Piattaforma verso il 12 ottobre - mobilitazione studentesca

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Ecco la piattaforma politica preparata verso la mobilitazione studentesca nazionale del 12 Ottobre 2012 - NON CI AVRETE MAI COME VOLETE VOI!

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Non ci avrete mai come volete voi!Liberare i saperi per liberare le persone!

Mettere il punto alle privatizzazioni, ripubblicizzare l’istruzione!

Mentre la crisi economica peggiore degli ultimi 50 anni impoverisce tremendamente i cittadini, facen-do da scusante a politiche che aumentano le diseguaglianze e le differenze sociali, nel mondo della for-mazione si gioca una partita cruciale per il futuro di più generazioni di giovani e per il Paese in gene -rale. La scuola di oggi è infatti un'istituzione al collasso, resa sempre più povera e inaccessibile dai ven-tennali processi di privatizzazione che hanno attraversato l’Europa. Quell’Europa che ci promettevano fondata proprio sul valore della conoscenza, e che invece si rivela sempre più come un’istituzione inca -pace di rispondere alle istanze sociali. Per chi ogni giorno la vive, studenti in primis, la scuola rappre-senta un luogo distante in cui il sentimento di frustrazione e precarietà esistenziale è forte. Per il gover-no dei tecnici, al contrario, l’istruzione è un vincolo di spesa in bilancio cui togliere risorse ed energie, nonostante se ne rivendichi costantemente l’importanza.

Edifici fatiscenti, contenuti e pratiche didattiche vecchie di un secolo, chiusura degli spazi di partecipa-zione, trasformazione della valutazione in strumento repressivo e discriminante, un sistema nazionale di diritto allo studio inesistente e sottofinanziato che scarica sulle spalle delle famiglie i costi di una scuola che chi ci governa vuole sempre più indebolita e incapace di formare veri cittadini. Questi gli ele-menti che, seppur per sommi capi, descrivono la grave condizione che vive il nostro sistema d’istruzio-ne, con forti differenze tra Nord e Sud del Paese, determinata dai tagli trasversali alle risorse e dai pro-cessi di totale dismissione del pubblico, messi in campo a partire dalla legge 133 del 2008, e che si ri-presentano oggi, sotto forma di minaccia, con la spending review e i nuovi interventi minacciati dal mi-nistro Profumo.Anche Monti si è reso primo protagonista del processo di smantellamento della scuola pubblica: al meeting di Comunione e liberazione ha dichiarato che nella manovra finanziaria attesa per questo au-tunno non mancheranno i fondi e le risorse per le scuole private,non statali, in quanto riconosce loro una funzione complementare rispetto a quella della scuola pubblica. Quindi ad affiancare i tagli disa-strosi alla scuola pubbica troviamo, ancora una volta, un incremento delle risorse che dallo stato giun-gono alle scuole private.

Bisogna ridare dignità alla scuola e a suoi protagonisti a partire da questioni prioritarie come l'edilizia scolastica, “emergenza” ineludibile oramai da 16 anni che, a fronte del quasi 60% degli edifici non a norma e dei disastri recenti (l’ennesimo crollo al Darwin di Rivoli, la caduta delle lastre di plexigas al -l’Umberto I di Napoli e del controsoffitto al Colombatto di Torino, per citare i casi più noti) necessita di un maxifinanziamento per la sicurezza e l'innovazione delle strutture scolastiche. Pensiamo che que-sta sia la vera grande opera di cui ha bisogno il paese, al posto di inutili e faraonici progetti come il TAV in Val di Susa o il maxi ponte sullo Stretto di Messina, un piano straordinario sull’edilizia scolastica in grado di ridare vigore all'economia nazionale e di guardare al futuro del paese. Guardare alla qualità di

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come e dove si impara, puntando ad evitare a qualunque costo i drammi, anche nella misura di vite in-frante, che si sono consumati nelle scuole.

