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Pescara, 21 e 22 giugno 2014

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Pescara, 21 e 22 giugno 2014

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1. Erikson: diventare adulti

2. Fowler: lo sviluppo della fede

3. Attraversare i conflitti: la via all’adultità

4. Preghiera e rituali: la cura dell’ adultità

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1) Erikson: diventare adulti

Sesto stadio: intimità e solidarietà opposta a isolamento (prima età adulta): se il giovane è riuscito con successo nel compito della costruzione della propria identità, può ora affrontare il passo successivo: costruire una relazione di coppia matura, tra intimità e solidarietà.

Dopo l’io è tempo di costruire il “noi”. Centrale diviene la relazione d’amore con tutte le sue dinamiche. Se queste esperienze di intimità falliscono, ne deriva l’isolamento, cioè la paura di “loro”, degli altri, percepiti come una minaccia per la propria identità.

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1) Erikson: diventare adulti Imparare ad amare: l’amore ora non è più inteso come l’intimità del primo innamoramento, impaziente e sognatrice, ma una intimità più profonda, che significa capacità di impegnarsi in concreti obiettivi di rapporto con gli altri, che – ricorda Erikson – “richiedono spesso sacrifici e compromessi non trascurabili”. Se si fallisce, ecco l’isolamento, per la paura di restare divisi e non riconosciuti. L’isolamento alimenta una forte tendenza alla perenne ricerca di una estatica esperienza Io-Tu (sul tipo di quella vissuta agli inizi della nostra esistenza, una fissazione al primo Altro), in una relazione “simbiotica”; una sorta di isolamento a due, dove i partner si proteggono a vicenda dalla necessità di affrontare la successiva crisi evolutiva della generatività.

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1) Erikson: diventare adulti

I giovani-adulti si trovano emblematicamente tra la necessità di scegliere e il fascino dei possibili. Se l’adolescenza è l’età delle “sperimentazioni vitali”, la prima età adulta è l’età delle “decisioni vitali”. Ma non è facile affrontare questo compito di sviluppo, oggi. Dentro la famiglia affettiva – che è una famiglia “lunga” (ci si sta molto a lungo), ma anche “stretta” (perché mancano spesso fratelli, zii, cugini ecc. dalla relazione con i quali è più facile accedere al principio di realtà) – non si impara più a confliggere; manca quel sano conflitto che insegna a prendere le misure e ad accogliere i limiti, sapendoli rinegoziare di volta in volta.

Anche il contesto sociale non aiuta a prendere decisioni (manca la disponibilità economica, un lavoro, una casa…). Il compito evolutivo è quello che Charmet chiama soggettivazione: imparare ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni. L’adolescente non può ancora farlo; il giovane adulto deve invece imparare a farlo, se vuole crescere.

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1) Erikson: diventare adulti Settimo stadio: generatività opposta a stagnazione e auto-assorbimento (seconda età adulta): con il termine generatività Erikson intende l’interesse dell’individuo adulto a fondare e a guidare la generazione successiva, o attraverso l’allevamento dei figli, oppure attraverso imprese creative e produttive. Ovviamente, ricorda Erikson, non è sufficiente mettere al mondo dei figli per sviluppare la generatività. Prerequisito è infatti una sorta di apertura al futuro: credere nella specie e decidere di occuparsi degli altri. Se questo carattere non si sviluppa, ecco la stagnazione, cioè l’indulgere su di sé nell’autocommiserazione, la noia, la mancanza di crescita psicologica, in una parola autoassorbimento.

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1) Erikson: diventare adulti Imparare la cura, nel senso della capacità di prendersi cura degli altri. È la carità, la terza delle tre virtù teologali o valori assoluti (dopo la speranza guadagnata nel primo stadio; la fede/fiducia guadagnata nel quinto stadio). La cura è «disponibilità ad amare, ad accarezzare chiunque, in stato di abbandono, rende manifesta la sua disperazione». È disponibilità a prendersi-cura delle persone, dei prodotti e delle idee che ci siamo impegnati di curare. Per Erikson si tratta di un vero e proprio compito generazionale: un impegno complessivo verso le generazioni che verranno. Se l’individuo fallisce in questo compito evolutivo, può accadere una regressione agli stadi precedenti, ad esempio ad una esclusiva ed eccessiva preoccupazione per l’immagine del proprio ego… È la patologia nevrotica del nostro tempo: il narcisismo

