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1 UNITÀ 5 La Riforma in Italia e il caso di Modena F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 PERCORSO DI STORIA LOCALE PERCORSO DI STORIA LOCALE La diffusione delle idee protestanti Intorno al 1517, anche in Italia trovavano ampia diffusione tutte le ragioni che provocarono in Germania e nel resto d’Europa il successo della Riforma. Consapevoli della situazione, e sicuri del successo della loro opera, fin dal 1524 alcuni intraprendenti e coraggiosi tipografi veneziani cominciarono a diffondere in traduzione italiana gli scritti di Lutero, che fa- cilmente varcavano i confini della Repubblica approfittando del gran numero di mercanti che frequentavano il Fondaco dei tedeschi. A volte, tali libri proibiti portavano sul frontespizio il nome di Erasmo, oppure erano attribuiti ad autori inventati, al fine di aggirare i controlli più superficiali e grossolani. La situazione, tuttavia, doveva essere effettivamente abbastanza seria, se un decreto emanato nel 1538 menzionava bel 42 titoli di libri circolanti clandestinamente all’interno di Milano e del territorio circostante. Inoltre, le autorità ecclesiastiche mostrarono di essere del tutto im- preparate di fronte a un altro fenomeno inedito: la rapidissima diffusione, tra la gente co- mune, della tendenza a dibattere delicate questioni teologiche. In effetti, come riferisce sdegnato il vescovo di Verona nel 1553, le «persone basse» avevano preso l’abitudine di di- scutere di problemi religiosi nelle circostanze e nei luoghi più impensati: «per le piazze, per le botteghe, per le taverne et insino per li lavatoi delle donne». In un primo tempo, i timori della Chiesa si concentra- rono su Venezia, ove la nuova fede fece diversi proseliti non solo tra umili arrotini, liutai, pollivendoli e sarte (come recita un processo del 1533), ma anche tra i rampolli di al- cune tra le più prestigiose e nobili famiglie della Repub- blica. Peggio ancora, la causa della Riforma trascinò a sé il vescovo di Bergamo Vittore Soranzo e il patriarca di Aqui- leia Giovanni Grimani, mentre città importanti come Vi- cenza e Padova (sede di una prestigiosa università, e quin- di di appassionati dibattiti intellettuali) sono descritte ri- spettivamente come «molto infetta di queste nove opinioni contra l’honor de Dio» e «piena di heretici», negli anni Cin- quanta. In questo momento storico, tuttavia, pareva ormai del tut- to tramontata non solo l’ipotesi che Venezia aderisse al pro- testantesimo e si trasformasse nella porta della Riforma in Italia, ma anche la possibilità che la Repubblica continuasse la politica di indifferenza, omertà e neutralità, che di fat- to la caratterizzò per circa trent’anni. Le autorità venezia- ne rimasero profondamente colpite dalla disfatta dei prin- cipi luterani a Mühlberg, da parte di Carlo V (1547) e dal- l’inizio degli scontri per motivi religiosi in Francia (1562). Questi due eventi misero in luce che uno Stato privo di omogeneità confessionale rischiava la disintegrazio- ne e la guerra civile. Pertanto, 1400 volumi eretici furo- no dati alle fiamme a Rialto nel 1548, mentre nel 1556 fu- rono autorizzate le prime estradizioni a Roma di individui accusati di eresia dall’Inquisizione (tali soggetti, tuttavia, non erano cittadini della Repubblica, bensì stranieri). In- La Riforma in Italia e il caso di Modena Frontespizio della prima edizione della Bibbia di Martin Lutero. Diffusione dei libri proibiti PERCORSI DI STORIA LOCALE

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La diffusione delle idee protestantiIntorno al 1517, anche in Italia trovavano ampia diffusione tutte le ragioni che provocaronoin Germania e nel resto d’Europa il successo della Riforma. Consapevoli della situazione, esicuri del successo della loro opera, fin dal 1524 alcuni intraprendenti e coraggiosi tipografiveneziani cominciarono a diffondere in traduzione italiana gli scritti di Lutero, che fa-cilmente varcavano i confini della Repubblica approfittando del gran numero di mercanti chefrequentavano il Fondaco dei tedeschi. A volte, tali libri proibiti portavano sul frontespizio ilnome di Erasmo, oppure erano attribuiti ad autori inventati, al fine di aggirare i controlli piùsuperficiali e grossolani. La situazione, tuttavia, doveva essere effettivamente abbastanza seria, se un decreto emanatonel 1538 menzionava bel 42 titoli di libri circolanti clandestinamente all’interno di Milanoe del territorio circostante. Inoltre, le autorità ecclesiastiche mostrarono di essere del tutto im-preparate di fronte a un altro fenomeno inedito: la rapidissima diffusione, tra la gente co-mune, della tendenza a dibattere delicate questioni teologiche. In effetti, come riferiscesdegnato il vescovo di Verona nel 1553, le «persone basse» avevano preso l’abitudine di di-scutere di problemi religiosi nelle circostanze e nei luoghi più impensati: «per le piazze, perle botteghe, per le taverne et insino per li lavatoi delle donne».In un primo tempo, i timori della Chiesa si concentra-rono su Venezia, ove la nuova fede fece diversi proselitinon solo tra umili arrotini, liutai, pollivendoli e sarte (comerecita un processo del 1533), ma anche tra i rampolli di al-cune tra le più prestigiose e nobili famiglie della Repub-blica. Peggio ancora, la causa della Riforma trascinò a séil vescovo di Bergamo Vittore Soranzo e il patriarca di Aqui-leia Giovanni Grimani, mentre città importanti come Vi-cenza e Padova (sede di una prestigiosa università, e quin-di di appassionati dibattiti intellettuali) sono descritte ri-spettivamente come «molto infetta di queste nove opinionicontra l’honor de Dio» e «piena di heretici», negli anni Cin-quanta.In questo momento storico, tuttavia, pareva ormai del tut-to tramontata non solo l’ipotesi che Venezia aderisse al pro-testantesimo e si trasformasse nella porta della Riforma inItalia, ma anche la possibilità che la Repubblica continuassela politica di indifferenza, omertà e neutralità, che di fat-to la caratterizzò per circa trent’anni. Le autorità venezia-ne rimasero profondamente colpite dalla disfatta dei prin-cipi luterani a Mühlberg, da parte di Carlo V (1547) e dal-l’inizio degli scontri per motivi religiosi in Francia (1562).Questi due eventi misero in luce che uno Stato privo diomogeneità confessionale rischiava la disintegrazio-ne e la guerra civile. Pertanto, 1400 volumi eretici furo-no dati alle fiamme a Rialto nel 1548, mentre nel 1556 fu-rono autorizzate le prime estradizioni a Roma di individuiaccusati di eresia dall’Inquisizione (tali soggetti, tuttavia,non erano cittadini della Repubblica, bensì stranieri). In-

La Riforma in Italiae il caso di Modena

Frontespizio della prima edizionedella Bibbia di Martin Lutero.

