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il Ducato Periodico dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino Dossier - Maggio 2008 Internet: “Ducato on line” - www.uniurb.it/giornalismo

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Dossier - Maggio 2008Internet: “Ducato on line” - www.uniurb.it/giornalismo

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Su una nave per fuggireSi sono imbarcati per necessità, ma la vita a bordo spesso offre solo salari

Nel porto soste sempre più brevi,assenza di mezzi pubblici, tanticontrolli e pratiche burocratiche:la banchina diventa una prigione

La Sea Queen è or-meggiata nel canalenord di Porto Mar-ghera. Una scala ri-pida e traballante siarrampica lungo lo

scafo, mangiato dalla rugginein quarant’anni di navigazio-ne, e conduce al ponte domi-nato dalla bandiera rosso gial-lo verde della Bolivia. All’inter-no, in una sala stretta e grigia,due uomini fumano una siga-retta, mentre una vecchia tele-visione trasmette una soaparaba. “Lavoro su questa naveda nove mesi. Il mio contratto èscaduto due giorni fa – raccon-ta, in un inglese stentato, Ah-med, un egiziano di 24 anni –ma ho accettato di prorogarloper altri sei me-si”. Quindici me-si in totale – ilcontratto nazio-nale italiano neprevede al mas-simo cinque -senza vacanze elavorando seigiorni a settima-na. Quindici me-si tra corridoib a s s i , c a b i n edue metri per tree spazi comuniangusti e pocoilluminati. Anche le cose piùbanali, come chiamare a casa,qui possono essere un lusso: inmare, il telefono satellitare puòessere utilizzato solo per pochiminuti perché troppo costoso. Ahmed è nostromo e naviga daormai sette anni. “E’ un lavoroduro, ma quello che è più diffi-cile è stare lontano da casa permesi o anni. Ho scelto questomestiere perché offre un buonsalario – spiega – ora guadagnocirca 500 dollari al mese, men-tre in Egitto lo stipendio medionon arriva a 100”. Una volta ter-minato il contratto, però, nonci sono garanzie. Forse l’arma-tore lo richiamerà, ma più pro-babilmente Ahemed dovràcontattare un’agenzia di reclu-tamento che, a pagamento, glitroverà un posto su un’altra na-ve. Anche Khadir, che ha 30 anni eviene dall’India, ha scelto que-sto lavoro per motivi economi-ci. “Questa è la mia prima espe-rienza su una nave – spiega – fi-no all’anno scorso avevo un’at-tività commerciale, ma poi èfallita. E così eccomi qui”. Im-barcarsi diventa un’alternativaalla miseria. L’attrattiva eco-nomica mette in secondo pia-no le dure condizioni di lavoro,ma solo per chi viene da unpaese che non offre altre pro-spettive. I marinai europei

(fatta eccezione per l’Italia me-ridionale e la Grecia) sono qua-si scomparsi, insoddisfatti de-gli stipendi sempre più bassi edelle sempre minori garanzie,a favore di quelli provenientidai paesi in via di sviluppo: fi-lippini (la nazionalità più dif-fusa sulle navi), indiani e cine-si innanzitutto, ma nell’ultimoperiodo anche est europei erussi. È una corsa al costo dellamanodopera più basso, chenelle navi battenti bandiera dicomodo non incontra limiti. Sulla Sea Queen, ad esempio,sventola la bandiera della Boli-via, nonostante l’armatore siaegiziano. Come Panama, SriLanka, Barbados, Libano e altriventicinque piccoli stati, an-

che la Bolivia èuna bandiera dicomodo. In ger-go le chiamanoFoc, flags of con-venience (ban-diere di conve-nienza), perchéoffrono al pro-prietario van-taggi fiscali escarsi vincoli darispettare in ma-teria di diritti deilavoratori. È in-fatti la bandiera

