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PERFORAZIONI ENDODONTICHE CAMERALI: PIANO DI TRATTAMENTO CON I NUOVI CE- MENTI BIOCERAMICI - CASO CLINICO Accademia Italiana Endodonzia (AIE) Dott Gabriele Ghidoni Dott Alessandro Fava Dott Gianluca Fumei

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PERFORAZIONI ENDODONTICHE CAMERALI:

PIANO DI TRATTAMENTO CON I NUOVI CE-

MENTI BIOCERAMICI - CASO CLINICO

Accademia Italiana Endodonzia (AIE)

Dott Gabriele Ghidoni

Dott Alessandro Fava

Dott Gianluca Fumei

INDICE:

1. Introduzione

2. Perforazioni iatrogene di forca e del terzo coronale

2.1 Diagnosi

2.2 Aspetti prognostici

3. Caso clinico: Piano di trattamento di una perforazione camerale

con Biodentine

4.0 Altri Bioceramici come materiali da riparazione radicolare

4.1 MTA Proroot

4.1.1 Perforazione riparata con MTA (caso clinico Dr. Alessandro Fava)

4.2 MTA Angelus

4.3 MTA Plus

4.4 IROOT/ Endosequence /Total fill RRM

5. Conclusioni

6. Bibliografia

7. Domande

1. INTRODUZIONE

Il recupero di elementi dentari severamente compromessi rappresenta una fondamen-

tale sfida dell’odontoiatria moderna. In un'epoca di grande sviluppo degli impianti os-

teointegrati parlare di ritrattamento endodontico o riparazione di perforazione iatro-

gena può apparire quasi anacronistico. Spesso, infatti, si sottovalutano le possibilità

di recupero dell’elemento dentale precedentemente trattato o particolarmente com-

promesso, scegliendo la facile via dell'estrazione, di fronte alla lesione recidivante o a

situazioni più complesse come la perforazione artificialmente indotta.

In accordo con Spangberg, questo atteggiamento è frutto di mancata conoscenza e

preparazione su tali elementi o addirittura di una più venale e discutibile finalità eco-

nomica. Non da meno dobbiamo ricordare che l’estrazione di un elemento dentario

potenzialmente recuperabile, dopo accurata valutazione e attendibilità del caso, sfocia

il più delle volte in procedure chirurgico -ricostruttive invasive.

In base a tali considerazioni, un sempre più folto “esercito” di clinici si specializza e

si impegna non solo per il recupero di tali elementi, ma per la risoluzione di situa-

zioni complesse come le perforazioni iatrogene. Tali processi patologici indotti da er-

rori dell’operatore durante le diverse fasi del trattamento endodontico o la prepara-

zione del post-space per l’alloggiamento di un perno sono oggi considerati una “rou-

tine” di lavoro per gli odontoiatri specializzati in endodonzia. L’incidenza di queste

situazioni cliniche sembra in lieve aumento. Questo in parte può essere dovuto ad una

diagnosi più accurata, come può avvenire utilizzando la CBCT che porta, a volte, in

luce situazioni misconosciute. Tuttavia riteniamo che anche una maggiore informa-

zione e conoscenza del paziente sulla preservazione dell’elemento dentario possa fa-

vorire questo atteggiamento (AAE -Shett Information web site).

Il primo passo, spesso sottovalutato nella programmazione del trattamento di tali le-

sioni iatrogene, è una corretta diagnosi clinica, radiologica e strumentale che in alcuni

casi si palesa solo in fase intraoperatoria. Strettamente legata a ciò è la conoscenza

dei reali fattori prognostici negativi che questa condizione determina quali, ad esem-

pio, il tipo di lesione, la dimensione della perforazione, il tempo trascorso tra la per-

forazione e il suo trattamento, la presenza/ assenza di contaminazione microbica.

Inoltre una attenta valutazione strutturale dell’elemento e del suo ruolo strategico an-

che nel contesto di piani di trattamento protesici estesi, rappresenta una scelta critica

per il successo a lungo termine. Come se non bastasse, il capitolo del trattamento

delle perforazioni iatrogene si infittisce di aspetti tecnici importanti come lo strumen-

tario dedicato, le metodiche di approccio e, per finire, l’utilizzo dei materiali bioc-

eramici di prima e seconda generazione, considerati oggi quelli più adeguati per tali

procedure. La trattazione da noi effettuata si interesserà principalmente delle perfora-

zioni del terzo coronale e biforcazione trattate con cementi bioceramici.

I materiali bioceramici da riparazione, ormai da tempo sul mercato, hanno sostituito i

classici materiali come l’amalgama, i cementi ossifosfati e la guttaperca che presen-

tavano una capacità inadeguata di sigillare in ambiente umido, assenza di legame

vero e proprio con tessuti dentinali radicolari e nessuna proprietà bioattiva.

Ispirandosi ai principi di Grossman per i sealer endodontici, anche i cementi da ripar-

azione (RRM) dovevano rispondere a criteri di idealità quali non essere tossico, non

essere carcinogenico né genotossico, mostrarsi biocompatibile con i tessuti

dell’ospite, essere insolubile nei liquidi tissutali ed essere dimensionalmente stabile

(Torabinejad 1996).

Nel 1999 in Italia si affaccia sul mercato il capostipite dei materiali bioceramici: il

Mineral Trioxide Aggregate (MTA-Torabinejad 1995) .

I cementi MTA, conosciuti ed utilizzati fin dai tempi più antichi come cementi Port-

land in edilizia, sono oggi ritenuti il gold standard per determinate procedure tra cui

le perforazioni. Grazie alla loro idrofilia e biocompatibilità, infatti, sono in grado di

rilasciare ioni calcio e idrossido e questo fa sì che l’alcalinizzazione dell’ambiente

tessutale circostante, in presenza di ioni calcio, dia inizio alla formazione dell’apatite,

principale componente dei tessuti duri umani. Un sottile strato di idrossiapatite min-

erale riscontrabile nel substrato bioceramico/tessuto apporta una stimolazione cellu-

lare sia in termini di formazione ossea all’interfaccia, sia in termini di osteoconduttiv-

ità intrinseca in caso di guarigione ossea nelle vicinanze.

Negli ultimi anni il Mineral Trioxide Aggregate, considerato precursore dei bioc-

eramici, è stato oggetto di numerosi studi e ricerche scientifiche al fine di migliorarne

le caratteristiche. L’operatività clinica richiedeva da tempo la risoluzione di alcune

proprietà negative quali i tempi di presa prolungati con possibile dilavamento del ma-

teriale stesso, una più facile manipolazione e la riduzione di effetti di discromia den-

tale. Alla risoluzione di questi effetti negativi si aggiungono inoltre le modifiche ap-

portate in termini di riduzione delle particelle (da micron a nano particelle) al fine di

migliorarne la resistenza alla compressione e la riduzione della presenza dei metalli

pesanti responsabili di alcune reazioni tossiche.

Si è pertanto concretizzata una seconda generazione di cementi bioceramici definiti

silicati di cui fanno parte: Cementi da riparazione a base MTA (RRM), Cementi da

riparazione silicati di calcio idrati (HCSM) e Sealer a base di silicati calcio idrati

(HCSMs). Tali materiali si presentano, a differenza dei precedenti, sotto forme parti-

colarmente interessanti per l’utilizzo clinico quali paste pronte all’uso, composti mis-

celati meccanicamente e cementi premiscelati.

La loro composizione si arricchisce di componenti quali calcio silicato, calcio

fosfato, fluoruro di sodio, idrossido di calcio, ossido di tantalio e ossido di zirconio

che sono in grado di potenziarne la bioattività, le proprietà antibatteriche e la re-

sistenza.