Abbattere i finanziamenti alla scuola pubblica così come perseverare nel non reintegrarli, ripetendo il leit motiv dell’assenza di risorse, significa non concepire l'istruzione come via d'uscita dalla crisi, ma come un laboratorio avanzato per l'azzeramento dei diritti e la chiusura degli spazi di democrazia , nell'ottica di conservare l’impostazione classista della nostra società. Emblematica in questo senso è la rigida divisione tra scuole del sapere e scuole del saper fare: nonostante la condizione di precarietà e dequalificazione sia generalizzata, si tenta di mantenere ampio il divario tra licei, che puntano nei loro picchi di qualità a sfornare la futura classe dirigente, ed istituti tecnici e professionali, visti come fab -briche di manodopera a basso costo da sfruttare quanto prima nel mondo del lavoro. Con il riordino dei cicli del 2009, nei tecnici e professionali sono state infatti tagliate le ore di laboratorio, intanto sono stati incentivati i percorsi di alternanza scuola-lavoro ed apprendistato, sottacendo la loro scarsa valen-za formativa e la possibilità di fatto, che essi rappresentano, di lasciare la scuola per il lavoro a 15 anni senza nessuna tutela dei diritti, e nessuna reale libertà di scelta. I dati dell’Istat del 2012 intanto vedo-no quasi un quinto degli studenti italiani totalmente insofferenti alla scuola, con picchi altissimi di abbandono nelle regioni del Sud: una fotografia oggettiva di un sistema scolastico ingessato e auto-referenziale, che parlando solo a sè stesso si perde tanti, troppi studenti. Mentre si definanzia l’istru-zione pubblica, si livella verso il basso la qualità degli insegnamenti e si sfavorisce il prosieguo degli stu -di innalzando barriere sempre più alte all’accesso: quello che si vuole fare è incentivare e non combat-tere la dispersione scolastica. Pensare oggi l'apprendistato come strumento di assolvimento dell'ob-bligo scolastico è per noi inaccettabile e rivendichiamo anche per questo un’innalzamento dell’obbli -go scolastico a 18 anni legato ad interventi fattivi per garantire il diritto allo studio e il diritto al suc-cesso formativo a tutti.

Il progetto su cui crediamo bisogni tornare a riflettere è una riforma dei cicli caratterizzata da un bien -nio unitario e da un triennio specializzante: una riforma che riduca gli elementi di frammentazione al-l'interno di tutto il sistema scolastico, per lottare fattivamente contro una dispersione scolastica causa-ta anche dalla canalizzazione precoce dei soggetti in formazione. E' inoltre fondamentale innalzare e non abbassare la qualità di ciò che si studia nelle scuole, sia tecniche-professionali che non: qualsiasi riforma dei cicli dovrebbe partire da un ripensamento radicale della didattica e della valutazione, puntando ad eliminare la precanalizzazione precoce e la distanza incolmabile che vi è ormai tra i con-tenuti e i metodi d’insegnamento e gli studenti cui si rivolgono. Le relazioni didattiche sono diventate elementi irrilevanti: lezioni, esercitazioni, compiti in classe e voti ad oggi sembrano non avere più alcun fondamento pedagogico. Questi sono percepiti e, non poche volte sono momenti inefficaci, noiosi o minacciosi; essi dovrebbero essere strumenti in grado di valorizzare le competenze, le capacità e le in-clinazioni di ognuno, indirizzandole in una processo formativo cooperativo e non competitivo. Gli ultimi interventi del governo vanno invece in tutt’altra direzione: col nuovo Servizio Nazionale di Valutazio-ne, approvato durante lo scorso Consiglio dei Ministri si potenzia invece di delegittimare un sistema di testing, come quello INVALSI, costoso, inefficace e antieducativo. E’ inaccettabile, a fronte delle proteste scoppiate in questi anni nelle scuole, contro le stesse rilevazioni INVALSI, proseguire sulla stes-sa strada, quella delle riforme dall’alto e del non ascolto che finora non hanno prodotto altro che mace-rie e distorsioni ideologiche.

