Mensa se pensavamo di poter mettere insieme un numero giusto di vo-

lontari per poter dare risposta positiva alla richiesta.

Lei aveva intuito e quindi deciso che quella iniziativa doveva essere portata avanti per-

ché era valida e necessaria e la domanda a noi era gesto di cortesia quasi un pro forma,

perché Lei aveva già dato, dentro di se, risposta positiva e fidandosi della Provvidenza

con noi o senza di noi lei era sicura di trovare i volontari. Ecco l’intuizione dell’assoluta

necessità di dire sì alla richiesta e la scommessa di noi che dopo molti dubbi, forti re-

sistenze interiori, un mare di perplessità e di incertezze avevamo alla fine deciso di dire

di si, motivati anche dalle parole dolci, ma ferme di Suor Angela che piano piano fa-

cevano sorgere in noi le giuste motivazioni.

Dopo quasi trent’anni di mensa e dopo 17 anni di comunità si possono fare queste con-

siderazioni:

° Intorno a questi progetti, tra i volontari, ci sono persone di Fede e no, ci sono sposati,

separati, divorziati e conviventi: intuizione del Volontariato Vincenziano nel farli con-

vivere con il medesimo obbiettivo. Il non credente, la persona di Fede, e quello che per

fatti personali, la Chiesa ha messo a margine, devono, per essere buoni volontari, avere

due parole in comune perché il loro volontariato abbia successo: amicizia e accoglienza

ed un approccio alla vita sincero e positivo.

Essere credenti in Dio è una grande spinta verso il volontariato. Il credente è consapevo-

le di aver ricevuto un dono che non deve trattenere soltanto per sé ma deve farlo diven-

tare oggetto di altro dono. La vocazione dei cristiani è la missione ovvero diventare ca-

nale e strumento della conversione che passa attraverso il rapporto con gli amici in dif-

ficoltà. Apro una breve parentesi: la collaborazione tra credenti e non credenti può crea-

re un volontariato nel volontariato: l’esempio del credente può essere una spinta per il

non credente a porsi qualche domanda.

‘E una questione di amore verso il prossimo. Chi non ama e non ha il cuore aperto verso

i fratelli di qualunque razza o nazionalità non fa il suo dovere e, dice il Papa, finisce

come una cambiale non pagata ed è molto triste terminare la vita senza aver onorato il

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debito esistenziale che tutti noi abbiamo come persone. L’ amore è qualcosa di concreto.

Non si amano né le parole né le ideologie, ma le persone.

L’ attenzione per chi soffre ed è in stato di necessità, tuttavia, è un dovere anche laico e

rientra fra gli obblighi costituzionali (art. 2 della ns. carta costituzionale).

Sottolineo che in questo caso ho parlato di attenzione e non di amore.

I Gruppi di Volontariato Vincenziano sono riusciti a mettere in essere una giusta misce-

la tra credenti e non credenti e i risultati si vedono. Ed anche questo è un modo diverso

di essere volontari: meno attenzione alla forma, più attenzione alla sostanza. Se c’è ne-

cessità non è il colore della bandiera religiosa che è utile, ma la disponibilità verso il

prossimo.

° I volontari non devono sostituirsi allo Stato, ma devono essere di supporto alle inizia-

tive pubbliche. Lo Stato ha il dovere di occuparsi delle fasce deboli e non può delegare

integralmente tale compito al volontariato, rimanendo le scelte in mano all’ ente pubbli-

co, trattandosi di scelte politiche.

Su queste il volontariato deve però essere capace di essere propositivo, perché chi deve

dare le regole molto spesso non conosce le realtà, le tipologie le necessità.

° nell‘essere volontari dobbiamo mirare ad obbiettivi alti, perché non dobbiamo mai es-

sere completamente contenti di noi stessi. La soddisfazione di aver fatto un buon lavoro

sì, ma unita alla consapevolezza che c’ è sempre un margine di miglioramento e qualco-

sa di più da fare.

° L’ importanza del dialogo (dal greco dià attraverso logos, parola) significa comunicare

attraverso la parola, saper parlare al cuore ed entrare nel cuore delle persone.