Non possiamo dimenticare che, nonostante la loro rapida diffusione nel settore den-

tale, oggi questi materiali non sono ancora ampiamente utilizzati e conosciuti da

molti dentisti. I riscontri clinici e le precoci ricerche scientifiche su tali materiali

fanno ben sperare, grazie alle loro potenzialità bioattive; tuttavia attualmente esse

costituiscono solo un primo passo per lo sviluppo di materiali bioceramici di nuova

generazione.

Ancora troppi pochi studi scientifici e follow-up clinici a distanza sono disponibili

per poter esprimere un solido parere a riguardo.

2. PERFORAZIONI IATROGENE DELLA FORCAZIONE E DEL TERZO COR-

ONALE DELLA RADICE

Con il termine di perforazione iatrogena si intende un tragitto artificiale, che mette in

comunicazione lo spazio endodontico con i tessuti parodontali di sostegno dell’ele-

mento dentario. La perforazione pertanto deve essere considerata una perdita strut-

turale dell’elemento che, se contaminata da batteri; alimenta processi infiammatori

acuti e cronici a carico delle strutture adiacenti, ovvero il legamento parodontale e

l’osso alveolare. Se diagnosticata tardivamente il processo patologico progredisce

fino alla perdita di attacco connettivale e al successivo riassorbimento osseo. L’in-

sieme di questi fattori esita nel quadro diagnostico della tasca parodontale se la perfo-

razione è vicina o appena sotto l’attacco connettivale. Oppure ad una lacuna ossea

con processo granulomatoso tipico delle infezioni cronicizzate (Main C. 2004).

Il grado di distruzione dei tessuti parodontali adiacenti alla perforazione è diretta-

mente correlato alla posizione di perforazione, alla contaminazione microbica, alle

sue dimensioni e, non ultimo, alla durata dell’esposizione ai fluidi contaminati pre-

senti nei tessuti limitrofi (tab.1). E’ bene inoltre ricordare che nell’eziologia delle per-

forazioni iatrogene intervengono vari fattori negativi tra cui le anatomie endodontiche

complesse, il ridotto spessore della dentina radicolare e l’utilizzo di strumenti e tec-

niche di sagomatura troppo aggressive. Indipendentemente dall’errore commesso

dall’operatore, le perforazioni si suddividono in coronali, comprendenti la forcazione

ed il terzo cervicale, e radicolari (terzo medio e apicale). Sicuramente nelle perfora-

zioni coronali la causa più frequente è legata al mancato allineamento delle frese du-

rante le fasi di accesso endodontico (fig.1). Molto spesso questo errore è riscontrabile

nei centrali superiori dove la fresa viene erroneamente angolata troppo vestibolar-

mente, sia per la visibilità non corretta, sia per la presenza di calcificazioni canalari.

fig.1

Tab.1-Classificazione di Fuss e Trope 1996

TIPOLOGIA DI PERFORAZIONE DESCRIZIONE

Fresh Perforazione trattata immediatamente o in breve inter-

vallo di tempo dall’avvenuto danneggiamento e quindi

in condizioni di asepsi, in tali casi la prognosi è buona

Old Perforazione non trattata in precedenza con conse-

guente contaminazione batterica: prognosi discutibile

Small Perforazione caratterizzata da una ridotta dimensione

(Pari o più piccola di uno strumento diametro 20 in

punta). Questa perforazione è da considerarsi una falsa

strana perché determina una nuova comunicazione con

l'esterno della radice. Essendo il danneggiamento limi-

tato può essere trattata come se fosse un canale radico-

lare mantenendo buona la prognosi

Large Perforazione di altre dimensioni posizionate sul pavi-

mento pulpare terzo medio e terzo cervicale della ra-

dice. Il danneggiamento tissutale che ne deriva non è

trascurabile E la contaminazione batterica importante.

Prognosi discutibile

Coronal Perforazione coronale rispetto al livello della cresta os-

sea con ridotto danneggiamento sia dell’attacco epite-

liale sia dei tessuti di supporto. Grazie alla localizza-

zione e accesso il trattamento è semplice e la prognosi

è buona

Crestal Perforazione localizzata a livello dell’attacco connetti-

vale della cresta ossea . Prognosi discutibile

Apical Perforazione apicale alla cresta ossea e all’attacco epi-

teliale : prognosi discutibile

Al fine di evitare tali errori, è necessario che in fase preparatoria si individuino incli-

nazioni e rotazioni marcate degli elementi o la presenza di manufatti protesici dove la

collocazione della corona non rispecchi in modo fedele l’asse corono-radicolare.

(fig.2-3-4)

fig.3

fig.2 fig.4

Un ulteriore fattore di rischio che deve essere intercettato sono le calcificazioni pul-

pari le quali, restringendo e contraendo lo spazio camerale, in seguito a deposizione

di dentina secondaria/terziaria, disorientano l’operatore dall’individuare le zone cor-

rette di accesso. Proprio nei pluriradicolati tali condizione esita nello sfondamento del

pavimento camerale o nello sconfinamento nelle zone vestibolari e linguali con crea-

zione inevitabile di un danno (Fig. da 5 a 12). Tali perforazioni sembrano essere

quelle più frequentemente riscontrate.

- Trattamento di perforazione del pavimento elemento 16 - Dr. C.L. Citterio -

fig.5

fig.6

fig.7

fig.8

fig.9

fig.10

fig.11

fig.12

Le perforazioni cervicali possono avvenire principalmente in due condizioni: la prima

è da ascrivere a un eccesso di strumentazione della porzione coronale del canale, la

seconda alla difficoltà di reperimento degli imbocchi canalari. E’ bene ricordare che a

livello dei singoli denti sono state ampiamente descritte le cosiddette danger zones, le

quali vanno preservate tassativamente in fase di preparazione canalare al fine di evi-

tare un eccessivo indebolimento della radice o, peggio ancora, una comunicazione

endo-parodontale. Nei denti monoradicolati e biradicolati le aree di sicurezza, cioè

dove lo spessore di dentina è maggiore, sono localizzate vestibolarmente e/o lin-

gualmente all’imbocco, mentre nei pluriradicolati queste aree sono localizzate a

livello della parete di dentina opposta all’imbocco rispetto alla forcazione (Tabriziza-

deh M, J Dent 2010). Un particolare tipo di perforazione è rappresentato dallo strip-

ping, generalmente conseguente all’impiego di tecniche troppo aggressive di sagoma-

tura canalare (Gorni & Gagliani 2012). Per definizione, lo stripping è un’assottiglia-

mento della parete dentinale interna derivato da un raddrizzamento della curvatura

canalare. Per tale motivo, questo tipo di comunicazione è di frequente riscontro sulla

parete distale delle radici mesiali nei molari inferiori e nelle radici mesio-vestibolari

dei molari superiori in prossimità dell’area della forcazione (Berutti E. 1992).

Quando la perforazione avviene lateralmente o nell’area della forcazione, potrebbe

verificarsi una crescita di epitelio gengivale causando un peggioramento della prog-

nosi (Abhijeet Kamalkishor Kakani 2015). Un’altra causa è rappresentata dall’uso

improprio di grossi strumenti rotanti come le frese di Gates-Glidden (Coutinho-Filho

T, De Deus G. 2008) o dal malposizionamento di viti e perni in fase ricostrutttiva.

In fase di valutazione diagnostica , eseguendo le radiografie endorali e i sondaggi

parodontali, va posta molta attenzione nel rilevare la comparsa di eventuali difetti os-

sei a livello della forcazione dei denti pluriradicolati. Per esempio, all’esame radio-

grafico la visualizzazione di una lesione radiotrasparente a livello della forcazione

potrebbe indicare una causa endodontica, qualora il livello dei picchi ossei inter-

prossimali risultasse nella norma.