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La propaganda in favore del merito messa in campo con rinnovato vigore dal Governo è una distorta battaglia ideologica che forzatamente si vuole introdurre nei più svariati campi d’azione, in primis quel-lo dell’istruzione, per giustificare politiche volte a conservare lo status quo. Nel caso specifico dei sa-peri si vuole portare a compimento un processo di mercificazione e privatizzazione delle conoscenze, che lungi dall’essere patrimoni diffusi, perno delle politiche economiche, sono diventati poveri di con-tenuti, merci di consumo accessibili a sempre più ristrette fasce di popolazione, su cui i gruppi di potere hanno sempre più ampi spazi di agibilità per far valere i propri interessi. I tagli degli ultimi anni, così come la precarietà che attanaglia la nostra vita non ce la siamo meritati, ce l’hanno imposta, allo stesso modo non meritiamo premi a scuole e studenti eccellenti, nè tantomeno meritiamo lo spietato modello discriminante, che qualcuno chiama “selettività”, e che in maniera sempre più preoccupante, svuota aule e facoltà, menti e persone. Meritiamo una scuola aperta a tutti e capace di includere le differen-ze di ciascuno, una scuola che sia realmente capace di “abbattere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

La scuola che Profumo, in continuità con la Gelmini, ci consegna ci considera invece spettatori passivi, da espellere dagli spazi di partecipazione e disabituare alla riflessione critica. In linea con tutto ciò è da leggere l'introduzione di norme come il limite massimo dellle 50 assenze nell'anno scolastico e il voto in condotta come disciplina sottoposta a valutazione senza possibilità di recupero. Perchè invece le scuole non possono diventare spazi di educazione costante alla democrazia e alla partecipazione? Per-chè i corsi di recupero per i debiti formativi non sono sufficientemente finanziati? Perchè nella “condot-ta” non c'è alcuna forma di recupero? Perchè questi sono senza dubbio strumenti repressivi figli di una concezione punitiva della didattica, in mano a docenti e presidi che troppo spesso ne abusano. Chiedia-mo in questo senso l'abolizione immediata della valutazione in condotta, del limite massimo delle 50 assenze e rivendichiamo un finanziamento al recupero dei debiti formativi, in un'ottica per cui la pro-mozione non sia legata tanto alla punizione delle insufficienze ma alla valorizzazione delle capacità : l'apprendimento e l'insegnamento non sono processi lineari e unidirezionali, questi sono piuttosto pro-cessi circolari in cui deve esserci possibilità di arricchimento reciproco tra studenti e docenti e per gli studenti la garanzia di accedere al successo formativo.

Le politiche scolastiche degli ultimi vent'anni si sono rivelate fallimentari perchè non hanno preso in considerazione questi temi e non hanno saputo fondarsi su una discussione larga e condivisa con i pro-tagonisti della scuola, gli studenti in primis, si sono mostrate addirittura sorde alle istanze dal basso che si sono manifestate nel paese. Un'idea alternativa di scuola esiste e si può praticare solo nel pieno coinvolgimento delle parti sociali.

Esempio palese è l’iter parlamentare che la più recente proposta di legge sull’autonomia scolastica sta attraversando, finora indisturbata nonostante le proteste sollevatesi. Nel 2008 eravamo scesi in piazza contro quel disegno di legge portato avanti dall’ex Presidente della VII commissione, Valentina Aprea; proposta di legge che viene ora riproposta dopo 4 anni in una forma praticamente immutata. La legge 953 va a stralciare numerose normative che tutelano la rappresentanza e l’autonomia scolastica. Il

