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Le curiosità: quando Elton John arrivò in ambulanza Tutta l’Umbria balla il jazz Q uattrocolonne Periodico della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia Sgrt Notizie - Anno XXVI N . 9 - 15 maggio 2017 L’album fotografico: tutti gli scatti più belli di Umbria Jazz L’edizione 2017: Kraftwerk, Brian Wilson, Jamie Cullum

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Le curiosità:quando Elton John

arrivò in ambulanza

Tutta l’Umbria

ballail jazz

QuattrocolonnePeriodico della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia

Sgrt Notizie - Anno XXVI N. 9 - 15 maggio 2017

L’album fotografi co:tutti gli scatti

più belli di Umbria Jazz

L’edizione 2017:Kraftwerk, Brian Wilson,

Jamie Cullum

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Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazionee l’Aggiornamento in Giornalismo Radiotelevisivo

Presidente: Nino Rizzo NervoDirettore del Centro: Antonio Bagnardi

Direttore della Scuola: Antonio SocciCoordinatori didattici: Luca Garosi – Marco Mazzoni

Quattro Colonne SGRT NotiziePeriodico della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia

Direttore responsabile: Antonio SocciRedazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini

In redazionePietro Adami, Giulia Bianconi, Francesco Bonaduce, Michele Bonucci, Nicola Campagnani, Nicolò Canonico, Andrea Caruso, Alessandro Catanzaro, Gabriele D’Angelo, Marina de Ghantuz Cubbe, Elena Frasconi, Gabriele Genah, Chiara Jommi Selleri, Beatrice Manca, Cristiana Mastronicola, Stefania Moretti, Camilla Orsini, Serena Riformato, Selene Rinaldi, Irene Roberti Vittory, Davide Serusi, Chiara Sivori, Paolo Sparro, Elena Testi

Anno XXVI – numero 9 - 15 maggio 2017Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del marzo 1993

Segreteria: Villa Orintia Carletti Bonucci - Via G. Puccini, 25306134 Ponte Felcino (PG)

Tel. 075/5911211 – Fax. 075/5911232 e-mail: [email protected] – http://www.centrogiornalismo.it

Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c – legge 662/96 Filiale di Perugia

Stampa: Italgraf - Perugia

03 Umbria, cuore verde del jazz

Dagli anni della contestazione

alla svolta pop.La rivoluzionaria

rassegna che ha cambiato

la regione a suon di musica

06 Il valore delle noteTutti i numeri

di Umbria Jazz: dalle spese

ai ricavi, dai flussi turistici

verso la regione allo sbarco in Cina

09 Quella volta che Elton John

arrivò in ambulanza

Vizi e capricci delle star

di Umbria Jazz,piccola storia non ufficiale

di quello che accade fuori dal palco

12 Gli scatti più bellidi Umbria Jazz

Fotogallery 1973-2017

14 Come fotografare la musica

Giancarlo Belfioreracconta ciò che ha visto

attraverso il suo obiettivo

15 Quelli che...dietro le quinte

Oltre 250 collaboratoriogni anno compongono

lo spartito del festival. Tra curiosità,

gossip e passione

18 Una storia specialeIl festival vissuto

dagli intellettuali:dai giovani

al grande pubblico

20 «Ragazzi da tutto il mondo

per i nostriseminari di jazz»

Parla Giovanni Tommaso,del Conservatorio

di Perugia: gli esordie le emozioni

di quarant’anni

22 I grandi nomi del 2017 Da Dee Dee Bridgewater

ai Kraftwerk passando per Brian Wilson.

La ricca offerta della nuova edizione

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di ELENA FRASCONI

ALESSANDRO CATANZARO

@alekata91

UMBRIA, CUORE VERDE DEL JAZZDagli anni della contestazione alla svolta pop. La rivoluzionaria rassegna che ha cambiato la regione a suon di musica

Siamo nel 1973: i soldati americani si stan-no ritirando dal Vietnam e la guerra del Kippur fa impennare il prezzo del petro-

lio. “Il Padrino” di Francis Ford Coppola vince tre premi Oscar ed esce “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd. Nella piccola Umbria, intanto, lontano da ogni clamore, sta maturan-do un fermento nuovo. La Regione come ente è nata appena tre anni prima, mentre all’Universi-tà per Stranieri il flusso di studenti, provenienti

da tutto il mondo occidentale, sta aumentando a dismisura. Ma il 1973 è soprattutto l’anno di Umbria Jazz.

«L’idea di un festival l’avevo in testa già da metà anni Cinquanta - racconta Carlo Pagnot-ta - quando frequentavo l’Hot Club Perugia, un noto circolo jazz diretto da Adriano Mazzoletti». Decisivo fu l’incontro con l’assessore al turismo Alberto Provantini, colui che coniò lo slogan “Umbria cuore verde d’Italia”. La regione voleva

SCATTI STORICI

Piazza IV Novembregremita di giovani

per la prima edizione di Umbria Jazz.

Perugia, agosto 1973

foto di Giancarlo Belfiore

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farsi conoscere in patria e anche all’estero: per le sue bellezze paesaggistiche e i suoi borghi stori-ci, per provare a uscire dall’isolamento a cui la collocazione geografica l’aveva sempre costretta. Fu Provantini a suggerire un format che avrebbe rivoluzionato per sempre il mondo del jazz.

Umbria Jazz fece il suo debutto il 23 agosto lungo le sponde del lago di Piediluco, non lon-tano da Terni. «Dovevamo esordire a Perugia, ma per motivi di costi decidemmo che la prima serata si sarebbe fatta lì» spiega Pagnotta. Sul palco di Villalago suonarono gli Aktuala e la big band di Thad Jones e Mel Lewis, con una giovanissima e sconosciuta Dee Dee Bridgewa-ter (tanto che nel manifesto venne indicata er-roneamente come “Dee Bridgewater”). 

