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#CALZAREVALORE

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#calzarevaloreViaggio nell’unicità del made in italy

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Assocalzaturifici nel 2013 si prende una pausa dall’allure e dallo sfarzo del Made in Italy per tornare all’essenza del “Fatto in Italia”, da persone che lavorano in Italia.

Una decisione forte, che parte dalla consapevolezza che è l’intera filiera a fare la differenza di stile, realizzazione, prodotto, vendita. Per questo si è deciso di raccontare la storia di tutti gli attori della scena della calzatura mettendo in primo piano la realtà che quotidianamente e in modo sinergico rende il nostro Paese il leader nel settore calzature.

Al convegno annuale di quest’anno, che si è tenuto a Fermo il 23 Novembre, ci siamo incontrati ancora una volta per confrontarci, condividere e scambiare idee.

Abbiamo voluto raccontare il viaggio attraverso alcuni dei sette principali distretti della calzatura mandando un nostro team di persone lungo la penisola, per conoscere e raccontare le diverse realtà e funzioni che caratterizzano il mondo della scarpa.

Abbiamo voluto raccontare quegli imprenditori che nel perseguire i loro sogni risollevano ogni giorno lo spirito imprenditoriale di questo paese nonostante la strada sia ardua, nella convinzione che il meglio debba ancora venire.

Vorrei ringraziare una per una le persone, le donne, gli uomini, i molti giovani che abbiamo incontrato nelle aziende e nelle fabbriche. Le persone che tengono letteralmente “in mano” il destino del nostro meraviglioso settore produttivo. Se siamo ai piedi del mondo e il mondo intero sogna di avere ai piedi le nostre calzature è grazie ad ognuno di Voi.

In queste pagine troverete le immagini, i volti, i nomi, dei luoghi visti e delle persone incontrate, l’unicità della calzatura Made in Italy in tutto il suo straordinario valore.

Il Presidente Assocalzaturifici

Cleto Sagripanti

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FraTellI roSSeTTI

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Il viaggio di Assocalzaturifici lungo tutta la filiera italiana della calzatura è partito da Milano. Non siamo partiti dal quadrilatero della moda: abbiamo scelto di partire da Parabiago, sede di produzione dei Fratelli Rossetti.Da subito ci è stato chiaro come il famoso e tanto conclamato Made in Italy parta da un paese, una famiglia, uno stabilimento. E soprattutto dalle persone. Questo è quello che abbiamo visto, notato, ascoltato dalle parole di Diego Rossetti e dal capoproduzione Bruno Colombo.Solo le persone, infatti, possono tramandare le tecniche e segreti di produzione ma soprattutto il cuore e la cura nella produzione di una calzatura in tutta la sua realizzazione. Questo ci ha incantato e al tempo stesso riflettere sulla complessità e responsabilità, per chi produce ad alti livelli, di vendere il prodotto finale al prezzo corretto. Un prezzo che tenga conto, ad esempio, di 120 passaggi di costruzione, di trenta o quaranta minuti di lavoro su ciascun paio prodotto.Dal punto di vista tecnico, l’avanguardia dei sistemi, l’innovazione tecnologica è data dalla grande attenzione per la ricerca, ma soprattutto per la grande importanza data all’esperienza degli artigiani che entrano nell’azienda da giovani e non la lasciano più, diventando ambasciatori del know-how Fratelli Rossetti per le nuove generazioni. L’innovazione diventa quindi riuscire a far diventare produttivamente efficiente il capitale umano, un concetto che molte volte è da manuale di marketing ma nell’azienda da noi visitata è racchiuso in una sola parola: passione.Impossibile da comprare o essere insegnata, la passione dei Fratelli Rossetti la si percepisce in tutte le persone che ne fanno parte, in tutti i vari step della produzione. L’abbiamo capito dalla storia del marchio, dall’unione dei tre fratelli, dagli occhi brillanti del direttore di produzione che ci ha fatto vedere come nasce una scarpa, dalle mani esperte, precise e veloci di chi si occupava dell’orlatura, da come siamo stati accolti in azienda.

FraTellI roSSeTTI

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Assocalzaturifici arriva a Cuggiono, sempre nella grande provincia milanese. Arriviamo alla conceria Bonaudo. Rimaniamo subito colpiti dallo stabilimento, tanto semplice fuori, quanto innovativo e ricercato dentro. Una metafora fisica di quella che è veramente la missione di Alessandro Iliprandi. La pelle è un elemento di lavoro per la filiera, quindi un manufatto a vedersi semplice. Che invece racchiude grandissima ricerca e innovazione.Il giro per la conceria ci conferma la prima impressione, i muri sono tutti dipinti di bianco, perché è importante fornire un luogo bello dove lavorare, ci spiega Iliprandi. Osserviamo poi le persone che lavorano nello stabilimento. Ci viene il dubbio di essere ancora in Italia. Conosciamo così Andrea, che a 25 anni è già il responsabile. Scopriamo che allora la questione non è l’atavica e retorica “i giovani non hanno voglia di lavorare”. Qui ce ne sono, Bonaudo è un’azienda con la maggior parte degli impiegati under 30. E gli over 30 sono i maestri e formatori dei giovani, ai quali con grande passione e umiltà raffinano le tecniche apprese a scuola.La questione, che da sempre Assocalzaturifici propone e sostiene, è che l’azienda deve imparare a raccontarsi. Iliprandi è sensibile a questo argomento e aggiunge che bisogna aprire le porte e fare molta, molta rete tra le forze della filiera.Uscendo, ci soffermiamo a guardare uno dei ragazzi che stende del pellame appena lavato. Non esiste un macchinario che possa fare questa operazione. Vanno stese, controllate e non hanno mai la stessa forma. Abbiamo visto rifinire la pelle con una velocità e precisione impensabile. Anche in questa visita capiamo quanto sia fondamentale il valore umano nel processo di produzione.