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consiglio di istituto viene sostituito dal Consiglio dell’Autonomia (C.d.A), il quale non svolge solamente le funzioni del precedente, ma ha il potere di approvare accordi e convenzioni con soggetti esterni, come fondazioni, enti pubblici e privati, i cui rappresentanti potranno partecipare alle riunioni dello stesso, inoltre con la maggioranza dei ⅔ del consiglio potrà modificare le modalità di elezione e sostitu-zione dei propri membri. In ogni scuola si andrà a costituire un nucleo di autovalutazione, il quale sten-derà un rapporto sulla base dei criteri, degli indicatori nazionali e degli strumenti di rilevazione forniti dall’INVALSI, verrà quindi acquisito un metodo principe di stesura del POF (piano di offerta formativa) e di valutazione della scuola, della componente docenti e studentesca miope e fallimentare, contro cui gli studenti già si sono opposti nella scorsa primavera.

Attualmente in Italia sono presenti 20 sistemi differenti di diritto allo studio, sottofinanziati e non uni-formati per quanto riguarda i LEP, i Livelli Essenziali di Prestazione, ossia la quantità di servizi che le Regioni dovrebbero offrire alle studentesse e agli studenti. Ciò provoca una disparità di servizi fra le re-gioni al punto che in alcune è previsto ad esempio il comodato d’uso per i libri di testo, mentre in altre, con leggi vecchie di trent’anni, non si prevede nulla per far fronte alle nuove esigenze dei soggetti in formazione. Si è preferito procedere a piccoli rattoppi e a misure completamente contrarie ad un’am-pliamento di un diritto fruibile dalla collettività. Una delle peggiori misure è il tanto contestato buono scuola, che con la scusante della “libertà di educazione”, è servito a dare finanziamenti alle scuole pri -vate mentre contemporaneamente si tagliavano i finanziamenti a quelle pubbliche. I dati riguardanti la dispersioni scolastica, che nel 2010 vedeva 800 mila studenti abbandonare il proprio percorso formati-vo, con punte del 26% in Sicilia e del 23,9% in Sardegna dovrebbero essere un importante campanello d’allarme della situazione. Rispetto a molti altri Paesi d’Europa, come Norvegia e Filandia, l’Italia rima-ne profondamente indietro. Nel nostro Paese non viene garantita, come abbiamo già espresso, l’auto-nomia sociale ed economica dal contesto di provenienza dei soggetti in formazione. Gli articoli 3, 33 e 34 della nostra Carta Costituzionale vengono lasciati quotidianamente carta morta.

Non possiamo più accettare che si possa continuare il proprio percorso formativo solamente se si ha una famiglia abbiente alle spalle e magari con qualche conoscenza di rilievo. Non possiamo più pen-sare che la nostra generazione possa emanciparsi unicamente facendo affidamento al capitale fami-liare. Questo è un modello classista che riporta a tempi lontani e bui, che impedisce l’emancipazione degli individui e relega il figlio dell’operaio o dell’impiegato a fare lo stesso lavoro del padre. Per dare una forte risposta crediamo sia fondamentale ripensare il modello di welfare, che si svincoli dall’im-pianto familistico, e che miri invece a garantire l’autonomia dei soggetti in formazione nel scegliere cosa e dove studiare, nell’accedere liberamente ai prodotti culturali come un libro, un film, un rappre-sentazione teatrale. Pensiamo sia necessaria a questo punto una Legge Nazionale sul Diritto allo Stu-dio che faccia chiarezza sui LEP e che stabilisca delle priorità da adottare nelle rispettive leggi regio-nali. Priorità quali: borse di studio senza vincolo di spesa, improntate su un forte principio reddituale, accesso gratuito o agevolato alle iniziative e ai consumi culturali, forti agevolazioni sui trasporti, como-dato d’uso per i libri di testo, sportelli d’orientamento in ogni scuola, misure per tutelare la multicultu-ralità e l’integrazione degli immigrati, supporto agli studenti portatori di handicap, istituzione di Confe-renze regionali sul diritto allo studio, affinché si vigili sull’applicazione delle norme e si instauri un dialo-go fra le componenti della scuola. Tutte misure che possono essere messe in atto solamente con una forte inversione rispetto alle politiche di destrutturazione e definanziamento della scuola pubblica.

