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comunità PERIODICO DI RIFLESSIONE, DIALOGO E INFORMAZIONE DELLA PARROCCHIA DI SAN MARTINO VESCOVO Filastrocca del mese di giugno, il contadino ha la falce in pugno: mentre falcia l'erba e il grano un temporale spia lontano. Gli scolaretti sui banchi di scuola hanno perso la parola: apre il maestro le pagelle e scrive i voti nelle caselle. Signor maestro, per cortesia, non scriva quel quattro sulla mia. Quel cinque, poi, non ce lo metta sennò ci perdo la bicicletta. Se non mi boccia, glielo prometto, le lascio fare qualche giretto. (Gianni Rodari) giugno-luglio 2016 Imparare l'attesa - Una cosa che sono giunto a sentire come importante per il nostro vivere, è la spiritualità dell’attesa. Cosa significa attesa? Uno è l’attendere Dio, altro è l’attendere di Dio. Noi siamo in attesa. Dio è in attesa. Nelle nostre vi- te l’attesa non è un atteggiamento molto popolare. La maggior parte di noi consi- dera l’attesa una perdita di tempo. Per molti l’attesa è un deserto arido che si sten- de tra il luogo in cui essi si trovano e quello in cui vogliono andare. Mi colpisce che tutte le figure che appaiono nelle prime pagine del Vangelo di Luca siano in atte- sa. L’intera scena iniziale della buona novella è piena di persone che attendono. Il loro attendere è un attendere con senso di promessa. (H. Nowen) (Nella fotografia. La paziente e fedele attesa: una scena ormai abituale alla porta della chiesa).

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comunità

PERIODICO DI RIFLESSIONE, DIALOGO E INFORMAZIONE DELLA PARROCCHIA DI SAN MARTINO VESCOVO

Filastrocca del mese di giugno,

il contadino ha la falce in pugno:

mentre falcia l'erba e il granoun temporale spia lontano.Gli scolaretti

sui banchi di scuolahanno perso

la parola:apre il maestro

le pagellee scrive i voti nelle caselle.

Signor maestro, per cortesia,non scriva

quel quattro sulla mia.Quel cinque, poi, non ce lo mettasennò ci perdo la bicicletta.

Se non mi boccia, glielo prometto,

le lascio fare qualche giretto.

(Gianni Rodari)

giugno-luglio 2016

Imparare l'attesa - Una cosa che sono giunto a sentire come importante per ilnostro vivere, è la spiritualità dell’attesa. Cosa significa attesa? Uno è l’attendereDio, altro è l’attendere di Dio. Noi siamo in attesa. Dio è in attesa. Nelle nostre vi-te l’attesa non è un atteggiamento molto popolare. La maggior parte di noi consi-dera l’attesa una perdita di tempo. Per molti l’attesa è un deserto arido che si sten-de tra il luogo in cui essi si trovano e quello in cui vogliono andare. Mi colpisce chetutte le figure che appaiono nelle prime pagine del Vangelo di Luca siano in atte-sa. L’intera scena iniziale della buona novella è piena di persone che attendono. Il loro attendere è un attendere con senso di promessa. (H. Nowen)(Nella fotografia. La paziente e fedele attesa: una scena ormai abituale alla porta della chiesa).

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COMUNITÀ TORRE BOLDONE ● N. 186 - GIUGNO-LUGLIO 2016

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LA GIORNATA IN MONASTERO

ECHI DI VALLE CAMONICAsponde con entusiasmo, iniziano i lavori di ricostruzione delmonastero che risorge dalle proprie ceneri come moderna fe-nice. Ora l’eremo è profondamente radicato nella vita dellavalle e dei valligiani, che lo sostengono materialmente edeconomicamente, divenendone la forza trainante. La prioritànell’attività dell’eremo è quella della formazione spirituale,etica e morale con corsi di catechesi, di ecumenismo, di cul-tura dei laici impegnati nel sociale, perché sappiano leggerei segni dei tempi e siano capaci di mettersi al servizio in unamissione di promozione umana a tutti i livelli. L’eremo di-venta così trampolino di lancio per poi costruire rapportibuoni per vive la vita vera alla luce del messaggio evangeli-co. Verso la fine degli anni ’80 viene poi costruito il mona-stero delle Clarisse, emanazione di quello di Lovere e doveora vivono sei monache. Con loro abbiamo vissuto i mo-menti della Liturgia delle Ore, momenti di preghiera e di si-lenzio, gustando appieno un momentaneo distacco dalla rou-tine quotidiana, Dalla loro voce, a volte filtrata dai ferri del-la grata, a volte a viso aperto, abbiamo raccolto la loro espe-rienza che ci ha portato ad approfondire la spiritualità diFrancesco e Chiara e a gustare il racconto di vita di una mo-naca che definirei inaspettata. Inaspettata per lo stile di ap-proccio della monaca che si rivela come una che non ti aspet-teresti mai, capace di raccontare e raccontarsi con una ener-gia, una vitalità insolite per una claustrale, in grado di con-durre l’ascoltare ad incontrare il Signore attraverso la suastoria personale. Lei che veniva da una storia familiare sof-ferta e aveva tutt’altri obiettivi, si è trovata a percorrere uncammino di spogliazione, di conversione in una vita di pre-ghiera, di silenzio e di condivisione. Il Signore non ha scon-volto la sua vita, ma l’ha presa e modellata con pazienza edolcezza, per farne uno strumento di salvezza di ogni suo fi-glio. La regola di Chiara di povertà, castità ed obbedienza,viene vissuta da questa sorella come testimonianza per ilmondo che, oggi più che mai ha bisogno di punti fermi a cuiaggrapparsi e fonti a cui attingere acqua di vita. La gioia chetraspare dalle sue parole e l’entusiasmo che le accompagna,ci parlano di una felicità del vivere e del donare che scon-volge, che muove dal di dentro, che apre il cuore e chinare il

capo davanti all’amore fecondo del Padre. I bei momenti vissuti insieme condividen-do il quotidiano e rivisitando la vita dellaparrocchia e il cammino che in essa si stacompiendo, ci ha portato in conclusione diquesto soggiorno, a percorrere le vie diBienno per conoscere meglio questo ango-lo di terra definito tra i più belli d’Italia. Lesue strade antiche, le sue case ricche di sto-ria, gli artisti che l’hanno abitata e arric-chita di opere, gli artigiani che ne hannocaratterizzato la vita, ci parlano di una sto-ria fatta di pietre e di ferro, di acqua e difuoco, di semi e di farina. Di una vita vis-suta e che continua a pulsare.

Loretta Crema

rmati di impermeabili e giacche antivento co-me fossimo ancora a marzo e non a giugnoinoltrato, una cinquantina di parrocchiani sia-mo partiti sabato 11 scorso, sotto una pioggia

battente che ci ha accompagnato per tutta la giornata, perraggiungere Bienno, in val Camonica. Una valle ricca di sto-ria, di cultura, di umanità e di spiritualità, come ci sarà datodi conoscere poi. Una valle ampia dominata dalle propaggi-ni delle Prealpi e costellata di borghi antichi, mirabilmenteconservati e che rimandano ad una storia millenaria. Già abi-tata fin da tempi preistorici, di cui rimangono indelebili leimpronte sulle pietre, la valle era crocevia di passaggio peril nord dell’Europa degli eserciti romani che qui insediaro-no il castro e fondarono la Civitas Cammunorum (CividateCamuno). Borghi antichi, custodi della vita operosa di que-sto popolo camuno, orgoglioso e fiero delle proprie origini edella storia e cultura che lo contraddistingue. Valle che ha vi-sto nascere e crescere forti semi di santità, da qui infatti ven-gono la beata Comensoli, fondatrice delle suore Sacramen-tine, il beato Giuseppe Tovini, avvocato ed imprenditore lo-cale strettamente legato al monastero, il beato Innocenzo daBerzo, cappuccino. L’occasione è stata quella di trascorrerei canonici due giorni in monastero (se non abbiamo calcola-to male dovrebbe essere ormai il tredicesimo appuntamen-to): un momento di sosta al termine di un anno che ha vistociascuno impegnato in vari ambiti. La mèta è stato l'Eremodei santi Pietro e S. Paolo e l’adiacente Convento claustraledi s. Chiara. Posto in posizione strategica a dominare la val-le e il sottostante abitato di Bienno, l’eremo vanta originifrancescane risalenti al 1200, quando Antonio di Lisbona, danoi conosciuto come s. Antonio da Padova, fondava in nordItalia questo ed altri monasteri. Secoli successivi l’interven-to della Repubblica Serenissima e vicissitudini storiche,hanno portato alla rovina e all’abbandono del monastero chesi riduce a rudere. Solo in tempi recentissimi dopo in Con-cilio Vaticano II, ci racconta il direttore don Roberto, laChiesa locale ricerca un luogo per studiare i documenti con-ciliari che viene individuato nell’antico monastero. Cercatied ottenuti consensi morali ed economici in valle, che ri-

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empo di anniver-sari, che riportanovoglia di libertà edi democrazia,

volti dignitosi e volitivi, impe-gno per il paese, volontà di ser-vizio, nella convinzione che lapolitica può e deve essere perun credente 'forma alta dellacarità'. Tempo per chiedersi,secondo il ben noto aforisma,che cosa ciascuno può fare peril bene del proprio paese. Nonda rampanti o da profittatori,ma da servi, che appunto ser-vono e non si servono. Mondidiversi, nell'arco di 70 anni,che cambiano i connotati dellastoria e dell'animo. Ma la stri-scia di valori che hanno animato i votanti di allora alReferendum e alla Costituente e i padri della Costitu-zione nel loro delicato compito fondativo, devono es-sere pure oggi alla base di un edificio che non vogliasbriciolarsi, ma reggersi saldamente, per un cammi-no di giustizia e di pace. Per tutti. Certo che un qual-che brivido passa per la schiena a leggere i nomi dicoloro che hanno retto con dignità e grandezza d'ani-mo, pur con limiti inevitabili, le sorti del paese nel do-poguerra e di converso i nomi di certi personaggi cheoggi siedono a determinare le sorti del nostro paese.Ogni tanto nelle preghiere della messa si è invitati apregare per loro. Necessario, ma basterà? Non man-ca di certo il soffio dall'Alto, ma spesso viene riman-dato al mittente o per insensata sufficienza o perchénon torna conveniente raccoglierlo.

Offriamo qui una breve ma intensa nota della rivi-sta 'Famiglia Cristiana'. (d.L.)

Erano «ribelli per amore», per dirla con le paro-le di Teresio Olivelli, partigiano cattolico, morto nelcampo di Hersbruck. Cattolici e cattoliche che resi-stettero al fascismo e avviarono l’Italia verso la li-bertà e la democrazia. Enrico Mattei, capo partigia-no e poi presidente dell’Eni, al primo congresso del-la Democrazia cristiana, nell’aprile del 1946, indicòin 65 mila su un totale di 130 mila il numero di co-loro che, facendo riferimento in tutto o in parte alVangelo, aderirono alla lotta partigiana, divisi in180 brigate. Ma non fu solo questione di cifre. Alcunidi loro, da Giuseppe Dossetti a Benigno Zaccagnini,a Tina Anselmi, a Paolo Emilio Taviani a ErmannoGorrieri, per stare solo ai nomi più conosciuti, die-dero un contributo fondamentale per la ricostruzio-ne materiale e morale del Paese.