2.1 Diagnosi

La diagnosi di perforazione sia coronale che radicolare può essere fatta in fase pre-

operatoria o in fase intraoperatoria. Nel primo caso i componenti fondamentali del

percorso diagnostico sono la raccolta di informazioni cliniche, l’esame obbiettivo e

l’esame radiologico. Infatti il quadro clinico di perforazione si associa a segni ogget-

tivi quali fistola, tumefazione e arrossamento gengivale, tasca parodontale oppure a

sintomi lamentati dal paziente quali dolore acuto o sordo alla compressione dell’ele-

mento. Quest’ultimo segno è molto frequente in perforazioni “datate” cioè create da

un precedente trattamento, ma non diagnosticate. I segni radiologici endorali riscon-

trati in fase preoperativa sono di aiuto solo nel caso si osservi una radiotrasparenza

periradicolare, che non coincida con la porzione apicale. Due casi tipici sono la

presenza di un perno endocanalare posto in traiettoria deviata (fig.13) o una sagoma-

tura coronale invasiva che abbia generato stripping con fuoriuscita di materialeprossimeamente

al quale si può riscontrare radiotrasparenza a livello della forcazione. (fig.14)

fig. 13 fig.14

Un ulteriore elemento che consente di formulare una diagnosi in fase preoperatoria è

il sondaggio parodontale. Un accurato sondaggio è finalizzato a verificare la presenza

di un coinvolgimento parodontale secondario che potrebbe esprimere la presenza di

una fistola, la quale, anziché estrinsecarsi a livello della mucosa aderente dopo aver

perforato la corticale, percorre il legamento parodontale determinando il caratteristico

sondaggio puntiforme. Tale sondaggio detto anche nastriforme o tubulare, è impor-

tante nella diagnosi differenziale di una frattura verticale di radice. Esclusa questa

evenienza per l’assenza di altri tipici indicatori (Testori et al. 1992), rimane da chia-

rire se questa situazione si è verificata recentemente o se si tratta di una situazione

cronicizzata, situazione questa che potrebbe aver già causato un vero e proprio danno

parodontale come complicanza. Spesso il paziente non è in grado di riferire episodi

passati, pertanto la prognosi può essere sciolta solo dopo circa tre/sei mesi, termine in

cui è possibile verificare radiograficamente il recedere della radiotrasparenza ed il

rientro del sondaggio entro livelli fisiologici. Solo in quel momento sarà possibile va-

lutare la componente parodontale residua dell’eventuale danno o la risoluzione com-

pleta del sondaggio. La risoluzione completa della lesione è segno di un’origine

esclusivamente endodontica della stessa. La diagnostica intraoperatoria delle perfora-

zioni si palesa in quei casi dove l’assenza di segni e sintomi, supportati da un esito

negativo della radiografia endorale, non fanno pensare alla presenza di tali lesioni.

Spesso questa condizione si osserva nelle manovre di rimozione dei materiali du-

rante il ritrattamento endodontico, dove un sanguinamento profuso o la presenza di

essudato non derivante dagli imbocchi inonda la camera pulpare. In caso di tratta-

mento di elementi vitali la situazione è simile, ma dovuto ad un errore dell’operatore

nella ricerca dei canali. Solitamente tali aree di perforazione risultano dolorose du-

rante il sondaggio per sconfinamento dello strumento nei tessuti parodontali. In que-

sta fase l’uso dei coni di carta assorbente si dimostra molto utile poiché consente al

clinico di individuare natura e posizione della perforazione. Infatti se la perforazione

è dovuta ad una falsa strada, il cono di carta uscirà sporco di sangue solo in punta,

mentre in caso di stripping il cono risulterà sporco di sangue in un punto laterale

dello stesso. In questa fase se è possibile inserire uno strumento endodontico nella

perforazione ed eseguire una radiografia endorale. In tal modo si potrà non solo con-

fermare la diagnosi di avvenuta lesione iatrogena, ma eventualmente correggere il

proprio asse per la ricerca corretta del canale. Tale metodica risulta molto utile in

caso di trattamento di centrali superiori o inferiori con importanti calcificazioni sia

camerali che del lume canalare. Ovviamente se la perforazione si trova su una super-

ficie vestibolare o palatale della radice è necessario una sproiezione di 30° del fascio

radiogeno in senso mesiale o distale per rendere evidente lo strumento o la guttaperca

all’interno della perforazione. Nei casi in cui fosse impossibile individuare la comu-

nicazione radiologicamente, un contributo fondamentale è fornito dal localizzatore

elettronico che è in grado di misurare la differenza di potenziale tra endodonto e pa-

rodonto, segnalando “apice” non appena lo strumento entra in contatto con i tessuti

del parodonto profondo. Questa operazione è spesso preceduta da una asciugatura

della perforazione ai fini di ridurne l’essudato e rendere più corretta la misurazione,

anche se gli attuali strumenti di misurazione elettronici sembrano in grado di fornire

rilevazioni attendibili anche in presenza di umidità e grandi perforazioni. Non da

meno i sistemi ingrandenti e il microscopio operatorio in particolare, possono offrire

diversi vantaggi: dal lato prettamente diagnostico la visualizzazione della lesione,

dall’altro una preparazione della perforazione senza ulteriori danni e quindi una più

accurata riparazione (Biswas M. 2011). Recentemente l’uso della CBCT nella dia-

gnosi di perforazione ha fatto molto discutere lasciando tale indagine come seconda

scelta solo in casi particolarmente complessi e dove non risulta sciolta la diagnosi. A

conferma di ciò in uno studio di Shemesch, et. al. che confronta la CBCT con radio-

grafie endorali per diagnosi di stripping o perforazioni radicolari in denti già trattati,

si riscontra una sensibilità complessiva bassa per entrambe nonostante la CBCT pre-

senti maggiore accuratezza. Inoltre in tale studio si mette in evidenza che non esi-

steva nessuna differenza significativa tra i due metodi quando venivano considerate

perforazioni coronali e radicolari. Infatti, secondo la posizione congiunta di AAE e

Accademia Americana di Radiologia Orale Maxillo Facciale l’uso della CBCT per la

diagnosi e la gestione del trattamento sono argomenti poco o per nulla rappresentati

nella letteratura internazionale (AAE -AAOMFR 2010). Al contrario va considerato

che una radiologia volumetrica eseguita per diagnosi differenziale o per studio di casi

complessi consente di collocare nello spazio i diversi problemi e facilitarne sia l’in-

quadramento sia la risoluzione. Di certo non va dimenticato che un uso improprio

della CBCT non solo è deontologicamente scorretto, ma se non mirato non consente

la rilevazione di quanto ricercato.

2.2 Fattori Prognostici

Per definire i fattori prognostici delle perforazioni è necessario rifarsi al lavoro di

Fuss e Trope precedentemente menzionato dove livello, sede, dimensione, tempo tra-

scorso tra la perforazione e l’otturazione della stessa, contaminazione microbica

sono determinati e strettamente correlati. Le perforazioni a livello del terzo cervicale

(pavimento nei casi di pluriradicolati), se da un lato sono facilmente accessibili per

via ortograda, dall’altro, come già descritto in dettaglio, sono lesioni con prognosi in-

certa. Un fattore ampiamente dimostrato che agisce in modo negativo sulla prognosi

delle perforazioni è rappresentato dall’intervallo di tempo che trascorre tra la loro ge-

nerazione e il loro trattamento (Jean-Yves G. Cochet 2004): più questo intervallo è

lungo, maggiore sarà il rischio di contaminazione e quindi peggiore sarà la prognosi.

Quindi la precocità dell’intervento incide in modo determinante sulla prognosi come

prevenzione dell’infezione (Seltzer et al. 1970; Lantz & Persson 1967).

