Perciò Umberto Eco...La Dichiarazione comune Ivissuti religiosi di Freud preanalitico di Roberto...

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20131 Milano - Via Stradivari, 7 Poste Italiane Spa Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia 661 Marzo 2016 La misericordia nella debolezza umana di Michelangelo Peláez L’abbraccio di Francesco & Kirill La Dichiarazione comune I vissuti religiosi di Freud preanalitico di Roberto Contardi Perciò Umberto Eco di Franco Palmieri & Aldo Capucci Sanremo 2016 pagelle di Paolo Ronchetti & interviste di Claudio Pollastri con i vip La galassia islamica: una mappa di Roberto Rapaccini

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20131 Milano - Via Stradivari, 7

Poste Italiane Spa Spedizione in a.p.

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004

n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia

661Marzo

2016

La misericordianella debolezzaumanadi Michelangelo Peláez

L’abbracciodi Francesco & KirillLa Dichiarazione comune

I vissuti religiosidi Freud preanaliticodi Roberto Contardi

Perciò Umberto Ecodi Franco Palmieri

& Aldo Capucci

Sanremo 2016pagelle di Paolo Ronchetti

& interviste di Claudio

Pollastri con i vip

La galassia islamica:una mappadi Roberto Rapaccini

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DEL TUO DOMANI,

PARLIAMONE OGGI.

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na blanda (e divertente) parodia inscena-ta da Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello

per un incidente occorso al presidente della Repub-blica Giovanni Gronchi, costò ai due comici la so-spensione della loro fortunatissima trasmissione te-levisiva Un due tre. Eravamo nel 1959. Qualcuno ètroppo giovane per saperlo, o troppo vecchio per ri-cordarlo? In due parole: il presidente Gronchi, nelsedersi nel palco d’onore della Scala a Milano, ac-canto al generale De Gaulle in visita nel nostroPaese, cadde in terra perché qualcuno alle suespalle, per eccesso di premura, tirò indietro la se-dia un po’ troppo. Nello sketch, Vianello sottrassela sedia a Tognazzi, che cadde e si sentì dire dal-l’impunito Raimondo: «Ma chi credi di essere?».Tutto qui, ma fu il preludio dell’allontanamento diTognazzi e Vianello dalla Rai.Altri tempi, sì. La censura, certo. Ma il ragiona-mento che si fece allora (forse non subito) non è ba-nale. Il presidente della Repubblica, si disse, è unafigura simbolica, non ha un effettivo potere (il pre-sidente Napolitano, in seguito, dimostrerà il con-trario), quindi un simbolo va circondato da un ce-rimoniale di rispetto, pena l’insignificanza. Poi, con gli anni, ci si fece coraggio, e la satira di-lagò. Craxi era rappresentato con gli stivaloni, ilpresidente Spadolini veniva raffigurato nudo de-bordante di cellulite, Berlusconi sempre piccolopiccolo sui tacchi, il primo Renzi con le orecchie diTopolino, eccetera. Ridiamo, ridiamo, e a furia diridere chi meglio di un comico come Beppe Grillopoteva ergersi a leader della protesta? (Con ottimimotivi per protestare, d’accordo). E allora dài, da-gli alla «casta», basta con i politici corrotti, via tut-ti, vogliamo il potere per abbattere il potere. Oppu-re: è tutto uno schifo, siamo nella melma, io non vo-to più (nelle ultime consultazioni quasi la metà de-gli italiani ha fatto questo ragionamento). È patetico rileggere l’articolo 49 della Costituzio-ne: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi li-beramente in partiti per concorrere con metodo de-mocratico a determinare la politica nazionale». Maguarda un po’: la Costituzione affidava ai partiti,con metodo democratico, la determinazione dellapolitica nazionale. Distrutti (e autodistrutti) i parti-

Il nichilismo dello sberleffo

ti, con quale altra mediazione i cittadini possonodeterminare la politica nazionale? Con la farsadelle primarie in cui con un euro si può contribuirea eleggere un rappresentante del partito a cui si èdeciso di non dare il proprio voto? Con la consul-tazione telematica attraverso e-mail magari spiateda guru di partito?Il risultato è che, a furia di parodie, di sberleffi e ditweet, non abbiamo una politica nazionale. Con col-pi di ingegneria costituzionale (ricordate MariottoSegni?) si era cercato di semplificare la politica av-viando l’Italia al bipolarismo, e Berlusconi, col suo«modo nuovo» di fare politica, cavalcò il bipolari-smo perorando per l’alternanza. Adesso anche i «po-li» si sono sfasciati, abbiamo un partito di sinistrache, al governo, fa politica di destra, mentre i bran-delli della destra non riescono a ricomporsi.Due considerazioni. La prima è che il nostro tes-suto sociale è sfilacciato per l’assenza di un con-diviso retroterra morale, perfettamente rispec-chiato dalla politica. La legalizzazione delle co-siddette «unioni civili» ne è l’emblema. A chi ri-sponde il presidente Renzi che con inopinata di-sinvoltura ha posto la fiducia del governo su unalegge di iniziativa parlamentare, dichiarando poi:«Ha vinto l’amore»? È difficile pensare che ri-sponda alla sua coscienza di ex boy-scout. Biso-gna rendersi conto che il cinismo dello sberleffo èespressione del nichilismo ormai dilagato, e se icattolici non si mobilitano per una rifondazionedell’etica civile, le speranze sono affidate al caso.La seconda è che, nonostante tutto, la strategia delnon voto è la più errata. Chi non vota si dichiara conciò indifferente a chi guiderà il Paese, e quindi per-de il diritto di protestare se le cose andranno di ma-le in peggio. Il voto, nonostante tutto, resta l’armadecisiva che la democrazia affida ai cittadini. Nes-suno dei partiti e dei candidati soddisfa interamen-te? In tal caso l’intelligenza suggerisce di scegliereil meno peggio: attenuare il danno è l’estremo com-portamento responsabile. E i criteri per la scelta de-vono riguardare i temi morali di fondo, perché sonoessi a qualificare una «politica nazionale».

C.C.

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Editoriale

U

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N° 661

Il nichilismo dello sberleffo

I vissuti religiosi di Freud preanalitico

Lettera da Nîmes. La grande bellezza di una piccola Roma

Lettera da Gerusalemme. Misericordia per una terra lacerata

Spiritualità. La misericordia nella debolezza umana

Storia. I «Diari» di Gesualdo Nosengo

Testimonianze. Quando i santi s’incontrano

Ecumenismo. L’abbraccio di Francesco & Kirill

Cruciverba d’autore

Piazza San Pietro. Risanare la sanità

Editoria. Così muoiono i santi

Piazza quadrata. Litigiosità che odorano di debolezza

Islàm. La galassia islamica: una mappa

Osservatorio d’Europa. Brexit & il mistero Siria

Finanza. Coincidenze per il crollo in borsa

Addii. Perciò Umberto Eco

Quando Eco difese l’Opus Dei

Inquietovivere

Poesia. Giorgio Bassani, poeta

Concorsi. Giacomo Leopardi bocciato per le «Operette»

Narrativa. Il (torbido) Secretum & la storia

Architettura. Armen Manoukian, architetture per l’uomo

Cinema. Macbeth, tanto rumore per nulla

Teatro. Shakespeare sugli scudi

Musica. Erik Satie, genio & non regolatezza

Festival/1. Cari vip, sapete perdonare?

Festival/2. Sanremo 2016: le pagelle ai cantanti

Libri & libri

Doppia Classifica. Libri venduti & libri consigliati

Riviste & riviste. Bisutti & Genova

Ares news. Il PCI & i presuntuosi «nuovi diritti»

Fax & disfax. Il trucco

Libri ricevuti

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Buona Pasqua con le Edizioni Ares

Tutte le novità nel nostro sito & nella nostra pagina Facebook

www.ares.mi.it

Editoriale

Roberto Contardi

Nicola Lecca

Giuseppe Romano

Michelangelo Peláez

Nicola Guiso

Joaquín Alonso

Documento

Florio Fabbri

Aldo Maria Valli

Antonio Maria Sicari

Dino Basili

Roberto Rapaccini

Giovanni Livi

Stefano Masa

Franco Palmieri

Aldo Capucci

Guido Clericetti

Sabino Caronia

Raffaele Vacca

Alberto Torresani

Leonardo Servadio

Elisabetta Sala

Vincenzo Sardelli

Massimo Venuti

Claudio Pollastri

Paolo Ronchetti

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Mauro Manfredini

Carlo Alessandro Landini

Matteo Andolfo

F.P.

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MARZO 2016ANNO 60°

Mensile di studi e attualità20131 Milano - Via A. Stradivari, 7

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Redazione romana:Via Vincenzo Coronelli, 26/a - 00176 Roma

tel. e fax 06.21.700.782

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DIRETTORE RESPONSABILECesare Cavalleri

CAPOREDATTORERiccardo Caniato

SEGRETARI DI REDAZIONEMilano: Alessandro RivaliRoma: Franco Palmieri

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zione, scrivendo all’Ares – Via Stradivari 7, 20131 Milano.

in questo numero:

Negli scambi epistolari con la fidanzata e in testicapitali nel processo di evoluzione del pensiero preanaliti-co, Sigmund Freud (foto) non teme di riconoscere alla pro-pria teoria in corso di gestazione la continuità con le ipote-si religiose circa la crucialità dinamica del vissuto spiritua-le nella genesi e nella cura del «male» interiore: ecco ilcuore del documentatissimo saggio dello psicoanalista Ro-berto Contardi di cui a p. 122 presentiamo la prima parte.

Come muoiono i santi (Ares) è il nuovo libro di pa-dre Antonio Maria Sicari (foto): a p. 192 anticipiamo il «ri-tratto» dei coniugi Martin e di Gianna Beretta Molla. l Isanti, più di altri, conoscono il valore dell’amicizia: mons.Joaquín Alonso riassume quella che legò due big come Gio-vanni Paolo II e mons. Álvaro del Portillo (p. 180). lLa mi-sericordia di Dio va sempre incontro alla debolezza umana:ne ragiona Michelangelo Peláez a p. 175. l Cambia la Sa-nità in Vaticano: per tutte le news Aldo Maria Valli a p. 190.

Viaggi. Nîmes è un’incantevole «piccola Roma»che Nicola Lecca illustra a p. 170; lo zoom di Giuseppe Ro-mano va sulla Terra Santa lacerata (p. 172), mentre a p. 195Roberto Rapaccini spiega la varietà della galassia islamica.

Letteratura & dintorni. Chi era davvero UmbertoEco? (foto): a p. 202 c’è lo spigliatissimo «addio» (fuori dalcoro) di Franco Palmieri arricchito da un cammeo di AldoCapucci che ricorda come l’autore del Nome della rosa dife-se l’Opus Dei ai tempi del Codice da Vinci. l Cento anni fanasceva Giorgio Bassani, che oltre a scrivere Il giardino deiFinzi Contini fu un ottimo (e trascurato) poeta: a p. 206 Sa-bino Caronia invita a riscoprirlo. lAnche i primi della clas-se qualche volta vengono bocciati: toccò anche al Leopardidelle Operette morali, come ricorda Raffaele Vacca a p. 208.