Le prime edizioni (dal ’73 al ’76 e poi di nuovo nel ’78) furono gratuite e itineranti, e richiamarono tra le 15 e le 20 mila persone, so-prattutto giovani. Era il momento delle grandi contestazioni studentesche (il Sessantotto, il Set-tantasette) ma in provincia il rock suonava len-to, almeno in questa parte d’Italia. E allora Pa-gnotta, con l’aiuto del manager Alberto Alberti, portò in piazza il jazz. Una musica che radunò un pubblico eccessivo e invasivo, che se ne frega-va del conformismo borghese, e che diceva: «La musica è nostra e ce la prendiamo». Una massa fuori controllo, che si spostava dal ternano al pe-

rugino a bordo di Renault 4, Fiat 127 e Citroën Charleston, intasando le strade provinciali; che si accampava col sacco a pelo in ogni centimetro quadrato dei centri storici di Perugia, Gubbio, Città della Pieve, facendo i propri bisogni un po’ dove capitava.

Fu una rivoluzione e allo stesso tempo un successo ingestibile, tanto che ci fu un’interru-

zione che durò fino al 1982. Allora cambiò per la prima volta la formula di Umbria Jazz. Una rassegna non più decentrata, ma stanziale, con Perugia centro principale e varie città satelliti, come Orvieto e Assisi, Narni e Foligno. Non più tutto gratuito, ma con un biglietto d’ingresso per i concerti. Del resto, la cultura per la musi-ca era cambiata. Il nomadismo un po’ hippy dei primi anni aveva ceduto il passo ad una svolta mondana: il pubblico aveva nuove esigenze, non si accontentava più di esserci e basta, la musica

UMBRIA JAZZ OGGI

Quarant’anni dopo, UJ continua a riempireil centro di Perugia. Nella foto del 2013, il pubblico per Dj Ralf

LO SLOGAN DELLA GENERAzIONE DEGLI ANNI ’70ERA: «LA MUSICA È NOSTRA E CE LA PRENDIAMO»

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In alto,le date salienti di Umbria Jazz

Al centro, due fi gure chiave della rassegna:

Carlo Pagnotta e Renzo Arbore

In basso, la Fondazione

e l’organigramma di Umbria Jazz

voleva ascoltarla bene e comodamente. L’orga-nizzazione cercò allora anche altri spazi per i concerti, come Pian di Massiano, i Giardini del Frontone e la chiesa di San Francesco al Prato.

Il passaggio da decennio a decennio ha spes-so segnato un cambiamento per la manifesta-zione. Nel 1993 fu il momento di Orvieto, dove partì l’esperienza dell’Umbria Jazz Winter. Una kermesse al chiuso, durante le feste natalizie, che si rivelò un successone e che dura ancora oggi.

E poi, nei primi anni Duemila, un’ulteriore svolta arrivò con la formula dei “tre festival in uno”: musica libera in piazza tutto il giorno, a pagamento (ma a prezzo contenuto) nei teatri, e poi i concerti di punta in arena. Nel 2003 infatti, il festival fece il suo esordio al Santa Giuliana, il vecchio stadio del Perugia Calcio: una struttu-ra dotata di 6mila posti a sedere, che diventano

15mila in piedi. E così, quello che doveva essere un esperimento temporaneo è diventato poi la regola, come i dieci giorni di durata fi ssa del fe-stival.

Più di quarant’anni dopo, Umbria Jazz è un fenomeno pop, ad immersione totale. Il centro storico di Perugia appare sempre più un villaggio globale, in cui si respira musica ad ogni ora del giorno e della notte, con eventi che si susseguono e si sovrappongono. In un chilometro quadrato si creano inedite e suggestive interazioni fra la storia medievale che aleggia per le vie e le piazze della città e i suoni del presente. Paolo Occhiuto, storico collaboratore della Fondazione Umbria Jazz, ci propone un’altra suggestione, questa vol-ta per il futuro: «Sarebbe bello immaginare tra qualche anno un grande concerto a pochi pas-si dall’aeroporto “San Francesco di Assisi”, una sorta di Woodstock del jazz, con visitatori e ap-passionati che arrivano da tutto il mondo grazie a voli charter, e tanti altri che seguono l’evento in mondovisione, dallo schermo del tablet o del telefonino». Q

L’ARENA SANTA GIULIANA OSPITA GLI EVENTI DI PUNTA E ACCOGLIE FINOA 15MILA SPETTATORI

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Il sassofono è dotato di una voce potente, ca-pace di una grande diffusione del suono. Allo stesso modo, l’Umbria Jazz ha un effetto mol-

tiplicatore sulle attività economiche locali. Du-rante i dieci giorni di concerti non è solo lo spi-rito a beneficiare del potere della musica perché, intorno a questo evento, si crea un vero e proprio indotto: alberghi, musei, ristoranti ma anche libri e giornali. Uno studio dell’università di Perugia in collaborazione con la fondazione Umbria Jazz, rivela che la produzione e la vendita di beni e servizi (prodotto lordo), è tre volte superiore ai contributi pubblici e privati ricevuti. Significa in-vestire uno per ottenere tre.

Sono in particolare la Regione Umbria, il co-mune di Perugia e quello di Orvieto a finanzia-re il festival: soldi pubblici che tramite Umbria Jazz vengono redistribuiti rilanciando le attività del territorio. Per Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di commercio di Perugia e di Fede-ralberghi, la rassegna “rappresenta la regione nel-la sua interezza, un binomio che ormai è diventa-to indissolubile. I turisti che magari hanno già in mente di venire in vacanza in Umbria scelgono di arrivare durante il festival e, mediamente, tutti gli alberghi di Perugia e dintorni si riempiono, la maggior parte fa il pieno assoluto. Dal punto di vista dell’occupazione, possiamo dire che rispetto al resto dell’anno, nel mese di luglio l’occupazio-ne nel settore alberghiero raddoppia”.

Non solo attività legate al turismo: sono 17 mi-lioni gli italiani che conoscono il simbolo di Um-bria Jazz, stampato anche su magliette, felpe, zai-ni. Non esiste un negozio che durante tutto l’anno venda gli articoli targati UJ, ma la fondazione si è dotata di un sito per fare shopping on-line, poten-zialmente raggiungibile in tutto il mondo. Sempre sul web è possibile comprare i biglietti per assiste-re alle performance: dalla vendita vengono rica-vati tra gli 1,2 e gli 1,5 milioni di euro. Insieme al milione proveniente dai finanziamenti pubblici e gli 800 mila euro investiti dagli sponsor privati, gli organizzatori riescono a coprire le spese pratica-mente ogni anno. Certamente, il merchandising ha dato il suo contributo rispetto ad una spirale negativa in cui il festival era precipitato tra 2005 e 2006, quando i ricavi erano stati nettamente infe-riori alle spese sostenute.

