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Associazione Italiana di Radioprotezione Medica, Via Isidoro del Lungo 7, 00137 Roma (RM) - www.airm.name

PERIODICO SEMESTRALE DESTINATO AI SOCI DELLA ASSOCIAZIONE ITALIANA DI RADIOPROTEZIONE MEDICA FONDATO DA ERNESTO STRAMBI

ANNO XXVIII, N.1 (GIUGNO 2020)

Direttore: Responsabile:

Roberto Moccaldi Franco Claudiani

Redazione:

Realizzazione elettronica:

Dario Marino - [email protected]

Alessandro Arru Giulia Castellani Valerio Ciuffa Franco Claudiani

Giuseppe De Luca Fabrizio Gobba Vittorio Lodi Roberto Moccaldi

Benedetta Persechino Andrea Stanga Giuseppe Taino Massimo Virgili

Il periodico è disponibile sul sito www.airm.name per i Soci AIRM in regola con le quote sociali. I contenuti degli articoli sono di

esclusiva responsabilità degli autori e non implicano necessariamente la posizione ufficiale dell’Associazione. Non è consentita la riproduzione, anche parziale, senza il consenso scritto dell’Associazione. Per esigenze editoriali la redazione può apportare modifiche ai

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citazione nel testo.

AGGIORNAMENTI DI RADIOPROTEZIONE — N° 57

ASSOCIAZIONE ITALIANA DI RADIOPROTEZIONE MEDICA (AIRM) Associazione culturale e professionale senza fini di lucro, istituita nel 1977, con Atto

Notaio Nazzareno Dobici, serie 1313, vol.464 - Codice Fiscale 80457430587

Consiglio Direttivo: Presidenti Emeriti: Presidente: Roberto Moccaldi Ernesto Strambi Vice Presidente: Fabriziomaria Gobba Giorgio Trenta Segretario: Giulia Castellani Tesoriere: Andrea Stanga Consiglieri: Segreteria: Arru Alessandro - Valerio Ciuffa [email protected] Franco Claudiani - Giuseppe De Luca Tel: 3283299877 Vittorio Lodi - Benedetta Persechino Giuseppe Taino - Massimo Virgili Webmaster: Dario Marino - [email protected] Consiglio scientifico: Franco Bistolfi - Guido Galli Martino Grandolfo - Franco Ottenga Maurizio Pelliccioni - Mario Pulcinelli Ernesto Strambi - Giorgio Trenta

Versamenti: L’AIRM si autogestisce mediante le quote dei propri Soci. Tutti i versamenti in favore dell’AIRM devono essere effettuati

esclusivamente mediante bonifico bancario intestato a:

AIRM – IBAN: IT 56 L 03111 74950 000000010128

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Sommario

Aspetti scientifici e professionali

Commenti AIRM allo schema del nuovo decreto sulla radioprotezione R.Moccaldi 4

Telefoni cellulari e tumori tra scienza e giurispudenza A.Polichetti 10

La tiroidite cronica autoimmune di Hashimoto: un problema per la radioprotezione ? M.Virgili

R.Moccaldi 28

Aspetti di radioprotezione fisica e medica in medicina nucleare F.Bisi N.Canevarollo

F.Claudiani

41

CONGRESSI, CONVEGNI E CORSI

60 Convegno Nazionale AIRM – Ragusa - 29-30 OTTOBRE 2020.

AGGIORNAMENTI DI RADIOPROTEZIONE — N° 57

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

Commenti AIRM allo schema del nuovo decreto sulla radioprotezione

Roberto Moccaldi

Presidente AIRM

Come noto, è in fase conclusiva presso i

competenti organi parlamentari l’iter previsto per

l’approvazione dello schema di Decreto Legislativo

recante l’attuazione della direttiva 2013/59/

EURATOM, approvato dal Consiglio dei Ministri il

29 gennaio 2020 e trasmesso alle Competenti

Commissioni parlamentari ai fini dell'espressione

del loro parere (Atto Governo n. 157).

In relazione a tale discussione, in data 5 marzo è

stato inviato ai citati organi, a firma di chi scrive

ed a nome del Consiglio Direttivo, il parere

dell’AIRM sul suddetto Schema di Decreto, di

seguito riportato.

Dopo una breve premessa dedicata alla

presentazione della nostra Associazione, ed in

relazione all’art.134 del nuovo testo di legge,

l’attenzione del documento è stata focalizzata sui

due argomenti che, pubblicamente e in maniera

trasparente all’interno di manifestazioni di

radioprotezione, AIRM ha ripetutamente

presentato ai componenti degli organi

tecnico-scientifici estensori del testo di

recepimento per promuovere, con argomentazioni

oggettive, la modifica dell’impianto normativo

attuale al fine di garantire a tutti i lavoratori

esposti alle r.i. un uniforme ed adeguato

standard di prevenzione e protezione.

Vogliamo quindi portare all’attenzione dei soci e

dei lettori della nostra rivista “Aggiornamenti”

questo testo, che presenta in modo sintetico ma

puntuale i principi scientifici e le considerazioni

normative e di carattere professionale sui quali

l’AIRM ha basato le proprie argomentazioni e che,

condivisi dal legislatore, supportano in modo

chiaro i nuovi indirizzi in tema di sorveglianza

sanitaria (non più “medica”) presenti nel dettato

normativo di prossima pubblicazione.

Oggetto: Parere dell’Associazione Italiana di

Radioprotezione Medica (AIRM) sullo Schema di

Decreto Legislativo recante attuazione della

direttiva 2013/59/EURATOM approvato dal

Consiglio dei Ministri il 29 gennaio 2020 e

trasmesso alle Competenti Commissioni

parlamentari ai fini dell'espressione del loro

parere (Atto Governo n. 157).

Illustrissimi,

L’AIRM (Associazione Italiana di Radioprotezione

Medica) è una associazione di carattere scientifico

e professionale, fondata nel 1977, che riunisce i

Medici Autorizzati alla Radioprotezione italiani,

incaricati della sorveglianza medica dei lavoratori

esposti alle radiazioni ionizzanti. È una

Associazione diffusa su tutto il territorio nazionale,

è articolata in sezioni regionali e comprende

componenti che provengono dall’Università, da

Enti di Ricerca nazionali, dal Servizio Sanitario

Nazionale e dal mondo della libera professione.

Premessa

L’attività di sorveglianza sanitaria dei lavoratori

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

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esposti è prevista esplicitamente come obbligo fin

dal Trattato EURATOM del 1953, al quale sono

seguite direttive europee (ultima la 2013/59) e

normative nazionali (ultima il D.Lgs 230/95, che

sarà abrogato dal Decreto in oggetto).

Questa attività deve essere affidata a medici con

adeguate e specifiche competenze “nella

realizzazione della sorveglianza medica dei

lavoratori esposti e la cui idoneità a svolgere tale

funzione è riconosciuta dall'autorità competente”

degli stati membri. L’Italia ha assolto a questo

obbligo (presente anche nelle precedenti

normative internazionali) istituendo fin dagli anni

‘70 una Commissione presso il Ministero del

Lavoro e delle Politiche Sociali, i cui componenti

sono proposti dalle diverse amministrazioni

indicate dalla norma (Ministero Lavoro, Salute,

Università e Ricerca, Enti pubblici di settore), con

lo specifico compito di valutare le citate

competenze da parte di candidati medici. Il

superamento dell’esame abilitante presso la

Commissione permette al candidato di essere

iscritto all’elenco nazionale dei Medici Autorizzati,

istituito presso il Ministero del Lavoro.

L’attività svolta dal medico autorizzato, per la

stessa impostazione di legge, risulta infatti molto

specifica e delicata anche per i risvolti

amministrativi e legali; la Radioprotezione medica

richiede conoscenze culturali e scientifiche di

fisica, di biologia, di epidemiologia, di

radiopatologia e di oncologia medica, conoscenze

che si aggiornano continuamente e che si basano

su informazioni, criteri, metodologie operative che

maturano ad opera di organismi scientifici

sopranazionali ed internazionali quali: la

International Commission on Radiological

Protection (ICRP), la International Commission on

Non Ionizing Radiation (ICNIRP), lo United Nation

Scientific Committee on Effects of Atomic

Radiation (UNSCEAR), l’Organizzazione Mondiale

della Sanità (OMS), la International Atomic Energy

Agency (IAEA), la stessa Unione Europea

(EURATOM).

L’AIRM si è fatta carico, fin dalla sua fondazione,

del compito di formazione scientifica e

professionale nella materia specifica di

Radioprotezione (radiazioni ionizzanti ma anche

non ionizzanti) con numerosi congressi nazionali,

alcuni dei quali a partecipazione internazionale,

convegni, corsi, seminari e giornate di studio. Nel

solo 2019 sono stati organizzati un congresso

nazionale (con relatori anche internazionali) ed

altri 3 eventi (convegni/corsi), sempre a livello

nazionale E’ iscritta nell’elenco delle Società

Scientifiche di cui alla Legge 24/17 (legge Gelli) ed

è provider standard AGENAS per la erogazione di

crediti ECM. È iscritta alla Consulta delle Società

Scientifiche della FNOMCeO ed alla FISM

(Federazione Italiana delle Società Mediche). E’

altresì federata con l’AIRP per i comuni interessi

culturali di Radioprotezione e per l’adesione alla

Associazione Internazionale di Radioprotezione

(IRPA).

Pubblica sul proprio sito web www.airm.name il

periodico “Aggiornamenti di Radioprotezione” nel

quale sono riportati articoli scientifici originali sul

tema della radioprotezione medica, necessari

all’aggiornamento professionale dei propri soci.