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Il viaggio di #calzarevalore si sposta dalla Lombardia e arriva nelle Marche. Anche qui troviamo una struttura grande, ampia e luminosissima. L’attenzione per chi ci lavora è molto presente. Ce lo racconta Annarita Pilotti, titolare di Loriblu col marito Graziano Cuccù che non incontriamo subito. Pensiamo ad una figura impegnata in grandi meeting, viaggi, telefonate ma ci dobbiamo presto ricredere. Camminando per lo stabilimento ad un certo punto Annarita prende a braccetto un signore in camice che cammina con un ragazzo. “Eccolo qua, lui non sta mai in ufficio.” Ebbene sì, Cuccù passa la sua giornata tra le linee di produzione. E la sorpresa non finisce qui. Il ragazzo vicino è il figlio, che comincia la strada in azienda dal piano terra, non dai piani alti.“Per comandare bisogna imparare ad ubbidire” ci aveva detto qualche minuto fa Annarita durante l’intervista. Non abbiamo parlato solo di questo, ovviamente. Abbiamo capito che la forza di Loriblu sta nei suoi negozi monomarca, in continua crescita. E nell’espansione capillare in mercati emergenti, sebbene non sia facile. Scopriamo quindi che per le aziende italiane è davvero difficile riuscire ad entrare in paesi come quelli BRIC, con dazi fino al 37%. Anche riuscire a farsi conoscere, promuovere, proporre è molto difficile per le aziende italiane. Serve promozione e comunicazione, non cene di gala. Gli imprenditori vogliono creare connessioni e sviluppare business.Questo potrebbe far pensare ad un’azienda dura. E invece Loriblu è una tra le poche, pochissime a mettere i dipendenti al centro di tutto il percorso produttivo, al punto di proporre un servizio fisso di psicologa per i lavoratori, di regalare alle dipendenti gli esami clinici per la prevenzione dei tumori, di favorire l’accesso ai giovani in azienda con concorsi e servizi di tutoring, e soprattutto una cosa che non avevamo ancora mai visto: la mensa autogestita per i dipendenti. Perché si lavora tutto il giorno assieme, si parla, si condivide e si crea valore anche davanti ad un piatto di pasta panna e tartufo.

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Siamo al secondo giorno del nostro tour nelle Marche. Ci perdiamo volentieri in paesaggi così belli e diversi tra loro mentre guardiamo il mare a sinistra e i monti a destra. Arriviamo a Monte San Giusto, andiamo a conoscere la storia di FABI. La superficie vetrata dello stabilimento riflette la bellezza del luogo, vicino vi si trova il FABI Store. Flaminio Fabi, della seconda generazione della famiglia, ci porta a visitare anche quello: è importante perché il loro brand punta molto sul retail, e lo spazio che visitiamo è la matrice di tutti gli spazi FABI aperti e in apertura nel mondo.Scopriamo allora che FABI da qualche anno propone, soprattutto per richiesta dei mercati esteri, il total look. E non parliamo di una semplice linea di giacche di pelle. Il look è davvero total, ci sono delle valigie che rubano il cuore di noi viaggiatori di professione, gli occhiali fatti in legno e pure il make up. Più total di così... Veniamo accompagnati a visitare tutta la linea di produzione che ha due enormi padiglioni, uno per l’uomo, uno per la donna. Quante persone, quante storie. Ad un tavolo di lavoro vediamo tre generazioni che collaborano. “É così che si insegna l’arte della scarpa. Bisogna fare le scarpe con amore, sennò non durano” ci dice Flaminio Fabi.L’esperienza del totale di FABI non si ferma. Infatti, anche la filiera è presente nella sua totalità nell’azienda, rendendo autentico il valore della produzione del Made in Italy, delle sue specificità locali, del genius loci, dello stile e della ricerca. Questa potrebbe sembrare retorica ma quando Flaminio Fabi ci ha fatto sentire che la colla utilizzata è inodore e quindi non va a creare disturbi alla respirazione dei dipendenti abbiamo capito: solo se il rispetto di tutti i componenti e delle persone è totale, si arriva ad essere un’azienda leader di mercato.