Il 2 giugno, la data che consacra il passaggio dal-la monarchia alla Repubblica, ma anche che insedial’Assemblea costituente, li vide protagonisti, alla ri-

cerca dei modi migliori per in-carnare il sogno di un’Italia li-bera e giusta. I “professorini”– il gruppo dei giovani Gior-gio La Pira, Amintore Fanfani,Aldo Moro, Giuseppe Lazzati,che faceva riferimento a Dos-setti – lavorarono per dare al-l’Italia una democrazia inclu-siva, una Carta costituzionaleche mettesse tra i suoi principiirriformabili l'uguaglianza,lasolidarietà, il lavoro. Che po-nesse al centro la perso-na come valore assoluto, cometeorizzava Emmanuel Mou-nier. Lo fecero dialogando contutte le culture e trovando unasintesi alta che allontanasse il

nostro Paese dagli orrori appena vissuti. Un impegno, quello dei cattolici, che ha retto le

sorti dell’Italia anche negli anni bui delle contesta-zioni e del sangue, dei tentativi di svolte autoritariee di rivoluzioni senza ritorno.

E che chiede, ancora oggi, che sia data a tutti lapossibilità di partecipare alla costruzione del Paese.Per un’Italia sussidiaria e solidaristica i cattolici, elo hanno fatto anche con la legge delegache, finalmente, riordina il Terzo settore e promuovel’impegno sociale e il volontariato, chiedono respon-sabilità da parte di tutti. Chiedono di fare ciascuno ilproprio dovere. Di costruire relazioni e comunità. Diessere protagonisti, ancora una volta, dello sviluppodel nostro Paese. Ricordando che la libertà e la de-mocrazia non sono valori delegabili, ma richiedonodi essere inverati ogni giorno con intelligenza e crea-tività. Sapendo, per tornare a Olivelli, che «non vi so-no liberatori, ci sono solo uomini che si liberano».

T A 70 anni dal referendumSOFFIO DI VANGELO

SULL'ITALIA

COMUNITÀ TORRE BOLDONE

Redazione: Parrocchia di S. Martino vescovopiazza della Chiesa, 2 - 24020 Torre Boldone (BG)

Conto Corrente Postale: 16345241Direttore responsabile: Paolo Aresi

Autoriz. Tribunale di Bergamo n. 34 del 10 ottobre 1998Composizione e stampa: Intergrafica Srl

via Emilia, 17 - 24052 Azzano San Paolo (Bergamo)

TELEFONI UTILIUfficio parrocchiale 035 34 04 46“...ti ascolto” 334 3244798don Leone Lussana, parroco 035 34 00 26don Giuseppe Castellani 035 34 23 11don Angelo Scotti, oratorio 035 34 10 50don Tarcisio Cornolti 035 34 13 40

Informazioni: www.parrocchiaditorreboldone.it

Di questo numero si sono stampate 1.850 copie.

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«La morte è entrata nel mondo per invidia del dia-volo» (Sap. 2,24)

ommaso d’Aquino definisce invidia il“rattristarsi per il bene altrui, non inquanto se ne teme un danno, ma in quan-to lo si considera un danno, perché dimi-

nutivo della nostra gloria o eccellenza”. Il Catechi-smo della chiesa Cattolica recita “L’invidia è un vi-zio capitale. Consiste nella tristezza che si prova da-vanti ai beni altrui e nel desiderio smodato di appro-priarsene, sia pure indebitamente. Quando arriva avolere un grave male per il prossimo, l’invidia di-venta peccato mortale” .Anche in questo caso, come abbiamo già visto per al-tri vizi, ci può essere un’invidia normale o una cheinvece è peccato grave. Chi di noi non ha mai escla-mato “come ti invidio!” vedendo qualcosa di belloaccaduto ad altri? Ma in gene-re è solo un’esclamazione chevuole mettere in evidenza il ri-conoscimento di qualcosa dibello e importante, e viene disolito pronunciata con un sor-riso. Accade però che vedere le ric-chezze, la fortuna, il potereche arride ad altre personeporti alla nascita di un senti-mento cattivo, malevolo, chepuò arrivare a rasentare l’o-dio, a fare in modo da far de-siderare il male per la personainvidiata. Questo, ovviamen-te, è un peccato e un peccatograve. Oltretutto è l’unicopeccato che non procura pia-cere; il goloso prova soddisfa-

zione mangiando un ottimo dolce, il superbo mo-strandosi a chi è meno di lui, l’avaro contando il suodenaro, e così via. L’invidioso, invece, sta sempremale. Chi si lascia prendere dall’invidia è sempreturbato e ha sempre paura di non essere valorizzato,di non essere cercato né apprezzato.L’invidia è un sentimento molto frequente, e presen-te nella Bibbia già a partire da Caino e Abele: pen-siamo solo ai vari proverbi o detti che ne parlano, adesempio quello dell’erba del vicino. La cosa piùbrutta dell’invidia è che ci impedisce di gioire del be-ne di un altro, della sua gioia. E ci spinge al punto dadesiderare che le fortune altrui cambino, che si pos-sa ritrovare in difficoltà. Spesso questo sentimento ètenuto ben nascosto, ma quando riesce a farsi strada,fa veramente male a tutti. Non solo: spesso dall'invi-dia nascono sentimenti o azioni davvero malvagi, co-me la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dal

male altrui, l’odio. Alla base dell’invidia c’èquasi sempre il confronto, lacomparazione con ciò chehanno o sono gli altri. Ma lacosa strana è che spesso si in-vidia qualcuno non tanto percome è, ma per l’immagineche ci è fatti di lui. “Quandoc’è questa comparazione fi-niamo nell’amarezza e anchenell’invidia, ma l’invidia ar-rugginisce la comunità cri-stiana, le fa tanto male: il dia-volo vuole quello” (papaFrancesco). E il Signore, in-vece, cosa vuole? Vuole cheimpariamo a guardare gli al-tri con i suoi stessi occhi, gliocchi dell’Amore.

■ Rubrica a cura di Rosella Ferrari

INVIDIA E ACCIDIA

Abbiamo parlato di peccati in quest’anno dedicato alla Misericordia. Per una specie di ripasso del ca-techismo studiato da bambini e del modo di intendere il peccato e la disgregazione che esso comportanella vita personale e sociale. In quest’epoca complessa che spesso pare ammettere ogni cosa, ma cheha ancora tanto bisogno di regole chiare, capaci di dare ordine alla vita. Chiudiamo le nostre riflessio-ni unificando l’invidia e l’accidia in un unico pezzo.

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Coloro che «visser sanza ’nfamiae sanza lodo» (Dante, Inferno).

a straordinaria descri-zione che Dante fadegli accidiosi illu-stra un peccato di cui

non si parla quasi mai, e quindi po-co conosciuto. Chiamato un tem-po “il vizio dei monaci”, perchédai primi tempi del monachesimoorientale ci si era accorti che le oredel primo pomeriggio rendevano imonaci apatici, poco reattivi, inca-paci perfino di concentrarsi nellapreghiera, ha assunto nel tempovesti diverse, fino ad essere de-scritto come “male oscuro” perchédi difficile correzione. Per quanto riguarda i monaci, ar-rivò Benedetto da Norcia ad evitare l’accidia ai suoi mo-naci, scandendo le attività della preghiera e del lavoro inmodo da lasciare poco tempo. Ma si osservò che l’acci-dia poteva colpire anche di notte, e così divennero pre-ziose le preghiere corali distribuite in modo da inter-rompere la lunga pausa notturna.È chiaro che se questo problema venne rilevato già daitempi antichi nei conventi, non possiamo certo illuderciche non abbia colpito e che non colpisca anche noi! Ri-cordo che poco tempo fa ascoltai con sorpresa una per-sona cara e che ammiro molto affermare con rammaricodi essere accidiosa. Così cercai di capire di cosa si trat-tasse. E ho scoperto che include molti atteggiamenti,quali la stanchezza, la noia, l'apatia, lo scoraggiamento,la non voglia di reagire. Quello che le nonne un tempodefinivano “ascadésia”, condannandola e trovandoci alvolo qualcosa da fare. Ovvio che qui stiamo parlando diuno stato d’animo, non ancora di un peccato; lo diventaquando ci lasciamo cullare da questo modo di sentirci, elasciamo che prenda il sopravvento su di noi.

L’accidia si concretizza in mol-ti modi diversi: dal rimandaresempre qualcosa che dovrem-mo fare - soprattutto quando sitratta di mantenere il nostrorapporto col Signore - al nondare un ordine di valori chiaroalle nostre azioni, rischiandocosì di perderci in cose inutili edi lasciare sempre indietroquelle positive e buone. Ma sipuò arrivare anche all’opposto,cioè al riempire la nostra vita diinfinite cose da fare per nonavere tempo di fermarsi a riflet-tere su dove stiamo andando: equesto a rischio di iniziare infi-nite cose senza poi riuscire a

portarle a termine. Il Cardinal Martini affermò che esiste anche una«accidia pubblica o politica» fatta di esaltazione del-la moderazione come mediocrità e di chi se ne fa adogni livello unico portabandiera; di una piatta neu-tralità; di un’incapacità timida e impaurita, ma ele-vata a virtù, di valutare oggettivamente ed eticamen-te le situazioni; di incapacità di proporre qualcosa didiverso da una convivenza fiacca, opaca, frammen-tata, che genera una società senza forma e tuttavia,attraverso l’adulazione dei media, capace di addor-mentare le coscienze dei singoli e dei gruppi. E ci diede anche il rimedio per questo stato di cose: con-tro un nemico così sfuggente e multiforme, quasi fattod’ombra, la tradizione spirituale cristiana individua learmi più efficaci nella resistenza e nella costanza amo-rosa - per dirla in una parola nella virtù della fortezza,dono dello Spirito Santo - applicate a tutti gli atti del-l’esistenza: da quelli spirituali a quelli materiali. Perevitare il rischio che Enzo Bianchi ci pone davanti, par-lando di accidia: “uno sbadiglio ci seppellirà”.

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Agnolo di Cosimo di Mariano, detto il Bronzino (1503 –1572) dipinse un’allegoria del trionfo di Venere,le cui perfette e gioiose nudità si intrecciano con quelle degli amorini. Solo guardando con molta atten-zione si scopre, seminascosto dal braccio della dea e dal dorso di un fanciullo, un volto tremendo. È ilparticolare che trovare in queste pagine e che raffigura una donna vecchia e brutta, che si rode d’invidiaper la bellezza della dea. È l’immagine perfetta per mostrare quanto il nostro volto – e il nostro cuore –possano essere devastati dall’invidia.

In questa incisione Albrecht Dürer (1471 - 1528) rappresenta una figura alata seduta con aria pensosadavanti ad una costruzione di pietra circondata da strani oggetti, simboli appartenenti al mondo dell'alchi-mia: una bilancia, un cane scheletrico, attrezzi da falegname, una clessidra, un solido geometrico (il cosid-detto poliedro Dürer), un putto, una campana, un coltello, una scala a pioli. L'opera utilizza gli strumentiusati dagli alchimisti per trasformare il piombo in oro per descrivere la difficoltà di tramutare le “animedelle tenebre” in “anime che risplendono”. E descrive la tristezza derivante dal non raggiungimento delloscopo. L’alchimia era tradizionalmente dominata da Saturno, legato al sentimento della malinconia, cosìcome la cometa e l’arcobaleno. Gli elementi positivi che l’autore inserisce nell’opera sono soprattutto lechiavi (della conoscenza) e il pipistrello, che viene illuminato dalla luce che spezza le tenebre notturne.