Diffusione dei libri proibiti

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fine, con un decreto del 1564, le autorità veneziane si impegnarono solennemente a ripuli-re il loro Stato da «quella mala sorte di huomeni che seguono le nuove opinioni in materiadi religione, le quali non possono essere salvo che scandalo delli huomeni catholici christia-ni et di perturbatione della Signoria nostra».Nel resto dell’Italia settentrionale, le fonti ricordano la presenza di numerosi eretici a Cre-mona (vero epicentro del dissenso religioso lombardo), Mantova e soprattutto Ferrara; in que-st’ultima città un nutrito gruppo di protestanti trovò a lungo protezione e rifugio grazie allapresenza della duchessa Renata, francese di origine e calvinista dichiarata. Calvino stesso, nel1536, per un breve periodo soggiornò a Ferrara, ove il duca Ercole II d’Este non approvavala «mala religione» della moglie e minacciò di mandarla sotto processo. La duchessa fu rin-chiusa nelle proprie stanze, mentre dall’ambiente di corte furono cacciati numerosi dei «luthe-rani ribaldi che tenevano infestata tutta questa città», come recita un commentatore del tem-po. Tuttavia, la situazione tornò alla normalità solo dopo la morte del duca e il ritorno del-la vedova in Francia, nel 1559.In Italia centrale, ci viene testimoniata la presenza di numerosi eretici in Romagna (ad esem-pio a Imola e Faenza) e soprattutto a Siena e a Lucca. Per quanto minacciati dall’espansio-nismo dei Medici, questi due centri toscani erano ancora città autonome e libere, il che spie-ga la riluttanza delle magistrature locali ad accettare l’intervento di qualsiasi autorità esterna,non esclusa l’Inquisizione. Senese fu uno dei più celebri predicatori itineranti della prima metàdel XVI secolo, Bernardino Ochino, che nel 1541, fuggì a Ginevra; lucchese invece fu un al-tro celebre fuggiasco, rifugiatosi anch’egli nella città riformata svizzera: Giovanni Diodati, notoper un’eccellente traduzione della Bibbia in volgare italiano, pubblicata nel 1607. Sia a Sie-na che a Lucca, numerosi giovani delle famiglie più in vista della città, o comunque esponentidel patriziato locale aderirono alla Riforma, prima che la repressione cattolica colpisse in modosempre più pesante e sistematico, a partire dalla fine degli anni Quaranta.Al Sud e in Sicilia, i gruppi organizzati furono meno numerosi, ma comunque non manca-no segnalazioni di libri proibiti a Napoli o a Palermo, insieme a denunce a singoli intellet-tuali che a titolo personale condivisero uno o più principi del luteranesimo o del calvinismo.

Calvinismo

Luteranesimo

Chiesa anglicana

JOHN KNOXSCOZIA

LUTEROWittenberg

CALVINO

ENRICO VII I

NORVEGIA

Londra

Parigi

Madrid

Genova

Roma

Firenze

Modena

Venezia

SVEZIA

DANIMARCA

POLONIA

UNGHERIA

I M P E R OO T T O M A N O

Trento

Konisberg

Vienna

SVIZZERA

ZurigoBerna

Basilea

Gand Anversa

Cateau-Cambrèsis

Utrecht

WartburgSmalcalda

Worms

MünsterLipsia

SPAGNA

FRANCIA

Cambridge

Anabattisti

Francoforte

Ferrara centro eretico

LA DIFFUSIONE DELLA RIFORMA IN EUROPA ALLA

METÀ DEL XVI SECOLO

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La novità del Beneficio di CristoVerso la fine del XVI secolo, la maggioranza dei gruppi e degli intellettuali italiani che aveva-no scelto la Riforma si indirizzarono verso Ginevra e il calvinismo. Nei decenni precedenti,invece, la teologia dei protestanti italiani fu disponibile ad accogliere e mescolare elementi didiversa origine e matrice, che nel resto d’Europa erano considerati affatto incompatibili gliuni con gli altri. Il dato forse più interessante riguarda Erasmo da Rotterdam, che in Ita-lia, a metà Cinquecento, era universalmente considerato luterano sia dagli inquisitori sia daidissidenti, malgrado l’aspra polemica sul libero arbitrio che aveva contrapposto l’umanistaolandese al riformatore tedesco. D’altra parte, sia i responsabili della repressione, sia le lorovittime, nell’Elogio della follia e in altre opere di Erasmo trovavano varie tematiche e questioniche potevano senza sforzo essere trasformate in strumenti di polemica protestante: l’insistenzasulla Sacra Scrittura e sui padri della Chiesa, più che sulle dichiarazioni dei papi e delle au-torità ecclesiastiche; il ripudio di ogni forma di superstizione e delle pratiche puramente ri-tualistiche, compiute come se fossero riti magici, efficaci in virtù di una formula misteriosapronunciata nel modo corretto; l’attacco frontale contro l’insistenza posta dalla religiosità tar-do-medievale sui santi, su Maria, sulle immagini sacre, sul purgatorio e sulle indulgenze. Ingenerale, quello che veniva cercato era una religiosità intensa, sotto il profilo spirituale, masobria, unita allo sforzo di strappare al clero il monopolio della gestione della vita religiosa, chelo storico Massimo Firpo ha definito «volontà di riappropriazione del sacro, sottratto alcontrollo clericale su una pietà oggettualizzata». Nel 1543, a Venezia apparve per la prima volta, in forma anonima, un libretto intitola-to Il beneficio di Cristo, che negli anni seguenti avrebbe avuto un successo strepitoso. Nel1549, un vescovo veneto scriveva che, a suo giudizio, nei sei anni precedenti ne erano sta-te vendute 40 000 copie solo a Venezia. Può darsi che tale cifra sia esagerata; resta che talevolume è regolarmente citato in innumerevoli processi, a testimonianza della sua ampiadiffusione nell’Italia del XVI secolo. Si trattava di un testo molto particolare, sotto il pro-filo teologico; infatti, da un lato non si lasciava mai andare ad alcuna polemica contro ilpapa o contro la Chiesa, ma dall’altro presentava la giustificazione mediante la sola fedee perfino la predestinazione come gli strumenti privilegiati scelti dalla grazia e dalla mi-sericordia di Dio, al fine di salvare tutti gli uomini. In tal modo, il testo accoglieva il nu-cleo centrale del messaggio riformato, interpretando l’universale ansia dif-fusa tra i cristiani comuni per la prospettiva della dannazione eterna,ma spogliava tale messaggio rassicurante di qualsiasi contenuto an-ticattolico e antiromano. Questa ambigua prospettiva teologica si comprende tenendoconto della genesi dell’opera, che fu composta nel 1540 dalmonaco Benedetto Fontanini da Mantova e completata dueanni più tardi da Marcantonio Flaminio, che viveva a Vi-terbo, nella casa del cardinale inglese Reginald Pole.Fu Pole, insieme al cardinale Giovanni Morone, a pro-muovere la pubblicazione del Beneficio nel 1543. Ne-gli stessi anni, i due cardinali stavano cercando di ge-stire la faticosa convocazione del Concilio che avreb-be dovuto affrontare tutti i problemi sollevati dalla ri-volta di Lutero. Tuttavia, Pole e Morone concepivanoil Concilio come un’importante e significativa oppor-tunità di discussione, non come un’assemblea incarica-ta solo di condannare gli eretici e di ribadire o al massi-mo precisare le tradizionali verità cattoliche. Per Moro-ne e per Pole, occorreva dare una risposta credibile allediffuse ansie religiose dei credenti e trovare soluzioni dot-trinali di compromesso, accettabili da entrambe le parti, perevitare la definitiva rottura dell’unità cristiana.A Trento, il loro progetto fu completamente sconfitto; anzi, di lìa poco il Beneficio fu inserito nell’Indice dei libri proibiti.