Il vice presidente della fondazione, Stefano Mazzoni, spera che l’iniziativa della vicepresi-dente della Camera dei deputati Marina Sereni diventi realtà: la possibilità che anche il ministe-ro dei Beni e delle attività culturali e del turismo contribuisca al finanziamento di un evento la cui importanza supera i confini regionali. Per Maz-zoni, significherebbe prima di tutto “riconoscere il carattere nazionale ed internazionale della ma-nifestazione, che è uno degli strumenti più po-tenti di divulgazione della musica jazz nel mon-do. Dal punto di vista economico si parlerebbe di

IL VALORE DELLE NOTE

Tutti i numeri di UmbriaJazz: dalle speseai ricavi, dai flussi turistici verso la regione allo sbarco in Cina

diGABRIELED’ANGELO

@inkpressione

MARINA DE GhANTUZ CUBBE

marideghantuz

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La mappa delle città del mondo invase dalle note di UmbriaJazz

un milione di euro all’anno che entrerebbero in pianta stabile tra i finanziamenti per il festival”.

Ma UmbriaJazz non è solo Italia. Negli ulti-mi anni il marchio del festival è sbarcato in tutti i continenti, Antartide escluso. Pretoria, Brasilia, Londra, New York: sono solo alcune delle 16 città dove i jazzisti più famosi al mondo si sono esibiti. L’ultima frontiera raggiunta è quella cinese. La “Missione Cina” è partita nel 2016, e dal prossi-mo 17 ottobre porterà una settimana di musica sui palchi e negli auditorium di Chengdu, nella provincia del Sichuan.

Secondo il responsabile del Servizio relazioni

internazionali della Regione, Giampiero Rasi-melli, “l’aspetto economico per adesso non è im-portante. Quel che conta è riuscire a stabilizzare l’evento nel prossimo triennio.”

I costi, al contrario di quanto si potrebbe pensare, sono contenuti: “Negli ultimi tre anni la Regione ha contribuito con circa 30mila euro. Il resto è stato interamente pagato dai cinesi e dagli sponsor.”

Tra i partecipanti ai concerti già organizzati c’è stato anche Sergio Mattarella. Lo scorso 25 febbraio il presidente della Repubblica è volato a Chongqing: in valigia le note di UmbriaJazz. Q

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Correva l’anno 1973. Precisamente il 23 agosto quando andò in scena il primo concerto di Umbria Jazz. Chi era presen-

ta racconta di una giornata calda, ma quello che in pochi dicono è che il primo concerto si tenne sulle sponde del lago di Piediluco. La manifesta-zione avrebbe contato quattro giornate in tutto. Dopo l’esordio, Umbria Jazz si sarebbe spostata a Perugia per chiudere in bellezza nella stupenda Gubbio. La sfortuna volle che l’ultima serata saltò a causa di una pioggia torrenziale che si abbat-

té senza pietà. Un po’ come nel 2016, quando il trombettista Enrico Rava è stato costretto a scen-dere dal palco dopo aver lottato per dieci minuti con un vento impietoso, nonostante avesse pro-vato a continuare il suo concerto tenendo il più possibile il pubblico incollato sulla sedia. Nien-te da fare. Non è però di certo questa una delle storie più bizzarre di Umbria Jazz. Keith Jarrett era solo un povero sconosciuto quando approdò in piazza IV Novembre. Si mise seduto e iniziò a suonare il suo sound. Inutile dire che, come dis-

QUELLA VOLTA CHE ELTON JOHN ARRIVò IN AMBULANZAVizi e capricci delle star di Umbria Jazz, piccola storia non ufficiale di quello che accade fuori dal palco

diSERENA RIFORMATO

@serenarifor

ELENA TESTI@elenatesti

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se Marco Molendini, noto critico musicale de Il Messaggero, già si sentiva il talento sgorgare dalle dita. Lo stesso giovanotto ce lo ritrovammo qual-che anno dopo sul palco del Santa Giuliana. Il problema non furono di certo gli anni in più, ma quello che regalò durante uno spettacolo, mo-strando il posteriore ai tanti fan che avevano avu-to l’ardire di scattargli una foto durante il con-certo. Non finisce qui però. La storia vuole che il pianista pretese in un noto albergo perugino di avere una cameriera personale che non fumasse da almeno 10 anni.

Ci fu anche un tempo di un’Umbria Jazz de-cisamente più politico. Era il 1976 quando il pub-blico del festival fischiò Chet Baker e Stan Getz: troppo bianchi e borghesi per l’intransigenza di un tipo di pubblico che viveva il jazz come riven-dicazione sociale.

Di ben tutt’altra natura il piccolo aneddoto che riguarda Pino Daniele. Il cantautore napo-letano, scomparso da due anni, era solito fre-quentare Umbria Jazz. Amatissimo dal pubbli-co. L’Arena impazziva quando la sua voce calda

esplodeva. Era il 1992, Umbria Jazz l’anno se-guente avrebbe compiuto 20 anni. Pino Daniele arrivò con la sua chitarra. Non aveva band, ma si era portato appresso un Massimo Troisi malin-conico, tanto che mentre Pino Daniele suonava su un palco improvvisato in Piazza IV Novem-bre, l’attore napoletano rimase in silenzio in un angolo ad ascoltare la performance dell’amico. Dal buon cuore partenopeo alle richieste un po’ più folli di qualche artista inglese. Non uno a caso. Leggenda vuole che Sir Elton Jonh pretese di arrivare al concerto in ambulanza per poi ri-andarsene via con lo stesso mezzo. Resta ancora ignoto il perché di tale richiesta. Sicurezza o esi-bizionismo? Chi lo sa.