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1) Erikson: diventare adulti

Essere generativi significa in definitiva: Fornire insieme radici e ali: non bastano solo le radici (se poi impediscono di volare) e neppure solo le ali (se poi non si sa verso dove dirigersi); il giusto equilibrio e la tensione tra sostenere e lasciar andare… Ogni essere umano infatti – e questo in comune anche ad altre forme viventi – ha due bisogni fondamentali: 1. Di essere amato, riconosciuto, visto, rispecchiato, ben-voluto… accettato incondizionatamente; 2. Di essere lasciato libero di essere quello che è, e quindi aiutato a sciogliere quei legami così vitali in una fase della vita ma destinati a diventare puro veleno se non si sciolgono.

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1) Erikson: diventare adulti Per poter rispondere adeguatamente al primo bisogno, abbiamo bisogno di empatia e compassione e queste nascono dalla conoscenza di noi stessi e degli altri… imparare ad ‘ascoltare’ e a ‘vedere’, oltre le apparenze e le evidenze. Superando luoghi comuni e stereotipi…

Per rispondere al secondo bisogno, dobbiamo anzitutto prenderci cura di noi stessi, dedicarci del tempo e delle sane energie, per sciogliere noi, per primi, i legami che ci tengono (ancora) prigionieri. Solo in questo modo potremo poi aiutare anche gli altri a farlo.

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1) Erikson: diventare adulti

Ottavo stadio: integrità dell’Io opposta a disperazione (tarda età adulta): per integrità Erikson intende la capacità di accettare i limiti della vita, ciò che la vita ha dato o non ha dato; il guadagno di un senso di appartenenza ad una storia più ampia; e infine la consapevolezza di possedere più saggezza.

Se si fallisce subentra la disperazione, nel senso del rimpianto per quanto si è fatto o non si è fatto nella vita e quindi la paura per l’avvicinarsi della morte. Questa condizione è un vero e proprio inferno: come sostenevano i padri del deserto, l’inferno è il rammarico.

L’età anziana è l’età della saggezza. Il termine saggezza trova la sua origine nel termine sanscrito Veda (vedere, sentire): la saggezza è quella attenta visione che «ci orienta e ci integra con la terra in cui viviamo e ci muoviamo, troviamo sostentamento ed impariamo a convivere con le altre persone, con gli animali e con la natura».

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1) Erikson: diventare adulti Il termine integrità, invece, riporta al tatto: «l’integrità ha la funzione di promuovere il contatto con il mondo, con le cose e, soprattutto, con le persone. È un modo di vivere tattile e tangibile, non una meta intangibile e virtuosa da cercare e raggiungere». L’integrità non richiede alte riflessioni o straordinarie performance: essa non è che la gestione quotidiana di tutte le attività, con una costante attenzione a tutti i dettagli; è cosa semplice, diretta, eppure assai difficile. L’integrità è anche senso di coerenza e completezza, nel senso della capacità di tenere-insieme gli opposti. «La vita – scrive Erikson – è stata ricca. Continuate ad avere fiducia in essa come fa un bambino. Rilassatevi e cercate di essere incoscientemente giocosi».

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2) Fowler: lo sviluppo della fede

La fede individualizzante-riflessiva (prima età adulta): scontri gravi o contraddizioni tra fonti di autorità importanti o profondi cambiamenti, decisi da leader ufficiali, di politiche o pratiche precedentemente considerate sacre o inviolabili, possono spingere ad una evoluzione che comporta il passaggio dalla dipendenza verso autorità esterne ad uno stato di autoregolamentazione. Si inizia di conseguenza ad assumere la responsabilità della propria vita

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2) Fowler: lo sviluppo della fede

La fede congiuntiva o dialettico-polare (seconda età adulta): l’irruzione dell’inconscio, dell’altra parte… l’individuo «inizia ad avere a che fare con ciò che potrebbe percepire come una sorta di voci interiori anarchiche e fastidiose», che lo spingono a riconoscere che la vita è più complessa della “logica” che si limita a distinzioni chiare e a concetti astratti, e quindi ad un approccio più dialettico e stratificato alla verità della vita.