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Nel nostro Paese poter studiare diventa sempre più gravoso per le tasche delle famiglie . Ogni anno aumentano i costi dei libri, del corredo scolastico e dei trasporti. Quest’anno, come ci dice una ricerca della Codacons, le famiglie in media potranno spendere fino a 44 € in più rispetto all’anno precedente. Ciò è dovuto all’ennesimo aumento operato dal Ministro Profumo sui tetti di spesa e alla mancanza di controlli da parte dello Stato verso le cosiddette “nuove edizioni” delle case editrici che ogni anno ri -modulano di poco le grafiche ma di fatto lasciano invariati i contenuti. L’accesso ai saperi risulta quindi sempre più difficile e diventa un discrimine di inclusione o di esclusione sociale. Negli ultimi anni si è determinata all’interno dei processi formativi una sempre più marcata deriva aziendalista che ha pro-dotto un sistema classista di accesso alla conoscenza. Conoscenza che è stata ridotta ad un semplice passaggio di nozioni volte a creare, fin dai primi anni di età, degli individui pronti ad entrare in un mer-cato del lavoro sempre più flessibile e alienante. Il processo formativo è votato a creare “impreditori di se stessi” che devono investire sul proprio “capitale cognitivo” per poi sfruttarlo nel luogo di lavoro e di vita. Noi crediamo al contrario che il sapere debba tornare ad essere uno strumento di emancipazio-ne, che debba avere una funzione critica e cosciente. Non possiamo continuare a permettere che il sa-pere venga ridotto a semplice merce di scambio da utilizzare unicamente ai fini del profitto. Crediamo che investire sulla scuola e garantire l’autonomia socio-economica dei soggetti in formazione, siano le vere soluzioni per uscire da una crisi economica e prima di tutto sociale. Rompendo i recinti che ci im -pediscono quotidianamente di accedere ai saperi liberamente, incrementando i finanziamenti statali al-l’istruzione pubblica e alla ricerca, in una parola: ripubblicizzando la conoscenza, per sua natura pro-dotto sociale, si può avviare un processo più generale di riconversione del modello di sviluppo verso un nuovo sistema inclusivo e rispettoso dell’ambiente, dove i saperi siano restituiti alla società e pos-sano diventare un bene comune a tutti gli effetti.

Fuori dalla precarietà: riprendiamoci le nostre vite!

In questi ultimi anni abbiamo sempre lottato per non pagare una crisi causata dalle lobby finanziarie, dagli organismi internazionali non legittimati democraticamente, dalle agenzie di rating, da quel 1% che soffoca ogni aspirazione di libertà, democrazia e giustizia sociale.Oggi possiamo dire che la crisi morde sulle nostre vite, impedisce una nostra progettualità di esistenza, ci toglie sicurezze e ci lascia soli, impedendoci di pensare a una nostra autonomia sociale. Una crisi eco-nomica spesso usata come una scusante per completare con velocità lo smantellamento del welfare state, dei servizi, degli Enti Locali. Anni di tagli che non fanno altro che acuire le differenze tra le classi sociali, impedendo la mobilità, che rompono ogni solidarietà e instillano il modello dell'impreditore di se stesso.