Se però il nome di Elton Jonh venne accetta-to di buon grado, si scatenò la guerra tra radical chic e grandi intenditori quando l’organizzazio-ne nel 2015 fece il nome di Lady Gaga. Per un momento si abbatté una bufera di proporzioni epiche al motto di “Non è più l’Umbria Jazz di una volta. È troppo commerciale”. Inutile dire che il concerto ebbe un successo clamoroso. La

Elton John partecipòall’edizione 2005 di Umbria Jazz

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cantante, erede legittima di Madonna, almeno così sembrerebbe dopo l’esilio dell’ormai dimen-ticata Britney Spears, riuscì a tirare fuori tutta la sua anima soul. Complice anche il genio di Tony Bennett che sul palco del Santa Giuliano riuscì a regolare uno spettacolo indimenticabile. L’unica cosa che si può rimproverare alla star bionda è un abbigliamento che in Umbria definirebbero da capocollo. La biondissima Gaga scese dall’a-ereo avvolta da una rete bianca che lasciava ben poco all’immaginazione. Fu comunque disponi-bile, ma con un solo fan. Il ragazzo aveva tatuata una frase della sua canzone e la cantante gli fece la grazia di salutarlo. Ciò che però fece di più im-pazzire i giornalisti che volevano immortalarla a tutti i costi, è che la diva aveva deciso di tenere

taciuta la location in cui sarebbe andata a passare la notte. Solo in seguito si seppe che in realtà ave-va le idee poco chiare. Inizialmente aveva optato per una villa, alla fine decise di rinchiudersi in un Relais. Tony Bennett si comportò in manie-ra totalmente diversa, girovagando per il centro storico in polo e bermuda. Dopo aver ascoltato gli artisti, decise anche di comprare il cd di una flautista. Piccola nota, Lady Gaga chiese anche un insegnante di Pilates. Niente di che se para-gonate alle richieste folli di altre star. Prince, ad esempio pretese una bicicletta per scorrazzare nel backstage prima e dopo il concerto. Per non parlare poi di Joao Gilberto che non riusciva a trovare un materasso di suo gradimento. Fi-nirono per comprargliene uno nuovo. L’hotel

Brufani impazzì per acconten-tare la richiesta del cantante che comunque dormiva pur sempre in una suite extra lusso. Ai Giar-dini del Frontone Gilberto si lamentò persino del vento: inac-cettabile che gli seccasse la gola e gli facesse arrivare il fumo agli occhi.

Inutile dire che non c’è artista che non abbia cenato al ristoran-te La Taverna. Per quale motivo? Oltre ad essere uno dei luoghi in cui si mangia meglio il tartu-fo, è anche il locale preferito dal fondatore di Umbria Jazz Carlo Pagnotta. È solito andare a cena con il suo amato cane: un bas-sethounds, quando ovviamente è in pausa dalla manifestazione. Di abitudini diverse il presidente Renzo Arbore. Da sempre, ma proprio sempre, dorme all’hotel La Rosetta, effettuando però un particolare pellegrinaggio all’ho-tel Brufani dove pare sia solito pranzare.

È anche questo Umbria Jazz, quello che non si trova scritto nella storia ufficiale: una tra-dizione di passaparola, gossip, capricci da star. Una narrazio-ne dal basso che ne alimenta – e continuerà ad alimentare – la leggenda. Q

Corso Vannucci stracolmo di giovani

in attesa di un concerto

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Una folla di giovani accampati in piazza IV Novembre in attesa del concerto della sera

B.B. King si esibì a Umbria Jazz ben cinque volte, l’ultima nel 2011

Chet Baker nel 1975. Fu persino oggetto di

contestazioni, considerato da alcuni simbolo

di un jazz bianco e borghese, e non d’avanguardia

Charles Mingus e il suo inseparabile

contrabbasso. Tra gli inauguratori della

prima edizione, tornò anche nel 1975

Um

bria

Jazz

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3-20

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Paolo Fresu, in una via del centro, tra i passanti. Il famoso

trombettista sardo ha partecipato al festival nelle edizioni

del 2013 e del 2014

Keith Jarrett, il 29 luglio del 1974,mentre si esibisce da solo con il suopianoforte. Perugia, piazza IV Novembre

Vecchi e nuovi modi di fotografare Umbria Jazz

Sam Rivers, polistrumentista idolo del free jazz che incantò la folla nel 1976

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Foto di Giancarlo Belfi oreraccolte da Nicola Campagnani

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Giancarlo Bel� ore fotografa Umbria Jazz dal 1973. Appena

ventiduenne, era in Piazza IV Novembre quel 24 agosto in cui ancora non si potevano neppure immaginare le pro-porzioni che avrebbe raggiun-to la manifestazione. Da quel giorno fu amore a prima vista: «Negli anni successivi ho continuato a seguire l’evento per la reda-zione perugina di Paese Sera, dove tra gli altri ho potuto lavorare insieme a nomi come Roberto Renga, Carlo Lazza-ri, Lamberto Sposini, Alvaro Fiorucci, Giuliano Giubilei e Carlo Benedetti».Dopo l’arruolamento al Cor-riere dell’Umbria nel 1983, Giancarlo Bel� ore divenne fotografo u� ciale di Umbria Jazz negli anni Novanta: «Prima scattavo al � anco di Mimmo Rossi, storicamente il primo fotografo u� ciale: da lui ho imparato qualche truc-co del mestiere, io in cambio

gli mostravo come e� ettuare la pulizia dei negativi».Aver immortalato per tanti anni un simile festival signi-� ca anzitutto averlo visto crescere: «All’inizio la città non era preparata ad acco-gliere quell’enorme � usso di giovani che si accampavano un po’ ovunque e si lavavano alle fontanelle nelle vie e nelle piazze. Ricordo ancora Corso Vannucci invaso da ragazzi coi sacchi a pelo in attesa del concerto serale». Il ricordo Bel� ore ce l’ha impresso nella mente, ma non mancò di im-primerlo anche su pellicola.«Nel 1974, giovanissimo, ero sul palco a un metro da Keith Jarrett mentre chinava il suo casco riccioluto sul pianofor-te. E c’ero nel 1987 quando Sting e Gil Evans sancirono al Renato Curi il matrimonio tra rock e jazz». Poi, negli anni, insieme alla musica è cambiata anche la fotogra� a: «All’epoca avevi il rullino da 36, in una giornata

ne potevi utilizzare due o tre; oggi si fanno anche 8000 scatti al giorno. Ma per me la vera fotogra� a resta quella della pellicola, dell’ingranditore e dei liquidi: quella che creavi con le mani».Deve essere strano per chi un tempo fu uno dei pochi esperti, vedere oggi tutti con un dispositivo con fotoca-mera in tasca. Eppure Gian-carlo Bel� ore non smette di guardare alla fotogra� a come un’arte complessa, un lavoro che impone di raccontare una storia in un’unica immagine che deve restituire l’emozione di chi l’ha vissuta: «Ancora oggi è come se fossi all’inizio con la fotogra� a. Mi chiedo cosa farò da grande».Ma il fotografo di Umbria Jazz qualche idea ce l’ha: «Nono-stante l’esperienza, mi emo-ziono ancora nel fotografare il jazz. E anche quando � nirà il mio mestiere, continuerò a seguirlo, con la mia macchina al collo». Q