Musica. Gli «Stadio», capitanati da Gaetano Cur-reri (foto), hanno trionfato a sopresa a Sanremo: per le affi-late pagelle sulla kermesse c’è Paolo Ronchetti a p. 225; ilnostro inviato Claudio Pollastri, spregiudicato come mai, hainvece chiesto ai vip se sanno perdonare come chiede papaFrancesco: le risposte di Carlo Conti, Virginia Raffaele, Ma-dalina Ghenea, Gabriel Garko, Elton John & tanti altri sonoa p. 222. l Un po’ genio, un po’ non regolatezza: questo èErik Satie per Massimo Venuti che lo «riascolta» a p. 221.

Così non va: che occasione sprecata il nuovoMacbeth di Justin Kurzel interpretato dal tenebroso Mi-chael Fassbender (foto); a p. 216 Elisabetta Sala motiva leragioni di un flop. Meglio allora seguire i consigli di Vin-cenzo Sardelli andando a teatro per Shakespeare a meren-da di Elena Russo Arman od Otello unplugged di DavideLorenzo Palla (p. 218).

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tespizio della Traumdeutung (1899), in riferimento a«ciò che nella vita vigile è stato ostacolato nella pro-pria espressione... ed escluso dalla percezione» (ivi553) illuminata della coscienza, rigettato negli infe-ri del mondo psichico, e rimasto in cerca di unaoscura manifestazione onirica notturna.Ancora, nella 2ª edizione del 1909, a commentodelle parole di Giunone seguirà il rilievo dell’inter-pretazione dei sogni quale «via regia che porta allaconoscenza dell’inconscio nella vita psichica» (ivi).Sulle orme di Enea, il transito per il fiume inferna-le, l’accesso agli spiriti del mondo sotterraneo, allevoci delle ombre, avendo retto sulle spalle il pesan-te ricordo del proprio passato, il cieco padre Anchi-se e il legame affettivo con lui, è condizione delperseguimento della conoscenza riequilibrante del-l’animo umano.Di più, in tale passaggio dagli Inferi nel corso delviaggio di fondazione della Città Eterna, è evocato

uale dunque potrà essere lanatura di quella lesione che,nella paralisi isterica, può da

sola dominare tutta la situazione, indipendentemen-te dalla localizzazione, dall’estensione della lesionestessa e dall’anatomia del sistema nervoso? [...]Chiedo soltanto di passare nel campo della psicolo-gia, ciò che è inevitabile quando si tratta di isteria»(Freud 1893a, 79-82).Il 4 dicembre 1896, annunciando a Wilhelm Fliess lapreparazione in atto di un libro sull’isteria, Freudanticipa il programmato impiego di un periodo rit-mico dell’Eneide – le parole irose di Giunone: «Senon potrò piegare gli dèi, mi indirizzerò verso l’A-cheronte» – come esergo al capitolo sulla «forma-zione del sintomo», per raffigurare le spinte pulsio-nali rimosse e deviate nella loro scarica. L’opera nonfu realizzata, e il verso comparve però tre anni dopocon la più significativa funzione di epigrafe sul fron-

In appassionati scambi epistolari con la fidanzata e in testi capitali nel

processo di evoluzione del pensiero preanalitico, Sigmund Freud (foto)

non teme di riconoscere alla propria teoria in corso di gestazione la con-

tinuità con le ipotesi religiose circa la crucialità dinamica del vissuto spi-

rituale nella genesi e nella cura del «male» interiore. In questo saggio, pre-

sentato in due parti, lo psicoanalista Roberto Contardi ricostruisce in que-

sta prospettiva alcuni passi del percorso freudiano, fondamentali per l’ac-

quisito accesso alla definizione e all’ascolto del regno psichico. Nella pri-

ma parte sono indicati i significativi confronti operati con le iniziali ricer-

che istologiche e gli studi sulla cocaina sia nella assunzione del procedi-

mento scientifico per l’approccio al «mondo del pensiero» sia per la de-

terminazione dello specifico del suo oggetto di studio. Un particolare rilievo

nell’avvio di tale movimento è posto però sui vissuti religiosi personali del

giovane Freud, fortemente critico nei confronti dell’ortodossia ebraica, qua-

li tramiti per l’apertura dell’istituendo versante psichico di indagine. Nella

seconda parte, verrà approfondito il passaggio di Freud dalla visibilità nel

campo anatomico all’ascolto «nel regno delle ombre», cioè la formulazione

di una mappatura psichica e di una connessa procedura terapeutica.

I vissuti religiosi

d i Freudpreanalitico

Roberto Contardi

Primaparte

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lo stesso percorso freudiano per la costituzione del-le basi del sapere sulle forze al lavoro nel campoclinico del disturbo mentale, muovendo dalla defi-nizione del suo terreno in quanto compreso dalla vi-sibile topografia anatomica in direzione di un’in-tangibile istituenda topica psichica.Lungo la linea del mio contributo (Contardi 2012)offerto all’approfondimento dell’apprendistato filo-sofico di Freud, il ruolo svolto dal dialogo con la ri-flessione teologica giudaico-cristiana per la crea-zione della scienza psicoanalitica e la definizionedei suoi limiti, della legittimità epistemologica del-l’autonomia del suo sapere da quello medico, inten-do mostrare l’importanza assunta, in tale percorsofreudiano, dai vissuti religiosi e dal loro studio, inconvergenza con i risultati clinici da lui sviluppatiin neurologia pediatrica, per l’avvio della nuova di-sciplina, più precisamente riguardo alla ricerca del-la determinazione del suo oggetto e dell’interventosu di esso. In appassionati scambi epistolari e testicapitali nel processo di evoluzione della propriateoria, vedremo, Freud non teme di riconoscerne«la continuità con le ipotesi religiose; accetta di se-guire il cammino da esse intrapreso e di conservarei loro elementi positivi, salvo poi a cambiare il no-me della causa efficiente» (Urtubey 1983, 20).

Indubbio esito dell’apprendistato filosofico svoltodal giovane Freud nel corso dei primi anni di studiouniversitario, del diretto influsso dei seminari con-dotti da Franz Brentano e della sua Psicologia dalpunto di vista empirico (1874), è la decisa assun-zione del procedimento scientifico per l’approccioal «mondo del pensiero» individuato quale luogocruciale del personale impegno professionale (Con-tardi 2012, 835). La contemporanea e consonantedimostrata dedizione all’esplorazione istologicanell’Istituto di anatomia comparata di Carl Claus –dal quale merita un finanziamento per l’indaginedella struttura delle gonadi delle anguille, presso laStazione zoologica sperimentale di Trieste1 –, pre-paratoria al definitivo internato all’Istituto di fisio-logia di Ernst von Brücke (dal semestre invernaledel 1876 all’estate del 1882) come famulus, allievoricercatore, in istologia delle fibre e delle cellulenervose (Bernfeld 1951, 116; Jones 1953a, 76),contribuisce all’esplicitazione e all’affinamentodella razionalità attribuita da Freud a tale procedi-mento e al suo impiego nell’approccio e nella costi-tuzione del proprio oggetto di studio.Se infatti, come indicato da Jones riguardo alla am-bìta e riconoscente filiazione scientifica da Brüc-

ke2, l’inserimento di Freud in quest’ultima conse-gue l’assunzione e successiva possibile trasposi-zione dei suoi princìpi nell’indagine dei fenomenidel nuovo campo disciplinare in via di definizio-ne3, anche la specificità dell’approccio anatomicoadottato – rendere visibile ed esplorabile il substra-to materiale, ponendosi a un tempo in posizionenon attiva, non sperimentale, rispetto al dato – for-nisce non solo rigore positivo alla visione, ma evi-denzia il ruolo da esso svolto per la costituzionedei suoi oggetti, in quanto rivelati attraverso l’ado-zione di una tecnica adeguata. Le ricerche intrapre-se, su sollecitazione di Brücke, sul Petromyzon esul granchio d’acqua dolce, quali opportunità perricomporre la continuità filogenetica fra la struttu-ra del sistema nervoso di animali superiori e infe-riori4, «nella speranza di poter arrivare, a partiredalla struttura nota, a dei risultati sul suo valore fi-siologico» (Freud 1882, 155), oltre a legarsi al-l’oggettività del piano anatomico e a escludere l’at-tività sperimentale comportano, infatti, significati-vamente, anche l’introduzione, da parte di Freud,di perfezionamenti e innovazioni dei metodi di pre-parazione del materiale cellulare al fine della suaosservazione (Freud 1897a, 366 s.), marcando l’in-scindibilità del collegamento tra costruzione dellatecnica e acquisizione della teoria.È a conferma dell’istituzione in corso di questa po-sizione della razionalità adottata per l’avvicina-mento al mondo del pensiero che possono inqua-drarsi i successivi studi intrapresi da Freud sullacocaina e il suo impiego terapeutico in «formemorbose interpretabili come stati di debolezza edepressione del sistema nervoso» (Freud l885a,168), la prima indagine avviata autonomamente dalgiovane medico durante gli anni dell’internatoospedaliero (1882-1885), varcando «i confini ri-stretti di quell’area di ricerche riconosciuta a cui siera attenuto fino ad allora» (Bernfeld 1953, 154). Ilsuo coinvolgimento in essi5 – più tardi riconosciu-to come un «allotrion», l’intrusione di un elemen-to estraneo e incongruo nel proprio procedere (Jo-nes 1953a, 119), in quanto unico impegno speri-mentale impostato e saggiato in autonomia (Freud1885b)6 –, segna inoltre l’introdotto ancoraggiomateriale all’oggettività clinica, estendendo a que-st’ultima l’atteggiamento positivo impostosi nellaprecedente prassi anatomo-istologica.Attraverso l’esercitato impiego, ai fini di una rico-struzione patogenetica, della psicologia di TheodorMeynert7, correlante ogni evento mentale a un even-to cerebrale tramite dinamiche neurofisiologiche, ècosì infatti certo innanzitutto a livello delle cellulenervose supposte obiettivo della somministrazione dicocaina che Freud ancora indirizza la propria atten-zione alla ricerca del fattore etiologico alla base delprocesso morboso, ascrivendo poi all’alcaloide l’in-cremento del debilitato intervento del sistema nervo-

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Dal tirocinio medicoall’esplorazione del mondodel pensiero