a determinare quale stato hagiurisdizione sulle navi e, diconseguenza, la legislazioneda applicare. Salari bassi, scar-se condizioni igieniche, bassistandard di sicurezza, contrat-ti che possono arrivare anche a18 mesi, nessun limite all’im-piego di lavoratori stranieri,qui sono la regola.Poco distante dalla Sea Queen,sul molo riservato alle naviporta container, è ancorata laMsc Annamaria. La Msc – Me-diterranean Shipping Com-pany ha sede in Svizzera, ma labandiera issata a prua è quelladi Panama.La nave è arrivata in porto solopoche ore fa, ma una gru sta giàsollevando i grandi containergialli e arancioni accatastatisul ponte. Tutto l’equipaggio,ventitre persone in tutto traitaliani, croati, montenegrini ecileni, è al lavoro. Domani, aquest’ora, saranno già di nuo-vo in viaggio.“Una volta si diceva che chi fa-ceva il marinaio – racconta Fer-dinando D’Angiolo, chief engi-neer della Msc Annamaria - ve-deva tutto il mondo. Ora di si-curo non è più così”. Parla len-tamente, con un forte accentonapoletano, intercalando ter-mini tecnici in inglese, la lin-gua “ufficiale” a bordo . “Questimaledetti contenitori ci hanno

rovinato la vita. Una volta leoperazioni di scarico e caricodelle merci – spiega - richiede-vano diversi giorni. Ora, nonsolo tutto è più veloce, ma abordo siamo molti di meno. Laterra quasi non la vediamo più,perché in porto ci fermiamopoche ore e il lavoro ci tiene oc-cupati”. Il trasporto container è semprepiù diffuso. Le navi sono in gra-do di scaricare le merci e racco-gliere il nuovo carico in 16-18ore, ma in alcuni casi la sosta

può anche non superare le 6-8ore. In queste condizioni, per imarittimi la vita al di fuori del-la nave può ridursi a poche orein lunghi mesi di navigazione. Ma il tempo non è l’unico pro-blema. Il porto è infatti un labi-rinto deserto e grigio, con l’o-rizzonte chiuso da silos, depo-siti e recinzioni. La banchinapuò distare anche alcuni chilo-metri dall’uscita e non ci sononé indicazioni né mezzi pub-blici. Il porto è fatto per le mer-ci, non per gli uomini. Una vol-

ta fuori, poi, ci si trova su unastrada trafficata, dove è diffici-le capire come raggiungere Ve-nezia o semplicemente un ne-gozio o un bar. “E’ cambiataproprio la concezione dei por-ti. Una volta erano inglobatinella città – ricorda Ferdinan-do D’Angiolo – oggi sono for-tezze, isolate e chiuse all’ester-no”.L’intera area del porto è recin-tata e la stazione della poliziadi frontiera sorveglia l’ingres-so. Tutti i lavoratori marittimi

Ahmed ha un contrattodi 15 mesi

e il suo salario arriva

appena a 500 dollari

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Marittimi a VeneziaOgni anno nel porto turistico di Veneziae in quello commerciale di Marghera

sbarcano circa 200.000 lavo-ratori marittimi

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DOSSIER

dalla miseriabassi e scarse garanzie sulla sicurezza

non appartenenti all’areaSchengen, per entrare e usciredall’area portuale, hanno biso-gno dello shore pass, una sortadi visto rilasciato dalla poliziadi frontiera al loro arrivo, vali-do però solo dalle 8 alle 22. Dinotte i marittimi devono ritor-nare alla propria imbarcazio-ne, altrimenti saranno dichia-rati “disertori”.Per i marinai provenienti dapaesi considerati “a rischio”,come Siria, Libano, Pakistan,Corea del Nord o Sri Lanka,

uscire dal porto è ancora piùcomplicato. In questo caso ilnulla osta deve arrivare dal mi-nistero dell’Interno. Una pro-cedura che dovrebbe richiede-re una o due ore al massimo,ma in molti casi si dilata neltempo. “Spesso – spiega Gio-vanni Olivieri, rappresentantedell’Itf, l’International Trans-port Workers’ Federation, inItalia – servono 48 ore o più perricevere il visto, un tempotroppo lungo comparato allebrevi soste delle navi dei porti.

A volte è l’agenzia marittima,con la complicità dell’armato-re, a non richiederlo abbastan-za in anticipo o a non doman-darlo affatto”. È successo cosìche alcuni marittimi trascor-ressero mesi senza mai usciredal porto. I marittimi della Msc Annama-ria continuano le operazioni discarico. Comincia a farsi buio,fra un po’ lo shore pass non sa-rà più valido. Per molti di loroVenezia rimarrà l’immagine diuna cartolina.