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Considerazioni sullo schema di Decreto

In relazione allo schema di Decreto in oggetto,

questa Associazione mostra vivo apprezzamento

per lo sforzo del legislatore di produrre un

documento normativo unico in tema di

regolamentazione dell’utilizzo pacifico delle

radiazioni ionizzanti, ivi compresa la tutela dai

rischi che tale utilizzo implica, e che riguarda i

lavoratori, i pazienti e la popolazione nel suo

insieme.

In particolare, per lo specifico ambito di

competenza di questa Associazione, si vuole

sottolineare l’apprezzamento per gli articoli 134-

145 che riguardano le attività di sorveglianza

sanitaria dei lavoratori esposti alle radiazioni

ionizzanti per motivi professionali.

Nell’art.134, al comma 1, si legge infatti: “1. Il

datore di lavoro provvede ad assicurare mediante

uno o più medici autorizzati, la sorveglianza

sanitaria dei lavoratori esposti e degli apprendisti

e studenti in conformità alle norme del presente

Titolo”.

In tale articolo si coglie un importantissimo

miglioramento della attuale normativa, per i

motivi che sinteticamente si vogliono di seguito

indicare.

1) La individuazione, ai fini della sorveglianza

sanitaria, dei lavoratori classificati esposti alle

radiazioni come gruppo unico ed omogeneo in

relazione al rischio.

Per quanto riguarda questo punto, è opportuno

ricordare che la ICRP (Intemational Commission on

Radiological Protection, organismo sovranazionale

e massimo organo scientifico e normativo nel

campo delle radiazioni ionizzanti) nella sua

Pubblicazione 103 (The 2007 Recommendations of

the International Commission on Radiological

Protection ) afferma che“...il modello LNT è

sostanzialmente basato sugli studi epidemiologici

di rischio di cancro da radiazioni, nel senso che il

rischio di mortalità e di morbilità da tutti i cancri

solidi combinati nel Life Span Study è

proporzionale alla dose di radiazione fino a circa

100 mGy, sotto i quali, la variazione statistica nel

rischio di base, come pure piccoli ed

incontrollabili fattori di confondimento,

impediscono in modo crescente la possibilità di

evidenziare la presenza di un qualsiasi rischio da

radiazioni. Quest'incertezza è la ragione

principale per la quale è generalmente

impossibile determinare, soltanto su base

epidemiologica, che ci sia o meno un aumento di

rischio di cancro legato all’esposizione a

radiazioni dell'ordine di alcune decine di mSv o

meno” (ICRP 2007, pag.197-198).

Sulla base di quanto riportato, quindi, appare

chiaro che vi sia una incongruenza di fondo nel

differenziare all’interno del range di dose di alcuni

mSv- decine di mSv, da un punto di vista del

rischio biologico e del conseguente standard di

radioprotezione medica, lavoratori per i quali è

invece lecito attendersi un effetto

quantitativamente sovrapponibile. È infatti

estremamente difficile definire, all’interno

dell’intervallo di dose 1-20 mSv, differenze

apprezzabili di detrimento sanitario, nel caso di

un rischio dottrinalmente individuato come

stocastico.

A completamento di quanto sinteticamente

indicato vi è un aspetto scientifico-dottrinario

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

AGGIORNAMENTI DI RADIOPROTEZIONE — N° 57

intimamente connesso con il concetto di rischio da

radiazioni, che è quello delle caratteristiche

biologiche e quindi della diversa suscettibilità

individuale proprie del soggetto esposto ad un

rischio. La suscettibilità individuale alle malattie

è una delle più manifeste evidenze cliniche

raccolte dalla medicina nel corso dei secoli, e che

sta emergendo attualmente in tutta la sua

rilevanza. Proprio la suscettibilità è certamente

una delle caratteristiche preminenti degli effetti

delle radiazioni ionizzanti a basse dosi, effetti ai

quali è stata assegnata la denominazione di

stocastici in quanto colpiscono gli esposti in modo

casuale: tale casualità è evidentemente legata alla

variabilità individuale.

Le evidenze epidemiologiche già di per sé fanno

rilevare incidenze diversificate tra maschi e

femmine, tra soggetti di diversa età o differenze,

a volte anche notevoli, nella incidenza di certe

particolari forme neoplastiche tra popolazioni

diverse; ed è proprio per questa ragione che l’ICRP

nel proporre i coefficienti "nominali" di rischio

(che indicano la probabilità di andare incontro ad

un tumore mortale a seguito dell' esposizione

all'unità di dose) per i vari organi e tessuti ha fatto

riferimento alle condizioni della mortalità

oncogena di base riscontrata in diverse

popolazioni, ed è in relazione a questa variabilità

che detta Commissione ha impiegato

l'aggettivazione "nominali" per indicare appunto

che si tratta di valori mediati tra diverse

condizioni di variabilità "etnica e sociale".

L'adozione dello stesso modello moltiplicativo da

parte della ICRP tiene conto di un particolare

aspetto legato alla suscettibilità individuale: l'età.

In base a quanto sopra, pertanto, il coefficiente

nominale di rischio è, nella valutazione relativa al

caso singolo, una funzione di vari parametri legati

all'individuo, ed in particolare, per riferire solo

quelli di natura più generale: sesso, età

all'esposizione, popolazione di appartenenza. Ma

accanto a questi non si possono dimenticare le

correlazioni legate a particolari condizioni dello

stato di salute del singolo individuo, a pattern

ereditari, a particolari abitudini di vita, a

specifiche condizioni lavorative e quelle connesse

con particolari noxae sinergiche.

Ciò determina la necessità di dover operare, in

termini di prevenzione e protezione medica, su

tutti i lavoratori esposti poiché, alle basse dosi

espositive ammesse, se differenze possono esserci,

esse sono basate sulle concrete caratteristiche

biologiche dell'individuo (da valutare in sede di

sorveglianza medica) prima ancora che sulla dose

efficace di esposizione (all’interno dell’intervallo

1-20 mSv).

Data l’inesistente differenziazione di rischio

sinteticamente descritta diventa quindi del tutto

incongruente ammettere che la sorveglianza

medica dei lavoratori esposti sia necessaria (e

quindi obbligatoria) per i soli lavoratori a

potenziale maggiore esposizione (6-20 mSv). Tale

impostazione darebbe infatti luogo ad immotivate

discriminazioni in quanto, da un punto di vista

operativo, il rigore prevenzionistico richiede di

tutelare indistintamente tutti i lavoratori esposti

da un rischio che è, nella realtà scientifica, della

stessa entità.

In conclusione, la nuova normativa coglie

perfettamente questo punto ed evidenzia il

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conseguente obiettivo di sanare la disuguaglianza

in tema di prevenzione e protezione degli esposti

in tema di controllo sanitario, previsto purtroppo

nella Direttiva 2013/59 solo per i lavoratori di

categoria A. Si rileva infatti come la nuova norma

italiana assicuri un uniforme standard di

prevenzione e protezione a tutti i lavoratori

esposti alle radiazioni ionizzanti, per motivi

scientificamente validi e condivisi a livello

internazionale, attraverso la effettuazione della

sorveglianza medica su tutti i lavoratori esposti,

indipendentemente quindi dai livelli di

esposizione potenziale (e dalla conseguente

classificazione).

Tale orientamento era peraltro previsto anche

nella precedente Legge delega al Governo (feb

2015 n.197) per il recepimento della Direttiva

2013/59, dove, all’art.10, tra i princìpi e criteri

direttivi specifici da seguire, erano indicati anche:

c) introduzione, ove necessario, e in linea con i

presupposti della direttiva 2013/59/Euratom,

di misure di protezione della popolazione e

dei lavoratori più rigorose rispetto alle norme

minime previste dalla direttiva medesima,

fatto salvo il rispetto della libera circolazione

delle merci e dei servizi, tra cui:

3) aggiornamento dei requisiti, compiti e

responsabilità delle figure professionali

coinvolte nella protezione sanitaria dei

lavoratori e della popolazione, anche

garantendo coerenza e continuità con le

disposizioni del decreto legislativo 17 marzo

1995, n. 230, al fine di assicurare un elevato

ed uniforme standard di sicurezza e salute per

tutti i lavoratori classificati esposti ed evitare

possibili disuguaglianze.

2) Il miglioramento dello standard qualitativo di

tutela attraverso il conferimento della

sorveglianza sanitaria esclusivamente in capo al

medico autorizzato.

Dagli anni ’60 (DPR 185/64) in Italia la

sorveglianza medica dei lavoratori esposti alle r.i.

è stata affidata ad una ben definita figura

professionale, quella del Medico Autorizzato, la

cui specifica preparazione professionale, secondo i

dettami europei (“…whose capacity to act in that

respect is recognized by the competent

authorities” – Dir. EURATOM 59/2013), è

verificata, come detto, fin dai primi anni ’70

attraverso un esame di abilitazione, il cui

superamento permette l’iscrizione nell’elenco

nominativo nazionale istituito presso il Ministero

del Lavoro.

La finalità di questo percorso è ovviamente quella

di garantire ai lavoratori esposti alle r.i. un

uniforme ed elevato livello qualitativo della

prestazione sanitaria, necessaria in considerazione

delle riconosciute caratteristiche di particolare

pericolosità del rischio cui essi sono esposti.

La impostazione del D.Lgs 230/95 è stata, per

diversi motivi che sarebbe lungo elencare in

questa sede, di consentire che anche medici privi

di tale verifica, prevista dalla norma, sulla loro

preparazione professionale potessero effettuare le

attività di sorveglianza medica, sebbene

limitatamente ai lavoratori di categoria B.