La fede appare ora caratterizzata da una integrazione degli opposti; si sviluppa l’esigenza di una più profonda relazione con Dio, attraverso il pensiero simbolico. Assume netta centralità la domanda sul significato dell’esistenza, per cui si apprezzano simboli, miti e riti (propri e appartenenti ad altre tradizioni) perché si coglie la profondità della realtà a cui essi si riferiscono. Si notano con più forza le divisioni e le lacerazioni della famiglia umana perché si è appresa la possibilità di una comunità più inclusiva.

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2) Fowler: lo sviluppo della fede

La fede universalizzante (maturità): in alcuni casi rari, la percezione di questa lacerazione porta all’esigenza di una radicale attualizzazione o lotta per incarnare l’utopia; qui la fede è caratterizzata da un senso di unità con Dio (mistica), come pure da un impegno a perseguire l’amore e la giustizia e a sconfiggere l’oppressione e la violenza. “Individui di questo tipo creano zone di liberazione per il resto dell’umanità e vengono dunque percepiti come dei liberatori e, al tempo stesso, come una minaccia”

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3) Attraversare i conflitti: la via all’adultità «Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt. 10, 38).

«Chiunque percorra il cammino che porta alla totalità non può sfuggire a quella caratteristica sospensione che la crocifissione rappresenta. Egli finirà infatti con l’imbattersi immancabilmente in ciò che gli taglia la strada, che lo ‘mette in croce’: in primo luogo in ciò che egli non vorrebbe essere (l’Ombra), in secondo luogo in ciò che non ‘egli’, ma l’altro è (realtà individuale del Tu), in terzo luogo in ciò che costituisce il suo non-Io psichico, cioè nell’inconscio collettivo» (Jung, Psicologia della traslazione, in Opere Vol. 16, p. 267).

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3) Attraversare i conflitti: la via all’adultità

«Gli orgogliosi soffrono costantemente a causa dei demoni. Signore – gli dico io – giacché tu sei misericordioso, fammi sapere cosa devo fare affinché la mia anima diventi umile! E il Signore rispose alla mia anima: Tieni la tua coscienza nell’inferno e non dubitare» (starec Siluan del Monte Athos)

«La tua caduta, sarà il tuo educatore» (Doroteo di Gaza)

«E di sconfitta in sconfitta, egli cresceva» (R. Maria Rilke)

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3) Attraversare i conflitti: la via all’adultità “Il fallimento, questo grande alleato delle nostre esistenze, quel grande Maestro in incognito in mezzo a noi! Il fallimento ci crea. La riuscita fa parte del sistema: ci culla, ci fascia, ci mette a nostro agio, ci lascia dove siamo. Solo il fallimento apre il passaggio e strappa il sipario. Il fallimento ci colma” (Christiane Singer, Del buon uso delle crisi, p. 123).

«Un romito fu interrogato su cosa pensasse di quelli che affermano di avere visioni di spiriti angelici. E la risposta fu: “Beato colui che ha sempre la visione del proprio fallire”» (i padri del deserto).

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3) Attraversare i conflitti: la via all’adultità

«Il deserto ci appare a questo punto come tappa indispensabile di ogni esistenza cosciente della propria individualità. Chi è umano non nasce soltanto nel corpo. Per la seconda nascita, quella dell’anima (che le lingue moderne chiamano ‘psiche’), all’uomo serve l’opposto di un utero che circonda. Il deserto è una controfaccia e un complemento del ventre materno, assolutamente aperto e vuoto. È la tabula rasa delle presenze e delle conoscenze. Soli lì, lontanissimi dalla mandria, si può rinascere come esseri coraggiosamente e personalmente pensanti. L’uomo che non incontra il deserto, fisicamente e mentalmente, non sa di essere nato nudo come ogni animale, solo e ignorante come ogni umano. Gesù […], Socrate […] sono invece completamente uomini perché […] hanno incontrato il deserto e sono sopravissuti alla desertificazione» (L. Zoja, Prefazione a A. Paoli, La pazienza del nulla).