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so sul «flusso sanguigno nei vasi [encefalici] più pic-coli» (Jones 1953a, 448), con il conseguente perse-guito ristabilimento di «una corteccia cerebrale ade-guatamente nutrita» (Freud 1884, 129) e quindi ingrado di abilitare l’equilibrato regolamento delle as-sociazioni mentali. Tuttavia ciò è al contempo indicedel trasferimento in corso della richiesta oggettivitàdegli elementi osservati dal campo micro-anatomicoa quello dei sintomi, materiali positivi di una ricono-sciuta oggettività della clinica. A questo riguardo, an-zi, è inoltre proprio nello studio degli effetti di ordinegenerale più che locale dell’alcaloide8 che ulterior-mente emerge la non riducibilità del trattamento far-macologico all’induzione diretta e costante di azioniuniformemente stabili, evidenziandosi piuttosto laquestione delle «differenze individuali nella reazioneall’alcaloide» (Freud 1885a, 169), punto di sbocco al-la pluridimensionalità dei sintomi, all’ampio spettroottico delle domande da essi poste, non circoscrivibi-li al solo piano luminoso della biologia.Mentre il saggio inaugurale Sulla coca aveva ritenu-to importante ricordare, a proposito della ricostru-zione di storia e usi della pianta sudamericana nellasua terra d’origine, che «gli spagnoli non credevanonei meravigliosi effetti della pianta, che sospettava-no invece essere opera del diavolo, soprattutto acausa della parte che essa giocava nei riti religiosi»(Freud 1884, 118), così da ribadire la necessità del-lo svolgimento invece di un’indagine farmacologicadella sostanza «meravigliosa», lo scritto conclusivosull’alcaloide, Cocainomania e cocainofobia (Freud1887), troverà allora proprio nella considerazionedei pazienti morfinomani vittime di tossicomaniacocainica, poiché «già nelle spire di un demone» (ivi210), l’opportunità per nominare la dimensione sog-gettiva alla base delle differenti (pre)disposizioni in-dividuali9. Con essa, non a caso attraverso la favori-ta evocazione di forze avvicinate dal discorso miti-co-magico, in quanto tali cioè di non riducibile in-quadramento nel campo della ricerca neurofisiologi-ca, trova espressione in procinto di analisi quel con-tinente del pensiero richiamato dalla riflessione reli-giosa motivante l’iniziale avvenuto accesso freudia-no al mondo dello spirito (cfr Contardi 2012). Conessa, ancora, acquisiscono legittimità l’accoglimen-to e l’indispensabile trasposizione dell’oggetto distudio dal piano trascendente a quello della psicolo-gia scientifica, dall’appresa tradizione metafisica auna costituenda metapsicologia.

È nella corrispondenza con la fidanzata Martha, fra ilgiugno 1882 e il settembre 1886 – un periodo ani-

mato da contrastanti impetuose passioni nella vita enell’impegno professionale medico di Freud10, alleprese con le classiche indagini microanatomiche eneurologiche dell’entourage di Brücke e Meynert11,i primi scambi con Breuer12 e Heinrich Obersteiner13

sull’utilizzo terapeutico dell’ipnosi, le innovative ri-cerche sulla cocaina14, l’accesso alla neuropatologiafrancese15 – che i personali vissuti in tema religiosofungono da acquisito tramite per l’apertura dell’isti-tuendo versante di indagine psichico.Certo, l’immediato confronto e distanziamento, co-municato a Martha il 23 luglio 1882, dalla rigidaobbedienza alle regole talmudiche (halachah), pro-ponendo piuttosto contro di esse una «rivoluzione»culturale che, nel solco dell’Illuminismo tedesco diderivazione protestante, riconduca il dogma a og-getto di ponderazione (Contardi 2012, 838), trovaspunto anche dalla ricercata verifica della desidera-ta condivisione, da parte della fidanzata, nel conte-sto di una prospettiva matrimoniale e familiare, del-la propria posizione critica verso la dottrina e la ri-tualizzata condotta pratica dell’ebraismo16. Tutta-via, già nella stessa lettera, scaturita dall’incontrocon un vecchio mercante ebreo, la fede di quest’ul-timo è occasione di una più ampia considerazioneantropologica accreditata nel solco dell’insegna-mento del nonno di Martha – il primo Rabbino Ca-po della comunità degli ebrei tedeschi di Amburgo,Isaak ben Jacob Bernays – e incardinata da Freudsulla riflessione di Gotthold Ephraim Lessing (ivi),evocante, attraverso il richiamo al riconoscimentodi un’educazione del genere umano in azione nelprogresso della storia delle religioni, la necessitàdella comprensione del pensiero, dei suoi arresti pa-tologici o delle sue fertili evoluzioni, su un versan-te altro rispetto a quello biologico: «Io conoscevo lostile [del vecchio ebreo]. La pretesa della SacraScrittura alla verità e all’obbedienza non potevareggere...; su questo punto non c’era nulla da rifor-mare ma tutto da rivoluzionare [umstürzen]; tutta-via vi era un enorme progresso, una specie di edu-cazione del genere umano, nel senso lessinghiano,in questo modo di insegnare. La religione non erapiù un dogma rigido; diventava oggetto di riflessio-ne, ed era volta a soddisfare il raffinato gusto del-l’arte e le maggiori esigenze logiche [logischer]»(Freud 1873-1939, 19).Coerentemente, un anno dopo questa richiamata le-zione del filosofo e drammaturgo tedesco, Freudscrive a Martha di proporsi di collocare «una [sua]statua e di tenere le sue opere in un posto d’onorenella nostra futura casa», nonché di avere già postola fidanzata «sotto la sua protezione, con quel pocodi fede che mi rimane» (lettera del 12 luglio 1883,in Freud E., Freud L. e Grubrich-Simitis I. 1976,96). E, sempre mosso dalla medesima partecipazio-ne per un insegnamento e un’attenzione improntatida «molto spirito e umanità [Geist und Humanität]»

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Dai vissuti religiosiall’indagine psichica

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(Freud 1873-1939, 19), due mesi più tardi stendeun’ampia lettera (di quasi 3.000 parole) al rientrodalle esequie funebri, svolte secondo il rito ebraico,del collega Nathan Weiss, assistente presso la Cli-nica psichiatrica di Meynert, «impiccato[si] in unbagno pubblico nella Landstraße..., di ritorno dalviaggio di nozze [con una ragazza cristiana] da die-ci giorni» (Freud 1882-1886, 50, trad. mia, letteradel 16 settembre 1883).Alle prese con uno «stato d’animo [Gemütszustand]profondamente scosso», avvertendo il bisogno diuna sua personale assunzione elaborativa attraversoil ritrovamento di una spiegazione dell’enigmaticogesto e destino dell’amico, evitando il ricorso a ri-duttivi e difensivi approcci organicisti, respingendol’ausilio del riferimento esogeno a un’infelicità ma-trimoniale («Io non ci credo»), afferma allora l’im-prescindibilità di una narrazione svolta tramite lalunga lettera all’amata. Con essa subito introducealla centralità del ruolo esercitato dal rapporto colpadre – Isaac Hirsch, insegnante di letteratura tal-mudica presso la Scuola ortodossa ebraica Beth Ha-midrash di Vienna17 – per la plasmazione e l’ordi-namento della natura e del carattere di Weiss: «Nonè morto per caso, piuttosto la sua natura [Wesen] siè avverata, le sue qualità [Eigenschaften] positive enegative si sono alleate per condurlo al fallimento,la sua vita sembrava modellata da un drammaturgo,e la sua morte ne è stata la necessaria catastrofe. Ilpadre è lettore alla scuola di religione di qui, unostudioso molto dotato..., ma anche un uomo moltoduro, cattivo, rozzo. Mio padre è un orrore, solevadire Nathan... È morto per la somma delle sue qua-lità» (ivi 50 e 55, trad. mia).Il turbamento e la vergogna provati da Freud difronte alla durezza dell’ortodossia ebraica, avversa-ta anche per mezzo del rimprovero indirizzato alcomportamento avuto durante il funerale da MeirFriedmann18 – un compagno di lavoro e parente delpadre di Weiss –, sono il punto di avvio della rifles-sione sul peso e il suono delle zolle di terra e delblocco compatto della famiglia d’origine, responsa-bili dell’inumazione di Nathan. Il «Dio della Ven-detta» dell’Antico Testamento, oggetto di fede del«selvaggio» ebreo, è interrogato riguardo ai manca-ti avvenuti sviluppo e integrazione delle «qualità»personali dell’amico, causa della sua tragica morte:«Ancora adesso, dopo avere udito le zolle di terrarotolare sulla sua bara, non riesco ad abituarmi al-l’idea... Sul suo cadavere cominciò il litigio dellefamiglie, e, sulla sua tomba ancora aperta, risuonòun grido di vendetta disarmonico, così ingiusto espietato, come se fosse stato lanciato da lui stesso.Il lettore Friedmann, parente e collega del suo vec-chio padre, ... cominciò ad accusare con parolechiare l’altra famiglia di avergli inferto il colpomortale. Per di più parlando con la voce intensa delfanatico, con la grande fiamma dell’ebreo selvaggio

[wilden] e spietato. Noi tutti eravamo impietriti dal-l’indignazione e dalla vergogna di fronte ai cristia-ni che erano tra noi. Era come se avessimo dato lo-ro il diritto di credere che noi adoriamo il Dio dellaVendetta, non dell’Amore» (ivi 50, 55 s., trad. mia).Sbagliano dunque coloro i quali hanno cercato lacausa della morte al di fuori della necessità inscrit-ta nella vita di Nathan. Il legame col padre, la «smi-surata vanità» (maßlosen Eitelkeit) di quest’ultimoalla base di un’accanita richiesta, rivolta ai figli, diaffermazione nello studio e nella vita, la mancanzad’amore patita in famiglia (Es gab keine Liebe indem Hause), hanno favorito il deragliamentodell’«amor proprio» (Selbstliebe) di Nathan in«adorazione di sé» (Selbstanbetung). È alla «forzatrainante» (Treibende) di questa, dell’«amor pro-prio morboso e nefasto come delle sue pretese ri-volte a qualcosa di più nobile» (seine krankhaftschlechten Selbstliebe, wie an seinen auf Edleresgerichteten Anforderungen), che sono riconducibilisia gli indubbi successi professionali dell’amico siala sua insistita e violenta ambizione al matrimonio,scontratasi però con il rifiuto (Ablehnung) dell’a-mata e la propria «incapacità di confessarlo al mon-do» (Unfähigkeit vor die Welt es zu bekennen), disvelare anche a sé stesso la propria natura di uomoconflittuale, che viveva apparentemente «a porteaperte» (bei offenen Türen), ma che in verità «na-scondeva molte cose» (viel verheimlichte) [ivi 50ss., trad. mia].Tutt’altro che inaspettatamente, come testimoniaJones (1953a, 212), «fu la morte di Weiss, promet-tente neurologo, che spinse [in modo definitivo]Freud a scegliere quella carriera». Con tale trage-dia, preciserei19, acquista infatti chiarezza anchel’opportunità dell’assunzione di quella professionein quanto spazio di esercizio di una disciplina scien-tifica per la quale è necessario promuovere una «ri-voluzione» concettuale, affinché elegga cioè comeoggetto di studio proprio quel mondo interno na-scosto, evocato dal vissuto e dalla tematizzazionereligiosa, luogo di collocazione delle «qualità» alcuore del destino dell’uomo.