Individuare medici con diversi livelli di formazione

e di riconoscimento formale di tale formazione nel

campo del rischio da radiazioni per adibirli al

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controllo sanitario di lavoratori con entità di

rischio analogo (come prima sinteticamente

descritto) ha determinato una ingiustificabile

disuguaglianza del livello di prevenzione e

protezione in questo particolare e delicato ambito

di rischio.

La nuova normativa evidenzia la volontà di sanare

la disuguaglianza della qualità del controllo

sanitario attualmente esistente tra i diversi

lavoratori esposti alle radiazioni, affidando alla

sola figura professionale del Medico Autorizzato

(unica figura in Italia la cui capacità e competenza

è valutata, secondo norma, dall’organo del

Ministero del Lavoro attraverso l’esame di

abilitazione) il controllo sanitario dei lavoratori

esposti al rischio da radiazioni ionizzanti.

La finalità è ovviamente quella di garantire a tutti

i lavoratori esposti alle r.i. un uniforme e

adeguato standard di prevenzione e protezione.

Tale impostazione risulta chiara anche nella

“Relazione illustrativa al testo di legge” che

accompagna la proposta normativa, nella quale si

riporta, in relazione all’art.134, che:

“L'adeguamento della norma e il suo relativo

aggiornamento è teso a fornire maggiore tutela

dei lavoratori esposti agli effetti delle radiazioni

ionizzanti; infatti non va trascurato il vantaggio,

in termini di migliorata tutela, dovuto al

conferimento della sorveglianza sanitaria

esclusivamente in capo al medico autorizzato”.

Relativamente all’obiezione circa un paventato

aumento dei costi della sorveglianza sanitaria così

concepita, già nella relazione di commento

all’art.134 viene chiaramente aggiunto:

“Circostanza dalla quale non discendono nuovi o

maggiori oneri per le casse dell'erario”, aspetto

poi regolarmente ribadito a commento di ogni

successivo articolo fino al 145, con la seguente

formulazione: “non è suscettibile di produrre

nuovi o maggiori oneri a carico della finanza

pubblica in quanto la nuova stesura è

praticamente identica a quella attualmente in

vigore”.

In aggiunta a questo è opportuno ricordare che la

quasi totalità dei lavoratori oggi esposti alle

radiazioni ionizzanti presta la propria opera

professionale all’interno delle strutture sanitarie

ospedaliere, e che i medici addetti alla loro

sorveglianza sanitaria sono nella stragrande

maggioranza dipendenti dalle medesime strutture.

Da tale quadro si deduce che non ci potranno

essere costi aggiuntivi a quelli già ora sostenuti, e

la differenza sarà solo una maggiore e più

specifica preparazione professionale di medici

stessi, fatto questo certamente positivo per le

finalità di tutela della salute dei lavoratori e di

efficacia ed efficienza del servizio sanitario.

In conclusione, si ribadisce la disponibilità di

questa Associazione scientifica a fornire qualunque

approfondimento di questi e di altri temi inerenti

le attività di controllo sanitario degli esposti a

radiazioni ionizzanti che codesta Commissione

riterrà utile acquisire.

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Telefoni cellulari e tumori tra scienza e giurispudenza

Alessandro Polichetti

Centro Nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Introduzione

La problematica degli effetti sulla salute dei campi

elettromagnetici a radiofrequenza (CEM-RF) è

oggetto di ricerca fin dagli anni ’40 del secolo

scorso, cioè da quando le sorgenti artificiali di CEM

-RF hanno cominciato a causare una crescente

esposizione di particolari gruppi occupazionali e

della popolazione generale (WHO, 1993). La

letteratura scientifica sull’argomento conta

attualmente più di diecimila pubblicazioni, come

risulta consultando la banca dati EMF-Portal

relativa alla letteratura sugli effetti dei campi

elettromagnetici sulla salute (www.emf-

portal.org).

Attualmente la principale sorgente di esposizione

della popolazione generale è rappresentata dal

telefono cellulare, sia per diffusione, sia per

livello di esposizione soprattutto quando utilizzato

a contatto con il corpo. Le conoscenze scientifiche

attuali permettono di escludere la possibilità che

le esposizioni degli utilizzatori dei telefoni

cellulari possano indurre gli effetti nocivi

conosciuti dei CEM-RF, tuttavia è ancora aperta la

possibilità di altri effetti come, in particolare,

quello cancerogeno, in relazione al quale sono

stati effettuati numerosi studi sia di tipo

sperimentale, in vitro e in vivo, sia epidemiologici.

Il quadro attuale delle conoscenze scientifiche non

permette di considerare accertato un nesso

causale tra utilizzo di telefoni cellulari, con

conseguente esposizione ai CEM-RF, ed un

aumentato rischio di tumori, ciò nonostante alcuni

tribunali italiani hanno riconosciuto l'origine

professionale di tumori in lavoratori che

utilizzavano intensamente il telefono cellulare per

motivi di lavoro. Le relative sentenze sono state

ampiamente riportate dai media, che hanno invece

praticamente ignorato quelle in cui tale origine

professionale non è stata riconosciuta,

contribuendo notevolmente alle già diffuse

preoccupazioni nel pubblico circa i rischi per la

salute delle esposizioni a livelli di CEM-RF inferiori

ai limiti previsti dalle normative protezionistiche.

Verrà pertanto discusso come le varie sentenze

abbiano preso in considerazione il complesso delle

evidenze scientifiche su CEM-RF e tumori,

evidenziando in alcuni casi come esse fossero

motivate anche da considerazioni di natura non

scientifica relative a presunti conflitti di interesse.

Evidenze scientifiche sul nesso fra telefoni

cellulari e tumori.

Nel 2011 i CEM-RF sono stati classificati

dall’International Agency for Research on Cancer

(IARC) come “possibilmente cancerogeni per gli

esseri umani” (Gruppo 2B) sulla base dei risultati

di alcuni studi epidemiologici di tipo caso-controllo

(il grande studio multicentrico internazionale

Interphone, coordinato dalla stessa IARC, e gli

studi svedesi del gruppo di ricerca coordinato dal

prof. Hardell) che hanno riportato associazioni

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positive tra l’utilizzo di telefoni cellulari e il

rischio di glioma e neurinoma dell’acustico (IARC,

2013).

Il Gruppo di Lavoro IARC che ha valutato le

evidenze scientifiche sulla cancerogenicità dei

CEM-RF ha giudicato come “limitata” l’evidenza

proveniente dagli studi epidemiologici per via

delle deboli associazioni riportate nello studio

Interphone, nonché dell’incoerenza di questi

risultati con quelli degli studi svedesi. Secondo i

criteri della IARC, gli studi sugli esseri umani

forniscono un’evidenza limitata di cancerogenicità

quando è credibile un’interpretazione causale

dell’associazione positiva osservata, ma non è

possibile escludere con ragionevole certezza altre

spiegazioni, come un ruolo del caso, di distorsioni

(bias) o dei fattori di confondimento. Gli studi

caso controllo che hanno condotto alla

classificazione della IARC sono particolarmente

proni ad una particolare forma di distorsione,

detta recall bias, dovuta al fatto che, essendo

studi retrospettivi, la valutazione dell’esposizione

era totalmente affidata al ricordo dei partecipanti

cui veniva chiesto, in particolare, il numero

giornaliero e la durata media delle conversazioni

telefoniche anche a distanza di diversi anni dal

momento dell’intervista. Non è quindi possibile

escludere una misclassificazione differenziale

dell’esposizione, dovuta al fatto che la presenza

della malattia rende i casi molto più propensi dei

soggetti sani di controllo a ricostruire in dettaglio,

ed eventualmente sovrastimare, le esposizioni che

potrebbero avere causato la loro patologia: il

recall bias può dare luogo a sovrastime del rischio,

quando un rischio è presente, ma soprattutto può

dare luogo ad associazioni spurie quando il rischio

non è presente (Lagorio et al. 2019).

Il significato dell’inserimento dei CEM-RF tra i

“possibilmente cancerogeni” è spesso frainteso,

per cui la stessa IARC ha precisato che le evidenze

disponibili non sono abbastanza convincenti per

permettere di concludere che l’esposizione possa

causare il cancro negli esseri umani e negli animali

(IARC, 2015)

Va inoltre evidenziato che nell’ambito del Gruppo

di Lavoro IARC vi era anche un’opinione di

minoranza, secondo cui le evidenze

epidemiologiche erano “inadeguate”: se questa

tesi avesse prevalso, i CEM-RF sarebbero

probabilmente stati inseriti nel Gruppo 3 degli

agenti non classificabili in relazione alla loro

cancerogenicità per gli esseri umani.

Successivamente alla classificazione della IARC

sono stati pubblicati ulteriori studi epidemiologici,

comprendenti studi di coorte e studi sulla

relazione dell’andamento temporale

dell’incidenza dei tumori nella popolazione con il

progressivo diffondersi nella popolazione stessa

dell’utilizzo dei telefoni cellulari. Questi ultimi

due tipi di studi epidemiologici non supportano un

rischio aumentato per il glioma mentre rimane

aperta la possibilità di un’associazione con il

neurinoma acustico (SCENIHR, 2015).