Sebastiano Luciani,Ritratto del cardinaleinglese Reginald Pole,1543-1545 (San Pietroburgo,Museo dell’Ermitage).

Una religiositàintensa, ma sobria

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DOCUMENT IIl beneficio di CristoI due brevi passi che riportiamo mostrano che gli autori del volumetto Il beneficio di Cristo recepi-

rono l’istanza fondamentale della Riforma, cioè il concetto di giustificazione mediante la sola fede. Intal modo, Benedetto Fontanini da Mantova, Marcantonio Flaminio e altri intellettuali italiani per un bre-ve momento si illusero di poter ricucire lo strappo portato all’unità della Chiesa dall’appassionata pro-testa luterana e dalla speculare intransigenza cattolica.

Del peccato originale e della miseria dell’uomoLa Scrittura santa dice che Dio creò l’uomo ad imagine e similitudine sua, facendolo, quanto

al corpo, impassibile [non sottoposto alle sofferenze, n.d.r.], e, quanto all’animo, giusto, verace,pio, misericordioso e santo. Ma poiché egli, vinto dalla cupidità del sapere, mangiò di quel pomoproibito da Dio, perdette quella imagine e similitudine divina, e diventò simile alle bestie e al de-monio, che l’avea ingannato: perciocché, in quanto all’animo divenne ingiusto, mendace e cru-dele, impio e inimico di Dio; e, in quanto al corpo, diventò passibile e soggetto a mille incomodie infermità, né solamente simile, ma ancora [perfino, n.d.r.] inferiore agli animali bruti. E, sì come,se gli nostri primi padri fussero stati ubbidienti a Dio, ci averebbero lasciato, come cosa eredita-ria, la loro giustizia e santità; così, essendo stati disubbidienti a Dio, ci hanno lasciato per ereditàla ingiustizia, la empietà e l’odio loro verso dio: di modo che è impossibile che con le forze no-stre possiamo amar Dio e conformarci con la sua volontà, anzi li siamo inimici, come a quello che,per esser giusto giudice, punisce li peccati nostri, né ci possiamo mai fidar della sua misericor-dia. Insomma questa nostra natura per lo peccato di Adamo tutta si corruppe e, sì come primaera superiore a tutte le creature, così divenne suggetta a tutte, serva del demonio, del peccatoe della morte, e condennata alle miserie dello inferno.

Due opinioni sulla giustificazione Ora giudichi il pio cristiano qual di queste due opinioni sia più vera, più santa e più de-

gna di essere predicata: o la nostra, che illustra il beneficio di Cristo e abbassa l’arroganzaumana, che vuole esaltar le sue opere contra la gloria di Cristo; o l’altra, la quale, dicendoche la fede per se stessa non giustifica, oscura la gloria e il beneficio di Cristo e inalza la su-perbia umana, la quale non può patire [accettare, sopportare, n.d.r.] di essere giustificatagratis per Iesù Cristo Signor nostro.

Oh mi diranno: – È pur grande incitamento alle buone opere il dire che l’uomo per essesi fa giusto appresso Dio –.

Rispondo che ancora noi confessiamo che le buone opere sono grate a Dio e ch’egli permera sua liberalità le remunera in paradiso; ma diciamo che quelle sono veramente buoneopere, come dice ancora sant’Agostino, le quali sono fatte da li giustificati per la fede; per-ché, se l’albero non è buono, non può far frutti buoni. Oltre che, i giustificati per la fede, co-noscendosi giusti per la giustizia di Dio, eseguita in Cristo, non fanno marcantanzia [non con-trattano, non mercanteggiano, n.d.r.] con Dio delle buone opere, pretendendo con esse dicomprar da lui la giustificazione; ma, infiammati dello amore di Dio e desiderosi di glorificareCristo, il qual gli ha giustificati, donandogli tutti i suoi meriti e tutte le sue ricchezze, attendonocon ogni studio a fare la volontà di Dio, e combattono virilmente contro allo amor proprio econtro al mondo e al diavolo. E, quando cadono per fragilità della carne, risurgono tanto piùdisposi [desiderosi, n.d.r.] di bene operare e tanto più inamorati del suo Dio, considerando cheli peccati non gli sono imputati da lui per la loro incorporazione in Cristo, il quale ha soddisfattoper tutti i membri suoi [per tutti gli uomini, n.d.r.] sul legno della croce e sempre intercede peressi appresso al Padre eterno, il qual, per amor del suo unigenito Figliuolo, gli risguardo sem-pre con volto placidissimo, e li regge e difende come carissimi figliuoli, e alla fine gli donerà laeredità del mondo, facendoli conformi alla gloriosa immagine di Cristo. Questi incitamenti amo-rosi sono quelli che muovono i veri cristiani alle buone opere, i quali, considerando che sonodiventati per la fede figliuoli di Dio e partecipi della natura divina, sono incitati dallo Spirito santo,che abita in essi, a vivere come si conviene a figliuoli di un tanto Signore, e si vergognano dinon servare il decoro della loro celeste nobiltà, e però mettono ogni studio nella imitazione delloro primogenito fratello Iesù Cristo, vivendo in somma umiltà e mansuetudine, cercando inogni cosa la gloria di Dio, ponendo l’anima per gli fratelli, facendo bene alli nemici, gloriandosinelle ignominie e nella croce del nostro Signore Iesù Cristo.

B. FONTANINI DA MANTOVA, M. FLAMINIO, Il beneficio di Cristo, Claudiana, Torino 2009, pp. 27-28, 62-64, introduzione e note a cura di S. CAPONNETTO

Quali sono gli«incitamentiamorosi […] chemuovono i vericristiani alle buoneopere»?

Per quale motivo il cristianogiustificato per fede,in caso di ricadutanel peccato, nondeve disperare dellasalvezza eterna?

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Frontespizio di un’edizione de Il beneficio di Cristo.