Roberto Contardi

Roberto Contardi, medico specialista in psichiatria, è MembroOrdinario con funzioni di training della Società Psicoanaliti-ca Italiana e Member Training Analyst della InternationalPsychoanalytical Association. Tra i suoi libri ricordiamo Laprova del labirinto. Processo di simbolizzazione e dinamicarappresentativa in psicoanalisi (ed. FrancoAngeli 2010).

1 Sulle osservazioni di laboratorio condotte da Freud a Trie-ste nel corso di due soggiorni fra il marzo e il settembre1876, vedi Laible 1985.2 Cinquant’anni più tardi, ricordando il suo insegnamento el’ammirazione provata per l’indiscusso Maestro, scriverà dilui come della «personalità che più di ogni altra nella vita hainfluito su di me» (Freud 1926, 419).

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3 Richiamando la fedele corrispondenza tra «le parole cheFreud usò nel 1925 per definire la psicoanalisi nel suo aspet-to dinamico» e «lo spirito e il contenuto» delle lezioni diBrücke, Ernest Jones indica più in generale «l’impostazionefisica» di queste ultime come centrale nella formazione di«quella particolare cornice fisiologica nella quale [Freud]tentò poi di inquadrare le sue scoperte di psicologia» (Jones1953a, 72-74).4 A dimostrazione dell’importanza dell’acquisito insegna-mento fisiologico per la successiva comprensione della di-namica psichica attraverso l’impiego di un’assunzione inchiave evolutiva della libido, Introduzione alla psicoanalisirievocherà la ricerca condotta sul Petromyzon quale analo-gia dei processi in corso nella formazione delle nevrosi(Freud 1915-1917, 497).5 Il primo accenno all’argomento si trova in una lettera del21 aprile 1884 (Freud 1873-1939, 94).6 Jones osserva che «tre volte Freud si cimentò con il lavo-ro sperimentale, e sempre senza successo» (Jones 1953a,85). I primi due tentativi avvennero nel 1878 e nel 1884 al-l’interno del laboratorio e su indirizzo di Salomon Stricker,direttore dell’Istituto di patologia – da lui trasformata da di-sciplina anatomica a fisiologica –; il terzo riguardò appuntola ricerca, autonomamente impostata, sull’azione della dro-ga «sulla forza di certi gruppi muscolari e sui tempi di rea-zione psichici» (Freud 1885b, 156), misurati con un dina-mometro e un neuroamebimetro, quali prodotti oggettiva-mente indagabili dell’indotto umore euforico da parte del-l’alcaloide estratto dalla pianta di coca. Per le sue ricerchesugli effetti terapeutici della cocaina, si conviene oggi nel-l’assegnare a Freud un posto di diritto tra i fondatori dellapsicofarmacologia (Byck 1974, 59).7 All’1 maggio 1883 risale il primo incarico ospedaliero re-tribuito di Freud, in qualità di Assistente, presso la Clinicapsichiatrica di Meynert, il quale, aprendogli le porte del suolaboratorio, «mi fece la proposta di dedicarmi completa-mente e definitivamente all’anatomia cerebrale, prometten-domi la successione alla sua cattedra» (Freud 1924, 79); sutale esperienza e le ricerche del Maestro viennese intorno al-la «clinica delle malattie del cervello frontale, basata sullasua struttura, il suo funzionamento e il suo sistema circola-torio», vedi Hirschmüller 1985 e 1995a; sul pensiero orga-nicista di Meynert e il suo tentativo di messa in parallelo de-gli aspetti anatomo-fisiologici e psicologici della patologiamentale, vedi Lévi-Friesacher 1983.8 È esplicitabile in questo senso il mancato approfondimento,da parte di Freud, della pur scoperta azione anestetica localedella cocaina (Freud 1884, 146), con la conseguente delegaall’amico oftalmologo Carl Koller del suo dimostrato impie-go nella chirurgia oculare; sull’episodio vedi Jones (1953a,121 ss.), la ricostruzione offerta da Hortense Koller Becker(1963), figlia del collega, e le precisazioni fornite da Freud nel1934 in una lettera a Josef Meller (in Eissler 1971, 155 ss.).9 Sulla dolorosa vicenda dell’amico e collega Ernst vonFleischl-Marxow, assistente di Brücke, vittima di un’infe-zione nel corso di ricerche di anatomia patologica, perciòsottoposto ad amputazione del pollice destro e quindi cadu-to nella dipendenza morfinica, nonché sul tentativo di Freude Breuer – seguendo indicazioni scientifiche statunitensi – difavorire una sua disassuefazione attraverso l’impiego di co-caina, peraltro esitando in una cocainomania, vedi Jones1953a, cap. 6 e Hirschmüller 1995b.10 Kurt Eissler lo indica in questo senso come «Sturm undDrang period» (1971, 233).11 Il 7 maggio 1883 Freud riferisce alla fidanzata il conse-guito permesso di lavorare nel laboratorio della Clinica psi-chiatrica all’allestimento e all’osservazione dei preparati

istologici, e il 2 luglio la propria proposta avanzata ad Ale-xander Holländer, «che aveva una buona conoscenza dell’a-natomia del cervello e occupava il posto di assistente diMeynert, che era solito sostituire nell’insegnamento..., di in-traprendere insieme uno studio approfondito del cervello delbambino neonato» (Jones 1953a, 248). Il 18 gennaio 1884esprime a Martha l’entusiasmo provato all’Ospedale gene-rale per avere «finalmente cominciato a occuparmi diretta-mente di malattie nervose; spero di aver pronta la mia primapiccola pubblicazione» (Freud 1873-1939, 79): Un caso diemorragia cerebrale con sintomi indiretti basali di focolaionello scorbuto.12 Nella lettera del 19 novembre 1882 – ricordata da Jones(1953a, 280) – Freud, assistente nella Clinica medica di Her-mann Nothangel, riporta a Martha il profondo interesse su-scitatogli dal primo racconto, fornito da Breuer il giornoprecedente, del trattamento di Anna O., riguardo al quale«discusse i dettagli infinite volte» (ivi).13 Su Obersteiner, docente di anatomia e fisiologia del siste-ma nervoso centrale all’Università di Vienna, sulla sua ami-cizia con Breuer e von Fleischl, i legami con Brücke, gli af-fettuosi scambi con Freud e le supplenze mediche di que-st’ultimo nella sua Clinica Neurologica privata, vedi le let-tere dell’8 e 19 giugno 1885 (Freud 1873-1939, 128-132).Cfr anche Freud 1888a e Fichtner e Hirschmüller 1988.14 Il 21 aprile 1884 annuncia il «progetto... di un esperimen-to terapeutico... a proposito della cocaina» (Freud 1873-1939, 94).15 Dall’arrivo alla Salpêtriére con i propri preparati istologi-ci e il biglietto di presentazione del neurologo viennese Mo-ritz Benedikt (su Benedikt e l’influenza avuta su Freud vediAndersson 1962, 110; Ellenberger 1973, 113 ss.), all’ac-compagnamento di Jean Martin Charcot al laboratorio el’assegnazione del «materiale di cui ho bisogno per il lavo-ro da me scelto (hai mai sentito parlare di degenerazione se-condaria?), e Charcot ha scritto una lettera a un altro profes-sore perché possa avere cervelli di bambini» (lettera del 21ottobre 1885, ivi 151), all’appassionante scoperta dell’ap-proccio clinico del neuropatologo francese: «Adesso mi tro-vo veramente a mio agio, e credo di trasformarmi profonda-mente. Voglio dirti, in particolare, ciò che esercita influenzasu di me. Charcot, uno dei più grandi medici, un uomo dalgeniale equilibrio, sconvolge semplicemente tutte le mieidee e i miei piani. Dopo certe lezioni esco da lui come daNotre-Dame, con nuovi sentimenti di ciò che è perfetto»(lettera del 24 novembre 1885, ivi 159).16 Il figlio Martin testimonierà che «la famiglia Freud si di-stolse dalla religione e dai riti ebraici...; venivamo cresciutisenza nessuna traccia del rituale ebraico; le nostre festivitàerano il Natale, con doni sotto l’albero di candele accese, ela Pasqua, con uova pasquali allegramente dipinte» (FreudM. 1967, 203 s., trad. mia).17 Wistrich 1989, 727.18 Ivi.19 Il pragmatismo di Jones conduce quest’ultimo a formula-re l’ipotesi riduttiva che alla base di tale decisione risiedes-se il calcolo della costituitasi vacanza del «posto» ospeda-liero occupato dal collega (Jones 1953a, 212). Con il mede-simo atteggiamento, ma con maggiore imbarazzo, pur nontacendo che «Freud pensò di abbracciare la “confessione”[cristiana] protestante» (ivi 213), lungi dal considerare il va-lore dell’evoluzione critica in corso, da parte del Maestro,nei confronti della teologia ebraica del Dio dell’Antico Te-stamento, Jones correla tale proposito, esplicitatosi in occa-sione della realizzazione del sentito fondamentale matrimo-nio con Martha, al ricercato modo «di potersi sposare senzale complicate cerimonie ebraiche che tanto odiava» (ivi).

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quez riteneva più efficace e curativo di qualunquepossibile medicina: la felicità.È mattina, dunque. Lasciata Marsiglia, il treno co-lor nocciola diretto a Bordeaux attraversa campa-gne piatte, puntellate da vecchie fabbriche, fattorie,trattori e cipressi. Nelle vigne, i filari delle viti sem-brano un pentagramma tanta è la millimetrica pre-cisione con la quale sono state allineate. Sulla via,il villaggio di Tarascon offre alla vista il privilegiodel suo castello e l’inaspettato contrasto con le paleeoliche che, in lontananza, sembrano volerlo pro-teggere da improbabili attacchi nemici.Una voce annuncia, quasi cantando, la lista dei pa-nini e delle bevande disponibili. Nel vagone risto-rante si serve anche whisky.Il treno arriva a Nîmes con quaranta minuti di ritardo.Un disagio che le ferrovie francesi ripagheranno aiviaggiatori grazie un adeguato rimborso. In stazione, adaccoglierli, c’è un pianista. Le sue note vestono l’an-drone d’allegria, mentre, ignorata dai più, una lapidecommemorativa elenca i nomi e l’età dei cinquantabambini assassinati ad Auschwitz e Sobibór dai nazisticon la complicità attiva dello Stato francese di Vichy. Ilpiccolo Claude Berr aveva appena due anni quando fuucciso. Assai probabilmente, oggi, sarebbe ancora vivo.Un solenne viale «alla francese» accoglie chi escedalla stazione e lo accompagna con grazia fino alcentro storico. In una giornata di pieno sole, la millenaria arena appa-re improvvisa con la sua imponenza solida e bianca.Sedersi in solitudine a contemplare il silenzio pietrifi-

La grandebellezza

di una

piccola Roma

NicolaLecca

Letterada Nîmes

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riguardo di Nîmes le enciclopedie rac-contano che si tratta della città francese

più ricca di monumenti romani: spiegano che sorge sulluogo dell’antico Nemausus (colonia di diritto latinoagli inizi dell’Impero), e che conserva un imponenteanfiteatro in blocchi di pietra a due ordini di arcate conparte della gradinata ancora intatta, attico e relativimensoloni per i pali del velario. Non solo: sottolinea-no che, oltre ai resti di un teatro romano, agli aggraziatiavanzi di quello che duemila anni or sono fu uno sta-bilimento termale e a una Torre Magna di rara impo-nenza, questa città francese custodisce anche La Mai-son Carrée: un tempio romano corinzio ed esastilo, co-struito poco prima di Cristo da Agrippa, sopravvissutoagli insulti dei tempi, e mantenuto nei secoli in eccel-lenti condizioni dagli abitanti della città. Ulteriori ri-cerche vi racconteranno che nel Medioevo Nîmes di-venne celebre per i suoi tessuti pregiati e per i sontuo-si velluti che qui venivano prodotti per glorificare i pa-lazzi reali di mezzo mondo.