° Ha scritto Ingrid Betancourt che” quando parliamo cominciamo a cambiare il mon-

do. La sola arma nella quale si deve credere è la forza della parola…Con la parola

possiamo combattere l’odio e la violenza” Queste sono parole di chi ha sopportato si-

lenzio, odio e violenza nelle mani dei guerriglieri della Farc colombiana.

°° Il dialogo è un reciproco aiuto perché ci si spiega, ci si presenta, si esprimono dol-

cezze, ma anche insegnamenti, contestazioni divergenze, amarezze e felicità. L’ essen-

ziale è saper far emergere la speranza.

°° Il dialogo non è soltanto parole, ma è esempio, modo di comportamento, è sguardo

sorridente (un motto irlandese dice che Dio ti dà il volto. Tocca a te sorridere), sempre

sereno e fiducioso, è dire e sapersi trattenere dal dire, è qualsiasi modo di relazionarsi

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con l’altro, cercando di farlo crescere perché alla sua crescita corrisponde anche la no-

stra.

°° La capacità di dialogare presuppone l’accettazione dell’altro com’è, il desiderio di

farsi prossimo all’ altro, e significa porsi l’obbiettivo di riconoscere l’esistenza dell’altro

ed essere riconosciuto dall’ altro come esistente, il che sembra una banalità ma non

sempre lo è, almeno inizialmente. Il dialogo deve essere vero, concreto, trasparente, e

chiaro, quindi si deve raccontare sempre la verità senza mitizzarla, ma senza addomesti-

carla per renderla più gradevole. L’ amico in difficoltà, qualunque sia la causa della sua

difficoltà, è persona fragile che cerca delle certezze. Non gli si da certezze nasconden-

dogli le difficoltà (quello che noi abbiamo sempre adottato è di dire sempre le cose co-

me stavano, senza nulla nascondere, ma cercando di mettere in risalto, anche nelle diffi-

coltà gli aspetti positivi della loro situazione e specialmente saper trasmettere la sensa-

zione di combattere per una causa giusta e di fare tutto il possibile per vincerla.

°° Per dialogare con queste persone bisogna saper dialogare tra volontari ed anche con le

istituzioni La capacità di dialogo e la sua utilità deriva anche dall’ assoluta coesione del

gruppo dei volontari che possono accapigliarsi tra loro, ma all’ esterno si devono dimo-

strare gruppo coeso e determinato. Anche tra i volontari ci deve essere rispetto, accetta-

zione dei reciproci limiti, accoglienza delle diversità, condivisione dei rispettivi carismi,

umiltà di sapersi sempre metter in discussione nei fatti e non soltanto a parole. Anche

queste sono forme di dialogo.

Con le istituzioni, poi, il dialogo deve essere confronto di idee, deve portare al miglio-

ramento dei servizi, deve essere collaborazione chiara, ma mai sostituzione, come già

sottolineato.

° Gli amici in difficoltà sia della mensa che della comunità sono soggetti di diritti, e di

doveri e quindi l’incontro delle loro culture, delle loro abitudini, dei loro caratteri con i

nostri comporta la necessità di un adeguamento reciproco per potersi comprendere e ve-

nire incontro.

° Le differenze non devono essere negate, ma devono essere messe in chiaro per reci-

procamente comprendere quali sono i punti irrinunciabili per entrambe le parti.

Il volontario deve aiutare con dolcezza, ma anche con autorevolezza (ben diversa dall’

autorità) il ragazzo nel suo cammino.

° Il volontario deve sempre essere in grado di assumere decisioni, anche scomode, che

non devono essere vincolate dalla paura della reazione, ma devono sempre essere rivolte

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all’ interesse del minore; il che, non sempre, significa fare quello che lui vorrebbe fosse

fatto.

° Accogliere ragazzi minorenni stranieri significa accogliere la sfida di portarli

all’integrazione ovvero ad avere gli stessi diritti e gli stessi doveri degli italiani. Il vo-

lontario deve essere molto saldo e convinto della conoscenza dei diritti e dei doveri pro-

pri prima di insegnarli agli altri. Raggiunta questa convinzione deve saper prendere per

mano il giovane straniero e, a piccoli passi portarlo all’ integrazione, che deve essere

considerata una mèta da raggiungere, prima che un diritto da pretendere.

