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Agricoltura e sviluppo rurale Istruzione e cultura Sviluppo regionale Trasporti e turismo DIREZIONE GENERALE POLITICHE INTERNE UNITÀ TEMATICA POLITICHE STRUTTURALI E DI COESIONE B Pesca

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Agricoltura e sviluppo rurale

Istruzione e cultura

Pesca

Sviluppo regionale

Trasporti e turismo

Direzione generale Politiche interne

Unità tematica Politiche strUttUrali e di coesione

RuoloLe unità tematiche sono unità di ricerca che forniscono consulenza specializzata alle commissioni, alle delegazioni interparlamentari e ad altri organi parlamentari.

Aree tematicheAgricoltura e sviluppo ruraleIstruzione e culturaPescaSviluppo regionaleTrasporti e turismo

DocumentiVisitare il sito Internet del Parlamento europeo: http://www.europarl.europa.eu/studies

B Unità tematica Politiche strUttUrali e di coesione

FOTOGRAFIE: iStock International Inc., Photodisk, Phovoir

B Direzione generale Politiche interne

Trasporti e turismo

Sviluppo regionale

Pesca

Istruzione e cultura

Agricoltura e sviluppo rurale

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DIREZIONE GENERALE DELLE POLITICHE INTERNE DELL'UNIONE

UNITÀ TEMATICA B: POLITICHE STRUTTURALI E DI COESIONE

PESCA

VINCOLI NORMATIVI E GIURIDICI

DELL'ACQUACOLTURA EUROPEA

STUDIO

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Il presente documento è stato richiesto dalla commissione per la pesca del Parlamento europeo. AUTORI Ocean Law Information and Consultancy Services (UK) Poseidon Aquatic Resources Management (UK) Principali autori: C. Hedley, T. Huntington AMMINISTRATORE RESPONSABILE Jesús Iborra Martín Unità tematica Politiche strutturali e di coesione Parlamento europeo B-1047 Bruxelles E-mail: [email protected] VERSIONI LINGUISTICHE Originale: EN Traduzioni: DE, ES, FR, IT. Sintesi: DE, EL, EN, ES, FR, IT, PL, PT. INFORMAZIONI SULLA PUBBLICAZIONE È possibile contattare l'unità tematica o abbonarsi alla newsletter mensile pubblicata dalla stessa scrivendo al seguente indirizzo: [email protected] Manoscritto completato nel settembre 2009. Bruxelles, © Parlamento europeo, 2009. Il documento è disponibile su Internet al sito: http://www.europarl.europa.eu/studies LIMITAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ Le opinioni espresse nel presente documento sono di responsabilità esclusiva dell'autore e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo. Riproduzione e traduzione autorizzate, salvo a fini commerciali, con menzione della fonte, previa informazione dell'editore e invio di una copia a quest'ultimo.

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DIREZIONE GENERALE DELLE POLITICHE INTERNE DELL'UNIONE

UNITÀ TEMATICA B: POLITICHE STRUTTURALI E DI COESIONE

PESCA

VINCOLI NORMATIVI E GIURIDICI

DELL'ACQUACOLTURA EUROPEA

STUDIO

Sintesi Il presente studio analizza i vincoli normativi e giuridici imposti dalle politiche dell'UE e degli Stati membri in materia di acquacoltura, focalizzando l'attenzione sui principali produttori dell'Unione europea: Francia, Grecia, Italia, Spagna e Regno Unito. I vincoli e gli oneri sono esaminati in relazione alle esigenze del settore dell'acquacoltura europea e agli attuali principi della strategia "legiferare meglio". Lo studio propone infine una serie di raccomandazioni per ridurre, razionalizzare o eliminare tali vincoli.

IP/B/PECH/NT/2008_176 Dicembre 2009 PE 431.568 IT

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

Indice

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI 5

elenco delle figure 7

elenco delle tabelle 7

analisi sintetica 9

1. INTRODUZIONE 21 1.1. Introduzione e situazione generale 21 1.2. Obiettivi e metodologia 26

2. LA REGOLAMENTAZIONE DELL'ACQUACOLTURA: L'UNIONE EUROPEA 29 2.1. Introduzione 30 2.2. Regolamentazione dell'accesso e della produzione 30 2.3. Regolamentazione degli impatti ambientali 34 2.4. Commercio e mercati 43 2.5. Disposizioni istituzionali e di governance 46

3. LA REGOLAMENTAZIONE DELL'ACQUACOLTURA: GLI STATI MEMBRI 49 3.1. Introduzione 49 3.2. Francia 50 3.3. Grecia 52 3.4. Italia 55 3.5. Spagna 57 3.6. Regno Unito 60

4. LA REGOLAMENTAZIONE DELL'ACQUACOLTURA: I PAESI TERZI 63 4.1. Norvegia 63 4.2. Cile 73 4.3. Altri paesi 78

5. ANALISI E RACCOMANDAZIONI 83 5.1. Quali sono i problemi? 83 5.2. Cosa si può imparare dai paesi terzi? 85 5.3. Quali sono le possibili soluzioni per l'acquacoltura europea? 85 5.4. Sintesi delle raccomandazioni 92

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 95

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

AD Antidumping

ADEME Agenzia esecutiva per la gestione ambientale (Francia)

APL Acuerdo de Producción Limpia (Accordo per una produzione pulita)

CCFAM Canadian Council of Fisheries and Aquaculture Ministers (Consiglio canadese dei ministri per la Pesca e l'Acquacoltura)

CCPA Comitato consultivo per la pesca e l'acquacoltura

CGUE Corte di giustizia dell'Unione europea

CMS Convenzione sulle specie migratorie

CNRS Centro nazionale di ricerca scientifica (Cile)

CONAMA Comision Nacional de Medio Ambiente (Commissione nazionale per l'ambiente) (Cile)

DFO Ministero per la Pesca e gli oceani (Canada)

DQA Direttiva quadro "Acque"

EIFAC Commissione consultiva europea per la pesca nelle acque interne

EMAS Sistema comunitario di ecogestione e audit

FAO Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura

FEAP Federazione europea degli acquacoltori

FEP Fondo europeo per la pesca

FRAP Framework for Biodiversity Reconciliation Action Plans

GATT Accordo generale sulle tariffe e sul commercio

GIZC Gestione integrata delle zone costiere

GU Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

HACCP Hazard Analysis and Critical Control Point (analisi dei pericoli e punti critici di controllo)

IFREMER Institut Francais de Recherche pour l'Exploitation de la Mer

JACUMAR Junta Asesora de Cultivos Marinos (Consiglio nazionale consultivo per la maricoltura) (Cile)

MASB Maximum allowable standing biomass (biomassa massima consentita)

MCS Marine Conservation Society

MFCA Ministero per la Pesca e gli affari costieri (Norvegia)

MI Memorandum d'intesa

MRL Limite massimo dei residui

MSFD Direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino

NASAPI National Aquaculture Strategic Action Planning Initiative (Canada)

NVE Direzione norvegese per le risorse idriche e l'energia

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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OCSE Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici

OFIMER Office National Interprofessionnel des Produits de la Mer et de l'Aquaculture (Ufficio nazionale interprofessionale per i prodotti di mare e dell'acquacoltura) (Francia)

OMC Organizzazione mondiale del commercio

PCP Politica comune della pesca

PGBI Piano di gestione dei bacini idrografici

PMI Piccola e media impresa

PNA Política Nacional de Acuicultura (Politica nazionale dell'acquacoltura) (Cile)

RAMA Reglamento Ambiental para la Acuicultura (Regolamento ambientale per l'acquacoltura) (Cile)

REDCAFE Reducing the Conflict between Cormorants and Fisheries on a Pan-European Scale

RESA Reglamento Sanitario para la Acuicultura (Regolamento sanitario per l'acquacoltura) (Cile)

Sernapesca Servizio nazionale per la pesca (Cile)

SQA Standard di qualità ambientale

VAS Valutazione ambientale strategica

VIA Valutazione dell'impatto ambientale

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

ELENCO DELLE FIGURE

Figura 1: ripartizione delle responsabilità (Norvegia) 67

Figura 2: iter relativo alle domande di licenza (Norvegia) 70

ELENCO DELLE TABELLE

Tabella 1: produzione recente dell'acquacoltura (Francia) 50

Tabella 2: produzione recente dell'acquacoltura (Grecia) 53

Tabella 3: produzione recente dell'acquacoltura (Italia) 55

Tabella 4: produzione recente dell'acquacoltura (Spagna) 58

Tabella 5: produzione recente dell'acquacoltura (Regno Unito) 60

Tabella 6: produzione recente dell'acquacoltura (Norvegia) 64

Tabella 7: produzione recente dell'acquacoltura (Cile) 74

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

SINTESI Contesto

La moderna acquacoltura ha superato la pesca e oggi è responsabile di oltre la metà della produzione ittica mondiale. Da diversi anni è il settore alimentare che registra il maggior sviluppo, con un tasso di crescita medio annuo del 6-8% su scala mondiale. Tuttavia, l'UE non ha preso parte a questo sviluppo globale e da qualche anno la produzione acquicola europea ristagna. Molte sono le sfide che l'acquacoltura europea deve affrontare. Per esempio, la concorrenza per lo spazio disponibile e il limitato accesso alle risorse idriche nelle zone costiere e nei bacini idrografici rappresentano importanti ostacoli alla creazione, allo sviluppo e perfino al mantenimento dei siti di produzione acquicola. La concorrenza con i prodotti importati costituisce un grave problema, soprattutto perché le norme più severe dell'UE, segnatamente in materia di protezione ambientale, e i costi della manodopera (insieme alle altre voci di spesa) generano svantaggi competitivi nei confronti della concorrenza. Gli imprenditori hanno difficoltà ad accedere ai finanziamenti e agli investimenti, poiché tale settore continua a essere piuttosto sconosciuto agli investitori e vi sono limiti all'accesso ai capitali di avviamento o ai prestiti a favore dell'innovazione in un contesto di rischio. Altre sfide includono la mancanza di informazione al pubblico, spesso un problema di immagine, l'accesso limitato alle licenze, la frammentazione del settore e l'insufficienza di farmaci e vaccini. La principale politica comunitaria vigente oggi in questo settore è la Strategia per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura europea, adottata dalla Commissione nel settembre 2002 e aggiornata nell'aprile 2009 dalla strategia riveduta Costruire un futuro sostenibile per l'acquacoltura - Un nuovo impulso alla strategia per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura europea. La strategia del 2002 ha enunciato i primi obiettivi specifici per il settore dell'acquacoltura e ha fornito gli orientamenti politici per promuovere la crescita dell'acquacoltura, concentrandosi principalmente sui seguenti aspetti chiave: garantire al consumatore la disponibilità di prodotti sani, sicuri e di qualità e promuovere livelli elevati di salute e benessere degli animali; sostenere un'attività ecocompatibile; creare occupazione stabile e duratura, in particolare nelle zone dipendenti dalla pesca. Pur riconoscendo che sono stati compiuti notevoli progressi con la strategia del 2002, la Commissione ha constatato che la mancata crescita dell'acquacoltura europea sta impedendo la realizzazione del potenziale di tale settore. Gli oneri normativi e giuridici sono i principali fattori che ostacolano lo sviluppo del comparto e la Commissione ha osservato che una delle maggiori debolezze (che la strategia non è riuscita a risolvere) è rappresentata dal fatto che il quadro giuridico e amministrativo si basa su azioni e decisioni principalmente di competenza delle autorità pubbliche nazionali e regionali. Sulla base di tali considerazioni, è stata varata la strategia riveduta del 2009, che tenta di individuare e affrontare le cause del ristagno, al fine di garantire che l'UE continui ad essere uno degli attori principali di questo settore strategico. La nuova strategia si basa su tre obiettivi: rendere il settore dell'acquacoltura europea più competitivo; garantire lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura; migliorare l'immagine e la governance del settore. La strategia individua un'ampia gamma di obiettivi e azioni, numerosi dei quali riguardano una migliore regolamentazione: migliorare l'applicazione della normativa dell'UE; ridurre l'onere amministrativo, anche a livello dell'UE, continuando l'opera di semplificazione del quadro legislativo; garantire un'adeguata partecipazione e consultazione delle parti interessate,

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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quale fattore essenziale per il miglioramento della normativa e della governance; garantire un'adeguata sorveglianza del settore dell'acquacoltura.

Finalità

Sulla base di quanto suesposto, il presente studio cerca di esaminare una di queste potenziali sfide: i vincoli normativi e giuridici. Tali vincoli sono per lo più di natura trasversale, poiché riguardano le sfide politiche, operative e commerciali poc'anzi descritte, quali l'accesso allo spazio e all'acqua, la protezione ambientale, le licenze ecc. Gli oneri che le disposizioni normative e giuridiche comportano, tuttavia, meritano di essere esaminati anche come sfide a sé. Pertanto, l'atto giuridico o normativo deve essere analizzato sia nel suo contesto sociale, economico e politico, sia in quanto atto a sé stante (a fronte dei moderni principi della pratica normativa).

La regolamentazione dell'acquacoltura: l'Unione europea

Regolamentazione dell'accesso e della produzione

Licenze

Non esiste una licenza europea per l'acquacoltura e il diritto comunitario non contiene disposizioni in proposito. In linea di principio, conformemente al trattato, l'UE potrebbe istituire un sistema europeo di licenza. Ad oggi, la Commissione non ha voluto presentare proposte in tal senso, principalmente in ragione della sussidiarietà. I sistemi di licenza creati a livello di Stati membri, tuttavia, sono oggetto di numerose critiche: le procedure relative alle domande di licenza sono lunghe e costose; la legislazione e la burocrazia sono complesse e gli esiti incerti; il periodo di validità delle licenze è troppo breve per indurre a effettuare l'investimento. Accesso, zone e pianificazione

L'accesso a siti adatti per la produzione acquicola è un aspetto essenziale per il settore, tuttavia è ostacolato da una serie di difficoltà:

• l'acquacoltura non viene spesso considerata alla stessa stregua degli altri settori che concorrono all'utilizzo delle risorse idriche, come la pesca o il turismo;

• il settore dell'acquacoltura è spesso poco conosciuto e ciò determina un basso profilo del settore quale soggetto interessato nelle attività marittime e d'acqua dolce e/o crea incertezza o riluttanza da parte dei decisori nell'autorizzazione dell'accesso;

• gli impatti ambientali dell'acquacoltura sono spesso fraintesi e ciò genera un ricorso sproporzionato al principio di precauzione;

• vi è una vera e propria concorrenza per lo spazio disponibile.

La politica marittima offre nuove opportunità all'acquacoltura costiera e marina, tuttavia attualmente non contiene alcuna indicazione chiara in materia di pianificazione per l'acquacoltura. Salute e benessere degli animali

Il quadro legislativo per il controllo delle malattie negli animali acquatici è stato recentemente sottoposto a una completa revisione e nell'ottobre 2006 è stata approvata una nuova direttiva, tuttavia restano aperte alcune questioni di natura tecnica relative al settore dell'acquacoltura. Inoltre, suscita preoccupazione il quadro giuridico dell'UE per il benessere degli animali d'allevamento, che pur riguardando anche i pesci, non sempre è applicabile.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

Farmaci veterinari

La limitata disponibilità di prodotti farmaceutici veterinari autorizzati per far fronte ai rischi sanitari è un importante problema per il settore acquicolo. La questione è in parte commerciale (produrre e commercializzare un farmaco specifico per una determinata patologia e una determinata specie ittica potrebbe essere troppo costoso e quindi non redditizio per un'azienda farmaceutica) e in parte dovuta agli ostacoli normativi e amministrativi esistenti (soprattutto a livello di Stati membri). Nel 2003 e 2004 si è proceduto al riesame della legislazione in materia di farmaceutica veterinaria apportando modifiche alla normativa, che tuttavia hanno solo parzialmente risolto il problema. Sicurezza e norme alimentari

La produzione biologica è attualmente motivo di particolare preoccupazione per il settore dell'acquacoltura. La normativa dell'UE sulla produzione agricola biologica esiste ormai da tempo, ma fino al 2007, anno in cui è stato adottato il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, non contemplava l'acquacoltura. Nel 2008, la Commissione ha adottato norme dettagliate di esecuzione del regolamento del 2007, ma nel contempo ha rinviato la definizione di regole di produzione precise in materia di acquacoltura biologica, poiché ha ritenuto che fosse necessaria un'ulteriore discussione. Attualmente, si sta lavorando all'elaborazione di norme esecutive dettagliate sull'acquacoltura biologica, ma in questo periodo di ripresa economica permangono alcune incertezze per il settore. Regolamentazione degli impatti ambientali

Qualità e stato delle acque

La politica dell'UE in materia di acque è stata sottoposta di recente a un'importante revisione e in futuro sarà sostanzialmente disciplinata da due strumenti: la direttiva quadro "Acque", che regolamenta le acque interne e costiere e la direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino, che regolamenta le acque marine. Al centro della direttiva quadro "Acque" vi è una serie di obiettivi ambientali, tra cui il raggiungimento di un buono stato ecologico e chimico delle acque superficiali entro 15 anni dall'entrata in vigore della direttiva. Tale direttiva è stata adottata nel 2000 e ci vorranno ancora diversi anni prima che venga trasposta pienamente, benché gli Stati membri stiano attualmente recependo uno dei suoi strumenti di gestione principali: i piani di gestione dei bacini idrografici. Il settore dell'acquacoltura teme che la direttiva possa ostacolare lo sviluppo di tale attività. I produttori nutrono timori in merito alla classificazione dei corpi idrici o alla definizione di "fresh pristine conditions" (condizioni originarie) in tale contesto. Altri affermano che gli standard di qualità ambientale (p.es. per l'uso di farmaci nei bagni medicati) sono fissati a limiti molto severi per timore di un'azione giudiziaria da parte dell'UE. Un argomento che suscita particolari apprensioni e discussioni è l'abrogazione della direttiva sulle acque per molluschicoltura: ci si chiede, infatti, se a partire dal 2013 (data dell'abrogazione) la direttiva quadro "Acque" possa garantire un livello di protezione analogo a quello fornito dalla direttiva 2006/113/CE. La Commissione (DG Ambiente) ritiene che la direttiva quadro "Acque" fornirà perlomeno lo stesso livello di tutela e che, a livello pratico, è probabile che un'adeguata protezione venga fornita mediante i primi piani di gestione dei bacini idrografici elaborati dagli Stati membri. La direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino persegue obiettivi molto simili e adotta per le acque marine un approccio analogo a quello della direttiva quadro "Acque", ma non sarà oggetto di un'analisi dettagliata nell'ambito della presente relazione.

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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Specie esotiche invasive

Un'importante lacuna è stata colmata di recente con l'adozione di un regolamento relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti (regolamento (CE) n. 708/2007). Tale regolamento è volto a istituire un quadro che disciplini le pratiche acquicole, al fine di assicurare un'adeguata protezione dell'ambiente acquatico (e delle attività acquicole stesse) dai rischi associati all'uso di specie non indigene in acquacoltura. Tuttavia, permane una lacuna dovuta alla mancanza di un regolamento completo che contempli gli altri spostamenti delle specie esotiche invasive. Il settore dell'acquacoltura dovrebbe continuare a mostrarsi interessato alla definizione di misure più complete a livello comunitario. Conservazione della natura

Uno dei principali problemi per l'acquacoltura è rappresentato dal fatto che talune specie selvatiche – in particolare cormorani, aironi e foche – protette dalle direttive dell'UE sulla conservazione della natura (la direttiva 97/409/CEE "Uccelli selvatici" e la direttiva 92/43/CE "Habitat") possono ostacolare significativamente la produzione acquicola in molte zone a causa della predazione degli stock allevati (problema aggravato dalla proliferazione delle specie protette favorita dalle efficaci misure di protezione ambientale). Si calcola, per esempio, che la sola predazione da parte dei cormorani infligga alla pesca europea perdite ingenti, superiori alle 300 000 tonnellate l'anno (Parlamento europeo, 2008), 80 000 delle quali subite dagli allevamenti acquicoli e dalla pesca nelle acque interne. In linea di principio, la legislazione comunitaria fornisce i necessari meccanismi per gestire questi conflitti, ma vi sono notevoli incertezze in merito all'interpretazione e all'applicazione di tali disposizioni, cui si aggiunge una situazione molto eterogenea negli Stati membri. Sebbene la Commissione abbia riconosciuto il problema della strategia del 2002 e nonostante il notevole impatto della predazione, non sono stati compiuti progressi concreti dopo il lancio della strategia e il problema non viene affrontato nella strategia riveduta del 2009. E ciò malgrado si chieda da tempo di intervenire, perlomeno in merito alla predazione operata dai cormorani. A livello internazionale, il problema dei cormorani è stato discusso dal consiglio scientifico della Convenzione sulle specie migratorie e dalla Commissione consultiva europea per la pesca nelle acque interne (EIFAC), mentre a livello comunitario la questione figura nell'ordine del giorno del Parlamento europeo fin dal 1996. Di recente il problema è stato nuovamente affrontato dal Parlamento europeo, il quale ha approvato una risoluzione nel dicembre 2008, raccomandando la definizione di un piano di gestione paneuropeo. Valutazione dell'impatto ambientale (VIA)

Uno degli ambiti della legislazione ambientale che influisce maggiormente sull'acquacoltura è quello della valutazione dell'impatto ambientale (VIA). Nella pratica, vi sono notevoli differenze nelle procedure relative alla VIA non solo tra Stati membri, ma spesso all'interno degli stessi, poiché i paesi con regioni autonome dal punto di vista amministrativo e/o legislativo o con un regime di governo decentrato, spesso hanno disposizioni separate. Di conseguenza, non esiste un approccio o una pratica uniforme alla realizzazione della VIA per i progetti di acquacoltura: in alcuni Stati membri i progetti di acquacoltura sono raramente sottoposti alla VIA, mentre in altri la valutazione è obbligatoria per taluni tipi di progetti acquicoli (p.es. alcuni allevamenti in Francia e Scozia). Inoltre, sembra che vi siano notevoli differenze in termini di portata, metodologia e determinazione della VIA, poiché alcuni Stati membri (o alcuni dei loro enti locali) adottano un approccio molto più precauzionale – bloccando o ostacolando di fatto gli impianti acquicoli – oppure applicano condizioni più onerose. Dal settore giungono inoltre lamentele in merito alla durata delle

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

valutazioni, ai relativi costi, alla mancanza di assistenza e alla scarsa prevedibilità del processo. Valutazione ambientale strategica (VAS)

Ai sensi della direttiva 2001/42/CE del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente (direttiva VAS), taluni piani e programmi (p.es. la pianificazione degli spazi marini), compresi quelli relativi alla pesca e all'acquacoltura, che possono avere effetti significativi sull'ambiente devono essere sottoposti a una valutazione ambientale formale. Sebbene talvolta non sia chiaro se ai sensi della direttiva un determinato piano debba essere soggetto al requisito della VAS, la direttiva VAS non viene generalmente considerata un vincolo dal settore dell'acquacoltura europea. Al contrario, la presenza di una VAS (che di norma costituisce uno degli elementi necessari per l'autorizzazione allo sviluppo in un determinato settore) può risultare potenzialmente utile all'industria acquicola. Pertanto, pur non escludendo la necessità di una VIA specifica per un determinato progetto, le indagini e i dati messi a disposizione mediante le VAS realizzate dalle autorità amministrative faciliteranno il processo di VIA e ne ridurranno i costi. Per giunta, la VAS potrà rafforzare il grado di certezza dell'industria in merito all'approvazione dei progetti, poiché si sarà già proceduto a una valutazione degli impatti ambientali che avrà permesso l'inserimento dell'impianto acquicolo nel piano (a seconda, ovviamente, del contenuto e della natura specifici del piano stesso). Ciò dovrebbe significare che gli allevamenti acquicoli hanno buone probabilità di ottenere un'autorizzazione a meno che non si evidenzino significativi impatti ambientali mediante la VIA. Commercio e mercati Il commercio internazionale è regolamentato da una complessa serie di accordi conclusi nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e del suo predecessore, l'Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (GATT). In generale, tale sistema non è controverso nel contesto dell'acquacoltura europea, sebbene alcune particolari caratteristiche del sistema dell'OMC abbiano impatti più complessi. Il principale riguarda le cosiddette misure antidumping (AD), una barriera commerciale protettiva imposta sui prodotti oggetto di dumping – ossia venduti a un prezzo inferiore a quello del mercato del paese d'esportazione – che può danneggiare notevolmente il mercato ricevente. Per quanto riguarda i prodotti acquicoli, l'UE ha cercato di invocare le misure antidumping contro la Norvegia, il Cile e le Isole Fær Øer in merito all'importazione di salmone d'allevamento. Tali misure sono controverse e hanno dato luogo a vertenze giudiziarie dinanzi ai tribunali europei e all'organo di composizione delle controversie dell'OMC. Si osservi che attualmente si sta valutando una normativa comunitaria per l'attribuzione di un marchio di qualità ecologica (Ecolabel) ai prodotti ittici, compresi quelli acquicoli. Disposizioni istituzionali e di governance L'esistenza di molteplici regimi normativi genera una pletora di istituzioni amministrative coinvolte. Ciò si verifica sia a livello comunitario sia a livello nazionale. Nel primo caso, per esempio, diverse DG in seno alla Commissione sono competenti per differenti aspetti della politica di acquacoltura (p.es. non solo la DG Affari marittimi e pesca, ma anche le DG Ambiente, Salute e consumatori e altre). A livello nazionale, la responsabilità politica, l'attività legislativa e l'amministrazione possono essere ripartite non solo fra organi appartenenti a settori diversi, ma anche fra differenti livelli amministrativi (p.es. governo centrale, enti regionali e locali). Ciò ha implicazioni non soltanto amministrative – il fatto che gli operatori del settore acquicolo debbano interfacciarsi con organi diversi, ai quali

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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sono tenuti a rispondere e dai quali vengono controllati – ma di governance politica e culturale data la presenza di organi diversi con obiettivi politici, prospettive e culture operative differenti. È evidente, tuttavia, che il coinvolgimento di molteplici organi rischia di generare, almeno in apparenza, un conflitto o una sovrapposizione tra politica, regolamentazione, amministrazione ed esecuzione. Tra gli operatori acquicoli sembra essere diffusa la percezione che nel loro settore si verificano conflitti e sovrapposizioni, anche se nella realtà ciò avviene probabilmente in misura minore. La Commissione ha riconosciuto la necessità di migliorare il coordinamento delle politiche e di affrontare alcune sfide a livello comunitario, nazionale e locale/di parti interessate.

La regolamentazione dell'acquacoltura: gli Stati membri

Francia

La Francia è uno dei principali paesi europei in termini di volume della produzione acquicola, qualità del sistema di istruzione e ricerca e sostegno alle organizzazioni di produttori. Tuttavia, malgrado l'esistenza di condizioni propizie per l'acquacoltura – ampia rete fluviale, migliaia di ettari di stagni e 5 500 km di costa – il settore produce risultati di gran lunga inferiori alle sue potenzialità e da diversi anni, ormai, registra una crescita pari quasi a zero, con una graduale riduzione della produzione di molluschi e specie d'acqua dolce. I principali problemi avvertiti oggi dall'acquacoltura francese riguardano la concorrenza per lo spazio e l'accesso ai siti e la relativa autorizzazione per i nuovi impianti. Le prove aneddotiche indicano che in Francia è praticamente impossibile ottenere un'autorizzazione per nuovi impianti acquicoli a causa del modo in cui vengono assunte le decisioni di pianificazione in relazione agli accessi e alle valutazioni ambientali (p.es. concorrenza per gli spazi e l'uso dell'acqua nella zona costiera soprattutto con il turismo) e a causa di onerosi requisiti in termini di realizzazione di studi d'impatto, controllo dei rifiuti e monitoraggio. Altri vincoli includono problemi con la VIA; introduzione di controlli ambientali più severi che altrove; proliferazione di specie protette di uccelli predatori come i cormorani, differenze a livello di dipartimenti nell'interpretazione delle norme in materia di salute degli animali che sovente dipendono semplicemente dal funzionario che si occupa della pratica e che quindi possono variare spesso, e difficoltà in merito alla legge relativa alla successione e/o alla cessione di imprese. Grecia

La Grecia ha una lunga tradizione nel campo dell'acquacoltura, sebbene fino agli anni '80 non possedesse un importante settore commerciale. La produzione annua è passata da meno di 5 000 tonnellate durante gli anni '80 a più di 100 000 tonnellate negli ultimi anni. Secondo le stime del settore, la produzione è aumentata nuovamente nel 2008 (a più di 130 000 tonnellate), ma si pensa che abbia raggiunto il picco massimo e che sia destinata a diminuire entro il 2010. Sebbene non vi siano studi dettagliati sui potenziali vincoli giuridici e normativi nell'acquacoltura greca, le parti interessate sembrano concordare ampiamente sulla necessità di un completo riesame del sistema legislativo. Il volume del corpus normativo applicabile varia ovviamente nel corso del tempo e in effetti è difficile da calcolare con precisione, ma al momento della redazione del presente studio, si calcola che solo per la valutazione delle domande degli acquacoltori, i vari ministeri debbano considerare: 39 leggi vigenti (leggi ordinarie, decreti presidenziali e decisioni ministeriali), 3 pareri giuridici

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

(giurisprudenze) e 35 interpretazioni giuridiche (lettere encicliche) per quanto concerne lo stabilimento, e 46 leggi in vigore, 20 pareri giuridici e 35 interpretazioni giuridiche per quanto concerne l'ambiente. Sebbene vi sia un certo grado di coordinamento da parte della direzione per l'acquacoltura, le parti interessate lamentano una serie di difficoltà amministrative durante l'iter, compresa la mancanza di coordinamento tra i diversi organismi coinvolti, la sovrapposizione delle competenze, diverse concezioni di approccio alle questioni comuni e la mancanza di linee di demarcazione per le varie attività. L'altra questione determinante per l'acquacoltura greca riguarda la difficoltà di insediare impianti acquicoli nelle zone marine e costiere, dove la concorrenza con il turismo per l'uso degli spazi è molto forte. Italia

In termini di volumi prodotti, l'Italia occupa, in linea di massima, una posizione simile a quella della Francia, sebbene i rispettivi settori acquicoli siano piuttosto diversi. Le principali componenti dell'acquacoltura italiana sono le specie d'acqua dolce (p.es. trota, pesce gatto e storione) e le specie eurialine come la spigola e l'orata. L'analisi condotta per il presente studio ha evidenziato l'esistenza di numerosi vincoli legislativi nel settore dell'acquacoltura italiana, molti dei quali piuttosto diffusi anche negli altri paesi, come, per esempio, la mancanza di armonizzazione, le incoerenze, le incertezze e i ritardi nei processi amministrativi e normativi per effetto delle numerose leggi e dei diversi organi amministrativi coinvolti, le cui competenze spesso si sovrappongono o hanno funzioni non ben definite in relazione all'acquacoltura. Anche le differenze in materia di amministrazione, regolamentazione ed esecuzione delle norme tra le regioni possono creare difficoltà. I principali problemi riguardano le licenze (il rilascio delle autorizzazioni e dei permessi, soprattutto per i nuovi impianti, avviene solo dopo lunghe e approfondite indagini burocratiche), la pianificazione delle zone costiere/marittime (la maggior parte delle amministrazioni regionali dispone di piani per la gestione marittima di base) e il sostegno agli standard biologici. Spagna

La Spagna, con quasi 8 000 km di coste, una topografia variegata e un clima favorevole, offre buone opportunità per l'acquacoltura, che costituisce un importante settore a livello nazionale, ed è il più grande produttore acquicolo d'Europa, con una produzione di circa 290 000 tonnellate nel 2008. La Spagna ha oltre 5 500 impianti di acquacoltura e tale attività costituisce un importante motore di crescita delle zone costiere che dipendono dalla pesca. Si è calcolato che l'acquacoltura quale attività produttiva ha generato un valore economico di 450 milioni di euro e oltre 27 500 posti di lavoro. In un certo senso, i vincoli giuridici e normativi percepiti in Spagna sono simili a quelli lamentati altrove – complessità nella trasposizione e applicazione delle normative comunitarie, corrispondenti difficoltà nella legislazione nazionale, le quali determinano un elevato numero di procedure e istituzioni giuridiche e normative coinvolte ecc. Tuttavia, una delle principali difficoltà in Spagna, che si traduce in una serie di problemi normativi per il settore dell'acquacoltura, sembra essere il notevole decentramento del potere politico e regolamentare a favore delle comunità autonome. Ciò determina la mancanza di un quadro amministrativo propizio per l'acquacoltura, soprattutto in materia fiscale, nonché la (incoerente) efficacia delle pubbliche istituzioni e la (incoerente) regolamentazione delle attività acquicole. I problemi specifici lamentati includono i seguenti: la mancanza di coerenza legislativa fra gli ordinamenti giuridici delle comunità autonome, la mancanza di coordinamento amministrativo o normativo a livello istituzionale, i diversi sistemi legislativi ed esecutivi

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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delle autonomie, che generano una proliferazione di leggi, la quale, a sua volta, comporta un aumento dell'onere normativo, la complessità delle procedure amministrative per l'ottenimento delle autorizzazioni, le disparità tra le comunità autonome nell'applicazione dei diritti portuali e altre tasse e the la mancanza di definizione degli usi delle zone costiere. Notevoli vincoli sono causati inoltre dalla presenza di siti Natura 2000. Regno Unito

L'acquacoltura è un settore piuttosto nuovo nel Regno Unito, che ha conosciuto un rapido sviluppo della piscicoltura a partire dagli anni '80 e della molluschicoltura a partire dagli anni '90. Lo sviluppo commerciale del settore si è mantenuto solido e il valore della produzione acquicola è aumentato da 200 milioni di euro l'anno all'inizio degli anni '90 ad oltre 650 milioni di euro nel 2007 (FAO, 2009a). Tuttavia, come sta avvenendo in altri Stati membri, da alcuni anni la crescita ristagna e, in una certa misura, è diminuita, anche se probabilmente si rimetterà in moto con la ripresa del mercato del salmone, soprattutto a seguito del recente declino della produzione cilena (cfr. infra). Nel Regno Unito (Scozia) diverse problematiche sono poste in evidenza, molte delle quali coincidono con le difficoltà illustrate sopra. Vi è la percezione che la regolamentazione dell'industria del salmone in Scozia sia la più pesante al mondo. Le questioni che suscitano particolare preoccupazione nel Regno Unito includono i ritardi nel processo di licenza, l'incertezza in merito all'esito delle domande, il ricorso sproporzionato al principio di precauzione e soglie elevate per le VIA.