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AACCCCOOGGLLIIEENNZZAA EE IINNTTEEGGRRAAZZIIOONNEE

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stellate, misto di dolci alle prugne, marzapane, dat-teri… Una vera squisitezza!Non sono però stati i ”piatti tipici” i protagonisti diquesto evento. Il messaggio che tutti i presenti hannopercepito e colto è stato un chiaro invito ad una ri-flessione sul senso di appartenenza dentro la nostraComunità e sul significato di “cittadinanza”; la “Ta-vola condivisa” non è stata il fine, ma uno strumento,un mezzo, una opportunità da cogliere e far fruttare.Un grazie quindi al “Gruppo parrocchiale di alfabetiz-zazione e cittadinanza” per aver pensato e voluto orga-nizzare questo momento conviviale. Ci è servito, peraprire i nostri occhi sull’immagine di un possibile pae-se nuovo: Torre Boldone, una Comunità senza confini.Torre Boldone, una Comunità dove ogni giorno si in-crocia l’umanità, in tutta la sua bellezza, nel rispettodei talenti che ognuno può e deve spendere per farsi“prossimo”!

l nostro “Centro pastorale S. Margherita”è riconosciuto da tutti non solo come luo-go “ecclesiale” per riunioni dei gruppiparrocchiali, la catechesi, il Consiglio

pastorale, il "Ti ascolto…", ma anche come acco-gliente spazio per incontrarsi, comunicare, mettersiin relazione e, perché no, mettersi attorno ad una ta-vola imbandita per conoscersi e condividere espe-rienze significative della Comunità.Una tavola imbandita, se ben finalizzata, porta infatti adapprezzare non solo le specialità del menù proposto, maanche le persone con le quali si condivide la mensa.Una bellissima esperienza di “ Tavola condivisa” è sta-ta organizzata lo scorso 17 Aprile, proprio presso la sa-la del Centro pastorale, dal nostro Gruppo parrocchia-le ”Scuola di alfabetizzazione e cittadinanza”. Prota-goniste tante donne straniere, abitanti a Torre Boldo-ne, che ogni settimana frequentano il corso di italianoe che hanno voluto offrire ai partecipanti l’opportunitàdi “gustare” piatti tipici dei loro paesi d’origine.Numerose persone della nostra Comunità hanno par-tecipato al “Pranzo etnico” offerto, trovando attornoad ogni tavola ben imbandita una calorosa accoglien-za, arricchita da profumi speziati, piatti di portata in-vitanti e ben guarniti, con ogni sorta di vivande inter-nazionali, bevande aromatizzate allo zenzero, menta,salvia, limone, ananas, karkade, dai vivacissimi colo-ri rosso, verde, arancio, giallo. Non parliamo poi deidolci tipici che hanno fatto venire l’acquolina in boc-ca ancor prima di assaggiarli!Tutte le signore straniere si sono presentate e, ancorprima di descrivere la ricetta tipica del proprio paese,hanno raccontato la loro esperienza di “cittadine” diTorre Boldone, esprimendo l’importanza di sentirsiaccolte con rispetto e dignità. Sorridenti, hanno de-scritto il loro stato d’animo con molta emozione ecommozione, sperimentando di fronte a tante personeun buon uso della lingua italiana.Venezuela, Tunisia, Marocco, India, Burkina Faso…Un mondo rappresentato da volti, voci, sguardi ricono-scenti; un mondo di fatiche, di sofferenze vissute, di no-stalgia per il proprio paese, ma nello stesso tempo di fi-ducia e di speranza per una vita migliore. Questo “pran-zo” è stato veramente un’esperienza sorprendente.Molto apprezzati i cibi proposti: arepas, reina pepla-da, riso alla crema di arachidi, couscous di pollo, taji-ne di manzo alle prugne, carne mechada, verdure pa-

I■ a cura di AnnaElisa Colleoni

LA TAVOLA CONDIVISA

Il nostro grazie!Domenica 22 Maggio abbiamo partecipato allaMessa degli Anniversari di matrimonio.Non potevamo mancare a questo momento di con-divisione comunitaria, poiché proprio quest’annofesteggiamo le nostre “nozze d’oro”! Ci siamo co-sì uniti alle tante coppie presenti per rivivere il sa-cramento del matrimonio e per esprimere il nostrograzie al Signore per quanto ci è stato donato intutti questi anni. Una celebrazione emozionante,che ci ha fatto rivivere a ritroso una lunghissimavita coniugale, segnata da tanti momenti di sere-nità e gioia, ma anche da periodi faticosi, da sof-ferenze per la perdita di persone a noi care.Dopo cinquant’anni vissuti insieme ci sentiamoprofondamente uniti, accompagnati dal rispettoreciproco e dall’amore che, se pienamente vissuto,non ha età. Siamo certi che la vita di coppia, purnelle difficoltà e diversità, sia sempre un’esperien-za arricchente e bellissima, se accompagnata dal-la reciprocità, dalla fiducia, dalla convinzione chequel ”per sempre”, deve essere conquistato ognigiorno. Fino alla fine dei nostri giorni.

Una coppia felicemente sposatada cinquant’anni

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NOTA BENEParlano e scrivono di ‘unioni civili’, come se il matrimonio non fosse una ‘unione civile’. Parlano e scrivonodi ‘famiglia tradizionale’, quella con padre, madre e figli, come se fosse un ‘residuato’ anacronistico e comese fossero possibili altri tipi di 'famiglie'. Il matrimonio e la famiglia sono quello che sono! Altre realtà di vi-ta insieme, nel rispetto delle scelte, inseriamole anche nel vocabolario, ma con nomi propri, non giocando fur-bescamente sui termini, che hanno un loro significato ben preciso nella storia. Riprendiamo dal quotidianoAvvenire una pagina del noto giurista F. d'Agostino, docente all'Università Tor Vergata di Roma. In psicologia, la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzarepositivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positiveche la vita offre, senza alienare la propria identità. Dando sempre nuovo slancio alla propria esistenza.

ranne rare eccezioni, i fautori delle «unionicivili» sono esultanti: la definitiva approva-zione, a colpi di fiducia prima al Senato epoi alla Camera e dunque senza un sacro-

santo e libero dibattito nelle sedi proprie, del disegno dilegge Cirinnà-Lumia appare ai loro occhi alla stregua diun evento storico, di un primo e decisivo passo verso ilnecessario allargamento dell’orizzonte dei diritti umani. Per converso, tranne anche in questo caso rare ecce-zioni, coloro che al riconoscimento legale delle unionidi fatto (eterosessuali od omosessuali che siano) si so-no opposti nelle più diverse maniere manifestano sen-timenti di sconcerto e ancor più di desolazione, propridi coloro che non possono non riconoscere la sconfit-ta. Sconfitti sono anche coloro che avevano auspicatouna «via italiana» alla regolazione «solidale», ma lim-pidamente «non matrimoniale» dei rapporti tra perso-ne dello stesso sesso. E alla presa d’atto che una bat-taglia è stata perduta si unisce il timore che, rotta pu-re questa "diga", quel che resta del matrimonio comeistituzione civile venga travolto, con esiti per alcuni in-sanabilmente negativi, per altri apocalittici, per tutti se-ri e, in certa misura, drammaticamente imprevedibili.È facile prevedere, invece, quali saranno le prossimemosse di ambedue gli schieramenti: per il primo la par-tita da giocare sarà quella dell’approvazione del-la stepchild adoption nelle unioni tra persone dello stes-so sesso, anticamera della legalizzazione di una praticasconvolgente come la maternità surrogata (che in barbaal limpido divieto vigente in Italia una serie di sentenzegiudiziarie ha cominciato a "istillare", goccia a goccia,nel nostro ordinamento) e della definitiva assimilazione"egualitaria" delle unioni gay a quelle coniugali. Per il secondo si potrebbe far riferimento allo slogan(sia pur nato e usato in ben altro contesto) resistere, re-sistere, resistere.Le possibilità di fare resistenza da parte di chi lotta perla famiglia – che molti definiscono "tradizionale" eche noi, Carta vigente alla mano, preferiamo chia-mare "costituzionale" – possono essere diverse e util-mente creative. Da una parte e dall’altra, quindi, c’èun ribollire di progetti, prospettive, appelli propagan-distici, attivazione di nuovi movimenti e invenzione dinuove forme di impegno. Si combatte in Italia (nel Par-lamento, nelle piazze, nei salotti, meno nelle parroc-chie, per la verità) una battaglia che non è nata in Ita-

lia e che in Italia non si concluderà. Siamo di fronteagli esiti inevitabili (e non conclusivi) delle dinamichedella secolarizzazione, che hanno modificato e conti-nuano a modificare radicalmente l’immagine della so-cietà civile, fondata sull’istituzione del matrimonio,che ha caratterizzato per secoli l’Occidente cristiano.Chi è convinto che al di là di variabili tutto sommatoestrinseche il matrimonio e la famiglia hanno un fon-damento non meramente storico-politico, ma antropo-logico-strutturale, recepirà con sofferenza e preoccu-pazione gli stravolgimenti di cui l’uno e l’altra soffro-no a causa della secolarizzazione. Ma si dichiareràanche convinto che matrimonio e famiglia sono incre-dibilmente "resistenti" e resilienti e che supereranno laprova della secolarizzazione, se è vero, come è vero,che il bene umano può essere aggredito e stravolto,ma non può essere vittoriosamente confutato o menoche mai definitivamente soppresso. Per chi invece è ot-timisticamente convinto del contrario, gli anni che stia-mo vivendo sono quelli di una colossale sperimenta-zione della possibilità di dar vita e consistenza a nuo-ve relazioni interpersonali parafamiliari e a giochisenza frontiere, inevitabilmente e pesantemente fun-zionali al mercato, sulle frontiere della vita nascente edell’utilizzazione (e frammentazione) dei corpi umani.La storia, di simili sperimentazioni, sia pure in altri am-biti (soprattutto economici) ne ha conosciute diverse,che non hanno prodotto altro frutto se non quello di fol-li esaltazioni per pochi, pochissimi, e di molteplici sof-ferenze per molti, moltissimi. Noi siamo chiamati a es-sere testimoni di una di queste sperimentazioni, forse lapiù estrema, anche se, per nostra fortuna, a bassa por-tata di violenza diretta. Non possiamo distrarci: dob-biamo osservare, valutare, giudicare e, ogni volta chesarà necessario (e nel caso dell’affitto dei corpi di don-na necessario già è), condannare in modo conclusivo einappellabile le illusioni di chi pensa di poter prima de-costruire politicamente e poi ricostruire ideologicamen-te il contesto della famiglia. Ma soprattutto non possia-mo che vivere in modo buono e giusto il matrimonio ela famiglia. Nessuna legge, anche quella peggio co-struita, può impedircelo, nessuna regola può chiudercila via, nessuna norma – oggi come ieri – può davveroimpedirci la resistenza, questa necessaria resilienza.

Francesco D'Agostino

TUNIONI CIVILI, ORA E SEMPRE RESILIENZA

ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE

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NEWS DAI GRUPPI

MAGGIO PELLEGRINANDO

vita toccanti con don Fausto Resmini. Infine Mise-ricordia luogo della gioia per godere dell’abbracciopaterno di Dio Padre che tutto accoglie. Esperienzaintensa vissuta salendo fino ai 1500 metri del monteLinzone, sopra Valcava, prima propaggine dominan-te l’estesa pianura. Una notte di luna piena, accoltidal sono del corno del Giubileo. Trovarsi sulla portadel mondo e godere della bellezza della natura. Unmomento magico, se è consentito usare questo ter-mine improprio, di quelli che riempiono il cuore digioia e fanno esplodere in canto di ringraziamentoper tutto ciò che ogni giorno ci viene donato: la vi-ta, con gioie e dolori, fatiche e contentezze.