Quello che nessuna enciclopedia potrà mai riferirvi,invece, sono le suggestioni offerte da questa poeticacittà durante un qualsiasi giorno di primavera. Sugge-stioni piccole, minute, insignificanti rispetto all’im-ponenza della sua storia: ma capaci, comunque, discatenare quel sentimento che Gabriel García Már-

A

Imponenza storica & poesia

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cato delle sue gradinate, significa perdere l’orienta-mento temporale: dimenticarsi per un attimo del pre-sente e ritrovarsi sospesi in una dimensione imprecisa-ta: in bilico fra realtà, suggestione e fantasia. Fuori, d’intorno, i tanti bistrot traboccano di allegria ele vetrine dei droghieri appaiono teatrali, tanta è la cu-ra con cui sono state allestite. Una rivendita di preliba-tezze alimentari propone in bella vista confezioni vin-tage di sardine all’olio d’oliva di Nizza, piccoli vasettidi mostarda all’estragone e deliziose terrine di cin-ghiale e rosmarino.

Per le vie del centro regnano i colori chiari. Celestepallido, blu sbiadito, giallo ocra e rosa antico con-vivono in armonia cromatica, mentre un suonatoredi fisarmonica rende possibile per tutti la colonnasonora de Il Padrino.Fra le molte frecce che la pasticceria Maison Villa-ret ha al suo arco primeggiano i biscotti al miele conle mandorle, le torte ricoperte di meringa caramella-ta e i ventagli croccanti al burro salato. Ma i prezzia Nîmes sono alti. Pensate: nella vicina bottega Sa-veurs Méditerranée occorrono 7,20 euro per acqui-stare un solo chilo di pasta De Cecco.Nella Piazza dell’Orologio, la cinquecentenaria torreè così ben tenuta da sembrare nuova: una scolarescala circonda di spensieratezza, di bibite fresche e dipanini preparati con cura da madri premurose.Una giovane mendicante dagli occhi cerulei ringra-zia chi le ha appena offerto un insperato croissant.Nella Place aux Herbes i tavolini dei bistrot si avven-turano quasi fin dentro la Cattedrale, che è buia: perfar risaltare con clamore le tante vanitose vetrate mul-

ticolore. Delle settecento sedie in legno disponibili aifedeli, soltanto una è occupata da chi prega. Ovattatida mura millenarie, i rumori della città si percepisco-no come un mormorio lontano, vinto da un silenziofreddo, buio e pallidamente illuminato dai lumini.Poco lontana, la rinascimentale facciata del presbi-terio si mostra in pieno contrasto con tutto il resto.Ma è il retropalco offerto dalla piccola Place duChapitre a offrire l’emozione fra tutte più inattesa:una sorta di inspiegabile armonia capace di conta-giare chi si ferma tra i suoi palazzi orgogliosamentefatiscenti, ad ascoltare il rassicurante scroscio di unafontana a gradoni. Fin da subito ci si rende conto chequello è un luogo adatto a essere felici. E, infine, il tempio: che è parte viva della città. Perchégli studenti si siedono sui suoi monumentali gradoni efra le sue colonne millenarie senza provare soggezione:ma soltanto rispetto. Come se quello fosse il cuore diNîmes e loro volessero farne parte a tutti gli effetti. For-se al mondo non esiste un tempio romano meglio pre-servato della Maison Carrée di Nîmes. Eppure nessunovigila: perché nessuno distrugge. Nessuno vandalizza. Sono lontani i tempi in cui il futuro si leggeva nelle vi-scere delle capre sacrificali e in cui la città era protet-ta da sette chilometri di mura costruite con tredicimi-la tonnellate di pietra. I cruenti spettacoli dei gladiato-ri, ormai, sono stati sostituiti da pacchiane messinsce-ne a beneficio dei turisti, eppure in questa piccola Ro-ma (molto meno grandiosa e molto meno solenne del-la nostra) tutto sembra più amato da chi la abita: e me-glio rispettato. Ecco, forse è questo il motivo dellagrande bellezza di Nîmes: l’amore che i suoi abitantiprovano per essa e che si percepisce ovunque nel sen-so civico e nel rispetto di ciò che è stato e che, inden-ne, può continuare a esistere: per incantare.

Nicola Lecca

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Rispetto & senso civico

Il centro storico di Nîmes, con l’arena romana.

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canto, da continue protuberanze aggressive di sol-chi e di confini, come abitualmente non accade nel-la pianura padana vista al decollo.Impressioni che si accavallano ma, anche, si chiari-scono. Misericordia significa anzitutto scoprire cheDio è più misericordioso di noi, perché pur standocosì le cose – in Terrasanta e in tutte le terre delmondo – sopporta ciascuno e lo ama comunque. Aquel punto ti dici: preghiera, preghiera e ancora pre-ghiera. In Terrasanta è facile: se pregare è contem-plare e visualizzare le scene del Vangelo, qui sonoquelle a calartisi attorno, a venirti dentro, gli ulivibimillenari del Getsemani e lo sciabordare delle on-de del mare di Galilea, lo scorcio di mondo che sidomina dalle Beatitudini e l’ambiente desolato(perché conteso...) del Cenacolo.

E vedi le facce: il vero Yad Vashem di Israele – ilmemoriale perenne voluto da Dio – è quello dei vi-vi, ancor più che dei morti. Quando vai a visitarequel sepolcro di memorie ti impressioni, ma ancoradi più colpisce ogni giorno per strada il prato can-giante dei volti e dei tratti somatici: sì, gli ebrei so-no stati ovunque e da ovunque sono tornati.Quindi eccomi, per una settimana, in giro per Israe-

Misericordia per una terra

lacerata

GiuseppeRomano

Letterada Gerusalemme

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errasanta. Terra di vertigini visive e divi-sive. È sempre il momento giusto per vi-

sitarla, ma durante questo Giubileo della misericor-dia forse lo è ancora di più. Quando vai non te loaspetti – non sai che aspettarti, come puoi sapereche aspettarti da un viaggio nel Dna? –, ma quandoci arrivi lo capisci. Capisci quella frase di papaFrancesco: «Ma ora vorrei lasciarvi una domanda,alla quale ciascuno può rispondere in cuor suo: ioprego per i miei nemici? Io prego per quelli che nonmi vogliono bene? Se noi diciamo di sì, io vi dico:vai avanti, prega di più, perché questa è una buonastrada. Se la risposta è no, il Signore dice: Poveret-to! Anche tu sei nemico degli altri!».Poveretti, tutti noi. Si va nei luoghi santi, si entranella basilica del Santo Sepolcro, e si costata chetutto è suddiviso, che ciascuno ha accampato e di-feso diritti come soltanto suoi. Si sapeva, ma toc-carlo stringe il cuore. E allora anche la terribile osti-lità mediorientale, quel calderone dove popoli con-vivono in armi perenni, ritrova una sua contestua-lizzazione. Come stupirsi che ce l’abbiano gli unicon gli altri, se già nei luoghi più sacri vince la di-visione? Se il Santo Sepolcro è di questi ma non diquelli? Se la spianata del Tempio israelitico è «persempre» casa dell’Islam? Perfino dal primo mo-mento – si licet parva – mentre l’aereo planava suTel Aviv, lo spettacolo dei campi coltivati davaquella singolare impressione battagliera, con la pic-cola geometria dei fazzoletti di terra sempre distur-bata da qualche intrusione nel disegno di quello ac-

T

Convivenza pacifica& 5 porte sante

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le a caccia di misericordia. Ne ho vista nei quartie-ri di Gerusalemme vecchia, in cui ciascuno ha il suo– ebrei, arabi, cristiani –, ma la convivenza è piut-tosto pacifica e sui confini le botteghe si mescolanosenza badare troppo al qua e là, e la Via dolorosasnoda le sue stazioni nel chiasso allegro del suq. Neho vista all’aeroporto, dove tutti controllano tuttima con il sorriso, facendo le centomila domande dirito con cortesia. Ne ho vista nei luoghi d’incontropubblici e per la strada, dove questa nazione di a -tleti e guerrieri all’improvviso sa muoversi all’uni-sono e danzare in musica come ai tempi di Davide,così come anche prega con il movimento del corpo.Hanno senso della fisicità, del ritmo e del ballo inuna misura a noi sconosciuta.Se parli con le fasce etniche di minoranza – la miaguida era un arabo cristiano, cittadino israeliano, re-sidente dalle parti di Haifa – ti dicono per prima co-sa che in Israele si sentono al sicuro: vai a interpel-lare un qualsiasi altro arabo mediorientale, ti dico-no, e fa’ il paragone... Certo, il governo li proteggee ne riconosce i diritti, anche se poi quando qualcheesagitato la combina grossa – tipo le bombe incen-diarie scagliate settimane fa nell’atrio della chiesadella moltiplicazione dei pani, presso Tiberiade – èun po’ lento a reagire. (E, visitando i muri ancoraanneriti in quello scenario per il resto bucolico,quell’antica moltiplicazione prodigiosa ti appareanche un gesto algebrico di carità unitiva, miracolonel miracolo).E poi siamo andati in giro a interpellare i cattolici diTerrasanta. Hanno cinque porte sante, quest’anno,tre dei latini, una dei melchiti e una dei maroniti. Lachiesa maronita di Haifa, dedicata a san Luigi IX, èsemplice e dignitosa, quando ci entro è appena co-