La regolamentazione dell'acquacoltura: i paesi terzi

Norvegia

La Norvegia è uno dei più grandi produttori acquicoli al mondo, con una produzione di oltre 700 000 tonnellate nel 2006. Occupa il nono posto nella classifica dei principali produttori della FAO (FAO 2009) e registra una costante crescita del settore, con una previsione di produzione pari a 900 000 tonnellate nel 2009. Il salmone è in assoluto la prima specie allevata, la cui produzione dovrebbe raggiungere le 850 000 tonnellate nel 2009. Le trote di grandi dimensioni rappresentano la maggior parte del restante settore di allevamento. Contesto normativo e amministrativo

Ad un esame generale, la regolamentazione dell'acquacoltura in Norvegia appare simile a quella dell'UE: vi sono norme che disciplinano la produzione acquicola, l'accesso ai siti per l'acquacoltura, e una serie di altre disposizioni correlate in materia di protezione ambientale, sicurezza alimentare, benessere degli animali ecc., che in un certo senso hanno un carattere simile o contengono standard analoghi a quelli dell'UE (e in taluni casi sono in linea con l'acquis comunitario). Per contro, vi sono diverse differenze fondamentali tra i regimi dell'UE e quello norvegese, in particolare da quando è stata introdotta una nuova legge quadro completa e specifica per l'acquacoltura nel 2005. Gli obiettivi enunciati espressamente nell'Aquaculture Act (sezione 1) sono promuovere la redditività e la competitività del settore dell'acquacoltura nel quadro di uno sviluppo sostenibile e contribuire alla creazione di valore sulle coste. In termini di politica, uno dei principali obiettivi di tale legge è soddisfare meglio le esigenze del settore dell'acquacoltura garantendo nel contempo la continua protezione dell'ambiente e delle esigenze sociali.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

Migliori prassi nella regolamentazione norvegese dell'acquacoltura

- Quadro legislativo La Norvegia è uno di quei paesi piccoli, ma in crescita, che ha elaborato un quadro giuridico completo e specifico per l'acquacoltura. La legge sull'acquacoltura del 2005 (2005 Aquaculture Act) rappresenta il quadro legislativo e amministrativo di base in materia di acquacoltura e definisce in larga misura il rapporto tra l'acquacoltura e altri ambiti di regolamentazione (p.es. la protezione ambientale). Sebbene non sia possibile stabilire se tale approccio legislativo sia più efficace di altri, è opportuno osservare che in Norvegia si ritiene che la legge in questione crei un quadro normativo efficace. - Organizzazione amministrativa Come avviene in altri paesi, diversi enti norvegesi sono coinvolti nell'amministrazione e regolamentazione dell'acquacoltura. Tuttavia, la concentrazione delle funzioni amministrative presso la direzione per la pesca, unitamente a una chiara definizione di ruoli, mansioni e rapporti di e fra i vari organismi (in parte stabilita dalla legge sull'acquacoltura stessa), non solo apporta maggiore coerenza, ma crea una struttura amministrativa più efficiente e accessibile per il settore. - Gestione delle licenze mediante uno sportello unico È stato istituito un sistema di evasione delle domande di licenza per l'acquacoltura a "sportello unico", grazie al quale il richiedente dialoga con un unico organismo: la direzione per la pesca. Tale direzione si coordina poi con le varie autorità nel quadro della rispettive procedure di gestione delle domande. La direzione per la pesca assicura che vengano adottate le necessarie dichiarazioni e decisioni da parte degli enti locali e delle varie autorità del settore, come il Governatore regionale (autorità ambientale), l'autorità norvegese per la sicurezza alimentare e l'amministrazione nazionale costiera norvegese. - Regolamentazione degli impatti ambientali La Norvegia è stata, e continua ad essere, leader nel settore della regolamentazione ambientale dell'acquacoltura (cfr. la strategia per un settore norvegese dell'acquacoltura sostenibile sotto il profilo ambientale, varata nel giugno 2009 – MFCA 2009). Uno dei tratti salienti dell'approccio norvegese è rappresentato dal fatto che gran parte della regolamentazione è stata concepita specificatamente per l'acquacoltura o prevede condizioni specifiche per il settore acquicolo. Una seconda importante caratteristica riguarda l'uso degli strumenti di autoregolamentazione (come lo standard NYTEK relativo alle fuoriuscite di pesci). Il governo riconosce l'importanza di trovare un equilibrio fra la propria azione coercitiva mediante l'imposizione di norme e la possibilità del settore di adottare misure (soprattutto di carattere più tecnico) su base semi-volontaria. - Valutazione dell'impatto ambientale La Norvegia applica l'acquis comunitario relativo alla VAS, alla VIA e alla partecipazione del pubblico, ma vi sono due significative differenze tra la VIA effettuata per l'acquacoltura in Norvegia e quella condotta nell'UE. La prima è che in Norvegia la direzione per la pesca è l'"autorità competente", responsabile della verifica di assoggettabilità e della realizzazione del processo per la VIA relativa agli impianti di acquacoltura. La seconda differenza consiste nel fatto che i regolamenti norvegesi prevedono una soglia specifica per la valutazione dell'acquacoltura. - Pianificazione delle zone costiere La pianificazione delle zone costiere a livello regionale (contea) è stata introdotta per affrontare i problemi dell'integrazione che la pianificazione municipale delle zone costiere non era stata in grado di risolvere, in particolare il coordinamento tra i rispettivi settori a livello regionale.

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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- Cessione e ipoteca delle licenze di acquacoltura Una delle principali novità introdotte dalla legge sull'acquacoltura del 2005 riguarda il diritto di cessione o ipoteca delle licenze di acquacoltura, in virtù del quale è possibile cedere la licenza fra privati senza la necessità di ottenere un'autorizzazione pubblica o una nuova licenza. Il nuovo diritto di ipoteca consente di utilizzare la licenza come fideiussione creditizia, rafforzando così la prevedibilità e la capacità di accesso ai capitali per il settore. Cile

L'acquacoltura è un settore importante in Cile, soprattutto in alcune delle regioni più povere, dove quest'attività genera notevoli entrate e occupazione in zone altrimenti prive di opportunità economiche. Da diversi anni il settore registra una crescita significativa, da poco meno di 100 000 tonnellate nel 1990 a più di 850 000 tonnellate nel 2007. Ciononostante, l'attuale situazione dell'acquacoltura cilena è piuttosto diversa (alcune epidemie hanno ridotto la produzione nel 2008 e 2009). In risposta a questa crisi, il governo ha stilato una nuova legislazione sull'acquacoltura, ma l'esame molto critico del disegno di legge da parte della commissione per la pesca del Senato nel luglio 2009 sembra pregiudicare la sopravvivenza del testo. Le modifiche alla legge del 1991, se introdotte così come proposte nell'attuale versione della proposta di legge, apporteranno una serie di notevoli cambiamenti alla normativa cilena in materia di acquacoltura. Tuttavia, le nuove misure sono in gran parte una reazione diretta agli attuali problemi epidemici e riflettono ampiamente le buone prassi già esistenti nella legislazione comunitaria. La proposta di introdurre un meccanismo per l'ipoteca delle concessioni a lungo termine rispecchia invece il sistema norvegese e la necessità di certezza commerciale (e soprattutto d'investimento) per gli acquacoltori, sebbene sia in corso un dibattito politico in Cile per definire se le esigenze di certezza e sicurezza del settore dell'acquacoltura possano essere soddisfatte al meglio mediante tale metodo o mediante i mezzi già esistenti. Per quanto concerne le prassi esistenti, è possibile evidenziare tre aspetti: 1) amministrazione a "sportello unico": come la Norvegia, il Cile applica l'approccio dello sportello unico all'amministrazione dell'acquacoltura; 2) istituzione della commissione nazionale per l'acquacoltura costituita da rappresentanti del settore pubblico (12) e privato (7), che svolge un ruolo chiave nella pianificazione nazionale dell'acquacoltura; 3) designazione delle zone acquicole – le zone adibite ad acquacoltura e i confini nelle acque marittime sono stati stabiliti per decreto in otto regioni. Altri paesi

È evidente che, in generale, il quadro normativo nella maggior parte delle altre economie avanzate è simile a quello dell'UE ed è caratterizzato da problemi analoghi. Esempi di buone prassi in altri paesi sono l'estensione dei periodi di validità delle licenze (20 anni) e il sistema del permesso unico (Stati Uniti) e la creazione di un quadro completo di migliori prassi (Australia). Raccomandazioni Quadro di migliori prassi

• Utilizzare una serie di misure legislative e normative da coordinarsi e integrarsi mediante una politica e un orientamento per l'applicazione sotto forma di "quadro di buone prassi" per l'acquacoltura europea. Tale quadro potrebbe definire i principi e costituire la base per l'elaborazione di un orientamento specifico per la

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

regolamentazione dell'acquacoltura sia a livello comunitario, sia a livello di Stati membri.

Licenze

• Esaminare la possibilità di istituire una licenza europea per l'acquacoltura, in piena consultazione con i soggetti interessati. Accanto a ciò occorre considerare l'utilizzo di modelli di buone prassi (a tal proposito la legge norvegese in materia di acquacoltura rappresenta un modello particolarmente utile), come un sistema a sportello unico, limiti di tempo per l'assunzione di decisioni, periodi di validità standard ecc.

Pianificazione degli spazi e degli accessi

• Promuovere la posizione dell'acquacoltura nella gestione integrata delle zone costiere e nella pianificazione degli spazi marittimi e considerare le possibilità di definizione di un approccio specifico all'attribuzione di siti per l'acquacoltura.

• Garantire che la pianificazione spaziale delle acque interne integri appieno le esigenze e i valori dell'acquacoltura d'acqua dolce.

Direttiva quadro "Acque"

• Garantire un assiduo coordinamento e l'opportuna partecipazione dei soggetti interessati del settore acquicolo ai processi e alle consultazioni relativi alla direttiva quadro "Acque".

• Garantire che il settore dell'acquacoltura sia costantemente informato, per assicurare la giusta applicazione della direttiva quadro "Acque" e della direttiva sulla strategia per l'ambiente marino per quanto concerne le attività di acquacoltura.

• Valutare sistematicamente l'eventuale necessità di modificare alcune parti del quadro legislativo ai fini dell'acquacoltura (p.es. le acque per molluschicoltura).

• Considerare l'elaborazione di orientamenti di attuazione specifici.

Predazione da parte di specie protette

• La Commissione dovrebbe elaborare, in consultazione con gli Stati membri e i soggetti interessati, orientamenti sull'interpretazione giuridica e l'applicazione delle disposizioni in materia di risoluzione dei conflitti delle direttive "Uccelli selvatici" e "Habitat" (in particolare in merito al significato delle frasi fondamentali "non esista un'altra soluzione valida", "non pregiudichi il mantenimento [...] delle popolazioni" e "gravi danni").

• Gli Stati membri dovrebbero recepire, ove opportuno, gli orientamenti della Commissione nelle loro procedure amministrative nazionali.

• Occorre adoperarsi ulteriormente per raggiungere un consenso scientifico sui conflitti, in particolare per quanto concerne i cormorani, al fine di fornire una base affidabile per il processo decisionale.

• Per quanto riguarda il caso specifico dei cormorani, si dovrebbero attuare le raccomandazioni del Parlamento europeo, soprattutto in merito all'elaborazione di un piano coordinato di gestione delle popolazioni e di orientamenti sulle buone prassi per la prevenzione e la mitigazione dei conflitti.

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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Valutazione dell'impatto ambientale

• Valutare la possibilità di elaborare criteri e orientamenti specifici per l'acquacoltura e/o di inserire la VIA per l'acquacoltura nel quadro delle migliori prassi, al fine sia di sviluppare standard minimi comuni e orientamenti per la realizzazione della VIA per l'acquacoltura, sia di promuovere il riconoscimento dell'acquacoltura quale fruitore dello spazio.

• Per i siti situati in "zone costiere sensibili" (p.es. le ZSC/ZPS nel quadro di Natura 2000), occorre migliorare l'inclusione di un'appropriata valutazione e di altri meccanismi per inserire l'acquacoltura nella pianificazione degli usi.

Altre questioni

• Salute degli animali acquatici: monitorare continuamente l'elenco delle malattie importanti per gli animali acquatici; valutare le garanzie complementari per talune malattie adottate a livello di Stato membro.

• Benessere degli animali: valutare le questioni relative al benessere dei pesci al fine di stabilire la valenza di misure non legislative o eventualmente legislative; proporre la revisione di alcune disposizioni del regolamento sul trasporto degli animali (regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio).

• Farmaci veterinari: adottare la proposta di un nuovo regolamento sui limiti dei residui massimi (cercando nel contempo di assicurare disposizioni di particolare interesse per l'acquacoltura).

• Norme dettagliate per l'acquacoltura biologica: completare l'opera di definizione di norme dettagliate per l'acquacoltura biologica e ultimare il quadro giuridico per la produzione biologica istituito mediante regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio.

• L'UE dovrebbe continuare a svolgere un ruolo di primo piano nell'agenda commerciale internazionale e le istituzioni dell'UE coinvolte dovrebbero coordinare al massimo il loro operato per garantire che gli interessi del settore dell'acquacoltura europea siano efficacemente rappresentati.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

1. INTRODUZIONE

RISULTATI PRINCIPALI

• La moderna acquacoltura rappresenta un'importante innovazione nel campo della produzione ittica e di alimenti di origine acquatica e, fra i settori alimentari, è quello che ha registrato il più rapido sviluppo, con un tasso di crescita media del 6-8% annuo su scala mondiale.

• Recentemente l'acquacoltura dell'UE non ha preso parte a questo sviluppo e dal 2000 la produzione europea ristagna. Di conseguenza, la produzione totale dell'acquacoltura nell'UE rappresenta solo circa il 2% di quella mondiale, cifra ben al di sotto del 4% registrato nel 1996 e ancor più ridotta rispetto alla quota mondiale detenuta dall'UE nel settore della pesca (circa il 6%).

• Molte sono le sfide che l'acquacoltura europea deve affrontare, tra cui la concorrenza per lo spazio disponibile e il limitato accesso alle risorse idriche; la concorrenza con i prodotti importati; la difficoltà di accedere a finanziamenti e investimenti; la percezione dell'opinione pubblica; l'accesso limitato alle licenze; la frammentazione del settore e l'insufficienza di farmaci e vaccini.

• La strategia del 2002 è risultata solo parzialmente efficace, da qui la necessità di procedere alla revisione del 2009. La strategia riveduta del 2009 si basa su tre finalità generali – promuovere la competitività dell'acquacoltura nell'UE, stabilire le condizioni per uno sviluppo sostenibile dell'acquacoltura e migliorare l'immagine e la governance del settore – e fissa una serie di obiettivi e azioni, molti dei quali relativi a un miglioramento della regolamentazione.

1.1. Introduzione e situazione generale

1.1.1. L'acquacoltura nell'UE

La moderna acquacoltura rappresenta un'importante innovazione nel campo della produzione ittica e di alimenti di origine acquatica e, fra i settori alimentari, è quello che ha registrato il più rapido sviluppo, con un tasso di crescita media del 6-8% annuo su scala mondiale. A seguito della forte crescita della produzione in Asia e in Sud America, l'acquacoltura soddisfa oggi circa la metà del fabbisogno mondiale di pesce destinato al consumo umano, con una produzione complessiva di circa 52 milioni di tonnellate nel 2006 (FAO, 2009). Inoltre, l'acquacoltura presenta un elevato potenziale di sviluppo: perfino le stime più prudenti prevedono un tasso di crescita medio annuo del 4,5% nel periodo 2010-2030 (FAO, 2009). Tale sviluppo è considerato necessario per soddisfare la futura domanda di pesce, anche se le più recenti previsioni suggeriscono un tasso di crescita più basso (Bostock et al, 2008; Huntington et al, in fase di stesura).

Sebbene l'acquacoltura sia in espansione a livello mondiale, il comparto europeo – dopo l'iniziale periodo di crescita (da circa 690 000 tonnellate nel 1981 a quasi 1,3 milioni di tonnellate nel 2001) – è cresciuto in modo molto più modesto e da alcuni anni ristagna. Fra il 1995 e il 2004, la produzione acquicola totale nell'EU-27 è aumentata solo del 3-4% fino al 1999, ovvero meno della metà rispetto al tasso mondiale di crescita e dal 2000 la produzione dell'UE ristagna (Commissione europea, 2009). Per effetto di questo ristagno complessivo, la produzione acquicola totale dell'UE negli ultimi anni rappresenta soltanto il 2% all'incirca di quella mondiale (sulla base dei dati del 2005), cifra ben al di sotto del 4%

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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registrato nel 1996 e ancor più ridotta rispetto alla quota mondiale detenuta dall'UE nel settore della pesca (circa il 6%).

Ciononostante, l'importanza dell'acquacoltura europea è notevole. Nel 2006 il settore dell'acquacoltura nell'UE-27 ha prodotto circa 1,3 milioni di tonnellate di pesci, molluschi e crostacei, con un fatturato di circa 3 miliardi di euro e l'occupazione diretta di circa 65 000 addetti (Framian, 2009). Nata come attività artigianale e su piccola scala, l'acquacoltura

europea è divenuta un'industria tecnologicamente avanzata, che associa attività commerciali pienamente integrate (per lo più piccole e medie imprese, PMI), dove molti produttori sono all'avanguardia nello sviluppo tecnologico. Alcuni Stati membri sono fra i principali produttori al mondo per determinati prodotti. Il settore dell'acquacoltura europea, inoltre, è uno dei più variegati. Sebbene la maggior parte della produzione ruoti attorno a dieci specie principali, in Europa vengono allevate circa 100 specie acquatiche diverse (Commissione europea, 2009a), incluse specie ittiche d'acqua dolce e marine e molluschi allevati con sistemi diversi: chiusi o aperti, estensivi o intensivi, sulla terraferma o in laghi e stagni alimentati da fiumi o anche da acque sotterranee (cfr. riquadro 1 per un elenco indicativo delle principali specie allevate). Nell'UE, inoltre, sebbene questo sia un settore relativamente piccolo in rapporto alle cifre globali, l'acquacoltura costituisce un'importante attività economica in alcune zone costiere e continentali. In termini di volume, i principali produttori sono la Francia (258 000 tonnellate), la Spagna (222 000 tonnellate), l'Italia (181 000 tonnellate), il Regno Unito (173 000 tonnellate) e la Grecia (106 000 tonnellate). In termini di valore, i principali produttori sono la Francia (555 milioni di euro), il Regno Unito (498 milioni di euro), l'Italia (476 milioni di euro), la Grecia (345 milioni di euro) e la Spagna (280 milioni di euro) (Commissione europea, 2009).

Riquadro 1 Principali specie dell'acquacoltura nell'UE Ostriche: la Francia è in assoluto

il primo produttore; vi sono produzioni anche in alcuni altri Stati membri, p.es. l'Irlanda.

Cozze: i principali produttori sono la Spagna, l'Italia, i Paesi Bassi e la Francia.

Vongole: la produzione è dominata dall'Italia; vi sono produzioni anche in Spagna e Portogallo e in pochi altri Stati membri.

Trote: vi sono allevamenti quasi in ogni Stato membro; i principali produttori sono l'Italia e la Francia, seguiti da Danimarca, Germania e Spagna.

Salmone atlantico: i primi produttori nell'UE sono il Regno Unito (Scozia) e l'Irlanda.

Spigole e orate: la Grecia è il principale produttore; vi sono produzioni anche in Spagna, Francia e Italia.

Alla luce dell'ambiente normativo, tecnico ed economico in evoluzione, il settore dell'acquacoltura europea è mutato tramite l'introduzione di:

nuove specie (principalmente specie costose e spesso esotiche provenienti dalle regioni subtropicali);

nuove tecnologie, come l'uso dei sistemi a ricircolo idrico per ridurre il consumo d'acqua e lo scarico di effluenti, nonché le gabbie in mare aperto e i sistemi di palangari per molluschi utilizzabili in mare aperto, in siti lontani dalla costa;

nuove strategie commerciali, compreso l'utilizzo di zone acquicole definite dal governo, che talvolta sono già state sottoposte a una VAS e quindi comportano procedure di licenza e di pianificazione semplificate.

Malgrado il ristagno della produzione acquicola, l'importazione di prodotti del mare è quasi triplicata negli ultimi sei anni (Ernst and Young, 2008). L'attuale domanda di consumo

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

dell'UE corrisponde a circa 12 milioni di tonnellate, il 60% della quale viene soddisfatta mediante importazioni, in gran parte di prodotti acquicoli. I principali prodotti d'importazione sono: salmone dalla Norvegia, gamberi dal Sud Est asiatico e pesce d'acqua dolce, come il pangasio e la tilapia, prevalentemente dal Sud Est asiatico. Tali cifre dimostrano chiaramente il potenziale di sviluppo dell'acquacoltura europea, che, crescendo, potrebbe contribuire a soddisfare il fabbisogno dell'UE e a ridurre la dipendenza dai prodotti importati.

Molte sono le sfide che l'acquacoltura europea deve affrontare (Commissione europea 2009a). Per esempio, la concorrenza per lo spazio disponibile e il limitato accesso alle risorse idriche nelle zone costiere e nei bacini idrografici rappresentano importanti ostacoli alla creazione, allo sviluppo e perfino al mantenimento dei siti di produzione acquicola. La concorrenza con i prodotti importati costituisce un grave problema, soprattutto poiché le norme più severe dell'UE, segnatamente in materia di protezione ambientale, e i costi della manodopera (insieme alle altre voci di spesa) generano svantaggi competitivi nei confronti dei concorrenti asiatici e sudamericani. Gli imprenditori hanno difficoltà ad accedere ai finanziamenti e agli investimenti, poiché tale settore continua a essere piuttosto sconosciuto agli investitori e vi sono limiti all'accesso ai capitali di avviamento o ai prestiti a favore dell'innovazione in un contesto di rischio (tenuto conto, in particolare, dei cambiamenti incessanti della situazione economica e dei flussi commerciali). Altre sfide includono la mancanza di informazione al pubblico e spesso un problema di immagine nell'opinione pubblica; l'accesso limitato alle licenze, la frammentazione del settore e l'insufficienza di farmaci e vaccini.

Sullo sfondo di tali considerazioni, il presente studio il presente studio cerca di esaminare una di queste potenziali sfide: i vincoli normativi e giuridici. Tali vincoli sono per lo più di natura trasversale, poiché riguardano le sfide politiche, operative e commerciali poc'anzi descritte, quali l'accesso allo spazio e all'acqua, la protezione ambientale, le licenze ecc. Gli oneri che le disposizioni normative e giuridiche comportano, tuttavia, meritano di essere esaminati anche come sfide a sé. Pertanto, l'atto giuridico o normativo deve essere analizzato sia nel suo contesto sociale, economico e politico, sia in quanto atto a sé stante (a fronte dei moderni principi della pratica normativa).

1.1.2. La politica dell'UE in materia di acquacoltura

Nei trattati non è prevista una politica comune dell'acquacoltura e neppure uno specifico organo legislativo, di regolamentazione o amministrativo nel settore dell'acquacoltura. La politica dell'UE in tale settore è definita piuttosto da una serie di politiche comunitarie, che esercitano un impatto sul settore, come le politiche in materia di pesca, ambiente, e salute/sicurezza alimentare. La principale politica comunitaria vigente oggi in questo settore è la Strategia per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura europea (Commissione europea, 2002), adottata dalla Commissione nel settembre 2002 e aggiornata nell'aprile 2009 dalla strategia riveduta Costruire un futuro sostenibile per l'acquacoltura - Un nuovo impulso alla strategia per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura europea (Commissione europea, 2009).

La strategia del 2002 ha enunciato i primi obiettivi specifici per il settore dell'acquacoltura e ha fornito gli orientamenti politici per promuovere la crescita dell'acquacoltura, concentrandosi principalmente sui seguenti aspetti chiave: garantire al consumatore la disponibilità di prodotti sani, sicuri e di qualità, nonché

promuovere livelli elevati di salute e benessere degli animali; sostenere un'attività ecocompatibile; creare occupazione stabile e duratura, in particolare nelle zone dipendenti dalla pesca.

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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La strategia del 2002 ha proposto complessivamente 28 azioni, raggruppate in 9 aree tematiche: aumento della produzione; espansione nello spazio; sviluppo del mercato, commercializzazione e informazione; formazione; disciplina; sicurezza dei prodotti dell'acquacoltura; migliorare il benessere dei pesci di allevamento; aspetti ambientali e ricerca. Secondo la Commissione, tali misure erano volte sostanzialmente a creare (vale a dire completare o riesaminare) il contesto normativo per garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente, dei consumatori e degli animali, definendo nel contempo un quadro che favorisse la promozione dello sviluppo sostenibile dell'acquacoltura e stimolasse la ricerca e innovazione (Commissione europea, 2009a).

All'epoca della sua adozione, la strategia è stata accolta favorevolmente dal settore dell'acquacoltura europea nel suo complesso e successivamente è stata approvata dal Parlamento europeo1 e dal Consiglio. Nel 2009, tuttavia, è stata sottoposta a un riesame, che ha prodotto la strategia riveduta, poiché era evidente che la prevista crescita del settore non si era manifestata e che la produzione stagnava (in particolare, non si era raggiunto l'obiettivo della crescita annua del 4%, previsto dalla strategia del 2002). Nel procedere alla revisione della strategia del 2002, in consultazione con le parti interessate,2 la Commissione ha riconosciuto che, malgrado i notevoli progressi nel garantire la sostenibilità ambientale, la sicurezza e la qualità della produzione acquicola dell'UE, e malgrado l'adozione da parte delle autorità pubbliche europee della maggior parte delle misure previste dalla strategia del 2002, la mancata crescita del settore nell'UE – soprattutto in rapporto alle tendenze globali – indicava che il potenziale del settore non si stava realizzando. Gli oneri normativi e giuridici sono stati considerati i principali fattori che ostacolavano lo sviluppo del comparto e la Commissione ha osservato che una delle maggiori debolezze (che la strategia non ha risolto) era rappresentata dal fatto che il quadro giuridico e amministrativo si basava su azioni e decisioni principalmente di competenza delle autorità pubbliche nazionali e regionali.

Tali conclusioni sono state ampiamente condivise dai soggetti interessati del settore dell'acquacoltura europea, secondo i quali, in generale, la strategia è riuscita almeno parzialmente a raggiungere i suoi obiettivi principali (garantire al consumatore la disponibilità di prodotti sani, sicuri e di qualità, e sostenere un'attività ecocompatibile), ma è risultata meno efficace in altri ambiti, come l'appianamento dei conflitti per l'occupazione dello spazio che ostacolano l'espansione dell'acquacoltura in alcune zone (Lane et al., 2009).

La strategia riveduta del 2009, avallata dal Consiglio europeo Agricoltura e pesca durante la sua riunione del giugno 2009, è volta a individuare ed analizzare le cause del ristagno per far sì che l'UE continui a svolgere un ruolo chiave in questo settore strategico. Essa si basa sui risultati conseguiti dalla strategia per l'acquacoltura del 2002 e sul nuovo impulso dato alle attività marine dalla politica marittima integrata dell'UE. La strategia riveduta si basa su tre grandi obiettivi:

rendere più competitiva l'acquacoltura europea – p.es. sostenendo la ricerca e lo sviluppo tecnologico, garantendo condizioni eque per il settore nelle decisioni sulla pianificazione spaziale, rivedendo la politica comunitaria sui mercati della pesca e aiutando il settore a rafforzare la sua posizione internazionale;

1 Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione (2002/2058), contenente 36 raccomandazioni specifiche

sull'attuazione della strategia. 2 Nel 2007 la Commissione ha avviato un riesame, che ha incluso un'ampia consultazione pubblica e discussioni

con le parti interessate sulle prospettive per il settore dell'acquacoltura in Europa: cfr. <ec.europa.eu/fisheries/cfp/governance/consultations/consultation_100507_en.htm>.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

garantire lo sviluppo sostenibile – p.es. promuovendo metodi di produzione ecocompatibili, mantenendo elevati standard di salute e benessere degli animali, proteggendo la salute dei consumatori e pubblicizzando i vantaggi degli alimenti prodotti dall'acquacoltura per la salute;

migliorando l'immagine e la governance del settore – p.es. creando condizioni di parità per tutti gli operatori, riducendo gli oneri, promuovendo la partecipazione dei soggetti interessati nel processo di definizione delle politiche e garantendo un'adeguata sorveglianza.

La strategia individua un'ampia gamma di obiettivi e azioni, numerosi dei quali riguardano una migliore regolamentazione: migliorare applicazione della normativa dell'UE; ridurre l'onere amministrativo, continuando l'opera di semplificazione del quadro legislativo e riducendo l'onere amministrativo a livello dell'UE; garantire un'adeguata partecipazione e consultazione delle parti interessate, quale fattore essenziale per il miglioramento della normativa e della governance; e garantire un'adeguata sorveglianza del settore dell'acquacoltura. Il presente studio analizzerà principalmente in che misura la strategia riveduta del 2009 rappresenta una piattaforma efficace per raggiungere tali obiettivi e per rimuovere altri vincoli normativi e legislativi.

1.1.3. Analisi dei vincoli normativi e giuridici: "legiferare meglio"

Come termine di riferimento, il presente studio considera i principi moderni della legiferazione, branca della politica sociale che negli ultimi anni ha conosciuto un notevole sviluppo. Non si intende affermare qui, naturalmente, che qualsiasi regolamentazione è inopportuna. Per natura, le disposizioni normative implicano inevitabilmente un determinato livello di oneri, che tuttavia possono essere necessari per conseguire un particolare obiettivo e/o possono conferire o salvaguardare un maggior vantaggio o diritto. Per contro, una disposizione normativa può risultare meno efficace di altre tipologie di provvedimenti per raggiungere l'esito auspicato. Per esempio, talvolta è difficile trasporre in legge i requisiti tecnici, che possono essere meglio applicati mediante orientamenti volontari, codici di buone prassi o standard tecnici.

Inoltre, è errato presumere che il controllo normativo o legislativo produca una maggiore osservanza delle disposizioni. In generale – e quindi anche nel settore dell'acquacoltura – vi è un elevato tasso di conformità alla legislazione, tuttavia, vi sono molteplici ragioni per cui l'osservanza potrebbe non essere raggiunta in determinati casi, p.es. riluttanza o impossibilità di applicare una particolare disposizione; mancanza dell'effetto di deterrenza a causa della scarsa probabilità di essere scoperti; mancanza dell'effetto di deterrenza a causa della scarsa probabilità di essere perseguiti legalmente (o di incorrere in procedimenti amministrativi); o un livello sanzionatorio insufficiente come deterrente. Qualora la regolamentazione di una particolare attività presenti questo tipo di difficoltà, si potrebbe ottenere un grado di conformità maggiore mediante misure volontarie elaborate dal settore, compatibili con le esigenze e gli obiettivi commerciali del comparto stesso.

Come osservato poc'anzi, negli ultimi anni l'approccio alla legiferazione ha compiuto notevoli progressi, procedendo verso la definizione di principi e modalità per "legiferare meglio". Ciò implica in sostanza una riduzione degli oneri, una semplificazione della legislazione e un ricorso alla regolamentazione soltanto ove opportuno. Nell'UE, l'agenda "legiferare meglio" è stata elaborata in forme diverse, ma tutte le istituzioni dell'UE si impegnano ad attuare tale strategia, imperniata su tre linee d'azione principali: promuovere l'elaborazione e l'applicazione di migliori strumenti di legiferazione a livello UE, in particolare la semplificazione, la riduzione degli oneri amministrativi e la valutazione

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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d'impatto; collaborare maggiormente con gli Stati membri per garantire che i principi di una migliore legiferazione siano applicati coerentemente in tutta l'UE da tutti i partecipanti al processo normativo; rafforzare il dialogo costruttivo tra le parti interessate e tutti i partecipanti al processo normativo a livello comunitario e nazionale (cfr., p.es., Commissione europea, 2009e). Parimenti, tutti gli Stati membri hanno adottato dei provvedimenti per legiferare meglio, anche se sono molto pochi quelli realmente avanzati, soprattutto negli Stati membri di nuova adesione. Ciononostante, i principi sono ampiamente accettati.

Le definizioni relative all'attività "legiferare meglio" e le teorie su come raggiungere tale obiettivo variano, ma i principi chiave per legiferare meglio sono sostanzialmente i seguenti.

Proporzionalità: il legislatore dovrebbe intervenire soltanto se necessario e le soluzioni normative devono essere proporzionate al problema o rischio percepito e giustificabili in termini di costi di conformità imposti (tenendo conto, in particolare, degli impatti sulle PMI).

Coerenza: la regolamentazione deve essere coerente (le nuove normative tengono conto di altre legislazioni esistenti o proposte) e certa (la regolamentazione deve essere prevedibile, per dare stabilità e certezza ai soggetti interessati) e i legislatori devono applicarla in modo coerente, operando congiuntamente.

Trasparenza: la regolamentazione deve essere aperta, semplice e di facile uso; le regolamentazioni devono essere chiare e semplici e accompagnate, ove opportuno, da orientamenti per l'applicazione.

Azione mirata: la regolamentazione deve essere incentrata sul problema e ridurre al minimo gli effetti collaterali.

Responsabilità: i legislatori devono essere in grado di motivare le decisioni e le proposte devono essere elaborate previa effettiva consultazione dei soggetti interessati.

Tutti questi principi si applicano alla regolamentazione dell'acquacoltura così come a qualsiasi altra politica e normativa. Pertanto, stabilire se determinate disposizioni normative rispettino tali principi oppure no – nel perseguire l'obiettivo di stabilire le condizioni per un settore dell'acquacoltura efficace, in crescita, competitivo e sostenibile – sarà un fattore importante per valutare se l'onere normativo sia necessario o rappresenti invece un vincolo. Tali principi costituiranno quindi una delle basi di valutazione ai fini del presente studio.

1.2. Obiettivi e metodologia

1.2.1. Obiettivi

Il presente studio è volto ad analizzare le possibilità di miglioramento della governance dell'acquacoltura europea mediante la modifica del quadro legislativo e normativo. Per raggiungere tale obiettivo, si descriveranno innanzitutto i principali vincoli giuridici e normativi esistenti in tale settore, individuando le implicazioni di tali oneri ed evidenziando le possibilità di rimuoverli, ridurli o razionalizzarli. A tal fine, lo studio adotta un approccio realistico e pragmatico, anziché astratto, analizzando i reali contesti giuridico-normativi, politici, economici e commerciali nei quali opera il settore dell'acquacoltura europea. Lo studio, inoltre, intende fornire una valutazione dell'attuale approccio comunitario alla risoluzione di tali problemi, analizzando in particolare il potenziale offerto dalla strategia

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

riveduta del 2009. Saranno presi altresì in considerazione i principi di regolamentazione della strategia "legiferare meglio".

Lo studio analizza sia i vincoli insiti nel diritto comunitario, incluso il recepimento da parte degli Stati membri, sia quelli esistenti a livello nazionale, concentrandosi sui cinque maggiori produttori dell'UE (Francia, Grecia, Italia, Spagna e Regno Unito). Si procederà poi a un raffronto con gli approcci normativi dei due concorrenti principali del settore dell'acquacoltura europea, il Cile e la Norvegia, cercando di individuare esempi di migliori prassi in tali paesi trasferibili alla politica dell'UE in materia di acquacoltura. Ove opportuno, si farà inoltre riferimento alla situazione e agli sviluppi in atto negli altri Stati membri e nei paesi terzi.

Infine, lo studio propone un'analisi dei diversi vincoli, cercando di formulare delle proposte pratiche per alleggerirli e/o razionalizzarli e di individuare delle possibilità di miglioramento della regolamentazione, legislazione e governance.

1.2.2. Metodologia

Lo studio è suddiviso in tre diversi ambiti di ricerca: il primo analizza il sistema giuridico e normativo a livello comunitario al fine di individuare i principali vincoli per l'acquacoltura; il secondo analizza i sistemi normativi e giuridici di cinque paesi membri (Francia, Grecia, Italia, Spagna e Regno Unito), prefiggendosi lo stesso obiettivo; e il terzo analizza i principali sviluppi in atto nei paesi terzi selezionati (principalmente Norvegia e Cile) al fine di individuare esempi di migliori prassi applicabili nell'UE.

Per la realizzazione dello studio sono stati utilizzati diversi metodi di ricerca: è stata analizzata la letteratura (pubblicazioni ufficiali dell'UE, risposte alla consultazione condotta nel quadro del riesame della strategia del 2009 per l'acquacoltura europea, letteratura scientifica ed economica, documenti ufficiali nazionali, documenti dell'industria e di ONG, atti di convegni e pubblicazioni su Internet); sono stati contattati gruppi d'interesse e soggetti interessati per sondare le loro opinioni o per ottenere risposte a questionari informali; sono stati esaminati precedenti studi sull'acquacoltura che affrontavano l'aspetto della concorrenza e/o dei vincoli giuridici e normativi; sono stati chiesti contributi a selezionati esperti del settore; sono stati analizzati i processi istituzionali e decisionali; e, infine, è stata esaminata l'attuale documentazione legislativa e politica. Il corpus di dati da analizzare era notevole e nel corso del 2009 si è arricchito di nuove informazioni e interessanti sviluppi. Per presentare un'analisi della massima chiarezza e utilità si è deciso di concentrare l'attenzione sugli aspetti e gli sviluppi principali e di far riferimento ai dettagli del regime politico e normativo soltanto nella misura in cui opportuno.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

2. LA REGOLAMENTAZIONE DELL'ACQUACOLTURA: L'UNIONE EUROPEA

RISULTATI PRINCIPALI

• Numerosi sono i vincoli derivanti dalla legislazione comunitaria o dalla sua applicazione. I principali riguardano le licenze, la pianificazione dello spazio marittimo, la salute e il benessere degli animali e la regolamentazione in materia di impatti ambientali.

• Non esiste una licenza europea per l'acquacoltura, anche se la si potrebbe istituire. I sistemi di licenza vigenti a livello di Stati membri sono oggetto di numerose critiche.

• L'accesso a siti adatti per la produzione acquicola rappresenta un difficile problema per il settore. La politica marittima offre nuove opportunità in termini di pianificazione dello spazio marittimo e costiero, ma attualmente non fornisce chiare indicazioni in merito alla pianificazione dell'acquacoltura.