Proprio il fattore livello nelle perforazioni coronali e del pavimento camerale hanno

prognosi più incerta visto la loro vicinanza al solco gengivale e al rapporto con l’at-

tacco connettivale /osseo. Più la perforazione si avvicina all’attacco e all’osso più la

sua prognosi sarà infausta per i motivi sopracitati e per l’instaurarsi di una reazione

infiammatoria con esito di danno parodontale. Per quanto riguarda la dimensione e la

forma è ovvio che tanto più la perforazione è ampia, senza conicità e apertura esterna

ovale tanto più sarà difficile sigillarla senza avere sovrariempimenti (Castellucci

2007). Inoltre una dimensione grande della lesione crea problemi inerenti alla resi-

stenza strutturale globale dell’elemento alla fine della terapia e quindi alle aspettative

di sopravvivenza a lungo termine. Tutto questo può creare qualche difficoltà decisio-

nale soprattutto se l’elemento è un pilastro protesico in una riabilitazione totale dove

la decisione di mantenere o meno l’elemento con perforazione diventa il “punto no-

dale” del successo.

Per raggiungere il successo nel trattamento di una perforazione si devono riscontrare,

al termine della terapia di riparazione, i seguenti requisiti (Stromberg T. 1972):

- Assenza di sintomi, dolore spontaneo o alla palpazione o alla percussione

- Assenza di eccessiva mobilità

- Assenza di fistola

- Assenza di comunicazione tra la perforazione e il solco gengivale

- Assenza di segni radiologici di demineralizzazione dell’osso adiacente alla perfo-

razione

- Lo spessore del legamento parodontale adiacente al materiale da riparazione deve

essere non più del doppio dello spessore del legamento circostante

- Il dente deve essere funzionale

Se solo uno di questi criteri non è presente, la terapia non può essere considerata un

successo. Fino ad un recente passato, questo tipo di lesioni riportavano una prognosi

incerta e sistematicamente infausta. Con l’introduzione di nuovi sistemi operativi (su

tutti la diffusione degli ingrandimenti ottici individuali e anche del microscopio ope-

ratorio) e di materiali da riparazione di nuova generazione, il trattamento, pur rima-

nendo complesso, risulta maggiormente predicibile.

Il tipo di materiale e la sua gestione sono divenuti oggi uno degli aspetti prognostici

determinanti del trattamento delle perforazioni. Se da un lato vi è stato un profondo

cambiamento dei materiali di utilizzo passando da guttaperca, amalgama, cementi re-

sinosi (SuperEba), verso materiali quali MTA e cementi bioceramici, dall’altro pos-

siamo affermare che sia le tecniche di approccio che l’utilizzo di strumenti adeguati

hanno rivoluzionato il trattamento. In primo luogo gli attuali cementi bioceramici

sono in grado di avvicinarsi meglio alle caratteristiche di cemento ideale (Grossman)

in quanto:

- è biocompatibile

- é capace di sigillare, per adesione alle pareti dentinali

- impedisce il passaggio di batteri e tossine ed eventualmente è battericida

- sopporta le variazioni dimensionali ed elastiche della dentina

- ha una sufficiente resistenza meccanica alla compressione

- stimola o comunque permette la cementogenesi

In secondo luogo MTA e cementi bioceramici non sono suscettibili all’ambiente

umido pertanto non richiedono, nella maggior parte dei casi o in lesioni non troppo

grandi, utilizzo di matrici biodegradabili per il loro posizionamento soprattutto se

questo viene fatto in microscopia (Castellucci A. 2017). Inoltre è necessario fare

un’ulteriore considerazione: nonostante l’introduzione di materiali bioceramici di

nuova generazione, tra i quali Endosequence BC Root Repair /Total fill, immessi sul

mercato per un miglioramento delle caratteristiche biologiche e fisiche di MTA, ad

oggi non esistono studi clinici e percentuali di successo paragonabili a tale materiale.

Infatti si contano più di vent’anni di utilizzo di MTA e circa 1500 articoli da 1996 al

2014, dati che ne fanno il gold standard nelle diverse applicazioni endodontiche ad

esso dedicate.

3. Caso clinico: Piano di trattamento di una perforazione ca-

merale con Biodentine™ (dr. Alessandro Fava)

La paziente (donna, 54 anni, in condizioni di buona salute generale) si presenta in stu-

dio lamentando dolore alla masticazione a carico dell’emiarcata inferiore destra ini-

ziato in coincidenza con l’ultima terapia odontoiatrica eseguita a carico dell’elemento

46 un anno prima.

L’esame clinico evidenzia sensibilità alla percussione e alla compressione a carico di

46. Gli altri elementi in arcata danno esito negativo. La valutazione parodontale rileva

profondità di sondaggio di 3 mm circumferenzialmente e assenza di coinvolgimento

della zona della forcazione: l’utilizzo della sonda parodontale rappresenta uno snodo

diagnostico cruciale poiché permette di individuare eventuali aree di sondaggio punti-

forme o tubulare (indicatori di possibile frattura verticale di radice) o zone di comuni-

cazione tra perforazione e parodonto.

L’esame radiografico (fig.1) (Cambiare numero delle figure) mostra un’area di radio-

trasparenza periapicale a carico sia della radice mesiale che di quella distale di 46 e

una possibile perforazione del pavimento della camera pulpare. Si nota inoltre una ra-

diotrasparenza periapicale anche a carico di 47, elemento che però risulta asintomatico

e che la paziente non intende per il momento trattare. Non è stata eseguita una CBCT

a FOV ridotto poiché l’area coinvolta presentava alto rischio di artefatti a causa dei

manufatti protesici in loco e poiché la paziente aveva comunque deciso di procedere

alla rimozione del restauro per avere conferma del sospetto diagnostico. Nella indivi-

duazione delle perforazioni radicolari la CBCT non rappresenta inoltre l’esame stru-

mentale d’elezione, in quanto la dose erogata molto elevata non è giustificata da una

migliore accuratezza diagnostica rispetto alle tradizionali radiografie periapicali (Ta-

keshita et al. 2015, Bragatto et a. 2016).

fig. 1

Dopo aver isolato il quadrante con diga di gomma e aver rimosso con l’ausilio del

microscopio operatorio il materiale da otturazione canalare presente in camera pulpare

e all’imbocco dei canali mesiali e distali si evidenzia subito un’ampia perforazione di

origine iatrogena (3 mm in senso vestibolo linguale e 1,5 mm in direzione mesio- di-

stale) del pavimento in prossimità dell’imbocco del canale distale.

Secondo la classificazione di Trope e Fuss tale perforazione può essere catalogata

come “datata” (esistente da tempo e quindi potenzialmente contaminata), “ampia” (ve-

rosimilmente provocata da una fresa) e “crestale” (a livello dell’attacco epiteliale e

dell’osso crestale), intrinsecamente contraddistinta da una prognosi dubbia

(Trope&Fuss, 1996).

Mediante l’utilizzo di escavatori manuali viene rimosso il tessuto di granulazione pre-

sente.

Attualmente i materiali d’elezione nel trattamento delle perforazioni sono i cementi

bioceramici, il cui precursore MTA (Mineral Trioxide Aggregate) ha rappresentato una

svolta nella terapia e nella prognosi di questa frequente complicanza iatrogena (Tora-

binejad et al. 1993). Questo grazie alle sue caratteristiche di biocompatibilità, capacità

di indurire in ambiente umido e di stimolare la crescita di tessuto osseo. Uno dei limiti

di MTA è rappresentato dal tempo di presa che raggiunge valori definitivi dopo 48-72,

rendendo quindi necessario un secondo appuntamento per verificare l’avvenuto indu-

rimento.

Un’alternativa al classico MTA è costituita da Biodentine™ (Septodont srl, Saint

Maur des Faussés, Francia) progettato come sostituto permanente della dentina intro-

dotto sul mercato nel 2009 (About 2016) e fornito in due componenti (polvere e li-

quido) da miscelare prima dell’utilizzo. La formulazione in capsule da miscelare

porta frequentemente l’operatore a dover buttare il materiale eccedente rispetto al

quantitativo necessario nella procedura.