° Imporre il concetto di integrazione, senza alcuna spiegazione, genera diffidenza sia tra

chi deve integrare, che tra chi deve essere integrato.

Possiamo dire di aver vinto la scommessa? La vittoria è soltanto ai punti. Perché ogni

giorno la scommessa si rinnova e alla fine di ogni giorno speriamo di poter continuare a

dire di averla vinta.

Tuttavia 30 anni di attività di volontariato significa anche 30 anni in più sulle spalle dei

volontari e allora mi auguro che come Vittorio Emanuele II° non siate insensibili al gri-

do di dolore della necessità di volontari. Non ci è stato detto che dobbiamo essere pesca-

tori di uomini? ed allora diamoci da fare.

Questa considerazione ci porta a riflettere su un secondo aspetto sollecitato dal titolo di

questa chiacchierata.

Dopo aver esaminato il profilo di quali devono essere le caratteristiche di un volontaria-

to al passo con i tempi, mi pare utile soffermarmi su che cosa sia necessario fare per tro-

vare nuovi volontari.

La ricerca di nuovi volontari oggi deve partire dalla consapevolezza che la nostra As-

sociazione è forte, stimolante, sa reagire ai periodi di crisi con vivacità, perché i volon-

tari sono vitali, capaci di rispondere ai nuovi bisogni, evitando il rischio di chiusure im-

provvise, in piena condivisione con lo spirito di San Vincenzo.

Il nuovo volontario deve essere attirato dalla molteplicità e dalla novità dei servizi, dalla

fantasia delle iniziative, da una libertà ragionata nello svolgimento dell’attività di volon-

tariato ed anche dalla libertà religiosa.

Inizialmente la proposta non deve essere troppo gravosa. In questo senso è opportuno

mai essere troppo invasivi, ma lasciar la corda lasca per non creare spaventi.

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Il volontariato deve proporsi come risorsa in più nelle esperienze di donne e uomini del

XXI° secolo.

Chi accoglie i nuovi volontari:

deve capire che cosa cerca nei nuovi volontari;

deve capire i mutamenti della società.

Non può pensare di applicare gli stessi schemi di 30 anni prima. Deve capire le persone,

gli interessi, le inclinazioni, e le attitudini, le necessità e gli obbiettivi.

Se il futuro volontario è giovane: deve saper che i giovani sono inaffidabili, ma disponi-

bili, con tanto sonno se la prestazione viene richiesta al mattino prima delle 10 e in gior-

no festivo, però sono i primi a partire per le zone terremotate, guidando tutta la notte, af-

frontando turni di 12 o 14 ore per vari giorni consecutivi: bisogna saperli prendere con

le molle e per il verso giusto.

Bisogna saperli motivare e saper sfruttare il fatto che sono scanzonati, il che aiuta molto

il rapporto con la persona in difficoltà perché accetta più facilmente un’osservazione o

una regola se detta con il sorriso sulle labbra ed anche con una sottile ironia

I meno giovani (chiamati anche diversamente giovani): bisogna liberarli dalla tesi: ma

noi abbiamo sempre fatto così, abbiamo le nostre certezze e quindi facciamo di testa no-

stra.

Anche i meno giovani vanno motivati, ma con molto tatto, quasi senza che loro se ne

accorgano per non provocare irrigidimenti.

Il nuovo volontario

Deve capire che cosa desidera nel momento in cui decide di diventare volontario e spe-

cialmente

Deve capire che cosa vuol dire essere volontario

Deve adeguare il suo modo di pensare senza perdere le qualità proprie, i suoi talenti,

ma, anzi mettendoli a servizio della nuova attività.

Deve informarsi ed aggiornarsi fondamentale perché un volontario disinformato è un

volontario zoppo.

Il nuovo volontario supera l’esame:

Che cosa dobbiamo trasmettergli?