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Assocalzaturifici continua il viaggio nelle Marche. La destinazione di oggi è Zeis Excelsa. Ieri eravamo da FABI, monobrand, oggi siamo in un’altra realtà internazionale che offre diversi marchi, come Dirk Bikkembergs, Docksteps, Cult, Virtus Palestre, Merrell, Sebago, Sonora, Patrizia Pepe. Ancora una volta ci mettiamo a pensare quanto sia forte e differenziata la produzione italiana delle calzature.L’azienda che visitiamo è in pieno movimento e riusciamo a intervistare Dino Pizzuti, il brand manager. In Italia si parla tanto di giovani e ne abbiamo trovati. Esistono anche nelle posizioni dirigenziali! E Dino non è vestito in maniera convenzionale ma ha una barba, degli orecchini, dei tatuaggi e dei jeans. Vediamo quindi che conoscere i costumi delle nuove generazioni non vuol dire per forza criticarli.Procedendo con l’intervista presente sul sito e tutti gli spazi social di #calzarevalore, ci rendiamo conto che Zeis Excelsa riesce ad avere una visione d’insieme della complessità del mercato, soprattutto della nuova funzione del cliente nel mondo della filiera per cui “il cliente diventa un nostro partner”. Infatti, ci spiega il brand manager, ormai l’acquisto di una calzatura è un acquisto ponderato, maturato, informato, i tempi dell’acquisto d’impulso sono finiti. É proprio questo il segreto dell’azienda, osservare e comprendere il comportamento di acquisto dei consumatori. La ricetta di Dino Pizzuti è quindi essere in ascolto, sempre di quello che succede fuori dall’azienda, di essere pronti al cambiamento.Una strategia che viene applicata in toto alla filiera: è fondamentale l’ascolto di tutte le parti, dei dipendenti diretti, dei monomarca, del wholesale. Per Zeis Excelsa sono tutti partner fondamentali per lo sviluppo del prodotto perché il loro Made in Italy è “dare di più alle scarpe riempiendole di attenzioni, curando i materiali e trattamenti e, soprattutto, collaborando con tutti.”

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Siamo in tour da una settimana, scoprendo ogni giorno un nuovo scorcio del paesaggio italiano e una nuova azienda associata Assocalzaturifici. Oggi però ci sembra di essere entrati in una favola, in un sogno: entriamo nel mondo di Silvano Lattanzi. Zintala è la sua azienda, è una bottega, un museo, uno spazio dove l’artigiano incontra l’arte.Veniamo subito rapiti dal genio, dalle storie, le esperienze di Silvano Lattanzi che ci tiene moltissimo: lui è un calzolaio. Amante della perfezione, dei materiali, del lavoro che c’è dietro una calzatura. Il rispetto per il prodotto è talmente forte e radicato che quando parla di aziende della calzatura parla di gioiellerie. Per questo non ha mezzi termini nel raccontarci la sua posizione sulla vendita delle eccellenze del settore ai grandi marchi francesi o del lusso: non si deve fare. Bisogna invece ritornare ad essere in possesso delle chiavi dei laboratori e non padroni di aziende ma di una storia.Uno stratega, un businessman, un poeta. Secondo Silvano Lattanzi l’unica soluzione alla stagnazione del mercato italiano è quella di porre lo stesso impegno per un prodotto da sessanta come a seimila euro. Per fare questo, però, è imprescindibile essere credibili come imprenditori in primis, soprattutto nel discorso della comunità europea. In secondo luogo, poi, l’imprenditore deve rinunciare alle comodità che si possono presentare e lavorare ventiquattr’ore al giorno per l’impresa, che deve essere etica e corretta. Quando parla di mercato straniero, di espansione, di crescita ci insegna che è importante imparare da tutti per non commettere l’errore di sottovalutare la grande crescita di know-how che hanno i mercati emergenti.Concludendo l’intervista gli chiediamo come possono fare le nuove leve a diventare veri imprenditori. Bisogna applicarsi, ci viene risposto, perché oggi è sempre più difficile e non c’è un ritorno veloce. E augura a tutti giovani di “poter ricominciare a sognare, proprio come noi negli anni ’70.” 

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Il tour di #calzarevalore continua. Ci spostiamo a Torre San Patrizio, sede di Rocco P., Principe di Bologna. L’approccio di Rocco Pistolesi al mondo della calzatura non è convenzionale. É corroborante. Dà e vive una nuova dimensione, fortifica, rinvigorisce il Made in Italy. Al punto che ha tolto tale dicitura dalle sue scarpe, sostituendola con Made in Torre San Patrizio. Allo stesso modo si approccia ai mercati emergenti, non si fa prendere dal mito asiatico del mercato in espansione, ma conosce e predilige quello di nicchia come Giappone e Corea, non sottovalutando mai l’establishment del mercato degli Stati Uniti.Le calzature di Rocco P. sono creazioni, non prodotti, passano in numero ridotto dalle manovie, non da impianti di produzione. La scelta di produrre pochi pezzi al giorno è garanzia di una scelta manageriale, artigianale e umana: parliamo di scelta della lavorazione delle pelli, delle pelli stesse (si possono usare anche quelle dei pesci), della lavorazione artigianale del fondo e della tecnica di montaggio della calzatura. Un film.Ci perdiamo nei pensieri di Rocco Pistolesi, la visione del sistema azienda e del sistema moda è molto chiara: “il fashion system ha forzato il sistema dell’artigianalità. Certe cose vanno migliorate e non modificate ogni stagione.” Musica per le nostre orecchie anche quando si parla di ricette anticrisi. Il regime di tassazione dovrebbe permettere agli imprenditori di investire nell’azienda. E a loro volta, gli imprenditori dovrebbero porre maggiore serietà e meno imprecisione. La crisi ha allontanato le persone, “la stretta di mano non c’è più, questo era il Made in Italy”Assocalzaturifici pone una domanda uguale a tutti gli intervistati del tour della filiera italiana. Come si può produrre calzature e produrre, allo stesso tempo, valore. Rocco Pistolesi risponde che bisogna far comprendere al cliente finale che quella che indossa non è una scarpa ma un oggetto d’arte, dove l’artigiano, il calzolaio, il produttore deve esprimere la propria creatività in 30 centimetri quadrati.