La polvere è composta principalmente da silicato tricalcico e silicato di calcio con

l’aggiunta di carbonato di calcio come riempitivo. L’ossido di zirconio conferisce la

radiopacità mentre il liquido è composto da cloruro di calcio come acceleratore e da

un polimero idrosolubile (Camilleri 2013). L’ossido di zirconio scelto per garantire

radiopacità a Biodentine™ sembra essere più biocompatibile, bioinerte e con favo-

revoli caratteristiche biomeccaniche rispetto all’ossido di bismuto utilizzato in altri

materiali bioceramici.

Radiograficamente però il materiale risulta difficilmente distinguibile rispetto alla

dentina ed al cemento radicolare.

Come tutti i cementi bioceramici è contraddistinto da biocompatibilità e bioattività

(Laurent et al. 2008, Laurent et al. 2012), ma la presenza di un acceleratore che inter-

viene durante la fase di miscelazione tra polvere e liquido permette un indurimento in

12 minuti, evitando perciò un reintervento in attesa della presa del materiale stesso. Il

materiale a fine reazione presenta un pH fortemente alcalino (prossimo ad un valore

12).

L’indurimento completo si otterrebbe in circa 45 minuti (Grech 2013). Il polimero

idrosolubile evita che si creino delle microfratture nel materiale durante il suo induri-

mento, come invece a volte può accadere con materiali contenenti grandi quantità di

acqua.

La reazione di idratazione che avviene con la miscelazione porta alla parziale dissolu-

zione del silicato di calcio con la produzione di un gel di silicato idratato che precipi-

tando sulle rimanenti particelle di silicato riempie gli spazi tra esse, riduce la porosità

del materiale e aumentandone la resistenza alla compressione. Questa caratteristica è

considerata molto importante per tutti i materiali da usare nell’incappucciamento per-

ché devono resistere al carico pressorio masticatorio (Kayahan 2013).

Con valori di resistenza alla compressione simile a quella dentinale dopo l’induri-

mento, inoltre, può essere rimaneggiato e modificato nella forma come se fosse den-

tina. Inoltre risulta anche trattabile con adesivi e sistemi compositi per mascherarne il

colore in zone estetiche, senza che le metodiche di mordenzatura od adesive ne alte-

rino la resistenza alla compressione.

La porosità è un altro parametro molto importante da considerare per i materiali bio-

ceramici, in quanto influisce sulla infiltrazione (leakage) del materiale impedendo per

esempio il passaggio di batteri. Il Biodentine™ utilizzato in ambiente umido, come

nelle perforazioni o in endodonzia chirurgica, mantiene una buona resistenza alla in-

filtrazione rispetto alle condizioni cliniche nelle quali viene utilizzato in ambiente

asciutto (Camilleri 2013).

Le sue caratteristiche molto simili a quelle dell’MTA ne fanno un materiale utilizza-

bile nelle stesse situazioni cliniche.

Può essere infatti consigliato come materiale per incappucciamento pulpare, come

materiale da riparazione in caso di perforazioni o riassorbimenti radicolari, come ma-

teriale per le otturazioni retrograde in endodonzia chirurgica. In pedodonzia il mate-

riale risulta molto valido nella pulpotomia camerale permettendo il mantenimento

della vitalità del tessuto pulpare radicolare.

Tornando al caso clinico, l’area è stata detersa con ipoclorito di sodio al 2,5% e i

margini della perforazione regolarizzati con l’aiuto di inserti ultrasonici. Una volta

controllato il sanguinamento grazie a coni di carta sterili senza tuttavia disidratare

l’area (fig.2) si procede al sigillo con Biodentine™, volendo sfruttare il rapido tempo

di indurimento e la buona lavorabilità di questo materiale bioceramico. La superficie

dentinale non va trattata prima del suo utilizzo in quanto Biodentine™ è in grado di

penetrare nei tubuli dentinali con la formazione di una struttura simile ai resin tag,

determinando una ritenzione di tipo micromeccanico col substrato (About 2016).

Sembra inoltre che lo smear layer agevoli tale processo mantenendo alta la forza di

adesione tra il materiale ed il substrato dentinale (El-Ma'aita 2013).

fig.2

Il materiale miscelato e vibrato secondo le indicazioni del produttore viene posizio-

nato direttamente con spatoline e compattatori sterili normalmente utilizzati in odon-

toiatria conservativa.

Con microbrush e coni di carta sterili si completano l’adattamento e la rimozione degli

eccessi nella zona della perforazione (fig3). Nella specifica condizione clinica non si è

fatto ricorso ad una matrice collagenica per facilitare l’adattamento poiché la perfora-

zione presentava essa stessa caratteristiche di contenzione.

fig. 3

Dopo aver atteso 12 minuti (tempo di indurimento definitivo) per ottenere e verificare

l’avvenuto indurimento del materiale si procede al ritrattamento dei canali radicolari.

Rimosso il materiale ereditato dal precedente trattamento e raggiunta la corretta lun-

ghezza di lavoro i canali vengono sagomati e detersi con ipoclorito di sodio 5% per 30’

e EDTA 10% per 1’.

Si procede poi all’otturazione del sistema canalare utilizzando la tecnica dell’onda di

condensazione continua a caldo per i canali distali e sistema di guttaperca veicolato da

carrier per i canali mesiali. I 4 canali presentavano apici indipendenti.

Il dente viene sigillato con un materiale da otturazione provvisorio e viene eseguita una

radiografia endorale di controllo finale (fig.4) che mette in mostra un buon sigillo tri-

dimensionale del sistema endodontico e un altrettanto buon adattamento del materiale

bioceramico nella zona della perforazione.

fig. 4

In un’ulteriore seduta si procede al restauro preprotesico dell’elemento 46. Ottenuto

l’isolamento con diga di gomma (non semplice a causa dell’inclinazione linguale di

45) con uncini appositamente modificati e diga liquida, si deterge accuratamente la

zona della camera pulpare rimuovendo gli eccessi di sealer e di guttaperca (fig.5).

fig. 5

A causa del ridotto spessore (<0,5mm) della parete linguale a confronto di quella ve-

stibolare (>1,5mm) si decide di posizionare un perno in fibra presilanizzato nel canale

mesiolinguale (la zona del canale distale era inoltre impegnata dalla riparazione con

materiale bioceramico) a sostegno del materiale da restauro che verrà utilizzato.

Un ulteriore fattore da considerare è rappresentato dall’adesione dei materiali compo-

siti al di sopra del materiale da riparazione utilizzato. L’ottenimento di buoni livelli di

adesione è ancora un obiettivo da raggiungere: indipendentemente dalla tecnica (etch

& rinse o self-etch) si osservano fallimenti adesivi che consigliano di ridurre al mi-

nimo indispensabile l’area di materiale bioceramico da sottoporre a successiva strati-

ficazione adesiva e di evitare il coinvolgimento di aree critiche come possono essere

considerati post space endodontici. L’utilizzo di un sistema adesivo etch & rinse si è

inoltre dimostrato in grado di modificare la microstruttura di Biodentine™ (Meraji et

al. 2017). Si deve quindi evitare ove possibile di inglobare un’area riparata mediante

cementi bioattivi in una zona di adesione critica come può essere quella di un perno

endocanalare.

Il post space viene eseguito avvalendosi di frese non lavoranti dedicate alla rimozione

di sistemi di guttaperca veicolati da carrier montate su turbina con abbondante irriga-

zione, evitando accuratamente la rimozione di dentina radicolare. Sotto controllo mi-

croscopico si osserva la completa rimozione di smear layer secondario derivato dalla

plasticizzazione di guttaperca e sealer endodontici e si deterge con molta attenzione lo

spazio endocanalare ricavato. In questa fase sono stati utilizzati a più riprese punte

soniche lisce, spazzolini endocanalari e irrigazioni con acqua distillata.