• Nell'ambito della legislazione sulla salute degli animali acquatici permangono alcuni problemi di natura tecnica per il settore dell'acquacoltura.

• I vincoli normativi impediscono la piena accessibilità commerciale ai farmaci veterinari.

• Non sono state definite norme precise per l'acquacoltura biologica, malgrado l'esistenza di un quadro normativo.

• Preoccupa la possibilità che la direttiva quadro "Acque" freni lo sviluppo dell'acquacoltura; la protezione delle acque destinate alla molluschicoltura suscita particolare apprensione, ma può essere gestita.

• Permane una lacuna per quanto riguarda la protezione dell'acquacoltura dalle specie esotiche invasive.

• La predazione degli stock allevati in acquacoltura da parte di specie protette è un elemento di grande preoccupazione e sebbene i meccanismi per una migliore gestione esistano, vi sono incertezze in merito alla loro interpretazione.

• L'applicazione delle norme sulla valutazione dell'impatto ambientale a livello locale costituisce un altro motivo di grande apprensione, poiché spesso essa comporta dei vincoli per lo sviluppo dell'acquacoltura.

• È necessario un continuo chiarimento in merito alle regole commerciali internazionali.

• Esiste un margine di miglioramento della governance, compreso un coordinamento più efficace delle politiche e un maggior coordinamento a livello comunitario, nazionale, locale e di parti interessate.

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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2.1. Introduzione

Come osservato nel primo capitolo, sebbene il trattato UE preveda la definizione di norme in materia di acquacoltura, non esiste una politica comune in tale settore. In senso lato, l'acquacoltura rientra nella politica comune della pesca, sebbene in pratica gran parte della legislazione applicabile all'acquacoltura sia definita nell'ambito di altre politiche comunitarie. L'unità Acquacoltura della DG Affari Marittimi (MARE), per esempio, individua dieci aree tematiche nell'ambito della legislazione sull'acquacoltura (additivi alimentari, malattie animali, ambiente, etichettatura e confezione, mercato, ricerca, strutture igienico-sanitarie, commercio, relazioni esterne), ma se ne potrebbero individuare altre. La legislazione europea in materia di acqualcoltura, pertanto, è complessa e disseminata. Il numero di regolamenti e direttive dell'UE applicabili al settore è variabile (anche nel tempo), ma si calcola che attualmente sia superiore a 150, anche se solo un numero nettamente inferiore (circa una ventina) può essere considerato davvero rilevante.

Nell'ambito del presente studio non è possibile – e neppure utile – esaminare nel dettaglio l'intero regime normativo dell'acquacoltura. Sono state passate in rassegna le normative applicabili, ma la maggior parte dei esse non dà adito a significative controversie e solleva solo questioni generali di natura regolamentare. I paragrafi seguenti, pertanto, saranno incentrati sui principali problemi normativi che interessano l'acquacoltura a livello comunitario.

2.2. Regolamentazione dell'accesso e della produzione

Questa sezione analizza una serie di ambiti normativi relativi alla creazione e all'esercizio delle attività acquicole, diversi dalle questioni che riguardano l'impatto ambientale (di cui tratteremo nella sezione successiva).

2.2.1. Licenze

Non esiste una licenza europea per l'acquacoltura e il diritto comunitario non contiene disposizioni in proposito. In linea di principio, conformemente al trattato, l'UE potrebbe istituire un sistema europeo di licenza. Ad oggi, la Commissione non ha voluto presentare proposte in tal senso, principalmente in ragione della sussidiarietà3. I sistemi di licenza, pertanto, vengono istituiti a livello di Stato membro o, come vedremo in seguito, spesso a livello regionale o decentrato. Tali sistemi vengono tipicamente amministrati a livello locale. Poiché è possibile che anche all'interno dello stesso Stato membro vi siano regimi e procedure di licenza diversi, il risultato è una molteplicità di sistemi che variano nell'UE anche nell'ambito dello stesso settore dell'acquacoltura. Inoltre, in merito allo specifico processo di licenza, spesso gli operatori del settore esprimono preoccupazioni relative al sistema nazionale, tra cui:

• le procedure relative alle domande di licenza sono spesso molto lunghe, costose e soggette a ritardi, situazione aggravata dalla necessità di rivolgersi a numerosi organi amministrativi, dai quali ottenere l'autorizzazione. La procedura di domanda può durare anni e sono necessarie diverse autorizzazioni per poter ottenere le licenze d'esercizio dell'attività;

• le procedure di presentazione e approvazione della domanda sono spesso complesse e le disposizioni normative, così come gli orientamenti amministrativi, non sono

3 Il campo di applicazione delle competenze dell'UE e il principio di sussidiarietà saranno esaminati nel capitolo 5.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

sufficientemente d'aiuto. Pertanto, l'esito della procedura può essere incerto, problema aggravato dall'apparente mancanza di conoscenza del settore da parte dei decisori.

• Il periodo di validità delle licenze (fattore determinante per il settore) è spesso troppo breve e ciò ostacola gli investimenti e genera incertezza per i produttori e gli investitori. Come osserva il settore dell'acquacoltura, poiché la licenza d'esercizio può costituire anche una sorta di garanzia per l'investimento, le licenze dovrebbero essere concesse per periodi di tempo ragionevoli con chiare condizioni per il rinnovo.

Tali difficoltà indicano l'esistenza di una possibile lacuna normativa a livello comunitario, poiché solo mediante un'azione a tale livello è possibile armonizzare i diversi processi esistenti negli Stati membri e predisporre controlli in tutta l'UE su elementi quali i tempi dell'iter decisionale, il periodo di validità delle licenze ecc..

2.2.2. Accesso, zone e pianificazione

La questione dell'accesso ai siti e dell'inclusione dell'acquacoltura nella gestione integrata delle zone costiere e nei sistemi di pianificazione degli spazi terrestri/marittimi è strettamente connessa al processo di licenza/autorizzazione. L'accesso a siti adatti per la produzione acquicola costituisce ovviamente un fattore cruciale per il settore, ma esso è ostacolato da una serie di difficoltà che generano uno dei principali vicoli per l'acquacoltura europea. La Commissione ha riconosciuto che le politiche e i quadri giuridici e normativi attuali sono inadeguati a soddisfare le esigenze del settore, soprattutto a livello nazionale, regionale o locale (Commissione europea, 2009b). Tale situazione sembra essere causata da diverse ragioni, tra cui:

• il frequente mancato riconoscimento all'acquacoltura del ruolo di utilizzatore delle risorse idriche su un piano di parità con altri settori, come la pesca o il turismo. Ove esistono sistemi di pianificazione, raramente l'acquacoltura è contemplata nella pianificazione zonale/spaziale. Nei casi in cui non esistono sistemi ufficiali di pianificazione/zonizzazione, per l'acquacoltura è difficile ottenere un equo riconoscimento. Tali problemi sono, in un certo senso, di carattere organizzativo, poiché i soggetti interessati spesso non possono partecipare appieno ai processi di pianificazione della politica;

• il settore dell'acquacoltura spesso è poco conosciuto e ciò determina un basso profilo dell'operatore nel settore acquicolo marittimo o d'acqua dolce e/o crea incertezza o riluttanza da parte dei decisori ad autorizzare l'accesso;

• in riferimento a quanto sopra, gli impatti ambientali dell'acquacoltura sono spesso fraintesi e ciò determina un utilizzo sproporzionato del principio di precauzione, generando talvolta una resistenza pubblica a livello locale in nome del principio "NIMBY" (Not In My Back Yard – Non nel mio cortile) (Dansk Akvakultur, 2007);

• esiste una vera e propria concorrenza per lo spazio: non bisogna dimenticare che vi sono molti altri utilizzatori delle risorse di acqua dolce, marittime e costiere, che i luoghi adatti sono limitati e che occorre proteggere gli ambienti acquatici e terrestri.

Le questioni relative all'accesso allo spazio idrico sono strettamente connesse al processo di licenza/autorizzazione, pertanto, il processo amministrativo avviene ancora una volta a livello locale. La politica di pianificazione marittima e terrestre può, in teoria, essere elaborata a livello nazionale o internazionale, ma esiste un problema di competenza per l'UE, in quanto la pianificazione territoriale (incluse le acque interne) è principalmente di competenza degli Stati membri. La legislazione comunitaria che incide sulla pianificazione,

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pertanto, è limitata (con la sola eccezione delle direttive sulla valutazione dell'impatto ambientale e sulla valutazione ambientale strategica, sebbene si tratti di misure ambientali piuttosto che di pianificazione ai sensi del diritto comunitario) e le decisioni relative alle autorizzazioni e i criteri di pianificazione sono disciplinati prevalentemente dalle disposizioni e dalle politiche degli Stati membri.

Nuove opportunità per l'acquacoltura costiera e marittima vengono offerte dalla politica marittima dell'UE, considerata un positivo fattore di stimolo per la pianificazione dello spazio marittimo. Il settore della maricoltura è ampiamente favorevole all'elaborazione di sistemi di pianificazione dello spazio marittimo; inoltre, ha rivendicato un trattamento equo in qualità di utilizzatore con parità di diritti durante varie consultazioni sulla politica marittima e ha reso numerose dichiarazioni favorevoli nel quadro della consultazione per la strategia del 2009. Tale approccio ha riscosso anche il sostegno del Parlamento europeo; una relazione d'iniziativa del 2007 recita infatti:

"nell'ambito di un approccio integrato della gestione delle zone costiere, occorre promuovere l'istituzione di zone chiaramente definite dove si possano raggruppare le aziende di allevamento, e che ciò andrebbe collegato ad un regime regolamentare semplificato volto a incoraggiare l'imprenditorialità e la sostenibilità" (Parlamento europeo, 2007).

Ciononostante, la politica marittima non contiene indicazioni chiare per la pianificazione dell'acquacoltura. Quest'ultima viene solo brevemente accennata nella Tabella di marcia per la pianificazione dello spazio marittimo della Commissione (Commissione europea, 2008a) e attualmente non vi sono proposte politiche specifiche a livello comunitario su come integrare l'acquacoltura nella pianificazione dello spazio marittimo. La politica marittima, naturalmente, è ancora in fase iniziale di sviluppo, ma il settore dell'acquacoltura dovrà accertarsi comunque di fornire un appropriato contributo.

2.2.3. Salute e benessere degli animali

Il quadro legislativo per il controllo delle malattie degli animali acquatici è stato sottoposto di recente a una completa revisione e nell'ottobre 2006 è stata adottata una nuova direttiva4. Secondo la Commissione, la nuova direttiva è stata accolta in modo complessivamente favorevole dal settore dell'acquacoltura, tuttavia sono emersi problemi specifici in merito a talune disposizioni per via delle possibili conseguenze economiche e operative per determinati settori (Commissione europea, 2009b). Tali problemi riguardano principalmente l'elenco delle malattie di cui alla direttiva e questioni tecniche in merito al processo di gestione del rischio da applicarsi alle potenziali specie portatrici o sensibili, anziché preoccupazioni più importanti sul funzionamento della direttiva. Tuttavia, potrebbero sorgere vincoli significativi (p.es. restrizioni al commercio o al movimento di specie non a rischio) qualora l'applicazione della direttiva non soddisfi le esigenze del settore. Pertanto, è importante che la direttiva sia oggetto di una costante revisione e venga aggiornata, all'occorrenza, per riflettere l'attuale stato di minaccia delle malattie. Nel settore dell'acquacoltura vi è la percezione, comunque, che alla regolamentazione delle malattie degli animali acquatici venga attribuita una priorità inferiore alle malattie più note che colpiscono i mammiferi terrestri o gli uccelli (p.es. l'influenza aviaria, l'afta epizootica ecc.) (Commissione europea, 2009b; FEAP, 2007). Inoltre, poiché lo strumento ha assunto la forma di direttiva, che deve essere quindi recepita dagli Stati membri, è possibile che vi

4 Direttiva 2006/88/CE del Consiglio, del 24 ottobre 2006 , relativa alle condizioni di polizia sanitaria applicabili alle

specie animali d'acquacoltura e ai relativi prodotti, nonché alla prevenzione di talune malattie degli animali acquatici e alle misure di lotta contro tali malattie.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

siano ritardi nella trasposizione degli emendamenti, che potrebbero essere introdotti con una certa regolarità.

Tali questioni sembrano essere state riconosciute dalla Commissione, che ha compreso la necessità di garantire che le esigenze sanitarie degli animali acquatici siano considerate appieno nella nuova strategia sulla salute degli animali e nel suo piano d'azione esecutivo (Commissione europea, 2006 e 2006a). Inoltre, la Commissione si è impegnata a valutare ed eventualmente rivedere l'elenco delle malattie importanti per gli animali acquatici entro il 2011, a riesaminare le attuali disposizioni relative alle garanzie complementari per talune malattie imposte a livello di Stati membri, al fine di garantire che tali misure non creino delle barriere ingiustificate, e a valutare gli attuali strumenti finanziari disponibili per sostenere le misure dedicate alla salute degli animali acquatici (Commissione europea, 2009).

Per quanto concerne il benessere degli animali, il quadro giuridico dell'UE relativo al benessere degli animali d'allevamento può riguardare anche la piscicoltura, ma non fornisce norme specifiche. Tuttavia, alcune disposizioni esistenti di carattere generale non sono né appropriate, né necessariamente applicabili in modo opportuno, poiché sono state elaborate sulla base di approcci relativi agli animali terrestri. Per esempio, a norma del regolamento (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto, gli animali devono essere nutriti durante il viaggio, tuttavia nutrire i pesci prima o durante il trasporto comporta un rapido deterioramento del benessere degli animali trasportati o provoca la morte degli stessi, principalmente a causa della diversa qualità dell'acqua nelle vasche usate per il trasporto. Per citare un altro esempio, alcuni piscicoltori hanno osservato durante la consultazione che alcuni corsi di formazione sul benessere degli animali, imposti ai conducenti, non affrontano le esigenze specifiche del trasporto di pesci. Un importante fattore all'origine di tale problema è rappresentato dal fatto che per talune specie, soprattutto quelle nuove, esistono delle lacune scientifiche, pertanto è difficile stabilire delle solide prassi.

2.2.4. Farmaci veterinari

La limitata disponibilità di prodotti farmaceutici veterinari per far fronte ai rischi sanitari costituisce un grave problema per il settore dell'acquacoltura. La questione è in parte commerciale, poiché produrre e commercializzare un farmaco specifico per una determinata patologia e una determinata specie ittica potrebbe risultare troppo costoso e quindi non redditizio per un'azienda farmaceutica. Anche le disposizioni giuridiche e amministrative creano ostacoli, soprattutto poiché diverse competenti autorità pubbliche non sembrano conoscere a sufficienza le difficoltà e gli aspetti pratici relativi alle terapie per gli animali acquatici rispetto a quelli terrestri. Nel 2003 e 2004 si è proceduto al riesame della legislazione in materia di farmaceutica veterinaria apportando modifiche alla normativa5, che tuttavia hanno solo parzialmente risolto il problema dell'insufficienza di farmaci veterinari. Nel 2006, la Federazione europea degli acquacoltori ha approvato una risoluzione con la quale ha chiesto un riesame dell'attuazione della direttiva6. Anche una task force istituita ne 2007 dai direttori delle agenzie per i farmaci veterinari ha chiesto una valutazione della situazione (Direttori delle agenzie per i farmaci veterinari, 2007). Ad oggi, la legislazione non è stata ulteriormente modificata. Una proposta che modifica le procedure comunitarie per la definizione di limiti di residui di sostanze farmacologicamente

5 Direttiva 2001/82/CE modificata dalla direttiva 2004/28/CE. 6 Resolution 5: The Availability of Veterinary Medicines in Europe, maggio 2006,

<www.aquamedia.org/feap/resolutions/resolutions2006_en.asp>.

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attive negli alimenti di origine animale è stata avanzata dalla Commissione nel 20077, ma non è stata ancora approvata dal Consiglio e dal Parlamento.

2.2.5. Sicurezza e norme alimentari

La regolamentazione dell'UE in materia di sicurezza e norme alimentari è complessa e soggetta a modifiche sistematiche, a fronte della continua evoluzione delle norme internazionali ed europee, del sapere scientifico, delle tecnologie alimentari e di ispezione alimentare e dei rischi conosciuti. Nel 2004 è stato adottato un nuovo regolamento sull'igiene, accolto per lo più favorevolmente dal settore dell'acquacoltura, a norma del quale l'operatore del settore alimentare è il principale responsabile della sicurezza alimentare, della registrazione o dell'approvazione di determinati stabilimenti alimentari e dell'applicazione generalizzata di procedure basate sui principi del sistema HACCP)8.

La produzione biologica rappresenta attualmente un fattore di particolare apprensione per il settore dell'acquacoltura. La normativa dell'UE sulla produzione agricola biologica esiste ormai da tempo, ma fino al 2007 non riguardava l'acquacoltura9. Nel 2008, Nel 2008, la Commissione ha adottato norme dettagliate di esecuzione del regolamento del 2007, ma nel contempo ha rinviato la definizione di regole di produzione precise in materia di acquacoltura biologica, poiché ha ritenuto che fosse necessaria un'ulteriore discussione. Per tale ragione le norme relative ai prodotti dell'acquacoltura biologica sono state escluse dall'ambito di applicazione di detto regolamento. Attualmente si sta tentando di elaborare norme di esecuzione dettagliate sull'acquacoltura biologica, ma per il momento sussistono delle incertezze per il settore acquicolo biologico. Questo è il motivo per cui un'elevata percentuale considera inefficace la promozione dell'acquacoltura biologica da parte della strategia del 2002 (Lane et al., 2009). Sicuramente la crescita della produzione biologica, prevista nella strategia del 2002, non si è verificata e l'acquacoltura biologica continua a rappresentare un mercato di nicchia.

2.3. Regolamentazione degli impatti ambientali

L'acquacoltura estensiva viene solitamente considerata una forma di itticoltura efficiente ed ecocompatibile, soprattutto per via della sua funzione nelle zone umide e della conservazione della biodiversità. Tuttavia, conseguenze ambientali quali l'eutroficazione, l'accrescimento di pesci selvatici (p.es. tonno, anguilla), i rischi legati alla fuoriuscita dei pesci, le specie esotiche o il trasferimento e il ripopolamento dei pesci, continuano a rappresentare sfide notevoli, soprattutto per le forme più intensive di acquacoltura a "sistema aperto"10. Da un punto di vista normativo, nell'UE la situazione è ulteriormente complicata dal fatto che la regolamentazione ambientale è una competenza condivisa tra l'UE e i suoi Stati membri che, anche qualora una particolare materia sia disciplinata l'Unione europea, gli Stati membri spesso hanno una competenza "riservata" ad adottare misure nazionali più severe. Notevoli difficoltà possono derivare quindi dal tentativo di creare condizioni di parità a livello comunitario, mantenendo aperta la possibilità di adottare norme di tutela ambientale più severe a livello nazionale.

7 COM(2007)194. SEC(2007)484 & SEC(2007)485. 8 Regolamento (CE) n. 852/2004 sull'igiene dei prodotti alimentari. 9 Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti

biologici. 10 I sistemi aperti prevedono il ricambio d'acqua con l'ambiente esterno, mentre quelli chiusi – come i sistemi a

ricircolo – sono isolati dall'esterno.

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2.3.1. Qualità e stato delle acque

L'acquacoltura provoca una serie di interazioni e di impatti sull'acqua che devono essere gestiti da un punto di vista ambientale. Allo stesso tempo, la produzione acquicola necessita di acqua della massima qualità non solo per garantire la salute degli animali acquatici, ma anche per ottenere prodotti sicuri e di alta qualità. Pertanto, la conservazione del corpo idrico può essere considerata sia una questione ambientale, sia un aspetto della produzione acquicola. La legislazione dell'UE sulla conservazione idrica costituisce quindi un ambito normativo fondamentale per l'acquacoltura, considerato da sempre uno dei punti di forza del settore, poiché in termini internazionali relativi, le norme di conservazione idrica dell'UE sono fra le più rigorose al mondo.

La politica dell'UE in materia di acque è stata sottoposta di recente a un'importante revisione e in futuro sarà sostanzialmente disciplinata da due strumenti: la direttiva quadro "Acque", che regolamenta le acque interne e costiere, e la direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino, che regolamenta le acque marine. Non è compito del presente studio analizzare nel dettaglio le disposizioni della legislazione (passata e futura) in materia di acque e la loro attuale e futura attuazione. Ad ogni modo, si dovrà attendere per vedere come saranno applicate esattamente le direttive quadro "Acque" e sulla strategia per l'ambiente marino e quali difficoltà potranno incontrare gli operatori nell'applicazione delle loro disposizioni. Il seguente paragrafo illustra brevemente alcune delle questioni principali.

2.3.1.1. La direttiva quadro "Acque"

Fino a poco tempo fa, la legislazione comunitaria in materia di acque era stata elaborata in modo piuttosto frammentario, mediante l'adozione di normative specifiche volte a disciplinare determinate attività e/o particolari impatti ambientali. Nel 2000, tuttavia, è stato introdotto un approccio sostanzialmente nuovo, con l'adozione della direttiva quadro "Acque"11. La direttiva, che si applica alle acque interne e costiere fino a un miglio nautico dalla linea di base della costa dello Stato, adotta un approccio integrato alla gestione delle acque, al fine di, tra l'altro:

• proteggere gli ecosistemi acquatici (nonché gli ecosistemi terrestri e le zone umide che dipendono direttamente da essi);

• agevolare un utilizzo idrico sostenibile fondato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili;

• garantire una fornitura sufficiente di acque superficiali e sotterranee di buona qualità per un utilizzo idrico sostenibile, equilibrato ed equo;

• garantire la protezione rafforzata e il miglioramento dell'ambiente acquatico, riducendo/eliminando gradualmente le emissioni, gli scarichi e le perdite di sostanze pericolose prioritarie; e

• istituire un "registro delle aree protette", ovvero delle zone soggette a protezione degli habitat o delle specie.

La direttiva intende raggiungere tali obiettivi integrando (ricomprendendo) la legislazione sulla conservazione delle acque e istituendo un sistema di pianificazione basato sui bacini idrografici e le relative zone costiere organizzati in "distretti idrografici" di notevoli dimensioni. A norma della direttiva, occorre presentare diversi documenti essenziali durante i cicli di programmazione di sei anni. Fra questi, i più importanti sono i piani di

11 Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria

in materia di acque.

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gestione dei bacini idrografici, la cui pubblicazione è prevista nel 2009, 2015 e 2021 (il progetto di piano di gestione deve essere pubblicato un anno prima a scopo di consultazione). Ciascun piano di gestione deve essere redatto dalle autorità nazionali competenti in collaborazione con gli altri organi statutari e le parti interessate, sotto la supervisione di piccoli gruppi di soggetti interessati che sovrintendono la redazione dei piani. Nel redigere i piani, le autorità valutano le informazioni ambientali per individuare le questioni principali nell'ambito di una zona, sulla base delle quali viene formulato un "programma di misure".

Al centro della direttiva vi è una serie di obiettivi ambientali, tra cui raggiungere un buono stato ecologico e chimico delle acque superficiali entro 15 anni dall'entrata in vigore della direttiva. Il "buono" stato è una delle cinque categorie previste dalla direttiva (elevato, buono, sufficiente, scarso e cattivo) e per ciascuna categoria di stato vengono fissati obiettivi, criteri di misurazione e livelli di qualità nell'allegato V; un significativo numero di questi è applicabile o potenzialmente applicabile alle attività di acquacoltura. Il buono stato ecologico a livello locale viene definito come inferiore a un punto di riferimento teorico di condizioni originarie, vale a dire in assenza di influenza antropogenica.

Tale direttiva è stata adottata nel 2000, ma ci vorranno ancora diversi anni prima che venga trasposta pienamente. I primi piani di gestione dei bacini idrografici saranno approvati alla fine del 2009. Al momento della redazione del presente studio, la maggior parte degli Stati membri ha ultimato le consultazioni nazionali sui progetti di piani e i piani sono stati trasmessi alle autorità nazionali per l'approvazione. Altri aspetti della direttiva si applicano su base transitoria, per esempio alcune normative vigenti non verranno abrogate fino al 2013.

Applicazione all'acquacoltura

Dal momento che è ancora in corso la piena attuazione della direttiva quadro "Acque", che i piani di gestione dei bacini idrografici – il primo importante meccanismo di gestione previsto dalla direttiva – non sono stati ancora ufficialmente approvati e che molte misure applicabili all'acquacoltura continuano a essere vigenti ai sensi della precedente direttiva, non è possibile esaminare l'effettiva pratica prevista dalla direttiva. L'analisi seguente, pertanto, è necessariamente incentrata sull'applicazione delle direttive esistenti. Ciononostante, i preparativi per la piena attuazione, e in particolare la redazione dei piani di gestione dei bacini idrografici, hanno evidenziato una serie di problemi per l'acquacoltura.

Una delle principali considerazioni in merito alla direttiva è che, a differenza della precedente legislazione (p.es. la direttiva sulle acque di balneazione e la direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane), essa non riguarda un unico aspetto dell'ambiente acquatico, ma adotta un approccio integrato, concentrandosi sulla qualità dell'acqua. Ciò significa che l'acquacoltura non può essere considerata separatamente dalle altre attività che esercitano una pressione sull'ambiente delle risorse d'acqua dolce e marittime costiere. La misurazione della qualità dell'acqua non sarà più basata sulle proprietà chimiche (come avviene per lo più al momento), ma richiederà la valutazione di criteri ecologici. D'altro canto, molte norme, requisiti e prescrizioni vigenti continueranno a essere applicati attraverso i piani di gestione, nei quali gli standard e i livelli di protezione non devono essere abbassati. Ciò che non è chiaro, tuttavia, è l'effetto che si produrrà a lungo termine per le attività di acquacoltura. Potrebbe essere necessaria un'ulteriore regolamentazione per rispettare gli standard di qualità dell'acqua nel lungo periodo. Inoltre, gli impatti negativi in un settore potrebbero determinare l'adozione di nuovi regolamenti in un altro ambito o settore. Il settore dell'acquacoltura teme che la direttiva quadro "Acque" possa ostacolare lo sviluppo dell'acquacoltura. Per esempio, l'associazione della Bretagna ha affermato, in risposta alla consultazione della Commissione in materia di acquacoltura, che

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secondo i produttori, il rafforzamento dei regolamenti, come la direttiva quadro "Acque", rischia, se attuato, di far scomparire il 50% delle imprese francesi. I produttori nutrono timori in merito alla classificazione dei corpi idrici o alla definizione di "fresh pristine conditions" (condizioni originarie) in tale contesto. Altri affermano che gli standard di qualità ambientale (p.es. per l'uso di farmaci nei bagni medicati) sono fissati a limiti molto severi per paura di un'azione giudiziaria da parte dell'UE.

Un argomento che suscita particolari apprensioni e discussioni è l'abrogazione della direttiva sulle acque per molluschicoltura: ci si chiede, infatti, se a partire dal 2013 (data dell'abrogazione) la direttiva quadro "Acque" possa garantire un livello di protezione analogo a quello fornito dalla direttiva 2006/113/CE. L'obiettivo della direttiva sulle acque per molluschicoltura è proteggere o migliorare le acque per molluschicoltura per consentire la vita e lo sviluppo dei molluschi. Essa è volta a proteggere l'habitat acquatico dei molluschi bivalvi e dei gasteropodi, tra cui ostriche, cozze, pettinidi, cuori eduli e vongole. A norma della direttiva, gli Stati membri devono designare le acque che richiedono protezione per consentire la vita e lo sviluppo dei molluschi. La direttiva stabilisce requisiti fisici, chimici e microbiologici delle acque destinate alla molluschicoltura che gli Stati membri devono rispettare o sforzarsi di migliorare, e richiede l'elaborazione di programmi per ridurre l'inquinamento nelle acque designate. Il principale timore espresso dal settore (cfr. p.es. Shellfish Association of Great Britain, 2008) riguarda la possibilità che la direttiva quadro "Acque" non sostituisca la norma batteriologica, fondamentale per i pescatori di molluschi e i molluschicoltori al fine di migliorare la qualità di tali acque.

La Commissione (DG Ambiente) ritiene che la direttiva quadro "Acque" fornirà perlomeno lo stesso di livello di protezione. In generale, tale opinione si basa sul fatto che la protezione dei corpi idrici utilizzati per la molluschicoltura deve essere sancita dagli Stati membri nei primi piani di gestione dei bacini idrografici, secondo quanto disposto dalla direttiva 2006/113/CE. L'abrogazione della direttiva sulle acque per molluschicoltura, se vista alla luce del considerando 51 e dell'articolo 4, paragrafo 9, della direttiva quadro "Acque", i quali sanciscono che l'attuazione della direttiva deve consentire di pervenire ad un livello di protezione delle acque almeno equivalente a quello previsto dalla legislazione comunitaria vigente al momento della loro registrazione, non consente una successiva diminuzione del livello di qualità dell'acqua al di sotto di quello da raggiungersi entro il 2015.

Tale argomentazione è sicuramente valida, tuttavia la direttiva non è chiara. Nella pratica, ad ogni modo, è probabile che una protezione adeguata venga fornita dai primi piani di gestione elaborati dagli Stati membri – vale a dire una protezione minima per mantenere l'attuale livello di protezione delle zone adibite a molluschicoltura previsto dalla direttiva sulla qualità delle acque per molluschicoltura – e che tale livello di protezione sia perlomeno mantenuto nei piani successivi. Affinché ciò sia possibile, è importante che il settore della molluschicoltura e le altre parti interessate partecipino appieno ai processi di consultazione.

L'ultimo ambito da esaminare riguarda la direttiva 2006/11/CE (che codifica la direttiva 76/464/CEE) concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico della Comunità, che disciplina gli scarichi nelle acque interne superficiali, nelle acque marine territoriali e acque interne del litorale (per le acque sotterranee era stata adottata una direttiva separata nel 1980). La direttiva contiene due elenchi di sostanze pericolose: l'elenco I comprende alcune sostanze scelte principalmente in base alla loro tossicità, alla loro persistenza e alla loro capacità di accumulo nell'ambiente, mentre l'elenco II comprende sostanze i cui effetti sono tossici, ma meno gravi. La direttiva impone l'eliminazione dell'inquinamento provocato dalle sostanze di cui all'elenco I e la riduzione dell'inquinamento causato dalle sostanze di cui all'elenco II. Il regime imposto dalla regolamentazione consiste in un sistema di autorizzazione e in un monitoraggio ambientale, per garantire che l'inquinamento provocato dalle sostanze

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pericolose non superi gli standard di qualità nell'acqua. La direttiva sarà completamente sostituita dalla direttiva quadro "Acque" nel 2013, sebbene talune disposizioni transitorie (comprese le nuove direttive adottate ai sensi della direttiva quadro "Acque") abbiano già sostituito alcuni aspetti. In particolare, l'elenco delle sostanze prioritarie e i rispettivi standard di qualità ambientale sono stati sostituiti dalla direttiva 2008/105/CE. La direttiva quadro "Acque", inoltre, stabilisce che gli standard di qualità ambientale fissati nell'ambito dei piani di gestione dei bacini idrografici debbano essere altrettanto rigorosi di quelli richiesti per l'attuazione della direttiva 76/464/CEE e introduce diverse disposizioni a lungo termine per sostituire i vecchi meccanismi.

Alcune sostanze chimiche utilizzate nella piscicoltura rientrano nell'elenco II della direttiva sulle sostanze pericolose. Malgrado alcune difficoltà e ritardi nella trasposizione della direttiva, in generale si può affermare che non sono stati evidenziati significativi problemi da parte del settore dell'acquacoltura nell'applicazione della direttiva e si sono registrati solo casi isolati di non conformità (cfr. p.es. Commissione europea, 2003a). Poiché i controlli relativi all'elenco II sono stati riportati nella direttiva quadro "Acque" con conseguenze pratiche minime sull'impatto normativo (fatte salve le future modifiche all'elenco per quanto concerne le sostanze chimiche utilizzate in acquacoltura, attualmente non previste), i controlli dovrebbero continuare ad avvenire pressoché come in passato. Le principali preoccupazioni sembrano riguardare l'incertezza nella determinazione degli standard di qualità ambientali e l'applicazione restrittiva in alcuni Stati membri dovuta probabilmente al timore di infrazioni (Federazione degli acquicoltori scozzesi, 2007). Poiché queste sono sostanzialmente questioni di interpretazione e attuazione, è possibile che la direttiva quadro "Acque" sia d'aiuto, visto che il processo di elaborazione dei piani di gestione dei bacini idrografici costituisce un'opportunità di riesame e di consultazione e che la direttiva fornisce nuovi criteri per determinare la qualità e lo stato delle acque (prevedendo la possibilità di elaborare ulteriori norme comunitarie12).

2.3.1.2. Direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino

La direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino – che in sostanza si applica alle acque marine al di là delle acque costiere oggetto della direttiva quadro "Acque" – persegue obiettivi complessivamente simili e, in relazione all'acquacoltura, adotta un approccio analogo a quello della direttiva quadro "Acque". Sebbene la ridotta concentrazione di allevamenti nelle zone marine oltre un miglior nautico renda questo strumento meno applicabile al momento, l'atteso sviluppo dell'acquacoltura in mare aperto (che con tutta probabilità avverrà, in parte, oltre un miglio nautico) rende questo strumento ancor più importante. Vista la fase iniziale di attuazione (la direttiva è stata adottata nel giugno 2008, ma gli Stati membri non sono tenuti a recepirla entro il 2010) e visto il limitato sviluppo dell'acquacoltura in mare aperto, è troppo presto per valutare l'impatto normativo della direttiva (per un'analisi più dettagliata, si veda, comunque, lo studio Huntington et al, in fase di stesura).

2.3.2. Specie esotiche invasive

Per specie esotiche invasive si intendono, in generale, quelle specie alloctone che hanno un impatto negativo sulle specie, gli habitat o gli ecosistemi locali. I danni potenziali (e talvolta reali) causati da tali specie possono essere molto ingenti. In alcuni casi, infatti possono danneggiare gravemente non solo gli ecosistemi, ma anche le colture e gli allevamenti, sconvolgendo l'ecologia locale, influendo sulla salute dell'uomo e producendo effetti economici gravi. Attualmente non esiste alcuno strumento comune a livello UE che affronti 12 Per esempio, la direttiva della Commissione 2009/90/CE, entrata in vigore il 21 agosto 2009, stabilisce le

specifiche tecniche per l'analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

la minaccia rappresentata dalle specie esotiche invasive, sebbene sia la Commissione (Commissione europea, 2008a) sia il Consiglio (Consiglio dell'Unione europea, 2009) ne abbiano riconosciuto la necessità.

Nella regolamentazione dell'acquacoltura, recentemente è stata colmata un'importante lacuna con l'adozione del regolamento (CE) n. 708/2007 relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti. Il regolamento intende definire un quadro normativo sulle pratiche acquicole, volto a garantire un'adeguata protezione dell'ambiente acquatico (e della stessa acquacoltura) dai rischi derivanti dall'impiego di specie alloctone in acquacoltura. Esso si applica ai movimenti (introduzione e traslocazione) di specie esotiche o localmente assenti ai fini del loro impiego in acquacoltura e riguarda le specie animali, vegetali (inclusi gli organismi monocellulari) e gli elementi di tali animali o piante. Il regolamento si applica a tutti i tipi di impianti acquicoli. Gli Stati membri devono adottare tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla biodiversità che potrebbero insorgere a seguito del movimento di organismi acquatici ai fini dell'impiego in acquacoltura. Il regolamento impone inoltre un'autorizzazione per la maggior parte dei movimenti e, in alcuni casi, una preventiva valutazione del rischio ambientale.

Sebbene questo costituisca un importante passo avanti, la mancanza di un regolamento completo sugli altri movimenti di specie esotiche invasive rappresenta una lacuna. Per esempio, le specie più invasive in ambiente marino sono per lo più specie "autostoppiste" o contaminanti (ad esempio tramite acqua di zavorra). Poiché piante e animali vengono trasportati in quantità sempre maggiori da una parte all'altra del pianeta, il potenziale di introduzione di specie invasive – e la relativa minaccia per l'acquacoltura - aumenta di pari passo. Il settore dell'acquacoltura dovrebbe quindi continuare a interessarsi all'elaborazione di misure più esaustive a livello comunitario.