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Il viaggio di #calzarevalore nelle Marche prosegue da FALC. Azienda nata nel 1974, negli anni ’80 crea i brand Falcotto e Naturino, diventando subito un player di grande valore nel mercato delle calzature per i più piccoli, forte di una grande ricerca e innovazione di prodotto. Altra caratteristica del successo di FALC, il forte legame e la forte integrazione col territorio di Civitanova Marche.La grande conoscenza della realtà locale è il punto di partenza per la consapevolezza dello stato del mercato italiano. Salina Ferretti ci racconta infatti che è importante ricordarsi che è dal mercato italiano che le grandi aziende sono partite e sono cresciute. Il momento richiede due cose dalla difficile convivenza: una forte politica di prezzo e continua innovazione. La concorrenza non è solo fra italiani, esistono anche marchi stranieri con cui confrontarsi. Salina Ferretti racchiude tutto in un concetto: bisogna credere nel mercato italiano.Una volta che ci si sposta all’estero, il passaporto italiano deve continuare ad essere garanzia di qualità perché per FALC sottovalutare le richieste e abitudini di un mercato emergente è un errore, come pensare che sia facile conoscere e gestire l’accesso e le vendite in un paese lontano e straniero. L’italianità è creatività, eccellenza e diventa valore investendo, puntando sul marchio, lavorando sulla qualità. Ricordando sempre il legame col territorio: l’apertura delle Cantine Fontezoppa (il nome ricorda l’antica fonte esistente in passato dove ora sorgono i vigneti) che producono vini pregiati e Vernaccia Nera, è un brindisi al camminare italiano.

FalC

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La 500L di #calzarevalore continua a macinare chilometri tra le colline marchigiane. Ci spostiamo da Civitanova a Sant’Elpidio. Oggi conosciamo il punto più importante della scarpa: suole e fondi, quello strato di pochi millimetri o centimetri che ci appoggia o innalza dal suolo terrestre. Siamo da DA.MI., azienda che da mezzo secolo propone qualità, innovazione e grande personalizzazione nella realizzazione di suole e fondi di scarpe.Ci accompagna nel tour in azienda Michela Catalini e parliamo subito di mercati. Quello italiano che crea problemi ai produttori per la questione dei pagamenti e delle riscossioni e quelli stranieri, soprattutto emergenti, con due tipologie di intervento. Nel primo caso la gestione e organizzazione è diretta dall’azienda italiana, nel secondo caso ci sono partner del luogo, con vantaggi iniziali nell’entrata e nello scambio di know-how. Il modello italiano non è sempre la soluzione ma va tenuto sempre in considerazione il mercato del posto, il successo è lo scambio e l’ascolto tra le due parti coinvolte nel processo, l’azienda deve imparare a non sradicare mai la realtà della zona e a capire le diverse modalità e mentalità.Anche in Italia. Essendo DA.MI. parte della filiera produttiva, Michela Catalini ci spiega che per favorire il lavoro di tutti non basta fare accordi sulla carta, bisogna agire, perché la creazione di valore parte dai rapporti tra persone e poi tra aziende. Il segreto del successo di DA.MI.?Conservare il Made in Italy, preservarlo dalle acquisizioni straniere. Ricerca e attrezzature per condire il tutto e… tanta ma tanta passione e voglia di fare.

Da.MI.

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Siamo all’ultimo giorno nelle Marche. Mentre in tutta Italia il cielo è grigio e fa freddo, qui si continua a stare in giacchetta, a vedere il mare e le vicine montagne sotto il sole. Andiamo a conoscere Marcello Vallasciani, e la sua azienda, Walk Safari. La specializzazione è in calzature per bambini, con marchio proprio e in licenza, per prestigiosi brand come Liu-Jo, Roberto Cavalli, Aliviero Martini e Byblos.Anche da Walk Safari ci rendiamo conto di quanto sia grande l’impresa italiana. Siamo infatti spesso portati a pensare che all’estero, tra i marchi italiani, ci siano solo grandi multinazionali, marchi di lusso, produzioni di grande numero. Invece ci sono moltissime realtà che conoscono molto bene e sono presenti nei mercati stranieri e - cosa ben più complessa - in quelli emergenti. Marcello Vallasciani ci spiega infatti che per arrivare solo al contratto, quando ci si trova in un playground lontano, serve molto tempo ma soprattutto è importante crescere in relazione alle persone che si hanno di fronte. Per questo è fondamentale avere un saldo partner locale, una scelta rischiosa e non sempre facile: servono mesi per poter dar vita un progetto di valore.Walk Safari produce marchi propri e in licenza: chiediamo a Marcello Vallasciani che strada prenderà in futuro l’azienda. Sarà sempre più importante puntare sui propri marchi, perché il mercato delle licenze è molto variabile. La filiera continua ad essere un punto d’inizio per la produzione della calzatura, ma anche il suo prosieguo e la conclusione: il rapporto umano e professionale cambia notevolmente il successo di un’impresa.É tempo di caricare telecamere e microfoni in macchina: il nostro viaggio continua in Toscana.