Verificato il corretto adattamento del perno (fig.6) si eseguono le procedure di adesione

con un sistema adesivo self-etch a due passaggi. Dopo adeguata polimerizzazione

viene steso uno strato di flow altamente caricato sul pavimento della camera pulpare

(fig.7) a cui segue il build-up periferico dell’elemento dentale con composito ibrido

microriempito lasciando un adeguato spazio per il posizionamento del perno (fig.8).

Il perno su cui è stato steso e polimerizzato un sottile strato di adesivo viene cementato

con un cemento duale auto foto polimerizzabile (fig.9).

fig.6

fig.7

fig.8

fig.9

Nello studio di Tran (2012) il Biodentine™ si dimostrò superiore all’idrossido di cal-

cio nell’indurre una effettiva ed efficace riparazione del tessuto pulpare esposto con

la formazione di un ponte di tessuto dentinale di riparazione. La formazione di tale

ponte dentinale ed assenza di tessuto infiammatorio nel sottostante tessuto pulpare è

stato verificata in altri studi (Nowicka 2013). Laurent (2008) fu il primo a mostrare

come il Biodentine™ fosse ben tollerato dai fibroblasti umani e portasse all’aumento

della secrezione del fattore TGF_β1 da parte delle cellule pulpari, importante nella

angiogenesi, nella differenziazione cellulare e nella rimineralizzazione tissutale.

Il Biodentine™ come l’MTA favorisce l’adesione e la proliferazione dei fibroblasti

sulla sua superficie in maniera più efficace rispetto ad un classico materiale usato ne-

gli incappucciamenti come un vetroionomero (Zhou 2013).

E’ stato successivamente preparato il dente ed allestito un provvisorio in resina man-

tenuto per alcuni mesi durante i quali la paziente non ha lamentato alcuna sintomato-

logia. Si è deciso pertanto di procedere con la finalizzazione del caso mediante corona

in zirconio monolitico. La radiografia di controllo (fig.10) eseguita ad un anno di di-

stanza dal trattamento endodontico mostra la scomparsa delle radiotrasparenze peria-

picali a carico delle radici di 46 e il mantenimento di una buona densità a livello

dell’area riparata con Biodentine™.

fig.10

In conclusione il Biodentine™ risulta uno dei materiali bioceramici più favorevoli dal

punto di vista delle caratteristiche fisiche e della biocompatibilità. Il tempo di induri-

mento ridotto e la maneggevolezza lo rendono un ottimo sostituto dell’MTA, anche

se quasi tutti gli studi evidenziano carenze di follow-up a lungo termine.

4. Altri Cementi Bioceramici come materiali da riparazione ra-

dicolare

Il materiale che ha rivoluzionato il piano di trattamento delle perforazioni radicolari

e che, per studi scientifici e risultati clinici, rappresenta il gold standard in questa pro-

cedura è sicuramente l’MTA.

Il mercato però, sempre in evoluzione, mette a disposizione del clinico altri materiali.

Sarà il clinico a scegliere fra le diverse opportunità quella che riterrà più idonea nella

situazione clinica che sta affrontando.

Una breve descrizione di questi materiali ci può dare gli elementi per una scelta più

attenta e sicura.

4.1 MTA PROROOT

MTA (acronimo per Mineral Trioxide Aggregate) è una miscela a base di cemento

Portland e ossido di bismuto messo a punto da Torabinejad e White nel 1995.

Il cemento Portland è conosciuto da tempo in edilizia e si ha notizia di un primo uti-

lizzo in odontoiatria risalente al 1878 quando il dr. Witte pubblicò in Germania un

case report che vedeva questo materiale usato come riempitivo canalare.

Torabinejad ebbe il merito di intuire le potenzialità di un materiale capace di indurire

in ambiente umido e di proporlo quindi come materiale da riparazione o per la ge-

stione di situazioni endodontiche particolari, quali perforazioni, apecificazioni, api-

cegenesi, incappucciamenti diretti, sigillo di apici di ampie dimensioni o sigillo in en-

dodonzia retrograda: condizioni cliniche dove il vero problema era rappresentato dal

controllo dell’umidità e in cui fino ad allora erano stati proposti materiali (amalgama,

superEBA, IRM) che la tolleravano scarsamente.

Diversi lavori hanno dimostrato la capacità di MTA di aderire al substrato dentinale e

di garantire un buon sigillo marginale (Torabinejad et al. 1993; Torabinejad, Smith,

et al. 1995; Torabinejad, Hong, McDonald, et al. 1995; Wu et al. 1998). Inoltre la sua

biocompatibilità (Holland et al. 1999; Koh et al. 1997) consente di utilizzarlo a con-

tatto con i tessuti parodontali senza temere che interferisca negativamente con la gua-

rigione, anche perché numerosi studi (Torabinejad, Smith, et al. 1995; Torabinejad,

Hong, McDonald, et al. 1995; Ford et al. 1994; Arens & Torabinejad 1996) hanno at-

tribuito al MTA capacità di osteoconduttività, promuovendo pertanto un fenomeno di

rigenerazione.

Secondo il brevetto USA depositato il materiale è costituito da ossido di calcio (dal

50 al 75%) e da diossido di silicio (dal 15 al 25%). Rispetto al cemento Portland è

presente anche ossido di bismuto per garantire la radiopacità del materiale.

La reazione di idratazione (miscelazione della polvere con soluzione sterile a base ac-

quosa in rigoroso rapporto di 3:1) permette di generare idrossido di calcio e composti

calcio silicati idratati. Questa reazione che consiste di diverse fasi conduce alla for-

mazione di una struttura cristallina stabile in circa 3-6 ore; alcuni autori tuttavia

(Sluyk et al. 1998) consigliano un’attesa di almeno 72 ore per un completo assesta-

mento di MTA.

Le caratteristiche finali di indurimento e le proprietà fisiche e meccaniche massime

sono raggiunte dopo circa 28 giorni dall’inizio della reazione di presa (Camilleri

2007; Camilleri 2008): il tempo di attesa consigliato per reintervenire sul dente e

quindi poter completare il trattamento endodontico o restaurativo è tuttavia stabilito

in 48-72 ore a partire dalla miscelazione del materiale.

Il composto ottenuto per idratazione ha la caratteristica di non subire contrazione vo-

lumetrica, garantendo quindi ottima stabilità marginale e di ottenere pH alcalino

prossimo ad un valore 11 (l’idrossido di calcio è un prodotto della reazione) che gli

attribuisce anche proprietà antibatteriche (Torabinejad, Hong, Ford, et al. 1995).

Inizialmente commercializzato solo nella variante grigia, è stato poi introdotto un

MTA bianco per ridurre la possibile discromia indotta in zone estetiche: tuttavia si è

visto che anche la versione “estetica” poteva dare questo problema ed inoltre è stato

dimostrato che i due composti presentavano differenti proprietà chimiche e meccani-

che.

Il materiale viene solitamente miscelato a mano con spatoline fino ad ottenere una

consistenza sabbiosa e portato nell’area da sigillare mediante diversi strumenti, al-

cuni dei quali appositamente studiati a tal scopo. Il tempo di lavoro è prolungato vi-

sto che la reazione di presa richiede diverse ore, ma il mantenimento di una buona

consistenza durante le fasi operative non è semplice e l’esperienza clinica è fonda-

mentale per saperlo gestire bene. Il rapporto polvere – liquidi di 3:1 è nella realtà cli-

nica non sempre facile da ottenere in quanto l’intero contenuto della busta non sem-

pre viene miscelato con tutta la quantità del liquido fornito. Spesso è necessario ese-

guire più apporti del materiale a seconda delle situazioni cliniche e compattare cia-

scuna per ottenere adeguato spessore e stabilità dell’intera massa: a questo fine si uti-

lizzano plugger endodontici, coni di carta sterili, compattatori. Una volta rimossi gli

eccessi è bene lasciare MTA a contatto con cotone o coni di carta sterili umidi per fa-

vorire l’indurimento di questo materiale idrofilico, avendo ovviamente cura di garan-

tire un ottimo sigillo coronale tra un appuntamento e il seguente, in quanto la conta-

minazione con fluidi orali aumenterebbe il rischio di insuccesso.