INCONTRARE MARIASULLE RIVE DELL’ADDA

Dopo tanti giorni freddi e piovosi, maggio decidedi essere benevolo e ci regala una splendida giorna-ta di sole, calda e luminosa: l’ideale per effettuare iltradizionale pellegrinaggio mariano con gli ospitidelle Comunità e i loro accompagnatori. La visitaquest’anno è al Santuario della Divina Maternità diConcesa e all’annesso Convento dei padri Carmeli-tani Scalzi di Santa Teresa, custodi del Santuariostesso. Così venerdì 20 maggio, 30 ospiti delle co-munità di accoglienza e 15 accompagnatori, rag-giungono in pulman questo bel santuario, eretto aiprimi del 1600, situato in un posto incantevole, traverdi colline, lungo le rive dell’Adda. I nostri ami-ci vengono accolti da padre Pio (nome impegnati-vo), anziano e simpatico carmelitano, arguto e pim-pante, che racconta con competenza e passione lericche vicende storiche e religiose del Santuario edel luogo. Lungo l’Adda, alle porte di Milano è sta-to sempre posto strategico di passaggio e controlloper eserciti e commerci; ma anche terra di villeg-giatura per clero e borghesia milanesi che facil-mente si spostavano da e per Milano, lungo il corsod’acqua. Anche il Manzoni ne fa menzione raccon-tando le vicende dei suoi Promessi Sposi. Dal 1890poi, la costruzione del canale Villoresi, che lambi-sce proprio il Santuario, conferisce ulteriore impor-tanza commerciale al posto. La bellezza del pae-

■ di Loretta Crema

IL ROSARIO CON I PIEDI

Le giornate si sono allungate, grazie anche al-l’ora legale, il clima si è fatto più mite, la gente vi-ve di più fuori casa, anche se questa primavera ciha lasciato sempre con il fiato sospeso e con l’om-brello e l’impermeabile a portata di mano, a causadelle sue bizze improvvise e degli sbalzi di umore.Ma la voglia di svernamento ce la portiamo dentro,quasi una necessità di sgranchire le gambe e di al-leggerire il cuore. L’occasione è quella ormai col-laudata da alcuni anni, di mettersi in cammino, lasera, una volta la settimana per fare dei passi unmotivo di incontro, con i fratelli e con il Signore.Andare con i fratelli incontro al Signore, perché cisono tanti modi di pregare e abbiamo scoperto chenon solo le parole bastano alla preghiera. In questocaso anche i piedi, con tanti passi che scandisconole parole conosciute, ma anche altre, nuove, chenascono da angoli nascosti di noi, da esperienze di-verse, da testimonianze insospettabili.

Di volta in volta sono stati diversi i motivi e i luo-ghi raggiunti pregando: questa volta, nell’Anno del-la Misericordia, si sono voluti toccare luoghi simbo-lo per riflettere e pregare. Riconoscere e compren-dere la Misericordia immersi nella natura, nel boscorigoglioso di primavera che parla di un Amore chefeconda vita. Poi Misericordia luogo dell’ascolto, araggiungere la comunità di don Roberto Pennati, fi-no al Carcere e alla Casa di riposo a Bergamo, per-correndo sentieri tra i campi. Ancora Misericordialuogo della fatica, camminando fino a Sorisole pergiungere alla comunità don Lorenzo Milani del Pa-tronato San Vincenzo e raccogliere testimonianze di

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COMUNITÀ TORRE BOLDONE ● N. 186 - GIUGNO-LUGLIO 2016

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saggio sembra abbia ispirato Leonardo da Vinci chel’avrebbe usato come sfondo in due sue celebri ope-re, la Gioconda e la Vergine delle Rocce. La bellez-za e la spiritualità che in questo luogo si respira,hanno attirato tanti uomini di fede, tutti in seguitodichiarati Beati, che hanno sostato spesso in questoSantuario: p. Benigno Calvi, i cardinali Schuster,Montini e Roncalli. Nel Santuario, eretto origina-riamente sua una fonte d’acqua miracolosa, sopral’altare principale vi è un dipinto della Vergine cheallatta il Bambino. La tradizione vuole che il pitto-re, piuttosto modesto, al quale era stata assegnatal’opera, fosse in notevole difficoltà nel momento didipingere il volto della Vergine e che al mattinoavesse trovato, con sua enorme sorpresa, il volto mi-racolosamente completato, di una bellezza decisa-mente superiore al resto del dipinto. Il Santuario èstato anche il luogo della vocazione religiosa disuor Delia Albani, nativa di Capriate, che accompa-gna le ragazze del Mantello. Con emozione ha ri-percorso e raccontato la storia della sua chiamata.Si visita poi il Carmelo eretto nel 1642 adiacente alSantuario, che ospitava fino a trenta religiosi e cheora accoglie solamente sette padri. Al termine dellavisita un ricco rinfresco rifocilla i pellegrini, contante leccornie preparate dagli accompagnatori.Quest’anno niente dolci, ma solo cibi salati: un mo-do per ricordare l’amico Elio, di Casa Raphael,scomparso l’anno scorso, che nel pellegrinaggioprecedente aveva espresso tale richiesta.

Si ritorna a casa con la gioia sul volto e nel cuore,con la consapevolezza di aver visitato un luogo estre-mamente interessante e di essere stati parte, per un at-timo, della storia ricca e gloriosa di questo Santuario.

AL SACRO MONTE DI VARALLO

Anche in questa occasione, peraltro progettata datempo, le condizioni atmosferiche hanno favorito ipellegrini, che hanno potuto godere di una ottimagiornata. Una ottantina di persone con due pulman econ la guida allegra e competente di don Angelo so-

no partiti la mattina del 17 maggio e hanno raggiun-to Varallo Sesia, un paese in provincia di Vercelli cheinclude sul suo territorio il Sacro Monte. In una po-sizione geograficamente notevole, dominante la val-le del Sesia, in una natura lussureggiante, il SacroMonte è stato raggiunto con un breve tragitto in fu-nivia. Questo luogo di pellegrinaggio è sorto per ini-ziativa del Beato Bernardino Caimi che, di ritornodalla Terra Santa, alla fine del 1400, volle ricreare inpiccolo i luoghi della Palestina. Il complesso degliedifici, una cinquantina, è stato costruito nel corsodi un paio di secoli. Ogni cappella rappresenta, conaffreschi e con gruppi di statue a grandezza natura-le, scene della vita di Gesù e di Maria. A partire dal-la seconda metà del Cinquecento san Carlo Borro-meo prese a cuore la sorte del Sacro Monte, con lesue visite gli diede nuovo impulso e denominò l’o-pera “Nuova Gerusalemme”. Numerosi artisti mise-ro mano e prestarono la loro opera alla realizzazio-ne di questo progetto e tante sono le tappe artistica-mente significative, conclusesi con la costruzionedella Basilica dell’Assunta. Per la bellezza del luo-go, per le testimonianze di fede e di arte, il SacroMonte di Varallo costituisce un monumento uniconel suo genere, dichiarato nel 2003 a Parigi dall’U-nesco patrimonio mondiale dell’umanità.

Ma non si è trattato solamente di una bella gita,artisticamente apprezzabile e naturalisticamentegodibile, è stato invece un momento di fede vissu-to con intensità. Camminare pregando, salire e so-stare, meditando le varie scene sacre, ha predispo-sto il cuore e la mente a ricercare i brani evangeli-ci che venivano suggeriti dalle opere d’arte. Unimmergersi nel cammino di Gesù nella sua Pale-stina, proprio come era nell’intendimento del fran-cescano ideatore. Compiere questo percorso poi,assieme a quanti vivono il medesimo itinerario pa-storale in comunità, ha dato quell’impronta più si-gnificativa e quella testimonianza reciproca di fe-de condivisa. Una partecipazione sentita e raccol-ta che però è stata caratterizzata anche da tanta al-legria e convivialità nel momento del pranzo, con-sumato per la maggior parte al sacco.

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MAGGIO

■ Nel mattino di venerdì 20 si tiene l'ultimo incontro della Lec-tio divina mensile sul Vangelo di s. Marco. Si ringrazia donCarlo Tarantini per il competente e appassionato servizio e cisi ripromette di proporre l'iniziativa anche nel prossimo annopastorale, vista anche la buona partecipazione.

■ Nel pomeriggio di venerdì 20 si svolge il pellegrinaggio conle Comunità di accoglienza del territorio. Operatori dell'AmbitoCaritas hanno ben preparato e predisposto per un familiareviaggio fino al Santuario di Concesa, dove padre Pio dei Car-melitani accoglie e accompagna nella visita e nella preghiera.Una bella occasione ormai entrata nella tradizione e gradita dainumerosi partecipanti.

■ La domenica 22 è dedicata all'incontro delle coppie che festeg-giano un significativo anniversario di matrimonio. Il tutto benpreparato con una riunione tenuta il mercoledì precedente. IlGruppo Famiglia ha predisposto per la celebrazione solenne dellas. messa, per un brindisi augurale al S. Margherita e per il pranzoin collaborazione con il gruppo della Cucina solidale. Apprezza-mento generale e grande soddisfazione da parte di tutti!

■ Nel mattino di domenica 22 partecipano alla liturgia delle ore11,30 tutti gli alunni della Scuola paritaria Palazzolo, ora inse-rita nell'Istituto scolastico Paolo VI di Alzano. Sono presenti diri-genti, insegnanti e genitori. Una celebrazione ben animata epartecipata, al chiudersi dell'anno di scuola.

■ La stessa domenica 22 va a chiudere i giorni della Festa inOratorio, appuntamento ormai tradizionale curato dagli Amicidel Cuore con la collaborazione di altri volontari. Occasione diincontro e di familiare conversazione per gli adulti e le famiglie,come anche di divertimento per i ragazzi. Anche la camminatadel mattino ha visto una larga partecipazione dentro una giorna-ta di sole. Giorni di fatica per alcuni, di soddisfazione per tutti!

■ La sera di lunedì 23 si incontrano le volontarie della Scuoladi alfabeto e cittadinanza degli immigrati. Si valutano sia ilcammino fatto, nelle sue varie proposte scolastiche e di inte-grazione e nelle sue fatiche, sia i progetti per il prossimo anno.Una iniziativa che dura ormai da anni e che la parrocchia offrecon buon frutto sul territorio.

■ Nella stessa sera di lunedì 23 si trovano gli operatori delGruppo '... ti ascolto'. Gli argomenti sono numerosi, visto ilvariare e l'emergere di sempre nuove situazioni a cui far fronte,in accoglienza, sostegno e progetti. C'è soddisfazione comun-que per il servizio svolto nelle varie modalità. Il gruppo è nume-roso e di bella disponibilità.

■ Si chiude martedì 24 il ciclo dei quattro pellegrinaggi sera-li a piedi che ha visto una numerosa partecipazione e che haportato in diversi e significativI luoghi, all'insegna della preghie-ra mariana nell'anno della misericordia. L'ultima sera il coordi-natore Marcelli Carlo, con bel coraggio, ha guidato il grupponella notte fino al santuario sul Monte Linzone. Con uno sguar-do sul cielo stellato e sull'ampia pianura costellata di luci.

■ Dedichiamo la giornata di giovedì 26 alla adorazioneeucaristica, nella festa del Corpus Domini. Nella sera sitiene una breve e raccolta processione dalla chiesa all'o-ratorio, dove attorno al fuoco si prega, si canta e si acco-glie la benedizione, rendendo evidente come l'Eucarestiaè al centro della vita di ogni cristiano e di tutta la comu-nità. Partendo dalla messa del giorno festivo, memoriaviva della presenza del Signore nella chiesa e momentoirrinunciabile per il vero credente nel Risorto.

■ Come si racconta nell'inserto del Notiziario gli adolescenti, conla preziosa collaborazione di diversi adulti, hanno proposto saba-to 28, domenica 29 e lunedì 30 un recital dalla straordinaria forzaemotiva per il bel messaggio trasmesso e per la capacità espres-siva degli 'attori', veramente bravi e coinvolti nel ruolo. Apprezza-mento generale con lunghi applausi e generale soddisfazione!

■ La sera di martedì 31 si chiude il mese dedicato alla Madonnacon il S. Rosario nel cortile della Casa di Riposo. Ha offertomomenti di preghiera, ben preparati e guidati anche in assenza dipreti, nelle chiese della Ronchella e di s. Martino vecchio. Comeanche nei pellegrinaggi serali a piedi e in quello al santuario diVarallo, condotto da don Angelo con numerosa partecipazione.