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Arriviamo in Toscana. I cipressi sulle colline ci confermano che siamo proprio in una delle regioni più cinematografiche d’Italia. #calzarevalore e il suo tour fanno tappa a Montelupo, andiamo a conoscere la storia del suolificio Magonio. In mezzo secolo di esperienza è ora produttore di fondi e suole per aziende come Gucci, Ferragamo, Jimmy Choo e Valentino.La storia comincia a fine anni ’50 quando Alessandro Piccini, vista l’ingegnosità e grande pratica, comincia a riceve il soprannome di Mago… per poi diventare Magonio. Il suolificio cambia diverse sedi ma rimane sempre strettamente collegato al territorio. Una costante, una realtà che va a scontrarsi con una difficoltà nel ruolo artigianale delle persone che ci lavorano: il ricambio generazionale è difficile, si nota nel tempo una maggiore difficoltà a trovare la manodopera.Il nostro giro in azienda è guidato da Sandra Piccini, che in azienda si occupa di amministrazione e contabilità. Camminando tra i vari macchinari, vediamo Magonio, in divisa come gli altri lavoratori, non in giacca e cravatta. Pensate, è stato lui in persona ad aprirci il cancello dell’azienda. In quante altre realtà poteva succedere?Sandra ci racconta che negli ultimi trent’anni le richieste dei clienti sono cambiate, una volta la differenziazione per il loro prodotto era minima, ora i marchi chiedono e propongono nuove lavorazioni, colorazioni, materiali, accessori.Chiediamo il segreto di questo successo. É chiaro che per essere un leader mondiale nella produzione di suole e fondi, bisogna unire una ineccepibile capacità artigianale ad una grande produttività e organizzazione aziendale. Bisogna essere artigiani e manager, si direbbe in un convegno. Oppure, come ci dicono Magonio e figli: il segreto è fare bene la cosa meno artistica.

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Lasciamo troppo presto le belle terre toscane per dirigerci verso gli Appennini e la sempre accogliente regione Emilia Romagna. Ci fermiamo in un luogo importante per la memoria, Marzabotto, dove conosceremo la storia del Tacchificio Monti. Monti produce la totalità del mondo del tacco, componenti, accessori, zeppe, suole e plateau. Che partono da un piccolo paesino stretto in una valle e arrivano fino alle passerelle più importanti della moda. Ci accoglie, è proprio il caso di dirlo, Gabriele Monti. Ci racconta con passione la storia del tacchificio, del rapporto con il territorio e del profondo legame con tutto quello che ha permesso la creazione della loro realtà: la famiglia. Detto così suona male ma Gabriele ci dice una cosa che riassume meeting su meeting di time management: bisogna ritornare a rispettare i tempi. In che senso, chiediamo. Bisogna ricordare che esiste la notte, il giorno festivo, che ci sono le famiglie a casa. Per chi vede quest’attenzione come un punto debole nel processo di produzione, possiamo assicurare invece che è la ricetta giusta: il tacchificio Monti si trova a dover dire di no ai clienti, perché le richieste sono molte e sempre più diversificate. Gabriele Monti ci racconta infatti che non si può dire di no ai clienti anche se produrre cinque tacchi è un processo più complesso che produrne duemila. E nonostante tutto ci riescono grazie all’avanguardia delle tecniche e dei macchinari impiegati che vengono mostrati anche ai concorrenti. Ci pare di non aver capito. Chiediamo spiegazioni. “Siamo troppo chiusi come settore, è importante condividere il know-how. Noi siamo aperti ai concorrenti e se conosco la realtà di qualcun altro cresco anche io”, ci dice Gabriele.

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Oggi #calzarevalore si sposta a San Mauro Pascoli, per conoscere la grande azienda Baldinini. Baldinini è diventato sinonimo di made in Italy nei mercati emergenti, come quello russo. É proprio in Russia che Gimmi Baldinini trovò l’America, con un viaggio cominciato più di 30 anni fa, in un paese dove non c’erano negozi, ma c’era ricchezza, bisogno di moda e amore per la moda.La strategia applicata nel mercato italiano e in quello russo è la stessa: puntare sulla bellezza del prodotto italiano. Per questo, aggiunge Gimmi Baldinini, serve un bel prodotto, un bel marchio e, cosa da non sottovalutare, bisogna avere un bel campionario. A questo si aggiunge la decisione di essere i registi della parte retail, puntando esclusivamente sul monomarca, evitando la politica degli store multibrand. Un modo di pensare diverso che ha portato all’apertura di più di 150 negozi diretti.Chiediamo allora quale possa essere la prossima Russia per il brand Baldinini. “Serve un mercato in crescita innanzitutto”. Per esempio la Cina, un mercato appetibile ma che esige una presenza continua sul campo, una profonda conoscenza del luogo e deve confrontarsi con un gusto molto difficile. Inoltre, la difficoltà principale per conquistare un mercato simile è che il popolo cinese è molto condizionato dall’amore dei marchi. Parlando di altri mercati, per vincere bisogna cercare quello più vicino al proprio prodotto e avere costanza nella penetrazione dello stesso: cambiare continuamente piazza non è una scelta utile all’azienda.Gimmi Baldinini ci lascia con una provocazione, che ci piace e condividiamo con chi legge: “viviamo nel paese più bello del mondo, con i prodotti fatti meglio. Com’è possibile che si continui a dare un’immagine così negativa? Perché esprimiamo sempre il peggio e mai il meglio? L’immagine alta della moda purtroppo si deve confrontare con quella data da politica ed economia”. Le cose devono cambiare.