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Giovanni MoroneNato nel 1509, Giovanni Morone era figlio di un alto funzionario del duca di Milano Fran-cesco Sforza; Girolamo Morone, il padre del futuro cardinale, come Francesco Guic-ciardini e papa Clemente VII era preoccupato dello straordinario potere che Carlo V ave-va assunto in Italia, dopo il clamoroso successo di Pavia, nel 1525. Pertanto, appoggiò ilprogetto di una lega antimperiale, che tuttavia sfociò nel disastro del sacco di Roma (1527)e provocò la completa rovina sia del duca di Milano, sia della famiglia Morone.Pur essendo inizialmente privo di una sincera vocazione religiosa, e persino sfornitodi una specifica formazione teologica, il giovanissimo Giovanni ottenne allora dal papala possibilità di diventare vescovo di Modena, a partire dal 1529, e poi una serie diincarichi diplomatici presso la corte di Vienna, che gli permisero di entrare a direttocontatto con l’esplosiva situazione tedesca. Mentre altre figure disponibili al dialogocon i luterani giunsero alle loro posizioni concilianti e dialogiche in virtù di percorsispirituali e raffinate meditazioni teologiche, Morone agì quasi sempre da abile politi-co: aveva toccato con mano che la repressione, da sola, non avrebbe mai ricucito lostrappo apertosi con le Tesi di Lutero, che per altro toccava una serie di veri proble-mi, molto sentiti da tutte le coscienze cristiane più sensibili del tempo. Tali questio-ni erano di tipo morale (si pensi al comportamento scandaloso e mondano di vari papi,all’inizio del Cinquecento), disciplinare (molti preti erano ignoranti, così come nu-merosi vescovi non erano all’altezza del loro compito di guide della Chiesa, a livellolocale) e perfino teologico, in quanto il senso del peccato e il timore del-la punizione eterna generavano angosce e frustrazioni, che trova-vano sfogo nel culto mariano o nella venerazione delle reliquiedei santi. Morone cercò sempre il dialogo, con i protestanti, se-guendo una procedura che – con il passar del tempo –fu ritenuta sempre più sospetta da Gian Pietro Cara-fa, il cardinale che sosteneva nel modo più coerentela necessità della linea dura: «Li heretici si voleno trat-tare da heretici», soleva dire, insistendo sul fatto chei dissidenti dovevano sottomettersi, oppure essereschiacciati. In virtù del suo «heretico spirito di cer-car d’accordare fra catholici et heretici», quandoCarafa divenne papa (nel giugno 1555) con il nomedi Paolo IV, il tribunale dell’Inquisizione (oSant’Uffizio) aprì formalmente un’inchiesta con-tro Morone, che fu addirittura arrestato e dete-nuto a Castel Sant’Angelo dal 1557 al 1559. Solola morte di Paolo IV pose fine al procedimento, chesi concluse con una solenne assoluzione proclama-ta il 13 marzo 1560. Nell’istruttoria del processo, ebbe un ruolo determi-nante il domenicano Michele Ghisleri, mentre Moro-ne poté invece sempre contare sul leale appoggio di Car-lo V, che condivideva i suoi sforzi di trovare strade di me-diazione alternative alla repressione pura, per affrontare ladelicata situazione religiosa tedesca. Nel 1566, Ghisleri fu elettopapa con il nome di Pio V, e la sua candidatura fu apertamente soste-nuta dal nuovo re di Spagna, Filippo II, figlio di Carlo V, che dunque spostò il propriosostegno «dal Morone al Ghisleri, dall’inquisito all’inquisitore, dall’imputato al giudi-ce» (M. Firpo). Era segno che non solo la Chiesa, ma anche il più potente dei sovranicattolici aveva scelto la via della guerra senza quartiere contro l’eresia, svuotando di qual-siasi significato i progetti di chi ancora sognava una riconciliazione o almeno una con-vivenza pacifica e una soluzione politica basata sulla tolleranza.

Ritratto del cardinaleGiovanni Morone,dipinto della primametà del XVIII secolo diartista ignoto (Bologna,Quadreriadell’Università).

Un abilediplomatico

R i fe r i me n t os t o r i o g r af i c o

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DOCUMENT ILa linea cattolica intransigenteLa posizione di Pole, di Morone e degli altri religiosi disponibili a dialogare con i protestanti anche

sul terreno dottrinale emerge con particolare chiarezza se confrontata con l’atteggiamento intransigentedi chi voleva ricorrere solo alla repressione. Il testo seguente si incontra in un lungo memoriale invia-to nel gennaio 1559 da Zaccaria Delfino al cardinale Carlo Carafa, a proposito della grave situazione te-desca. «Per la Chiesa di Roma, prima ancora di una lotta dura e difficile contro un nemico esterno, con-tro le eresie dei riformatori e gli eserciti dei principi tedeschi, questi decenni segnarono anzitutto unaspro scontro interno per la definizione dei presupposti, delle verità e degli strumenti con cui quei ne-mici avrebbero dovuto essere combattuti e vinti» (M. Firpo).

Dio volesse, illustrissimo et reverendissimo monsignore, che le cose concernenti la santa fedefussero state sempre trattate con quella reverentia di Dio et vive fede che oggi sono trattate dala Santità di Nostro Signore, et Dio volesse che quello heretico spirito di cercar d’accordare fracatholici et heretici non avesse regnato, et hoggidì non regnasse in molti: perché di qua stimoche sia nato tutto il fondamento del male che hoggidì pate [soffre, n.d.r.] la christiana repubblica,et peggiori sono questi che stanno de mezzo, più dannosi questi mediatori della concordia chenon sono li manifesti heretici. […] So ben che simil cose non ponno [non possono, n.d.r.] esserricordate senza lagrime da chi è christiano, et concludo che chi è tale deve più tosto voler mo-rire che lasciar levar ad istanzia di heretici [per compiacere gli eretici, n.d.r.] un solo iota [la let-tera più piccola dell’alfabeto ebraico, n.d.r.] delle sacre Scritture né alterare la verità della santafede o vero vendere li santi dogmi di quella per dinari da far guerra al Turcho.

M. FIRPO, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone (1509-1580) e il suoprocesso d’eresia, Morcelliana, Brescia 2005, p. 467

Quale atteggiamentoassumevano «coloroche stanno demezzo»? Qualebeneficio hannoportato, secondol’autore, agliinteressi dellaChiesa di Roma?

Quale accusa vienemossaall’imperatoretedesco?

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Il caso modeneseModena, la città di cui Morone fu vescovo nei decenni centrali del XVI secolo, contava 12268 anime nel 1509, ma poi fu colpita da carestie e pestilenze negli anni 1526-1528. Neidecenni seguenti, si registrò un significativo processo di spostamento della popolazione dalcontado al capoluogo; pertanto, nel 1549, la città contava circa 20 000 anime, una cifrache rimase sostanzialmente costante fino al 1581. In questi trent’anni, Modena registra undiscreto e stabile benessere economico, proveniente soprattutto dall’esportazione di tessutipregiati in lana, velluto e seta. In quell’ambiente benestante e relativamente colto, il mes-saggio protestante riuscì a diffondersi e a mettere stabili radici per diverso tempo. Modena è la città italiana che ha conservato l’archivio dell’Inquisizione più ricco e piùcompleto. Oltre tutto, questo centro nel cuore dell’Emilia-Romagna registrò nel Cinquecentoun’altissima presenza di eretici, al punto che un principe luterano tedesco, negli anniTrenta, la definì come la «sola benedica in Italia». I primi segnali di dissenso religioso indirezione lutherana (il termine, però, è spesso usato dalle fonti in modo alquanto vago egenerico) comparvero nel gruppo dei sacerdoti che prestavano servizio in cattedrale e chea quell’epoca erano denominati canonici. Inoltre, si fece notare in breve tempo un circo-lo culturale denominato Accademia e composto da laici, alcuni dei quali erano medici (comeGiovanni Grillenzoni), altri docenti di scuola, altri ancora esponenti di spicco delle piùprestigiose famiglie cittadine (come i Molza e i Rangoni).Il vicario del vescovo Morone – spesso assente dalla città, per gli incarichi diplomatici ri-cevuti dal papato, da svolgere in terra tedesca – non riuscì a tenere sotto controllo la si-tuazione. Solo a partire dal 1542 iniziò una lenta controffensiva cattolica, che prima ditutto ricondusse all’ordine gli accademici, obbligati a sottoscrivere una dichiarazione diortodossia. Coloro che non vollero piegarsi si allontanarono dalla città; è possibile, tut-tavia, che numerosi degli intellettuali obbligati a conformarsi per evitare un processo loabbiano fatto solo in apparenza, conservando in coscienza le proprie convinzioni ereti-che. Questa opinione è sostenibile in base al fatto che, negli anni Quaranta, la città erastata tutt’altro che purgata dall’infezione dell’eresia. Semplicemente, questa modificò i pro-pri connotati e i propri caratteri. Innanzi tutto, registriamo una capillare diffusione di opi-