GIUGNO

■ Nel mattino di giovedì 2 celebrano il matrimonio di MorosiniLidia e Olivares Fabio. Preside la liturgia, ben preparata epartecipata da familiari e amici, don Angelo che porta l'auguriodi tutta la comunità.

■ La sera di venerdì 3 si trovano per un momento conviviale glioperatori pastorali che svolgono diversi servizi in comunità eche raggruppiamo sotto l'Ambito Manualità. Preziose e gene-rose presenze che operano in chiesa, in oratorio, al s. Marghe-rita nelle forme più varie e spesso riservate, ma essenziali inuna comunità. Il parroco coglie l'occasione per esprimere grati-tudine e apprezzamento.

■ Lunedì 6 si riuniscono vari operatori dei gruppi che compon-gono l'Ambito Famiglia. Al termine dell'anno pastorale si fauna opportuna verifica di iniziative e proposte, con legittimasoddisfazione anche per le ultime, la liturgia del sale con i bam-bini battezzati nell'anno e la festa per gli anniversari di matri-monio. Si mettono le basi per i mesi a venire, alla luce anchedel recente documento del Papa sulla famiglia.

■ Il mattino di martedì 7 si riunisce in forma straordinaria laRedazione del Notiziario. Si valuta il servizio svolto in sintoniaanche con tutti gli altri gruppi dell'Ambito Cultura e Comunica-zione e si progetta quanto è opportuno per la ripresa delle pub-blicazioni in settembre. La nuova serie del Bollettino arrivaormai a 186 numeri raccolti in numerosi volumi! Con il grazieanche ai solerti e numerosi 'distributori' ben coordinati daDonato, alla correttrice delle bozze e a Osvaldo Gambirasioche cura con puntualità la spedizione fuori paese.

■ La sera di martedì 7 si trovano gli impegnati nell'AmbitoMissione. Anche qui si fa una valutazione del lavoro svolto per

IL NOSTRODIARIO TEMPI DI SPERANZA

E DI CROCE NELLE CASE, DI CELEBRAZIONE

E DI VITA NELLA COMUNITÀ.

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IN FILA COME DEI SOLDATINI

Siamo a giugno, tempo di pensare alle vacanze e, peri più fortunati, di partire per un qualche viaggioquando ancora non c’è la folla e la ressa del mesedi agosto. L’idea che d’estate si debba andare invacanza è talmente scontata che quasi si fa fatica

a pensare che una volta, invece, le vacanze estive erano un lusso,un’opportunità che non tutti potevano sfruttare. Erano le colonie estive a sal-

vare l’entusiasmo e la voglia di giocare di bambini e ragazzi, che avevano così laloro occasione di svagarsi lontano da casa e dalla famiglia. Questo racconto rac-coglie le testimonianze di alcuni ex bambini che ricordano le loro estati in colo-nia, con la speranza che chiunque lo legga possa recuperare ricordi felici (o menofelici, non si sa mai) di un periodo lontano nel tempo ma vicino al cuore.

C’era una volta… la va-canza in colonia. Ho vo-luto iniziare questo arti-colo come se fosse un rac-conto, una delle favoleche leggiamo ai bambiniper portarli in un mondomagico, lontano da lorosia nel tempo che nellospazio. Raccontare dellecolonie estive, effettiva-mente, rientra in questecategorie: molti di noi so-no troppo giovani per sa-pere che, prima del Cre e delle vacanze con l’o-ratorio, prima delle crociere e dei viaggi con lafamiglia o gli amici, esistevano dei posti in cui ibambini e i ragazzi venivano mandati per tra-scorrere alcune settimane durante l’estate quan-do i genitori non potevano permettersi una va-canza. Forse li abbiamo anche visitati questi po-sti, io stessa ricordo che anni fa con l’oratorio an-dammo a Ravenna per un viaggio e ad ospitarcifurono proprio delle suore in una ex colonia esti-va sull’Adriatico, ma le sensazioni e i ricordi adessi legati sono ormai fuori dalla nostra portata.Basti pensare che le prime colonie estive sononate a metà dell’ottocento, come luoghi di rico-vero estivi per bambini e bambine delle classimeno ricche, che così potevano permettersi mag-giori libertà, alcuni anche comodità superiori ri-

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spetto a quelle di casa lo-ro, e spesso razioni di ci-bo in più. Forse è più fa-cile richiamare alla men-te le foto dei bambini de-gli anni ’30, nelle coloniepromosse dal governo fa-scista come luogo curati-vo e di irrobustimentodelle future generazionidi italiani. Eppure nonserve andare così indietronel tempo (e non servenecessariamente Google),

perché sono molti i nonni, le mamme, i papà, cheancora hanno chiari in mente i ricordi delle loroestati in colonia, non così tanto tempo fa, e che,con più o meno entusiasmo, sono disposti a con-dividerli. Questi sono i racconti di alcuni di loro.

MARIA

Oggi c’è il Cre, ma quando ero piccola io la colo-nia era l’unico modo per le famiglie per mandarei figli in vacanza, era una cosa normale. Sono an-data in colonia diverse volte fino ai 15 anni,quando poi sono diventata “animatrice” durantele vacanze estive con il mio oratorio, e ricordoche queste esperienze mi attiravano molto, so-prattutto perché mi è sempre piaciuto stare inmezzo agli altri, quindi erano belle occasioni di

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vivere dei periodi di vacanza in compagnia. Inquegli anni ho cambiato spesso luogo di destina-zione, prima dalle suore Orsoline a Gandino, poia Ponte Nossa, Ama e anche al mare, a Cesena-tico: ho sempre preferito la montagna, anche per-ché, non essendoci delle vere e proprie cremesolari protettive, al mare mi scottavo sempre! Lacolonia era un modo per allontanarsi dalla fami-glia e vivere una bella esperienza, ma sempre al-l’interno di un contesto educativo di crescita: lacolonia non era certo un albergo, in quei 15-20giorni di vacanza ognuno era chiamato a fare lasua parte, ad essere autonomo nella cura dellesue cose, soprattutto i ragazzi più grandi, a cuivenivano assegnati dei turni per svolgere alcunilavoretti, dal caricare la lavastoviglie al lavarsi ipropri vestiti. Le giornate erano organizzate mol-to bene, c’erano molti momenti di giochi a squa-dre e in montagna tutti i giorni ci portavano a fa-re una camminata; a fine vacanza i genitori era-no invitati ad assistere alla festa finale, dove ognibambino faceva parte di scenette, gruppi di can-to o ballo, come nella serata finale dei nostri Cre.Mi ricordo che a Ponte Nossa, dietro l’edificiodella colonia c’era un grande prato, dove poteva-mo giocare e arrampicarci: con i fili d’erba piùresistenti costruivamo dei cestini riempiti con ilmuschio e i ciclamini che avevamo raccolto, pic-cole ma belle composizioni floreali. Una voltaperò, in cima al prato vicino al bosco, mi sono ri-trovata di fronte a una grossa vipera, già rizzata:sono scappata via il più velocemente possibile!

SIMONE

Sono stato in colonia tre volte, intorno ai 6-7 an-ni, a Cesenatico e a Pesaro, con mio fratello mi-nore: era un modo per far respirare i nostri geni-

tori, visto che noi tre fratelli (il minore rimane-va a casa) eravamo piccoli e molto vicini d’età.Era un modo per staccarsi dalla famiglia, ancheperché io e mio fratello eravamo in squadre di-verse, quindi non ci vedevamo spesso. I genito-ri venivano a trovarci una volta a metà vacanza,e spesso era difficile convincere alcuni bambinia rimanere, perché volevano tornare a casa conloro. Mi ricordo chiaramente le grandi cameratedi letti, come nelle caserme, con i materassi dicrine di cavallo, a cui io ero allergico: un annomio padre mi ha mandato un materasso di gom-mapiuma, più grande e più morbido di quelli dicrine, il mio unico lusso, che non è stato mio alungo: un materasso così faceva gola un po’ a tut-ti gli altri bambini, che mi chiedevano spesso diprovarlo e lo avevano eletto a loro gioco preferi-to perché era talmente morbido che ci si potevabenissimo saltare sopra. Tutti noi eravamo divi-si per fasce d’età: i più piccoli il pomeriggio do-vevano fare il sonnellino, cosa che odiavo all’a-silo, quindi figuriamoci in vacanza, ma non far-lo voleva dire ottenere una punizione dai piùgrandi, che erano i “responsabili”. Ognuno erachiamato a gestirsi le proprie cose, a cavarselanel rapporto con i bambini più grandi, a fare ilproprio letto: era un modo per insegnarci a di-ventare responsabili, per farci capire che diven-tare grandi voleva dire, a volte, “arrangiarsi”. Disolito il primo giorno si passava in spiaggia, cheera proprio vicino all’edificio della colonia, aturni durante la giornata: ho sempre avuto lapelle chiara, quindi mi scottavo subito ed ero co-stretto a correre in infermeria a farmi medicare,cosa che inevitabilmente mi costringeva ad evi-tare di fare il bagno nei giorni successivi, perchél’unico modo per farlo era con la maglietta, inol-tre la crema solare che mi avevano dato era mol-

to appiccicosa e la sabbia mi siincollava addosso. Erano moltobelli i momenti in cui si stavainsieme, dai giochi in gruppo almomento della merenda, quan-do partiva la lotta per avere ilpane e nutella: ovviamente noipiccoli perdevamo sempre, e cirimaneva solo pane e marmel-lata, perché di nutella ce n’eradi meno… Le giornate eranomeno strutturate rispetto aquelle degli odierni CRE, c’e-rano momenti in cui si cantavainsieme (“Viva la gente” erauna novità in quel periodo e an-dava per la maggiore) ma c’eraanche tempo per stare da soli incamerata, a leggere o a riposa-

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non erano molte le possibilità di lavoretti estivi,mentre era più facile per i ragazzi, quindi ini-zialmente fui attirata dall’idea di riuscire per laprima volta a guadagnare qualcosa di mio. Nonci volle molto, però, per farmi piacere l’ambien-te, anche perché la maestra che mi aveva invita-ta portava anche alcuni bambini della sua clas-se, che io conoscevo perché erano anche loro diTorre Boldone, quindi era bello conoscere giàqualcuno in quella grande colonia. Ci trovavamoa 22 km da Pisa e a soli 3 km da Livorno, di cuivedevamo il porto, ma eravamo tutto sommatoisolati, la spiaggia si estendeva fino alla perife-ria della città e quindi era tutta nostra: la matti-na era dedicata ai giochi in spiaggia, mentre alpomeriggio c’era un momento di riposino per ipiccoli, giochi di società, laboratori e momentisportivi. Per me erano preziosi i momenti tra-scorsi con le altre ragazze che, come me, eranolì a lavorare: era la prima volta che ci trovavamoda sole, senza i nostri genitori, lontano da casa econ la facoltà di disporre del nostro tempo comemeglio credevamo. I nostri due giorni di liberauscita erano il coronamento di questa conquista-ta libertà dalla famiglia, anche se in fondo ditempo libero non erano poi così tanti: quando lagiornata terminava, dopo aver consolato i piùpiccoli che la sera sentivano maggiormente lanostalgia di casa, non potevo riposare subito,perché mancavano ancora da fare i miei compitidi scuola! Le nostre mansioni di giorno, per noiche per la prima volta eravamo responsabili dimolti bambini più piccoli, erano a volte fonte dipreoccupazione, come durante le gite in pineta,dove dovevamo continuamente raccogliere ibambini per non perderli nel folto degli alberi.Oggi sembra incredibile pensare ai nostri ragaz-zi in gita senza cellulare, ma ai miei tempi il cel-

re. Ricordo che la mattinaci svegliavano con la mu-sica della radio, una dellecanzoni era “Mai, mai,mai ti lascio” di JimmyFontana!