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Anche oggi #calzarevalore è a San Mauro Pascoli. La storia di oggi è quella di Giglioli Production, affermata realtà a livello locale, nazionale ed internazionale.Il segreto del successo della Giglioli Production è il prodotto, tanto semplice da dire quanto complesso da realizzare: è necessario unire prodotto, qualità e servizi. Il mercato apprezza l’eccellenza nella semplicità dei task richiesti: alti standard qualitativi, quantitativi, puntualità nella consegna, tutti step del processo che Massimo Pazzaglia chiama la qualità assoluta.Per un produttore di suole e fondi le materie prime sono fondamentali e ci si deve interfacciare con le difficoltà date dall’aumento dei listini prezzi, soprattutto quando si è parte integrante della filiera. Con l’avvento di grosse compagnie che entrano nel campo da gioco vi è stato un grande cambiamento di modi e metodi di produzione: la programmazione è cambiata, il dialogo e i rapporti tra i vari attori della filiera sono la differenza e la garanzia del successo. Ad esempio anche le concerie con cui Giglioli Production lavora e collabora da anni hanno cambiato gli standard per garantire l’alta qualità di ogni singola componente della calzatura perché diventano portavoce del rapporto con cliente e fornitore.Produrre calzature e produrre valore per Massimo Pazzaglia parte dall’orgoglio per il proprio lavoro, per la propria parte svolta all’interno della filiera produttiva. Un orgoglio per un prodotto che è frutto di sudore, amore per lo stesso, lavoro quotidiano ma soprattutto l’orgoglio di fare parte assieme a tutto il mondo della produzione dell’universo della calzatura.

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#calzarevalore lascia la calda Emilia Romagna e arriva in Veneto. Il tour riparte dalla riviera del Brenta, il distretto che i più grandi marchi del lusso hanno scelto per la produzione delle calzature più eleganti ed esclusive del mondo della moda. Ci accoglie Daniele Salmaso che rappresenta la nuova generazione nello stabilimento Original Salmaso, produttori di marchio proprio, Twi.. e in licenza.Chiediamo a Daniele Salmaso se essere produttori e licenziatari di marchio sia possibile, quali siano le complessità del processo. Ci viene risposto che non è difficile, anzi, i ritmi serrati del fashion system sono di supporto alla produzione del marchio proprio. Questo infatti, consente di ottimizzare i tempi dell’azienda: il marchio proprio al momento propone due stagioni per anni, le grandi griffe invece arrivano ad avere fino a sei stagioni all’anno. Così facendo l’impianto produttivo è sempre ai massimi regimi e l’abbiamo notato mentre giravamo le scene dell’intervista: i ritmi di lavoro sono molto serrati!Verrebbe da dire che la storia del Made in Italy più che scritta va camminata. Daniele Salmaso ci racconta infatti che in questo distretto si è cominciata l’avventura delle calzature ai tempi dei dogi veneziani, ed è fondamentale non perdere la storia che ha creato, in una zona così piccola, il punto di riferimento per la produzione dei più grandi marchi del lusso mondiali.

TWI..

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Il tour di Assocalzaturifici ricomincia dalla bellezza assoluta di Villa Pisani, a Stra. Villa Pisani ha avuto molti ospiti di rilievo, come Napoleone Bonaparte, la famiglia Asburgo, Carlo IV di Spagna, lo Zar Alessandro I e Ferdinando II di Borbone Re di Napoli. Rischiamo di perderci tra il parco, abbiamo una nuova storia da raccontare: quella di Franco Ballin.Con Franco Ballin conosciamo due importanti ingranaggi della filiera: la progettazione e la distribuzione. Veniamo così a scoprire che il laborioso veneto è al top anche nell’innovazione di prodotto, vediamo uno stabilimento che, grazie alle nuove tecnologie, riesce a inventare un’intera calzatura interamente al computer. Anche il prototipo. Finalmente vediamo come funziona una stampante tridimensionale, ma soprattutto pensiamo a come possa essere sfruttato tutto questo per la produzione: così facendo per i dipartimenti di progettazione e stile, sarà possibile in tempi brevissimi inviare l’idea del prodotto dall’altra parte del mondo. In questo modo i tempi di comunicazione si accorciano e si può puntare maggiormente sulla qualità dei prodotti, come avviene per le calzature di Franco Ballin.Il secondo ingranaggio che andiamo a conoscere oggi è quello della distribuzione. Su questo Franco Ballin è molto agguerrito. Ci spiega infatti che gli standard di produzione ormai sono molto alti in generale ed è il pezzo finale della filiera ad essere il più delicato. Per fare questo serve che i produttori facciano aggregazione.Lo spazio in cui giriamo la nostra intervista è uno show room che infatti racchiude quattro marchi, e per fare capire quanto sia fondamentale anche il discorso del chilometro zero nella produzione Ballin ci racconta che in questo luogo, illuminato con lo stesso impianto di luci delle Olimpiadi di Tokyo, prima c’erano uffici.

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Il tour #calzarevalore di Assocalzaturifici riprende varcando il fiume Brenta. Arriviamo a Stra, al formificio STF. Ci accoglie a braccia aperte Andrea Tripodi che rappresenta il ricambio generazionale affiancando il padre da qualche anno e ora, new entry, l’azienda conta sul grande lavoro anche della sorella.Il mercato del formificio è internazionale e lavora a stretto contatto con aziende locali e straniere. I mercati emergenti, invece sono ancora molto distanti dal prodotto STF in quanto le forme rimangono un prodotto pesante e non facile da spedire. La costanza del contatto col cliente è una complessità rilevante quando si parla di mercati lontani perché proprio la realtà non è abituata agli alti standard qualitativi del prodotto. Il mercato di STF è cambiato perché i tempi sono più brevi e i lotti più piccoli ma è importante stare al passo, essere produttivi, veloci, precisi. I clienti sono costretti, per primi, a reinventarsi ogni stagione, ogni sei mesi e di conseguenza il formificio deve continuare con gli stessi standard di qualità.La filiera italiana funziona perché il mercato di riferimento finale è quello mondiale. L’esportazione, aggiunge Andrea Tripodi, aiuta il tutto ma frena le aziende che invece lavorano sul mercato interno, perché ci sono evidenti problemi di pagamenti e ordinativi che si ripercuotono in tutto il processo. La soluzione non è la delocalizzazione per ricreare il gigantesco tessuto di esperienze, vissuti e dettagli che è il Made in Italy, tantomeno per le aziende italiane che di base sono medio piccole e familiari: serve tempo e risorse per questo tipo di progetti.Il segreto di STF? Il miglioramento costante, porsi sempre un nuovo obiettivo. Per avere un prodotto di qualità bisogna che la modelleria sia eccellente, e che tutto il resto del processo non stravolga o cambi il progetto iniziale: bisogna essere il braccio della mente del cliente. Per fare questo servono esperienza, insegnamento ai giovani e investimenti in tecnologia.