Una città “infetta”

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nioni protestanti a livello popolare (lutherani me-chanici, li chiama il vicario del vescovo nei suoi scrit-ti), mentre la prima ondata, come si è visto, aveva in-vestito in prevalenza elementi del clero, della borghesiacolta o del patriziato. In secondo luogo, il gruppo deifratelli si diede una vera struttura ecclesiale, cioè si tra-sformò in una vera Chiesa alternativa, mentre ac-centuava lo sforzo di non dare nell’occhio. Se neglianni Trenta non erano mancate le prediche pubbli-che a scopo di provocazione, in chiesa o nelle piaz-ze, dopo il 1542 i protestanti modenesi si riuniro-no di nascosto, in luoghi segreti e clandestinamente,sperando di non essere scoperti. Infine, dai fascico-li dell’Inquisizione emerge un progressivo radicaliz-zarsi delle posizioni teologiche, che tendono ad ab-bandonare Lutero per avvicinarsi al calvinismo (sultema della predestinazione e della negazione del li-bero arbitrio) o alle dottrine di Zwingli (a proposi-to dei sacramenti).L’offensiva nei confronti dei fratelli fu lanciata in gran-de stile a partire dall’autunno del 1566: nell’arco dicirca un anno, fu celebrata una ventina di processi,seguiti da altri cinquanta istruiti nel 1568. Un col-po decisivo al movimento fu inferto da un documentopapale del 10 febbraio 1567, che autorizzava il ve-scovo di Modena ad assolvere e ad ammettere di nuo-vo all’interno della Chiesa gli eretici della città chesi fossero personalmente rivolti a lui e che, nel mo-mento in cui si impegnavano a cambiare completa-mente strada, avessero denunciato i propri confratelli.Si verificò allora, all’inizio degli anni Settanta, un vero esodo di modenesi, diretti in-nanzi tutto in Svizzera, nel cantone riformato dei Grigioni. Qui poi, a quanto sappia-mo, molti di essi non si sarebbero adattati passivamente al calvinismo, ma avrebbero as-sunto posizioni molto radicali che, a volte, li avrebbero costretti a un ulteriore esilio.

Donne ed eresia nel ducato di ModenaNei verbali dei processi modenesi, ricorre con notevole frequenza il fatto che gli inquisi-tori dedicarono un interesse del tutto speciale alle donne delle famiglie in cui uno o piùsoggetti fossero stati sospettati di eresia. Innanzi tutto, esse vennero usate come armaper violare la segretezza di un gruppo ereticale chiuso su se stesso. Infatti, quando lamadre o la sorella di una figura di dubbia fama religiosa si recava in confessionale, d’ac-cordo con l’inquisitore il prete incaricato di amministrarle il sacramento minacciava dinegare l’assoluzione alla devota, se non denunciava i nomi di coloro che sapeva fosseroeretici. In altri casi, spontaneamente, alcune donne denunciavano altre figure femmini-li; poteva trattarsi di amiche che si erano lasciate andare a discorsi irriverenti nei confrontidella messa o del purgatorio. In almeno un caso (nel 1553) abbiamo invece una serva chesegnala agli inquisitori il comportamento atipico della propria padrona, che non dice maile preghiere cattoliche tradizionali, non si fa il segno della croce e non impone a figli efamiliari i divieti alimentari tipici della quaresima.Un episodio verificatosi a Sassuolo (distante una ventina di chilometri da Modena) ci ri-vela invece una signora che, con un pretesto, nel 1556 si recò fuori città dal lunedì pri-ma di Pasqua fino al lunedì successivo la festività. Agli occhi degli inquisitori, si trattavadi una chiara strategia per eludere l’obbligo – imposto ai cattolici fin dal 1215 – di con-

Un sospetto ereticoviene torturato duranteun interrogatorio di un tribunaledell’Inquisizione.

Denunciare l’eresiae i comportamentisospetti

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fessarsi e comunicarsi almeno una volta all’anno, in occasione appunto della Pasqua. Gra-zie a tale pratica, ciascun parroco aveva la possibilità di tenere sotto stretto controllo tut-ti i suoi fedeli, minacciandoli della dannazione eterna in caso di confessione fasulla e dicomunione sacrilega. Una decina d’anni più tardi, di propria iniziativa, si presentò inve-ce al vescovo Morone in persona una certa Bartolomea della Porta, la quale – in cambiodell’impunità da poco riconosciuta ai rei confessi disposti a tornare da penitenti all’internodella Chiesa cattolica – confessò numerose deviazioni ed errori. La donna, in effetti, ri-conobbe di aver rifiutato come contrari alla Sacra Scrittura la fede nell’intercessione deisanti, la pratica devota dei pellegrinaggi e il culto delle immagini. Inoltre, dichiarò di averletto con passione Il beneficio di Cristo e di averne condiviso la dottrina fondamentale, cioèla giustificazione mediante la sola fede.I processi testimoniano dunque una diffusione capillare dell’eresia luterana tra le don-ne modenesi, di tutti i ceti sociali, non esclusi quelli alti. Eppure, i verbali conservati nel-l’archivio dell’Inquisizione mostrano che la comunità protestante modenese non era pernulla femminista. Nella città emiliana, non si verifica quel fenomeno di promozione ed eman-cipazione femminile che l’adesione a una setta religiosa dissidente avrebbe svolto, circa unsecolo dopo, nell’Inghilterra sconvolta dalla rivoluzione. Nel Seicento inglese, non è raroincontrare donne che affermano la propria libertà adottando una religione diversa da quel-la del padre e del marito; inoltre, nei gruppi inglesi più radicali, l’idea secondo cui lo Spi-rito santo è concesso in egual misura a tutti i battezzati, senza distinzione tra uomini e don-ne, fece sì che in alcune comunità la preghiera comune o la predicazione fossero guidateda soggetti femminili. All’opposto, le donne eretiche di Modena vivono all’ombra di fi-gure maschili che le hanno istruite, o che comunque detengono le leve più importantisia della cultura sia della guida della comunità. Anche agli occhi dei giudici dell’Inquisi-zione, sono sempre mogli o sorelle di qualche imputato, non soggetti dotati di autono-mia decisionale e portatori di una personale, sia pur eretica, esperienza spirituale.