2.3.3. Conservazione della natura

Le principali disposizioni in materia di conservazione della natura in Europa sono contenute nelle direttive 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici e 92/43/CE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (rispettivamente le direttive "Uccelli selvatici" e "Habitat"). Tali direttive istituiscono un rigoroso sistema di conservazione della natura, contemplando oltre 1 000 specie animali e vegetali e più di 200 "tipi di habitat" di importanza europea. Tuttavia, talune specie selvatiche protette da tali direttive – segnatamente cormorani, aironi e foche – possono rappresentare un notevole problema per l'acquacoltura in determinate zone a causa della predazione degli stock allevati (problema aggravato dalla proliferazione delle specie protette favorita dalle efficaci misure di protezione ambientale). Si calcola, per esempio, che la sola predazione da parte dei cormorani infligga alla pesca europea perdite ingenti, superiori alle 300 000 tonnellate l'anno (Parlamento europeo, 2008), 80 000 delle quali subite dagli allevamenti acquicoli e dalla pesca nelle acque interne.

In linea di principio, la legislazione comunitaria fornisce i necessari meccanismi per gestire tali conflitti. Pertanto, entrambe le direttive consentono agli Stati membri (a condizione che "non esista un'altra soluzione valida" e che la deroga "non pregiudichi il mantenimento [...] delle popolazioni" delle specie protette) di adottare provvedimenti al fine di limitare l'impatto delle specie protette per prevenire "gravi danni" al patrimonio ittico e alle acque e per la protezione della flora e della fauna (articolo 9, direttiva "Uccelli selvatici" e articolo 16, direttiva "Habitat"). Nella strategia del 2002, la Commissione aveva invitato a ricorrere a tali procedure, raccomandando alle autorità competenti di studiare metodi che permettessero di proteggere i pesci di allevamento dai predatori selvatici sulla base di tali disposizioni.

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Vi sono notevoli incertezze in merito all'interpretazione e all'applicazione di tali disposizioni, cui si aggiunge una situazione molto eterogenea negli Stati membri. Per esempio, per quanto concerne la predazione da parte dei cormorani, che interessa la maggior parte degli Stati membri, vi sono norme molto diverse in merito alla gestione, all'uso di dispositivi e misure di dissuasione e in merito alle autorizzazioni per la caccia e l'abbattimento (in alcuni Stati membri è pressoché impossibile ottenere l'autorizzazione all'abbattimento dei cormorani, mentre in Francia è permesso abbattere fino a 30 000 esemplari durante determinate stagioni). Inoltre, in alcuni Stati membri tale materia non è di competenza nazionale, bensì solo regionale, provinciale o dei singoli Stati nei governi federali (p.es. Austria, Belgio e Germania), mentre altri paesi hanno adottato dei piani di gestione nazionali (p.es. la Danimarca). Durante una recente riunione dell'EIFAC (FAO), composta prevalentemente da Stati membri dell'UE, si è concluso che in generale la situazione negli Stati membri (EIFAC) in materia di protezione della vita acquatica dalla predazione degli uccelli è insoddisfacente (FAO, 2008).

Per quanto concerne la predazione non aviaria, i conflitti – e quindi le soluzioni di gestione – tendono a essere maggiormente localizzati, tuttavia emergono chiaramente notevoli problemi, in relazione sia all'applicazione dei poteri giuridici, sia alle controversie politiche. Ad esempio, per quanto concerne la predazione da parte delle foche (problema che riguarda principalmente la Scozia), sono state espresse preoccupazioni in merito alle conseguenze dell'uso di deterrenti acustici su altri mammiferi marini, nonché in merito alla fattibilità di consentire il ricorso alle armi da fuoco contro le foche che esercitano un'azione predatoria nei confronti dei pesci. Tali problemi complicano gli aspetti giuridici e affievoliscono la volontà politica degli Stati membri di adottare misure per la protezione degli stock allevati.

Dal punto di vista normativo, vi è una notevole incertezza in merito al significato delle frasi fondamentali "non esista un'altra soluzione valida", "non pregiudichi il mantenimento [...] delle popolazioni" e "gravi danni", nonché in merito alle norme ad esse applicabili. Per giunta, viste le ricerche e i dati inadeguati e/o inconcludenti, non esiste la necessaria base decisionale per apportare delle modifiche normative e adottare delle procedure regolamentari per la gestione della predazione. Due progetti finanziati dalla Commissione europea, il FRAP (Framework for Biodiversity Reconciliation Action Plans, ultimato nel 2006) e il REDCAFE (Reducing the Conflict between Cormorants and Fisheries on a Pan-European Scale, ultimato nel 2005), hanno affrontato, tra l'altro, il conflitto di interessi tra l'allevamento ittico e la protezione dei cormorani, giungendo tuttavia a conclusioni diverse ("sostanzialmente contraddittorie"13). Per quanto concerne le foche, non è stata effettuata alcuna valutazione sistematica dei metodi di mitigazione utilizzati per controllare questa specie (Special Committee on Seals, 2008) e neppure un'ipotesi sulle cause della diminuzione della popolazione di foche, che secondo il governo scozzese è dovuta principalmente alla rivalità con le foche grigie e alla predazione da parte delle orche (Parlamento scozzese, 2009)). In mancanza di chiarezza sull'interpretazione delle disposizioni operative e di prove conclusive in merito agli impatti, i decisori non possono stabilire con certezza se le misure adottate per il controllo della predazione siano conformi alle direttive "Uccelli selvatici" o "Habitat".

Sebbene la Commissione abbia riconosciuto il problema nella strategia del 2002, e malgrado il notevole impatto della predazione, non sono stati compiuti progressi pratici a seguito del lancio della strategia stessa, e il problema non viene affrontato nella strategia riveduta del 2009. Ciononostante, perlomeno in relazione alla predazione dei cormorani, si 13 Risoluzione del Parlamento europeo n. 2008/2177 del 4 dicembre 2008 sull'elaborazione di un "Piano europeo di

gestione della popolazione di cormorani" al fine di ridurre il loro impatto crescente sulle risorse ittiche, la pesca e l'acquacoltura.

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chiede da tempo di agire. A livello internazionale, si è cominciato a discutere il problema dei cormorani già nel 1994 alla riunione del consiglio scientifico della CMS (Convention on Migratory Species), durante la quale si è raccomandato di elaborare un piano di gestione dei cormorani, sebbene ciò non abbia condotto all'adozione di misure pratiche (CMS, 1994). A livello comunitario, la questione è all'ordine del giorno del Parlamento europeo fin dal 1996 (cfr. Risoluzione sul problema dei cormorani in relazione all' attività di pesca in Europa, GU n. C 065 del 04/03/1996, pag. 0158) ed è stata affrontata anche dall'EIFAC (FAO, 2008), la quale ha stilato un elenco di raccomandazioni specifiche per un piano di gestione europeo dei cormorani.

Di recente, il Parlamento europeo ha affrontato nuovamente la questione, approvando una risoluzione nel dicembre 2008, che raccomanda l'elaborazione di un piano di gestione paneuropeo14. Pur riconoscendo che le considerazioni legate alla sussidiarietà rendono difficile un'azione concertata a livello europeo (cfr. anche Parlamento europeo, 2008), il Parlamento invita la Commissione a presentare un piano di gestione dei cormorani a più livelli, coordinato a livello europeo; a definire chiaramente ai fini di una maggiore certezza giuridica il concetto di "gravi danni" di cui alla direttiva "Uccelli selvatici"; e a fornire altresì orientamenti più generali sulla natura delle deroghe consentite ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1, della direttiva "Uccelli selvatici", e in particolare a chiarire ulteriormente la terminologia al fine di evitare qualunque rischio di ambiguità. Come risposta preliminare alla risoluzione, la DG Ambiente ha indetto una serie di riunioni con esperti. Al momento della redazione del presente studio non sono state concordate azioni concrete, tuttavia il dialogo della Commissione con gli Stati membri ha dimostrato la volontà di intervenire a livello comunitario (perlomeno tramite un coordinamento delle azioni di gestione nazionali) e di definire degli orientamenti sull'interpretazione giuridica della direttiva "Uccelli selvatici" e sulle buone prassi per la prevenzione e la mitigazione (Commissione europea, 2009b).

La predazione sembra costituire un problema secondario per il settore dell'acquacoltura (Lane et al,. 2009), tuttavia l'entità delle perdite la rendono inequivocabilmente importante. Un fattore determinante ai fini della riduzione delle perdite è rappresentato naturalmente da un approfondimento delle ricerche e delle conoscenze sui principali impatti e sulle misure di mitigazione (oltre alla necessità di giungere a un consenso sui risultati scientifici, laddove esista un'attività di ricerca). Ad ogni modo, è altrettanto importante migliorare la regolamentazione, mediante orientamenti che promuovano un'azione coerente e trasparente, e un coordinamento europeo che consenta agli Stati membri di valutare le loro risposte in modo appropriato.

2.3.4. Valutazione dell'impatto ambientale

Uno degli ambiti della legislazione ambientale che influisce maggiormente sull'acquacoltura è quello della valutazione dell'impatto ambientale (VIA), disciplinato a livello comunitario dalla direttiva 85/337/CEE, modificata dalle direttive 97/11/CE e 2003/35/CE ("la direttiva VIA"). L'approccio di base della direttiva consiste nell'obbligo di sottoporre determinati progetti a una valutazione del possibile impatto ambientale – positivo o negativo – per consentire ai decisori di valutare le incidenze ambientali prima di concedere (o non concedere) l'autorizzazione. La direttiva VIA non indica le categorie di progetti da sottoporre alla valutazione dell'impatto ambientale, le procedure da seguire o il contenuto della valutazione. Tali criteri si basano sulle caratteristiche, l'ubicazione e i potenziali impatti del progetto. Per ciascuna di queste categorie occorre analizzare questioni specifiche. Per esempio, per quanto concerne i potenziali impatti, occorre tenere in considerazione i seguenti fattori: la portata, la natura transfrontaliera, l'entità e la

14 Ibid.

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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complessità, la probabilità dell'effetto, nonché la durata e la frequenza degli impatti causati dal progetto. Le norme sono piuttosto complesse, pertanto la direttiva VIA sarà soggetta a una futura opera di semplificazione, al fine di individuare sovrapposizioni, lacune e possibilità di ridurre gli oneri normativi (Commissione europea 2009e).

Sebbene la direttiva VIA offra un quadro di regolamentazione ampio, molti aspetti sono demandati agli Stati membri. Come vedremo nella sezione dedicata alla regolamentazione vigente negli Stati membri, vi sono notevoli differenze nell'attuazione pratica delle procedure di VIA non solo tra Stati membri, ma spesso anche all'interno degli stessi, poiché è possibile che i paesi con regioni autonome dal punto di vista amministrativo e/o legislativo o che adottano un regime di governo decentrato, abbiano disposizioni separate. Differenze si riscontrano anche nei casi in cui esiste un sistema unico, poiché il processo decisionale in materia di VIA avviene a livello locale.

Un recente riesame della Commissione ha confermato le notevoli differenze esistenti e ha osservato altresì una serie di problemi legati all'applicazione da parte degli Stati membri (Commissione europea, 2009c), tra cui:

• il numero di VIA effettuate nei vari Stati membri, che varia considerevolmente (da meno di 100 a 5 000, indipendentemente dalle dimensioni dello Stato membro), rivelando incoerenze nella determinazione delle soglie;

• incoerenze nell'approccio alla VIA e nella qualità della valutazione, compresi gli standard ambientali applicati, l'importanza attribuita ai risultati delle consultazioni e la qualità delle informazioni richieste e raccolte;

• differenti approcci in merito alla verifica di assoggettabilità, in virtù dei quali in taluni Stati membri la VIA è obbligatoria per determinati tipi di progetti.

La Commissione osserva inoltre che, sebbene tutti gli Stati membri tranne uno abbiano recepito la direttiva 2003/35/CE, volta ad aumentare la partecipazione del pubblico al processo di VIA, l'attuazione delle nuove disposizioni introdotte dalla direttiva è ancora limitata.

L'esperienza generale in merito alla direttiva VIA riflette accuratamente l'esperienza specifica relativa all'acquacoltura. In particolare, non esiste un approccio o una pratica uniforme alla realizzazione delle VIA per i progetti di acquacoltura – in alcuni Stati membri tali progetti raramente sono soggetti a una valutazione di impatto ambientale (p.es. in Polonia), mentre in altri la VIA è obbligatoria (p.es. nel caso della Francia e della Scozia trattati in seguito). Inoltre, sembrano esservi notevoli differenze nella portata, metodologia e determinazione delle VIA, poiché alcuni Stati membri (o alcuni loro enti locali) applicano un approccio molto più precauzionale, bloccando o ostacolando di fatto gli sviluppi nell'ambito dell'acquacoltura, oppure condizioni più onerose. Il settore dell'acquacoltura lamenta inoltre i tempi e i costi eccessivi per effettuare le valutazioni e la mancanza di orientamenti e prevedibilità del processo, sebbene in merito a quest'ultimo punto vi siano prove del fatto che gli acquicoltori stanno acquisendo maggiore esperienza (Poseidon Aquatic Resources Management, 2008).

La necessità di migliorare le procedure di VIA è riconosciuta sia nella strategia del 2002, sia in quella riveduta del 2009, ma non sono state proposte misure concrete.

2.3.5. Valutazione ambientale strategica

Ai sensi della direttiva 2001/42/CE del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente (direttiva VAS), taluni piani e programmi

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

(p.es. la pianificazione degli spazi marini), compresi quelli relativi alla pesca e all'acquacoltura, che possono avere effetti significativi sull'ambiente devono essere sottoposti a una valutazione ambientale formale. Le autorità che preparano e/o adottano il piano o programma in questione devono stilare una relazione sui potenziali effetti ambientali significativi, consultare le autorità ambientali e il pubblico e tenere conto di detta relazione e dei risultati della consultazione durante la preparazione del processo e prima dell'approvazione del piano o programma.

Sebbene talvolta non sia chiaro se un determinato piano debba essere soggetto al requisito della VAS ai sensi della direttiva, la direttiva VAS non viene generalmente considerata un vincolo dal settore dell'acquacoltura europea. Al contrario, la presenza di una VAS (che di norma costituisce uno degli elementi necessari per l'autorizzazione allo sviluppo in un determinato settore) può risultare potenzialmente utile all'industria acquicola. Pertanto, pur non escludendo la necessità di una VIA specifica per un determinato progetto, le indagini e i dati messi a disposizione mediante le VAS realizzate dalle autorità amministrative faciliteranno il processo di VIA e ne ridurranno i costi. Per giunta, la VAS potrà rafforzare il grado di certezza dell'industria in merito all'approvazione dei progetti, poiché si sarà già proceduto a una qualche valutazione degli impatti ambientali che non ha impedito l'inserimento dell'impianto acquicolo nel piano (ciò dipende, ovviamente, dal contenuto e dalla natura specifici del piano stesso). Ciò dovrebbe significare che gli allevamenti acquicoli hanno buone probabilità di ottenere un'autorizzazione a meno che non si evidenzino significativi impatti ambientali mediante la VIA.

La direttiva è stata recepita da tutti gli Stati membri, anche se la maggior parte di essi non ha provveduto alla trasposizione entro la data richiesta. Tuttavia, la Commissione ritiene attualmente che diversi Stati membri abbiano recepito la direttiva in modo errato o incompleto e pertanto ha avviato delle procedure di infrazione (Commissione europea, 2009d).

2.4. Commercio e mercati

2.4.1. Le regole del commercio internazionale

Il commercio internazionale è regolamentato da una complessa serie di accordi conclusi nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e del suo predecessore, l'Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (GATT). A norma del sistema generale delle tariffe di importazione creato dall'OMC, i livelli dei dazi di importazione dei prodotti ittici sono inferiori rispetto a quelli previsti per i prodotti agricoli e molti paesi in via di sviluppo, compresi, p.es. la Cina e il Vietnam, godono di un regime di totale eliminazione dei dazi in virtù di vari accordi bilaterali di libero scambio. Il sistema può fornire dunque significativi vantaggi ai concorrenti del settore acquicolo dell'UE, sebbene ciò possa risultare vantaggioso anche per l'industria (p.es. sotto forma di costi ridotti per alcune materie prime) e per i consumatori dell'UE (in termini di prezzi ridotti). Ciononostante, in generale il sistema non è controverso, poiché si applica all'acquacoltura nell'UE.

Occorre menzionare tuttavia alcune particolari caratteristiche del sistema dell'OMC che esercitano impatti più complessi: le misure antidumping, di salvaguardia e fitosanitarie. Tali questioni emergono soprattutto in relazione alle importazioni (p.es. la necessità di misure commerciali proattive per via dell'impatto dei flussi d'importazione dai paesi terzi), ma anche alle esportazioni (p.es. la necessità di contestare le misure protettive applicate in un paese terzo contro le esportazioni dell'UE). Come dimostrano gli esempi illustrati qui di seguito, tali questioni non sono complesse, e spesso controverse, soltanto da un punto di vista politico e giuridico, ma anche commerciale, poiché le misure concepite per proteggere

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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i produttori dell'UE non sempre tutelano i più ampi interessi dell'industria europea. Alla luce di tali questioni, le istituzioni dell'UE devono assumere un ruolo guida proattivo nell'agenda del commercio internazionale, per reagire efficacemente alle minacce commerciali che incombono sul settore dell'acquacoltura e, ove possibile, per fornire chiarimenti in merito all'applicazione delle norme commerciali. Presentiamo di seguito un'analisi sintetica delle pratiche dell'UE in tale ambito.

Antidumping

La prima riguarda le cosiddette misure di antidumping (AD), una barriera commerciale protettiva imposta sui prodotti oggetto di dumping, ovvero venduti a un prezzo inferiore a quello del mercato del paese d'esportazione. Tali importazioni possono danneggiare notevolmente il mercato ricevente. Le misure di antidumping costituiscono la tipologia di barriera commerciale più comune, utilizzata sempre più spesso, da un numero crescente di paesi e per un numero crescente di prodotti (Bostock et al,. 2009), tuttavia esse tendono a essere fortemente controverse e a sfociare spesso in vertenze giudiziarie nazionali – anche dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea – o internazionali. Per quanto concerne i prodotti della pesca e dell'acquacoltura, l'UE ha cercato di invocare le misure di antidumping contro la Norvegia, il Cile e le isole Fær Øer in merito all'importazione di salmone d'allevamento. Tali misure sono controverse e hanno dato luogo a vertenze giudiziarie dinanzi ai tribunali europei e all'organo di composizione delle controversie dell'OMC15.

A norma delle procedure comunitarie di antidumping, i dazi protezionistici possono essere imposti quando i) vi è la constatazione dell'esistenza di dumping; ii) vi è un danno materiale al settore dell'UE; e iii) ciò è nell'interesse dell'UE. Contrariamente a quanto avviene nella pratica dell'UE in materia di antidumping, le misure proposte nel 2003 in relazione al salmone importato dalla Norvegia, dal Cile e dalle Isole Fær Øer non sono state imposte, poiché si è concluso che "l'applicazione delle misure in questione non è nell'interesse della Comunità"16. A differenza della stragrande maggioranza di cause per dumping (Davis, 2009), nell'ambito di questo procedimento ha giocato un ruolo fondamentale l'approccio adottato dalle organizzazioni di categoria, dagli organismi in rappresentanza degli importatori di salmone e dai gruppi di utenti, che sono riusciti a formare una sufficiente opposizione contro le organizzazioni dei produttori (Davis, 2009a). Sono state quindi successivamente attuate misure di salvaguardia più moderate (cfr. infra).

Le continue preoccupazioni in merito all'impatto causato dalle importazioni di salmone a basso prezzo hanno condotto all'imposizione di misure antidumping dapprima provvisorie (2005) e poi definitive (2006)17. Tuttavia, tali misure sono state in parte abrogate nel 200818, a seguito di una sentenza dell'organo di composizione delle controversie dell'OMC, nell'ambito di una causa intentata dalla Norvegia contro l'UE, che pur non esprimendo un giudizio totalmente contrario all'invocazione delle misure di antidumping, ha riscontrato che diversi aspetti delle misure dell'UE contravvenivano all'accordo dell'OMC.

15 Norway v European Communities — Antidumping Measure on Farmed Salmon from Norway, DS 337, Panel

Report del 16 novembre 2007. 16 Cfr. regolamento (CE) n. 930/2003 del Consiglio, del 26 maggio 2003, che chiude i procedimenti antidumping

e antisovvenzioni relativi alle importazioni di salmone d'allevamento dell'Atlantico originario della Norvegia nonché il procedimento antidumping relativo alle importazioni di salmone dell'Atlantico d'allevamento originario del Cile e delle Isole Fær Øer, GU L 133 del 29.5.2003.

17 Queste ultime attuate mediante regolamento (CE) n. 85/2006 del Consiglio che istituisce un dazio antidumping definitivo e riscuote definitivamente il dazio provvisorio istituito sulle importazioni di salmone d'allevamento originarie della Norvegia, GU L 15/1 del 20.1.2006.

18 Regolamento (CE) n. 685/2008 del Consiglio, GU L 192/5 del 19.7.2008. Altri aspetti delle misure restano in vigore e sono stati oggetto di un recente chiarimento (regolamento (CE) n. 319/2009 del Consiglio, GU L 101/1 del 21.4.2009).

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

Misure di salvaguardia

Le misure di salvaguardia sono un'eccezione alla regola generale della libertà di importazione ai sensi del regime comune applicabile alle importazioni dell'UE19 applicabile alle importazioni in quantitativi talmente maggiori e a condizioni tali che i produttori comunitari di un dato settore subiscano o rischino di subire un grave pregiudizio. Tali misure, strettamente connesse a quelle di antidumping, sono regolamentate a livello internazionale dall'Accordo sulle misure di salvaguardia dell'OMC.

Nel 2004 e 2005, la Commissione ha adottato misure di salvaguardia provvisorie e poi definitive sotto forma di contingenti tariffari sui flussi commerciali tradizionali contro i principali paesi di importazione: Norvegia, Cile e Isole Fær Øer20. La Commissione ha revocato le misure di salvaguardia laddove erano state adottate misure antidumping e prima che fossero avviate procedure di reclamo formali.

Misure sanitarie e fitosanitarie

La terza questione riguarda il potenziale discriminatorio delle norme sanitarie e fitosanitarie nell'ambito della legislazione nazionale/comunitaria (per i prodotti importati nell'UE) o dei paesi terzi (per i prodotti esportati dall'UE). Tali misure costituiscono la categoria più importante delle barriere non tariffarie per il mercato dei prodotti ittici (Bostock et al., 2009). Per quanto concerne le esportazioni dell'UE, ciò non sembra costituire un particolare problema, soprattutto perché i principali partner esportatori dell'UE tendono a imporre standard analoghi a quelli richiesti nell'UE. Più difficile è stata l'imposizione di restrizioni da parte dell'UE sulle importazioni di prodotti di mare (pesca e acquacoltura) da parsi terzi: nell'ultimo decennio l'UE ha imposto divieti su prodotti di mare provenienti da ameno dieci paesi terzi, prevalentemente paesi meno sviluppati, a causa di preoccupazioni sanitarie legate alla produzione e alla trasformazione (Aksoy e Beghin, 2005). Anche ove non vengono imposti divieti, alcuni paesi possono incontrare difficoltà nel rispettare le norme comunitarie per i prodotti ittici – la capacità tecnica e i costi che comporta l'osservanza delle norme UE possono talvolta risultare proibitivi per i paesi in via di sviluppo. D'altra parte, vi sono importanti interessi sociosanitari da tutelare mediante il mantenimento di standard appropriati (ed è per questo che l'applicazione di tali controlli è consentita dal regime del commercio internazionale a condizione che non costituiscano "barriere tecniche al commercio" ingiustificate). Inoltre, vi è uno specifico interesse per il settore dell'acquacoltura europea: l'obbligo di rispettare determinate norme per l'importazione crea maggiori condizioni di parità rispetto ai paesi concorrenti, compresi quelli in cui vigono regolamentazioni meno rigorose a livello nazionale.

2.4.2. Marchio di qualità ecologica (Ecolabel)

L'ultimo aspetto che occorre menzionare è quello del marchio di qualità ecologica (Ecolabel). Sempre più, oggi, vengono riconosciuti i benefici offerti dall'ecoetichettatura nei settori della pesca e dell'acquacoltura (Ward e Phillips, 2008; MCS, 2007). A livello globale esiste una vasta gamma di sistemi pubblici e privati di ecoetichettatura e/o certificazione della pesca (cfr., p.es., Commissione europea, 2005), e nel 2005 l'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) delle Nazioni Unite ha adottato degli orientamenti volontari sull'ecoetichettatura dei prodotti della pesca (FAO 2005). Nell'UE, è attivo dal

19 Sancito ora principalmente dal regolamento (CE) n. 260/2009 del Consiglio. 20 Regolamento (CE) n. 206/2005 della Commissione, del 4 febbraio 2005, che istituisce misure definitive di

salvaguardia nei confronti delle importazioni di salmone d'allevamento, GU L 33/8 del 5.2.2008; modificato dal regolamento (CE) n. 580/2005, GU L 97/35 del 15.4.2008.

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1992 un sistema generale di etichettatura ecologica su base volontaria21, che tuttavia non è stato finora applicato ai prodotti alimentari (compresa la pesca/acquacoltura).

Nel luglio 2008, la Commissione ha avanzato una proposta di regolamento riesaminato relativo a un sistema per il marchio comunitario di qualità ecologica (Ecolabel)22, che prevede l'estensione del sistema ai prodotti della pesca e dell'acquacoltura. Il Parlamento, che ha espresso un giudizio complessivamente favorevole sulla proposta, ha respinto l'idea della Commissione di applicare il marchio ai prodotti alimentari trasformati e ai prodotti della pesca e dell'acquacoltura, suggerendo che era necessario valutare ulteriormente se stabilire criteri ecologici affidabili per tali prodotti (tenuto conto della loro diversa natura) (cfr. Parlamento europeo 2009 e Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 2 aprile 2009 sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad un sistema per il marchio comunitario di qualità ecologica (Ecolabel)). La Commissione ha riconosciuto la necessità di regolamentare in modo diverso tali prodotti (anche il Consiglio ha condiviso tale approccio e ha approvato altri emendamenti del Parlamento a ottobre). Nella dichiarazione allegata alla risoluzione del Parlamento, la Commissione ha espresso l'intenzione – indipendentemente dall'approvazione del nuovo regolamento – di proporre un regolamento sul marchio di qualità ecologica per i prodotti della pesca entro la fine dell'anno, principalmente basato sui criteri per la pesca sostenibile. Inoltre, ha confermato che lo studio di cui all'articolo 6, paragrafo 6, della proposta di regolamento, che riguarda aspetti aggiuntivi come la trasformazione, il preconfezionamento e il trasporto, e che esaminerà la fattibilità dell'estensione del campo di applicazione del regolamento Ecolabel ai prodotti alimentari, inclusi i prodotti della pesca e dell'acquacoltura, non influenzerà o pregiudicherà l'adozione del regolamento.

L'elaborazione di norme per un marchio di qualità ambientale europeo applicabile ai prodotti della pesca/acquacoltura deve essere considerata uno sviluppo positivo, potenzialmente vantaggioso per il settore dell'acquacoltura, sebbene in questa fase (gli elementi sostanziali delle proposte devono essere ancora elaborati) sia troppo presto per fare qualsiasi valutazione dell'impatto normativo o giuridico. 2.5. Disposizioni istituzionali e di governance

L'esistenza di regimi normativi plurimi genera una pletora di istituzioni amministrative coinvolte. Ciò ha implicazioni non soltanto amministrative – il fatto che gli operatori del settore acquicolo debbano interfacciarsi con organi diversi, ai quali sono tenuti a rispondere e dai quali vengono controllati – ma di governance politica e culturale – la presenza di organi diversi con obiettivi politici, prospettive e culture operative differenti. È evidente, tuttavia, che il coinvolgimento di molteplici organi rischia di generare, almeno in apparenza, un conflitto o una sovrapposizione tra politica, regolamentazione, amministrazione ed esecuzione. Tra gli operatori acquicoli sembra essere diffusa la percezione che nel loro settore si verificano conflitti e sovrapposizioni, anche se nella realtà ciò avviene probabilmente in misura minore.

La Commissione ha riconosciuto la necessità generale di un miglior coordinamento delle politiche e di affrontare alcune sfide a livello comunitario, nazionale, locale e di parti interessate (Commissione europea, 2009a). A livello comunitario, sono coinvolte diverse DG, tra cui principalmente, la DG Affari marittimi e pesca (MARE), la DG Ambiente (ENV), la DG Salute e consumatori (SANCO), la DG Agricoltura e sviluppo rurale (AGRI), la DG

21 Il sistema si basa attualmente sul regolamento n. 1980/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17

luglio 2000, relativo al sistema comunitario, riesaminato, di assegnazione di un marchio di qualità ecologica (GU L 237 del 21.9.2000, pag. 1).

22 COM(2008) 401 def.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

Commercio (TRADE) e la DG Ricerca (RTD). Occorre assicurare un efficace coordinamento tra queste DG e consentire a ciascuna di esse – soprattutto nel contesto dell'acquacoltura – di interagire efficacemente con le amministrazioni e le parti interessate degli Stati membri. In passato vi sono state notevoli difficoltà, ma la riforma del comitato consultivo per la pesca e l'acquacoltura (CCPA) nel 2001 e l'istituzione dell'unità Acquacoltura in seno alla DG Affari marittimi e pesca hanno contribuito ampiamente al processo di consultazione.

Per quanto concerne il CCPA, che rappresenta uno dei principali forum consultivi fra le istituzioni dell'UE e le parti interessate del settore dell'acquacoltura, un riesame condotto nel 2006 è giunto alla conclusione che, sebbene il suo funzionamento complessivo sia positivo, il suo mandato non è chiaro e suscita percezioni diverse in merito al ruolo del comitato quale organo consultivo e in merito alla finalità delle consultazioni (COWI, 2006). Il riesame ha concluso inoltre che una formulazione più precisa delle domande oggetto della consultazione favorirebbe il dialogo e sono state così avanzate 13 raccomandazioni, fra cui: definire chiaramente il ruolo e degli obiettivi del CCPA; formulare in modo migliore le domande oggetto della consultazione; riconsiderare i soggetti interessati da rappresentare e la loro ponderazione alla luce del ruolo e della finalità del CCPA; chiarire i compiti e le procedure.

Inoltre, occorre ricordare che il quadro dell'UE per garantire il controllo del settore è stato aggiornato nel 2008 tramite l'adozione di due nuovi regolamenti:

1) un nuovo regolamento relativo alle statistiche sull'acquacoltura (regolamento (CE) n. 762/2008), approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio nel luglio 2008. A norma del regolamento, gli Stati membri devono raccogliere e trasmettere dati su: la produzione annuale (volume e valore), le immissioni annuali (volume e valore) nell'acquacoltura basata su catture, la produzione annuale di incubatoi e vivai e la struttura del settore dell'acquacoltura. Tale regolamento (che abroga il precedente regolamento (CE) n. 788/96) non solo estende notevolmente la portata dei dati da monitorare rispetto al precedente regolamento, ma fornisce anche maggiori garanzie per quanto concerne la qualità;

2) il regolamento (CE) n. 199/2008 del Consiglio, del 25 febbraio 2008, che istituisce un quadro comunitario per la raccolta, la gestione e l'uso di dati nel settore della pesca e un sostegno alla consulenza scientifica relativa alla politica comune della pesca. Questo nuovo regolamento sui dati è stato esteso per ricomprendere i dati supplementari relativi al settore dell'acquacoltura marina. Nel luglio 2008 è stato adottato il regolamento (CE) n. 665/2008 della Commissione, recante modalità di applicazione del suddetto regolamento; esso dispone la raccolta delle seguenti variabili economiche: reddito, costo del personale, spese per l'energia, spese per le materie prime, investimenti, dipendenti e numero di imprese (cfr. anche Framian, 2008).

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

3. LA REGOLAMENTAZIONE DELL'ACQUACOLTURA: GLI STATI MEMBRI

RISULTATI PRINCIPALI

A livello di Stati membri esiste un'ampia gamma di vincoli, molti dei quali comuni a tutti gli Stati o alla maggior parte di essi. Illustriamo di seguito i principali vincoli.

• Francia: concorrenza e accesso ai siti e autorizzazione dei nuovi impianti; problemi con la VIA; introduzione di controlli ambientali più severi che altrove; proliferazione di specie protette di uccelli predatori; differenze a livello di dipartimenti nell'interpretazione delle norme in materia di salute degli animali; difficoltà in merito alla legge successione e/o alla cessione di imprese.

• Grecia: necessità di una revisione completa del sistema normativo; difficoltà di insediamento delle imprese acquicole nelle zone marittime e costiere dove il turismo rappresenta una delle principali attività concorrenti.

• Italia: mancanza di armonizzazione, incoerenze, incertezza e ritardi nei processi amministrativi e normativi a causa dell'esistenza di un elevato numero di leggi ed enti amministrativi coinvolti; sovrapposizione delle responsabilità o competenze non chiaramente definite; differenze nell'amministrazione, regolamentazione ed esecuzione tra enti regionali; licenze (il rilascio di autorizzazioni e permessi, soprattutto per i nuovi impianti, avviene solo dopo lunghe e approfondite indagini burocratiche); pianificazione delle zone costiere/marittime (la maggior parte delle amministrazioni regionali possiede piani di gestione marittima molto basilari); sostegno agli standard biologici.

• Spagna: complessità nella trasposizione e applicazione della legislazione comunitaria; corrispondenti difficoltà nella legislazione nazionale, che determinano l'esistenza di numerose procedure giuridiche e normative e istituzioni coinvolte; notevole livello di decentramento del potere normativo e di elaborazione delle politiche alle comunità autonome; mancanza di un quadro amministrativo favorevole; mancanza di coerenza legislativa fra gli ordinamenti delle comunità autonome; mancanza di coordinamento amministrativo o normativo a livello istituzionale; esistenza di sistemi legislativi ed esecutivi autonomi diversi, che comporta una proliferazione di leggi; complessità delle procedure amministrative per l'ottenimento delle autorizzazioni; disparità fra le comunità autonome nell'applicazione dei diritti portuali e altre tasse; mancanza di una definizione degli usi delle zone costiere; significativi vincoli causati dalla presenza di siti Natura 2000.

• Regno Unito: ritardi nella procedura di rilascio delle licenze; incertezza dell'esito delle domande di licenza; ricorso sproporzionato al principio di precauzione; soglie elevate per le VIA.

3.1. Introduzione

Questo capitolo affronta i problemi che sorgono a livello di Stati membri. Non ci occuperemo della trasposizione e dell'applicazione della legislazione comunitaria in materia di acquacoltura – che abbiamo già trattato nel precedente capitolo – bensì di questioni di carattere puramente nazionale, anche se la legislazione comunitaria sarà menzionata. In

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generale, si osservi che la necessità di trasposizione comporta di per sé un vincolo normativo (che tuttavia non sarà opportuno considerare ai fini della presente relazione) e ciò avviene anche per l'acquacoltura, soprattutto perché la maggior parte degli atti normativi comunitari in tale ambito assume la forma di direttiva (che richiede il recepimento nell'ordinamento nazionale) anziché di regolamento (direttamente applicabile).

3.2. Francia

3.2.1. Contesto generale

La Francia è uno dei principali paesi europei in termini di volume della produzione acquicola, qualità del sistema di istruzione e ricerca e sostegno alle organizzazioni di produttori. Tuttavia, malgrado l'esistenza in Francia di condizioni propizie per l'acquacoltura – ampia rete fluviale, migliaia di ettari di stagni e 5 500 km di costa – il settore produce risultati di gran lunga inferiori alle sue potenzialità e da diversi anni, ormai, registra una crescita pari quasi a zero (o addirittura in declino per talune specie). Attualmente la Francia ha un settore dell'acquacoltura di dimensioni piuttosto modeste (negli ultimi anni la produzione si è aggirata attorno alle 170 000 tonnellate), sebbene continui a essere il primo produttore di ostriche nell'UE e il terzo produttore di trote al mondo, dopo il Cile e la Norvegia. Le principali regioni produttrici sono il Poitou-Charentes (44% delle vendite al consumo di ostriche e il 13% di cozze) e la Bretagna (21% ostriche e 35% cozze). Il settore dell'acquacoltura francese si rivolge principalmente al consumo nazionale tradizionale (la Francia consuma gran parte della sua produzione di bivalvi) e vanta un dinamico settore di produzione di specie di alta qualità come la spigola, principalmente esportate negli Stati Uniti, o i gamberi, esportati soprattutto in Giappone.