CHIARA

Quando ero piccola anda-vo alla colonia dell’OperaBergamasca di Pinarelladi Cervia, da sola o con imiei fratelli. Per noi eral’unico modo di fare le va-canze, perché non poteva-mo permetterci una va-canza al mare con tutta lafamiglia, però non mi pia-ceva dover andare via da casa, tutte le volte chie-devo di non andare, ma mi mandavano lo stesso.Sentivo la mancanza di casa così tanto che avevoquasi sempre il mal di pancia! Ci portavano almare in fila come dei soldatini, poi ci facevanofare dei giochi di gruppo e, dopo la merenda, c’e-ra un momento di preghiera nel piazzale dell’e-dificio. Prima di andare a dormire, a volte, i piùgrandi passavano per le camerate a spaventare ipiù piccoli per costringerli ad andare a letto, piùo meno come si fa anche adesso in vacanza. C’e-rano periodi, poi, in cui ai bambini che avevanoi pidocchi, dopo averli lavati e disinfettati per be-ne, veniva fatto indossare un foulard bianco, co-sì gli altri li potevano vedere subito e li evitava-no come appestati. Ricordo che non mangiavomai abbastanza e che, dato che mia madre miaveva comprato il dentifricio per bambini di Pa-perino, al gusto di fragola, mangiavo quello o lobarattavo con dentifricio di altri gusti. Penso cheil mio ricordo di quell’esperienza sia in fondo ab-bastanza negativo, perché tutti gli anni, al mo-mento di salutare mia madre, piangevo e non vo-levo partire, però conservo anche ricordi più leg-geri e divertenti, come il risveglio mattutino, chesempre avveniva con la canzone “La sveglia biri-china”.

LUCIA

La mia esperienza di colonia risale ormai a cir-ca cinquant’anni fa, quando per la prima voltami venne chiesto, dalla maestra di mio fratello,di lavorare come “signorina” nella colonia chelei dirigeva, quella della Poa (Pontificia Operadi Assistenza) a Calambrone in provincia di Pi-sa. Per me era un modo per iniziare a guada-gnare qualcosa durante l’estate: per le ragazze

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IAcare con le mie amichette nel prato accanto a ca-sa, e andare a far spese con la mamma, e incon-tro al papà che tornava dal lavoro, come ognigiorno? Perché mi avevano mandato qui? Erostata cattiva? Non mi volevano più?Ok, sembra una tragedia greca. Ma vi garantiscoche per una bambina di cinque anni che per laprima volta va via da casa per tanto tempo, lo eradavvero. Poi successe una cosa magnifica: unasera, tornando in camerata, trovammo le valigiesui letti. Ricordo ancora oggi le urla di gioia ditutte! Veloci, svuotammo l’armadietto, sistemam-mo la valigia piena proprio sul letto, per tener-cela vicina, perché non la portassero via. Il viaggio di ritorno in treno fu magnifico: aveva-mo un sacchetto con il pranzo, e cantavamo asquarciagola: “macchinista macchinista berga-masco, metti l’olio nei stantuffi, di Varazze siamostufi, a casa nostra vogliamo andar…”. Alla sta-zione c’erano tantissime mamme, ma io ero piùfortunata, perché la mia aveva un fischio specia-le per chiamarci da casa, quando eravamo al pra-to. Così, appena lo sentii, cominciai a correre: c’e-rano la mamma e anche il mio papà e mia sorelli-na, ad aspettarmi. Giuro che quello fu il momen-to più felice di tutta la vacanza.

È bello vedere come ricordi di esperienze lonta-ne nel tempo abbiano lasciato un segno ancheoggi, tanto che nel chiedere informazioni sullevacanze in colonia non c’è voluto molto primache spuntasse un sorriso per una vecchia mara-chella o un sospiro per i bei posti visti. In fondo,a prescindere dal fatto che l’esperienza in sé siapiaciuta o meno, le colonie per circa 100 annihanno rappresentato una certezza e una norma-lità per molte famiglie italiane, soprattutto perquelle che facevano più fatica a permettersi unavacanza per tutti e per quelle in cui i genitori la-voravano nelle grandi aziende che promuoveva-no queste esperienze estive, dalla Dalmine al-l’Eni, dalle industrie metalmeccaniche alle fon-dazioni religiose. È ormai per noi un mondo per-duto, fatto di uniformi, di camerate di letti sco-modi e ginnastica al mattino, tuttavia negli ulti-mi anni è riemersa questa tendenza alle vacanzeorganizzate per i bambini e i ragazzi, soprattuttocon gli oratori, gli scout e le federazioni sportive:sono ancora oggi esempi di esperienze di vita“comunitaria”, in cui ognuno è chiamato a met-tere anche un po’ di sé, con il suo impegno e lasua buona volontà, per costruire una vacanza di-vertente e veramente partecipata.

Beatrice Agazzi

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lulare non esisteva ancora e di telefono c’era so-lo quello fisso della colonia, che ognuno potevausare solo due volte al mese per telefonare a ca-sa: certo non era molto d’aiuto per curare la no-stalgia ma era un modo per vivere veramenteun’esperienza da soli, senza il continuo suppor-to e conforto dei familiari, imparando l’arte del-l’arrangiarsi.

ROSELLA

Erano pochissime le famiglie che potevano per-mettersi una vacanza, quando io ero piccola. Perquesto molte grandi ditte, ma anche istituti reli-giosi, cominciarono a far costruire le “colonie”marine o montane, dove tutti i bambini avrebbe-ro potuto passare un periodo di vacanza. L’ideaera davvero bella e soprattutto per il bene deibambini e dei ragazzi. Ma io la odiavo. Certo, il primo anno fu come unbel gioco: andare con la mamma a comperare tut-te le cose segnate nel foglietto dell’iscrizione,compreso un bel cappellino bianco che mi piace-va molto; e a tutto la mamma cuciva dei numerini.E poi comprammo delle cartoline, sulle quali in-sieme scrivemmo il nostro indirizzo di casa “cosìpoi puoi scrivermi!” diceva la mamma. Anche lavaligia comprammo, insieme, e dentro ci mettem-mo tutto quello che avevamo preparato. Capii che non era un gioco quando arrivammo inun grande cortile dove c’erano moltissimi bam-bini, che delle persone dividevano in gruppi.Quando toccò a me, la mamma mi diede la miavaligia col nome scritto sopra, mi abbracciò for-te e disse che ci saremmo riviste presto. Poi seandò, lasciandomi in una fila di bambine dellamia età. Ok, era stato bello e divertente, ma oraio volevo tornare a casa. Così corsi verso il can-cello, che però era stato chiuso. Le mamme era-no tutte di là e si sbracciavano per salutarci an-cora una volta. Fu la valigia il filo conduttore della mia primavolta in colonia, a Varazze. Perché appena arri-vata dopo quello che mi sembrò un interminabi-le viaggio in treno, venni accompagnata in unagrande camera con molti letti, dove appoggiai lavaligia, per svuotarla e sistemare tutti i mie in-dumenti nel mobiletto di ferro accanto al letto.Poi una signora portò via le valigie di tutti, e lemise in un grande armadio chiuso con una rete dimetallo. E ogni giorno passavo e andavo a vede-re se la mia valigia era ancora lì, altrimenti nonsarei potuta tornare a casa. Il momento più brutto era la sera, quando dopoche tutte eravamo a letto, le luci venivano spen-te. Allora pensavo alla mia casa e mi chiedevoperché dovevo stare lì, quando avrei potuto gio-

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la animazione missionaria in comunità e per il collegamento e ilsostegno ai nostri missionari. Preghiera, formazione, aiuto eco-nomico nella consapevolezza di un aspetto essenziale nellavita di chiesa. Con il desiderio di un coinvolgimento di ragazzi eadulti, per uno sguardo largo quanto il mondo. Frattanto tra dinoi accogliamo per un periodo di riposo padre Mario Tirloni epadre Piero Lazzarini.

■ Una riunione di forte valenza quella del Consiglio Pastora-le mercoledì 8. Si tratta di raccogliere il frutto delle recenti con-siderazioni sulla corresponsabilità di tutti nella vita della parroc-chia e sulla ministerialità diffusa. Si progetta anche il prossimoanno pastorale nei suoi vari motivi di sostegno alla fede e allavita personale e comunitaria. Per evidenziare il tutto anche nel-l'ormai atteso calendario pastorale. Confermando o variando inordine alle varie proposte e secondo le esigenze di questo tem-po e delle varie categorie di persone.

■ Sabato 11 e domenica 12 un gruppo di circa 50 persone vivela Giornata in Monastero, collaudata proposta di fine annopastorale. Ci si reca all'Eremo di Bienno e ci si incontra con lacomunità delle Suore Clarisse, per coglierne carisma e stile divita. E' l'incontro negli anni con la ricchezza di Ordini e Congre-gazioni religiose, maschili e femminili, che nei secoli e nelnostro tempo esprimono il volto del Vangelo e della Chiesa.Sosta che fa bene!

■ La domenica 12 si celebra il sacramento del Battesimo che

configura a Cristo e accoglie nella chiesa. Vengono presentatida genitori e padrini:- Belloli Alice Maria di Claudio e Bosatelli Lisa, via Monte Orti-

gara 23- Folci Mattia di Marco e Di Matteo Paola, via s. Martino vec-

chio 50- Fontana Leonardo di Domenico e Cortinovis Serena, via

Enea Talpino (Bergamo)- Rota Alessandro di Roberto e Nava Daniela, via Torquato

Tasso 13

■ Muore lunedì 13 Sala Enrico di anni 86. Nato a Torre, abita-va in via Giuseppe Verdi 5. Impegnato in vari ambiti della vitacivica e parrochhiale e partecipe del cammino ecclesiale. Tantihanno pregato con i familiari in suo suffragio.

■ La sera di mercoledì 15 si incontrano i gruppi dell'AmbitoCaritas. Una marea di persone impegnate nei vari settori perrispondere ai bisogni e alle situazioni di povertà e di fragilitàumana. Si percorre il servizio svolto per annotare positività eindicare sentieri nell'impegno e nelle proposte. Il volto dellaparrocchia che testimonia la prossimità del Signore!

■ Siamo grati a coloro che sostengono la parrocchia nelle suenecessità economiche e nel suo impegno caritativo. LʼAssocia-zione S.Martino del centro anziani offre 1000 euro per i prossi-mi lavori in oratorio.

Vita di ComunitàOrario estivo

delle Ss. Messe• Feriale ore 7,30 - 18• Festivo ore 7 - 8,30 - 10 - 11,30 - 18,30• Non si celebra alle ore 9,30 alla chiesa di Imotorre• Martedì ore 20,45 nella chiesa del cimitero• Giovedì ore 20,45 alternativamente nelle chie-

se delle Ronchella e di S. Martino vecchioL’orario feriale vale fino a sabato 3 settembrecompreso. Quello festivo fino a domenica 4 set-tembre compresa

Celebrazione del BattesimoÈ prevista domenica 3 luglio alle ore 11,30 edomenica 18 settembre alle ore 16

Indulgenza del Perdono d’Assisi

Pomeriggio di lunedì1 e giornata di martedì 2 agostoCelebrazione della Penitenza;sabato 30 luglio e lunedì 1 agostoore 10 - 11,30 e ore 16 - 18

Festa dell’Assunta a Imotorre

Ore 10 - S. Messa solenne (non si celebra in chiesa parrocchiale)Ore 16 - Preghiera del Vespro e benedizione

Ufficio parrocchialeÈ aperto dalle ore 9,30 alle ore 11,30il lunedì, il giovedì e il sabato

Notabene per settembreSettenario della AddolorataDalla domenica 18 alla domenica 25

Riunione di coloro che distribuiscono il Notiziariosabato 3 settembre alle ore 15,30 al s. Margherita

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INCONTRI IN TERRA SANTA

elettive con il nostro dialetto più duro?), ma non è im-possibile riconoscere il succedersi dei vari momentidella Messa; e così a quell’”amìn” finale del Gloriapuoi sovrapporre tranquillamente il nostro “amen”,nella certezza che è lo Spirito, non le traduzioni, a com-porre l’unità, a far dire a tutti, nello stesso modo, “siacosì”, la nostra fede come l’essere fratelli.