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a) Essere volontari e non fare il volontario perché è una libera scelta, è un compito

delicato e deve costituire un comportamento costante sempre soggetto all’ attento e cri-

tico esame di chi cerchiamo di aiutare.

Essere volontari significa dare al servizio continuità, disponibilità e preparazione.

Significa secondo una trilogia che mi deriva da Suor Angela: sapere anticipare…..,

(immaginarsi le future necessità ed individuare subito le possibilità di intervento) soste-

nere (sia i volontari che gli assistiti nei momenti di difficoltà, di tensione)……, stimo-

lare (volontari ed assistiti a sempre puntare alto a cercare di migliorarsi e di migliorare

la propria condizione senza mai lasciarsi abbattere. Più facile quando gli assistiti sono

giovani, meno quando sono anziani e malati, ma anche qui mai perdere la speranza).

b) ‘E un modo d’ essere che non è limitato ai momenti di servizio, ma coinvolge la

persona in ogni momento della giornata. ‘E un misto di ricerca psicologica, di diploma-

zia, di accettazione pragmatica degli eventi, di fermezza e continuità nelle scelte, di sa-

per sorridere in primis di se stessi e poi degli altri, di saper usare la parola ed il tono giu-

sto in ogni momento.

c) Non è un passatempo. Farlo perchè non si sa cosa fare d’ altro

d) Non è un modo per risolvere i propri problemi (una delusione, un dolore forte, un

momento psicologico difficile);

e) Non deve essere un modo per attirare l’attenzione degli altri su di sè.

f) Il servizio deve essere

- sempre improntato ad un rapporto personale che dia l’idea che il volontario è lì soltan-

to perché c’è quell’ amico in difficoltà, per lui e solo per lui. Il lavoro di un volontario

non può essere limitato nel tempo e nella disponibilità. Deve essere continuo. Deve en-

trare a far parte della nostra agenda come qualsiasi impegno di lavoro. Quando prendo

un appuntamento con un cliente, non mi viene in mente di disdirlo a meno che non ci

siano cause di forza maggiore molto gravi.

Quando decido di prestare la mia opera per dare da mangiare a chi non ne ha, non posso

pensare che se mi capita un’occasione più interessante il mio assistito può saltare il pa-

sto e rinviare tutto alla domenica successiva, oppure rimandare a miglior momento una

necessità di dialogo dei nostri minorenni.

- l’approccio deve essere sempre nuovo, senza dare alcunché di scontato, perché il rap-

porto interpersonale lo si mantiene se lo si rinnova e coltiva ogni volta che si è in servi-

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zio.

- per il rinnovamento è necessaria la fantasia nell’ azione come nel dialogo. Non entro

nel merito di come iniziare il dialogo perché direi delle cose risapute da chi è volontario.

Comunque mai prevaricare l’assistito con notizie proprie, specialmente se non sono po-

sitive. (Può succedere, infatti, che il volontario, pensando di mettersi sullo stesso piano

di chi è in difficoltà gli rovesci addosso tutte le notizie negative della famiglia a partire

dall’ Unità d’ Italia.) Il nostro amico deve poter avere tempi e modi per aprirsi, ma mai

fretta nel farlo. Deve essere condotto per mano ad acquisire quelle conoscenze dell’altro

che gli diano la voglia di raccontarsi. Ama sentire raccontare esperienze serene, perché

il drammatico e l’incerto l’ha vissuto da poco e lo sta ancora vivendo.

g) ‘E una scuola di vita perché mette di fronte a realtà spesso sconosciute, non facil-

mente accettabili, ma alle quali si è scelto di cercare di dare una soluzione.

Il volontariato che al termine del servizio lascia contenti e fieri di sé stesso il volontario,

ha un effetto positivo sul volontario ma non sempre su chi vogliamo aiutare.

Il volontario deve essere duttile, deve essere sempre disposto a mettersi in gioco, accet-

tando con serenità le idee altrui. Ogni situazione è diversa e ogni momento storico pure.

Ecco allora l’importanza di un dialogo che prima deve conoscere la realtà con la quale si

tratta e poi deve fare accoglienza e solidarietà; un dialogo che sia frutto di reciproca

schiettezza.