Tabella 1: produzione recente dell'acquacoltura (Francia)23

ANNO PRODUZIONE (t) VALORE (000 €)

2007 174 203 667 549

2006 171 848 553 039

2005 172 813 445 568

2004 207 203 426 834

2003 181 838 372 203

Fonte: FAO 2009a Dopo un periodo iniziale di notevole crescita, il settore dell'acquacoltura francese si trova ora in una congiuntura piuttosto difficile. Lo sviluppo sembra essere ostacolato da una serie di ragioni, tra cui l'accesso limitato ai siti di allevamento, poiché le autorità costiere preferiscono favorire per lo più lo sviluppo del turismo o mantenere libero l'accesso alle acque in mare aperto, anziché consentire l'insediamento di allevamenti, mentre per quanto riguarda l'acquacoltura d'acqua dolce le opportunità di sviluppo sono limitate dai vincoli ambientali in termini di qualità dei deflussi idrici (FAO, 2009b). Il settore, inoltre, deve

23 Il presente studio riporta le tabelle relative alla produzione recente dell'acquacoltura in Francia, Grecia, Italia,

Spagna, Regno Unito, Norvegia e Cile, per fornire un'indicazione delle recenti tendenze al ristagno del settore descritte nell'introduzione.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

affrontare una crescente concorrenza per alcuni prodotti con altri paesi, segnatamente la Grecia e, più recentemente la Turchia.

3.2.2. Contesto normativo e amministrativo

In Francia vi sono sostanzialmente due regimi distinti per l'acquacoltura nelle acque interne e marittime. L'acquacoltura e la pesca nelle acque interne sono disciplinate principalmente dal Code de l'Environnement (codice ambientale), mentre la maricoltura è regolamentata dalla normativa sulla pesca in mare, principalmente costituita dalla legge n.97-1051 sulla pesca marittima e la maricoltura (Loi 97-1051 d'Orientation sur la Pêche Maritime et sur les Cultures Marines) (1997, versione modificata) e dal decreto del 9 gennaio 1852 sulla pesca marittima (Décret du 9 janvier 1852 – Décret sur l'exercice de la pêche maritime) (1852, nella versione modificata). L'installazione di allevamenti ittici su terreni di proprietà privata necessita di un'autorizzazione (autorisation), mentre una concessione (concession) è necessaria per utilizzare le acque demaniali, e in entrambi i casi si applicano procedure diverse a seconda che si tratti di attività nelle acque interne o in mare.

Le autorizzazioni e concessioni sono rilasciate dalle prefetture locali, ma numerosi altri organismi sono coinvolti. La Francia ha un sistema istituzionale complesso per quanto concerne l'acquacoltura. Pertanto, le domande per le concessioni demaniali marittime devono essere inviate al direttore dipartimentale o interdipartimentale degli Affari marittimi (Directeur Départemental ou Interdépartemental des Affaires Maritimes), un ente locale facente capo al Ministero delle Infrastrutture. In funzione dei costi, delle dimensioni o dell'ubicazione del progetto, la procedura può comportare un'inchiesta pubblica ed è richiesto il parere delle seguenti autorità: autorità tributaria, servizio sanitario locale, servizio per i consumatori, istituto di ricerca francese per l'utilizzo del mare (Institut français de recherche pour l'exploitation de la mer – IFREMER), enti municipali coinvolti e rispettive organizzazioni professionali. La commissione locale per la maricoltura (Commission des cultures), investita di poteri amministrativi e normativi, emette il parere definitivo. La concessione viene quindi rilasciata dalla Prefettura locale.

A livello politico, la principale autorità responsabile per la pesca e l'acquacoltura è il ministero dell'Agricoltura, dell'alimentazione, della pesca e della ruralità (Ministre de l'Agriculture, de l'Alimentation, de la Pêche et de la Ruralité), tuttavia anche il ministero dell'Ambiente è strettamente coinvolto nelle questioni relative all'acquacoltura. Inoltre, diversi istituti ed enti pubblici contribuiscono regolarmente allo sviluppo del settore dell'acquacoltura, tra cui il CNRS (Centro nazionale di ricerca scientifica), l'ADEME (Agenzia esecutiva per la gestione ambientale), il Consiglio superiore per l'orientamento delle politiche in materia di pesca, acquacoltura e prodotti ittici (Conseil Supérieur d'Orientation des Politiques Halieutiques, Aquacoles et Halioalimentaires) e l'Ufficio nazionale interprofessionale dei prodotti del mare e dell'acquacoltura (Office National Interprofessionnel des Produits de la Mer et de l'Aquaculture – OFIMER), gli ultimi due facenti capo al ministero dell'Agricoltura.

3.2.3. Analisi degli oneri normativi e legislativi

I principali problemi avvertiti oggi dall'acquacoltura francese riguardano la concorrenza per lo spazio e l'accesso ai siti e la relativa autorizzazione per i nuovi impianti. Le prove aneddotiche indicano che è praticamente impossibile ottenere un'autorizzazione per nuovi impianti acquicoli in Francia a causa del modo in cui vengono assunte le decisioni di pianificazione in relazione agli accessi e alle valutazioni ambientali; e gli onerosi requisiti in termini di studi d'impatto,, controllo dei rifiuti e monitoraggio (FAF 2007; Région Bretagne 2007; comunicazioni personali). In effetti, sembra esservi una barriera istituzionale ai nuovi

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impianti, causata dalla riluttanza ad accordare priorità all'acquacoltura alla luce delle attività concorrenti, soprattutto nelle zone turistiche. Non esiste un sistema unico in Francia per determinare l'uso dello spazio in rapporto all'acquacoltura, sebbene il Codice ambientale indichi l'agricoltura, la pesca e l'acquacoltura fra le priorità nell'ambito della gestione idrica e menzioni l'acquacoltura fra le attività da prediligere nell'uso delle zone costiere. Spesso, le domande di licenza vengono respinte nella fase iniziale di pianificazione e prove aneddotiche suggeriscono che i decisori preferiscono evitare di essere coinvolti in complesse questioni ambientali e relative all'uso delle acque. Poiché tali decisioni spettano alle prefetture locali, è difficile per i responsabili politici nazionali influenzare gli esiti delle procedure.

Altri vincoli menzionati (FAF 2007; Région Bretagne 2007; comunicazioni personali) includono:

• problemi con la VIA, disciplinata dal Codice ambientale e obbligatoria per taluni tipi di prodotti di acquacoltura (tra cui tutti gli allevamenti di salmoni, la piscicoltura con una produzione annuale superiore alle 2 tonnellate o con una superficie idrica superiore ai 3 ettari e gli impianti di piscicoltura che intendono estendere la loro produzione o la superficie utilizzata raggiungendo o superando tali soglie). Spesso si applica un approccio restrittivo, ricorrendo in modo eccessivo – dal punto di vista del settore – al principio di precauzione;

• l'introduzione di controlli ambientali più rigorosi rispetto a quelli applicati in alcuni altri Stati membri, che minacciano la fattibilità di alcune attività (p.es. a causa della significativa riduzione della quantità di tonnellate consentite nell'autorizzazione al fine di rispettare i limiti di emissione); tale vincolo riguarda gli impianti esistenti, soprattutto quelli di salmone d'acqua dolce;

• la proliferazione di specie di uccelli predatori protette, come i cormorani, che continua a causare ingenti perdite di pesce;

• le differenze a livello regionale o dipartimentale nell'interpretazione delle norme sulla salute degli animali, che sovente dipendono semplicemente dal funzionario che ha in carico il fascicolo e che quindi possono variare spesso;

• difficoltà relative alla successione e/o cessione di imprese a causa del diritto francese in materia di società.

3.3. Grecia

3.3.1. Contesto generale

La Grecia ha una lunga tradizione nel campo dell'acquacoltura, sebbene fino agli anni '80 non possedesse un importante settore commerciale. Oggi, l'acquacoltura greca è costituita prevalentemente dalla produzione di spigole (Dicentrarchus labrax) e di orate (Sparus aurata) e, in misura molto inferiore, da specie d'acqua dolce come la trota, l'anguilla e la carpa. Le prime due specie rappresentano più del 95 percento della produzione totale in Grecia, mentre le restanti specie vengono prodotte in quantità molto limitate. Vi sono inoltre alcune attività di molluschicoltura, prevalentemente cozze, il cui valore economico tuttavia è nettamente inferiore.

Negli ultimi 20-30 anni, l'acquacoltura greca ha conosciuto un considerevole sviluppo, cui hanno contribuito vari fattori, tra cui le buone condizioni climatiche e ambientali, l'estesa fascia costiera riparata, ingenti investimenti privati, nazionali ed europei nel settore, il costo della manodopera piuttosto basso e l'adattabilità ai progressi nel campo delle tecnologie di

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incubazione e di nutrizione. La produzione annua è passata da meno di 5 000 tonnellate durante gli anni '80 a più di 100 000 tonnellate negli ultimi anni. Secondo le stime del settore, la produzione è aumentata nuovamente nel 2008 (a più di 130 000 tonnellate), ma si pensa che abbia raggiunto il picco massimo e che sia destinata a diminuire entro il 2010.24

Tabella 2: produzione recente dell'acquacoltura (Grecia)

ANNO PRODUZIONE (t) VALORE (000 €)

2007 113 258 444 893

2006 113 307 331 128

2005 106 268 327 782

2004 97 143 266 919

2003 101 434 275 758

Fonte: FAO 2009a Il settore dell'acquacoltura dà lavoro direttamente o indirettamente a circa 10 000 persone e crea un'ulteriore occupazione nell'indotto. Come per altri Stati membri, l'importanza economica di tale settore è localizzata in alcune zone. Il settore, tuttavia, sta attraversando una fase di razionalizzazione e riduzione del numero di operatori. Nel 2000, vi erano 269 società acquicole (allevamenti ittici) in Grecia, ma a seguito delle crescenti pressioni sul settore, si è registrato un calo del numero di produttori, sia a seguito di chiusure e fusioni, sia per effetto della tendenza verso una produzione verticalmente integrata (dalla produzione di mangimi per i pesci, all'allevamento di novellame e all'accrescimento, fino alla distribuzione del prodotto finito sul mercato). Alla fine del 2008 erano operative in Grecia circa 100 aziende, cifra che secondo molti esponenti del settore si sarebbe dimezzata entro il 2009.

3.3.2. Contesto normativo e amministrativo

Il sistema amministrativo della Grecia è diviso in: i) amministrazione centrale (ministeri); ii) amministrazione regionale (13 regioni); iii) autorità prefettizie (52); e iv) autorità locali (923 comuni-comunità). Il settore dell'acquacoltura opera a livello di amministrazione centrale e di autorità prefettizie, in stretto legame con i servizi per la pesca locali. Pertanto, il settore dell'acquacoltura in Grecia fa capo al dipartimento dell'acquacoltura e delle acque interne, in seno al dipartimento generale della pesca, presso il ministero per lo Sviluppo agricolo e l'alimentazione. Tale dipartimento è responsabile della definizione della strategia nazionale per l'acquacoltura e dell'allocazione dei contingenti di produzione e, mediante il programma di finanziamento ALIEIA, gestisce tutti i fondi nazionali e comunitari assegnati al settore.

Lo sviluppo delle politiche, nonché l'elaborazione e stesura della legislazione sono di competenza del ministero per lo Sviluppo agricolo e l'alimentazione, in via esclusiva o congiuntamente ad altri ministeri, tra cui: i) il ministero dell'Ambiente, della pianificazione territoriale e dei lavori pubblici, particolarmente interessato alle questioni relative alla

24 The FishSite.com, 16 gennaio 2009 http://www.thefishsite.com/fishnews/8877/greek-aquaculture-in-deep-

waters.

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qualità delle acque e alla pianificazione/ubicazione; ii) il ministero dello Sviluppo, particolarmente interessato agli utilizzi delle acque superficiali e delle acque dolci e alle questioni di pianificazione/ubicazione; e iii) il ministero della Marina mercantile, interessato all'uso dello spazio marittimo. In totale, quindi, l'acquacoltura sconfina nelle competenze di oltre dieci ministeri (Federazione dei maricoltori greci, 2009).

A livello regionale, le prefetture rilasciano le licenze per le attività di acquacoltura e assegnano le zone costiere e marittime alle società. I servizi veterinari regionali, facenti capo anch'essi alle prefetture, sono responsabili per gli aspetti relativi alla salute e alla sicurezza degli allevamenti ed effettuano frequenti ispezioni presso gli stabilimenti per verificare le procedure di funzionamento e le condizioni igieniche.

Non esiste una legge quadro che disciplini le attività dell'acquacoltura. Ciò è dovuto, in parte, al fatto che storicamente sono sempre esistite normative separate per i vari settori – p.es. la tradizionale acquacoltura in acqua dolce e salmastra, la maricoltura e la molluschicoltura – e, in parte, al fatto che il recepimento della legislazione comunitaria avviene mediante gli strumenti esistenti. La legislazione definisce un processo di pianificazione e autorizzazione, discusso qui di seguito, e contempla le disposizioni sull'ambiente, la sicurezza alimentare, la salute degli animali ecc. mediante un vasto insieme di ulteriori regolamenti. Attualmente è in corso l'iter per la stesura di una nuova legge quadro che fornirà un codice più coerente per lo sviluppo della moderna acquacoltura.

3.3.3. Analisi degli oneri normativi e legislativi

Sebbene non vi siano studi dettagliati sui potenziali vincoli giuridici e normativi nell'acquacoltura greca, le parti interessate sembrano concordare ampiamente sulla necessità di un completo riesame del sistema legislativo. Tale opinione, infatti, emerge regolarmente nelle dichiarazioni pubbliche delle parti interessate, durante le conferenze e nella stampa specializzata, ed è stata corroborata dall'indagine condotta ai fini del presente studio (Federazione dei maricoltori greci, 2007, 2009; comunicazioni personali). Alla base vi sono preoccupazioni in merito al volume, alla complessità e all'incoerenza della legislazione. Il volume del corpus normativo applicabile varia ovviamente nel corso del tempo e in effetti è difficile da calcolare con precisione, ma al momento della redazione del presente studio, si calcola che solo per la valutazione delle domande degli acquacoltori, i vari ministeri debbano considerare: 39 leggi vigenti (leggi ordinarie, decreti presidenziali e decisioni ministeriali), 3 pareri giuridici (giurisprudenze) e 35 interpretazioni giuridiche (lettere encicliche) per quanto concerne lo stabilimento, e 46 leggi in vigore, 20 pareri giuridici e 35 interpretazioni giuridiche per quanto concerne l'ambiente. Inoltre, numerosi ministeri e altri enti hanno competenze amministrative. Sebbene vi sia un certo grado di coordinamento da parte della direzione per l'acquacoltura, le parti interessate lamentano una serie di difficoltà amministrative durante l'iter, compresa la mancanza di coordinamento tra i diversi organismi coinvolti, la sovrapposizione delle competenze, diverse concezioni di approccio alle questioni comuni e la mancanza di linee di demarcazione per le varie attività. L'esistenza di molteplici legislazioni e responsabilità amministrative può anche sfociare in un processo decisionale individuale in ciascuna zona, senza necessariamente rivelare un conflitto nella legislazione o nel processo decisionale. Come poc'anzi osservato, il governo ha avviato di recente una consultazione sull'elaborazione di una legge quadro per l'acquacoltura.

L'altra questione determinante per l'acquacoltura greca riguarda la difficoltà di insediare impianti acquicoli nelle zone marine e costiere, dove la concorrenza con il turismo per l'uso degli spazi è molto forte. In Grecia, forse più che in ogni altro Stato membro, il settore dell'acquacoltura deve far fronte a una forte concorrenza in termini di spazio e di accessi, a

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seguito dello sviluppo urbano e turistico. Spesso l'acquacoltura viene considerata politicamente, economicamente e socialmente meno importante di altri fruitori dello spazio, viene accusata di inquinare l'ambiente e di apportare minori benefici economici del turismo, sebbene tali affermazioni non siano per lo più scientificamente comprovate. La pianificazione integrata è attualmente oggetto di consultazione, ma al momento non vi sono disposizioni legislative in merito alla creazione di zone specificamente adibite all'acquacoltura.

Un'ultima caratteristica dell'acquacoltura greca, che è stata solo in parte affrontata nella legislazione, riguarda la sicurezza alimentare. I consumatori greci mostrano un'evidente preoccupazione e riluttanza nei confronti del pesce d'allevamento, soprattutto delle specie marine prodotte in Grecia. La principale ragione è da ricercarsi nelle preoccupazioni circa i mangimi ittici, che solo recentemente il settore e il legislatore hanno cominciato ad affrontare seriamente. Durante lo scorso decennio, le società hanno iniziato a tenere maggiormente in considerazione tali aspetti e hanno adottato dei sistemi di salute e sicurezza (HACCP), di qualità (ISO 9001) e altri sistemi di certificazione (come AGROCERT – sistema nazionale, gestito in collaborazione con il ministero dell'Agricoltura). Ciononostante, permane la preoccupazione circa la necessità di una maggiore regolamentazione e/o una migliore presentazione del settore. 3.4. Italia

3.4.1. Contesto generale

In termini di volumi prodotti, l'Italia occupa, in linea di massima, una posizione simile a quella della Francia, sebbene i rispettivi settori acquicoli siano piuttosto diversi. Le principali componenti dell'acquacoltura italiana sono le specie d'acqua dolce (p.es. trota, pesce gatto e storione) e le specie eurialine come la spigola e l'orata. Negli ultimi anni sono state allevate con successo alcune specie innovative (p.es. sarago maggiore e pagello), che tuttavia non hanno avuto un significativo sviluppo. Come è avvenuto anche in altri Stati membri, il settore dell'acquacoltura italiano ha conosciuto una notevole espansione negli anni '80, ma si trova attualmente in un periodo di stagnazione.

Tabella 3: produzione recente dell'acquacoltura (Italia)

ANNO PRODUZIONE (t) VALORE (000 €)

2007 178 992 544 893

2006 172 833 431 128

2005 181 101 427 782

2004 118 217 266 919

2003 191 884 375 758

Fonte: FAO 2009a

3.4.2. Contesto normativo e amministrativo

Da un punto di vista costituzionale, la pesca e l'acquacoltura, così come l'agricoltura in generale, sono considerate di competenza legislativa regionale, mentre in materia di navigazione, gestione del territorio e risorse ambientali, le regioni e il governo centrale

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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concorrono entrambi alla regolamentazione. Di conseguenza, la legislazione nazionale dovrebbe fissare orientamenti e principi di base solo su queste ultime materie, lasciando invece le prime due all'autonomia regionale. Le principali istituzioni competenti in materia di acquacoltura sono la Direzione Generale per la Pesca e l'Acquacoltura, nell'ambito del ministero delle Politiche agricole e forestali, per quanto riguarda la politica generale, e il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al quale compete il rilascio delle concessioni per l'insediamento di impianti acquicoli su proprietà demaniali marittime o nelle acque interne.

La situazione legislativa in Italia è simile a quella di altri Stati membri, ovvero la regolamentazione della materia avviene per mezzo di numerosi strumenti giuridici, normativi e istituzionali. Ufficialmente esiste una legge sull'acquacoltura – legge n. 102/1992, Norme concernenti l'Attività di Acquacoltura – che tuttavia non costituisce una regolamentazione generale sull'acquacoltura, ma è stata redatta per inquadrare giuridicamente l'acquacoltura, qualificandola come "attività imprenditoriale agricolahttp://www.dirittoestoria.it/lavori2/Contributi/Reale-Normativa-in-materia-di-pesca.htm - _ftn74", inquadramento che, ai sensi del codice civile italiano, offre determinate garanzie, salvaguardie e incentivi. La suddetta legge contiene comunque una definizione di acquacoltura, con la quale si intende "l'insieme delle pratiche volte alla produzione di proteine animali in ambiente acquatico mediante il controllo, totale o parziale, diretto o indiretto, del ciclo di sviluppo degli organismi acquatici" (definizione che sembra escludere le piante acquatiche). Le disposizioni specifiche in materia di acquacoltura provengono tuttavia da numerose fonti normative civili, amministrative e locali diverse e non possono essere considerate un ramo del diritto separato. Ciononostante, da un punto di vista generale, si osservi che a livello locale, centrale e regionale, la legislazione sull'acquacoltura viene tradizionalmente inclusa nelle norme e disposizioni che disciplinano la pesca.

3.4.3. Analisi degli oneri normativi e legislativi

L'analisi condotta per il presente studio ha evidenziato l'esistenza di numerosi vincoli legislativi nel settore dell'acquacoltura italiana, molti dei quali piuttosto diffusi anche negli altri paesi, come, per esempio, la mancanza di armonizzazione, nonché incoerenze, incertezze e ritardi nei processi amministrativi e normativi per effetto delle numerose leggi e dei diversi organi amministrativi coinvolti, le cui competenze spesso si sovrappongono o hanno funzioni non ben definite in relazione all'acquacoltura. Anche le differenze in materia di amministrazione, regolamentazione ed esecuzione delle norme tra le autonomie regionali possono creare difficoltà e il settore dell'acquacoltura italiana ha chiesto degli orientamenti per garantire la chiara e uniforme applicazione delle norme in tutto il paese (comunicazioni personali, 2009). Illustriamo di seguito le principali questioni emerse.

• Licenze: il rilascio delle autorizzazioni e dei permessi, soprattutto per i nuovi impianti, avviene solo dopo lunghe e approfondite indagini burocratiche, che vengono condotte da organismi pubblici diversi e hanno solitamente una durata minima di due anni. Una volta autorizzata, l'attività può essere soggetta a condizioni ambientali più rigorose e restrittive di quelle imposte dalle leggi nazionali.

• Pianificazione delle zone costiere/marittime: la maggior parte delle amministrazioni regionali dispone di piani basilari per la gestione marittima, che solitamente non comprendono gli utilizzi delle zone costiere, ma soltanto le aree marine protette e le zone di ricostituzione/ripopolamento e gli incubatoi. Sebbene alcune regioni organizzino i cosiddetti "tavoli blu" o "tavoli di conciliazione" – gruppi di soggetti interessati che collaborano con le autorità regionali alla zonizzazione delle aree marittime per le attività

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economiche e produttive – non esistono procedure coerenti o consolidate per la pianificazione zonale presso le amministrazioni regionali. Come per la Grecia, la concorrenza con il turismo rappresenta un importante vincolo nelle zone costiere. I vari impatti ambientali dell'acquacoltura – l'impatto visivo, l'impatto nelle zone costiere, la diffusione di biomassa dalle gabbie, l'attrazione di altre specie attorno alle gabbie, l'accumulo di fanghi in profondità al di sotto della colonna d'acqua che ospita la gabbia, nonché la limitazione delle attività di pesca – sono fra le ragioni addotte a motivazione del rifiuto di concedere l'autorizzazione per un'attività acquicola, soprattutto nelle zone turistiche.

• Sostegno agli standard biologici: le aziende acquicole italiane utilizzano ampiamente gli standard industriali per incrementare l'innovazione, la produzione e la sostenibilità. Per esempio, diverse aziende hanno scelto di adottare il sistema di gestione ambientale EMAS II (Sistema comunitario di ecogestione e audit) previsto dalla normativa comunitaria25. Varie società hanno ottenuto anche riconoscimenti internazionali. Tuttavia, nessuno di questi sistemi offre standard per l'acquacoltura biologica, che costituisce un importante settore in Italia. Alcuni organismi privati di certificazione hanno stilato autonomamente degli orientamenti per talune specie allevate secondo principi biologici, ma attualmente questi standard non sono supportati da norme nazionali o chiari quadri normativi.

3.5. Spagna

3.5.1. Contesto generale

La Spagna, con quasi 8 000 km di coste, una topografia variegata e un clima favorevole, offre buone opportunità per l'acquacoltura, che costituisce un importante settore a livello nazionale, ed è il più grande produttore acquicolo d'Europa, con una produzione di circa 290 000 tonnellate nel 2008 (Ministerio de Medio Ambiente y Medio Rural y Marino 2009), prevalentemente molluschi. La Spagna ha oltre 5 500 impianti di acquacoltura, principalmente concentrati in Galizia, Catalogna e Andalusia, e l'acquacoltura costituisce un importante motore di crescita delle zone costiere che dipendono dalla pesca. Il consiglio nazionale consultivo per la maricoltura (Junta Asesora de Cultivos Marinos – JACUMAR) ha calcolato che nel 2007 l'acquacoltura quale attività produttiva ha generato un valore economico di 450 milioni di euro e oltre 27 500 posti di lavoro.

L'acquacoltura spagnola viene praticata per lo più nelle zone marittime e quasi l'80% della produzione è rappresentata dalla molluschicoltura (soprattutto cozze, ma anche ostriche, vongole e cuori eduli), mentre il restante 20% è costituito da pesci come orate, spigole, rombi, trote iridee e tonni. Sebbene di recente la produzione acquicola abbia subito fluttuazioni a causa delle maree rosse che hanno influito notevolmente sulla produzione di cozze in Galizia, le prospettive in molti settori sono considerate positive. Il governo spagnolo prevede una crescita del settore acquicolo nel medio-lungo termine, con un aumento di quasi 70 000 tonnellate di frutti di mare coltivati entro il 2010 e di 150 900 tonnellate entro il 2015.

25 Regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001, sull'adesione

volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS). Nell'aprile 2009, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo sul testo di revisione del regolamento EMAS. L'adozione formale del regolamento dovrebbe avvenire alla fine del 2009.

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Tabella 4: produzione recente dell'acquacoltura (Spagna)

ANNO PRODUZIONE

(t) VALORE (000 €)

2007 281 266 276 371

2006 292 919 256 126

2005 219 367 222 286

2004 293 319 232 632

2003 268 201 220 294

Fonte: FAO 2009a

3.5.2. Contesto normativo e amministrativo

Il quadro normativo generale per la regolamentazione e promozione dell'acquacoltura in Spagna è stato istituito sulla base della Costituzione del 1978, mediante la legge n. 20/1942 sullo sviluppo e la conservazione della pesca nei fiumi, la legge n. 23/1984 sulla maricoltura e la legge n. 22/1988 in materia di coste. Non vi è alcuna legge quadro specifica per l'acquacoltura.

Un importante aspetto della regolamentazione dell'acquacoltura spagnola è determinato dall'istituzione costituzionale di "comunità autonome" – sistema di autonomie regionali in virtù del quale la Spagna è suddivisa in governi regionali, ciascuno dei quali gode di un'ampia autonomia legislativa ed esecutiva. Sebbene la distribuzione del potere legislativo (come avviene fra il governo centrale e la comunità autonoma) possa variare per ciascuna comunità, la maggior parte delle comunità autonome ha una giurisdizione (quasi) esclusiva per quanto concerne l'acquacoltura e le attività connesse, come la pesca nelle acque interne, la pesca dei molluschi e la pesca nei fiumi. Le comunità autonome che hanno assunto tale giurisdizione sono: Galizia, Andalusia, Valencia, Isole Baleari, Cantabria, Paesi Baschi, Catalogna, Asturie, Mursia, Isole Canarie, Aragona, Castilla-León, Castilla-La Mancha ed Estremadura. Ciascuna di queste comunità autonome, pertanto, applica la propria regolamentazione all'acquacoltura e la legislazione nazionale adottata dal governo centrale si applica solo a livello generale (vale a dire, alcune norme di carattere generale si applicano all'interno delle comunità autonome) e in via suppletiva (ossia integrativamente, qualora non esista una regolamentazione regionale). Il diritto comunitario, naturalmente, si applica in ugual modo sia al governo nazionale, sia alle comunità autonome.

La legge n. 23/1984 sulla maricoltura disciplina l'elaborazione dei piani nazionali e stabilisce che i rispettivi piani devono essere preparati congiuntamente dal Ministerio de Medio Ambiente y Medio Rural y Marino e dalle comunità autonome ed eseguiti da queste ultime nell'ambito delle loro competenze. I piani nazionali sono costituiti da azioni che devono essere volte, tra l'altro, alla promozione e allo sviluppo armonizzato dell'acquacoltura nel territorio nazionale, sebbene ciò sia molto difficile da attuare nella pratica vista l'attività legislativa e politica separata fra le regioni.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

3.5.3. Analisi degli oneri normativi e legislativi

In un certo senso, i vincoli giuridici e normativi percepiti in Spagna sono simili a quelli lamentati altrove – complessità nella trasposizione e applicazione delle normative comunitarie, corrispondenti difficoltà nella legislazione nazionale, le quali determinano un elevato numero di procedure e istituzioni giuridiche e normative coinvolte ecc. Tuttavia, una delle principali difficoltà in Spagna, che si traduce in una serie di problemi normativi per il settore dell'acquacoltura, sembra essere il notevole decentramento del potere politico e regolamentare a favore delle comunità autonome. Ciò determina la mancanza di un quadro amministrativo propizio per l'acquacoltura, soprattutto in materia fiscale, nonché la (incoerente) efficacia delle pubbliche istituzioni e la (incoerente) regolamentazione delle attività acquicole. Numerosi problemi vengono lamentati dal settore (Fundación Caixa Galicia 2007; Varela e Garza 2009; APROMAR 2008, 2009; Asociación Sectorial de la Acuicultura Ecológica 2007; comunicazioni personali, 2009), tra cui illustriamo i seguenti.

• La mancanza di coerenza legislativa fra gli ordinamenti giuridici delle comunità autonome. A causa di tale mancanza, gli acquicoltori in zone diverse sono soggetti a disposizioni diverse, e ciò determina disuguaglianze tra le varie regioni e ostacola lo sviluppo di politiche nazionali e migliori prassi. Per giunta, in mancanza di omogeneità nelle politiche e nelle regolamentazioni, le singole comunità autonome sono troppo piccole per poter migliorare la competitività e la crescita dell'intero settore, poiché le misure hanno soltanto una portata limitata.

• La mancanza di coordinamento amministrativo o normativo a livello istituzionale. Tale mancanza sembra incidere su un'ampia gamma di questioni. Nell'ambito del presente studio i soggetti interessati hanno menzionato specificamente l'etichettatura, i certificati di immersione e i certificati sanitari per gli animali.

• I diversi sistemi legislativi ed esecutivi delle autonomie, che generano una proliferazione di leggi, la quale, a sua volta, comporta un aumento dell'onere normativo. Ciò, come è stato osservato, fa aumentare i prezzi per i consumatori e riduce la produttività (Marcos Fernández, 2007).

• La complessità delle procedure amministrative per l'ottenimento delle autorizzazioni, sia per l'insediamento di nuovi impianti, sia per il rinnovo delle licenze esistenti, è tale per cui possono trascorrere diversi anni prima che le pratiche amministrative siano ultimate (mentre, a giudizio del settore, alcuni mesi potrebbero essere sufficienti).

• Le disparità tra le comunità autonome nell'applicazione dei diritti portuali e altre tasse, nonché le disparità in merito alla qualità dei servizi portuali a pagamento e i benefici ottenuti dalle aziende acquicole.

• La mancanza di definizione degli usi delle zone costiere, che rende più difficile la pianificazione dei siti, e l'incertezza generata dai conflitti di proprietà delle lagune e degli stagni dove si pratica l'acquacoltura in alcune comunità autonome.

L'altro principale ostacolo individuato nell'acquacoltura spagnola riguarda la protezione ambientale. Essa comporta infatti dei costi per l'osservanza dei requisiti ambientali generali e per la realizzazione delle VIA, obbligatorie in Spagna per tutti gli impianti di acquacoltura con una capacità di produzione superiore alle 500 tonnellate l'anno (legge n. 6/2001). Il problema che viene più spesso citato, tuttavia, riguarda i siti Natura 2000. Si tratta di un problema significativo, perché la Spagna ha dichiarato più di 1 400 siti di interesse comunitario, tra cui un crescente numero di zone costiere e marine. Sembra esservi poca chiarezza tra i vari settori interessati, tra cui alcuni dipartimenti amministrativi, circa la gestione dell'acquacoltura nella rete delle zone protette istituita ai sensi di Natura 2000, in particolare non è neppure chiaro se sia consentito utilizzare le risorse naturali in modo

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sostenibile e responsabile. Secondo il settore acquicolo, la rete Natura 2000 non implica necessariamente il divieto dell'agricoltura, compresa l'acquacoltura (soprattutto perché quest'ultima richiede, in ogni caso, il mantenimento di buone condizioni ambientali). Ciononostante, qualora vi sia un rischio di conflitto con un sito Natura 2000, si tende a non autorizzare – oppure a non includere neppure nella pianificazione – le attività di acquacoltura. In diverse comunità autonome, compresa la Galizia, l'amministrazione ha paralizzato di fatto i progetti di acquacoltura situati nelle aree Natura 2000, alcuni dei quali sono stati trasferiti in altri paesi, per esempio in Portogallo. A titolo di ulteriore esempio, il piano della Galizia in materia di acquacoltura, approvato nel 2008, contempla 2,8 milioni di metri quadri di impianti acquicoli, di cui solo l'1,8% in aree Natura 2000.

3.6. Regno Unito

3.6.1. Contesto generale

L'acquacoltura è un settore piuttosto nuovo nel Regno Unito, che ha conosciuto un rapido sviluppo della piscicoltura a partire dagli anni '80 e della molluschicoltura a partire dagli anni '90. Lo sviluppo commerciale del settore si è mantenuto solido e il valore della produzione acquicola è aumentato da 200 milioni di euro l'anno all'inizio degli anni '90 ad oltre 650 milioni di euro nel 2007 (FAO, 2009a). Tuttavia, come sta avvenendo in altri Stati membri, da alcuni anni la crescita ristagna e, in una certa misura, è diminuita, anche se probabilmente si rimetterà in moto con la ripresa del mercato del salmone, soprattutto a seguito del recente declino della produzione cilena.

Tabella 5: produzione recente dell'acquacoltura (Regno Unito)

ANNO PRODUZIONE (t) VALORE (000 €)

2007 174 203 667 549

2006 171 848 553 039

2005 172 813 445 568

2004 207 203 426 834

2003 181 838 372 203

Fonte: FAO 2009a

Il settore dell'acquacoltura nel Regno unito è fortemente dominato dai produttori scozzesi, che rappresentano circa l'85-90 per cento di tutta la produzione acquicola britannica. La Scozia è il più grande produttore di salmone atlantico d'allevamento nell'UE e il terzo produttore al mondo di salmone allevato, con una produzione di circa 130 000 tonnellate annue, per un valore "franco azienda" di 324 milioni di sterline (364 milioni di euro) nel 2007 (Governo scozzese, 2009). Le attività acquicole sono concentrate sulla costa occidentale e sulle isole, dove vi è un forte livello di dipendenza sociale ed economico dall'occupazione e dalle entrate fornite dall'acquacoltura. In Scozia, tale settore riveste un'importanza economica e sociale pari a quella della pesca di mare. Un recente studio indica che i vantaggi economici prodotti dall'acquacoltura scozzese hanno superato i 500 milioni di sterline nel 2008 (SSPO, 2009). Altrove nel Regno Unito, l'acquacoltura è praticata su scala minore e in luoghi differenti. Le principali specie allevate sono la trota iridea, seguita da cozze e ostriche.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

3.6.2. Contesto normativo e amministrativo

L'ordinamento costituzionale del Regno Unito prevede quattro paesi distinti (Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord), suddivisi in tre giurisdizioni (Inghilterra e Galles formano un'unica giurisdizione). In passato, il potere legislativo veniva principalmente conferito a un unico parlamento del Regno Unito (il "parlamento di Westminster"), ma a seguito di recenti accordi di decentramento o devolution (conclusi alla fine degli anni '90), alle tre amministrazioni decentrate sono stati affidati ampi poteri legislativi ed esecutivi in diversi settori, tra cui la pesca, l'acquacoltura e la protezione ambientale. Tuttavia, le disposizioni in materia di devolution sono complesse e diverse per ciascun paese: la Scozia ha il potere di adottare leggi primarie e secondarie, mentre il Galles e l'Irlanda del Nord possono adottare solo leggi secondarie. Un'ulteriore complicazione sorge dal fatto che le disposizioni di devolution sono piuttosto recenti, pertanto gran parte delle leggi in vigore nelle amministrazioni decentrate è stata adottata in tutto il Regno Unito prima del decentramento (e deve essere letta ora alla luce degli accordi di decentramento per determinare se una questione sia di competenza del Regno Unito o dell'entità decentrata). Infine, si osservi che i principi sulla base dei quali la legislazione comunitaria viene recepita sono diversi ai sensi dello UK European Communities Act (che si applica all'Inghilterra e, per le materie decentrate, al Galles e all'Irlanda del Nord) e dello Scotland Act (che sancisce l'accordo di devolution per la Scozia) e che ciò comporta talvolta differenze nel modo in cui vengono recepite le normative dell'UE.