Riassumendo i vantaggi di MTA possono essere così elencati:

1.Idrofilia

2.Biocompatibilità e bioattività

3.Ottima resistenza all’infiltrazione marginale

4.Stabilità volumetrica

5.Proprietà antibatteriche

6.Osteoconduttività

Le caratteristiche negative riportate in letteratura in questi oltre 20 anni di attività cli-

nica sono stati:

1. Tossicità dovuta a metalli pesanti

2. Discromie indotte

3. Tempo di indurimento

4. Maneggevolezza

5. Dimensione delle particelle

6. Tendenza ad essere dilavato in presenza di copioso sanguinamento

7. Dubbia resistenza meccanica

8. Difficoltà ad essere utilizzato in canali stretti o curvi

Molte di questi svantaggi sono trascurabili o clinicamente gestibili, alcuni messi in

dubbio da altre ricerche. Alcuni autori hanno invece proposto una interessante tec-

nica per gestire il sigillo con plug di MTA anche di apici di dimensioni ridotte o in

canali stretti e curvi mediante l’utilizzo di carrier in plastica modificati a questo

scopo (Giovarruscio et al. 2012)

Di seguito verrà presentato un caso clinico di perforazione del pavimento della ca-

mera pulpare riparato con MTA.

4.1.1 Perforazione riparata con MTA (caso clinico dr. Alessandro Fava)

La paziente si presenta per un dolore sordo alla masticazione nel quadrante 4. L'ele-

mento 46 risulta positivo al test della percussione. Non sono presenti sondaggi paro-

dontali patologici.

L’esame radiografico periapicale eseguito con centratore di Rinn (fig.1) evidenzia

una cura endodontica inadeguata per mancato raggiungimento della corretta lun-

ghezza di lavoro sia nella radice Mesiale che nella Distale e per scarso riempimento

tridimensionale in tutto il sistema endodontico. Si nota inoltre una zona di sovrastru-

mentazione con probabile perforazione del pavimento della camera pulpare, conside-

rata la sintomatologia riferita, in corrispondenza della forcazione radicolare.

fig.1

Dopo aver rimosso il restauro protesico e la sottostante ricostruzione, è stata eseguita

una cavità d'accesso sufficientemente ampia per accedere al sistema canalare. Il mate-

riale del precedente trattamento è stato rimosso in modo da visualizzare la zona della

perforazione effettivamente presente (fig.2).

fig.2

Una volta detersa e regolarizzata (fig.3) la perforazione stessa mediante inserto piezo-

lettrico, si è provveduto al sigillo con MTA (fig.4) all’esecuzione di una radiografia

di controllo (fig. 5) e al posizionamento di un restauro provvisorio.

fig.3

fig.4

fig.5

Trascorse 48 ore dalla prima seduta si è verificato l’indurimento del sigillo e si è

completato il ritrattamento del sistema canalare: rimozione materiale da otturazione

(guttaperca) presente, sagomatura, detersione (NaOCl al 5% e EDTA) e otturazione

del sistema canalare mediante guttaperca veicolata da carrier in tutti e tre i canali pre-

senti. Sono state eseguite radiografie di conferma della corretta lunghezza di lavoro e

finale (fig.6 e 7).

fig.6

fig.7

Il dente è stato poi ricostruito con tecnica adesiva senza l’ausilio di un perno in fibra

avendo potuto sfruttare l’ampia camera pulpare (fig.8) con profondità maggiore di 2

mm come ritenzione per la resina composita microibrida stratificata.

fig.8

Il dente è stato preparato protesicamente ed è stato apposto un provvisorio in resina.

Ottenuta un'adeguata maturazione dei tessuti parodontali è stata rilevata un'impronta

di precisione sulla cui base è stata realizzata una corona in zirconio cementata con

cemento vetroionomerico. Controllo radiografico a due anni di distanza dalla ripara-

zione della perforazione (fig.9).

fig.9

4.2 MTA ANGELUS

L’ MTA Angelus (Angelus, Londrina, PR, Brasile) è un cemento bioceramico con

una composizione simile al tradizionale Mta. L’80% è costituito da Cemento di Port-

land ed il restante 20% da Ossido di Bismuto. La mancanza nella sua composizione

del solfato di Calcio è dovuta ad una scelta della ditta produttrice con l’obiettivo di

ridurre il tempo di indurimento. Effettivamente i 14 minuti necessari per l’induri-

mento del prodotto sono notevolmente inferiori a quelli dell’Mta sia nella formula-

zione originaria grigia che in quella più recente bianca.

Miscelando la polvere con acqua si ottiene un prodotto dalla consistenza di un gel che

si solidifica velocemente determinando una efficace sigillo ed un effetto barriera.

Il sigillo previene il passaggio di fluidi e di batteri evitando la contaminazione

dell’ambiente endodontico. Al contempo si determina una induzione della guarigione

tissutale per esempio nelle perforazioni con formazione di cemento radicolare.

L’interesse verso il materiale ha portato alla produzione di diversi lavori scientifici

che ne hanno analizzato composizione chimica e proprietà per testarne le differenze

con MTA fino ad allora utilizzato.

Alcuni di questi studi hanno verificato variazioni nella composizione chimica rispetto

all’MTA come una concentrazione maggiore di ossido di Bismuto e fosfato di Ma-

gnesio nell’MTA ed una maggiore di carbonato di Calcio, Silicato di Calcio e fosfato

di zinco nell’Angelus.

Per quanto riguarda il pH ed il rilascio di ioni calcio determinanti per le peculiari ca-

ratteristiche bioattive di questa categoria di materiali, gli studi sono contrastanti.

Duarte e coll. (2003) ha riscontrato valori di pH e di rilascio di ioni calcio superiori

per Angelus. Valori opposti sono stati invece riscontrati da uno studio di Reyes-Car-

mona (2009)

Va valutato che i valori spesso sono riscontrati in studi con diversa impostazione me-

todologica e con misurazioni prese in diversi momenti dell’indurimento dei materiali

Come affermato nel lavoro di Torabinejad, questi valori, in realtà, siano sostanzial-

mente simili e senza significative differenze.

Dal punto di vista del sigillo con la dentina Angelus si è dimostrato migliore rispetto

a materiali più tradizionali quali amalgama, vetroionomero o super Eba (Pereira) Al-

tri studi sul sigillo rispetto ad MTA hanno dati valori contrastanti e anche qui i dati

potrebbero variare per la diversa metodologia e l’impostazione generale dello studio.

Per quanto riguarda la biocompatibilità, Angelus e le due varianti grigia e bianca

dell’MTA risultano non citotossici nè genotossici (Ribeiro). In studi sull’incappuccia-

mento pulpare diretto risultano meno citotossici rispetto al formocresolo, all’idros-

sido di calcio, al vetroionomeoro, al Super Eba ed al solfato ferrico.

L’MTA Angelus determina a contatto della polpa una risposta istologica con forma-

zione di un tessuto duro con infiltrato infiammatorio basso.

Un numero minore di studi ha analizzato le capacità antibatteriche. Questi hanno però

rilevato una azione antibatterica contro diversi microorganismi compreso l’Entero-

coccus faecalis, Streptococcus, Micrococcus luteus, Staphylococcus aureus, Pseudo-

monas aeruginosa e Candida albicans cosi come si ottiene con il tradizionale MTA o

con il cemento di Portland.

Il suo utilizzo, già facilitato dal tempo di indurimento veloce, si avvantaggia anche

della minor influenza determinata dall’ambiente umido sul suo indurimento e sulle

proprietà bioattive rispetto ad altri prodotti che necessitano di campi operatori sostan-

zialmente asciutti.