E poi i canti: numerosi, partecipati. Le voci hanno tim-bri sonori, alti e quel cantare così deciso sembra trasmet-tere il desiderio appassionato di chi afferma il suo amore,la sua fiducia in quel Bene che sta ripresentandosi fra lemani del sacerdote e che nessuna prova, nessuna bombapotrà neutralizzare. È l’offertorio, e oggi c’è qualcosa inpiù accanto al pane e al vino: uno splendido bimbo di qua-ranta giorni viene teneramente deposto dai genitori sul-l’altare, vita che trae origine dalla Vita e in quella dovràtrovare significato e salvezza. Non parliamo poi dell’emo-zione del Padre Nostro e dell’Eucarestia condivisi e del se-gno della pace che ognuno si dà nella propria lingua, con-sapevole che nel cuore è al lavoro il Traduttore simultaneo.

All’uscita ci sorprende una fila di uomini che aspet-tano: sono i parenti del defunto ricordato in quella mes-sa; davanti a loro tanti passano a stringere la mano, e co-sì facciamo anche noi. Accanto, su un tavolo, dolci e bi-bite dicono che la famiglia vuol ringraziare per l’atten-zione donata al suo caro. Una bimba, portata in braccio,guarda incuriota. È vestita come la Madonna, abito az-zurro e velo bianco e certo la sua antenata palestinese ditanti secoli fa, a cui si sono ispirati i suoi genitori, gra-disce questa semplice forma di devozione popolare.

Incontri con le comunità, ma anche incontri con sin-goli testimoni. Ricordiamone qualcuno.

Dopo la messa a Beit Sahour abbiamo ascoltatoAbuna (Padre) Raèd, ex-parroco di Taibeh e Ramallah,ora direttore della Caritas di Gerusalemme, di tutta laTerra Santa e della Striscia di Gaza. Ha un fisico asciut-to, un gesticolare espressivo, parla un buon italiano,perché ha frequentato a Roma l’Università Lateranen-se. È un tipo che va subito al sodo, Abuna Raèd, chenon conosce la diplomazia del linguaggio, perché le si-tuazioni critiche in cui si è trovato e si trova a vivere glihanno insegnato l’alfabeto della nuda realtà. Così ciparla della sua Caritas, nata dieci giorni dopo la finedella Guerra dei sei giorni (1967), per rispondere alle

ravamo una quarantina di persone, in gran-de maggioranza della nostra parrocchia diTorre Boldone, arricchite dalla presenza dialcuni “esterni”: una piccola comunità che

parte anche a nome dell’altra comunità più grande cheresta a casa, ma con cui c’è un intimo collegamento:quanti “ricordami al S. Sepolcro, per favore!” ciascunodi noi si portava dietro! e i cellulari hanno fatto la loroparte, con un affettuoso andirivieni di messaggi di donAngelo o don Leone, per tutti…

E allora è significativo parlare dell’incontro conun’altra comunità.

Il 29 maggio (siamo partiti il 26), ci troviamo vicino aBetlemme, a Beit Sahour (Campo dei Pastori). Qui è pre-vista la partecipazione alla messa domenicale insieme al-la comunità cristiana del luogo, formata da arabi palesti-nesi: i cristiani, sia in Israele sia nei territori palestinesi, so-no sempre una ridotta minoranza e incontrano problemi diogni genere, a cominciare da quello economico. Eppure lachiesa è più che decorosa e la gente che l’affolla, senzapaura di ritorsioni, altrettanto: è già un bel segno. Gli abi-ti puliti e “della festa”, diremmo noi, prevalentemente difoggia occidentale, parlano, per chi vuol decifrare, il lin-guaggio dell’attenzione, del rispetto e dell’attaccamentoal luogo; forse è proprio vero, vien da pensare, che spessopiù un bene è messo a rischio – la fede, in questo caso –più se ne coglie il valore e più il legame è forte.

Il sacerdote inizia e in quel segno di croce compiutoda tutti allo stesso modo riconosci con emozione laChiesa universale; e ti viene da deporre il passaporto,perché la Croce ti indica tutti e quattro i punti cardina-li del mondo voluto da Dio, ma ignora i confini tracciatidagli uomini. La lingua è difficile, aspirata (affinità

IL RACCONTO DELL’ESTATE

Quando propone i pellegrinaggi annuali, don Leone ci ricorda sempre che il percorso non si compie solo pervedere, ma anche per incontrare, nel significato più profondo: si va non come semplici viaggiatori, ma comepellegrini dall’animo attento e aperto. Anche il programma di viaggio è strutturato in modo tale da offrirebuone opportunità per acquisire questo stile. Ci siamo riusciti, dopo diversi pellegrinaggi? Sicuramente ciabbiamo provato; e allora questo articolo nasce non come cronaca diligente di un viaggio, ma come ricordo,in ordine sparso, di alcuni momenti in cui ci siamo messi in ascolto e in dialogo per, appunto, incontrare.

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difficoltà esistenziali dei cristiani cattolici, ma non in-sensibile anche alle esigenze delle altre confessioni cri-stiane che qui convivono gomito a gomito: per voiscandalo, dice, per noi ricchezza. Perché, aggiunge,crediamo fortemente nella Divina Provvidenza e cer-chiamo di aiutarla nel suo soccorrere ogni uomo. An-che correndo il rischio di attentati, ristrettezze econo-miche, limitazioni sociali, isolamento.

Traetene voi le conclusioni, e non dimentichiamo, miviene da sussurrarvi. Perché quella di Abuna Raèd, co-me altre dei territori palestinesi, è una comunità di suc-cessori consanguinei di Cristo, degli Apostoli: un “quin-to Vangelo” che ha tenuto viva la fede in Terra Santa.

Altri volti, altre voci, altre parole di testimoni abitano lamia memoria. Vi risuonano il sorriso di suor Lauretana esuor Aida, le frasi profonde e pacate di padre Paolo nellaraccolta sera di Nazareth, al convento dei Piccoli Fratellidi Charles de Foucauld e quelle allegramente evangelichedi padre Timothy a Magdala; il volto sereno e deciso disuor Donatella del Caritas Baby Hospital di Betlemme,l’unica realtà pediatrica della Palestina (non dimentichia-moci l’Ave Maria per loro raccolti al muro di confine il ve-nerdì!) e quello di Guido Sasson, ebreo, al kibbutz Lavì;non scordiamo il discorso chiarificatore sulla storia israe-lo-palestinese del diacono Lorenzo Ravasini, uomo digrande spessore, e il suo invito finale a fare sempre, nellavita, esercizi di stupore; e l’ospitalità delle famiglie cri-stiane a Gerusalemme, con la loro cena insaporita non so-lo di spezie, ma di grande dignità e serenità…

E le pietre, mi chiederete? Oh, hanno parlato ancheloro, in incontri densi di emozione.

Come quello alla sinagoga di Cafarnao, dove abbia-mo contemplato, pur senza vederle, le orme di Gesùche parlava di vero cibo e vera bevanda: non ci crede-rete, ma lo stupore che aveva abitato quel luogo sem-brava ancora sospeso nell’aria, dopo tanto tempo. Frale pietre di Magdala, invece, emozionante parco ar-cheologico che ha messo in luce da non molti anni ilvillaggio originario con la sua sinagoga e il mercato delpesce, sembrava risuonare ancora un passo, quello del-la Maddalena, e il suo nome, Maria, che sarebbe statala prima parola pronunciata dolcemente dal Risorto, lànel fiorito giardino di Gerusalemme. Più tardi don Leo-ne avrebbe ricordato che ognuno è chiamato per nomedal Signore e ognuno è chiamato a testimoniare…

La pietra più eloquente, domandate? Ce n’è una che sisfiora con il braccio infilato nel buco di un pavimento in-cluso in una serie di chiese sovrapposte e addossate. Essaparla di amore infinito e di salvezza donata e il discorso sicapisce in tutte le lingue: perché quello del Golgota è unlinguaggio universale ed eterno. Dovrei citarne molte al-tre, come quelle del Muro del Pianto o quelle del desertodi Giuda o gli innumerevoli gradini della vecchia Gerusa-lemme o i macigni di Yad Vashem, il museo della Shoah;preferisco però concludere con gli incontri con le parole.

Alte, dense di fede e di senso quelle di don Leone,nostro parroco e nostra guida spirituale eccellente; for-midabili per la vasta cultura e la passione quelle di Da-niele Rocchetti, nostro accompagnatore e amico, checonosce la Terra Santa meglio di un manuale speciali-stico, perché ne è innamorato. Tuttavia anche i luoghi,le circostanze, le persone, i compagni di viaggio ci han-no offerto le loro parole; e tutte insieme hanno compo-sto un magnifico mosaico, che ha reso stupendo questo“regalìm”, questo pellegrinaggio.

Ne voglio citare, fra tutte, solo una: hic. Hic è un av-verbio latino che vuol dire qui. Lo abbiamo incontrato aNazareth, nella grotta dell’Incarnazione (qui il Verbo siè fatto carne); a Gerusalemme, risorgente dal Santo Se-polcro; sul Golgota, difficilmente leggibile ma pulsantea mille nel nostro cuore; a Betlemme, nei propositi del-le suore, dei sacerdoti e dei laici di restare lì, hic, fra sof-ferenze, pericoli e rischio della vita (noi siamo qui).

Scopriamo allora questa parola anche in noi: hic,qui, nel nostro cuore, custodiamo, per non disperderli,i momenti e i messaggi più belli che ci sono stati offer-ti; hic, qui, nella nostra quotidianità, proponiamoci diesserne testimoni.

Anna Zenoni

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VITE ESAGERATE Nuova collana ideata e direttadal poeta e narratore DavideRondoni, edita da San Paolo,costituita da 13 volumi, agilibiografie di altrettanti perso-naggi assai diversi tra loro:santi e beati, ma anche grandiartisti come Michelangelo; unfrate archeologo come fra Pic-cirillo; la giovane studiosaebrea Etty Hillesum morta ad

Auschwitz nel 1943; la beata Caterina Troiani,Maria Goretti, Ildegarda di Bingen, suor TeresaMargariello ed altri. La nuova collana appariràanche allegata a Famiglia Cristiana, che a partiredal numero 25 della rivista presenterà “Il bacio diSiviglia” di Davide Rondoni; al numero 26 “FuoridallʼHarem” di Maria Pia Ammirati; al numero 27“Capelli di stoppia” di Aurelio Picca; al numero 28“Il contagio dellʼamore” di Lucrezia Lerro e cosìvia con i restanti 9 volumi fino a completamentodella collana. Buona lettura a tutti.

NELLO ZAINO DELL'ESTATE

LA LIBRERIA CONSIGLIA

■ a cura di Rodolfo De Bona

Ermes Ronchi, dei Servi di MariaLE NUDE DOMANDEDEL VANGELO

Edizioni San PaoloEuro 15,00Questo libro riporta gli EserciziSpirituali che padre ErmesRonchi ha predicato alla CuriaRomana e al Papa nella 4^ set-timana di Quaresima. France-sco lo ha ringraziato in questomodo: “Padre, io vorrei ringra-

ziarla, a nome di tutti, per il suo lavoro, le medita-zioni, la sua passione. Non si è risparmiato, ci hadato tanto… La ringrazio tanto, padre, e mi con-senta di darle un consiglio. Stia attento con gliesempi e con gli aneddoti, perché dal giorno in cuilei ci ha raccontato la storia dei tre novizi che vole-vano far parlare il vecchio monaco, con il vino, e luiha detto al terzo bicchiere: qui è Dio, oltre no.., hosentito in cucina che il consumo di vino a tavola èaumentato notevolmente…! Grazie, padre. Grazie”.