Per quanto riguarda l'acquacoltura, tale situazione determina regimi differenti per l'acquacoltura d'acqua dolce e la maricoltura, sebbene le principali differenze si riscontrino fra la Scozia e l'Inghilterra/Galles. In particolare, la Scozia possiede la propria legislazione primaria in materia di acquacoltura, l'Aquaculture and Fisheries (Scotland) Act 2007, recante disposizioni in materia di piscicoltura per il controllo dell'anoplura e il contenimento dei pesci. Tale legge attribuisce inoltre poteri agli ispettori per il controllo degli allevamenti, al fine di garantire che vi siano misure soddisfacenti per il controllo dell'anoplura, per il contenimento dei pesci allevati, per la prevenzione delle fuoriuscite di pesci e per il recupero dei pesci fuoriusciti. Nel 2007 il parlamento scozzese ha conferito alle autorità di pianificazione poteri di pianificazione statutari per gli impianti di maricoltura mediante il Town and Country Planning (Marine Fish Farming) (Scotland) Order 2007 che ha sostituito il precedente regime temporaneo in vigore dalla fine degli anni '90. Il governo scozzese sta proponendo inoltre apposite leggi per l'ambiente marino scozzese. Lo Scottish Marine Bill, legge introdotta dal parlamento scozzese nella primavera del 2009, è stato elaborato per promuovere un approccio sostenibile alla gestione marina e si propone di bilanciare la conservazione marina e la crescita delle industrie marittime (Governo scozzese, 2009). La legislazione disciplinerà la pianificazione marittima, la conservazione dell'ambiente marino e la semplificazione delle licenze marittime (una legge separata, ma simile al Marine Bill è stata introdotta anche per l'Inghilterra e il Galles). Un nuovo ramo esecutivo del governo scozzese, Marine Scotland, è operativo dal 1° aprile 2009 ed è la principale autorità di amministrazione marittima in Scozia. Ci si augura che tale sviluppo consenta, nel corso del tempo, di chiarire e semplificare le procedure di licenza degli impianti acquicoli marini e d'acqua dolce. Nel maggio 2009, la Scozia ha varato una nuova strategia di acquacoltura che sostituisce il precedente quadro strategico per l'acquacoltura scozzese (Strategic Framework for Scottish Aquaculture), lanciato nel 2003 (Governo scozzese, 2009).

3.6.3. Analisi degli oneri normativi e legislativi

Molti dei vincoli precedentemente enunciati – numero di organi normativi, complessità e molteplicità delle leggi, ritardi e costi per la presentazione delle domande e la realizzazione delle VIA ecc. – sono citati tutti anche dai soggetti interessati britannici. In Scozia vi è la

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forte percezione che quello scozzese sia il settore di allevamento dei salmoni più severamente regolamentato al mondo. Secondo una risposta fornita nell'ambito della consultazione della Commissione europea in materia di acquacoltura, il settore è soggetto al controllo di 10 diversi organi statutari e ad oltre 60 leggi, 43 direttive europee, 3 regolamenti europei e 12 decisioni della Commissione europea (Federazione degli acquicoltori scozzesi, 2007). Gli organi statutari coinvolti nella regolamentazione dell'allevamento di salmoni in Scozia sono: Scottish Environment Protection Agency (agenzia scozzese per la protezione ambientale), Food Standards Agency (agenzia per la normazione in ambito alimentare), Scottish Executive (organo esecutivo scozzese), Scottish Natural Heritage (Patrimonio naturale scozzese), Crown Estate, enti locali, Veterinary Medicines Directorate (direzione di medicina veterinaria), European Medicines Evaluation Agency (agenzia europea per la valutazione dei medicinali), Maritime and Coastguard Agency (agenzia marittima e guardiacostiera) e Health and Safety Executive (organo esecutivo per la salute e la sicurezza). Le questioni che suscitano particolare preoccupazione nel Regno Unito/Scozia sono le seguenti.

• Ritardi nel processo di licenza: il processo di licenza, in particolare nelle fasi di pianificazione e presentazione delle domande, richiede tempi molto lunghi. In circostanze normali, la durata della procedura, dal momento della presentazione della domanda per il sito all'approvazione, dovrebbe essere piuttosto prevedibile, ma spesso gli allevatori esprimono incertezza, nonché casi di lungaggini nell'iter delle domande (fino a 3 anni).

• Incertezza in merito all'esito delle domande di licenza: uno dei principali impatti indiretti dell'assetto normativo lamentati dai piscicoltori è l'incertezza in merito all'esito delle domande di licenza nel quadro della pianificazione.

• Livello di ispezione: gli operatori del settore affermano che la Scottish Environment Protection Agency e il Fish Health Inspectorate effettuano frequentemente ispezioni sia casuali che pianificate, per conto dello Scottish Executive e del Veterinary Medicines Directorate del Regno Unito.

• Preoccupazioni legate alle VIA: si teme che la soglia per la realizzazione della VIA sia troppo rigorosa, perché in pratica, quasi tutte le domande per gli impianti nuovi sono soggette a VIA (Poseidon Aquatic Resources Management, 2008); inoltre, vi sono preoccupazioni in merito all'approccio negativo alla valutazione delle VIA, in particolare a causa del ricorso sproporzionato al principio di precauzione (Federazione degli acquicoltori scozzesi, 2007).

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

4. LA REGOLAMENTAZIONE DELL'ACQUACOLTURA: I PAESI TERZI

RISULTATI PRINCIPALI

• La Norvegia è uno di quei paesi piccoli, ma in crescita, che ha elaborato un quadro giuridico completo e specifico per l'acquacoltura. Si ritiene che la legge sull'acquacoltura (Aquaculture Act) crei un quadro normativo efficace in Norvegia.

• È stato istituito un sistema di evasione delle domande di licenza per l'acquacoltura a "sportello unico", grazie al quale il richiedente dialoga con un unico organismo: la direzione per la pesca, che si coordina poi con le varie autorità.

• La regolamentazione degli impatti ambientali provocati dall'acquacoltura è uno dei punti di forza del settore acquicolo norvegese. Uno dei tratti salienti dell'approccio norvegese è rappresentato dal fatto che gran parte della regolamentazione è stata concepita specificatamente per l'acquacoltura o prevede condizioni specifiche per il settore acquicolo.

• La Norvegia applica l'acquis comunitario relativo alla VIA, con due significative differenze: 1) la direzione per la pesca è l'"autorità competente"; 2) i regolamenti norvegesi prevedono una soglia specifica per la valutazione dell'acquacoltura.

• Vi è il diritto di cessione o ipoteca delle licenze di acquacoltura, in virtù del quale è possibile cedere la licenza fra privati senza la necessità di ottenere un'autorizzazione pubblica o una nuova licenza.

• Per quanto riguarda il Cile, è in corso la redazione di nuove norme in materia di acquacoltura che tuttavia non sembrano aver ottenuto l'approvazione del Senato cileno. Per quanto concerne le prassi esistenti, è possibile evidenziare tre aspetti:

• amministrazione a "sportello unico": come la Norvegia, il Cile applica l'approccio dello sportello unico all'amministrazione dell'acquacoltura.

• istituzione della commissione nazionale per l'acquacoltura costituita da rappresentanti del settore pubblico e privato, che svolge un ruolo chiave nella pianificazione nazionale dell'acquacoltura.

• designazione delle zone acquicole – le zone adibite ad acquacoltura e i confini nelle acque marittime sono stati stabiliti per decreto in otto regioni.

• Molti altri paesi con economie simili sembrano trovarsi nella stessa situazione dell'UE, sebbene vi siano esempi di buone prassi, p.es. il sistema di autorizzazione unica (Stati Uniti) e il quadro di migliori prassi (Australia).

4.1. Norvegia

4.1.1. Contesto generale

La Norvegia gestisce una delle zone costiere e marine più grandi e produttive al mondo. Elementi quali una lunga fascia costiera riparata, zone accessibili e un mare pulito con un ricambio idrico elevato e una buona qualità dell'acqua costituiscono validi prerequisiti per la produzione di acquacoltura. Tali caratteristiche, unite a fattori socioeconomici, commerciali e normativi favorevoli hanno contribuito a fare della Norvegia uno dei principali produttori di acquacoltura. L'acquacoltura commerciale in Norvegia ha cominciato a svilupparsi attorno al 1970, ma è cresciuta su vasta scala soltanto durante gli anni '80 e '90. Oggi, la Norvegia

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è uno dei più grandi produttori acquicoli al mondo, con una produzione di oltre 700 000 tonnellate nel 2006. Occupa il nono posto nella classifica dei principali produttori della FAO (FAO 2009) e registra una costante crescita del settore, con una previsione di produzione pari a 900 000 tonnellate nel 2009. Il salmone è in assoluto la prima specie allevata, la cui produzione dovrebbe raggiungere le 850 000 tonnellate nel 2009. Le trote di grandi dimensioni rappresentano la maggior parte del restante settore di allevamento (la produzione dovrebbe raggiungere le 80 000 tonnellate nel 2009). Fin dall'inizio degli anni '80 si è tentato puntualmente di allevare altre specie, ma con un tasso di successo finora piuttosto modesto. Tuttavia, il merluzzo e i mitili comuni sono nuove specie in crescita nel settore dell'acquacoltura norvegese. La produzione di merluzzo allevato, per esempio, è passata da 170 tonnellate nel 2001 a più di 3 000 tonnellate nel 2004 e si stima che nel 2010 raggiungerà le 40 000 tonnellate.

Tabella 6: produzione recente dell'acquacoltura (Norvegia)

ANNO PRODUZIONE (t) VALORE (000 €)

2007 830 190 2 156 648

2006 712 281 1 977 382

2005 661 811 1 536 483

2004 584 423 1 209 556

2003 551 297 972 780

Fonte: FAO 2009a L'industria dell'acquacoltura norvegese esporta circa 90-95 per cento della sua produzione in oltre 100 paesi in tutto il mondo. Il valore degli scambi ammontava a 20,2 miliardi di corone norvegesi (2,25 miliardi di euro) nel 2008, e rappresentava poco più della metà di tutte le esportazioni di prodotti di mare norvegesi (NSEC 2009). UE, Giappone e Russia sono i mercati più importanti per il salmone e la trota d'allevamento norvegesi.

Come avviene per i principali paesi produttori dell'UE, l'acquacoltura rappresenta un importante settore in alcune zone costiere e contribuisce significativamente all'occupazione, alla ricchezza e allo sviluppo sostenibile. Nel complesso, circa 4 500 persone sono direttamente occupate nel settore e si calcola che 18 500 lavoratori siano impiegati nell'indotto (p..es. distribuzione, trasformazione e trasporto), che apporta circa 40 miliardi di corone (4,5 miliardi di euro) all'economia norvegese (MFCA, 2008).

Originalmente dominato da un numero elevato di piccole aziende, l'odierno settore dell'acquacoltura in Norvegia è piuttosto variegato. Per effetto della razionalizzazione normativa e del settore, il numero di aziende si è ridotto rispetto agli anni '90, passando da oltre 800 a meno di 300, con un'espansione e un consolidamento considerevoli per talune aziende, ma anche con il mantenimento di importanti piccoli operatori. Vi sono piccole aziende che producono circa 1 000 tonnellate, la maggior parte delle aziende produce più di 5 000 tonnellate, le imprese medie producono circa 20 000 tonnellate e le società più grandi producono cifre ancor superiori, fino alle 170 000 tonnellate nel 2008 della società Marine Harvest. Tale ristrutturazione ha dato vita anche a svariate forme organizzative, in base alle quali alcune aziende integrano le loro attività, dagli smolt all'esportazione e trasformazione, mentre in altri casi vi sono operatori indipendenti (produttori di smolt, allevatori, esportatori ecc.).

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

4.1.1.1. Raffronto tra l'acquacoltura norvegese ed europea

In generale, è difficile raffrontare l'acquacoltura dell'UE e della Norvegia, per via della notevole diversità fra i vari settori negli Stati membri (non solo in termini di produzione, ma anche di clima e altre condizioni geografiche, commercio, approcci normativi ecc.). Fra gli Stati membri, il settore britannico (scozzese) è il più simile a quello norvegese, soprattutto perché il salmone rappresenta la componente primaria di entrambi i comparti e perché i due paesi sono caratterizzati da condizioni ambientali e climatiche simili. Inoltre, diverse aziende possiedono allevamenti in entrambi i paesi e hanno accesso alle stesse tecnologie. A parte le diversità normative, le principali differenze tra l'acquacoltura norvegese e scozzese riguardano l'accesso ai siti di produzione e la concorrenza per lo spazio, nonché le percezioni dei soggetti interessati e dei decisori politici in merito al settore. Tali differenze si riscontrano anche in altri Stati membri, dove tuttavia sono accompagnate da altre diversità industriali e tecnologiche legate all'allevamento di specie differenti.

Per quanto concerne l'accesso ai siti, la situazione in Norvegia è generalmente favorevole per il settore. La Norvegia dispone di una costa molto lunga e di una bassa densità di popolazione costiera, fattori che limitano la concorrenza per lo spazio nelle fasce litoranee. Vi è la diffusa percezione che il numero ridotto di località adatte all'allevamento che si trovano a dover competere con altri utilizzi – in rapporto allo spazio corrispondente nell'UE – sia una delle principali ragioni che spiega i tassi di crescita più elevati registrati dall'acquacoltura norvegese durante gli ultimi vent'anni. Altri livelli di percezione negativi espressi da operatori costieri nei confronti dell'acquacoltura risultano molto inferiori in Norvegia, poiché il settore norvegese non ha subito le stesse minacce che si sono effettivamente abbattute o sono state percepite in altri paesi.

La disponibilità di siti per gli allevamenti ha consentito al settore di sviluppare una massa critica, sia in termini di sfruttamento di diverse economie di scala, sia in termini di influenza sulla politica. I rappresentanti del settore, infatti, possono sostenere a ragione che la loro industria è importante per l'occupazione e che, se opportunamente regolamentata, può rappresentare un motore di crescita per le comunità costiere. Di conseguenza, le autorità nazionali e locali hanno spesso promosso lo sviluppo dell'acquacoltura, e l'accesso ai siti di produzione non ha rappresentato un problema significativo. Tale situazione ha consentito inoltre agli operatori del settore di trasferirsi in zone più esposte man mano che loro attività crescevano.

Poiché l'acquacoltura in Norvegia riveste un'importanza relativa maggiore rispetto alla maggior parte dei singoli Stati membri dell'UE, probabilmente i decisori politici e i vari soggetti interessati conoscono maggiormente le sfide e le opportunità del settore. Si può affermare che nel corso del tempo si è creata una sorta di consenso fra i decisori politici e il settore in merito ai parametri fondamentali che determinano la competitività internazionale, la sostenibilità ambientale ecc. Tale consenso facilita la creazione di normative e di pratiche volontarie ampiamente accettate da entrambe le parti, anche se forse presuppone inevitabilmente un dibattito pressoché continuo, poiché le circostanze esterne mutano e si acquisiscono esperienze a seguito di nuove regolamentazioni.

Per quanto concerne le differenze tra il settore dell'acquacoltura norvegese e quello comunitario in termini di produzione del salmone e produzione di altre specie, la principale è rappresentata dalle dimensioni, poiché gli allevamenti e gli stabilimenti di trasformazione del salmone tendono ad essere notevolmente più grandi di quelli che trattano altre specie. Tale aspetto è importante, poiché consente di sfruttare economie di scala in ogni luogo in cui sono situati gli impianti ed è rilevante ai fini della catena di approvvigionamento (input/output). Tali fattori consentono di abbassare i costi dell'allevamento, della trasformazione e della commercializzazione dei salmoni e incentiva inoltre lo sviluppo della

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produzione e della vendita, poiché i costi possono essere ripartiti su volumi elevati di prodotto.

4.1.2. Contesto normativo e amministrativo

Ad un esame generale, la regolamentazione dell'acquacoltura in Norvegia appare simile a quella dell'UE: vi sono norme che disciplinano la produzione acquicola, l'accesso ai siti per l'acquacoltura, e una serie di altre disposizioni correlate in materia di protezione ambientale, sicurezza alimentare, benessere degli animali ecc., che in un certo senso hanno un carattere simile o contengono standard analoghi a quelli dell'UE (e in taluni casi sono in linea con l'acquis comunitario). Per contro, vi sono diverse differenze fondamentali tra i regimi dell'UE e quello norvegese, in particolare da quando è stata introdotta una nuova legge quadro completa e specifica per l'acquacoltura nel 2005.

La legge n. 79 del 2005 in materia di acquacoltura ("the Aquaculture Act"), in vigore dal 1° gennaio 2006, che abroga il Fish Farming Act 1985 e il Sea-Ranching Act 2001, è oggi la principale legge che disciplina l'acquacoltura norvegese e tutte le attività acquicole in Norvegia, compresa l'acquacoltura nelle acque interne, costiera e marina. Ai sensi della sezione 2 della legge, essa si applica alla produzione di organismi acquatici (acquacoltura), dove per "organismi acquatici" si intendono animali e piante che vivono nell'acqua, sull'acqua o vicino all'acqua, e qualsiasi misura volta a influenzare il peso, le dimensioni, il numero, le caratteristiche o la qualità degli organismi acquatici viventi è considerata produzione.

Gli obiettivi enunciati espressamente nell'Aquaculture Act (sezione 1) sono promuovere la redditività e la competitività del settore dell'acquacoltura nel quadro di uno sviluppo sostenibile e contribuire alla creazione di valore sulle coste. In termini di politica, uno dei principali obiettivi di tale legge è soddisfare meglio le esigenze del settore dell'acquacoltura garantendo nel contempo la continua protezione dell'ambiente e delle esigenze sociali e, a tal fine, la legislazione è stata basata su quattro principali ambiti o obiettivi (MFCA, 2006):

crescita e innovazione – redditività e innovazione alla luce della posizione concorrenziale della Norvegia a livello internazionale;

semplificazione – maggiore efficienza nella pubblica amministrazione e promozione dell'accessibilità e della facilità d'uso per il settore;

protezione dell'ambiente – facilitare un regime ambientale moderno e completo;

integrazione – rapporto con gli altri interessi d'uso nelle zone costiere e utilizzo efficiente del territorio.

La legge istituisce un sistema di licenza e contiene ampie disposizioni in materia di standard ambientali, utilizzo del territorio, registrazione, cessione e ipoteca delle licenze, nonché controllo ed esecuzione. La legge prevede la possibilità di adottare regolamenti (come è stato fatto) contenenti misure normative più dettagliate applicabili all'acquacoltura (il regime dei regolamenti sarà trattato più dettagliatamente in seguito). Il ministero della Pesca e degli affari costieri (MFCA) è responsabile dell'attuazione e dell'amministrazione della legge in questione, nonché dell'attuazione dei regolamenti adottati in virtù della stessa (nella pratica, tali mansioni vengono per lo più delegate alla direzione per la pesca).

Oltre all'Aquaculture Act, vi sono altre importanti leggi applicabili all'acquacoltura, tra cui le più importanti sono la legge n. 124 del 2003 relativa alla produzione di alimenti, alla sicurezza alimentare ecc. ("the Food Act"), la legge n. 51 del 1984 relativa ai porti, ai canali navigabili ecc. ("the Harbour Act"), la legge sul benessere degli animali ("Animal Welfare

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

Act 2009"26) e la legge n. 6 del 1981 relativa alla protezione dall'inquinamento e ai rifiuti ("the Pollution and Waste Act"). Come disposto dall'Aquaculture Act, anche le suddette leggi prevedono l'adozione di regolamenti supplementari. Tuttavia, sebbene ciascuna legge faccia riferimento a un'autorità responsabile (p.es. l'autorità norvegese per la sicurezza alimentare nel caso del Food Act), al ministero della Pesca e degli affari costieri viene conferita un'ampia gamma di poteri legislativi per l'adozione di regolamenti in materia di acquacoltura ai sensi di alcune delle suddette leggi. Ciò ha due principali implicazioni. In primo luogo il ministero della Pesca e degli affari costieri è il principale responsabile per la regolamentazione nel settore dell'acquacoltura e, in secondo luogo, (soprattutto congiuntamente a disposizioni specifiche dell'Aquaculture Act) tale ministero diviene l'interfaccia principale tra il governo e il settore praticamente in tutti gli ambiti di regolamentazione. Sebbene fino a un certo punto siano coinvolti, direttamente o indirettamente, anche altri organismi di governo nella regolamentazione dell'acquacoltura, nella pratica gli operatori del settore trattano direttamente solo con due organi, la direzione per la pesca ("Fiskeridirektoratet") e l'autorità per la sicurezza alimentare ("Mattilsynet"). Il ministro mantiene la sua responsabilità generale per l'elaborazione delle politiche.

Figura 1: ripartizione delle responsabilità (Norvegia)

Elaborazione delle politiche Ministero della Pesca e degli affari costieri

Attuazione, processo decisionale ed esecuzione Direzione per la pesca

Autorità norvegese per la sicurezza alimentare

Il quadro generale è completato da un regime di regolamenti dettagliati che rispecchiano ampiamente i regolamenti dell'UE grazie alle norme di armonizzazione previste dall'accordo SEE. Pertanto, alcune delle norme comunitarie, soprattutto in materia di protezione ambientale, benessere degli animali e sicurezza alimentare vengono applicate in Norvegia (anche se non sempre esattamente nello stesso modo). Per contro, le norme relative all'accesso ai siti, alla pianificazione degli impianti e alle licenze si basano sulla pubblica amministrazione norvegese. Come ipotizzabile, l'approccio all'autorizzazione e alla regolamentazione dell'acquacoltura è simile, a grandi linee, ma vi sono alcune importanti differenze nell'applicazione. I seguenti paragrafi analizzano gli elementi considerati efficaci e quelli meno efficaci.

4.1.3. Percezioni degli oneri normativi

La storia della regolamentazione e della legislazione in materia di acquacoltura in Norvegia ha seguito un percorso simile a quello di altre economie sviluppate. Nelle sue prime fasi di esistenza, il settore ha avuto una regolamentazione piuttosto semplice e modesta, fino a divenire oggi un comparto moderno altamente regolamentato. Come altri sistemi di regolamentazione dell'acquacoltura, quello norvegese insiste particolarmente sulla protezione ambientale (intesa in senso lato, compresi il benessere degli animali e la sicurezza ambientale) e la regolamentazione degli accessi (ai siti e alle opportunità industriali). 26 Nel maggio 2009 il Parlamento (Storting) ha approvato una nuova legge sul benessere degli animali, che

entrerà in vigore nel 2010. Tale legge abrogherà la precedente, promulgata nel 1974.

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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In linea con quanto è avvenuto in altri paesi, la regolamentazione degli aspetti ambientali e delle pratiche di produzione in Norvegia si è sviluppata nel corso degli anni, man mano che si acquisivano maggiori conoscenze sul settore, i suoi impatti e l'ambiente stesso. Le regolamentazioni e le politiche volte a mitigare gli impatti ambientali vengono spesso considerate le più ostiche da parte del settore dell'acquacoltura norvegese. Anche in Norvegia, come nell'UE, si ritiene che il mantenimento di rigorosi standard ambientali apporti determinati vantaggi in termini di reputazione, qualità del prodotto ecc., ma che nel contempo limiti la libertà commerciale del settore e sue le opportunità di ottimizzare la propria struttura in rapporto ai paesi concorrenti. Inevitabilmente, vi sono spesso disaccordi in merito alle modifiche normative e talvolta giungono lamentele da settori specifici circa l'impatto di determinate misure. Ciononostante, i regolamenti generali sono considerati nel complesso importanti per la sostenibilità del settore e godono di un sostegno piuttosto ampio. Anche i costi connessi all'osservanza delle disposizioni ambientali vengono percepiti per lo più come necessari.

I contrasti sorgono più comunemente a livello di applicazione amministrativa della legge ("sul campo"), per esempio nel caso dell'imposizione di misure per la prevenzione delle malattie da parte della direzione per la pesca, che disciplinano per esempio la commistione di specie appartenenti a classi d'età diverse, o impongono agli allevamenti determinati periodi di fermo dopo il prelievo dei pesci. Un altro esempio di misure controverse è quello delle disposizioni adottate dall'autorità norvegese per la sicurezza alimentare, a norma delle quali è possibile imporre a un allevatore la distruzione del pesce a causa di infezioni ecc. In questi casi, l'argomentazione più diffusa è che le autorità sono troppo severe o eccessivamente prudenti. Ciononostante, le lamentele in casi specifici (da parte degli allevatori colpiti da un determinato provvedimento) sono comuni a tutti i regimi e non pregiudicano la posizione complessiva di un settore che è generalmente favorevole alla politica adottata e alle sue conseguenze.

La regolamentazione dell'accesso al settore e alla produzione è stata invece molto più controversa. Mentre per le specie "più nuove" è relativamente facile ottenere una licenza, per il salmone (in particolare) e la trota sono state chieste con forza misure regolamentari di limitazione fin dai primi anni '80. Tali misure hanno incluso restrizioni sia per il rilascio di nuove licenze, sia per il livello di produzione consentito ai titolari di licenza. Dal 1985 al 2002, e successivamente dopo il 200327, non sono state emesse nuove licenze e di conseguenza la produzione è cresciuta in modo limitato (sebbene sia comunque cresciuta durante il periodo, a parità di numero di licenze). Per giunta, è stato difficile capire con esattezza come sono stati applicati i criteri dal governo. Il settore, comunque, si è mostrato molto redditizio nel corso del tempo, malgrado un crescente numero di aziende affermi che dovrebbe essere più facile ottenere una licenza per incrementare la produzione. Una delle principali ragioni della riluttanza del governo norvegese ad aumentare troppo rapidamente il numero di licenze è costituita dal fatto che una repentina crescita della produzione ha determinato ripetutamente contenziosi commerciali con l'UE (cfr. sopra).

Sono state mosse critiche anche alla politica in materia di rilascio di nuove licenze. La legge del 2005 sostiene che la politica amministrativa del governo norvegese è volta a privilegiare i nuovi o piccoli operatori nelle regioni remote, tuttavia, a causa dei notevoli aumenti degli oneri per l'ottenimento delle licenze introdotti a partire dal 2002 (la tassa da versare nel 2009 ammonta a circa 8 milioni di corone, pressappoco 720 000 euro), molti nuovi o piccoli operatori con scarse possibilità di accedere ai mercati dei capitali hanno difficoltà a pagare la tassa (viene quindi minato l'obiettivo stesso della politica). 27 Tradizionalmente, le licenze venivano assegnate mediante tornate. L'ultima tornata nazionale di assegnazione

delle licenze è avvenuta nel 2002-3, con l'assegnazione di 38 nuove licenze: FOR 2002-06-21 n. 686 ("Forskrift om tildeling av konsesjoner for matfiskoppdrett av laks og ørret i sjøvann").

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

Oltre a regolamentare il numero di licenze, sono stati introdotti limiti alle quantità di pesce che è consentito produrre nell'ambito di ciascuna licenza. Nel corso del tempo sono state impiegate diverse misure, la più importante delle quali è stata la riduzione del volume massimo per recinto, un contingente che regola la quantità di mangime utilizzabile e, attualmente, la biomassa massima consentita (Maximum Allowable Standing Biomass - MASB) che è possibile detenere nelle gabbie in qualsiasi momento. Poiché tali misure possono comportare costosi adeguamenti per rispettare la normativa, spesso le disposizioni sono state oggetto di critiche. Tuttavia, poiché è consentito accorpare diverse licenze in un unico allevamento, tali disposizioni non sempre influenzano le opportunità degli allevamenti di sfruttare comunque economie di scala.

4.1.4. Analisi delle migliori prassi nella regolamentazione norvegese dell'acquacoltura

Questa sezione analizza una serie di "migliori prassi", con particolare riferimento alla salmonicoltura. Il termine "migliori prassi" non deve essere interpretato come prassi considerate universalmente le più efficienti in termini di gestione o regolamentazione. Le prassi qui selezionate possono essere considerate misure ragionevolmente efficaci per il raggiungimento degli obiettivi della politica norvegese, vale a dire migliorare la competitività internazionale del settore, mitigare i problemi ambientali e facilitare una crescita sostenibile a lungo termine.

Quadro legislativo

La Norvegia è uno di quei paesi piccoli, ma in crescita, che ha elaborato un quadro giuridico completo e specifico per l'acquacoltura. La legge sull'acquacoltura del 2005 (2005 Aquaculture Act) rappresenta il quadro legislativo e amministrativo di base in materia di acquacoltura e definisce in larga misura il rapporto tra l'acquacoltura e altri ambiti di regolamentazione (p.es. la protezione ambientale). Sebbene non sia possibile stabilire se tale approccio legislativo sia più efficace di altri, è opportuno osservare che in Norvegia si ritiene che la legge in questione crei un quadro normativo efficace.

Organizzazione amministrativa

Come avviene in altri paesi, diversi enti norvegesi sono coinvolti nell'amministrazione e regolamentazione dell'acquacoltura. Tuttavia, la concentrazione delle funzioni amministrative presso la direzione per la pesca, unitamente a una chiara definizione di ruoli, mansioni e rapporti di e fra i vari organismi (in parte stabilita dalla legge sull'acquacoltura stessa), non solo apporta maggiore coerenza, ma crea una struttura amministrativa più efficiente e accessibile per il settore. Per ciascun organismo, la legge definisce le funzioni e i doveri, soprattutto in relazione all'acquacoltura, garantendo così che tutte le autorità del settore e gli enti locali contribuiscano ai rispettivi processi, spesso secondo modalità ed entro tempi ben precisi, e conferisce alla direzione per la pesca (e al ministero) la competenza di supervisionare i risultati. Negli ultimi anni è migliorata anche la cooperazione a livello più operativo. Per esempio, oggi l'Økokrim (autorità nazionale per le indagini e il perseguimento dei reati economici e ambientali), l'ufficio del Pubblico ministero e la direzione per la pesca collaborano maggiormente, consentendo a tale Ufficio e all'Økokrim di considerare prioritarie le violazioni della legge nel settore dell'acquacoltura.

Gestione delle licenze mediante uno sportello unico

Con l'introduzione della legge sull'acquacoltura, è stato istituito un sistema di evasione delle domande di licenza per l'acquacoltura a "sportello unico", grazie al quale il richiedente dialoga con un unico organismo: la direzione per la pesca. Tale direzione si coordina poi con

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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le varie autorità nel quadro della rispettive procedure di gestione delle domande. La direzione per la pesca assicura che vengano adottate le necessarie dichiarazioni e decisioni da parte degli enti locali e delle varie autorità del settore, come il Governatore regionale (autorità ambientale), l'autorità norvegese per la sicurezza alimentare e l'amministrazione nazionale costiera norvegese. Le licenze per le attività di acquacoltura sulla terraferma che comportano uno sconfinamento nei corsi d'acqua, come gli incubatoi, devono essere altresì valutate dalla direzione norvegese per le risorse idriche e l'energia (NVE). La legge del 2005 prevede la possibilità di imporre dei limiti massimi di tempo per l'iter amministrativo entro i quali le autorità devono assumere una decisione o emettere dichiarazioni su altri aspetti. Il sistema consente inoltre il coordinamento dell'iter di evasione delle domande da parte delle autorità settoriali, affinché tutte completino contemporaneamente le rispettive procedure o secondo la sequenza appropriata. Una volta che le autorità hanno inviato le loro dichiarazioni e decisioni alla direzione per la pesca vi è un limite di tempo entro il quale quest'ultima assume la decisione finale. Il sistema è illustrato nella seguente figura.

Figura 2: iter relativo alle domande di licenza (Norvegia)

Richiedente Invia la domanda all'ufficio regionale della

direzione per la pesca.

L'obiettivo generale del sistema è facilitare e semplificare l'iter procedurale per i richiedenti, consentendo loro di rivolgersi a un unico organismo, e rendere l'evasione delle domande più efficiente e rapida. Prove concrete dimostrano che il sistema sta effettivamente conseguendo tali obiettivi e i risultati ottenuti finora indicano che la durata dell'iter burocratico è stata ridotta da più di un anno a meno di sei mesi.

Il sistema contribuisce inoltre a un altro importante obiettivo, poiché facilita la gestione delle domande da parte di organismi che non si occupano di acquacoltura, grazie al fatto che il processo è totalmente controllato dalla direzione per la pesca.

Regolamentazione degli impatti ambientali

La Norvegia è stata, e continua ad essere, leader nel settore della regolamentazione ambientale dell'acquacoltura (cfr. la strategia per un settore norvegese dell'acquacoltura sostenibile sotto il profilo ambientale, varata nel giugno 2009 – MFCA 2009). Il settore,

Ufficio regionale della direzione per la pesca

Riceve le osservazioni richieste.

Trasmette la domanda alle competenti autorità settoriali ed enti locali. Decide in merito alla domanda ai sensi della legge sull'acquacoltura (entro un determinato limite di tempo).

Direzione norvegese per le risorse idriche e

l'energia

Viene coinvolta soltanto nei casi in cui

Governatore regionale

Decide in merito alla domanda

conformemente alla legge sul controllo

dell'in

Autorità norvegese per la sicurezza

alimentare

Decide in merito alla domanda sulla base dei regolamenti di

assegnazione, conformemente alla legge sulla sicurezza

alimentare e il benessere degli

animali (entro un limite di tempo).

Amministrazione nazionale costiera

norvegese

Decide in merito alla domanda

conformemente alla legge sui porti (entro un limite di tempo).

Comune

Registra e rende pubblica la domanda

per quattro settimane.

Chiarisce il rapporto fra l'attività e il piano di utilizzo del territorio

quinamento (entro è previsto il prelievo

d'acqua. Decide in merito alla

domanda/emette dichiarazioni (entro un limite di tempo).

un limite di tempo).

Emette dichiarazioni sulla conservazione della

e assumere eventuali decisioni (entro un limite di tempo).

natura, gli interessi della

pesca e della caccia sportive e una

valutazione globale (entro un limite di

tempo).

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

disciplinato in parte da disposizioni di governo e in parte da autoregolamentazione, ha raggiunto uno stato ambientale piuttosto buono rispetto ad altri settori di produzione alimentare. Negli ultimi anni, sono state introdotte diverse misure ambientali; i requisiti relativi allo standard tecnico per gli impianti di allevamento galleggianti, il monitoraggio ambientale e i controlli interni sono importanti progressi che garantiscono un maggiore adeguamento ambientale del settore. Secondo il governo norvegese, l'impatto ambientale relativo del settore – in rapporto alla crescita della produzione degli ultimi anni – è inferiore al passato (MFCA 2009).

Uno dei tratti salienti dell'approccio norvegese è rappresentato dal fatto che gran parte della regolamentazione è stata concepita specificatamente per l'acquacoltura o prevede condizioni specifiche per il settore acquicolo (p.es. la regolamentazione sulla valutazione dell'impatto ambientale, trattata nel paragrafo seguente). Il quadro di riferimento è sancito dalla legge del 2005, a norma della quale l'insediamento, l'esercizio e la dismissione degli impianti di acquacoltura devono avvenire in modo ecologicamente responsabile. Tale legge stabilisce che in diversi casi, il ministero della Pesca e degli affari costieri/la direzione per la pesca possano adottare regolamenti ai sensi di altre leggi e/o siano le autorità competenti per l'amministrazione di altre normative relativamente a ciò che concerne l'acquacoltura. Per esempio, la normativa che disciplina la salute degli animali e la sicurezza e qualità dei prodotti alimentari (Food Production and Food Safety, 2003) è amministrata per lo più dall'Autorità norvegese per la sicurezza alimentare, ma per quanto riguarda l'acquacoltura il ministero per la Pesca e gli affari costieri ha facoltà di adottare regolamenti praticamente su tutte le materie oggetto della legge (relativamente all'acquacoltura) e assume determinate responsabilità amministrative.