minciata la Messa e c’è una cinquantina di bambiniattenti. Se ne vanno dopo le letture: alla fine donJousef, il parroco – quarantunenne, sposato, due fi-gli –, ci racconta che si preparano alla prima comu-nione; la prossima volta parteciperanno ad altre par-ti della Messa. Si prega in aramaico e in arabo.Quest’antichissima comunità conta 3.700 fedeli adHaifa, diecimila in tutta la Terrasanta, con otto pre-ti. Il Giubileo? Ci mostra orgoglioso la «loro» por-ta santa, che hanno inaugurato festosamente a di-cembre. È un evento molto sentito, si spera portifrutti di pace, e soprattutto – aggiunge il sacerdote– che ciascuno si focalizzi sulla propria personalemisericordia. Sarebbe bello che la misericordia«pubblica» cominciasse simbolicamente da un pat-to tra i cristiani (almeno tra i cattolici...) per cele-brare di comune accordo almeno il Natale e la Pa -squa: gli orientali potrebbero cedere sul 25 dicem-bre se gli occidentali acconsentissero sulla Settima-na santa. L’idea, peraltro, è di papa Francesco, tut-t’altro che peregrina e vedremo se attecchirà alprossimo Sinodo panortodosso a cui il patriarca Ki-rill giunge da fresco amico del vescovo di Roma.La comunità melchita, il giorno dopo, ci viene in-contro nella persona del vescovo, monsignor Geor-ges Bacouni, che è e non può che essere molto di-plomatico. I melchiti sono cattolici di rito bizantino,di antica provenienza siriaca. Sono 75.000 nelladiocesi della Galilea. Visto che i cristiani in Israelesono minoranza nella minoranza (l’1,7% della po-polazione e il 10% degli arabi), devono essere cau-ti. Il Giubileo? Come i maroniti, anche loro hannoaperto una porta santa nella cattedrale dedicata asant’Elia, e svolgono attività pastorali connesse.Monsignor Bacouni è stato vescovo in Siria, nella

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Il Monte delle Beatitudini; a destra, il memoriale dello Yad Vashem.

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martoriata Homs. Lì ha visto i fanatici tratti dallapovertà e allevati da gente venuta da fuori, e ha vi-sto l’inizio della persecuzione dei cristiani.

La comunità cattolica, variegata, la trovi dappertut-to: le identità sono forti, e vanno al di là della pra-tica religiosa individuale. Onnipresenti i francesca-ni della Custodia di Terrasanta: fra Benito Choque,argentino che da tre anni è il «guardiano» del Get-semani, ci racconta che sono 350. Ovunque ci ac-colgono con affetto e disponibilità. A metà pome-riggio padre Severino Lubecki, frate minore polac-co che ad Ain Karem segue la chiesa sul punto do-v’è nato Giovanni Battista (accanto sorge una bellacasa per esercizi spirituali), si accorge che non ab-biamo pranzato e ci prepara al volo un piatto di pa-sta. Giorni prima abbiamo incontrato anche padreTimothy, irlandese, Legionario di Cristo, che aMadgala ha messo su insieme ad altri confratelli unluogo d’incontro e di preghiera, Duc in altum, ac-canto a una sinagoga del I secolo, e trattava noigiornalisti come se – si può dargli torto? – più chedi scambiare chiacchiere avessimo bisogno di unbel ritiro spirituale: detto fatto, in un paio d’ore ciha dato spunti per riflettere a lungo. Grazie.C’è questa contraddizione, in Terrasanta: uomini edonne santi, preti, suore, frati venuti dai quattrocanti del mondo a dare la loro vita, pur sapendo che

difficilmente il loro apostolato approderà a frutti lo-cali tangibili che vadano oltre... la misericordia:convivenza, sorriso, apprezzamento, ascolto, dispo-nibilità. La catechesi esplicita resta riservata ai pel-legrini cristiani che vengono da fuori, perché i cri-stiani di qui sono pochi e tendono ad andarsene: vi-vere, per loro, è difficile e trasmettere la fede ad al-tri è impossibile.Ma il flusso di pellegrini italiani a quanto pare si èprosciugato, se ne vedono sempre di meno; forseper paura, dicono i frati (ma a memoria d’uomo quinon c’è mai stato un attentato contro i pellegrini,non è nell’interesse di nessuno), ma anche perché ilturismo sta prevalendo sul pellegrinaggio. Ora ven-gono soprattutto dall’Indonesia, dalla Corea, dallaRussia. Padre Severino legge il Giubileo invocandoil nostro legame con i «poveri di Gerusalemme»:poveri che sono loro, per mancanza di solidarietà edi vincoli con i fratelli della Chiesa madre. «Dite inItalia che tornino i pellegrini!».Betlemme è a un tiro di schioppo da Gerusalemme,ma – a proposito di divisioni – non ci andremo, per-ché siamo qui ospiti del governo israeliano e quello«è un altro Stato», l’Autorità palestinese.Prima di andare, una parentesi museale per rimette-re a posto la cornice di tutte queste storie. Unosguardo emozionato ai papiri del Mar Morto (dovea denti stretti un cartello informa che i rotoli bibliciritrovati nel I secolo devono molto alla tradizionecristiana), poi una sosta davanti a meravigliosi sar-cofagi e suppellettili da ventimila a seimila anni fa.Quando le civiltà europee erano ancora nella mentedi Dio.

Giuseppe Romano

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«Dite in Italiache tornino i pellegrini»

Sarcofagi di 5000 anni fa nell’Israel Mu seum di Gerusalemme.

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Eterno disegno della misericordiadivina: «Dio ha tanto amato ilmondo da dare il Figlio unigeni-to» (Gv 3, 16). Sua attuazione:«Nessuno ha un amore più grandedi questo: dare la vita per i propriamici» (Gv 15, 13). «Gesù di Na-zareth con la sua parola, con isuoi gesti e con tutta la sua perso-na rivela la misericordia di Dio!»(Misericordiae vulnus, n. 1).Aprendo il Vangelo possiamo di-re, con una felice espressione diCarlo Ossola (Il continente inte-riore, Venezia 2010), che «la mi-sericordia cammina entro la debo-lezza umana». La misericordia èvirtù che guida i fragili sentimentiumani. Comprendiamo perché ilcuore misericordioso di Gesù, «laMisericordia incarnata» (Miseri-cordiae vulnus, n. 8), sia, ieri, og-gi e sempre, il rifugio e la conso-lazione dei poveri cuori umani.La misericordia, oltre che attri-buto di Dio, è virtù teologale, at-to della carità, e virtù morale insenso strettamente umano1. Mache cosa vuole dire a noi oggi lamisericordia di Dio verso gli uo-mini e degli uomini tra di loro?Sempre le stesse cose, ma illumi-nate dal fuoco della veglia pas-quale di quest’anno santo straor-dinario. Con parole di papa Fran-cesco nel Messaggio per la Qua-resima, la misericordia è «bontàgenerosa, fedele e compassione-vole». Se ricorriamo ai dizionaritroviamo elencate particolariespressioni di questa bontà gene-rosa: aprirsi a compassione per lesventure altrui, operare per il be-ne del prossimo, indulgere allesue debolezze, perdonare le offe-se, comprendere gli errori. E seritorniamo al catechismo, ci ven-

gono ricordate le ben note dodiciopere di misericordia corporali espirituali.Tutte le opere di misericordia so-no, infatti, anche espressioni digenerosità, virtù che comporta ilsacrificio dell’interesse personaledi fronte al bene altrui2. Miseri-cordia e generosità hanno un’im-portante nota comune, la gratuità.Sono virtù superogatorie, sannodi dono. Si comprende, perciò,che papa Francesco, parlandodella misericordia, abbia aggiun-to l’aggettivo «generosa» al so-stantivo «bontà». Possiamo direche il misericordioso, come il ge-neroso, non si accontenta di com-piere certe buone azioni e di noncompierne altre cattive, ma dà, inabbondanza, denaro, tempo, com-prensione, perdono. È significati-vo che Tibor R. Machan nel suolibroGenerosità, virtù civile (Ma-cerata 1998) includa questa virtù

nella «famiglia dei princìpi mora-li della benevolenza», e cioè diuna bontà che porta a «compierespontaneamente delle azioni buo-ne: fare regali, fornire aiuto econsigli, essere tolleranti e mo-strare considerazione per coloroche possono essere in difficoltà».L’agire di Gesù, come faceva no-tare spesso Benedetto XVI, èsempre improntato a generosità, èsegnato dall’abbondanza. Allenoz ze di Cana non fa mancare unvino «generoso» che procede dal-le giare che i servitori hanno ri-empito fino all’orlo (cfr Gv 2, 1ss.). Dopo aver dato da mangiarecon cinque pani e due pesci a mi-gliaia di persone, si riempionocon gli avanzi dodici canestri (cfrGv 6, 1-13). Pietro, dopo una not-te trascorsa senza pescare nulla,docile alla parola di Gesù, getta dinuovo le reti che «quasi si rompe-vano» per la grande quantità di

La misericordia nella debolezza umana

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SPIRITUALITÀ

Vincent van Gogh, Il buon Samaritano, 1890, Otterlo, Kröller Müller Museum (part.)

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l’impegno preso con il Padre dal-l’eternità: «Tu non hai voluto nésacrifici né offerta, un corpo in-vece mi hai preparato, [...]. Ecco,io vengo [...] per fare, o Dio, latua volontà» (cfr Sal 40, 7-9).La storia della salvezza è una sto-ria divina e umana. Riguarda an-che eventi e azioni umane: unagrande trasgressione, il peccatooriginale, e tante disubbidienze eribellioni della creatura nei con-fronti del suo Creatore e Padre, inostri peccati personali. Dioprende sul serio l’uomo nellaconcretezza dei suoi bisogni. Ri-conosce e rispetta la sua dignitàdi persona, libera e responsabiledelle sue azioni, e vede alla deri-va un’umanità in fuoriuscita dal-la comunione con Lui. L’amorenon si ferma davanti all’odio:«Dove abbondò il peccato, so-vrabbondò la grazia» (Rm 5, 20).Gesù non volta le spalle ai nostripeccati, ma se ne fa carico; nonrisponde con indifferenza allanostra indifferenza, ma scioglie inostri cuori di ghiaccio con ilfuoco del suo amore misericor-dioso. L’apostolo Giovanni ne ri-cava un immediato proposito: seGesù «ha dato la sua vita per noi,quindi anche noi dobbiamo darela vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16).