Molto risalto, anche mediatico, hanno avuto i

risultati di due recenti studi sperimentali in vivo,

condotti dal National Toxicology Program negli

USA (NTP, 2018) e dall’Istituto Ramazzini in Italia

(Falcioni et al., 2018), che hanno evidenziato un

incremento di rischio per un particolare tipo di

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

neoplasia in ratti esposti a CEM-RF simili, per

frequenza e modulazione del segnale, a quelli

emessi dai telefoni cellulari di seconda e terza

generazione (2G e 3G), mentre non veniva

evidenziato alcun eccesso statisticamente

significativo per quanto riguarda i tumori

cerebrali. I due studi riportano entrambi

incrementi di tumori maligni delle cellule di

Schwann presenti nei tessuti nervosi che innervano

il cuore (schwannomi cardiaci, tumori dello stesso

istotipo, ma a diversa localizzazione, rispetto ai

neurinomi dell’acustico) nei soli ratti maschi e non

nelle femmine (senza una spiegazione convincente

per tale dato), né nei topi di entrambi i sessi

esposti nell’ambito dello studio NTP; tuttavia tali

studi forniscono risultati tra loro non coerenti. In

particolare, lo studio NTP evidenzia un effetto

cancerogeno solo al livello di esposizione più

elevato utilizzato, corrispondente ad una potenza

elettromagnetica assorbita nell’unità di massa

(SAR) di 6 W/kg mediata su tutto il corpo

dell’animale esposto, in grado di produrre rilevanti

aumenti di temperatura sistemica e locale a carico

degli organi interni, che non è escludibile

costituiscano la causa dell’effetto osservato.

Anche lo studio Ramazzini ha riportato un effetto

al livello di esposizione più elevato utilizzato (50

V/m in termini di campo elettrico), corrispondente

però ad un SAR mediato su tutto il corpo

dell’animale esposto di 0.1 W/kg, due ordini di

grandezza inferiore al livello di 6 W/kg per il quale

l’NTP ha riportato effetti. Inoltre, lo studio NTP

non ha riportato effetti a 1.5 e 3 W/kg, molto

superiori al livello più elevato dello studio

Ramazzini.

Oltre alla coerenza tra i risultati dei due studi, è

importante valutare, come in tutti gli studi su

modelli animali, l’estrapolabilità dei risultati agli

esseri umani, anche in termini di livelli di

esposizione per i quali è stato osservato

l’incremento del rischio di schwannoma cardiaco.

A questo proposito si evidenzia che il valore dello

studio NTP è 75 volte superiore al limite massimo

di SAR a corpo intero consentito per la

popolazione generale dagli standard internazionali

(0.08 W/kg), mentre l’intensità di campo elettrico

dello studio Ramazzini (50 V/m) è 8 volte

superiore ai limiti ambientali in vigore in Italia.

Anche trascurando il fatto, in realtà niente affatto

trascurabile, che le esposizioni degli animali

riguardavano tutto il corpo, mentre le esposizioni

degli utilizzatori di telefoni cellulari sono

localizzate nei tessuti più vicini all’antenna del

telefono, va ricordato che il livello di 6 W/kg è tre

volte superiore al limite di 2 W/kg, in termini di

SAR locale mediato su 10 g di tessuto, e che

generalmente le esposizioni reali degli utilizzatori

di telefoni cellulari sono molto inferiori a questo

limite che deve essere rispettato

obbligatoriamente ai fini della

commercializzazione dei telefoni cellulari.

Sulla base dell’incoerenza dei risultati ottenuti

dagli studi NTP e Ramazzini, tra loro e più in

generale con la letteratura scientifica sulla

cancerogenicità dei CEM-RF, nonché di alcune

limitazioni metodologiche individuate nello studio

NTP, l’International Commission on Non-Ionizing

Radiation Protection afferma che questi studi non

permettono di trarre conclusioni circa la

cancerogenicità dei CEM-RF (ICNIRP, 2020).

AGGIORNAMENTI DI RADIOPROTEZIONE — N° 57

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

Lo stato attuale delle conoscenze scientifiche sul

nesso tra telefoni cellulari e tumori è ben

descritto nel rapporto ISTISAN 19/11 (Lagorio et

al., 2019): “per quanto concerne il rischio di

tumori cerebrali in relazione all’esposizione a

radiofrequenze da telefoni mobili, i dati ad oggi

disponibili suggeriscono che l’uso comune del

cellulare non sia associato all’incremento del

rischio di alcun tipo di tumore cerebrale. Rimane

un certo grado d’incertezza riguardo alle

conseguenze di un uso molto intenso, in

particolare dei cellulari della prima e seconda

generazione caratterizzati da elevate potenze di

emissione. In considerazione dell’assenza di

incrementi nell’andamento temporale dei tassi

d’incidenza e dei risultati negativi degli studi

coorte, anche piccoli incrementi di rischio

sembrano poco verosimili, ma non si possono

escludere. Inoltre, gli studi finora effettuati non

hanno potuto analizzare gli effetti a lungo

termine dell’uso del cellulare iniziato da bambini

e di un’eventuale maggiore vulnerabilità a questi

effetti durante l’infanzia.”

Telefoni cellulari e giurisprudenza in Italia

A partire dal 2009, si sono conclusi in Italia alcuni

procedimenti civili, in materia di lavoro, relativi a

ricorsi contro l’Istituto Nazionale per

l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro

(INAIL) per il riconoscimento dell'origine

professionale di patologie tumorali in lavoratori

esposti a CEM-RF emessi da telefoni wireless

(cellulari e/o cordless). In alcuni casi le

esposizioni dei lavoratori che utilizzavano i

telefoni wireless erano combinate con quelle

dovute ad altre sorgenti di CEM-RF o con

esposizioni a campi elettrici e magnetici a

frequenze estremamente basse (CEM-ELF,

dall’inglese Extremely Low Frequencies).

Mentre i dispositivi delle sentenze con cui veniva

riconosciuto il nesso di causa tra esposizione a CEM

-RF e le patologie da cui erano affetti i ricorrenti

erano facilmente reperibili, in quanto riportate dai

mezzi di informazione, non altrettanto si può dire

per le loro motivazioni contenute nei testi

completi delle sentenze. Quando necessario è

stata effettuata una ricerca su internet che ha

permesso di reperire i testi completi di tutte

queste sentenze.

L’autore di questo contributo è a conoscenza

diretta di due sentenze in cui il nesso di causa non

è stato riconosciuto in quanto è stato in entrambi i

casi uno dei Consulenti Tecnici d’Ufficio (CTU)

nominati dal Giudice del Lavoro, perciò ha avuto

accesso a tutti documenti pertinenti, comprese le

relazioni di CTU e dei CTP (Consulenti Tecnici di

Parte). Non è stato invece possibile reperire

informazioni circa l’esistenza stessa di altre

decisioni negative dei Giudici.

Un punto chiave per comprendere le basi

scientifiche delle decisioni dei Giudici è come il

complesso delle evidenze scientifiche sul rischio

cancerogeno connesso alle esposizioni a campi

elettromagnetici, con particolare riferimento alle

classificazioni IARC, sia stato preso in

considerazione nelle sentenze e nelle relazioni dei

CTU.

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

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La sentenza di Brescia

La sentenza della Corte d’Appello di Brescia del

2009, relativa ad un caso di neurinoma del

trigemino, di cui è stata riconosciuta l’origine

professionale in relazione all’utilizzo di telefoni

cellulari e cordless, precedeva la classificazione

IARC del 2011. Lagorio & Vecchia (2011) hanno

discusso questa sentenza come caso-studio, nel

quadro dell’utilizzo più o meno corretto delle

evidenze scientifiche nei contenziosi legali sui

danni alla persona da esposizione a sostanze

tossiche, e nel riconoscimento di malattie

professionali. Secondo questi Autori, gli esperti

che hanno servito in questo processo hanno fornito

al magistrato “una rassegna selettiva delle

evidenze scientifiche in materia di rischi di

tumore in relazione all’uso di telefoni cellulari ed

una fuorviante interpretazione dei risultati degli

studi epidemiologici rilevanti (incluso il

suggerimento di non considerare i risultati dello

studio Interphone a causa di presunte distorsioni

derivanti da finanziamenti di fonte industriale).

Non sono stati rispettati i requisiti necessari per

procedere ad inferenze causali a livello

individuale e sono stati utilizzati metodi

inappropriati per ricavare le stime di rischio

personale” (Lagorio & Vecchia, 2011). Illuminante

circa le basi scientifiche di questa sentenza è il

confronto tra il rischio relativo per tutti i tumori

nei sopravvissuti alle esplosioni atomiche di

Hiroshima e Nagasaki e il rischio relativo per il

neurinoma intracranico stimato in alcuni studi.

Tribunale Anno Esposizione Patologia Decisione§

Brescia* 2009 Telefoni wireless Neurinoma del trigemino SI

Cremona 2015 Telefoni wireless Carcinoma della parotide NO

Ivrea 2017 Telefoni wireless Neurinoma dell’acustico SI

Firenze 2017 Telefoni wireless Neurinoma dell’acustico SI

Milano 2018 Telefoni wireless +

CEM-ELF Glioma NO

Monza 2019 Telefoni wireless +

altre sorgenti di CEM-RF Neurinoma dell’acustico SI

Torino** 2019 Telefoni wireless Neurinoma dell’acustico SI

Tabella 1. Sentenze in tema di riconoscimento di malattia professionale in lavoratori che utilizzavano telefoni wireless per motivi di lavoro

§ Origine professionale della patologia tumorale riconosciuta dai Giudici.

*Corte d’Appello. Sentenza confermata in Cassazione nel 2012.