COMEFOTOGRAFARE

LA MUSICA

Giancarlo Belfi oreracconta ciò che ha visto

attraverso il suo obiettivo

diNICOLACAMPAGNANI

@N_Campagnani

Giancarlo Belfi oreil fotografo uffi ciale di Umbria Jazzmentre immortala uno dei concerti

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«Quando Prince mi ha ringraziato personalmente per avergli portato la chitarra, non ci potevo credere»

ricorda ancora emozionato Alessandro. Il suo primo compito, nello staff di Umbria Jazz, era portare documenti in giro per la Fondazione. Poi è passato al merchandising e, negli ultimi anni, è stato arruolato nella squadra concerti all’Are-na Santa Giuliana, dove tiene i rapporti con le produzioni degli artisti. Così, tra gli altri, ha co-

nosciuto Prince. «Sting ha dormito sullo stesso divanetto su cui riposavamo noi dello staff – rac-conta – mentre Lady Gaga era quasi irraggiungi-bile, direi off limits».

Per far funzionare la complessa macchina di Umbria Jazz ci sono tanti e diversi ingranaggi che, da dietro le quinte, si attivano contempora-neamente. Dalla vendita dei gadget, alla distribu-zione dei biglietti fino alla spillatura delle birre, ognuno nel suo piccolo è essenziale per realizzare

QUELLI CHE…DIETRO LE QUINTEOltre 250 collaboratori ogni anno compongono lo spartito del festival. Tra curiosità, gossip e passione

diPIETROADAMI

@pietroadami1

GIULIA BIANCONI

@bianconi_giulia

15Quattrocolonne 15 maggio 2017

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la manifestazione. Sono oltre 250 i collaboratori e i professionisti che ogni anno si alternano. «Per questo progetto servono spirito di squadra e tan-ta, tanta passione», le parole di Stefano Lazzari, direttore di produzione di UJ.

Nel team di Umbria Jazz si entra grazie ai contatti personali oppure inviando la candidatu-ra online. Il curriculum è sempre richiesto, ma se hai lavorato a un’edizione precedente e sei piaciuto, hai ottime chance di essere richiamato. Il ricambio di personale avviene quando chi ha partecipato alle edizioni passate non è più dispo-nibile.

Dei collaboratori, nessuno è volontario. A seconda della mansione, il compenso cambia: da un minimo per le maschere, ai baristi, a tutti è garantito un seppur esiguo rimborso. «Siamo uno dei pochi festival che non prevede lavoro gratuito» commenta Lazzari. La modalità di pa-gamento ordinaria è stata, per lo meno fino ad oggi, quella dei voucher. Aboliti, si si pensa ad al-tre soluzioni. In più ci sono i pasti pagati durante le ore di lavoro.

La maggior parte dei lavoratori è giovane, alcuni non sono neanche maggiorenni. Non è impossibile però imbattersi in qualcuno che, no-nostante l’età, continua con passione a dare una mano.

Per tutti Umbria Jazz è un’esperienza positi-va: «Il clima è molto piacevole, siamo come una famiglia: stiamo insieme a pranzo e a cena e man-teniamo i contatti nel tempo» spiega Caterina, che ha lavorato come hostess all’Arena.

Non tutti sono appassionati di musica jazz. Ma, anche per chi non va matto per assoli, im-provvisazioni e ritmi sincopati, partecipare è di-

Un cameraman segue le prove del concerto del trombettista Enrico Rava

foto di Umbria Jazz

«È UNO DEI POCHI FESTIVAL CHE NON PREVEDE LAVORO GRATUITO»

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ventato un obbligo. Beatrice aspetta intrepida la nuova edizione: «Ho l’opportunità di rinfrescare il mio inglese e non solo». Tra ospiti e visitatori internazionali, la Babele di lingue che anima Pe-rugia nei dieci giorni di manifestazione è per lo staff un’occasione di confronto e arricchimento.

«Una famiglia di australiani era capitata qui per caso. Poi li ho riconosciuti anche l’anno dopo. Mi hanno detto: “Stavolta siamo tornati appo-sta”». Marija è ormai un tutt’uno con lo stand merchandising di Piazza della Repubblica. Da cinque anni vende magliette, poster, borse. «Or-mai siamo un punto di riferimento per il pubbli-co. Ci chiedono consigli sui ristoranti e i posti da visitare». Lo stand è in una posizione strategica di passaggio. Ha così la possibilità di intercettare rumors, pettegolezzi e umori collettivi: «Qualcu-

no avrebbe preferito che restasse tutto legato alla tradizione, altri hanno apprezzato i tentativi di stare al passo coi tempi, invitando qualche dj e aprendo a generi musicali più vicini ai giovani».

Orecchie e occhi sempre vigili, per non per-dersi curiosità e retroscena. Valeria è stata all’uf-ficio stampa dove si occupava di accoglienza dei giornalisti, pass e posti riservati ai concerti. Negli anni ne ha viste di tutti i colori: «Un giornalista giapponese, ogni volta che torna, porta un dono diverso. L’anno scorso ci ha regalato un ventaglio tradizionale».

Col tempo la manifestazione è cresciuta, così come la mole di lavoro. La Fondazione Umbria Jazz ha allora deciso di esternalizzare alcuni ser-vizi: design e grafica del merchandising sono ora compito della Dinamo di Città di Castello, men-

tre la C.r.a.m.s.t. Srl provvede alla ri-storazione nell’Arena.