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4) Preghiera e rituali: la cura dell’adultità Un esercizio quotidiano di crescita e di consapevolezza: preghiera e celebrazione domestica di specifici rituali. Nel libro alcuni suggerimenti per organizzare e strutturare il ritmo quotidiano della vita domestica, ma l’obiettivo è quello di stimolare la coppia e la famiglia a inventarsi e a darsi da sé dei rituali, intesi come pratiche ed esercizi quotidiani attraverso cui prendersi cura di sé e della propria relazione, per costruirsi in una più piena e adulta umanità. La convinzione è che questa semplice pratica quotidiana possiede un enorme valore, e serve a renderci un poco più umani. Rappresentando, in breve, una concreta via spirituale per l’oggi.

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4) Preghiera e rituali: la cura dell’adultità Preghiere e rituali aiutano a vivere meglio, aprendo la quotidianità alle dimensioni del cielo, dell’infinito e del senso. Consentono cioè la coltivazione del desiderio, inteso, etimologicamente, come tensione verso le stelle: de-sidera. Inoltre, aiutano, quotidianamente, a trovare spazi, tempi e modi per mettersi in ascolto dell’altra parte (Audi et alteram partem), e per attingere a quella sapienza che lì è custodita. Sono una via concreta che aiuta a vivere nella speranza, nel senso bello inteso da Panikkar, cioè della capacità di cogliere l’Invisibile nel visibile.

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4) Preghiera e rituali: la cura dell’adultità Preghiere e rituali aiutano anche a dare una struttura e un ordine al proprio tempo/spazio. Non è cosa da poco, visti i ritmi frenetici, e spesso disordinati, a cui la vita di oggi ci costringe. Essi cioè invitano alla calma e ad uscire dal ritmo frenetico del quotidiano, perché il ritmo dell’Essere è un ritmo lento. In altre parole, invitano a fermarsi per tornare alla fonte o alla radice, per tornare all’essenziale; e in questo modo, ci consentono di fare, di tanto in tanto, il punto della situazione, sia a livello personale che a livello di famiglia, e a ritrovare pace nella quiete: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e troverete ristoro e pace…» - ripete il Vangelo; in definitiva, ci consentono di trovare luoghi e tempi di silenzio e di stacco.

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4) Preghiera e rituali: la cura dell’adultità

I rituali possiedono anche un importantissimo significato antropologico universale: consentono i passaggi, favoriscono e consentono il passaggio: è necessario ‘chiudere’ per ‘aprire’, ‘finire’ (il vecchio) per poter ‘iniziare’ (il nuovo); è dunque necessario che ci sia uno stacco, per ‘uscire’ e per ‘entrare’.

In noi umani questa funzione di ritmare i ritmi della crescita e del tempo non è predeterminata geneticamente, ma è demandata alla cultura. Ad essa spetta il compito di stabilire i momenti in cui una ‘fase’ della vita deve finire, affinché se ne possa aprire un’altra. Il punto è che le nostre società sono sempre più prive di rituali collettivi; non ci sono più riti di passaggio, da qui l’urgenza, oggi, in una cultura sempre più priva di iniziazioni, in una società – come direbbe Bauman – liquida, in cui tutto si confonde senza stacchi e rotture, che ci assumiamo da noi stessi l’onere e l’onore di darceli e di celebrarli da noi, in prima persona, i rituali, con disciplina e costanza.

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4) Preghiera e rituali: la cura dell’adultità

Rituali e preghiere ci consentono anche di vivere la cosa, alla fine, più importante e cioè la dedizione fedele e perseverante alla cura di sé, e ciò significa, anzitutto, potersi dedicare alla ricerca della pace interiore, del ‘centro’, di un equilibrio armonico tra opposti; alla ricerca di quella completezza e pienezza di vita, che non ha nulla a che vedere con la ‘perfezione’, che è invece sempre unilaterale.

E la cura di sé è anche il miglior modo per esserci per gli altri, per prenderci cura di loro. Solo se stiamo bene con noi stessi possiamo servire disinteressatamente il nostro prossimo, senza ‘usarlo’ per colmare i nostri vuoti o placare le nostre angosce.