**Corte d’Appello. Appello contro la sentenza del Tribunale di Ivrea nel 2017.

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

Questo confronto, con cui si è giunti alla

sorprendente conclusione che “il rischio oncogeno

medio delle radiazioni ionizzanti è inferiore a

quello che si ha per l’esposizione alle radio

frequenze in riferimento ai neurinomi

endocranici” è inappropriato per tre ragioni:

1) i dati relativi ai neurinomi intracranici si

riferiscono al neurinoma dell’acustico e non al

neurinoma del trigemino, oggetto del

procedimento di Brescia; 2) i rischi relativi non

sono rischi assoluti, e questa differenza è ancora

più importante quando si confrontano patologie

comuni (“tutti i tumori”) con patologie rare come i

neurinomi intracranici; 3) le radiazioni ionizzanti

sono un fattore di rischio cancerogeno accertato,

a differenza dei CEM-RF. La sentenza di Brescia è

stata confermata dalla Corte di Cassazione nel

2012, ma poiché la Corte di Cassazione decide

sulla legittimità delle sentenze senza entrare nel

merito, il fatto che questa decisione sia stata

presa dopo la classificazione della IARC del 2011

non è rilevante.

Tutte le altre sentenze, successive sia alla

classificazione IARC del 2011 che alla

pubblicazione della relativa monografia (IARC,

2013), vi facevano espresso riferimento come

descritto nei successivi paragrafi.

Le sentenze “negative” di Cremona e Milano

Metodologia per la valutazione del nesso di causa

I Tribunali di Cremona e di Milano hanno affidato

l’incarico di CTU agli stessi esperti, per cui la

metodologia adottata da questi ultimi per la

valutazione del nesso causale è stata la stessa.

Secondo i CTU, ai fini del riconoscimento di

malattia professionale, è necessario che vengano

documentate e comprovate, secondo criteri e

modalità accreditati e scientificamente validi, sia

l’esposizione ad un agente capace “in generale” di

determinare un danno, sia la dimostrazione

dell’esistenza di un nesso causale nel caso

specifico. La procedura metodologica proposta dai

CTU è pertanto scomponibile in due fasi:

1) valutazione di “Causalità generale”, cioè la

verifica della presenza dell’agente e riscontro

di effettiva esposizione (valutazione

qualitativa), ai fini della conseguente

valutazione secondo il “Criterio dell’idoneità

lesiva”, cioè della dimostrazione della capacità

dell’agente di determinare la malattia (nel caso

specifico, un carcinoma della parotide)

attraverso evidenze scientifiche consolidate;

2) valutazione di “Causalità individuale” (nesso di

causa). Se è accertata l’esposizione ad un dato

agente, di cui è dimostrata la capacità di

provocare la malattia, è necessario anche

dimostrare che in quel singolo caso la malattia

sia stata provocata da quello specifico fattore

di rischio. Si procede pertanto ad una specifica

valutazione del caso in questione sulla base sia

dei dati quantitativi di esposizione disponibili

sia dei dati clinici.

Tuttavia, se il criterio dell’idoneità lesiva non è

soddisfatto, il processo di valutazione del nesso

di causa si conclude prima di passare alla

seconda fase.

In entrambe le fasi è necessario arrivare a delle

conclusioni che possano dare al giudice

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

elementi di valutazione solidi e certi. Quando

però la patologia oggetto della vertenza è

una neoplasia, la questione viene complicata

alla natura stessa della malattia (non specifica

di una data esposizione, ad insorgenza

stocastica e ad eziologia multifattoriale), che

non permette di esprimere tale valutazione di

causa in termini di certezza. La giurisprudenza

ha allora cercato di risolvere questo punto

richiedendo non una certezza assoluta, ma una

certezza ragionevole, basando la valutazione

di nesso causale sulla presenza di un “elevato

grado di probabilità”, o “probabilità

qualificata”.

Una probabilità di correlazione causale può

essere giudicata “qualificata” solo se questo

giudizio deriva dalla ricerca di un nesso causale

che, sebbene non certo in assoluto, sia

comunque dimostrabile e quantificabile in

termini probabilistici su basi scientifiche,

attraverso dati epidemiologico/statistici

consistenti e consolidati e non derivati da

singole e non sufficientemente confermate

evidenze. Paradigmatico in questo senso è il

metodo della Probability of Causation per le

radiazioni ionizzanti, che si basa su un modello

di calcolo derivante dalla enorme mole dei dati

epidemiologico-statistici ricavati dagli studi

effettuati su soggetti esposti a questo fattore

di rischio (Moccaldi & Polichetti, 2016).

Valutazione dell’idoneità lesiva dei CEM-RF emessi

da telefoni mobili (carcinoma della parotide)

In relazione al procedimento di Cremona, relativo

ad un caso di carcinoma della parotide, la

valutazione di idoneità lesiva dei CEM-RF emessi

da telefoni mobili è stata condotta dai CTU sulla

base dell’analisi della letteratura scientifica

relativa agli effetti sulla salute dei CEM-RF emessi

dai telefoni mobili, ponendo come punto di

partenza la valutazione della IARC ed esaminando

le più rilevanti acquisizioni scientifiche successive.

È stata inoltre condotta un’analisi di tutti gli studi

epidemiologici, pubblicati anche prima della

valutazione IARC, specificamente rivolti al rischio

di tumori delle ghiandole salivari negli utilizzatori

di telefoni cellulari. Le conclusioni di questa

valutazione sono state le seguenti, riportate nella

sentenza:

“Sintetizzando le evidenze scientifiche

precedentemente esposte, si può affermare che:

• gli unici effetti sanitari accertati dei campi

elettromagnetici a RF sono quelli di natura

termica, che possono verificarsi solo per

esposizioni molto più elevate rispetto a

quelle degli utilizzatori dei telefoni mobili;

• nel 2011 la IARC, a seguito di un

approfondito esame delle evidenze

scientifiche fornite da studi epidemiologici

e studi sperimentali, ha classificato i campi

elettromagnetici a RF come "possibilmente

cancerogeni per l'uomo", essenzialmente per

via dei risultati di alcuni studi

epidemiologici sul rischio di glioma e di

neurinoma del nervo acustico negli

utilizzatori di telefoni mobili;

• questa classificazione indica che, a parere

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della IARC, il nesso causale tra utilizzo di

telefoni mobili e incidenza di glioma e

neurinoma del nervo acustico, e più in

generale tra campi elettromagnetici a RF e

cancro, non è dimostrato, altrimenti i

campi a RF sarebbero stati classificati come

"cancerogeni per l'uomo";

• secondo la IARC tale nesso causale non è

neanche "probabile", non essendo i campi a

RF stati classificati come "probabilmente

cancerogeni per l'uomo";

• le evidenze scientifiche pubblicate

successivamente alla valutazione della IARC

non tendono a supportare la possibilità del

nesso causale più di quanto stabilito dal

Gruppo di Lavoro IARC;

• al contrario, secondo la commissione di

esperti SCENIHR (2013) che ha esaminato le

evidenze più recenti, tendono nel senso

opposto (gli studi caso‐controllo non

considerati dallo SCENIHR perché pubblicati

successivamente, pur dando qualche

indicazione a supporto dell’ipotesi di un

nesso casuale, non modificano il quadro

complessivo delle evidenze);

• per quanto riguarda nello specifico i tumori

delle ghiandole salivari, le evidenze di un

nesso causale con l'utilizzo di telefoni

mobili già a disposizione del Gruppo di

Lavoro della IARC, nonché quelle pubblicate

successivamente, sono molto inferiori a

quelle relative al glioma e al neurinoma del

nervo acustico.

Sulla base di quanto esposto, si ritiene che per

quanto riguarda i campi elettromagnetici a RF

emessi dai telefoni mobili non sia soddisfatto il

criterio dell'idoneità lesiva, esposto nella sezione

di questa relazione di C.T.U. "Considerazioni circa

il nesso causale". Per questo motivo, non si ritiene

che il carcinoma della parotide diagnosticato al

sig. [omissis] nell’anno 2005 sia con elevato grado

di probabilità causalmente collegato alla sua

esposizione a tali campi, e ciò indipendentemente

dall'entità di tale esposizione.”

Valutazione dell’idoneità lesiva delle esposizioni ai

CEM-RF emessi da telefoni mobili e ai CEM-ELF

generati da linee elettriche (glioma)

Il procedimento tenutosi presso il Tribunale di

Milano era relativo ad un lavoratore affetto da

glioma che era stato esposto durante il lavoro sia

ai CEM-RF generati da telefoni mobili, sia ai CEM-

ELF generati da linee elettriche che passavano al

di sopra del luogo di lavoro.

Nella sentenza, oltre alle valutazioni dei CTU già

riportate in relazione alla precedente sentenza di

Cremona, vengono riportate le seguenti ulteriori

valutazioni degli stessi CTU:

• “uno dei comitati di esperti indipendenti

che forniscono supporto scientifico alla

Commissione Europea in materia di rischi

per la salute (SCENIHR, 2015) si è espresso

nel 2015 circa i potenziali effetti per la

salute delle esposizioni ai campi

elettromagnetici evidenziando che gli studi

epidemiologici sulle esposizioni ai campi

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elettromagnetici a RF emessi dai telefoni

mobili non indicano nel loro complesso un

aumentato rischio di tumori cerebrali né di

altri tumori della testa e del collo;

• alcuni ricercatori sostengono, in

controtendenza rispetto a quanto sopra,

che i campi elettromagnetici a RF

dovrebbero essere considerati cancerogeni

per l’uomo, essendo causa in particolare di

glioma.”