Marittimi nel mondoSono oltre un milione i marinai in tutto il mondo secondo l’Ilo, l’Internationallabour organization. La nazionalità piùdiffusa è quella filippina

1.250.000

200.000

29StatiSono 29 le “bandiere di comodo” identi-ficate dall’Itf, l’International transportfederation, che riunisce numerosi sinda-cati di diversi paesi

A sinistra,in alto,tre membridell’equi-paggio dellaSea Queen In basso,lo chef engineerFernandoD’AngioloQui a lato,la SeaQueen nelcanale norddi PortoMarghera

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Bandiere di comodo,nessuna garanziaper i lavoratori a bordo

Intervista al sindacalista dell’Itf Giovanni Olivieri

Da decenni l’Itf,l’Internationaltransport fede-ration, si occu-pa dei problemidei lavoratori

dei trasporti e in particolaredei marittimi. Giovanni Oli-vieri è uno dei rappresentantiitaliani di questa organizza-zione che riunisce più di 680sindacati di tutto il mondo edè il responsabile del settoremarittimi della Fit Cisl EmiliaRomagna.L’International transport fe-deration ha lanciato unacampagna contro le bandieredi comodo. Quali problemiimplicano le bandiere ombraper i lavoratori marittimi?Le bandiere ombra sono nateper permettere agli armatoridi pagare meno tasse. Il pro-blema è che oltre a offrire im-poste ridotte, questi registrinavali offrono anche meno ga-ranzie per i lavoratori. In par-ticolare questi paesi non han-no ratificato alcune importan-ti convenzioni internazionaliche tutelano i marittimi e sta-biliscono gli standard dellecondizioni di lavoro a bordo.Purtroppo le altre autorità chevigilano sull’attività portuale,come le Capitanerie di porto,non hanno nessun potere sul-le condizioni di lavoro dei ma-rittimi, non possono fare nullaad se un marittimo guadagna300 dollari al mese. Ma la si-tuazione dovrebbe migliorarecon l’approvazione della su-per convenzione numero 200dell’Ilo.Che percentuale rappresen-tano le navi battenti bandiereombra sul totale?Il 60-70% a livello mondiale.E’ facile ottenere una bandie-ra di comodo?È facilissimo. Basta fare qual-che esempio per capire. Fino aun paio di anni fa, il registronavale cambogiano (la Cam-bogia è una bandiera di como-do, ndr) era gestito da un’a-genzia basata a Singapore. L’i-scrizione avveniva on line esulla nave non veniva fatto al-cun controllo. In Italia funzio-na in modo completamentediverso: se compro una nave evoglio registrarla sotto ban-diera italiana, devo sottoporrel’imbarcazione a tutta una se-rie di verifiche.Succede inoltre molto spessoche una stessa nave cambi, an-che diverse volte, nome e ban-diera. Qualche tempo fa, alporto di Ravenna, una navebattente bandiera turca, la Be-nizkizi, è stata trattenuta per-ché non aveva tutte le certifi-cazioni in regola, anche se nonsi trattava di problemi legatistrettamente la sicurezza. Allafine, dopo poche settimane, è

ripartita con il nome Eni ebandiera Nord Coreana. Nes-suno è venuto a fare dei con-trolli, è semplicemente arriva-to un signore con tutti i docu-menti per la “nuova” nave. Èpiù conveniente passare da unregistro all’altro, piuttosto chefare tutte le verifiche per otte-nere le certificazioni richieste.La nave è così ripartita, ma so-lo dopo aver cambiato equi-paggio. L’equipaggio infattinon veniva pagato da qualchetempo, e io e miei colleghi do-po aver trattato con l’armato-re, minacciando un’azione le-gale, siamo riusciti ad ottene-re il pagamento e li abbiamorimpatriati. Dopo qualchetempo questa nave è affonda-ta, o più probabilmente è statafatta affondare per avere i sol-di dell’assicurazione. Succede di frequente che nonvengano pagati gli stipendi?Negli ultimi anni il problemasi è ridimensionato. Ma fino aquattro, cinque anni fa, quellodegli stipendi arretrati era unproblema molto diffuso. In che modo sta intervenendoil sindacato per arginare que-sti fenomeni?Ci stiamo muovendo soprat-tutto sul piano internazionale.La superconvenzione dell’Ilo,ad esempio, sta decollandoanche per iniziativa dell’Itf econ una forte spinta dell’Ita-lia. L’Itf ha poi iniziato diversecampagne, come quella sullebandiere ombra. Se ci fosseuna superconvenzione, anche