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Oggi siamo da Ballin, un tiepido sole riscalda il verde veneto, con i canali della riviera del Brenta che ci accompagnano nel viaggio di #calzarevalore. Azienda storica del distretto, nata nel 1945 da Giorgio e Guido Ballin. Ci accoglie nel grandissimo stabile tutto vetro e storia la figlia Gabriella. Facciamo un rapido giro negli spazi: c’è da perdersi. É tutto molto luminoso, ampio, frenetico. Oltre ai nostri occhi, il nostro naso rimane ammaliato: non sentiamo odore di colla o vernice, solo il profumo dei pellami. Pellami che saranno la carrozzeria delle fuoriserie che Ballin produce a marchio proprio e per le più importanti maison del lusso.Nel nostro giro, accompagnati dalla gentilissima Gabriella Ballin, scoviamo l’heritage del marchio: un museo dell’artigianalità del marchio, che vede esposti i primi modelli e le prime scatole prodotte. É bellissimo vedere come gli ambienti anni ’60 siano così ben conservati e soprattutto fusi nel concept minimal e moderno dello stabilimento che vi è nato intorno.Gabriella Ballin ci spiega come sia possibile produrre per il proprio marchio e per un grande marchio del lusso. Il segreto? Nessuno. La stessa cura, scelta, artigianalità è presente in entrambi i prodotti. L’altra arma vincente è avere la coscienza che ormai chi produce calzature è parte della filiera e al tempo stesso è filiera internamente per se stesso. Dallo stabilimento non esce solo un determinato numero di pezzi ma si è fornitore di servizi.E il vero fiore all’occhiello dell’azienda Ballin, quale è? “Da noi non ci sono persone che spiegano come fare un prodotto, ma ci sono artigiani che tramandano ai giovani l’arte della calzatura”. Giovani che sono il futuro dell’azienda che abbiamo visto lavorare realmente fianco a fianco con le persone che hanno fatto la storia, la vita, il successo di Ballin.

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#calzarevalore prosegue il viaggio in Veneto, spostandosi verso le zone di Montebelluna. Oggi ci ospita Stonefly, azienda giovane e già leader del settore calzature comode e innovative. Ci accoglie Adriano Sartor, che iniziò questa avventura con Andrea Tomat nel 1993. “Il successo del marchio Stonefly è stato veloce, come veloci sono i cambiamenti del mercato in questo momento” spiega Sartor. La distribuzione infatti sta cambiando soprattutto nei mercati vicini al nostro che in questo momento non attraversa uno dei momenti migliori. Se il mercato e la distribuzione cambiano, tutto parte dal cliente: è più attento al prezzo, più informato sulla qualità e abituato ad effettuare gli acquisti in maniera alternativa all’ingresso nel punto vendita, che rimane ad un livello esperienziale nell’intero processo di acquisto. “Un cambiamento epocale che porterà di sicuro ad un accorciamento della filiera e alla relativa diminuzione di prezzo che il consumatore vuole vedere” spiega Sartor.Le aziende cominciano allora ad adeguare la loro struttura a queste esigenze, sarà necessaria una maggior flessibilità produttiva, accorciando i tempi di produzione, usando internet come strumento di vendita ma anche di diagnosi di gusti e richieste. L’azienda poi si trova a lavorare su nuove competenze, come dimostra il fatto dello sviluppo dei punti vendita diretti, non più su licenza o tramite multibrand. Questo avviene anche all’estero e nei mercati emergenti. La cultura e la distribuzione sono completamente diversi, non esistono piccoli punti vendita a gestione familiare a cui vendere una calzatura e raccontare una storia. Per questo tutto il processo va pensato e vissuto con la coscienza che si sta operando a dodicimila chilometri dalla casa madre, a livello di vendita ma soprattutto sociale e culturale.