R i fe r i me n t i s t o r i o g r af i c iIl cardinale Giovanni Morone, tra Modena

e l’EuropaGiovanni Morone fu una delle figure di punta dell’evangelismo italiano, un orientamento che tentò

di trovare un accordo con i protestanti recependone il concetto teologico di base (la giustificazione persola fede) e respingendo ogni prospettiva di repressione violenta dell’eresia. I sostenitori della linea dura,tuttavia, respinsero questa prospettiva e cercarono addirittura di portare Morone davanti all’Inquisizione.

Giovanni Morone era uno dei tanti figli di Girolamo Morone il gran cancelliere di France-sco Sforza duca di Milano, l’artefice primo, insieme con papa Clemente VII, di un tentativodi coalizione politica che cacciasse fuori i barbari – come aveva voluto Giulio II qualche annoprima – per contrapporsi al dilagare dello strapotere di Carlo V al di qua delle Alpi. Tenta-tivo miseramente fallito, com’è noto, destinato a concludersi con quella vera e propria tra-gedia che fu il sacco di Roma del 1527, la cui brutale violenza e il cui epocale significato sto-rico hanno lasciato tracce ancor oggi visibili sugli stessi affreschi di Raffaello nelle stanzevaticane, dove le alabarde dei lanzi tedeschi incisero la definizione di Roma come Babylone il nome provocatorio di Luther su quei capolavori, in cui l’immagine della Chiesa di Romacome erede del mondo antico e la sintesi tra classicità e cristianità celebravano i loro fastisupremi. Non stupisce che il fallimento di quell’infausta iniziativa politica e la caduta delloStato di Milano comportassero anche il crollo, la fine, l’esaurimento del ruolo politico – e an-che delle fonti di sostentamento, della ricchezza, del rango sociale – della famiglia del Mo-rone. Giovane non ancora ventenne, con numerose sorelle da sposare e fratelli di scarsotalento, molto disposti a spendere e poco a guadagnare, per parte sua egli non poté farealtro che cercare rifugio sotto le protettive ali della Chiesa e precipitarsi nella Roma scon-volta e miserabile all’indomani del sacco, allora definita dall’Aretino non più come caput ma

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come cauda mundi [non più capo, ma coda del mondo, n.d.r.],per gettarsi ai piedi di Clemente VII (l’alleato di suo padre) echiedergli un qualche decoroso beneficio ecclesiastico checonsentisse a lui e alla sua famiglia di sbarcare il lunario. Fu così,quasi per caso e controvoglia, che nel 1529 egli divenne ve-scovo di Modena. Eppure, anche in virtù della straordinariaesperienza politica da cui proveniva, entro un breve volgere ditempo il Morone non tardò a rivelarsi come il più abile diploma-tico di cui la Chiesa potesse disporre in quegli anni, proprio nelmomento in cui si imponeva con ineludibile urgenza una rinno-vata iniziativa politica per affrontare finalmente il problema dellaRiforma protestante con la serietà che richiedeva, come la tra-gedia del ’27 aveva ormai evidenziato agli occhi di tutti.

Pressoché ininterrotto fu l’impegno diplomatico del Morone inGermania e in Fiandra dalla metà degli anni Trenta fino al 1542 ecostante la sua presenza alle diete imperiali (Hagenau, Worms,Ratisbona) in cui si svilupparono gli ultimi tentativi di ricomporrepacificamente sotto l’egida [protezione, direzione, n.d.r.] imperialei conflitti religiosi che dilaniavano il mondo tedesco e l’Europa tutta.A Gand e a Vienna conobbe i grandi e dignitari e intellettuali chefrequentavano la corte imperiale, con alcuni dei quali intrattenneveri e propri rapporti d’amicizia personale, primo tra tutti Ferdi-nando d’Asburgo, fratello e poi successore di Carlo V sul trono im-periale. Fu allora che egli venne maturando una concezione politicafondata sulla moderazione, sull’irenismo [sulla risoluzione pacifica del conflitto, n.d.r.], sullavolontà di confronto e di mediazione con i protestanti, sempre più convinto che gli strumentidella repressione fossero del tutto inutili e anzi controproducenti, che anche gli eretici do-vessero essere trattati humaniter [con umanità, senza violenza, n.d.r.], che solo con le armidella persuasione e del dialogo quelle fratture avrebbero potuto essere ricomposte, che aquella ostilità e a quella rabbia, così come alle esigenze religiose che vi si esprimevano, oc-correva dare una risposta anche in positivo, senza limitarsi ad anatemi e condanne. […] Lasua non era soltanto una posizione astratta, di principio: era piuttosto il risultato della con-sapevolezza di chi vedeva le cose come erano, con grande realismo ma senza rassegna-zione, di chi assisteva allo svuotamento dei conventi e dei monasteri, al saccheggio dellechiese, allo sradicarsi di una millenaria istituzione dal tessuto sociale, di chi quindi si rendevaconto di quanto fosse del tutto illusorio pensare, come ancora molti facevano a Roma, dipoter affrontare il problema della Riforma protestante e la frattura della respublica Christiana[l’insieme degli Stati cristiani, in teoria sottoposto alla duplice guida del papa e dell’impera-tore, n.d.r.] solo con le armi delle alleanze politiche e degli eserciti mercenari. Di qui la suainsistente sollecitazione a Roma perché si avviasse finalmente una qualche incisiva riforma,che consentisse alla Chiesa di recuperare una qualche credibilità religiosa, di presentarsi conun volto rinnovato ai suoi interlocutori e avversari tedeschi, di rendere possibili le trattativenecessarie all’avvio dell’impresa conciliare. La conoscenza diretta della realtà effettuale dellecose tedesche, tuttavia, non poteva esaurirsi sul terreno politico, ma imponeva anche l’e-sigenza di indagare più a fondo sulle motivazioni religiose che da vent’anni turbavano e scon-volgevano quel mondo, per capire le ragioni profonde da cui erano scaturite le radicali istanzedi rinnovamento, e poi di rottura e di lacerazione che avevano innervato la Riforma prote-stante. […]

Esaurita la stagione dei colloqui di religione, nel 1541, anche il Morone tornò in Italia, dalmomento che a quel punto non restava altra strada da percorrere se non quella del conci-lio, la definizione della cui sede a Trento fu il frutto di un’altra sua efficace missione diplo-matica in Germania l’anno seguente. E fu allora, nell’estate del ‘42, che a soli 33 anni, comericonoscimento dei suoi meriti e dei risultati da lui conseguiti nel corso del lungo impegnoin Germania, egli venne insignito della porpora cardinalizia e, nell’autunno, inviato a presie-dere la prima e presto fallita convocazione del Tridentino insieme con Reginald Pole. Tuttociò contribuisce a spiegare la grande autorevolezza di cui per molti anni il Morone godetteai vertici del potere curiale, in virtù del suo personale prestigio e della stima e della fiducianutriti nei suoi confronti da parte dei sovrani asburgici, che in futuro ne appoggeranno piùvolte l’elezione alla tiara [ne sosterranno la candidatura a papa; Morone, però, non fu maieletto papa, n.d.r.]