Chi da sempre si occupa gratuita-mente della salute è la Croce Rossa. Quaranta volontari ogni sera, prove-nienti da tutti i comitati umbri, assi-curano il primo soccorso, in costante collegamento con il 118. «Colpi di calore, cadute accidentali e le im-mancabili sbronze: gli interventi sono sempre gli stessi» è il giudizio di Pa-olo Scura, presidente regionale della Croce Rossa.

Appena chiusa un’edizione, si ini-zia subito a pensare alla successiva. Impegno e serietà vengono premiati: «Se te lo meriti vieni richiamato per una posizione di maggior responsabi-lità» assicura Alessandro.

Un lavoretto estivo per arroton-dare, un’occasione per conoscere nuove persone o semplicemente un appuntamento immancabile per mu-sicofili. C’è anche chi, tra gli stand di Umbria Jazz, ha trovato l’amore: «Ho conosciuto il mio attuale ragazzo qui – racconta Caterina – era il responsa-bile del personale, il mio capo. È stato un colpo di fulmine».

Caterina, probabilmente, non si è fidata delle parole di Duke Ellington: «Il jazz è sempre stato simile al tipo d’uomo con cui non vorreste far usci-re vostra figlia». Q

Una ragazzaimpegnata allo stand

del merchandising

foto di Umbria Jazz

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In principio era il bivacco. Orde di giova-ni spettinati, barbe lunghe e camicie aperte (quando non proprio a torso nudo) si accam-

pavano in centro storico per ascoltare musica. Così nasce Umbria Jazz, con piazza IV novembre trasformata in dormitorio all’aperto e un tap-peto di sacchi a pelo lungo Corso Vannucci. La “Woodstock italiana”, secondo il critico musicale Marco Molendini: la prima edizione è del ’73, a cavallo tra il ’68 e gli anni di piombo.

«La gente non amava quei giovani di sinistra che non dormivano in albergo e non mangiavano al ristorante», ricorda Ambrogio Santambrogio, professore di sociologia generale all’Università di Perugia. «Arrivavano in treno o in autostop e vivevano i giorni del festival completamente distaccati dai perugini». Santambrogio viene in

Umbria la prima volta proprio per Umbria Jazz, nel ’76: «Tutta la regione era invasa dalla contro-cultura di contestazione di quegli anni. Era un festival itinerante: pochi concerti ma tutti gratu-iti, da Perugia a Orvieto a Villalago a Terni». I perugini hanno paura di quelle caotiche adunate che all’improvviso piombano in città: «La gente beveva lungo le vie, sui portoni delle case e sulle vetrine dei negozi», afferma il professor Alessan-dro Campi, che insegna Relazioni internazionali all’ateneo perugino. Un rapporto inizialmente difficile, quello con la città di Perugia, «così se-duta sulle sue tradizioni», secondo la giornalista Marcella Calzolai: «Già per Terni, la città dell’ac-ciaio, abitata da famiglie di operai, era diverso. Anche la vicinanza a Roma la rendeva più aperta a certi tipi di manifestazione».

diSTEFANIAMORETTI

@Stefanietty

SELENERINALDI

@selenerinaldi

UNA sTORIA spECIALEIl festival vissuto dagli intellettuali: dai giovani al grande pubblico

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A sinistra:uno dei concertidi Umbria Jazzal teatro Morlacchi

All’invasione dei “concertari” che fischiano Chet Baker e Stan Gets perché bianchi e borghe-si, i negozianti perugini reagiscono abbassando le saracinesche. Ma Umbria Jazz non chiude i bat-tenti. Almeno, non per sempre: dopo lo stop dal 1979 al 1982 il festival torna. In una veste com-pletamente nuova. «I concerti, almeno alcuni, diventano a pagamento; le location più ristrette», ricorda Molendini. Il tentativo è ricucire lo strap-po con la Perugia bene. La stessa Perugia aiuta, con i suoi “salotti naturali”: i giardini del Fronto-ne, il Teatro Morlacchi, la chiesa di San Francesco sembrano fatti apposta per accogliere la versione restaurata del festival, meno proletaria e più vici-na alla classe media.

Il successo di questa nuova formula, per Cal-zolai, «è dovuto alla capacità di Umbria Jazz di saper capire gli umori del tempo e di adattarsi al loro cambiamento». Ne è un esempio l’apertura al rock e al pop: sul palco arrivano Sting nel 1987, Elton John nel 2005, Mark Knopfler nel 2010. «Non si bivacca più per le strade - afferma Campi - è cambiata la fascia sociale che partecipa. Atti-ra soprattutto chi è economicamente benestante, chi può permettersi di pagare biglietti e soggior-ni costosi». Santambrogio ha una visione diver-sa dell’Umbria Jazz di oggi: è un festival di tutti.

“Transgenerazionale”. «Vengono da tutti i ceti e da tutto il mondo. Non è una manifestazione borghese: i prezzi sono gli stessi di un qualunque concerto rock, quindi non altissimi, data l’alta qualità delle performance. Niente a che vedere con manifestazioni che, al confronto, sono ridi-cole come l’Eurochocolate, che è un mero affare commerciale». I negozianti concordano: non ab-bassano più le saracinesche. Anzi. «Se Eurocho-colate è una mostra mercato senza qualificazione culturale, Umbria Jazz richiama un pubblico più raffinato», dichiara Giuseppe Capaccioni, titolare di uno dei negozi d’abbigliamento che dal 1833 si affaccia su Corso Vannucci. «Siamo felici di avere più clienti ma anche di sentire il clima che cambia in città. Perugia durante Umbria Jazz è come la vorremmo sempre».

Marco Molendini, insieme a Paolo Massoli, è autore di un docufilm sul festival: «Umbria Jazz, una storia speciale». «Speciale per più di un mo-tivo: è una storia di musica ma anche di costu-me. L’Umbria ha contratto un grandissimo de-bito con questa manifestazione: Umbria Jazz l’ha aiutata a uscire dal suo isolamento geografico. è stato un veicolo di promozione formidabile, che ha portato il nome di questa regione in Australia, America, Brasile e Cina». Q

A destra:Umbria Jazz,

giovani accampatialla stazionedi Sant’Anna

Foto di Giancarlo Belfiore

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«RAGAZZI DA TUTTO IL MONDOpER I NOsTRI sEMINARI DI JAZZ»Parla Giovanni Tommaso, del Conservatoriodi Perugia: gli esordi e le emozioni di 40 anni

diPAOLOSPARRO

PaoloSparro

Quando è nata la tua passione per il jazz? Lo chiediamo a Giovanni Tommaso, storico contrabbassista dei Perigeo e

titolare della cattedra di jazz al Conservatorio di Perugia.Ho iniziato studiando il pianoforte classico all’età di 12 anni. A 16 sono passato al contrabbasso. Il veicolo che mi ha portato al jazz è il cinema ame-ricano, in bianco e nero, o quello a colori dei mu-sical, cantando sotto la pioggia. Da lì sono arriva-to direttamente a Charlie Parker.Raccontaci Umbria Jazz dal punto di vista di un artista.