L'ubriacatura è finita. Allo shock permanente cui vogliono inchiodarci non ci stiamo: abbiamo capito che è necessario scardinare il modello competitivo, contestare chi ogni giorno ci fa credere che non ci siano alternative alle storture e alla miseria del presente.La retorica che i media mainstream diffondono ogni giorno fa credere all'opinione pubblica che in que -sta fase economica sia prioritario ristrutturare i mercati, principali responsabili di questa crisi, al posto

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di ridurne e regolamentarne il potere, ristrutturando lo stato sociale al fine di restituire a grandi fette di popolazione sicurezza sociale e stabilità economica. Le politiche di austerity del governo Monti, ispirate a direttive internazionali, vanno in questa direzione: mercificano e capitalizzano beni comuni e servizi quali l'istruzione, la sanità, l'ambiente, che, allontanandosi sempre più dalla dimensione pubblica, di-ventano nuovi strumenti di accumulazione capitalistica.Attraverso il fiscal compact, ossia il nuovo Patto di stabilità e crescità votato nel Consiglio Europeo il 20 gennaio 2012, si delinea un futuro di ulteriori tagli alla spesa pubblica a favore del dogma neoliberista del rigore, impedendo finanziamenti al welfare state, categorizzati come inutili sprechi e addirittura sanzionati in caso di eccedenza di bilancio, con l'inserimento del pareggio dello stesso in Costituzione. Ciò si manifesta in modo ancor più evidente nella spending review che programma ulteriori tagli a ser-vizi, sanità, enti locali e istruzione pubblica, già fortemente provata dalla riforma Gelmini. Sono garanti-ti, invece, i privilegi e, attraverso la cancellazione di alcuni enti locali, si assiste ad un allontanamento arbitrario e non sempre motivato dell'istituzione e quindi ad un deficit di democrazia e partecipazio -ne.

A questo quadro si aggiunge l'attacco generalizzato ai diritti a partire da quelli del lavoro, fortemente lesi dall'ultima riforma Fornero che non risolve la questione della precarietà, ma anzi risulta un com -plesso attacco ai lavoratori ed alle lotte sindacali del passato. Si potenzia la formula dell'apprendistato che tuttavia, anziché essere una modalità di entrata nel mondo del lavoro, si configura come la perpe-tuazione di una condizione di perenne ingresso caratterizzata da una assenza di tutela sindacale, bassa retribuzione giustificata dalla retorica dell'inserimento ripetuto in modo continuativo. Si è voluto ridur-re il discorso allo svuotamento sostanziale dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, visto come unica soluzione per garantire la competitività e rilanciare la crescita.In questo contesto i soggetti in formazione vivono, già a partire da scuole e università, la precarietà. Fe-nomeno che si manifesta nella difficoltà di accedere ai saperi e di autodeterminarsi senza ostacoli, di poter decidere dove studiare, di poter formarsi indipendentemente dalle condizioni socio-economiche di partenza e dalle esigenze del mercato del lavoro. Generazioni senza diritti di cittadinanza, escluse da ogni processo partecipativo e gestionale della società.Solo grazie al welfare familiare possiamo ad oggi finanziarci i percorsi di studio e di vita. In alternativa, per poter seguire i nostri sogni siamo costretti a lavorare senza diritti, senza limiti di orario, senza il tempo di poter studiare, costruire relazioni, amare. Con il passare degli anni i luoghi della formazioni sfornano generazioni di individui demotivati ed insoddisfatti.

La nostra idea per uscire dalla crisi è completamente alternativa e passa necessariamente da una ricon-nessione del tessuto sociale e da una risposta collettiva. Vogliamo un futuro non precario, con più dirit-ti, la riduzione delle tipologie contrattuali atipiche e un investimento politico ed economico nella for-mazione pubblica. Vogliamo studiare per poter vivere dignitosamente e non sotto lo schiaffo costante della precarietà. Vogliamo poter incidere nelle scelte delle nostre città, delle nostre scuole, delle nostre università. Vogliamo decidere indipendentemente dove e cosa studiare senza pesare sulle nostre fami-glie, vogliamo poter autodeterminarci liberamente con un reddito di formazione inserito in un più ge-nerale quadro di reddito di cittadinanza. Esigiamo forti politiche di redistribuzione per abbattere l’ora-mai insostenibile polarizzazione di ricchezza che si è creata nella società. Pensiamo che sia ora di co-struire una forte politica di riconversione ambientale e per questo chiediamo un cambio di marcia com-

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plessivo con il blocco di tutte le opere inutili, dannose e costose. La visione del mondo di chi ci governa è una visione per la quale le persone devono essere educate all'assenza di diritti e all'omologazione. Ci vogliono ignoranti per poterci sfruttare e vogliono declinare i saperi nella logica del profitto e dell'inte-resse privato.