Il pio israelita, e noi cristiani conlui, preghiamo: «Quanto è gran-de il tuo amore, o Dio! Si rifugia-no gli uomini all’ombra delle tueali, si saziano dell’abbondanzadella tua casa, tu li disseti al tor-rente delle tue delizie» (Sal 36,9). San Paolo ricorda ai cristianidi Corinto, «come abbondano lesofferenze di Cristo in noi, cosìper mezzo di Cristo abbonda lanostra consolazione» e li esorta anon farsi guidare dalla grettezzanel fare l’offerta per la Chiesa diGerusalemme, perché «chi semi-na scarsamente scarsamente rac-coglierà e chi semina con lar-ghezza con larghezza raccoglie-

pesci raccolti (cfr Lc 5, 1 ss.). E aPietro che domanda: «Signore seil mio fratello commette colpecontro di me, quante volte dovròperdonargli? Fino a sette volte?»,Gesù rispose: «Non ti dico fino asette volte, ma fino a settanta vol-te sette» (cfr Mt 9, 21-22). Gesù,Buon Pastore, dichiara espressa-mente: «Sono venuto perché ab-biano la vita e l’abbiano in ab-bondanza» (Gv 10, 10). Gesù, chiamandoci amici, ci hadimostrato un amore sovrabbon-dante, soprattutto con la sua vita,morte, risurrezione e ascensioneai cieli. Il passaggio, pasqua, diGesù dal cielo alla terra e dallaterra al cielo è segnato da unamore compassionevole e ma-gnanimo. Il magnanimo non si li-mita a dare qualcosa, si consegnatotalmente agli altri, a coloro cheama, perché l’amore vero non co-nosce misura, è incommensura-bile. Gesù ha amato ognuno dinoi e si è consegnato a noi (cfrGal 2, 20), ha portato a compi-mento la sua grande opera, l’o-pus magnum redemptionis, ver-sando fino all’ultima goccia delsuo sangue: «È compiuto» (Gv19, 30), sono le sue ultime paro-le. Il Calvario diventa la manife-stazione suprema della Miseri-cordia di Dio. Gesù muore perognuno di noi e da ciascuno si at-tende misericordia verso gli altri.Le parole profetiche si sono av-verate. Gesù mi domanda: «Checosa dovevo fare ancora alla miavigna che io non abbia fatto»? (Is5, 4). Forse qualcuno di noi, tro-vandosi a disagio davanti al fra-tello primogenito crocifisso, bor-botta: «Ma che bisogno c’era ditanto sacrificarti per me? Nonpotevi farmi pesare meno il tuoamore, magari salvandomi conuna tua sola parola rivolta al Pa-dre?». Certamente, nessun obbli-go ha mosso il Figlio di Dio a da-re la sua vita per noi e farsi cari-co dei nostri peccati. Ma mossoda un amore infinito e fedele si èavvicinato a noi per riconciliarcicon Dio e restituirci una dignitàperduta. Ha mantenuto fede al-

rà» (2 Cor 1, 5).L’Apostolo delle genti precisainoltre quali debbano essere lospirito e i frutti della misericor-diosa generosità cristiana: «Cia-scuno dia secondo quanto ha de-ciso nel suo cuore, non con tri-stezza né per forza, perché Dioama chi dona con gioia. Del re-sto, Dio ha potere di far abbonda-re in voi ogni grazia, perchéavendo sempre il necessario intutto, possiate compiere genero-samente tutte le opere di bene.Sta scritto infatti: Ha largheggia-to, ha dato ai poveri, la sua giu-stizia dura in eterno» (2 Cor 6-9).Consigli da non dimenticare!Gesù ci onora chiedendo la nostracollaborazione per portare a com-pimento la sua opera redentrice:«Siate misericordiosi come il vo-stro Padre è misericordioso» (Lc6, 36). Lo fece, infatti, chiedendoai servi delle nozze di Cana di ri-empire le giare, chiedendo a unSimone Pietro stanco di prenderedi nuovo il largo e gettare le reti,esortando ancora Pietro a perdo-nare senza limiti di alcun generesuo fratello, sollecitando i suoi di-scepoli a distribuire i pani e i pe-sci che si moltiplicavano tra lesue mani. E a loro chiede di rac-cogliere i frammenti avanzati.L’abbondanza cristiana non cono-sce sprechi ed è accompagnatadella cura delle cose piccole. Non contano, nella pratica dellagenerosità misericordiosa, né laquantità né la qualità di ciò che sielargisce. Chi dà ciò di cui dispo-ne ha dato realmente tutto, agliocchi di Gesù qualcosa di un va-lore infinito. Così la povera vedo-va che getta il suo obolo nel tem-pio (cfr Mc 12, 41-44), così il ra-gazzo che consegna i cinque panie i due pesci che servirono persfamare tanta gente (cfr Gv 6, 9).Conta la generosa rinuncia cheispira la donazione. A ragione unadonna generosa disse a chi si ri-fiutava di accettare qualcosa dicui sapeva che lei ci teneva tanto:«Non ha senso offrire una cosa senon si è legati ad essa».Un cuore magnanimo non pensa

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Collaboratoridi Dio

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mai di essere stato troppo gene-roso, non calcola i benefici chepuò ricavare dalla sua liberalità, emeno ancora ne verifica il risul-tato; non si pente del gesto gra-tuito e disinteressato. Vi è nel di-ritto civile una vecchia massimacon la quale si formula l’incom-patibilità tra una vera donazionee la facoltà di ritornare sull’attodi generosità che ne è oggetto:«Dare e ritenere non vale». Nien-te di peggio che continuare a in-teressarsi di quanto si è donato. Non educa alla pratica di una mi-sericordia pasquale limitarsi aproporre occasioni per compiereambigui gesti di generosità. Chesenso ha offrire una cosa in con-dominio o che ci è di ingombro(mobili vecchi, vestiti fuori mo-da, cibi o medicinali scaduti)? Èimportante indicare mete alte,obiettivi ambiziosi, aiutare gli al-tri a essere generosi e cercare direlazionarsi con persone che cistimolano a dare il meglio di noi.La Dickinson ha espresso mera-vigliosamente la sorprendenteesperienza di chi docilmente ri-sponde a questi stimoli: «Non co-nosciamo la nostra altezza / Fin-ché non ci chiamano ad alzarci /E se siamo fedeli al nostro com-pito / Arriva al cielo la nostra sta-tura / L’eroismo che viviamo /Sarà una cosa normale / Non cur-veremo la schiena / per paura didiventare un re».Sono invece da deprecare perso-ne e ambienti dove, come ricor-dava il Guicciardini, «si fa estre-ma diligenza di spegnere ognigenerosità e ogni virtù». Comun-que, occorre sempre fare appelloalla propria coscienza, esigendo-ci, soprattutto quando gli altrinon ci esigono o poco si aspetta-no da noi, perché la mediocritàdilaga. Natalia Ginzburg nellasua opera Le piccole virtù affer-ma saggiamente che si devonoinsegnare ai figli per prime nonle piccole virtù, che peraltro nonsono da considerare spregevolibensì complementari, ma le gran-di, soprattutto quando «non si re-spirano nell’aria». Non il rispar-

mio, ma la generosità, non la pru-denza, ma il coraggio, non l’astu-zia, ma l’amore alla verità, non ladiplomazia, ma l’abnegazione,non il desiderio del successo, mail desiderio di essere e di sapere.Sant’Agostino ricorda: «Si usamisericordia senza offendere giu-stizia». È evidente che l’atto mise-ricordioso presuppone la praticadella giustizia che però dalla mise-ricordia è arricchita e umanizzata.Se vogliamo essere misericordio-si, incominciamo a essere cittadinisolidali che, osservando tutte leleggi giuste, contribuiscono al be-ne della propria comunità di ap-partenenza. Per esempio, pagandole tasse e il dovuto salario, con tut-ti gli oneri sociali, al lavoratore di-pendente. Il vasallo Sancho Panzaaveva buona ragione nel chiedereall’ingenioso hidalgo don Chi-sciotte un giusto salario, poiché,diceva, la regalia o arriva scarsa etarda o non giunge mai. Lo stram-palato don Chisciotte, prima si na-sconde dietro la mancanza di al-cun precedente al riguardo nei li-bri di cavalleria che hanno deva-stato la sua mente, ma poi chiudeil dialogo con una delle tante me-

ravigliose sentenze che abbonda-no nell’opera di Cervantes: valemás buena esperanza que ruin po-sesión («più vale buona speranzache meschino possesso»).Nemico da combattere durantetutta la vita è l’egoismo, la smi-surata affermazione del proprioio che si traveste di mille fogge,anche di rinunce e sacrifici steri-li in cui l’io è onnipresente sottoforma di una ricompensa o dellapretesa di ottenere un totale as-servimento degli altri a ciò che ilnostro io, «esperto in un falsosoffrire», desidera e vuole. Gli esempi di generosità che pro-pone un’agiografia compromis-soria e superficialmente devotapossono di fatto allontanare dalgesto eroico, dalla rinuncia

gioiosa e senza concessioni a ciòdi cui si ha bisogno e si ama. Aproposito della notissima storia(leggenda?) riguardante il gestodi san Martino, soldato romano,il quale, incontrando un mendi-cante infreddolito, lo avrebbe co-perto tagliando la metà del suomantello, si racconta (non ne hotrovato fonte sicura) che san Jo-semaría una volta commentò,con un certo umorismo non privodi valore pedagogico: io vera-mente avrei coperto il mendicocon il mantello intero, oltre tuttoridotto alla metà avrà lasciato in-freddoliti tutti e due.Consegnare il mantello intero si-gnifica rinunciare al calcolo inte-ressato che ridimensiona l’attogeneroso e connota di sottileegoismo ciò che doveva essereinvece una espressione di magna-nimità. Qualcuno ha detto: «Ioho quel che ho donato»; e ancora:preferisco «essere visto ignudoper liberalità piuttosto che vestitoper avarizia».Una cultura segnata da un indivi-dualismo egoista e da una visionedella vita che si considera esenteda obblighi di qualsiasi genere ri-muove il gesto generoso, l’operadi misericordia, come qualcosadi negativo che può giungere asuscitare il rancore, l’antipatia el’odio di chi non vuole mai sen-tirsi in debito e meno ancora es-sere compatito. Infatti si preferi-sce schernirsi o corrisponderecon un immediato e calcolato at-to di generosità piuttosto che sen-tirsi obbligati a tenere aperta unarelazione solidale. In realtà, ilmito di un’assoluta indipendenzada chiunque, coesiste con sottiliforme di parassitismo sociale.Quanti vivono all’ombra delprossimo, pensando orgogliosa-mente di passare inosservati!San Basilio Magno in una suaomelia esorta a largheggiare nellapratica della generosità: «Quantodovresti essere grato al Donatorebenefico per quell’onore che tiviene fatto! Quanto dovresti esse-re contento di non dover tu batte-re alla porta altrui, ma gli altri al-

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Generositàviziata

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le tue. E invece sei intrattabile einabbordabile. Eviti di incontrarticon chi ti potrebbe chiedere qual-che spicciolo. Tu non conosci cheuna frase: “Non ho nulla e nonposso dare nulla, perché sononullatenente”. In effetti tu sei ve-ramente povero, anzi privo diogni vero bene. Sei povero diamore, povero di umanità, poverodi fede in Dio, povero di speranzanelle realtà eterne».Queste parole del Grande Basiliomi ricordano la risposta di unprofessionista benestante che sol-lecitato dall’amico a contribuirecon lui a mettere in piedi un’ope-ra sociale ebbe l’ardire di rispon-dergli con mal celato cinismo:«Ma tu sai che non posso!».Con ancora gli occhi lucidi e ilcuore fremente di chi ha vissutoin prima persona, da amico e fra-tello, la Passione di Cristo, i qua-ranta giorni del tempo di Pasquacostituiscono un tempo favorevo-le per verificare la misura di ge-nerosità della nostra condotta mi-sericordiosa, la magnanimità del-la nostra vita. Quanto tempo,quanti talenti, quanti denari inve-sto nel compiere opere di miseri-cordia corporale e spirituale nellamia esistenza quotidiana?Entriamo nel Cenacolo e perse-veriamo in orazione con gli apo-stoli protetti dalla Madre di mise-ricordia per ricevere la pienezzadei doni dello Spirito Santo checi consentiranno di essere miseri-cordia che «cammina dentro ladebolezza umana».