Un'altra importante caratteristica riguarda l'uso degli strumenti di autoregolamentazione. Il governo riconosce l'importanza di trovare un equilibrio fra la propria azione coercitiva mediante l'imposizione di norme e la possibilità del settore di adottare misure (soprattutto di carattere più tecnico) su base semi-volontaria. Pertanto, il settore ha definito una serie di strumenti, alcuni dei quali sono stati integrati nel quadro regolamentare. Lo standard NYTEK, trattato in seguito, è uno di questi.

Valutazione dell'impatto ambientale

La Norvegia applica l'acquis comunitario relativo alla valutazione ambientale strategica (VAS), alla valutazione dell'impatto ambientale (VIA) e alla partecipazione del pubblico. Le relative norme sono definite nei regolamenti adottati conformemente alla legge sulla pianificazione e l'edilizia del 1985 (oggi operativi ai sensi della legge sulla pianificazione e l'edilizia 2009, entrata in vigore nel luglio 2009). Vi sono due significative differenze tra la VIA effettuata per l'acquacoltura in Norvegia e quella condotta nell'UE. La prima è che in Norvegia la direzione per la pesca è l'"autorità competente", responsabile della verifica di assoggettabilità e della realizzazione del processo per la VIA relativa agli impianti di acquacoltura. Si osservi, in proposito, che tale valutazione riguarda soltanto la produzione acquicola; una VIA separata può essere richiesta se, per esempio, l'impianto implica l'edificazione di una significativa struttura industriale. In tali casi, le autorità di pianificazione norvegesi sono le "autorità competenti".

La seconda differenza consiste nel fatto che i regolamenti norvegesi prevedono una soglia specifica per la valutazione dell'acquacoltura. Pertanto, è obbligatorio effettuare una VIA per gli impianti di acquacoltura e gli incubatoi di grandi dimensioni con una capacità superiore a 5 milioni di unità (avannotti), qualora tali attività abbiano potenziali effetti significativi sull'ambiente, le risorse naturali o la comunità. I regolamenti includono una disposizione che descrive nel dettaglio le attività che possono avere tali effetti. Gli standard di applicazione fissati da tali disposizioni sono piuttosto elevati e, nella pratica, raramente

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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vengono richieste valutazioni per gli impianti di piscicoltura (MFCA 2009). Il ministero per la Pesca e gli affari costieri intende tuttavia riesaminare gli orientamenti per le VIA in stretta collaborazione con il ministero dell'Ambiente e, all'occorrenza, adeguarli per promuovere un maggior utilizzo delle VIA.

Prevenzione della fuoriuscita dei pesci

La fuoriuscita dei pesci dai siti di acquacoltura è considerata la conseguenza ambientale negativa più grave dell'acquacoltura norvegese (MFCA 2008). In particolare, le fuoriuscite sono ritenute una potenziale fonte di contaminazione genetica degli stock di salmoni selvatici. La direzione della pesca, pertanto, ha formulato la strategia dal titolo "Vision: Zero Escapes", contenente una serie di misure volta a raggiungere un livello di fuoriuscite il più possibile prossimo allo zero. Tuttavia, il governo ritiene che la prevenzione delle fuoriuscite sia in gran parte di competenza del settore, pertanto le soluzioni previste nella strategia sono state elaborate in stretta collaborazione con l'industria e implicano misure in parte legislative e in parte non legislative.

In particolare, è stato definito lo standard norvegese NS 9415:2003, meglio noto come NYTEK, contenente specifiche tecniche relative alle dimensioni, alla progettazione, all'installazione e all'esercizio degli allevamenti galleggianti (MFCA 2005). Questo standard è stato elaborato da Standards Norway in collaborazione con i rappresentanti del settore, di istituti di ricerca e di autorità pubbliche. NYTEK è il primo standard di questo tipo e Standards Norway sta attualmente lavorando all'internazionalizzazione della norma mediante l'ISO. Per garantire l'osservanza della norma da parte degli acquacoltori, il ministero della Pesca e degli affari costieri ha introdotto il regolamento n. 1490 dell'11 dicembre 2003 sullo standard tecnico degli impianti utilizzati nelle attività di piscicoltura (regolamento NYTEK), che comprende tra l'altro un meccanismo di certificazione. La direzione per la pesca è responsabile dell'applicazione del regolamento. Uno dei suoi compiti principali riguarda il controllo dell'osservanza delle prescrizioni di cui al regolamento NYTEK, principalmente effettuato mediante audit del sistema basati su controlli interni.

Altre misure includono, tra l'altro, la nomina di una commissione permanente con responsabilità in materia di fuoriuscite di pesci d'allevamento e la pubblicazione di elenchi di fuoriuscite su Internet.

Sebbene tali misure siano state introdotte di recente e sia quindi troppo presto per effettuare una valutazione autorevole, dalle prime indicazioni la strategia "Vision: Zero Escapes" sta avendo un notevole impatto. Secondo i dati della direzione per la pesca, negli ultimi cinque anni (2004-2008) sono stati registrati rispettivamente 553 000, 715 000, 920 000, 290 000 e 100 000 esemplari fuoriusciti (MFCA 2009). La direzione per la pesca continua comunque ad occuparsi della questione e nella sua recente Strategia per un settore dell'acquacoltura norvegese sostenibile sotto il profilo ambientale ha annunciato l'intenzione di estendere la strategia "Vision: Zero Escapes", in particolare per migliorare l'attuale registro delle fuoriuscite, elaborare nuove istruzioni sulle fuoriuscite e banche dati di esperienze, e sviluppare l'attuale standard NYTEK per altri impianti di acquacoltura (MFCA 2009).

Pianificazione delle zone costiere

La pianificazione delle zone costiere a livello regionale (contea) è stata introdotta per affrontare i problemi dell'integrazione che la pianificazione municipale delle zone costiere non era stata in grado di risolvere, in particolare il coordinamento tra i rispettivi settori a livello regionale (Hovik e Stokke, 2007). I piani di sviluppo locali vengono considerati uno strumento essenziale per la pianificazione dell'uso delle zone costiere, non solo come mezzo

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

per evitare conflitti tra i vari settori d'uso, come l'acquacoltura e la pesca, e per bilanciare i loro interessi a fronte delle principali esigenze delle comunità locali, quali spazi all'aperto, per attività ricreative, attività marine e conservazione, ma anche per consentire un sistema di zonizzazione che riduca l'impatto sull'ambiente e il rischio di contagio. La legge sull'acquacoltura facilita inoltre la pianificazione tra i vari livelli della pubblica amministrazione mediante nuove disposizioni sulla pianificazione regionale e la pianificazione congiunta tra le autorità. La nuova legge sulla pianificazione e sull'edilizia 2009 conferisce ampi poteri alle autorità locali per consentire la pianificazione delle zone per l'allevamento di specie o gruppi di specie specifiche.

Flessibilità

Il sistema norvegese di regolamentazione e licenza offre una certa flessibilità per affrontare problemi specifici, legati per esempio a un determinato sito o impianto (questioni che possono essere regolamentate mediante la licenza) o a condizioni specifiche in una determinata zona che giustifichino un più ampio controllo normativo. Un esempio di quest'ultimo caso di specie è quello del fiordo di Hardanger, caratterizzato da diversi problemi, tra cui le condizioni critiche degli stock dovute alle malattie e all'anoplura che colpisce i salmoni e le condizioni ambientali incerte dovute alla scarsa qualità dell'acqua e all'aumento della crescita algale. Le attività di acquacoltura, pertanto, sono state sospese nell'aprile del 2008, in attesa della definizione di un regime amministrativo specifico per tale zona. Attualmente è in corso la preparazione della legislazione per l'istituzione di tale regime da parte dello Storting (MFCA 2009).

Cessione e ipoteca delle licenze di acquacoltura

Una delle principali novità introdotte dalla legge sull'acquacoltura del 2005 riguarda il diritto di cedere o ipotecare le licenze di acquacoltura. Questi nuovi diritti sono la conseguenza della politica di governo, volta ad eliminare gradualmente la regolamentazione della proprietà, poiché la deregolamentazione dei requisiti di proprietà, unitamente all'introduzione del diritto di cessione e ipoteca delle licenze, viene considerata un modo per normalizzare il settore rispetto ad altri comparti e per renderlo maggiormente flessibile in vista delle sfide future (MFCA 2006). Pertanto, mentre in passato era necessaria una nuova licenza per la cessione dei diritti da un'entità all'altra, le nuove norme consentono la cessione della licenza fra privati senza la necessità di ottenere un'autorizzazione pubblica o una nuova licenza. All'atto della cessione, le condizioni stipulate nella licenza si applicano integralmente al nuovo titolare (nei cui confronti sono opponibili), ponendo così l'accento sull'esercizio dell'attività di acquacoltura, anziché sull'entità che la esercita. Tale disposizione si basa sulla convinzione che gli interessi sociali si fermano nel momento in cui una zona è utilizzata per l'acquacoltura e le attività sono condotte in modo responsabile. Qualora la licenza passi a un altro titolare, gli interessi della collettività non vengono oggettivamente intaccati, poiché l'area utilizzata e le attività esercitate dal nuovo titolare restano le stesse. Il nuovo diritto di ipoteca consente di utilizzare la licenza come fideiussione creditizia, rafforzando così la prevedibilità e la capacità di accesso ai capitali per il settore.

4.2. Cile

4.2.1. Contesto generale

L'acquacoltura è un settore importante in Cile, soprattutto in alcune delle regioni più povere, dove quest'attività genera notevoli entrate e occupazione in zone altrimenti prive di opportunità economiche. Da diversi anni il settore registra una crescita significativa, da

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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poco meno di 100 000 tonnellate nel 1990 a più di 850 000 tonnellate nel 2007. La quota di produzione più alta in assoluto è costituita dai salmonidi (principalmente salmone atlantico e trota iridea), che rappresentano l'80-85% della produzione e circa il 90% del valore commerciale, sebbene si stiano sviluppando anche altri settori di allevamento di altre specie (ancora ridotti), in particolare le cozze (il cui valore commerciale era pari a quasi il 5% nel 2008). Come vedremo, l'attuale situazione dell'acquacoltura cilena è piuttosto diversa (alcune epidemie hanno ridotto la produzione nel 2008 e 2009), ciononostante le prospettive di crescita a lungo termine sono considerate comunque positive. La fiducia del settore si basa sulla prevista domanda a lungo termine dei prodotti acquicoli e sulla limitata espansione della produzione norvegese (a causa delle restrizioni alle concessioni). Ciononostante, si prevede che forse ci vorranno all'incirca 5 anni per raggiungere livelli di produzione analoghi a quelli ottenuti nel 2007/8. Tabella 7: produzione recente dell'acquacoltura (Cile)

ANNO PRODUZIONE (t) VALORE (000 €)

2007 853 140 3 823 416

2006 835 996 3 223 520

2005 713 706 2 244 508

2004 685 135 1 984 615

2003 603 485 1 561 066

Fonte: FAO 2009a Le esportazioni ittiche (alle quali l'acquacoltura ha contribuito per il 68% del valore nel 2008) sono una componente significativa del commercio estero del Cile. Nel 2008 il Cile ha esportato prodotti ittici per oltre 3 miliardi di euro (+7,4% in più rispetto al 2007, nonostante il calo di produzione). I principali mercati per i prodotti cileni sono gli Stati Uniti (21,9% nel 2008), il Giappone (21,9%), l'Europa (16,8%) e l'America latina (6,7%).

La salmonicoltura è in assoluto il settore più importante dell'acquacoltura cilena. Negli ultimi dieci anni, la salmonicoltura è stato un importante fattore di crescita economica e di sviluppo, soprattutto nella "regione X" – la regione amministrativa con livelli di disoccupazione fra i più alti del paese. In questa regione, per esempio, la concentrazione di allevamenti in gabbia in località specifiche ha attratto altre attività connesse, come l'industria manifatturiera, società farmaceutiche, servizi veterinari, compagnie di assicurazione ecc. formando così un "polo industriale del salmone" che comprende oltre 200 aziende e occupa il 20% della forza lavoro. Si calcola che in tutto il Cile l'acquacoltura abbia dato lavoro direttamente a 45 000 persone e indirettamente a 25 000 persone (più della maggior parte degli altri comparti primari in Cile), sebbene di recente siano stati operati notevoli tagli all'occupazione per effetto delle difficoltà vissute dal settore.

Tali difficoltà sono state causate dalla crescente diffusione di alcune malattie, tra cui patogeni batterici (Vibrio sp., Streptococcus, Aeromona salmonicida atypical, Piscirickettsia salmonis), anoplura (Caligus rogercresseyi), virus della necrosi pancreatica infettiva (IPN) e, recentemente, la più grave anemia infettiva del salmone (ISA). Soprattutto a causa di tali difficoltà28, il settore dell'acquacoltura ha subito un notevole calo di produttività e la 28 Altri fattori hanno contribuito a tali difficoltà, tra cui le pressioni create dall'aumento dei prezzi di componenti

importanti come i mangimi e il trasporto.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

perdita di un significativo numero di posti di lavoro (nell'ordine di 15 000 entro la fine del 2009, ovvero un terzo della forza lavoro diretta). La fallimentare gestione delle malattie è stata causata principalmente da un'infrastruttura di pianificazione inadeguata, che ha favorito l'espansione dei siti esistenti e l'insediamento degli impianti con un grado di prossimità eccessiva, facendo aumentare il rischio e l'incidenza delle epidemie e producendo altri rischi ambientali.

4.2.1.1. Raffronto con l'acquacoltura dell'UE

Sebbene il Cile condivida con alcuni Stati membri dell'UE la prevalenza della salmonicoltura, in generale il settore dell'acquacoltura cilena è notevolmente diverso da quello europeo. Per esempio, in termini geoeconomici, il Cile dispone di un esteso litorale, con buone condizioni per l'acquacoltura, pertanto i conflitti e la concorrenza per lo spazio e l'uso del territorio e dell'acqua sono inferiori e il bilanciamento delle considerazioni economiche e ambientali è più favorevole; i costi del personale sono molto inferiori, anche se la produzione tende a essere meno automatizzata; e vi è disponibilità di mangimi prodotti a livello nazionale prodotti da materie prime locali (farina e olio di pesce). Anche i regimi di scambio del Cile sono notevolmente diversi e, in particolare, il Cile gode di condizioni commerciali favorevoli con i suoi principali partner di esportazione.

4.2.2. Contesto normativo e amministrativo

L'acquacoltura cilena è disciplinata principalmente dalla legge quadro sulla pesca e l'acquacoltura del 1991 ("Ley General de Pesca y Acuicultura"), anche se attualmente è in corso un significativo riesame della legge presso il Senato cileno e il nuovo testo potrebbe entrare in vigore alla fine del 2009. La nuova proposta di legge, se adottata nella sua forma attuale o simile, introdurrà alcune significative modifiche (che tratteremo in seguito). L'impianto generale della legge, tuttavia, non sarà significativamente diverso da quello della legge del 1991.

La legge del 1991 istituisce l'autorizzazione per l'acquacoltura (d'acqua dolce) e la concessione (marina) necessarie per l'attività di acquacoltura e definisce il quadro di base per la gestione delle attività di acquacoltura, stabilendo anche delle zone specificamente adibite alla maricoltura. La legge fornisce inoltre la base giuridica per la legislazione ambientale e sanitaria in materia di acquacoltura – il regolamento ambientale per l'acquacoltura ("Reglamento Ambiental para la Acuicultura" – RAMA) e il regolamento sanitario ("Reglamento Sanitario para la Acuicultura" - RESA). La versione attuale di entrambi i regolamenti è stata ultimata nel 2001.

Come avviene in tutti gli altri paesi, diverse autorità normative sono coinvolte nella regolamentazione e amministrazione dell'acquacoltura cilena. Il sottosegretariato per la pesca (Subsecretaría de Pesca) è il principale organo competente in materia di politica e amministrazione dell'acquacoltura, mentre il servizio nazionale per la pesca (Servicio Nacional de Pesca – Sernapesca) si occupa degli aspetti funzionali, compreso il controllo del rispetto delle norme, sulla base di una serie di decreti e ordinanze amministrative. Inoltre, il sottosegretariato per gli affari marittimi (Subsecretaria de Marina), la commissione per l'ambiente (Comision Nacional de Medio Ambiente – CONAMA), la direzione nazionale per le frontiere e i confini di Stato (Dirección Nacional de Fronteras y Limites del Estado), la Corporacion Nacional Produccion (Corfo), la conservatoria del registro dei beni (Conservador de Bienes Raices and Tesorería) e la direzione generale per le acque (Dirección General de Aguas) concorrono tutti ad alcune delle procedure per il rilascio delle concessioni e di altre autorizzazioni.

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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La nuova legge sulla pesca e l'acquacoltura

In risposta all'attuale crisi dell'acquacoltura cilena, nel 2008 il governo ha istituito una commissione interministeriale ("Mesa de Trabajo del Salmon"), per analizzare i problemi che hanno causato la crisi e proporre misure volte a risolverli e, più in generale, a promuovere lo sviluppo sostenibile del settore. Tale attività è sfociata nell'adozione di un disegno di legge che apporta varie modifiche alla legge del 1991. Attualmente non è chiaro in quale fase dell'iter legislativo si trovi la proposta. Essa, infatti, è passata attraverso la Camera dei deputati ed è stata approvata dalla commissione speciale per la pesca e l'acquacoltura nel maggio 2009; nel luglio 2009 è passata al Senato, dove, a seguito dell'esame della commissione per la pesca, sono state mosse circa 250 obiezioni alla proposta, garantendone quindi la bocciatura nella sua forma attuale (Witte, 2009). Riquadro 2 Sintesi delle principali modifiche contenute nella proposta di legge sulla pesce e l'acquacoltura (Cile) Creazione di zone congiunte di gestione sanitaria ("Barrios") Modifica del regolamento ambientale (RAMA) Modifica del regolamento sanitario (RESA) Modifica del regolamento sulle importazioni Modifica dei diritti di proprietà in concessione Determinazione del limite di capacità di stock e parametri ambientali che influiscono sulla produzione

acquicola Rafforzamento del quadro di controllo e sorveglianza (Sernapesca) Controllo dei movimenti dei pesci e della cattura, requisiti di trasformazione, misurazione della

biosicurezza ecc. Nella sua attuale versione, la proposta di legge introduce una serie di significativi cambiamenti, il più rilevante dei quali è forse la creazione di zone congiunte di gestione sanitaria (denominate "Barrios", quartieri), mediante l'istituzione di barriere sanitarie nelle zone che sono prive di malattie. Ogni tre concessioni adiacenti (numero minimo) sarà creata una zona congiunta di gestione, in virtù della quale saranno condotti controlli supplementari sulla produzione, i mangimi, i movimenti ecc. Altre importanti modifiche riguardano l'uso dei vaccini e di altri farmaci, norme più severe sull'analisi dei residui, compreso l'obbligo di iscrizione al Programa de Control de Residuos (programma di analisi dei residui), nonché varie modifiche istituzionali.

Probabilmente, tuttavia, l'aspetto politico più controverso riguarda l'introduzione di meccanismi ipotecari per i titolari di concessioni – che sarebbero incostituzionali, secondo i detrattori, poiché, consentendo ai titolari di utilizzare le concessioni come garanzie ipotecarie basate su beni demaniali, si tenterebbe di privatizzare il mare. Ai sensi della proposta di legge, gli attuali titolari di concessione possono optare per una concessione a durata limitata, per esempio 40 anni, rinnovabile di altri 10 anni prima della scadenza. Tale misura, secondo i detrattori, violerebbe anche i diritti dei pescatori artigianali e impedirebbe loro di sviluppare le loro attività (Murias, 2009).

4.2.3. Percezione degli oneri normativi

Nel complesso, rispetto all'acquacoltura dell'UE (e anche della Norvegia), si può affermare che il livello d'imposizione normativa in Cile è inferiore. Per un certo periodo di tempo questo è stato considerato un vantaggio commerciale per il settore dell'acquacoltura – per quanto l'onere normativo fosse impegnativo, infatti, il rispetto delle norme era notevolmente più facile e meno costoso (Poseidon Aquatic Resources Management, 2008). Inoltre, ove la normativa non disciplinava il mantenimento degli standard imposti per le

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

esportazioni, il settore ha creato i propri accordi – segnatamente, l'accordo volontario per una produzione pulita ("Acuerdo de Producción Limpia" – APL), firmato da 48 salmonicoltori nel 2002, che ha fissato un obiettivo per il trattamento dei reflui e la gestione dei rifiuti solidi al fine di consentire ai produttori di conformarsi agli attuali standard ambientali e alla diffusione della certificazione ambientale per la salmonicoltura basata sulla norma ISO 14001 su base volontaria. È stato elaborato altresì un codice volontario di buone prassi ambientali che definisce i criteri di sostenibilità per tutte le fasi della salmonicoltura. Si pensava che tali accordi rafforzassero l'efficienza della produzione e la competitività.

Gli attuali problemi del settore dell'acquacoltura cilena, tuttavia, fanno dubitare della validità di tale approccio. Sebbene non si tratti soltanto di un problema ambientale e sanitario (come osservato poc'anzi, anche la politica di pianificazione ha avuto un ruolo importante), è evidente che la regolamentazione dell'acquacoltura non è stata sufficiente a prevenire l'impatto ambientale e i problemi sanitari che il settore si trova ora ad affrontare. Sebbene non sia facile determinare le cause precise delle attuali difficoltà e la loro condizione normativa, alla luce della situazione odierna sembra il sistema di pianificazione e regolamentazione abbia contribuito notevolmente a determinare la presente crisi di epidemie.

A parte i problemi relativi all'inadeguatezza della regolamentazione e le difficoltà attuali, tre sono i vincoli principali per l'acquacoltura cilena:

• adattabilità delle regolamentazioni – uno dei problemi che il settore deve affrontare è conformarsi a regolamentazioni per l'acquacoltura prevalentemente elaborate per la salmonicoltura; per altri settori, come la produzione di cozze, è difficile applicare o osservare alcune di tali disposizioni;

• ritardi normativi – i ritardi, soprattutto in relazione all'autorizzazione dei nuovi siti (la procedura può durare 4-5 anni) costituiscono un significativo onere di pianificazione e finanziario per gli acquicoltori. A causa dei ritardi, le aziende di salmonicoltura aumentano la produzione presso i siti esistenti, anziché creare nuovi siti, causando una maggiore densità e un'esposizione più elevata al rischio di malattie;

• conformità – il grado di conformità alle regolamentazioni è considerato scarso. Sernapesca ritiene che la non osservanza sia dovuta per lo più a problemi di registrazione e al fatto che le informazioni sul sito (p.es. prelievo, movimento dei pesci ecc. ) non vengono trasmesse in tempo. Le ammende variano da 30 a 300 UTM (Unidad Tributaria Mensual), pari a 1 500-15 000 euro e sono considerate da alcuni troppo esigue per fungere da deterrente.

4.2.4. Analisi delle migliori prassi nella regolamentazione dell'acquacoltura cilena

Le modifiche alla legge del 1991, se introdotte così come proposte nell'attuale versione della proposta di legge, apporteranno una serie di notevoli cambiamenti alla normativa cilena in materia di acquacoltura. Tuttavia, le nuove misure sono in gran parte una reazione diretta agli attuali problemi epidemici e riflettono ampiamente le buone prassi già esistenti nella legislazione comunitaria. La proposta di introdurre un meccanismo per l'ipoteca delle concessioni a lungo termine rispecchia invece il sistema norvegese e la necessità di certezza commerciale (e soprattutto d'investimento) per gli acquacoltori, sebbene sia in corso un dibattito politico in Cile per definire se le esigenze di certezza e sicurezza del settore dell'acquacoltura possano essere soddisfatte al meglio mediante tale metodo o mediante i mezzi già esistenti.

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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Per quanto concerne le prassi esistenti, è possibile evidenziare tre aspetti:

• amministrazione a "sportello unico" – come la Norvegia, il Cile applica l'approccio dello sportello unico all'amministrazione dell'acquacoltura. Pertanto, mediante la politica nazionale in materia di acquacoltura del 2003 ("Política Nacional de Acuicultura" - PNA), il governo ha cercato di snellire l'amministrazione e di istituire un quadro per coordinare una serie di politiche e di organismi giuridici relativi all'attività di acquacoltura. A tal fine è stato creato uno sportello unico nel dipartimento per la pesca (Sernapesca) per l'evasione di tutta la documentazione pratica, dei permessi e delle licenze. La maggior parte della documentazione può essere oggi compilata on line. Sebbene questo sistema non sembri aver velocizzato l'evasione delle domande, l'amministrazione è stata notevolmente semplificata;

• un altro importante meccanismo risultante dalla politica del 2003 riguarda l'istituzione della commissione nazionale per l'acquacoltura costituita da rappresentanti del settore pubblico (12) e privato (7). La Commissione ha elaborato ed attuato una serie di piani d'azione annuali volti a: i) migliorare la compatibilità fra gli strumenti di regolamentazione territoriale esistenti applicabili all'acquacoltura; ii) semplificare e decentrare le procedure amministrative per gli utilizzatori e lo Stato; iii) elaborare un regime specifico per l'acquacoltura su piccola scala; iv) valutare e proporre alternative all'attuale regime di brevetti e scadenze; v) rafforzare l'applicazione delle normative ambientali e sanitarie nelle attività acquicole; e vi) redigere un'analisi sulla ricerca e il trasferimento tecnologico associati all'acquacoltura. Quest'approccio di partecipazione pubblico-privato ha contribuito significativamente ad articolare le capacità esistenti del settore e soprattutto a rafforzare la fiducia tra i vari comparti che partecipano alle attività acquicole;

• designazione delle zone acquicole – le zone adibite ad acquacoltura e i confini nelle acque marittime sono stati stabiliti per decreto in otto regioni. Tali zone sono state create in virtù delle attribuzioni generali stabilite dalla legge del 1991, al fine di garantire che le attività acquicole non entrassero in conflitto con altri ambiti (pesca, navigazione, turismo e protezione della natura). Le concessioni non possono essere rilasciate nelle riserve marine (aree di riproduzione degli stock ittici) e nei parchi marini di recente creazione. Non solo la costituzione delle zone acquicole riduce i conflitti, ma facilita l'esercizio e l'insediamento degli allevamenti nelle zone marine.

4.3. Altri paesi

È evidente che, in generale, il quadro normativo nella maggior parte delle altre economie avanzate è simile a quello dell'UE ed è caratterizzato da problemi analoghi – diversi organismi coinvolti, corpus normativo complesso e voluminoso, differenze tra le amministrazioni locali, regionali e nazionali, normativa in materia ambientale e di pianificazione/localizzazione dei siti ecc. Tali problemi esistono anche in altri paesi – compresi importanti paesi acquicoltori come il Vietnam e la Tailandia – dove, tuttavia, gli oneri complessivi tendono ad essere significativamente minori. Presentiamo qui di seguito una breve analisi di alcuni dei principali sviluppi normativi in materia di acquacoltura avvenuti in alcune economie avanzate dedite all'acquacoltura.

4.3.1. Stati Uniti

È ragionevole affermare che in passato il settore dell'acquacoltura negli Stati Uniti è stato caratterizzato una serie di notevoli vincoli normativi. Uno studio pubblicato nel 2004 è giunto alla conclusione che la regolamentazione dell'acquacoltura era costituita da un

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

sistema di politiche e normative complesso, incoerente e caratterizzato da sovrapposizioni, amministrato da numerosi enti statali e federali (US Commission on Ocean Policy, 2004). In particolare, la mancanza di chiare disposizioni normative per l'acquacoltura nelle acque federali (in mare aperto) ha quasi impedito l'acquacoltura nella zona economica esclusiva statunitense (US Exclusive Economic Zone) (Cicin-Sain et. al., 2005, National Oceanic and Atmospheric Administration, 2008) prima dell'introduzione di una legislazione specifica nel 2007. A livello locale, sono giunte lamentele dal settore dell'acquacoltura per quanto concerne l'acquacoltura costiera (litoranea) e nelle acque interne, le regolamentazioni complesse, le licenze variabili e di breve durata, le leggi sull'utilizzo delle acque, le normative ambientali, le leggi in materia di salute e sicurezza, le procedure per il rilascio dei permessi, nonché i requisiti e le complessità che si incontrano nel dialogo con numerosi organismi. Tali problemi continuano a rappresentare un fonte di conflitto (Skladany e Baily 1994).

Tuttavia, sono state operate notevoli riforme per l'acquacoltura offshore, nel 2005 e poi nel 2007, mediante l'adozione di nuovi leggi nazionali sull'acquacoltura in mare aperto (National Offshore Aquaculture Acts). È interessante osservare che sotto diversi punti di vista tali leggi adottano un approccio simile alle migliori prassi individuate più sopra. Per esempio, la legge del 2007 ha semplificato le procedure per l'ottenimento dei permessi, soprattutto mediante la creazione di un sistema di autorizzazione unica (anziché due permessi separati per il sito e per l'attività), e ha esteso da 10 a 20 anni la validità delle licenze, ora cedibili, rinnovabili con incrementi di anni fino a 20 (anziché di 5 anni in 5 anni). Il criterio su cui si basa il processo è quello dello "sportello unico" e il ministro del commercio ha l'obbligo di consultare le agenzie federali, i consigli per la gestione della pesca (Fishery Management Councils) e gli Stati costieri prima di emettere un permesso. La decisione in merito al rilascio di un permesso deve avvenire entro un determinato periodo di tempo. Ciononostante, nessuna delle leggi è riuscita a creare le condizioni necessarie per l'esercizio dell'acquacoltura in mare aperto e di recente un'agenzia federale ha respinto alcune proposte volte a consentire l'acquacoltura offshore29. L'amministrazione Obama ha affermato che elaborerà una regolamentazione federale per l'acquacoltura, compreso un sistema che consenta la piscicoltura in mare aperto, e che demanderà la responsabilità di vigilanza al National Marine Fisheries Service (Winter, 2009).

4.3.2. Canada

Malgrado una tradizione piuttosto lunga e condizioni propizie per l'acquacoltura, il Canada ha un settore acquicolo di dimensioni piuttosto ridotte (circa 170 000 tonnellate nel 2007). Da tempo, quindi, si ritiene che il Canada possa diventare un produttore molto più forte. Malgrado il suo potenziale, i passati tentativi di incentivare il settore hanno dato soltanto risultati modesti. La promozione dell'acquacoltura sta diventando tuttavia un obiettivo di crescente importanza per il ministero della Pesca e degli oceani (DFO), che negli ultimi anni ha varato una serie di strategie e piani. Questi includono una riforma normativa, considerata prioritaria nel piano strategico del DFO per il periodo 2005-2010 (DFO 2005). La riforma normativa e il miglioramento della governance perseguono una serie di obiettivi, tra cui:

• creare sistemi di governance e di regolamentazione trasparenti ed efficienti;

• creare un processo decisionale prevedibile e coerente che riduca anche gli inefficienti, inutili e costosi ritardi;

29 Federal Register, volume 74, numero 81, 29 aprile 2009, www.thefederalregister.com/d.p/2009-04-29-E9-

9462.

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• ridurre gli oneri generati dalle sovrapposizioni a livello federale/provinciale e dall'incertezza e instaurare un approccio responsabile e collaborativo tra le istituzioni;

• istituire un quadro normativo per la gestione del rischio al fine di garantire l'opportuna applicazione della regolamentazione (DFO 2005, 2009).

Nel 2009, il governo ha varato l'iniziativa NASAPI (National Aquaculture Strategic Action Planning Initiative) che fornisce un quadro per la definizione di obiettivi precisi e realistici e attualmente sono in corso le consultazioni per la redazione dei piani strategici nazionali per ciascun sottosettore. L'applicazione sarà favorita da un accordo nazionale avallato dal Consiglio canadese dei ministri della pesca e dell'acquacoltura (CCFAM) e coordinato fra le amministrazioni federali e provinciali/territoriali tramite un memorandum d'intesa o altri meccanismi analoghi (DFO 2009).

4.3.3. Australia

Uno studio del 2004 sugli oneri normativi condotto da un ente governativo australiano (Productivity Commission 2004) ha riscontrato quanto segue:

• la produzione acquicola era soggetta a una serie complessa di normative ed enti in ambiti quali la gestione marittima e costiera, la gestione ambientale, la pianificazione territoriale, il regime fondiario, quarantena e la traslocazione;

• la normativa statale sull'acquacoltura e/o la pesca si poneva molteplici obiettivi, non sempre chiaramente definiti. Talvolta gli obiettivi si sovrapponevano o erano contrastanti e vi erano indicazioni diverse in merito al peso relativo da attribuire a ciascuno di essi;

• i ministeri statali principalmente responsabili per le disposizioni normative in materia di acquacoltura spesso avevano mansioni potenzialmente contrastanti in termini di elaborazione delle politiche, applicazione della regolamentazione, promozione del settore e ricerca e sviluppo;

• alcuni Stati avevano compiuto limitati progressi nella pianificazione della maricoltura;

• nella maggior parte delle giurisdizioni, le procedure di approvazione erano lunghe e complesse.

In risposta allo studio, il governo australiano ha adottato il quadro di migliori prassi per la regolamentazione dell'acquacoltura in Australia ("Best Practice Framework for Regulatory Arrangements for Aquaculture in Australia"), nell'intento di raggiungere un elevato livello di integrazione fra i tre livelli di governo coinvolti nella pianificazione dell'acquacoltura e nei processi di approvazione. Pur riconoscendo che ciascuna giurisdizione disponeva di normative e strutture di gestione differenti, il quadro proponeva l'adozione, col tempo, degli elementi del quadro di "buone prassi" al fine di snellire i processi esistenti e renderli più coerenti fra loro (Department of Agriculture, Fisheries and Forestry, 2005). Il quadro formulava una serie di raccomandazioni di migliori prassi, tra cui:

• adottare un approccio alla gestione dei singoli casi, istituendo uno sportello unico per le richieste di autorizzazione all'acquacoltura;

• creare uno sportello unico per la gestione degli attuali operatori e progetti e il coordinamento dell'iter di approvazione tra gli enti governativi, al fine di evitare la duplicazione del lavoro da parte delle amministrazioni e dei richiedenti;

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

• garantire una pianificazione dell'acquacoltura proattiva e integrata, tenendo conto non soltanto dei fattori ambientali, ma anche delle implicazioni economiche, sociali e di condivisione delle risorse associate all'acquacoltura;

• utilizzare una serie di strumenti di pianificazione, compresa la definizione di zone per l'acquacoltura in relazione, fra l'altro, a una valutazione socioeconomica effettuata con coerenza (nel quadro di tale zonizzazione dovrebbero essere descritti i principi di assegnazione delle risorse, nonché i controlli sugli sviluppi e la gestione applicabili a determinate zone);

• definire un quadro per la concessione di contratti di locazione in virtù dei quali i beneficiari godano del diritto all'accesso, all'occupazione, alla sicurezza e alle condizioni del possesso di acque e terreni demaniali.

Sembra non essere disponibile alcun resoconto dell'attuazione di tale quadro per le migliori prassi, sebbene pare che abbia facilitato il contesto normativo. Il quadro (redatto in consultazione con il settore) è stato accolto favorevolmente dagli operatori; tutti gli Stati e il Northern territory australiani hanno adottato almeno alcune delle raccomandazioni (OCSE, 2007) e alcuni degli Stati lo hanno riconosciuto formalmente nelle rispettive strategie30.

4.3.4. Nuova Zelanda

La Nuova Zelanda ha un settore dell'acquacoltura piuttosto nuovo, che attualmente genera circa 360 milioni di dollari neozelandesi (circa 177 milioni di euro) l'anno. Nei primi anni di sviluppo, il settore ha conosciuto una notevole crescita e si ritiene che abbia un notevole potenziale di sviluppo in futuro. Il governo e il settore si prefiggono infatti di incrementare le entrate del settore a 1 miliardo di dollari neozelandesi (500 milioni di euro) entro il 2025 (Aquaculture New Zealand, 2009). Tuttavia, la crescita sembra essere attualmente frenata e Aquaculture New Zealand – l'associazione di categoria – ha affermato che senza importanti cambiamenti normativi, l'obiettivo di crescita non sarà raggiunto (Aquaculture New Zealand, 2009a).