Il cambiamento passa da noi!

Il quadro politico che l'Italia ci consegna dopo quasi un anno di governo Monti risulta essere estrema-mente piatto e caratterizzato profondamente da un arco parlamentare bloccato su un dibattito assolu-tamente politicista e slegato dalle reali problematiche sociali del Paese. L'egemonia culturale e politica del pensiero neoliberista, perfettamente incarnato dal governo tecnico, diventa la base fondante del-le prospettive politiche nei principali partiti. Le politiche del governo, assunte acriticamente dai parti-ti, si caratterizzano attraverso un processo di privatizzazione dei servizi pubblici e una continua cessio-ne di responsabilità da parte dello Stato rispetto ai suoi doveri sociali. Un governo che di “tecnico” ha ben poco e che riflette invece una precisa ideologia politica di destra liberista, improntata ad un forte darwinismo sociale.

La classica democrazia liberale, già profondamente in crisi, ha subito un'ulteriore forzatura che si confi-gura nella completa cessione della sovranità agli organismi finanziari internazionali. Una tecnocrazia che delega alla repressione la risoluzione dei conflitti sociali, con la criminalizzazione del dissenso, con lo svuotamento sostanziale delle prassi democratiche che si configura con una crisi dei meccanismi di partecipazione politica e con l'incapacità dei partiti di rappresentare, canalizzare e risolvere i problemi che arrivano dalla società.Unica alternativa alla perdita della capacità di rappresentanza sembra essere in questi ultimi mesi un'antipolitica populista e incapace di opporre una reale risposta alla questione sociale e democratica.In queste ultime settimane abbiamo visto partire una campagna elettorale caratterizzata da un dibatti -to bloccato sulle alleanze, su posizionamenti e non su una concreta risposta politica quantomai neces-saria ai drammi della crisi. Non vogliamo che le nostre necessità siano ridotte ad una mera contrappo-sizione tra vecchi e giovani, tra garantiti e non garantiti, ma pensiamo di dover rappresentare una condizione generazionale non in termini anagrafici ma di condizione materiale e immateriale che esi-ge una risposta che parli di nuovi diritti, redistribuzione e rinnovata partecipazione.

Ci assumiamo la responsabilità di incidere nel dibattito pubblico e politico riportando al centro la que-stione dei saperi connessi al tema del lavoro e della precarietà. Vogliamo che il sapere e la conoscenza non siano solo un fattore di emancipazione individuale, ma uno strumento di cambiamento al servizio dei bisogni effettivi della società e non al servizio delle logiche mercantilistiche e produttivistiche.Non accetteremo una normalizzazione del disagio senza un'effettiva risposta in merito alla necessità di un cambiamento complessivo, non accetteremo più di non essere considerati cittadini a tutto ton-do, non accetteremo più di costruire le nostre vite sotto lo scacco della precarietà, non accetteremo più di competere per garantirci la miseria, non accetteremo più una formazione che insegue i bisogni dei mercati.

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“Non ci avrete mai come volete voi”.

Grideremo questo nelle piazze di tutta Italia il 12 Ottobre. Saremo la forza propulsiva di cambiamento dal basso, dalle nostre scuole e università, dai nostri quartieri, dalle nostre periferie per investire la società tutta. Vogliamo liberare i saperi per liberare gli individui e le collettività e per questo ogni giorno rifiutiamo tutto ciò che ci viene imposto. Un rifiuto radicale che comincia da noi stessi, dai nostri bisogni e desideri, dalla nostra volontà di cambiare l'esistente, di contestarlo e di costruire un mondo nuovo.

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