M. FIRPO, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone (1509-1580) e il suoprocesso d’eresia, Morcelliana, Brescia 2005, pp. 38-40

In che modoGiovanni Morone si è dedicato alla vitareligiosa? Si puòaffermare che vi sisia dedicato perautentica vocazione?

Spiegal’affermazionesecondo cui, agiudizio di Morone,ai problemi posti dailuterani «occorrevadare una rispostaanche in positivo».

Fascicolo in cui sonocontenuti gli atti del procedimento e la sentenza definitiva di assoluzione delcardinal Morone dopol’inchiesta aperta su di lui dal tribunaledell’Inquisizione.

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Modena, città heretica marzaNel Cinquecento, Modena fu definita nei modi più svariati. Se un principe protestante tedesco la de-

finiva come la «sola benedica in Italia», le autorità cattoliche usano espressioni durissime, come ere-tica marza (eretica marcia) e infetta del contagio de diverse heresie come Praga. In effetti, insieme aLucca, il capoluogo emiliano fu sede di una consistente comunità riformata, dispersa dalla sistemati-ca attività dell’Inquisizione locale.

Assente dalla diocesi a causa di un pressoché ininterrotto impegno nelle nunziature [at-tività di ambasciatore del papa, n.d.r.] in terra tedesca tra il 1536 e il ’42, il vescovo GiovanniMorone fu tenuto costantemente informato degli sviluppi della situazione dal suo efficientevicario, Giovanni Domenico Sigibaldi, attento a percepire e a denunciare con parole sem-pre più preoccupate il dilagare di «molti errori in dishonor d’Iddio et roina dell’anime», comeil Morone stesso si premurava di far sapere a Roma nel marzo del ’40. «Per diverse vie sonoavisato da Modenna – scriveva poche settimane più tardi – ch’in quella città vi sono pes-simi principii di heresia, et pubblicamente si parla del purgatorio, delle indulgenze, dellamessa, della intercessione de santi, dell’autorità del papa, del libero arbitrio et altri articolinel modo che si fa appresso a lutherani, et gli seminatori di queste zizanie sono astutissimiet cauti et dotti, et si trovavano già haver gran piede». Zizanie la cui scoperta si intrecciava,nelle lettere del Sigibaldi di quei mesi, con la desolata constatazione delle deprimenti con-dizioni in cui versava un clero cittadino ignorante e indisciplinato, di cui non costituivano certoeccezione i canonici della cattedrale, veri e propri «asini da bastone», a cominciare dal pre-posito Bonifacio Valentini, unanimemente «reputato luterano perfetto» e in rapporto con al-cuni stranieri sospetti (tra cui Camillo Renato, proprio allora fuggito da Bologna) che anda-vano in giro per le botteghe «a subornar de queste materie rancide lutherane». […]

«Tutta questa cità (per quanto è la fama, è maculata, infetta del contagio de diverse eresiecome Praga. Per le botege, cantoni, case, etc. ogniuno (intendo che) disputa de fede, de liberoarbitrio, del purgatorio et eucharestia, predestinatione», insisteva nel novembre del ’40 il Sigibaldi,inducendo il Morone a chiedere a Roma che si mandassero inquisitori «discreti, fideli et dotti»,capaci di rimediare a quella situazione prima che fosse troppo tardi, «perché se li buoni ingegniet buone lettere di quella città con qualche adiuto externo si fondassero nel male, come forsi di-segnorno, sarebbe danno irrecuperabile, et fra puoco tempo se ne sentirebbe nova per tutto».

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Pierre Mortier, Piantadella città di Modena,

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Ma per il momento nulla cambiò: «La setta va pur perseverando et moltiplicando, ma nullo [nes-suno, n.d.r.] viene a denunciare», tornava a ripetere nel gennaio del ’41 il vicario, che due mesidopo, sempre più desolato nel constatare la sua impotenza, si scagliava ancora contro quei «novievangelisti smemorati del Christo, non inamorati come se finzeno», tra i quali «moltissimi man-zano carne venere, sabbati non fanno oratione né ieiuni etc. Aboninatione grande!». […]

«Sono pegior questi de la setta qua che non è lutherani, perché mi pare di comprehenderech’habiano abrazato tutte le eresie germanice», si affannava a comunicare in Germania il poveroSigibaldi nell’aprile del ’41, ormai convinto che «a raffrenar le vane opinioni de questa setta nongiova prediche né publiche lettioni», bensì severi provvedimenti repressivi concordemente messiin atto dalle autorità civili e religiose. Lo stesso vescovo suggeriva ormai di venire «alla radice delmale senz’alcun risguardo» per evitare «che tal infirmità… stando nascosta ammorbi tuttaquella Chiesa». Ma anche passare alle maniere forti non era facile, perché «nullo vole essere de-latore né a me né all’inquisitore», scriveva il vicario, rivelando la sua amara consapevolezza dellepotenti protezioni sociali che circondavano gli uomini più in vista del movimento eterodosso. Lenotizie sui colloqui religiosi tra cattolici e protestanti tenutisi a margine delle diete di Hagenau,Worms, Ratisbona circolavano tra gli aderenti alla «setta come se n’havessero lettere ogni giorno,et de tempo in tempo vano dicendo molte impertinenze contra li dogma approvati, secondo l’o-penioni ch’egli tengono o vorrebbero». Nel giugno l’asprezza delle discussioni dottrinali era giuntaal punto di far ritenere «un gran pericolo a valenthuomini predicar o leger publicamente in que-sta cità, dove alchuni vano ad uno estremo, altri da l’altro circa le buone opere, ne le quali al-chuni si confidano troppo, altri in tutto le sprezano dicendo essere soverchie». Per poter rista-bilire un minimo di disciplina in mezzo a tanta confusione era dunque indispensabile unchiarimento dottrinale, in grado di chiudere la bocca a quanti parlavano a vanvera dei più sacrimisteri della fede, che in passato erano stati di esclusiva pertinenza dei teologi di professione eora parevano invadere le case e le piazze di tutta la città. Ognuno si sentiva ormai autorizzato adiscutere di fede e di opere, di predestinazione e libero arbitrio, ponendosi alla scuola di chi nonnascondeva la «speranza (utinam vana) che l’authorità ecclesiastica vada in fumo et che ne li al-tri articoli li sia licito quel che li piace, secondo la libertà christiana carnale a loro modo intesa».Testimonianza inequivocabile, se ancora ce ne fosse bisogno, degli echi e dei consensi che an-che a Modena avevano trovato gli scritti dei grandi maestri della Riforma.

M. FIRPO, Riforma protestante ed eresie nell’Italia del Cinquecento. Un profilo storico, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 54-58

Da quale camposemantico vengonotratte le espressioniusate per definirel’eresia? Qualerisultato si ottienecon tale scelta?

Quali difficoltàincontrò, in un primomomento, l’attivitàdell’Inquisizione?

Donne, eresia e inquisizione a Modena nella seconda metà del Cinquecento

L’adozione di alcune dottrine protestanti non significò affatto lo scardinamento dell’ordine so-ciale, e tanto meno comportò significativi mutamenti nelle relazioni di genere. Gli inquisitori eranoperfettamente consapevoli di questo dato, cosicché dedicarono la maggior parte delle loro indagi-ni agli uomini. Per le donne, sarebbe stato il Seicento il tempo della persecuzione, allorché le preoc-cupazioni per il diffondersi dell’eresia sarebbero state sostituite da quelle nei confronti del reato distregoneria.