La discussione dei CTU su quest’ultimo punto viene

così sintetizzata in sentenza:

− “in particolare lo studio epidemiologico di

Carlberg & Hardell del 2017 ha esaminato le

evidenze relative al rischio di glioma negli

utilizzatori di telefoni cellulari e cordless

utilizzando quelli che vengono

generalmente chiamati “criteri di Hill”,

(consistenti, secondo l’epidemiologo Austin

Bradford Hill, nei seguenti nove “punti di

vista” dai quali esaminare il problema se ad

una data associazione epidemiologica tra

agente di rischio e patologia corrisponda un

reale nesso di causa: 1) forza

dell’associazione; 2) consistenza; 3)

specificità; 4) temporalità; 5) gradiente

biologico; 6) plausibilità; 7) coerenza; 8)

esperimento; 9) analogia), giungendo alla

conclusione che la radiazione

elettromagnetica a radiofrequenza

dovrebbe essere considerata un cancerogeno

per l’uomo in quanto causa di glioma

(Carlberg & Hardell, 2017);

− tuttavia, altro studio epidemiologico

condotto da Repacholi ed altri nel 2012,

applicando anch’esso i criteri di Hill, è

giunto a conclusioni diametralmente

opposte (Repacholi et al., 2012);

− le opposte valutazioni di studi condotti con

i medesimi criteri mostrano come le

evidenze scientifiche relative alla capacità

dei campi elettromagnetici emessi dai

telefoni cellulari di determinare patologie

tumorali quali il glioma siano ancora ben

lontane dal poter essere considerate

consolidate.

Alla luce di tali evidenze scientifiche i CTU hanno

concluso che, per quanto riguarda i campi

elettromagnetici a RF emessi dai telefoni mobili,

non sia soddisfatto il criterio dell'idoneità lesiva e

che, pertanto, l’oligodendroglioma diagnosticato

al sig. [omissis] non possa ritenersi con elevato

grado di probabilità causalmente collegato alla

sua esposizione a tali campi, indipendentemente

dall'entità dell’esposizione.”

I CTU hanno esaminato anche la letteratura

scientifica relativa alle evidenze di

cancerogenicità delle esposizioni prolungate a CEM

-ELF (in particolare alla frequenza di rete di 50

Hz) giungendo alle seguenti conclusioni, riportate

in sentenza:

• “gli unici effetti sanitari accertati dei

campi elettrici e magnetici alla frequenza

di rete sono quelli a breve termine connessi

alla stimolazione elettrica dei tessuti del

corpo umano nervosi e muscolari, che

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possono verificarsi solo per livelli di

esposizione molto più elevati rispetto a

quelli che si possono incontrare al di sotto

delle linee elettriche ad alta tensione;

• nel 2001 la IARC, a seguito di un

approfondito esame delle evidenze

scientifiche fornite da studi epidemiologici

e studi sperimentali, ha classificato i campi

magnetici alle frequenze ELF nel Gruppo 2B

(agenti possibilmente cancerogeni per

l’uomo) e i campi elettrici alle frequenze

ELF nel Gruppo 3 (agenti non classificabili

in relazione alla loro cancerogenicità per

l’uomo) (IARC, 2002);

• la limitata evidenza epidemiologica, sulla

base della quale la IARC ha classificato i

campi magnetici ELF come possibilmente

cancerogeni per l’uomo, si riferisce alla

correlazione con la leucemia infantile,

mentre per quanto riguarda i tumori negli

adulti, compreso il glioma, l’evidenza è

stata giudicata “inadeguata”, con questo

indicando un grado di evidenza inferiore,

secondo i criteri di classificazione della

IARC, rispetto a quella “limitata”;

• le evidenze successive, tra le quali alcune

recenti osservazioni sulla relazione tra

tumori cerebrali negli adulti ed esposizione

a campi magnetici ELF, che forniscono

elementi contrastanti e non definitivi, sono

in linea con la valutazione della IARC.

Alla luce di tali evidenze scientifiche i CTU hanno

concluso che, anche per quanto riguarda i campi

elettrici e magnetici alla frequenza di rete emessi

dalle linee elettriche, non sia soddisfatto il

criterio dell'idoneità lesiva e, pertanto, che la

patologia neoplastica del ricorrente non possa

ritenersi con elevato grado di probabilità

causalmente collegata alla sua esposizione a tali

campi, indipendentemente dall'entità

dell’esposizione.”

Le sentenze positive di Ivrea, Firenze e Monza

Nei procedimenti di Ivrea, Firenze e Monza, la

malattia di cui veniva chiesto (ed ottenuto) il

riconoscimento dell’origine professionale era il

neurinoma del nervo acustico, l’altra patologia,

assieme al glioma, per la quale alcuni studi

epidemiologici hanno evidenziato degli eccessi di

rischio negli utilizzatori di telefoni mobili. Si

riportano di seguito alcuni passi delle sentenze,

significativi per la comprensione del loro

fondamento scientifico.

Nella sentenza di Ivrea si legge che “nel caso in

esame vi è la associazione tra un tumore raro

(colpisce 0,7-1 persona su 100.000, vds. pag. 2

CTU) ed una esposizione altrettanto rara come

l’utilizzo dal 1995 di telefonia cellulare ad

elevate emissioni: se ne può, quindi, inferire che

la rarità della doppia circostanza depone per una

associazione causale.” Questa inferenza (pur se

nei termini prudenziali “depone per”) desta

alcune perplessità. In primo luogo, mentre

l’esposizione è quantificata nella sentenza in

termini di utilizzo del telefono cellulare per

esigenze lavorative (definito “abnorme”) di

almeno due ore e mezzo giornaliere, che

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

diventano oltre sette nell’ipotesi peggiore, per un

periodo di 15 anni, non ne viene però quantificata

in alcun modo la rarità (a differenza dell’incidenza

del neurinoma del nervo acustico che è invece

riportata, anche se non è specificato che si tratta

dell’incidenza annuale), e questo rende il

ragionamento del tutto qualitativo. In secondo

luogo, l’inferenza di un’associazione causale è in

questo caso esclusivamente basata sulla rarità

della malattia e sull’esposizione di un singolo

individuo in termini di ore di utilizzo del telefono

cellulare, senza alcun riferimento alle conoscenze

scientifiche sugli effetti dei CEM-RF ottenute, tra

l’altro, mediante studi epidemiologici nei quali il

numero di soggetti studiati è un parametro

determinante per valutarne l’attendibilità.

Solo in un secondo momento viene citata la

classificazione della IARC, senza tuttavia alcuna

discussione del suo significato, e in particolare

dell’esistenza dei due Gruppi dei

“cancerogeni” (Gruppo 1) e dei “probabilmente

cancerogeni” (Gruppo 2A) cui corrispondono

evidenze di cancerogenicità ben più solide di

quelle che conducono all’inserimento di un agente

tra i “possibilmente cancerogeni” (Gruppo 2B)

come nel caso dei CEM-RF.

Le motivazioni della decisione del Tribunale di

Ivrea sono espresse nel seguente brano tratto dalla

sentenza: “Facendo proprie queste conclusioni

[cioè l’inserimento dei CEM-RF nel Gruppo 2B della

IARC, N.d.A.], è del tutto evidente che, tenendo

altresì conto dell’esposizione alle radiofrequenze

di cui al caso di specie, della rarità del tumore

contratto dal sig. [omissis] e dal periodo di

latenza, nonché della coincidenza tra uso della

mano destra e lato destro del capo ove si è

sviluppata la patologia, deve ritenersi sussistente

un nesso causale (o quantomeno concausale) tra

tecnopatia ed esposizione, sulla base della regola

del “più probabile che non”: nessuna differente

plausibile spiegazione della malattia, infatti, è

stata neppure ipotizzata dal convenuto e dai

propri CTP.” A parere dello scrivente, quanto

riportato in questo brano della sentenza sembra

invece indicativo di una mera possibilità, più che

di una elevata probabilità (superiore al 50%,

quantificando la regola del “più probabile che

non”), e non sembra rilevare ai fini della

valutazione del nesso di causa il fatto che non sia

stata fornita una plausibile spiegazione alternativa

della malattia.

Si evidenzia infine, come ulteriore elemento di

comprensione delle basi scientifiche della

sentenza di Ivrea, che in essa veniva citata la

sentenza della Corte d’Appello di Brescia della

quale era ritenuto particolarmente significativo il

suo riferimento ai sopravvissuti alle esplosioni

atomiche in Giappone: “il rischio oncologico per i

sopravvissuti alle esplosioni atomiche di

Hiroshima e Nagasaki è stato individuato nella

misura di “1,39 per tutti i tumori”, mentre il

rischio individuale per un uso così massiccio e

prolungato nel tempo di telefoni cellulari,

secondo lo studio Interphone è pari ad una misura

di 1,44 (vds. pag. 7 CTU Crosignani): se nessuno

osa porre in dubbio un nesso quantomeno

concausale tra esposizione alle radiazioni

provenienti da una esplosione atomica e patologie

tumorali, non si vede perché non possa ritenersi

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

analogamente sussistente questo medesimo nesso

tra esposizione a radiofrequenze e tumori

encefalici rari quali quello che ha colpito il sig.

[omissis], trattandosi di rischio quantificato in

misura del tutto analoga per le due ipotesi.”