Anzi, per alcuni aspetti, se siamo in pace con noi stessi, non è neppure necessario che facciamo chissà che cosa; come diceva Serafino di Sarov, se cerchiamo la pace e la perseguiamo, ecco che mille attorno a noi troveranno salvezza, senza che noi dobbiamo fare alcunché di particolare. In definitiva, aiutano a trovare la felicità che, come dice l’etimologia inglese, consiste nel saper stare nel presente. Happiness (felicità) è proprio ciò che accade (to happen), ora, in questo momento e in questo luogo. Non c’è bisogno di alcun altrove.

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4) Preghiera e rituali: la cura dell’adultità

Preghiere e rituali aiutano a ‘stare’ con quello che c’è, con le paure, la rabbia, i conflitti, le depressioni… e aiutano a trovare tempi e modi per interrogarne il possibile senso e immaginare altrimenti…

Come diceva Cartesio, nelle Regole per una morale provvisoria, abbiamo ben poche possibilità di cambiare il mondo attorno a noi, ma possediamo sempre la libertà di cambiare il nostro modo di vedere il mondo. Il punto è che ci si deve allenare a quest’arte e a questa sapienza e riuscire a ritagliarsi ogni giorno uno spazio e un tempo in cui esercitarsi, costituisce una grande risorsa.

In definitiva, si tratta di essere noi a decidere come vivere, senza lasciarci trascinare passivamente dagli eventi esterni, o, più a fondo ancora, di giungere a comprendere che, alla fine, come intuì sul letto di morte il Curato di campagna di Bernanos, tutto è grazia!

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4) Preghiera e rituali: la cura dell’adultità

I rituali sono anche assolutamente efficaci, cioè realizzano ciò che promettono, curano, operano efficacemente. Sono una medicina potentissima. È infatti, più spesso di quanto immaginiamo, il vuoto di senso ciò che fa ammalare e nella misura in cui i rituali aiutano a ritrovare o a immaginare un senso possibile, ecco che anche guariscono. Se c’è un perché – recita un aforisma di Nietzsche – si supera ogni come.

Da ultimo, ma non per ultimo, questi momenti insieme risultano anche essere utilissimi per la convivenza in famiglia: da una parte, uniscono le persone e creano legami profondi; pregare insieme è infatti una esperienza di altissima e profondissima intimità; e dall’altra parte possono essere una occasione o modalità ritualizzata e ordinata per affrontare e appianare conflitti, per chiarificare e fare esperienza del per-dono. Consentono, cioè, il passaggio da una situazione di conflitto, di risentimento (con il partner, con i figli, con altri al di fuori della famiglia), ad una di riconciliazione e riappacificazione.

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4) Preghiera e rituali: la cura dell’adultità

La nostra salute psichica e fisica dipende da quanto sappiamo e impariamo a porre un limite a situazioni che, se trascinate oltre il tempo dovuto, finiscono per consumarci e uccidere. È giusto e doveroso il tempo del lutto, è giusto, talvolta, arrabbiarsi e gridare; ma poi si deve anche essere capaci di porre un limite e di terminare.

Un tempo erano le società che si incaricavano di stabilire per tutti la ‘durata’ e il ‘tempo’ del lutto, le ‘modalità’ attraverso cui esprimere lecitamente la propria rabbia; dopodiché, mediante appositi rituali, si decretava la fine del lutto, o il momento in cui la persona arrabbiata e offesa doveva ritornare nel tessuto sociale riconciliata per riprendere a fare la sua parte, e così la vita riprendere il suo corso. Oggi questi rituali collettivi ci sono sempre meno, perciò dobbiamo essere noi che ce li dobbiamo dare.

Non dimentichiamo il ‘potere’ sacro del rituale: esso stabilisce un punto di non ritorno. Se ‘celebriamo’ in famiglia un rituale di riconciliazione, poi è assolutamente vietato ritornare indietro e rinfacciare all’altro il suo torto. Ciò che viene perdonato, non è dimenticato, ma sussiste nella memoria come per-donato, come un dono che è stato fatto. E nessun dono può essere richiesto indietro.

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Il missing link (l’anello mancante) tra la scimmia e l’uomo siamo noi (Konrad Lorenz)

Esiste un’unica via, ed è la tua via (Carl Gustav Jung)

Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in

Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma ciò non è grave (Etty Hillesum)