La radiopacità risulta superiore a quella della dentina e dell’osso permettendo una

sua identificazione nelle radiografie di controllo e follow up.

Anche la versione grigia di MTA Angelus presenta il rischio di decolorazione e

quindi andrebbe evitato in zone estetiche ovviando con l’utilizzo della versione

bianca.

4.3 MTA PLUS

L’MTA Plus (Avalon Biomed Inc., Bradenton, FL, USA) è un prodotto molto simile

all’MTA, dal quale si differenzia per la polvere con particelle più piccole a sempre da

miscelare con un liquido per ottenere il cemento da utilizzare nelle diverse situazioni

cliniche. In più viene fornito un gel per la miscelazione che consente di ottenere una

consistenza superiore del materiale con una diversa maneggevolezza e superiore resi-

stenza al wash-out determinato dai fluidi della zona operativa.

Il prodotto determina un aumento del pH ed un rilascio di ioni calcio superiori al tra-

dizionale MTA. Questa capacità è legata proprio alla polvere fine, alla sua porosità,

al diverso assorbimento dell’acqua ed alla formazione di fosfato di calcio.

La sua resistenza alla compressone, importante in caso di incappucciamento pulpare

o di chiusura di perforazioni radicolari, risulta simile a MTA ed all’Endose-

quence/Totalfill.

Anche questo materiale viene prodotto nelle due varianti grigia e bianca.

Entrambe hanno mostrato una bassa citotossicità mentre la grigia sembra avere un

maggior effetto induttivo sulle cellule dei tessuti con i quali viene a contatto.

4.4 IROOT/ENDOSEQUENCE/TOTAL FILL RRM

Il TOTAL FILL RRM ( FKG, La Chaux de Fonds, Switzerland) nelle sue diverse for-

mulazioni, Putty TM e fast Putty TM recentemente messo in commercio in Europa è

un materiale bioceramico premiscelato e pronto all’uso. E’ disponibile sia come sea-

ler (cemento canalare) dei canali radicolari che come putty, quindi in composizione

più consistente, per le riparazioni radicolari e delle perforazioni camerali o in endo-

donzia chirurgica come materiale da otturazione retrograda.

Il materiale è stato commercializzato inizialmente in Canada col nome di IROOT SP

(Innovative Bioceramix Inc, Vancouver, Canada) nel 2007 e successivamente negli

USA come Endosequence BC RRMTM (Brassler USA North America) nel 2008

La composizione chimica tra le varie formulazioni è molto simile e prevede dei sili-

cati di calcio miscelati con ossido di zirconio, fosfato di calcio e riempitivi.

L’assorbimento dell’acqua presente nel substrato col quale viene a contatto determina

l’idratazione dei silicati di calcio con produzione di idrossido di calcio e di un gel di

silicato di calcio. L’idrossido di calcio, a sua volta, reagisce col fosfato di calcio e

porta alla formazione di idrossiapatite creando un intimo contatto con il tessuto den-

tale con quale viene a contatto.

Questi materiali hanno subito attirato l’attenzione della comunità scientifica e molti

studi in letteratura ne hanno studiato le caratteristiche fisico chimiche e le possibili

applicazioni cliniche

In generale, come tutti i bioceramici, anche questi hanno delle caratteristiche sovrap-

ponibili a quelle dell’MTA, mentre per quanto riguarda la citotossicità e la biocompa-

tibilità risultano superiori e meno citotossici rispetto a cementi canalari a base resi-

nosa.

Alle ottime proprietà biologiche, caratteristiche dei materiali bioceramici, associano

buone capacità meccaniche. Sono idrofili, insolubili e radiopachi. La caratteristica di

essere in formulazione premiscelata, quindi meno operatore-dipendente per una sua

corretta miscelazione. La consistenza “putty”, più solida, ne migliora la maneggevo-

lezza e semplifica le procedure operative cliniche .

Oltretutto nella formulazione putty il tempo di indurimento passa dalle 3-4 h del ma-

teriale in formulazione sealer o RRM (Materiale per Riparazione Radicolare) a circa

20 minuti nella formulazione Fast.

Il pH è decisamente basico, oltre 12 fino a valori 12.7, determinato dalla formazione

di idrossido di calcio durante la reazione dei suoi componenti. Tale pH ha una po-

tente azione antibatterica sin dai primi minuti di indurimento del materiale e questa

azione si esplica anche contro il temutissimo Enterococcus faecalis.

Altri studi hanno indagato la forza di adesione di questi materiali al substrato e quindi

la loro capacità di resistere alla dislocazione durante le fisiologiche attività a cui è

sottoposto il dente.

Tali materiali dimostrano buone capacità di aderire al substrato dentinale, in misura

migliore dei tradizionali cementi a base resinosa. Tuttavia gli studi sono poco validi

dal punto di vista numerico dei campioni utilizzati e quindi sono richieste ulteriori

valutazioni.

5. CONCLUSIONI

Le perforazioni del pavimento camerale di origine iatrogena rappresentano una delle

complicanze della terapia endodontica ed una delle sfide più ardue per l’odontoiatra

che deve recuperare l’elemento dentale. Per molti anni i denti con questa problema-

tica sono stati estratti in quanto considerati irrecuperabili o sottoposti a terapie consi-

derate “estreme“ e poco predicibili.

L’evoluzione dei materiali dentari associata ad un uso sempre più frequente da parte

dell’odontoiatra di sistemi di ingrandimento quali il microscopio operatorio, ha per-

messo la gestione delle perforazioni del terzo coronale e delle forcazioni con una

sempre maggiore predicibilità e successo nel tempo.

L’introduzione sul mercato di materiali in grado di determinare un reale sigillo fra

l’endodonto ed il parodonto, messi in comunicazione dalla perforazione, ha spinto

sempre più clinici a cercare di recuperare denti con tale problematica, potendoli inse-

rire in piani di trattamento anche complessi da proporre al paziente.

Il Mineral Trioxide Aggregate è stato il materiale che ha rivoluzionato l’approccio a

questa situazione clinica. L’operatore ha avuto finalmente a disposizione un materiale

in grado di indurire in ambiente umido, di legarsi chimicamente al substrato dentale e

di indurre una guarigione nei tessuti limitrofi alla lesione.

La massiccia quantità di casi clinici descritti in letteratura e la ricerca hanno decretato

il successo di questo materiale, ma anche evidenziato alcune lacune dello stesso.

Tempi di indurimento lunghi che spesso portano a dover gestire la situazione in più

appuntamenti, maneggevolezza non sempre ideale in tutte le situazioni cliniche, co-

lore non ottimale nei casi a forte coinvolgimento estetico ed altri minus hanno portato

le case produttrici a cercare nuove soluzioni. Partendo dalle caratteristiche positive

del materiale si è cercato di ovviare alle sue carenze.

A tal fine sono stati introdotti sul mercato materiali chiamati genericamente biocera-

mici che comprendono prodotti da utilizzare come cementi canalari, come materiali

per la riparazione di perforazioni oltre che per la gestione del sigillo in endodonzia

chirurgica.

Clinicamente i vantaggi sono rappresentati dai tempi di indurimento veloci del mate-

riale, dalla loro adesione al substrato dentale, dalla maneggevolezza legata alla for-

mulazione premiscelata della maggior parte di essi.

Gli aspetti positivi che sembrano derivarne sono quindi molteplici anche se la quan-

tità e la qualità degli studi in merito non consigliano di dare un giudizio definitivo su

questi materiali.

Il caso descritto è esemplificativo di come una corretta valutazione diagnostica, una

precisa programmazione dei tempi e dei materiali da utilizzare permetta di impostare

un piano di trattamento predicibile anche nel caso di un dente con una importante

perforazione del pavimento camerale. I nuovi materiali bioceramici hanno consentito

di gestire clinicamente con una snella procedura operativa la problematica con soddi-

sfazione del clinico e il comfort del paziente.

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