Ricordo come se fosse ieri la prima edizione nel 1973. Suonai a piazza 4 novembre con i Perigeo e fu uno sballo: la piazza stracolma mi diede un’im-

pressione molto forte. I primi anni ho quasi sem-pre suonato, ma quando non ero coinvolto come ospite o musicista, ci sono andato da spettatore. L’amico Carlo Pagnotta (fondatore e direttore del festival, ndr) una volta, vedendomi all’hotel Brufani, mi chiese meravigliato: «Che ci fai qui? Non suoni?». Umbria Jazz era una formula ine-dita all’epoca. Nessuno faceva concerti itineranti intorno a Perugia, con ingresso gratuito.Com’è cambiato Umbria Jazz?

La prima edizione di Umbria Jazz era la coda di un periodo degli Anni 70 in cui c’era desiderio di aggregazione da parte dei giovani. Si assiste-va a quelli che venivano chiamati “raduni”, os-sia combinazioni eterogenee, che coinvolgevano i cantautori, i gruppi rock e progressive e il jazz

L’edizione 2017di Umbria Jazzè in programmadal 7 al 16 luglio

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rock dei Perigeo. C’era il desiderio da parte dei giovani di uscire dalla logica domestica e con-frontarsi con la musica. L’atmosfera delle origini si è persa per via dei mutamenti politici, sociali e ambientali che sono avvenuti col tempo. La pri-ma edizione rimane storica. Poi la manifestazio-ne si è consolidata, grazie alla direzione artistica di Carlo Pagnotta, che l’ha proiettata tra i festival più importanti del mondo.Raccontaci qualche aneddoto.

Alcuni eventi hanno segnato la storia di Umbria Jazz. In una delle prime edizioni, un gruppo non riuscì a esibirsi perché non c’era modo di raggiun-gere il palcoscenico e saltò il concerto. Ri-cordo anche il disap-punto che provai nel sentire contestato Chet Baker, da un gruppo an-tisistema, i cosiddetti “autonomi”. Gli urlavano contro di tutto, accusandolo di essere schiavo del sistema. E io mi scagliavo contro di loro di-cendogli: «Siete degli imbecilli! Questo signore è una vittima del sistema». Infatti è morto a causa della droga e dei pusher che lo avevano costretto a indebitarsi.

Dal 1986 sei direttore di Umbria Jazz Clinics. Che cosa sono?

Sono dei seminari di jazz che si svolgono in due settimane durante il festival. Abbiamo ini-ziato in sordina e col tempo i nostri confini si sono ampliati. Il 40% degli studenti viene da tutto il mondo, persino dagli Stati Uniti, la patria del jazz. Questo la dice lunga sull’atmosfera, sull’at-trattiva delle Clinics che, svolgendosi durante Umbria Jazz, permettono ai ragazzi di vedere ai concerti le nozioni che giornalmente imparano

ai corsi. All’inizio an-dammo al Berklee Col-lege of Music di Boston e provammo a fare un esperimento, portan-do in Italia i docenti che servivano: chitarra, basso, batteria, piano, contrabbasso, sassofoni

trombe e basso elettrico. Poi le cose sono anda-te sempre meglio, tanto che quest’estate sarà il 32esimo anno insieme.Hai visto tantissimi artisti a Umbria Jazz. Chi ti ha impressionato di più?

Ce ne sono diversi, che hanno dato vita ad al-cuni concerti storici. Ricordo un Miles Davis in forma smagliante nella seconda metà degli Anni 80, o il concerto che fece Sting con Gil Evans, con l’orchestra con i suoi arrangiamenti allo stadio nel 1987. E poi altri concerti di Sonny Rollins, Bill Evans, i Weather Report, ma ne potrei elencare molti altri.Trova un pregio e un difetto di Umbria Jazz.

Il pregio è che dopo tutti questi anni Umbria Jazz è ancora vivo, nonostante i tempi siano cam-biati e siano più difficili. Il terrorismo e i terremo-ti hanno complicato la situazione. Resta il fatto che il festival può contare su un pubblico nume-roso, in continuità con l’importanza che riveste. Il difetto? Beh non lo chiamerei difetto. Potrei dirti: “ah se ci fossero più concerti di Jazz vero”, però in realtà non mi scandalizzo se viene Lady Gaga. La presenza di certi artisti non toglie nien-te all’ortodossia del festival. Più che un difetto è quasi una necessità se vuoi rimanere a certi livelli. Altrimenti si prende una decisione drastica, chia-mando solo gruppi di Jazz, si fa qualche centinaio di spettatori e siamo contenti. Ma il pubblico, la città è contenta? Penso di no. La decisione spetta comunque alla Fondazione Umbria Jazz. Q

«LO SPIRITO DEI JAzzISTIÈ CONDIVIDERE LA MUSICA CON I GIOVANI»

Giovanni Tommaso è partito dopo Pasqua

con Rita Marcotulli e Alessandro Paternesi

per un nuovo tour in Cina sotto l’egida

di Umbria Jazz

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diGABRIELEGENAh

@GabGen

Quarantaquattro anni dopo la prima vol-ta, Umbria Jazz continua ad illuminare l’estate perugina. L’appuntamento con

gli amanti del genere, ma non solo, è dal 7 al 16 luglio. Grandi star e giovani esordienti, italiani e stranieri, uniti nel nome della musica. Centro as-soluto del festival sarà come sempre l’Arena Santa Giuliana, dove si terranno gli eventi serali di mag-gior richiamo. Altri eventi si spalmeranno invece fra il Teatro del Pavone, il Morlacchi e altre loca-tion del centro. Non mancheranno poi i concerti gratuiti all’aperto, fra i Giardini Carducci e piazza Quattro novembre.