Riviste e NotiziarioNon va in vacanza il tavolo posto all'ingresso della chiesa, che offre ogni domenica riviste per l'informazionee la formazione, come Famiglia cristiana, Credere, Il Giornalino, Jesus...È sempre disponibile pure il vademecum della parrocchia. Per conoscere da vicino aspetti vari della comu-nità parrocchiale è attivo il sito parrrocchiaditorreboldone.it. All'inizio di settembre verrà consegnato in ogni ca-sa il Calendario pastorale dell'anno 2016 - 2017. Come anche il Notiziario mensile, che chiede poi, come ognianno, un cenno di gradimento e di adesione con l'offerta di almeno 20 euro per le spese di stampa.

Raffaella De SantisMAMMIFERI ITALIANI

Editori LaterzaEuro 14,00Un viaggio nello spazio e neltempo in cui lʼattualità si me-scola alla storia. Cʼè la baro-nessa di Carini, che nella Sici-lia del XVI viene uccisa perchétrovata a letto con lʼamante.Cʼè Melville che cammina perle strade di Roma fiaccato dal-

lʼafa della capitale. Cʼè Goethe che si commuoveascoltando i gondolieri cantare lungo i canali di Ve-nezia. Cʼè una ricca americana che spende tutti isuoi beni per venire in Italia a imparare il bel canto.A Napoli anche il semaforo rosso è soggetto a in-terpretazione: spetta al guidatore infatti stabilire sequel rosso “è fasullo o meno”; se viene considera-to inutile è meglio non rispettarlo. E cʼè lʼautrice,giornalista di “Repubblica”, che ha scritto questo li-bro divertente per sfatare i valori italici, perché il ca-rattere nazionale, come ogni cosa umana, secon-do lei non è un dono innato, ma una costruzione.

Andrea VitaliLE MELE DI KAFKA

GarzantiEuro 16,90Lʼautore da oltre 3 milioni emezzo di libri venduti raccontaquesta volta la storia dellʼAbra-mo Ferrascini che ha tutte lecarte in regola per vincere lesemifinali del campionato pro-vinciale di bocce, in program-ma a Cermenate domenica

prossima. Ma cʼè un intoppo. Suo cognato, lʼEral-do, quello che vive a Lucerna, sta male. I medici diquella città, svizzeri precisi, gli hanno dato quaran-totto ore. E adesso la moglie di Abramo vuole as-solutamente raggiungere la sorella, per dare allʼE-raldo un ultimo saluto, magari anche un ultimo ba-cio. Ma ce la faranno ad andare e tornare in tempoper le semifinali?

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iao, amore, cerca diresistere, io ti aspet-terò sempre finchénon uscirai”. “Saluti

affettuosi a mio zio che è all’Uc-ciardone e a mio fratello che è a Re-bibbia. Ciao zio, ciao Marco”.Qualche anno fa ho seguito per uncerto periodo un programma radiofo-nico che, dalle 23.30 alla mezzanottedel sabato, trasmetteva in diretta messaggi di familiari aicarcerati. Nell’emozione di quel silenzio notturno attra-versato da singhiozzi di umanità ho capito ancor piùquello che già pensavo: che i carcerati non sono scartiumani, individui di serie B, ma prima di tutto “persone”che hanno ancora valore per qualcuno, e che lo devo-no avere anche per noi: solo da questo punto di vistaha senso ed efficacia l’opera di misericordia “visitare icarcerati”.Ne ho parlato non molti giorni fa con Ciro, residente nelnostro paese, fino all’altro ieri guardia carceraria al Gle-no. “Non credere che sia facile visitare i carcerati oggi”,ha esordito. “Le nostre carceri sono ambienti protetti chevagliano severamente chiunque intenda accedervi pervisite; rifiutano in particolare i singoli che non abbianofatto un preventivo percorso accreditato”. Cosa significatutto ciò? “Che vi si può accedere se, per esempio, si faparte di un gruppo o di un’associazione autorizzata emotivata dallo scopo di “promuovere lo sviluppo deicontatti fra la comunità carcerarie e la società libera”,come dice una legge. Oppure se si è assistenti volontariche cooperano nelle attività culturali e ricreative. Anco-ra, si può collaborare all’esterno, in accordo col serviziosociale del Ministero specifico, per l’affidamento in pro-va, per il regime di semilibertà e per l’assistenza ai di-messi e alle loro famiglie: un esempio per tutti, l’Asso-ciazione Aretè presente sul nostro territorio”.Certo le Suore Poverelle che hanno ceduto il terrenoper quest’opera, come i volontari che vi lavorano, de-vono aver fatto proprie le parole di S.Paolo: “Ricorda-tevi dei carcerati, come se foste loro compagni di car-cere” (Eb13,3). Perché il gesto qualificante, in tutte leopere di misericordia, è sempre il medesimo: com-pierle sapendo che i piedi poggiano sullo stesso pavi-mento e che uguale è l’azzurro del cielo che copre ognitesta. Vi dev’essere il lieve movimento circolare dellagratuità, e non il tonfo dall’alto in basso pesante di di-stinzioni. E il fare deve tendere, sempre, ad offrire aicarcerati umanità e speranza, a tutti i livelli. A quello

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politico e istituzionale, prima di tut-to, che ha iniziato nei nostri tempi amuoversi verso la carcerazione ria-bilitativa. Accanto vi è il livello per-sonale, altrettanto importante, che,oltre alle forme sopra citate, puòconcretizzarsi in gesti e atteggia-menti diversi. Quando vado a casadi Manuela, la moglie di Ciro, peresempio, mi capita di visitare una

stanza piena di scatoloni e oggetti allegri: sono i rega-li per i bimbi dei detenuti, che periodicamente sono in-vitati in carcere per una festa con i genitori. Manuelasa bene che è fondamentale non lasciar allentare i le-gami fra i detenuti e le loro famiglie, e perciò collabo-ra volentieri con il marito e con altri alla realizzazionedi questi incontri; è una delle diverse attività che il no-stro carcere promuove perché la pena da scontare pun-ti sulla riabilitazione dell’uomo. Anna scrive regolarmente ad un carcerato, che le ri-sponde: in questo caso ella “visita” la sua solitudine ecerca di alleggerirlo da un passato che, in mancanza dilegami, può diventare così opprimente da schiacciare.Un’altra conoscente da anni insegna italiano nei corsiscolastici interni al carcere. Significativa anche l'ini-ziativa del Gruppo Teatro 2000 che nella rassegna diteatro dialettale ha messo a tema proprio il 'visitare icarcerati', raccogliendo testimonianze di vari operato-ri e collaborando con un gesto di concreta solidarietà.E non parlo dell’opera preziosa dei cappellani, ai qua-li è affidato il delicato compito di aiutare i carcerati ariconciliarsi con se stessi e, se lo vogliono, con Dio:“visitare” queste anime devastate dalla vita e in ostag-gio della loro colpa è altissima carità.Anche tutti noi siamo però tenuti a qualcosa di impor-tante: rivisitare la nostra cultura personale, gli eventua-li pregiudizi, per consolidare nella nostra società il con-cetto che gli uomini sono sempre più grandi delle lorocolpe e, più sbagliano, più hanno bisogno di aiuto.Mi ha colpito un servizio televisivo su un gruppo di de-tenuti del carcere di Opera, a Milano, carcere duro.Questi uomini preparano ostie per le chiese che ne han-no bisogno, italiane e del mondo; ostie, dicono,”che danoi peccatori vadano ad altri peccatori”. Il loro sogno?“Poter consegnare con le nostre mani sporche di san-gue le nostre ostie al Papa”. Che le ha ricevute e le hautilizzate per una celebrazione. Perché ordini superio-ri gli hanno detto che nel cuore di Cristo tutti i gruppisanguigni si mescolano, senza distinzione.

“C■ di Anna Zenoni

VISITARE I CARCERATI

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POLISPORTIVA LA TORRE CALCIOSOLIDARIETÀ IN BALLO40 ANNI DI AIDO

Terminati ormai da tempo i vari campionati di calcio,per la locale Polisportiva La Torre è il momento di

vagliarne i risultati conseguiti, constatare cioè se leaspettative iniziali sono state alla fine realizzate o me-no. Per la sezione Bergamo Calcio a 5 La Torre la sta-gione è stata molto positiva, al di là delle miglioriaspettative, piazzandosi al quarto posto in classifica fi-nale del proprio Campionato Nazionale di serie B, fa-cendo unʼandata favolosa, inanellando 9 vittorie su 11,dimostrandosi davvero una matricola terribile. Il ritor-no invece è stato meno brillante, al punto da non per-mettere lʼaccesso ai playoff per la promozione al Cam-pionato di serie A soltanto per la peggiore differenzareti. Comunque la squadra ha ottenuto la qualificazio-ne alla Final Eight di Coppa Italia a Barletta, dove han-no gareggiato le migliori 8 squadre dʼItalia, ed è stata

sconfitta con onore nei quarti di finale con il Vicenza.Dopo le meritate vacanze il sodalizio riprenderà le at-tività agonistiche con lʼobiettivo di consolidare la pro-pria realtà nel panorama nazionale. Non altrettanto sipuò dire della squadra di calcio La Torre che que-stʼanno ha partecipato al campionato di 2ª categoria,facendo registrare un andamento altalenante fin dallʼi-nizio riuscendo però, con un poʼ di fatica, a garantirsila salvezza soltanto a quattro giornate dalla fine delcampionato. Al di sotto delle aspettative, quindi. Per ilprossimo campionato i dirigenti fanno affidamento suun giovane allenatore e sullʼinserimento di alcuni gio-catori giovani del paese. Con la speranza di risolverepositivamente una delle più grosse ed annose diffi-coltà riscontrate ormai da parecchi anni, quella finan-ziaria. In bocca al lupo!

a cura di Alberta D. - Beatrice A. - Luciano T. - Renato T.

La Scuola di Danza "Modern Ballet", sabato 30Aprile presso il Teatro Serassi di Villa d'Almè ha

realizzato il Saggio di fine anno. Anche quest'annola Modern Ballet ha dimostrato il proprio impegnonel campo della solidarietà; infatti tutto il ricavatodel Saggio è stato devoluto all'Associazione "In-sieme per crescere", collegata con la Terapia In-tensiva Neonatale dell'Ospedale Bolognini di Se-riate. L'Associazione ringrazia la Scuola di danzaModern Ballet poiché la donazione permetterà direalizzare l'acquisto di una nuova, piccola ma pre-ziosa, attrezzatura necessaria e indispensabile al-l'assistenza dei piccoli neonati prematuri dell'UnitàOperativa Neonatologia. La Modern Ballet per So-lidarietà mercoledì 8 giugno presso il Teatro di Co-lognola ha messo in scena uno Spettacolo di Dan-za a favore dell' Associazione "Spazio Autismo on-lus" di Bergamo. Grazie agli insegnanti e allieviche, insieme con la Danza che è la loro passioneprimaria, si dimostrano sempre attenti e sensibilialla voce Solidarietà.

Lo scorso 21 maggio unʼaltra felice ricorrenza hacolorato di festa il nostro paese. Lʼassociazione

Aido ha festeggiato i suoi 40 anni di presenza aTorre Boldone, con una celebrazione e un tempo difesta a cui hanno aderito tanti associati, con la pre-senza anche di numerosi labari di altri paesi. Rin-noviamo allora i nostri ringraziamenti ai responsa-bili di questa associazione, con la presidente Mari-lena Grazioli, spesso presente sul territorio con ini-ziative di promozione e interventi a favore della po-polazione del paese e di tutti coloro che ne hannobisogno. Auguri!

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CORPUS DOMINI

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ANNIVERSARI DI MATRIMONIO

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Anniversari di matrimonio:

Io accolgo te... per sempre!