Ci troviamo dunque a contemplare un affresco in cui, benché alle donne fosse accor-data una partecipazione formalmente paritaria alle comunità del dissenso, non era am-messa o riconosciuta la possibilità di un ruolo propositivo e concettualmente attivo dellestesse. In altri termini, esse potevano discutere, ripensare e raffreddare, come Bartolomea,le antiche devozioni per far spazio alle consolanti parole della Riforma […], ma, in ultimaistanza, era inconcepibile, tanto per gli inquisitori come per i fratelli, che dalla loro inizia-tiva potesse germogliare l’adesione agli articoli della fede rivisitata. Sono gli uomini chediffondono catechismi proibiti; sono ancora loro a evangelizzare le donne – mogli, sorelle,amiche – e a portarle nei circuiti della protesta; sono sempre gli uomini a guidare le nuovecomunità o i circoli che le componevano. Di questa impostazione al maschile dell’interavicenda ereticale sembra rinvenirsi traccia proprio nella conduzione dei processi a donneaccusate di eterodossia, tutte interrogate non già in quanto potenziali soggetti di autonomaelaborazione teologica e dottrinale, ma in virtù del potere suasorio che gli uomini con cuierano in contatto (e a cui i giudici miravano) esercitavano su di loro. […]

Anzitutto può costituire un dato su cui riflettere il computo numerico e la distribuzionetra i sessi dei fascicoli ancor oggi conservati all’interno dei fondi inquisitoriali: tra il 1540 eil 1570-75, su circa 180 imputati per eresia, solo una decina sono donne, ciò che in ter-mini percentuali sta a indicare come appena il 5-6% degli accusati si possa ricondurre al-

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l’universo femminile. Un indice significativo sotto certi aspetti, ma pur sempre riprova diun coinvolgimento marginale delle donne nel processo di repressione frontale dei fermentidi dissenso posto in essere dall’Inquisizione Romana. Quanto poi emerge dall’indagine sulmerito dei procedimenti a carico di imputate per eresia è la strategia processuale e le fi-nalità per cui i giudici del Sacro Tribunale intrapresero azioni specifiche nei loro confronti:le donne – per lo più mogli, frequentatrici assidue o sorelle – finiscono per costituire unafacile via d’accesso al sistema e all’organizzazione della protesta modenese, in grado didescriverne in maniera precisa i contorni, evitando le reticenze o gli scontri frontali messiin campo dai capi della contestazione religiosa cittadina. Se dunque, come si è più volteaccennato, il ruolo femminile nell’assetto generale dell’eterodossia locale fu marginale, ciòfu dovuto non a un’esclusione tout court delle donne dai circuiti del dissenso, quanto piut-tosto a una configurazione differente e per molti aspetti complementare della funzione aesse assegnate: le donne furono essenzialmente discepole, più o meno convinte, dei pro-pri mariti, amici e affini, talora disposte a coprirne segreti e dissimulazioni, altre volte in-clini a confessioni e prese di distanza dettate da motivi di opportunità. Eppure fu proprioquesta collateralità a una intellighenzia del tutto maschile a garantire quella diffusione ca-pillare del fenomeno ereticale: assieme ad altri fattori, fu il convincimento e il coinvolgimentodel mondo femminile a portare la protesta nelle case, nei mercati e nelle piazze della pic-cola città estense e degli altri centri ducali. L’estensione di questo contagio, giunto sinoalle radici del tessuto sociale, fu alimentato in maniera determinante dal contributo di quelledonne dell’eresia di cui si è cercato di indagare il profilo. Ma molte altre donne furono difatto schierate – a diverso titolo – sul fronte opposto, configurandosi come delatrici e ac-cusatrici di eterodosse, coinvolte nel circuito repressivo e di controllo posto in campo dallamacchina inquisitoriale.

Se si volesse articolare una proposta di lettura della vicenda eterodossa sulla scorta delladistinzione di sesso e nell’ottica offerta dai fondi [dai materiali conservati negli archivi, n.d.r.]del Sant’Uffizio, si potrebbe concludere che, mentre il dissenso religioso cinquecentesco ebbeuna connotazione spiccatamente (e quasi esclusivamente) maschile, nel secolo successivole parti s’invertirono per la rinnovata attenzione dei giudici al mondo della stregoneria gestito(ancora una volta quasi esclusivamente) da donne. Certo in questo secondo caso non ci sitrova più di fronte a deviazioni dall’ortodossia assimilabili alle idee più o meno radicali di cuil’Accademia prima e i fratelli poi si erano fatti portatori. Come ricorda Brian Levaci «è veroche le streghe venivano solitamente considerate eretiche…, ma l’eresia della strega era qual-cosa di completamente diverso dall’eresia di un cattolico o di un protestante non ortodosso».Entrambi però, conclude Levack, «potevano essere perseguiti dalle stesse autorità ed en-trambi potevano fungere da capri espiatori dei mali della società». Questo mutamento di pro-spettiva – a fronte della permanenza dello stesso tribunale – era il prodotto di un cambiamentonella scelta dell’eresia da perseguitare (in parte conseguente al rientrato allarme per l’ondataeterodossa cinquecentesca), nelle priorità che le autorità inquisitoriali avevano posto all’or-dine del giorno e nel quadro più generale che faceva da sfondo alle vicende considerate.Senza addentrarsi in una materia di per sé complessa, ciò che si vuole indicare è come il XVI

secolo non fu, negli ipotetici laboratori delle dottrine ereticali diffusesi in Italia, un tempo ve-nato dalle sfumature del mondo femminile. Sarà invece il Seicento a porre al centro della scena– almeno di quella del tribunale di fede – «migliaia di persone, in maggioranza donne… pro-cessate e condannate a morte con l’accusa di aver stretto il patto con il diavolo e/o di averpraticato malefici mortali (G. Romeo). […]

In questa miscela di innovazione e conservazione si deve concludere, con SusannaPeyronel Rambaldi, che «le donne del popolo o quelle appartenenti ai ceti borghesi sem-brano apparentemente essere state ai margini della discussione religiosa di quei decennie sono poche quelle coinvolte nei processi inquisitoriali». Resta dunque condivisibile il giu-dizio espresso dalla studiosa secondo cui «una storia della Riforma al femminile… è an-cora tutta da scrivere, ed è probabilmente assai difficile da farsi e forse ingiustificata».

M. AL KALAK, Gli eretici di Modena. Fede e potere alla metà del Cinquecento, Mursia, Milano 2008, pp. 74-82

Spiega l’espressione «impostazione al maschile», utilizzata per descrivere la dinamica di diffusione della protesta religiosa a Modena.

A quale titolo e con quale ruolo varie donne furono coinvolte nel circuito repressivo e di controllo posto in campo dalla macchina inquisitoriale?

Spiega l’affermazione secondo cui «una storia della Riforma al femminile», non solo è ancora tutta da scrivere, ma forse è addirittura «ingiustificata».