Nel 2004 si è concluso il processo di riforma della regolamentazione in materia di acquacoltura, con l'approvazione della legge "Aquaculture Reform Act 2004", che tuttavia, secondo il settore, non è in grado di creare un contesto praticabile per l'attività. L'esame della riforma dell'acquacoltura è durato piuttosto a lungo e attualmente il parlamento neozelandese sta esaminando un progetto di legge di modifica ("Aquaculture Legislation Amendment Bill (No. 2)"), al quale una relazione della commissione Primary Production Select Committee ha proposto una serie di emendamenti (Primary Production Committee, 2009). Il settore dell'acquacoltura, in ogni caso, ritiene che gli emendamenti affrontino alcuni problemi tecnici insiti nell'attuale regime, ma che il progetto di legge non contempli aspetti fondamentali, quali l'autorizzazione dell'accesso allo spazio costiero, che continuano a costituire degli ostacoli. Per tale ragione, nel luglio 2009 è stato istituito un gruppo consultivo sull'acquacoltura (Aquaculture Technical Advisory Group), nell'intento di elaborare delle raccomandazioni per migliorare il regime dell'acquacoltura da sottoporre ai ministri nel novembre 2009.

30 Cfr., p.es., Aquaculture Advisory Group, Victorian Aquaculture Strategy: The Action Plan (2008).

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

5. ANALISI E RACCOMANDAZIONI L'analisi e le raccomandazioni seguenti sono state elaborate mediante tre domande, sulla base dei risultati della presente relazione: 1) Quali sono i problemi? 2) Cosa si può imparare dai paesi terzi? 3) Quali sono le possibili soluzioni per l'acquacoltura europea? Le raccomandazioni sono riassunte al termine di questo capitolo.

5.1. Quali sono i problemi?

Dal presente studio è emerso chiaramente che il regime dell'acquacoltura nell'UE presenta diversi problemi normativi. A livello comunitario, si osservano i seguenti principali vincoli:

• la mancanza di un approccio comune alle licenze genera difficoltà nelle procedure di licenza a livello locale (ritardi, incoerenze, riluttanza a concedere le licenze ecc.);

• l'accesso a siti adatti all'acquacoltura può risultare difficile perché l'acquacoltura non è considerata alla stessa stregua di altre attività. La politica marittima offre nuove opportunità in relazione alla pianificazione degli spazi marittimi e costieri, ma attualmente essa non contiene indicazioni chiare in merito alla pianificazione dell'acquacoltura;

• vi sono preoccupazioni in merito alla possibilità che la direttiva quadro "Acque" limiti lo sviluppo dell'acquacoltura; in particolare, la protezione delle acque per molluschicoltura suscita particolari timori;

• la predazione degli stock allevati da parte di specie protette rappresenta un grande problema per il settore e sebbene i meccanismi giuridici per una migliore gestione esistano, vi sono incertezze in merito alla loro interpretazione;

• l'applicazione delle norme sulla VIA a livello locale è fonte di preoccupazione, poiché spesso frena lo sviluppo dell'acquacoltura.

Accanto ai suddetti problemi, considerati più sostanziali, ve ne sono altri di natura più tecnica. Si intende che in tali ambiti, gli interrogativi normativi e le possibili risposte sono piuttosto chiari, ma si tratta soprattutto di trovare la soluzione tecnico-legislativa e il momento di inserirla nell'agenda di regolamentazione. Rientrano in tale categoria i seguenti aspetti:

• nell'ambito della legislazione sulla salute degli animali acquatici sussistono alcuni problemi di natura tecnica per il settore dell'acquacoltura;

• i vincoli normativi impediscono la piena accessibilità commerciale dei farmaci veterinari;

• non sono state definite norme dettagliate per l'acquacoltura biologica, sebbene il quadro legislativo esista.

A livello di Stati membri, le difficoltà cominciano ad aumentare. È significativo che negli Stati membri si riscontrino per lo più gli stessi problemi e che molti di essi siano strettamente legati a questioni a livello comunitario. I principali vincoli riscontrati nei paesi possono essere così riassunti.

• Francia: concorrenza e accesso ai siti e autorizzazione dei nuovi impianti; problemi con la VIA; introduzione di controlli ambientali più severi che altrove; proliferazione di specie protette di uccelli predatori; differenze a livello di dipartimenti

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Unità tematica B: Politiche strutturali e di coesione

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nell'interpretazione delle norme in materia di salute degli animali; difficoltà in merito alla legge successione e/o alla cessione di imprese.

• Grecia: necessità di una revisione completa del sistema normativo; difficoltà di insediamento delle imprese acquicole nelle zone marittime e costiere dove il turismo rappresenta una delle principali attività concorrenti.

• Italia: mancanza di armonizzazione, incoerenze, incertezza e ritardi nei processi amministrativi e normativi a causa dell'esistenza di un elevato numero di leggi ed enti amministrativi coinvolti; sovrapposizione delle responsabilità o competenze non chiaramente definite; differenze nell'amministrazione, regolamentazione ed esecuzione tra enti regionali; licenze (il rilascio di autorizzazioni e permessi, soprattutto per i nuovi impianti, avviene solo dopo lunghe e approfondite indagini burocratiche); pianificazione delle zone costiere/marittime (la maggior parte delle amministrazioni regionali possiede piani di gestione marittima molto basilari); sostegno agli standard biologici.

• Spagna: complessità nella trasposizione e applicazione della legislazione comunitaria; corrispondenti difficoltà nella legislazione nazionale, che determinano l'esistenza di numerose procedure giuridiche e normative e istituzioni coinvolte; notevole livello di decentramento del potere normativo e di elaborazione delle politiche alle comunità autonome; mancanza di un quadro amministrativo favorevole; mancanza di coerenza legislativa fra gli ordinamenti delle comunità autonome; mancanza di coordinamento amministrativo o normativo a livello istituzionale; esistenza di sistemi legislativi ed esecutivi autonomi diversi, che comporta una proliferazione di leggi; complessità delle procedure amministrative per l'ottenimento delle autorizzazioni; disparità fra le comunità autonome nell'applicazione dei diritti portuali e altre tasse; mancanza di una definizione degli usi delle zone costiere; significativi vincoli causati dalla presenza di siti Natura 2000.

• Regno Unito: ritardi nella procedura di rilascio delle licenze; incertezza dell'esito delle domande di licenza; ricorso sproporzionato al principio di precauzione; soglie elevate per le VIA.

Anche senza un'ulteriore analisi, appare evidente che i vincoli normativi sono notevoli. Ciononostante, i seguenti principi di una migliore regolamentazione, illustrati all'inizio del presente studio, sono tutt'ora validi e dovrebbero essere applicati.

Proporzionalità: non sembrano esservi, prima facie, significative lamentele di sproporzionalità della legislazione. Nel complesso, il settore dell'acquacoltura accetta la necessità di una normativa ambientale rigorosa, sebbene vi siano naturalmente casi specifici di lagnanza. L'applicazione di alcune normative, tuttavia, soprattutto in relazione all'effettuazione delle VIA, è oggetto di maggiori recriminazioni.

Coerenza: a tutti i livelli, ma soprattutto a livello di Stato membro, si lamenta un'incoerenza (per esempio, diverse formulazioni e interpretazioni in merito alle norme e procedure di licenza).

Trasparenza: pur essendo piuttosto aperta, la legislazione, a tutti i livelli, non sempre risulta semplice e di facile uso. Vi è un ampio margine per l'elaborazione di maggiori orientamenti per l'attuazione.

Azione mirata: non tutta la legislazione è mirata; a causa della loro genericità, alcune norme non sempre sono applicabili all'acquacoltura.

Responsabilità: in generale, il livello di responsabilità sembra essere ragionevole.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

5.2. Cosa si può imparare dai paesi terzi?

Riassumiamo di seguito alcuni dei principali insegnamenti che possiamo trarre dai paesi terzi e che potrebbero essere potenzialmente applicati nel contesto comunitario.

• Quadro giuridico completo e specifico per l'acquacoltura (Norvegia): in linea di principio potrebbe essere elaborato anche nell'UE (di questo tratteremo più approfonditamente nel prossimo paragrafo).

• Sistema a "sportello unico" per l'evasione delle domande di licenza per l'acquacoltura (Norvegia, Cile e altri). Un sistema a sportello unico in ciascuno Stato membro potrebbe ridurre notevolmente l'onere burocratico per gli acquicoltori e, se opportunamente attuato, potrebbe ridurre i tempi di evasione delle domande e garantire che un unico organismo competente in materia di acquacoltura gestisca il processo.

• Orientare la legislazione ambientale specificatamente all'acquacoltura o includere delle condizioni specifiche per il settore dell'acquacoltura (Norvegia).

• Istituire un ente per la pesca che funga da "autorità competente" per la VIA e fissare una soglia specifica per la valutazione dell'acquacoltura (Norvegia).

• Introdurre un diritto di cessione e ipoteca delle licenze di acquacoltura che consenta la cessione di una licenza tra privati senza la necessità di ottenere un'autorizzazione pubblica o un'ulteriore licenza.

• Elaborare un quadro di migliori prassi (Australia).

5.3. Quali sono le possibili soluzioni per l'acquacoltura europea?

5.3.1. Margine d'azione a livello comunitario

Prima di proporre delle soluzioni concrete, è necessario riflettere sul margine d'azione esistente a livello comunitario, ricordando quanto segue. Alcune misure non sono di competenza dell'UE, per esempio, molti aspetti della pianificazione terrestre non rientrano nel campo di applicazione delle normative comunitarie. Il diritto degli Stati membri di adottare misure di protezione ambientali più rigorose è sancito dal trattato, sebbene esso non debba essere esercitato in modo tale da costituire una restrizione illegittima ad altri diritti sanciti dal trattato. L'acquacoltura rientra fra le disposizioni sull'agricoltura e pesca del trattato e consiste prevalentemente nell'allevamento di animali acquatici. Pertanto, come osservato dalla Commissione (Commissione europea, 2009):

• l'acquacoltura consiste in primo luogo nell'allevamento di animali acquatici, di conseguenza deve conformarsi agli obiettivi dell'UE di incrementare la produttività, assicurare un tenore di vita equo per gli allevatori, stabilizzare i mercati e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti (cfr. articoli 32-38 del trattato). In termini concreti, l'acquacoltura fa parte della PCP (regolamento (CE) n. 2371/2002) e il Consiglio ha deciso in particolare che l'UE deve fornire un sostegno specifico all'acquacoltura nell'ambito del FEP (regolamento (CE) n. 1168/2006).

• L'acquacoltura consiste nell'allevamento di animali destinato alla produzione alimentare: lo sviluppo dell'acquacoltura non concerne quindi soltanto la garanzia di un livello elevato di protezione della salute e del benessere degli animali allevati (cfr. articolo 37 del trattato), ma deve essere visto anche in termini di politica alimentare. Le attività e i prodotti dell'acquacoltura devono quindi conformarsi ai livelli elevati di sicurezza alimentare e di protezione dei consumatori dell'UE (cfr. articoli 152 e 153 del trattato).

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• L'UE mira a garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente. L'acquacoltura utilizza risorse naturali di alta qualità, principalmente l'acqua, pertanto deve essere sostenibile e compatibile con tali livelli elevati di protezione ambientale (cfr. articoli 174 e 175 del trattato).

• Infine, l'acquacoltura consiste principalmente nell'allevamento di organismi marini: lo sviluppo dell'acquacoltura in mare e nelle zone costiere deve avvenire su un piano di parità con altre attività, come la pesca e il turismo, e deve essere visto anche nel contesto dello sviluppo di una politica marittima europea integrata.

Le questioni giuridiche relative alla competenza e all'interpretazione dei diritti sanciti dai trattati sono chiaramente complesse ed esulano dal campo di analisi del presente studio. In via generale, tuttavia, si ricordi che l'UE può intervenire qualora la questione rientri nel campo di applicazione della politica in materia di acquacoltura o ambiente (entro i limiti sopra descritti).

5.3.2. Una politica comune dell'acquacoltura?

Forse la prima domanda che sorge spontanea è se via sia la necessità di una politica comune dell'acquacoltura. A tale domanda, tuttavia, non è possibile rispondere in questa sede, poiché essa esula dal ristretto campo di analisi del presente studio (le questioni normative e giuridiche sono solo uno dei molteplici aspetti che sarebbe necessario considerare prima di proporre la creazione di una politica comune dell'acquacoltura). Per giunta, questa è principalmente una questione di politica e non giuridico-normativa.

Ciò premesso, è utile fare alcune osservazioni. Si consideri, in primo luogo, che in generale l'idea di una politica comune dell'acquacoltura non ha riscosso un grande sostegno nella strategia riveduta del 2009 (cfr. la posizione dell'Associazione finlandese dei piscicoltori) e che, nel complesso, i soggetti interessati del settore dell'acquacoltura sembrano condividere l'approccio della strategia. In secondo luogo, i risultati ottenibili mediante una politica comune dell'acquacoltura sarebbero comunque soggetti a limitazioni, poiché alcuni elementi del contesto normativo non rientrano nel campo di applicazione delle disposizioni del trattato in materia di pesca e, addirittura, neppure nel campo di applicazione del diritto comunitario. Infine, non è sicuro che la politica comune dell'acquacoltura possa essere motivata: in altri termini, non è stato ancora dimostrato che l'acquacoltura possa essere regolamentata efficacemente (e possano essere eliminati i problemi individuati nella presente relazione) soltanto mediante una politica comune.

Per contro, la strategia del 2002 è risultata solo parzialmente efficace e permangono dei dubbi sulla capacità della strategia riveduta del 2009 di fornire una base sufficiente per affrontare in modo completo le difficoltà normative (soprattutto alla luce del numero di lacune individuate dal presente studio). Ciononostante, vi sono solide argomentazioni a favore di una leadership politica e di un orientamento normativo a livello UE, poiché l'esistenza di un quadro comune favorirebbe l'adozione di un approccio coerente nei diversi ambiti della politica e a diversi livelli amministrativi (UE, Stati membri, livello regionale e locale). Tale strumento potrebbe risultare particolarmente utile per incrementare la coerenza e colmare le lacune in ambiti in cui è difficile per l'UE svolgere una funzione normativa (p.es. per via della sussidiarietà).

Tali conclusioni, pertanto, suggeriscono la necessità di trovare un punto d'intervento intermedio fra l'attuale strategia e una nuovo politica completa. Tale riforma legislativa e normativa potrebbe includere i seguenti elementi:

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

• introduzione di una nuova legislazione comunitaria, laddove le attuali norme dell'UE o l'assenza di norme renda necessaria l'uniformazione della legislazione a livello europeo;

• la modifica della legislazione attuale, laddove essa è inefficace, necessita di una semplificazione o crea un vincolo ingiustificato;

• l'elaborazione di una politica più completa, dettagliata e mirata e di un quadro di orientamento;

• una maggiore promozione degli obiettivi della politica (p.es. strumenti come la strategia).

La relazione conclude che è opportuno utilizzare una combinazione di tali approcci, come descritto nelle seguenti raccomandazioni. Pertanto, ove appropriato, occorre operare un'appropriata riforma legislativa, da coordinarsi e integrarsi mediante approcci strategici tra cui l'elaborazione di una dettagliata politica e di un quadro di orientamento per l'attuazione (un "quadro di migliori prassi", secondo il modello australiano). Tale quadro potrebbe essere costituito da una serie completa di dichiarazioni e orientamenti sull'applicazione delle norme comunitarie e degli Stati membri in materia di acquacoltura, che potrebbero essere collegati tra loro da linee guida tecniche più dettagliate, come i vari codici del settore attualmente in uso31. La migliore prassi potrebbe rappresentare uno strumento particolarmente utile per rafforzare la coerenza e colmare le lacune negli ambiti in cui è difficile per l'UE svolgere una funzione di regolamentazione (p.es. per via della sussidiarietà).

RACCOMANDAZIONI Utilizzare una serie di misure legislative e normative da coordinarsi e integrarsi mediante una politica e un orientamento per l'applicazione sotto forma di "quadro di buone prassi" per l'acquacoltura europea. Tale quadro potrebbe definire i principi e costituire la base per l'elaborazione di un orientamento specifico per la regolamentazione dell'acquacoltura sia a livello comunitario, sia a livello di Stati membri.

5.3.3. Licenze

Diversi vincoli individuati riguardano le procedure di licenza impiegate negli Stati membri. Uno dei problemi è rappresentato semplicemente dall'incoerenza: l'esistenza di procedure e approcci diversi non solo tra uno Stato membro e l'altro, ma anche all'interno dei singoli Stati. Vi sono inoltre problemi comuni in relazione alla modalità di gestione delle licenze: sono coinvolti tipicamente numerosi organismi diversi; spesso è necessario ottenere più di una licenza o permesso; le procedure di presentazione della domanda non sono congiunte, possono avere durate variabili e, nel complesso, l'intero processo può durare anche diversi anni; l'esito delle domande è imprevedibile; il periodo di validità delle licenze non è sufficiente a promuovere la certezza e l'affidabilità dell'investimento.

È difficile ipotizzare un miglioramento generale della situazione senza un intervento legislativo a livello comunitario. Un quadro di orientamento coordinato sarebbe utile, ma difficilmente promuoverebbe il livello di cambiamento e di coerenza richiesto. Dall'analisi precedente consegue che l'UE potrebbe intervenire in tale ambito, fatte salve le limitazioni del caso. Dopo tutto, da un punto di vista giuridico, la licenza per l'acquacoltura ha la

31 Esistono già diversi "codici di buone prassi" nell'UE (p.es. il Codice di condotta della FEAP) e a livello di Stati

membri, ma devono essere consolidati (cfr. Huntington et al, 2006).

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stessa natura della licenza di pesca. In passato la posizione dell'UE era stata giustificata dalla sussidiarietà, ma è difficile capire come si possa applicare il principio di sussidiarietà in presenza di una tale eterogeneità di condizioni fra gli Stati membri e di impedimenti al raggiungimento degli obiettivi comunitari generati dai vincoli normativi.

Si dovrebbe pertanto esaminare la possibilità di istituire una licenza europea per l'acquacoltura, in piena consultazione con i soggetti interessati. Istituire un sistema unico non è semplice, naturalmente, e sarebbe necessario considerare altre questioni giuridiche (in particolare, il rapporto fra la licenza per l'acquacoltura e gli elementi del processo di autorizzazione che rientrano fra le competenze degli Stati membri o che continuano a essere giustificati sulla base della sussidiarietà). Tuttavia, tale possibilità merita chiaramente di essere esaminata. La considerazione di una possibile licenza europea per l'acquacoltura deve tener conto dei principi di migliore prassi sopra elencati. In particolare, occorre semplificare la procedura, per esempio istituendo dei sistemi standard di presentazione della domanda, preferibilmente utilizzando le tecnologie on line, con processi a "sportello unico" (che sarebbero in linea con lo "Small Business Act" per l'Europa32). Le licenze dovrebbero essere concesse per un periodo di tempo ragionevole e compatibile con la specificità e le esigenze dell'attività di acquacoltura in questione e si dovrebbero stabilire chiare condizioni per il rinnovo, procedure comprensibili e limiti di tempo per l'assunzione delle decisioni.

RACCOMANDAZIONI Esaminare la possibilità di istituire una licenza europea per l'acquacoltura, in piena consultazione con i soggetti interessati. Accanto a ciò occorre considerare l'utilizzo di modelli di buone prassi (a tal proposito la legge norvegese in materia di acquacoltura rappresenta un modello particolarmente utile), come un sistema a sportello unico, limiti di tempo per l'assunzione di decisioni, periodi di validità standard ecc.

5.3.4. Pianificazione degli spazi e degli accessi

Per quanto riguarda la pianificazione degli spazi e degli accessi, il problema principale è rappresentato dal fatto che spesso l'acquacoltura non viene considerata alla stessa stregua degli altri utilizzatori. Ciò può essere dovuto alla scarsa conoscenza del settore, agli interessi ambientali (non sempre convalidati) o alla preferenza accordata a settori concorrenti, come il turismo. Il settore dell'acquacoltura, pertanto, non viene tenuto in considerazione durante i processi di pianificazione e decisionali, anzi, talvolta viene sopraffatto da altre attività. Pertanto, occorre in primo luogo promuovere un piano di parità per l'acquacoltura e un riconoscimento per il settore. Tale aspetto non richiede un intervento normativo, ma potrebbe beneficiare del contributo di modelli quali la strategia o il quadro di migliori prassi. Inoltre, per quanto concerne la pianificazione terrestre, perlomeno, vi è un ridotto margine d'intervento dell'UE. Per contro, la politica marittima offre opportunità in relazione alla pianificazione degli spazi marittimi. In tale contesto, è opportuno valutare la possibilità di definire un approccio specifico per l'acquacoltura.

32 COM(2008) 394.

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RACCOMANDAZIONI • Promuovere la posizione dell'acquacoltura nella gestione integrata delle zone costiere e nella pianificazione degli spazi marittimi e considerare le possibilità di definizione di un approccio specifico all'attribuzione di siti per l'acquacoltura.

• Garantire che la pianificazione spaziale delle acque interne integri appieno le esigenze e i valori dell'acquacoltura d'acqua dolce.

5.3.5. Direttiva quadro "Acque"

In questa fase è difficile evidenziare reali vincoli derivanti dall'applicazione della direttiva quadro "Acque" poiché le preoccupazioni riguardano soprattutto l'applicazione futura. La pubblicazione della prima ondata di piani di gestione dei bacini idrografici alla fine del 2009 sarà la prima occasione per valutare gli impatti sull'acquacoltura, anche se non completamente. Qualsiasi strategia, pertanto, deve contemplare esigenze fondamentali quali facilitare la partecipazione dei soggetti interessati del settore acquicolo ai processi di sviluppo e consultazione e assicurare che essi siano costantemente informati. Occorre altresì monitorare l'applicazione delle direttive per determinare l'eventuale necessità di modifiche, soprattutto nel caso delle acque per molluschicoltura.

RACCOMANDAZIONI • Garantire un assiduo coordinamento e l'opportuna partecipazione dei soggetti interessati del settore acquicolo ai processi e alle consultazioni relativi alla direttiva quadro "Acque".

• Garantire che il settore dell'acquacoltura sia costantemente informato, per assicurare la giusta applicazione della direttiva quadro "Acque" e della direttiva sulla strategia per l'ambiente marino per quanto concerne le attività di acquacoltura.

• Valutare sistematicamente l'eventuale necessità di modificare alcune parti del quadro legislativo ai fini dell'acquacoltura (p.es. le acque per molluschicoltura).

• Considerare l'elaborazione di orientamenti di attuazione specifici.

5.3.6. Predazione da parte di specie protette

La predazione degli stock allevati da parte di cormorani, aironi, foche e altre specie protette dalla legislazione comunitaria sulla conservazione della natura (principalmente la direttiva "Uccelli selvatici" e la direttiva "Habitat") costituisce un grave problema per l'acquacoltura europea. Si rammenti che tale situazione è il risultato delle difficoltà di attuazione e applicazione delle disposizioni normative e non di un'inadeguata normazione, poiché entrambe le direttive consentono agli Stati membri di adottare misure per limitare l'impatto delle specie protette al fine di prevenire "gravi danni" alla pesca e alle acque (a condizione che "non esista un'altra soluzione valida" e che la deroga "non pregiudichi il mantenimento [...] delle popolazioni" delle specie protette). In particolare, vi è una notevole incertezza in merito al significato delle frasi fondamentali "non esista un'altra soluzione valida", "non pregiudichi il mantenimento [...] delle popolazioni" e "gravi danni", nonché alle norme ad esse applicabili. Per giunta, importanti ricerche condotte sui cormorani sono giunte a conclusioni "sostanzialmente contraddittorie".

Tali difficoltà creano un vincolo a livello di governo, poiché le disposizioni di deroga in questione sono rivolte agli Stati membri, anziché al singolo operatore. In mancanza di chiarezza sull'interpretazione delle disposizioni operative e di prove conclusive in merito agli

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impatti, i decisori non possono stabilire con certezza se le misure adottate per il controllo della predazione siano conformi alle direttive "Uccelli selvatici" o "Habitat".

Per risolvere tali problemi si dovrebbero elaborare chiari orientamenti sull'interpretazione degli aspetti ambigui dell'articolo 9 della direttiva "Uccelli selvatici" e dell'articolo 16 della direttiva "Habitat", nonché orientamenti pratici sull'adozione di misure di prevenzione e mitigazione a norma di tali disposizioni. Tali orientamenti devono basarsi su un consenso scientifico, che dovrà essere raggiunto laddove la ricerca ha prodotto conclusioni contrastanti. Tali misure forniranno un triplice vantaggio agli Stati membri: 1) li rassicureranno in merito al rischio di incorrere in procedimenti di infrazione avviati dalla Commissione per inosservanza delle direttive; 2) rappresenteranno un quadro affidabile per i processi decisionali nazionali; 3) valideranno le argomentazioni politiche in merito alla necessità di una gestione dei predatori.

Per quanto riguarda i cormorani, si dovrebbero seguire le raccomandazioni espresse dal Parlamento europeo nella risoluzione n. 2008/2177, soprattutto per quanto concerne il piano di gestione della popolazione di cormorani in diverse fasi, coordinate a livello europeo.

RACCOMANDAZIONI • La Commissione dovrebbe elaborare, in consultazione con gli Stati membri e i soggetti interessati, orientamenti sull'interpretazione giuridica e l'applicazione delle disposizioni in materia di risoluzione dei conflitti delle direttive "Uccelli selvatici" e "Habitat" (in particolare in merito al significato delle frasi fondamentali "non esista un'altra soluzione valida", "non pregiudichi il mantenimento [...] delle popolazioni" e "gravi danni").

• Gli Stati membri dovrebbero recepire, ove opportuno, gli orientamenti della Commissione nelle loro procedure amministrative nazionali.

• Occorre adoperarsi ulteriormente per raggiungere un consenso scientifico sui conflitti, in particolare per quanto concerne i cormorani, al fine di fornire una base affidabile per il processo decisionale.

• Per quanto riguarda il caso specifico dei cormorani, si dovrebbero attuare le raccomandazioni del Parlamento europeo, soprattutto in merito all'elaborazione di un piano coordinato di gestione delle popolazioni e di orientamenti sulle buone prassi per la prevenzione e la mitigazione dei conflitti.

5.3.7. Valutazione dell'impatto ambientale

Il presente studio ha osservato che l'ampia varietà delle procedure di VIA esistente non solo fra gli Stati membri, ma anche all'interno di essi, determina una notevole mancanza di coerenza sulla necessità delle valutazioni d'impatto ambientale stesse, sui tempi impiegati per effettuarle, su ciò che è richiesto durante il processo e sulle prospettive di ottenere l'autorizzazione. L'approccio adottato in Norvegia – designazione della direzione per la pesca quale autorità competente e definizione di disposizioni normative o approcci regolamentari specifici per la VIA in relazione all'acquacoltura – potrebbe migliorare la situazione per gli acquicoltori. Nella pratica, tuttavia, un intervento legislativo dell'UE in tal senso sarebbe molto difficile da realizzare. In primo luogo, infatti, la direttiva VIA stabilisce già che spetta agli Stati membri designare l'autorità competente (che in linea di principio potrebbe essere l'autorità responsabile per la pesca, ma la decisione compete comunque allo Stato membro). In secondo luogo, la regolamentazione della VIA in un settore specifico minerebbe l'impianto generale della direttiva (che fornisce il quadro generale per la VIA,

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

ma lascia agli Stati membri la definizione dell'approccio dettagliato) e genererebbe uno squilibrio rispetto agli altri settori. In terzo luogo, rimarrebbe comunque la questione delle misure più rigorose che possono essere adottate a livello di Stato membro.

L'approccio più realistico (e forse in ogni caso più efficace) consiste nel valutare la possibilità di definire criteri e/o orientamenti per la VIA nel settore dell'acquacoltura. Ciò può comprendere anche l'elaborazione di un quadro di migliori prassi contenente approcci e orientamenti comuni.

Per i siti situati in "zone costiere sensibili" (p.es. le ZSC/ZPS nel quadro di Natura 2000), occorre migliorare l'inclusione di un'appropriata valutazione e di altri meccanismi per inserire l'acquacoltura nella pianificazione degli usi (cfr. Huntington et al, 2006). RACCOMANDAZIONI • Valutare la possibilità di elaborare criteri e orientamenti specifici per l'acquacoltura e/o di inserire la VIA per l'acquacoltura nel quadro delle migliori prassi, al fine sia di sviluppare standard minimi comuni e orientamenti per la realizzazione della VIA per l'acquacoltura, sia di promuovere il riconoscimento dell'acquacoltura quale fruitore dello spazio.

• Per i siti situati in "zone costiere sensibili" (p.es. le ZSC/ZPS nel quadro di Natura 2000), occorre migliorare l'inclusione di un'appropriata valutazione e di altri meccanismi per inserire l'acquacoltura nella pianificazione degli usi.

5.3.8. Altre questioni

Come già osservato, alcune normative comportano una serie di problemi tecnici, che generano vincoli regolamentari. In sintesi, tali problemi riguardano l'elenco delle malattie e delle procedure di valutazione del rischio di cui alla legislazione sulla salute degli animali acquatici; l'applicazione delle norme comunitarie in materia di benessere degli animali ai pesci; l'esistenza di vincoli normativi che impediscono la piena accessibilità ai farmaci veterinari; e la definizione di norme dettagliate per l'acquacoltura biologica e il completamento del quadro giuridico per la produzione biologica istituito dal regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio.

RACCOMANDAZIONI • Salute degli animali acquatici: monitorare continuamente l'elenco delle malattie importanti per gli animali acquatici; valutare le garanzie complementari per talune malattie adottate a livello di Stato membro.

• Benessere degli animali: valutare le questioni relative al benessere dei pesci al fine di stabilire la valenza di misure non legislative o eventualmente legislative; proporre la revisione di alcune disposizioni del regolamento sul trasporto degli animali (regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio).

• Farmaci veterinari: adottare la proposta di un nuovo regolamento sui limiti dei residui massimi (cercando nel contempo di assicurare disposizioni di particolare interesse per l'acquacoltura).

• Norme dettagliate per l'acquacoltura biologica: completare l'opera di definizione di norme dettagliate per l'acquacoltura biologica e ultimare il quadro giuridico per la produzione biologica istituito mediante regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio.

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È stato evidenziato inoltre l'aspetto delle regole del commercio internazionale. La questione del dumping e di altre importazioni a basso prezzo suscita particolari apprensioni, soprattutto vista la disponibilità di salmone a basso costo in paesi come la Norvegia e il Cile. Le relazioni commerciali internazionali non sono complesse, e spesso controverse, soltanto da un punto di vista politico e giuridico, ma anche commerciale, poiché le misure concepite per proteggere i produttori dell'UE non sempre tutelano i più ampi interessi dell'industria europea. Alla luce di tali questioni, le istituzioni dell'UE devono assumere un ruolo guida proattivo nell'agenda del commercio internazionale, per reagire efficacemente alle minacce commerciali che incombono sul settore dell'acquacoltura e, ove possibile, per fornire chiarimenti in merito all'applicazione delle norme commerciali. Quanto a un intervento nell'ambito delle organizzazioni commerciali internazionali, è necessario che le istituzioni dell'UE coinvolte (comprese le DG MARE, SANCO e TRADE) agiscano in modo coordinato per garantire che gli interessi del settore dell'acquacoltura europea siano efficacemente rappresentati. RACCOMANDAZIONI • L'UE dovrebbe continuare a svolgere un ruolo di primo piano nell'agenda commerciale internazionale e le istituzioni dell'UE coinvolte dovrebbero coordinare al massimo il loro operato per garantire che gli interessi del settore dell'acquacoltura europea siano efficacemente rappresentati.

5.4. Sintesi delle raccomandazioni

Quadro di migliori prassi

• Utilizzare una serie di misure legislative e normative da coordinarsi e integrarsi mediante una politica e un orientamento per l'applicazione sotto forma di "quadro di buone prassi" per l'acquacoltura europea. Tale quadro potrebbe definire i principi e costituire la base per l'elaborazione di un orientamento specifico per la regolamentazione dell'acquacoltura sia a livello comunitario, sia a livello di Stati membri.

Licenze

• Esaminare la possibilità di istituire una licenza europea per l'acquacoltura, in piena consultazione con i soggetti interessati. Accanto a ciò occorre considerare l'utilizzo di modelli di buone prassi (a tal proposito la legge norvegese in materia di acquacoltura rappresenta un modello particolarmente utile), come un sistema a sportello unico, limiti di tempo per l'assunzione di decisioni, periodi di validità standard ecc.

Pianificazione degli spazi e degli accessi

• Promuovere la posizione dell'acquacoltura nella gestione integrata delle zone costiere e nella pianificazione degli spazi marittimi e considerare le possibilità di definizione di un approccio specifico all'attribuzione di siti per l'acquacoltura.

• Garantire che la pianificazione spaziale delle acque interne integri appieno le esigenze e i valori dell'acquacoltura d'acqua dolce.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

Direttiva quadro "Acque"

• Garantire un assiduo coordinamento e l'opportuna partecipazione dei soggetti interessati del settore acquicolo ai processi e alle consultazioni relativi alla direttiva quadro "Acque".

• Garantire che il settore dell'acquacoltura sia costantemente informato, per assicurare la giusta applicazione della direttiva quadro "Acque" e della direttiva sulla strategia per l'ambiente marino per quanto concerne le attività di acquacoltura.

• Valutare sistematicamente l'eventuale necessità di modificare alcune parti del quadro legislativo ai fini dell'acquacoltura (p.es. le acque per molluschicoltura).

• Considerare l'elaborazione di orientamenti di attuazione specifici.

Predazione da parte di specie protette

• La Commissione dovrebbe elaborare, in consultazione con gli Stati membri e i soggetti interessati, orientamenti sull'interpretazione giuridica e l'applicazione delle disposizioni in materia di risoluzione dei conflitti delle direttive "Uccelli selvatici" e "Habitat" (in particolare in merito al significato delle frasi fondamentali "non esista un'altra soluzione valida", "non pregiudichi il mantenimento [...] delle popolazioni" e "gravi danni").

• Gli Stati membri dovrebbero recepire, ove opportuno, gli orientamenti della Commissione nelle loro procedure amministrative nazionali.

• Occorre adoperarsi ulteriormente per raggiungere un consenso scientifico sui conflitti, in particolare per quanto concerne i cormorani, al fine di fornire una base affidabile per il processo decisionale.

• Per quanto riguarda il caso specifico dei cormorani, si dovrebbero attuare le raccomandazioni del Parlamento europeo, soprattutto in merito all'elaborazione di un piano coordinato di gestione delle popolazioni e di orientamenti sulle buone prassi per la prevenzione e la mitigazione dei conflitti.

Valutazione dell'impatto ambientale

• Valutare la possibilità di elaborare criteri e orientamenti specifici per l'acquacoltura e/o di inserire la VIA per l'acquacoltura nel quadro delle migliori prassi, al fine sia di sviluppare standard minimi comuni e orientamenti per la realizzazione della VIA per l'acquacoltura, sia di promuovere il riconoscimento dell'acquacoltura quale fruitore dello spazio.

• Per i siti situati in "zone costiere sensibili" (p.es. le ZSC/ZPS nel quadro di Natura 2000), occorre migliorare l'inclusione di un'appropriata valutazione e di altri meccanismi per inserire l'acquacoltura nella pianificazione degli usi.

Altre questioni

• Salute degli animali acquatici: monitorare continuamente l'elenco delle malattie importanti per gli animali acquatici; valutare le garanzie complementari per talune malattie adottate a livello di Stato membro.

• Benessere degli animali: valutare le questioni relative al benessere dei pesci al fine di stabilire la valenza di misure non legislative o eventualmente legislative; proporre la revisione di alcune disposizioni del regolamento sul trasporto degli animali (regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio).

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• Farmaci veterinari: adottare la proposta di un nuovo regolamento sui limiti dei residui massimi (cercando nel contempo di assicurare disposizioni di particolare interesse per l'acquacoltura).

• Norme dettagliate per l'acquacoltura biologica: completare l'opera di definizione di norme dettagliate per l'acquacoltura biologica e ultimare il quadro giuridico per la produzione biologica istituito mediante regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio.

• L'UE dovrebbe continuare a svolgere un ruolo di primo piano nell'agenda commerciale internazionale e le istituzioni dell'UE coinvolte dovrebbero coordinare al massimo il loro operato per garantire che gli interessi del settore dell'acquacoltura europea siano efficacemente rappresentati.

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Vincoli normativi e giuridici dell'acquacoltura europea

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RuoloLe unità tematiche sono unità di ricerca che forniscono consulenza specializzata alle commissioni, alle delegazioni interparlamentari e ad altri organi parlamentari.

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