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Continua il viaggio per il grande Veneto. Oggi siamo da Grisport, immensa azienda del Made in Italy che notiamo subito essere ricoperta di pannelli fotovoltaici, estesi praticamente come quasi quattro campi da calcio che in vent’anni risparmieranno all’ambiente diecimila tonnellate di CO2 e 24 tonnellate di polveri sottili.Parliamo subito di mercato italiano, Gianni Grigolato ci spiega che senza dubbio c’è stata una forte tendenza a privilegiare alcuni marchi rispetto ad altri. Nonostante questo la percentuale di Grisport è rimasta invariata per i più fidelizzati, grazie al mix di qualità e prezzo competitivo dei prodotti. Nel mercato europeo invece l’azienda è cresciuta e continua a crescere in Olanda, Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca. Ora la sfida è la Cina, interessante per le grandi potenzialità di acquisto sebbene non sia facile: serve ricerca e il partner giusto.L’arma vincente per un buon rapporto qualità prezzo si basa soprattutto sul fatto di avere un’ottima squadra che lavora in tutta l’azienda e una grande stabilità economica anche per affrontare un periodo di crisi come quello che attraversa il nostro paese. Inoltre, dice Grigolato, è fondamentale avere una filiera che segua e supporti l’azienda in termini di rapidità e attenzione al mercato, cosa non facile viste le frequenti chiusure di parti della stessa dovute a crisi di risorse come nel caso di componentisti o concerie che lasciano un vuoto non facilmente colmabile.Per Grisport l’importante per un’azienda non è essere uno strumento finanziario, ma avere un’anima. Un’anima che è fatta da tutte le persone che ci lavorano quotidianamente con entusiasmo e passione, l’ingrediente fondamentale per il successo e la creazione di valore.

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#calzarevalore si rimette in viaggio, oggi la tappa è Saonara e saremo ospiti di De Robert, azienda storica nella Riviera del Brenta con 50 anni di esperienza.Il mercato italiano è cambiato ridimensionandosi e per questo De Robert si è spostato verso l’esterno anche con l’aiuto delle fiere all’estero come quelle organizzate da Assocalzaturifici in Cina e Russia per il MICAM. Siro Badon ci illustra una situazione complessa per quanto avviene sui mercati esteri. In Europa, le direttive della Comunità Europea non sono chiare nel sostegno al Made in Italy. Per la nostra produzione, soprattutto nei paesi BRICS, il problema è la non reciprocità nei dazi con i paesi stranieri ed è difficile per le aziende affrontare le forti barriere che si trovano nelle zone più lontane ed emergenti.Ma come si fa a portare un prodotto di nicchia all’estero? Come anni fa, quando si partiva con la valigia e si andava alla scoperta della propria America. Non è facile, gli aiuti sono pochi e vengono maggiormente dalle associazioni. Non basta avere un buon prodotto, non serve essere solo forieri del made in Italy: bisogna creare una struttura, un’organizzazione e non fermarsi. Facciamo allora una domanda provocatoria. I rapporti con le banche. Badon ci risponde prontamente che l’attuale condizione del rapporto tra aziende e banche non dipende dal settore calzaturiero. Anzi. “É proprio la piccola media impresa ad aver sostenuto gli istituti di credito, perché quando un delegato della banca entra in un’azienda come quelle del nostro settore, non incontra l’amministratore delegato ma il titolare, i figli e persone disposte a mettere in gioco tutto quello che hanno costruito per far fronte ai propri impegni” dice Badon. Il problema nasce quando tutto questo alle banche non basta più, mancnao di visione d’insieme: non si guardano più i progetti, le storie, ma il rating. E l’errore principale è non guardare quelli storici. Dimenticando che soprattutto che le aziende medio piccole creano ricchezza, creano occupazione e pagano le tasse.

De roBerT

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Per la conceria Montebello il mercato italiano è in un momento complicato. Per l’azienda rappresenta solo il 30% delle vendite e i fabbricanti italiani, brand e terzisti loro clienti, sono diventati molto sensibili al prezzo. Inoltre, dal punto di vista finanziario, è sempre più difficile la trattativa, nonché ottenere assicurazioni sui crediti, i pagamenti sono sempre più lunghi e bisogna imparare a contrattare anche coi marchi più alti del settore calzaturiero.Il mercato europeo invece è stabile, i clienti sono fidelizzati da anni grazie ad una forte relazione con le persone e i designer che sviluppano le collezioni dal disegno al prodotto finito, alimentata da continue visite, eventi, fiere. A queste va aggiunto un servizio costante ed essere pronti a fare uno sforzo in più, a sviluppare un prodotto in più a seconda delle esigenze dei clienti, del loro mercato. Qualche nome? Germania, specializzata in automotive, Spagna, Francia per calzature e abbigliamento. I mercati emergenti per la conceria Montebello sono in aumento e i rapporti si vanno intensificando, perché i grandi marchi del lusso si appoggiano nella produzione sempre più verso l’Oriente.Vogliamo capire bene le ragioni di un successo così forte per un componente della filiera della produzione. É fondamentale il rapporto che si crea a monte con i fornitori per ottenere un prodotto di altissima qualità: serve un continuo confronto con chi vende il grezzo, i prodotti chimici per migliorare prodotto e processi. A valle della filiera, invece, è importante avere uno scambio coi produttori di calzature e accessori in quanto rappresentano il feedback più vicino al mercato finale: le loro indicazioni servono alla conceria per costruire l’articolo corretto, prodotti innovativi a livello qualitativo e che rispecchino le richieste del brand.Così il primo tour di #calzarevalore termina proprio li dove tutto inizia, nella conceria. Una delle tre più importanti al mondo. Segno che il valore e l’unicità della calzatura Made In Italy non nascono nel prodotto finito ma sono sempre emergenti in ogni luogo della filiera.

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Il ToUr

Fratelli rossetti 6Bonaudo 10loriBlu 14FaBi 18zeis excelsa 22silVano lattanzi 26rocco P. 30Falc 34da.mi. 38elisaBet-Walk saFari 42magonio 46

pagina pagina

monti 50Baldinini 54giglioli 58tWi.. 62Franco Ballin 66stF 70Ballin 74stoneFly 78grisPort 82de roBert 86monteBello 90

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