far valere i diritti dei marittimiin tribunale, ad esempio per isalari, sarebbe più facile.E per quanto riguarda lo sho-re pass? In Italia ogni porto è un caso ase stante. Ad esempio, il 2 apri-le 2007, sono stato chiamato alporto di Ancona per seguire ilcaso di una nave battente ban-diera maltese, la NaftocementI. Questa imbarcazione navi-gava soprattutto tra Grecia eItalia e trasportava cemento. Abordo c’era un marittimo dinazionalità siriana, che da ot-to mesi non scendeva a terraperché non gli veniva conces-so lo shore pass o perché nongli arrivava in tempo, visto chele soste erano molto brevi espesso non superavano le 24ore. Il siriano era esasperato.Alla fine siamo riusciti a rim-patriarlo.I porti italiani sono sufficien-temente attrezzati per acco-gliere i marittimi?No. I porti accolgono le navi,non i marittimi. Spesso nonc’è un servizio di collegamen-to tra terminal e città e permolti la libera uscita diventaquasi impossibile. Uscire dalporto può essere molto diffici-le, se non si conosce il porto enon si sa come muoversi. ISeamens Club, poi, sono an-cora rari. E solo in pochi portic’è l’associazione Stella Maris,che riesce a sopperire le man-canze delle strutture italiane.Ma in molti altri porti non c’ènulla.

Panama e la deregulation senza limitiPoche tasse e molta “privacy”, ma ci rimettono i lavoratori

Costi di registrazione bassi, nessu-na tassa sui profitti, nessun limiteall’impiego di lavoratori stranieri,

nessun vincolo di nazionalità per il pro-prietario dell’imbarcazione. Sono soloalcuni dei vantaggi che offre la bandierapanamense, la bandiera di comodo piùdiffusa nel commercio marittimo. Tuttolegale, tutto alla luce del sole, tanto chesono numerosi i siti internet specializ-zati che pubblicizzano le Foc (Flags ofconvenience)e che danno consigli mol-to espliciti: “L’imbarcazione può essereintestata a una società panamense conrelativo sgravio dei costi di registrazio-ne”, “il reale proprietario può essere pro-tetto da assoluta privacy”. Si spiega cosìcome questo piccolo paese centroame-ricano , con una popolazione di circa tremilioni di abitanti, possieda la flotta piùnumerosa del mondo, con oltre 6.000navi registrate nel proprio registro nava-

le. In realtà, le navi appartengono ad ar-matori di altri paesi, molti dei quali oc-cidentali, ma che preferiscono goderedei vantaggi fiscali e non che Panama of-fre. Il paese centroamericano è tuttaviain buona compagnia. I due terzi dellenavi in circolazione battono bandiere dicomodo. Questi paesi, con le loro normefiscali vantaggiose e gli scarsi vincoli in

materia di norme di sicurezza e salari,hanno trasformato il trasporto maritti-mo mondiale in una giungla, in cui regnauna concorrenza spietata fatta a scapitodei lavoratori. Non essendoci una nor-mativa in grado di contrastare questo fe-nomeno, alcuni paesi europei hannodeciso di “adeguarsi”, creando a loro vol-ta dei registri bis, con vincoli minori darispettare, e che l’Itf ha classificato tra leFoc, come la Germania. Ma la bandiere ombra non sono l’unicomodo per eludere i controlli e le norma-tive internazionali: sempre più diffusa èinfatti l’esternalizzazione. Ad esempiouna nave può essere proprietà di una so-cietà, ma essere gestita da un’atra azien-da e noleggiata da un’altra società anco-ra. In questo modo, si gioca sulla catenadei controlli, per deresponsabilizzarechi commette un’infrazione o causadanni.

In alto, un marinaio in sala macchine. In basso, la stazionedella polizia di frontiera all’entrata di Porto Marghera

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DOSSIER

Stella Maris, angeli del portoL’associazione assiste i 200.000 marittimi che ogni anno arrivano a Venezia

Numerosi i servizi offerti: daltrasporto alle schede telefoniche,dalla rassegna stampa in diverselingue allo Seamen’s Club