Per quanto riguarda la sentenza del Tribunale di

Firenze, in essa viene riportata la seguente

dichiarazione in udienza del Consulente Tecnico

d’Ufficio: “allo stato, non è conosciuta la genesi

del neurinoma dell’ottavo nervo, peraltro nel caso

di specie, tenuto conto dell’entità

dell’esposizione a onde elettromagnetiche, e

della sua intensità per i motivi tecnici da me già

esposti nella relazione, ho ritenuto che possa

essere plausibile un rapporto di concausalità con

l’uso del telefono cellulare effettuato in ragione

dell’attività lavorativa.” Il Tribunale, sulla base di

questo “plausibile” rapporto di concausalità tra

l’uso del telefono cellulare per motivi di lavoro e il

neurinoma del nervo acustico, ha deciso che la

valutazione complessiva di circostanze quali la

classificazione della IARC, l’utilizzo nella prima

fase di apparecchiature con superiore intensità di

emissioni, e la localizzazione della patologia,

“costituisce conferma non di una mera possibilità,

bensì, in via di probabilità, della idoneità

dell’esposizione al rischio a causare l'evento

morboso”. Non è chiaro il percorso logico con cui

si passa dalla plausibilità/possibilità alla conferma

“in via di probabilità” dell’idoneità

dell’esposizione a causare l’evento morboso. Si

evidenzia comunque come neanche in questo caso

vi sia stato un approfondimento del significato

dell’inserimento dei CEM-RF nel Gruppo 2B della

classificazione IARC.

Anche nel caso della sentenza di Monza non vi è un

approfondimento della classificazione IARC che

viene semplicemente citata dal CTU, il quale

aggiunge peraltro che “gli studi che prendono in

considerazione le variazioni dei tassi di incidenza

nel tempo, la prevalenza dell’uso del telefono

cellulare e il periodo di latenza non forniscono

alcun supporto per le associazioni causali”.

Secondo il CTU “in ultima analisi i tempi di

esposizione, il tipo di apparecchi in uso (per come

si apprende dal ricorso), il tipo di patologia

presentata e la revisione della letteratura

permettono di concludere come, pur non

essendovi chiare e conclusive evidenze

scientifiche, nel caso in esame possa riconoscersi

un ruolo quantomeno concausale tra l’insorgenza

di neurinoma acustico sinistro e l’attività

lavorativa svolta dal ricorrente.” Anche in questo

caso non è chiaro il percorso logico con cui si

giunge ad una valutazione di un ruolo

“quantomeno concausale” dell’esposizione:

infatti, se l’assenza di chiare e conclusive

evidenze scientifiche non permette di riconoscere

un ruolo causale dell’esposizione lavorativa ai CEM

-RF, allo stesso modo non dovrebbe permettere di

riconoscerne neanche un ruolo concausale.

La sentenza della Corte d’Appello di Torino

A seguito della sentenza del Tribunale di Ivrea del

2017, l’INAIL era ricorsa in appello con diverse

motivazioni, tra le quali quella di interesse in

questa sede è l’erroneità della conclusione del

Tribunale circa l’esistenza del nesso eziologico tra

neurinoma dell’acustico ed esposizione lavorativa

ai CEM-RF emessi dai telefoni cellulari. Secondo

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

l’INAIL, infatti, la CTU le cui conclusioni il

Tribunale aveva recepito, pur basandosi sulla

classificazione IARC, non aveva dato

adeguatamente conto degli studi successivi, né

aveva correttamente valutato il significato della

classificazione dei CEM-RF nel Gruppo 2B dei

“possibilmente cancerogeni per gli esseri umani”,

cui corrispondono evidenze di cancerogenicità più

deboli di quelle che permettono di classificare un

agente nel Gruppo 2A dei “probabilmente

cancerogeni per gli esseri umani” o nel Gruppo 1

dei “cancerogeni per gli esseri umani”. Inoltre,

l’INAIL sosteneva che non è corretto inferire dalla

coesistenza di due fenomeni rari (un tumore raro

ed un’esposizione rara) un nesso di causa-effetto

tra di essi, come invece aveva fatto il CTU in

primo grado (come precedentemente discusso).

La Corte d’Appello di Torino aveva disposto una

nuova Consulenza Tecnica d’Ufficio, della quale

ampi brani sono riportati nella sentenza, assieme

alle repliche dei CTU alle osservazioni dell’INAIL

sulla loro relazione. A parere della Corte “i

Consulenti d’Ufficio hanno replicato punto per

punto alle osservazioni dei Consulenti INAIL,

menzionando copiosa letteratura scientifica a

supporto delle proprie argomentazioni, e

fornendo, in conclusione, solidi elementi per

affermare un ruolo causale tra l’esposizione

dell’appellato alle radiofrequenze da telefono

cellulare e la patologia per cui è causa”. Come

logica conseguenza, l’appello è stato respinto.

Effettivamente la relazione di CTU (comprese le

repliche all’INAIL) appare, da quanto risulta in

sentenza, molto articolata e basata su un lavoro

originale di analisi della letteratura scientifica che

ha portato ad elaborare un punto di vista

personale dei CTU poi recepito dalla Corte.

Sebbene l’autore di questo contributo ritenga che

i motivi dell’INAIL precedentemente riportati siano

più coerenti con le valutazioni condivise dalla

comunità scientifica che si occupa dei rischi per la

salute connessi alle esposizioni ai CEM-RF,

andrebbe al di là delle finalità di questo articolo

una controreplica punto per punto alle

affermazioni dei CTU (che comunque sarebbe

limitata a quelle riportate in sentenza, non

essendo disponibile la relazione di CTU). Si

discutono perciò solo alcuni punti che appaiono

particolarmente significativi, rilevando

preliminarmente che la più volte citata inferenza

di un nesso causale a partire dalla coesistenza di

due fenomeni rari (tumore ed esposizione), di cui

alla CTU del primo grado di giudizio, non è stata,

opportunamente, più presa in considerazione.

Nel rispondere alle critiche dei CTP INAIL

sull’attendibilità degli studi epidemiologici caso-

controllo che mostrano associazioni tra

l’esposizione a CEM-RF e il neurinoma

dell’acustico, i CTU hanno trattato il punto delle

possibili distorsioni da cui tali studi possono essere

affetti, con particolare riferimento al recall bias.

Nel descrivere le cause di queste distorsioni,

connesse alle misclassificazioni non differenziali e

differenziali dell’esposizione, i CTU affermano che

le misclassificazioni non differenziali (che

riguardano in egual misura i casi e i controlli)

determinano sempre una sottostima del rischio

rispetto al rischio reale, mentre le

misclassificazioni differenziali (che interessano

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

casi e controlli in diversa entità) possono condurre

sia ad una sovrastima che ad una sottostima del

reale rischio di malattia dovuto all’esposizione.

Quanto precede, tuttavia, è vero solo in presenza

di un rischio, mentre nel caso in cui non vi sia

nessun rischio (ipotesi che non sembra degna di

essere contemplata dai CTU) la misclassificazione

non differenziale non ha nessun effetto sulle stime

di rischio, mentre la misclassificazione

differenziale, come quella del recall bias descritto

precedentemente, può dare luogo ad associazioni

spurie: questa è una delle possibili interpretazioni

non causali dei risultati degli studi Interphone e

degli studi svedesi del gruppo del prof. Hardell,

alla base della classificazione IARC (2013), che

tuttavia non è stata presa in considerazione dai

CTU.

Tra le evidenze successive alla monografia IARC

del 2013, i CTU hanno esaminato i già citati studi

Ramazzini e NTP sui ratti esposti ai CEM-RF che, a

loro parere, poiché evidenziano eccessi di rischio

di schwannomi cardiaci negli animali esposti,

supportano una relazione causale tra esposizione a

CEM-RF e incidenza di neurinomi (o schwannomi)

dell’acustico.

A fronte delle osservazioni critiche su questi studi,

effettuate dai CTP INAIL richiamando il già citato

articolo dell’ICNIRP (2020), i CTU osservano, in

merito alla differente localizzazione degli

schwannomi cardiaci riscontrati nei ratti esposti

negli studi NTP e Ramazzini, rispetto ai neurinomi

dell’acustico, che “appare probabile che la

modalità di irradiazione degli animali abbia

influito nel determinare questo risultato”,

essendo gli animali stati esposti a corpo intero a

differenza degli utilizzatori di telefoni cellulari

che sono esposti solo localmente alla testa. In

realtà, la differente modalità di irradiazione a

corpo intero degli animali avrebbe potuto spiegare

un eventuale aumento di schwannomi in tutto il

corpo degli animali, certo non limitatamente alla

testa, ma neanche limitatamente alla regione

cardiaca. Questo punto è molto ben discusso in

ICNIRP (2020), ma i CTU, che pure ne erano a

conoscenza, non sembrano averne tenuto conto.

Ancora in merito all’esposizione di tutto il corpo

degli animali, i CTU affermano condivisibilmente

che l’aver utilizzato tale esposizione non rende

meno validi i risultati degli studi perché lo scopo

degli studi su animali è valutare se l’esposizione

ad un sospetto agente cancerogeno provochi o

meno eccessi di tumori nei gruppi di animali

esposti, per cui gli animali possono essere esposti

con modalità diverse rispetto all’uomo. Non

sembra però che i CTU abbiano apprezzato le

osservazioni dell’ICNIRP (2020) relative al fatto

che gli effetti osservati nello studio NTP

potrebbero essere dovuti ad aumenti di

temperatura, a loro volta dovuti al fatto che

l’esposizione, con un SAR medio di 6 W/kg,

riguardava tutto il corpo. L’ipotesi di una natura

termica degli effetti osservati nello studio NTP

potrebbe anche spiegare perché non sono stati

riscontrati effetti nei ratti femmina, né nei topi di

entrambi i sessi, in quanto i ratti maschi per le

loro maggiori dimensioni hanno un minore

rapporto area superficiale/massa che li rende

maggiormente soggetti (in termini di rialzo della

temperatura corporea) all’azione del calore che

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

sarebbe meno efficacemente dissipato dalla

superficie del corpo (ICNIRP, 2020). Se gli effetti

osservati nei ratti dallo studio NTP fossero di

natura termica, non potrebbero certo essere

estrapolati al caso di un utilizzatore di telefono

cellulare, la cui esposizione è molto inferiore alla

soglia per gli effetti termici.