Il volontariato

h) deve dare frutti senza perdere di vista i risultati

ovvero creare e formare nuovi volontari proponendo un modello e sollecitando le positi-

vità del soggetto (i frutti sono uguali se coltivati in batteria, se coltivati liberamente

ognuno è diverso dagli altri); saper valorizzare la propria opera di volontario anche at-

traverso l’ aggiornamento dei volontari; ovvero coltivare rapporti positivi tra volontari

che passano attraverso la capacità di accettare la discussione e l’ eventuale ribellione, di

riconoscere i propri errori non come un fallimento ma come inizio di una crescita, svi-

luppando una critica intelligente, credendo nel motto: imparare mentre si insegna e inse-

gnare mentre si impara.

i) privilegiare il criterio della gratuità senza perdere di vista l’efficienza

L’ opera gratuita è il simbolo del volontariato e non deve essere meno efficiente

dell’opera che viene remunerata.

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Dobbiamo, infatti, sempre ricordare che quello che facciamo gratuitamente è una forma

di restituzione sempre nell’ ottica di non essere proprietari di nulla, ma amministratori

di beni che abbiamo ricevuto in dono.

l) creare uno spazio dove l’eccellenza non implica una perdita di solidarietà

educare alla solidarietà significa insegnare a essere buoni e generosi, ma significa anche

creare una nuova mentalità.

La solidarietà più che un atteggiamento individuale e affettivo è un modo di intendere e

vivere l’attività e la società umana. Il volontario non è riconoscibile solo durante il ser-

vizio, ma in ogni atto della sua vita, deve essere una sorta di marchio di fabbrica, di cer-

tificato di garanzia dello stile cristiano, ma anche laico e civile.

Se noi accettiamo la definizione di eccellenza come la “qualità superiore o bontà che

rende qualcosa degno di particolare attenzione e stima”, in primis comporta far bene ciò

che ci siamo prefissi. In secondo luogo perfezionare la solidarietà passando da una soli-

darietà superficiale fatta solo di parole, ostentazione di generosità, ad una solidarietà fe-

conda che comporta l’effettiva preoccupazione di trasformare le nostre pratiche solidali

in azioni che possano davvero produrre un cambiamento.

Oltre che buoni e generosi bisogna essere capaci, intelligenti e validi.

(sono concetti di Papa Francesco)

E per l’ultima volta ricordo l’input iniziale: Non faccio il volontario, ma sono volontario

Un’ ultima osservazione: quando il nuovo volontario è entrato in funzione, i vecchi vo-

lontari si sappiano comportare con il buon seminatore dell’ omonima parabola: non gli

tengano il fiato sul collo per vedere come si comporta che cosa fa, che cosa dice e a chi

ecc., ma lascino che la semina fatta possa crescere con i tempi di maturazione della per-

sona, senza utilizzo di additivi, perché ciascuno fa frutto secondo i propri tempi e voler

anticipare la maturazione potrebbe portare anche a far marcire il frutto. Il che sarebbe un

fallimento. Le verifiche vanno fatte, certamente, ma a lungo respiro. Il nuovo volontario

non deve essere controllato anche quando va in bagno perchè altrimenti si stufa e si ri-

schia di perderlo. Dobbiamo essere attenti, reattivi e pronti ad intervenire, ma per dirla

in piemontese: non dobbiamo essere “gava fià”.

Concludo con un’ultima citazione

Dall’ amore e quindi dalla disponibilità ad essere volontario nasce la serenità inte-

riore e il significato fecondo della nostra esistenza (Gianfranco Ravasi)

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LE PAROLE DEL VOLONTARIO

Sono le parole che ho posto a base della mia chiacchierata. ‘E un elenco aperto a cui

ciascuno può aggiungere le parole che ritiene opportune e che pensa debbano far parte

del bagaglio del volontario.

Accoglienza Amore

Coerenza Compassione

Comprensione Continuità

Dialogo Dignità

Dolcezza Fantasia

Generosità Gratuità

Legalità Libertà

Pazienza Silenzio

Umiltà