Non solo Perugia però. Un piccolo antipasto della festa a Terni, dal 14 al 17 aprile, con l’Um-bria Jazz Spring. Parate in strada per il centro storico, eventi multimediali e ovviamente tanta musica, dalle esibizioni jazz in teatri ed audito-rium ai cori gospel nelle chiese della città. Una buona occasione per scaldare le corde vocali in vista dell’estate, con dieci giorni ricchi di eventi scanditi al ritmo del jazz e del blues ma non solo.

Si parte venerdì 7 luglio all’Arena Santa Giu-liana con i Kraftwerk, per quella che sarà la loro

unica data estiva italiana. Veri e propri pionie-ri della musica elettronica, fin dagli anni ’70 il gruppo ha ottenuto numerosi riconoscimenti per il suo stile decisamente innovatore, per i ri-voluzionari paesaggi sonori elettronici e la spe-rimentazione musicale con la robotica e altre innovazioni tecnologiche.

Tante le voci che si alterneranno al micro-fono e agli strumenti durante il festival, alcune delle quali di pregio assoluto, come nel caso di Jamie Cullum, che illuminerà la seconda serata. Con oltre dieci milioni di dischi venduti, due Golden Globe e un Grammy, è uno dei jazzisti inglesi più popolari di sempre. O ancora, Dee Dee Bridgewater, cantautrice afroamericana da sempre impegnata nelle battaglie civili, a suon di blues e non solo. A chiudere il weekend poi il Wayne Shorter Quartet che suonerà venerdì con l’Orchestra da Camera di Perugia: unione simbolica e materiale della musica italiana con la tradizione jazzistica americana. Sabato invece si cambia sound, sarà di scena il più puro Rock con Brian Wilson che toccherà Perugia nell’ambito del suo tour dedicato ai Beach Boys.

I GRANDI NOMI DEL 2017Da Dee Dee Bridgewater ai Kraftwerk passando per Brian Wilson. La ricca offerta della nuova edizione

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Umbria Jazz è luogo anche di incontro fra cul-ture e popoli diversi, uniti nel segno della musica. Ecco allora che non deve sorprendere vedere in cartellone una serata come quella di mercoledì 12 luglio, quando suoneranno insieme una pianista giapponese e un arpista colombiano: Hiromi e Hedmar Castaneda, un sodalizio artistico che na-sce a New York e li conduce attraverso una lunga strada di successi. E poi ci sarà anche il duo tut-to cubano Chucho Valdes e Gonzalo Rubacalba, nove Grammy in due: una presentazione di tutto rispetto per i due pianisti dalla fama globale.

Non solo leggende viventi, questa edizione sarà anche l’occasione per ricordare grandi artisti del passato. A cominciare da Luigi Tenco, il can-tautore scomparso cinquant’anni fa. A tributar-gli omaggio saranno, fra gli altri, Gino Paoli, una vecchia conoscenza del festival e Giuliano San-giorgio, il cantante dei Negramaro che è invece al suo debutto in questa manifestazione. Sarà poi il turno di Fabrizio Bosso che ricorderà con la sua tromba una delle indimenticabili icone del genere come Dizzy Gillespie, che si esibì ad Umbria Jazz prima della sua scomparsa nel 1993.

Chiusura in grande stile domenica 16 luglio, con il “Brazilian meeting”, un incontro musicale con i suoni, il ritmo e la cultura brasiliana. Sul pal-co dell’Arena Santa Giuliana si esibiranno tre arti-sti di livello internazionale: Hamilton de Holanda, vincitore di un Latin Grammy l’anno scorso è uno dei musicisti carioca più popolari ed un virtuoso del bandolim, un mandolino a otto corde al quale il

cantante ne ha aggiunte altre due sviluppando una tecnica tutta sua; Egberto Gismondi, compositore e pluristrumentista che alla formazione classica ha aggiunto l’amore per il folklore e il jazz; ospite speciale della serata sarà infine il pianista milanese Stefano Bollani, che vanta una lunga collaborazio-ne con i due colleghi brasiliani.

Il prezzo dei biglietti varia a seconda della se-rata, si va dai 20 euro per le gradinate fino ai 50 per i posti numerati. Per le serate più attese, come quella iniziale, i biglietti possono invece supera-re i 110 euro. Un investimento importante che promette però di valerne assolutamente la pena. Sempre che si riescano a trovare posti liberi. Q

Un folto pubblico assiste ad un concerto all’Arena

Santa Giuliana durante una delle passate edizioni

Nella pagina a fianco: un dietro le quinte di Umbria Jazz al teatro Morlacchi

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La BCC di speLLo e Bettona viCina aL territorio stipuLata nuova Convenzione Con iL g.a.L.

La BCC di spello e Bettona conferma ancora una volta la sua vicinanza al terri-torio e stipula una nuova convenzione con il g.a.L. (gruppo di azione Locale valle umbra e sibillini) diventando così la tesoreria ufficiale dell’associazione, capa-ce di sostenere tutti i settori coinvolti.

Il G.A.L. ha la finalità di concorrere alla promozione dello sviluppo rurale, sulla base degli orientamenti espressi dalla Commissione delle Comunità Euro-pee relativa ad iniziative comunitarie in

materia di sviluppo rurale ed in altri atti comunitari e sulla base delle necessità espresse dai soggetti economici, sociali, culturali operanti nel territorio.

L’associazione concorre alla elabora-zione e alla realizzazione di ogni azione utile a promuovere uno sviluppo durevo-le delle zone rurali, rispettoso delle identi-tà culturali, sociali e dell’ambiente, parte-cipando a programmi nazionali e comunitari con le medesime finalità.

L’associazione promuove azioni nei seguenti settori:• Assistenza tecnica allo sviluppo rurale• Formazione professionale• Turismo rurale• Piccole imprese, artigianato e servizi

sociali• Valorizzazione e commercializzazione

di prodotti agricoli, silvicoli e della pesca

• Tutela e miglioramento dell’ambien-te e delle condizioni di vita

L’accordo è stato formalizzato lune-dì 20 Marzo presso la sede di spello della BCC in presenza del presidente e del direttore della Banca.