In merito ai diversi livelli di esposizione ai quali gli

studi NTP e Ramazzini hanno riportato effetti,

circostanza che rende i risultati dei due studi non

coerenti tra di loro (ICNIRP, 2020), i CTU

affermano che nello studio NTP, pur essendo la

“dose” di esposizione molto superiore al limite

previsto per l’esposizione al corpo intero per

uomo, la dose assorbita a livello locale è solo una

piccola parte della dose somministrata a tutto il

corpo, ed in particolare per il cervello è stata

stimata (da chi, non viene detto) in circa il 10%

della dose totale somministrata a tutto il corpo.

Va osservato in primo luogo che non è chiaro il

riferimento al cervello visto che qui non si sta

parlando degli utilizzatori di telefoni cellulari, ma

della coerenza dei risultati di studi su ratti nei

quali sono stati riscontrati schwannomi nel cuore.

Inoltre, il SAR (grandezza su cui vengono fissati i

limiti di esposizione, per cui è ad esso che si

riferiscono i CTU parlando impropriamente di

“dose”) è una potenza per unità di massa che, al

contrario di quanto sostengono i CTU, a livello

locale può essere molto più elevata del valore

mediato su tutto il corpo. Infine, non è chiaro cosa

i CTU vogliano dimostrare con queste

affermazioni, presumibilmente che i risultati dello

studio Ramazzini e dello studio NTP non sono in

realtà incoerenti tra loro, ma neanche questo è

detto chiaramente. L’incoerenza di questi risultati

è invece del tutto evidente, e se i CTU se ne

fossero avveduti forse avrebbero potuto

concludere meno nettamente circa il supporto

“inequivocabile” che questi studi sperimentali

danno all’effetto cancerogeno dei CEM-RF.

Da quanto riportato in sentenza, sembra che i CTU

non considerino credibile il rapporto ISTISAN 19/11

(Lagorio et al., 2019), richiamato dai CTP INAIL

nelle loro conclusioni, sulla base del fatto che

questo documento “è stato criticato

dall’associazione Medici per l’Ambiente per varie

ragioni, tra cui: la selezione degli studi inclusi

nelle meta-analisi presentate; l’interpretazione

delle associazioni osservate tra RF e tumori

intracranici; l’uso inappropriato dei dati

sull’andamento dell’incidenza dei tumori

cerebrali per confutare l’associazione tra RF e

tumori cerebrali; il non aver tenuto conto nella

loro valutazione dei risultati di recenti studi

sperimentali su animali che hanno mostrato

effetti cancerogeni su ratti (NTP, 2018; Falcioni et

al., 2018) e, soprattutto, per non aver fatto

conseguire alla dichiarata incertezza sugli effetti

associati ad un uso intenso e prolungato di TC

raccomandazioni più stringenti sui limiti di

esposizione a RF, in particolare per i bambini e gli

adolescenti, che potrebbero essere maggiormente

suscettibili a tali effetti”.

La critica al rapporto ISTISAN da parte

dell’associazione Medici per l’Ambiente sembra

che venga accettata “acriticamente” dai CTU

senza alcun approfondimento delle motivazioni

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ASPETTI SCIENTIFICI E PROFESSIONALI

addotte da tale associazione, la falsità di una delle

quali, non aver tenuto conto degli studi NTP e

Ramazzini, è facilmente verificabile

semplicemente leggendo il rapporto che descrive

tali studi a pag. 61.

Appare illogico inoltre l’ultimo motivo di critica,

che secondo i CTU è il più importante

(“soprattutto”), secondo cui un documento il cui

scopo è quello di descrivere le evidenze

scientifiche su CEM-RF e cancro perde di validità,

nel contesto di un procedimento giudiziario volto a

definire se una patologia ha un’origine

professionale, se non contiene raccomandazioni di

politica sanitaria.

L’unica spiegazione plausibile di questo rifiuto di

prendere in considerazione il rapporto ISTISAN è

che la sua descrizione dello stato delle conoscenze

scientifiche (riportata precedentemente alla fine

del paragrafo “Evidenze scientifiche sul nesso fra

telefoni cellulari e tumori”) non è compatibile con

le convinzioni dei CTU.

Tale spiegazione appare confermata dal

trattamento riservato all’ICNIRP (organismo

scientifico indipendente formalmente riconosciuto

dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, le cui

valutazioni sono state riportate più volte in questa

sede a controbattere le affermazioni dei CTU), del

quale i CTU dicono, riprendendo, anche qui

acriticamente, le opinioni del prof. Hardell (2017):

“l’ICNIRP è un’organizzazione privata, le cui linee

guida sulle RF hanno una grande importanza

economica e strategica per l’industria delle

telecomunicazioni, con la quale peraltro diversi

membri dell’ICNIRP hanno legami attraverso

rapporti di consulenza”. Per questo motivo il

semplice essere membro dell’ICNIRP, secondo il

prof. Hardell e i CTU, può concretizzare una

situazione di conflitto di interesse rispetto alla

valutazione degli effetti sulla salute dei CEM-RF. E

infatti, “a parte possibili legami con

l’industria” (si noti che i legami con l’industria

adesso sono solo “possibili”) “appare evidente che

i membri dell’ICNIRP dovrebbero astenersi dal

valutare l’effetto sulla salute di livelli di RF che

l’ICNIRP stesso ha già dichiarato sicuri e quindi

non nocivi per la salute (Hardell, 2017)”. Il

riferimento è al fatto che diversi membri

dell’ICNIRP sono anche autori di studi scientifici, o

membri di commissioni di esperti che hanno

valutato le evidenze scientifiche di

cancerogenicità dei CEM-RF, i cui risultati e

conclusioni evidentemente non sono funzionali alle

tesi del prof. Hardell e dei CTU. È interessante

notare come l’ICNIRP sia considerato al pari di una

setta religiosa i cui membri non possono esprimere

opinioni personali, né possono ottenere risultati

con i loro studi scientifici, che si discostino dal

“dogma” (termine spesso utilizzato dai critici

dell’ICNIRP) secondo cui i CEM-RF non causano

effetti nocivi per la salute al di sotto dei limiti

fissati per la prevenzione degli effetti termici.

Questo utilizzo dei conflitti di interesse nei

procedimenti giudiziari relativi al riconoscimento

dell’origine professionale dei tumori negli

utilizzatori di telefoni cellulari non è nuovo,

risalendo al primo caso di Brescia conclusosi con la

sentenza della Corte di Cassazione del 2012. A tal

proposito si ricorda quanto riportato da Moccaldi &

Polichetti (2016) in relazione al procedimento di

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Cremona. Anche in quel caso i CTP del ricorrente

avevano utilizzato l’argomento dei conflitti di

interesse, affermando la superiorità metodologica

degli studi svedesi del gruppo del prof. Hardell

rispetto allo studio Interphone coordinato dalla

IARC, connessa in qualche modo alla natura dei

finanziamenti dello studio Interphone, indicando

così come maggiormente attendibili gli studi

svedesi che evidenziavano con maggiore chiarezza

associazioni positive tra utilizzo dei telefoni

cellulari e gliomi e neurinomi dell’acustico.

Tuttavia, con particolare riferimento agli studi sul

tumore della parotide (patologia oggetto del

procedimento di Cremona), i CTP del ricorrente

davano una valutazione estremamente positiva

(“privo di difetti metodologici e bias”) ad un

particolare studio i cui risultati andavano nella

direzione desiderata (veniva infatti riportata

un’associazione positiva tra esposizione e tumore),

nonostante il fatto che esso facesse parte del più

generale studio Interphone criticato dagli stessi

CTP perché “finanziato dalle compagnie

telefoniche” (critica che peraltro è stata rigettata

dal Giudice del Lavoro di Cremona). Al contrario,

di due studi del prof. Hardell che non mostravano

associazioni, ad uno non veniva dato molto peso,

l’altro non veniva neanche citato. Ciò dimostra

come il tema dei conflitti di interesse possa essere

utilizzato pretestuosamente, quando serve a

sostenere le proprie tesi, per poi dimenticarsene

quando opportuno.

Conclusioni

Il nesso causale tra l’utilizzo dei telefoni cellulari

e l’insorgenza di patologie tumorali non è stato

dimostrato, per cui non è possibile concludere che

un tumore sia stato causato, anche solo con la

formula del “più probabilmente che non” richiesta

in sede di contenzioso civile, dall’esposizione

lavorativa ai CEM-RF generati da questi dispositivi,

qualunque sia il livello di esposizione del

lavoratore. Questa considerazione è stata alla

base delle misconosciute sentenze di Cremona e

Milano che non hanno riconosciuto l’origine

professionale di tumori in lavoratori che

utilizzavano intensamente il cellulare. Altre

sentenze, cui è stato dato ampio risalto mediatico,

si sono basate su ragionamenti di natura diversa,

che si è in questa sede cercato di descrivere nei

loro tratti salienti, i quali hanno portato i Giudici a

conclusioni opposte a quelle dei Giudici di

Cremona e Milano. In diversi casi le decisioni dei

Giudici sono state influenzate da argomenti

pretestuosi, avanzati dai Consulenti Tecnici di

Parte e purtroppo anche da quelli d’Ufficio,

relativi a presunti conflitti di interesse,

contribuendo così ad esacerbare ulteriormente un

dibattito pubblico sui rischi per la salute dei campi

elettromagnetici già abbastanza acceso per via

delle informazioni poco corrette cui i cittadini

sono continuamente esposti.

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Riferimenti Bibliografici

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