Il furgoncino bianco diStella Maris Friends simuove senza sosta nelporto, tra il terminaldelle rinfuse e quello ri-servato ai container, da

una nave all’altra e poi versol’uscita. Ogni giorno, StellaMaris dà assistenza ai lavora-tori marittimi che arrivano aVenezia, 200.000 ogni anno trail porto turistico di Marittimae quello commerciale di Mar-ghera. Se non fosse per i vo-lontari di questa associazio-ne, anche le cose più banali,come telefonare o fare unapasseggiata incittà, per questimarinai potreb-bero rivelarsiimpossibili. “La vita a bordoè alienante. Me-si e mesi in ma-re – spiega An-drea Pesce, chelavora con Stel-la Maris da setteanni – senzacontatti con l’e-sterno, con ora-ri massacranti esalari bassi. E quando arriva-no a terra, spesso non hannoneanche il tempo e il modo peruscire dal porto”.I volontari di questa associa-zione cercano allora di offrireai marittimi qualche momen-to di “normalità”, risponden-do a bisogni minimi quantoessenziali: chiamare a casa,fare qualche acquisto, curarsio spedire parte dello stipendioalla famiglia. Ogni volta cheuna nave attracca, i volontaridi Stella Maris salgono a bordoper capire le necessità dell’e-quipaggio e spiegare i serviziche offrono. Hanno semprecon sé qualche carta telefoni-ca internazionale e un paio dicellulari con sim italiana doveutilizzarle, sicuri che i maritti-mi ne avranno bisogno per iltempo che si fermeranno inporto. “A bordo c’è solo il tele-fono satellitare – spiega An-drea Pesce - e i costi elevatinon permettono telefonate,l’unico mezzo per comunica-re con una famiglia lontana,più lunghe di qualche minu-to”. C’è anche un numero ver-de che i marittimi possonochiamare ogni giorno dalle 9alle 22, per comunicare conl’associazione. Ogni giorno, inoltre, StellaMaris con il pulmino a 8 posti

accompagna i marittimi a Ve-nezia, per visitare la città espezzare la routine del mare oal centro commerciale di Me-stre per fare qualche acquistoo curiosare tra gli scaffali. Liaccompagnano, spiegano lo-ro come muoversi e poi con-cordano l’orario di ritorno.Senza Stella Maris i marittimirimarrebbero imprigionatisul molo.L’associazione gestisce anchelo Seamen’s club di VeneziaMarittima, un luogo di ritrovoe svago per i marittimi, dovescambiare due chiacchere,

connettersi a in-ternet, telefona-re o consultare larassegna stampanelle diverse lin-gue. A più di 170navi e più di 150Seamen’s clubnel mondo StellaMaris invia inol-tre il Filippinobalita, il quoti-diano in linguafilippina ideatodall’organizza-zione.

Ma sono le piccole cose chefanno grande questa associa-zione: come procurare unamedicina per il marinaio ru-meno che non ha neanche iltempo di scendere a terra eraggiungere una farmacia, oascoltare chi è vittima di mob-bing a bordo della nave. In-somma rendere più umanauna realtà in molti casi invisi-bile ai più.L’avventura di Stella Maris èiniziata dieci anni fa, quandonel porto di Venezia fu abban-donata la nave-carretta rume-na Frunzanesti. Padre MarioCisotto, cappellano del porto,organizzò un gruppo di volon-tari per offrire assistenza aimembri dell’equipaggio ab-bandonato e costretto a vive-re a bordo per mesi senza sala-rio. Da allora i volontari hannoseguito altri casi di navi ab-bandonate, come la Aiud e laKawkab, fino a estendere la lo-ro attività all’assistenza di tut-ti i marittimi che approdava-no a Venezia. L’associazione, nel 2001, si ètrasformata in una vera e pro-pria cooperativa (la coopera-tiva sociale Il Faro), con cin-que lavoratori a tempo pieno,aiutati da numerosi volontari,per dare continuità alle attivi-tà dell’associazione.

Senza Stella Marisper i marinai

sarebbedifficile

anche usciredal porto

Un servizio di minibus è atti-vo verso Venezia e verso ilcentro commerciale diMestre

TrasportiVengono lasciati a bordo deicellulari con sim italiana perutilizzare senza sovrapprez-zo le schede telefoniche

TelefonoDalle 9 alle 22 è attivo unnumero verde gratuito, a cuii marittimi possono rivolger-si per qualsiasi necessità

AssistenzaA Venezia Marittima è statoaperto uno Seamens’ Club,che offre la possibilità diusare internet e telefono

SvagoOgni giorno viene preparatauna rassegna stampa indiverse lingue e viene realiz-zato il Filippino Balita

Informazioni

L’area in cuivengonoaccatastati i container a PortoMarghera

Un cuocolegge il giornale in linguafilippinacreato daStella Marisin unmomento dipausa

Due operatori diStella Marismentreaspettanodi salire suuna nave