Michelangelo Peláez

1 San Tommaso afferma che la misericor-dia si può considerare virtù non solo teo-logale, atto della carità, (Summa Theolo-giae, II-II, q. 30 a. 3), ma anche virtù mo-rale riguardante le passioni (ivi, II-II, q.36 a. 3 ad 3). 2 Anche se la filosofia precristiana nonprendeva in considerazione la misericor-dia degli dèi verso il dolore degli uomini,Aristotele nella sua Etica a Nicomaco faprecedere all’esposizione delle virtù mo-rali della magnificenza (IV 2) e della ma-gnanimità (IV 3) una ricca esposizionedella generosità (IV 1).

Lo studio di Andrea Rega, Ge-sualdo Nosengo. Studio sui «Dia-ri spirituali» (1925-1965), Edi-zioni Studium, Roma 2015, pp.224, euro 20) ha un grande valo-re perché evidenzia le profondemotivazioni religiose di uno deimaggiori protagonisti dell’impe-gno culturale, civile e politico-istituzionale dei cattolici italianinel secolo scorso. E ne ha altret-tanto perché la sottolineatura diquelle motivazioni richiama an-che il fatto che la vita e l’opera diNosengo sono state esemplari perla costante ricerca dei modi e de-gli strumenti più idonei al fine didifendere e di diffondere lo spiri-to del Vangelo e la dottrina dellaChiesa nella società (e in partico-lare nel mondo della scuola e del-la cultura) già allora colpite daaggressivi processi di secolariz-zazione. Processi indirizzati, inparticolare, a relegare sempre piùnel privato i valori della fede cri-stiana in Dio creatore, e le sueproiezioni nella società e nelleistituzioni. Dunque gli stessi pro-cessi che oggi – in forme qualita-tivamente e strumentalmente an-cora più aggressive che in passa-to – sono al centro degli interro-gativi e delle difficili (e qualchevolta contraddittorie) risposteche a essi tentano di dare il Papa,i vescovi e i cattolici particolar-mente impegnati nei campi dellacultura, della scuola, dell’infor-mazione, della scienza e della po-litica. La formazione di fede, di vita,culturale e professionale di No-sengo muove dalla famiglia. Siallarga e si affina in una scuolasalesiana (diploma nel 1925), e,dal 1928, entrando a far parte del-

la Compagnia di San Paolo, chedon Giovanni Rossi ha creato perfarne strumento dei cattolici, permeglio capire e meglio dialogare,a viso aperto, nella società, e dif-fondere in essa il Vangelo e ladottrina della Chiesa. Laureatonel 1935 in Pedagogia all’Univer-sità Cattolica, Nosengo si impe-gna subito a verificare nella prati-ca il possibile apporto della neo-scolastica e del personalismo cri-stiano a una pedagogia volta arendere più efficace tra i ragazzi etra i giovani l’istruzione religiosanelle scuole. A questo fine (conpermesso speciale non essendosacerdote) sino al 1939 insegnareligione nell’Istituto Virgilio diMilano, e nel 1940 – chiamato damons. Montini – nel liceo scienti-fico Cavour di Roma. Nelle duesedi viene tenuto sotto particolaresorveglianza dalle autorità fasci-ste (che nel 1940 lo sospendonodall’insegnamento) per la sua di-dattica centrata non sull’autorita-rismo del docente, ma sulla co-stante capacità di coinvolgere at-tivamente gli allievi nei processidi insegnamento e di apprendi-mento. Nel luglio del 1943 No-sengo contribuisce alla stesuradel Codice di Camaldoli per laparte che tratta delle linee-guidanel campo educativo. Dal 1944 al1948 è commissario dell’Asso-ciazione degli scout cattolici(ASCI) avendo sempre apprezzatoil principio fondativo dello scou-tismo: la costante partecipazionecreativa dei ragazzi e dei giovanialla vita dei reparti. Nel 1946 de-clina l’invito della Democraziacristiana a candidarsi alla Costi-tuente per continuare senza remo-re il lavoro di apostolato.

STORIA

I «Diari» di Gesualdo Nos engo

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Gli anni successivi, sino alla mor-te nel 1968, saranno i più fecondidell’impegno religioso e culturaledi Nosengo. Fonda l’Unione cat-tolica italiana insegnanti medi(UCIIM), con fine di diffondere lospirito cristiano nell’insegnamen-to rispettando «la realtà terrena»:apprezzò la scuola pubblica qualeveicolo della democrazia, e nel1962 fu un sostenitore della scuo-la media unica. L’attività dell’U-nione, sino alla fine del ’900, halasciato una traccia profonda e po-sitiva nella storia (poi tormentatae ricca di contraddizioni) di unacategoria sempre centrale nella vi-ta della società. Nel 1950, con au-torevoli docenti laici, promuove il«Movimento Circoli per la Didat-tica» (MCD) per la verifica di nuo-ve metodologie di insegnamento;nel 1954 crea il «Centro Studi pe-dagogici fra docenti universitaricristiani» e l’«Organizzazione perla preparazione professionale de-gli insegnanti» (OPPI). Questa ec-cezionale capacità creativa e ope-rativa nel campo della didatticaera alimentata in Nosengo dallaconvinzione che l’azione di difesae di diffusione dei valori del cri-stianesimo e della dottrina dellaChiesa tra le persone e nella so-cietà dovesse fondarsi, innanzitut-to, sull’impegno religioso e cultu-rale di insegnanti nelle scuole diogni ordine e grado, che afferma-va dovessero «essere prefigurati,preparati, formati, selezionati, bentrattati, aggiornati e accompagnatida coloro cui rispettivamente toc-ca ciascuno di questi compiti».

Rega lo sottolinea – che egli mo-stra nei Diari per l’episodioevangelico della chiamata deiprimi quattro discepoli: Pietro eAndrea, che mentre pescavano, aseguito della chiamata di Cristo,subito lasciarono le loro reti. Se-guiti da Giacomo e Giovanniche, colti dal medesimo invito,oltre alle reti abbandonarono an-che il padre Zebedeo che era conloro. Quanto all’obbedienza, ilvalore che aveva per Nosengo ri-salta da questo pensiero in unquaderno autografo del 1938 nelquale, rivolgendosi idealmente aPio XI, scrive: «Ecco ad un soloaccenno del Papa, ad un solo suocenno io mi sento di tagliarmi latesta di tutte le mie idee, di ri-nunciare a tutto, di buttarmi a ca-pofitto dovunque. Finora Dio miha dato la grazia di non dissenti-re mai dal Papa, di poterlo amarecosì, colla mia vita. Che in mez-zo a tutto il mio male, Gesù nonvede questo poco di buono, que-sta affezione al suo vicario che infondo è affezione a Lui?».Rega infine sottolinea, giusta-mente, la profonda influenzaesercitata sulla formazione reli-giosa e culturale giovanile di No-sengo dagli indirizzi spirituali,caritativi e di opere a serviziodelle persone, delle famiglie edelle comunità, che caratterizza-rono gli anni da arcivescovo diMilano del cardinal Ferrari. Ilbeato, infatti, si era proposto qua-le sua missione quella di «con-servare la fede» attraverso la pre-dicazione, e soprattutto la cate-chesi, portando una costante at-tenzione alla partecipazione dellaicato a tale opera. Alla fine del-la lettura del bel lavoro di Regaviene spontaneo chiedersi: Sa-rebbero oggi utili alla Chiesa ge-rarchica e alle comunità dei fede-li personalità con le basi spiritua-li, le idee e la capacità di tradurlein fatti di Gesualdo Nosengo, alfine di meglio operare per la di-fesa e per la diffusione dei princì-pi cristiani nella nostra societàsecolarizzata?

Nicola Guiso

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Gesualdo Nos engo

Come detto in principio, però, lemotivazioni più profonde delmodo di essere e di operare diNosengo a servizio dei valori cri-stiani e della Chiesa, Rega le sco-pre nelle pagine intime, e inedite,dei suoi Diari spirituali. Da essiinfatti risalta la scelta (fatta dagiovanissimo) di fedeltà alla sol-lecitazione evangelica alla casti-tà, povertà e obbedienza, in fun-zione del proprio operare da cat-tolico nella realtà già secolarizza-ta di quel tempo. Scrive nel Dia-rio il 30 novembre 1929: «Usodei sensi solo per il sacrificio e lamortificazione, della gola, dellapigrizia, e della comodità delletroppe cure di sé. Si perda piutto-sto anche la vita, ma mai la casti-tà». E il 5 ottobre 1956: «La ca-stità non è sola astensione, èamore costruttivo, è amore ispi-ratore di opere. La castità è fon-damento di santificazione perso-nale, perché è amore, donazione,superamento di egoismo. Essaentra in tutte le virtù. È come unmiracolo. La nostra missione loesige [...]. Il mantenimento dellacastità mantiene la pace dell’ani-ma, alimenta la fiducia nel buongiudizio di Dio, fa vedere Dio».La fedeltà al principio di povertàal fine di rendere più efficace illavoro per il Signore è testimo-niata non solo dal fatto che No-sengo ha sempre vissuto col mi-nimo necessario delle risorse del-le sue attività professionali. Maanche dal particolare interesse –

Una eccezionalecapacità creativa

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me di Down, che aveva iniziatola sua grande battaglia in favoredella vita, e che mise in chiaro lagravità dell’aborto. Il titolo dellasua conferenza era «Quando co-mincia un uomo?». Fu la primaconferenza di Lejeune a Roma.La seconda relazione fu tenutadal professore dell’Università diRoma La Sapienza, Augusto DelNoce: «Alle radici di una crisi».La terza toccò al cardinale Jo-seph Höffner, arcivescovo di Co-lonia. In quei giorni si stava svol-gendo a Roma il Sinodo dei Ve-scovi su un duplice tema: «Sacer-dozio e Giustizia». Il cardinalHöffner era il relatore sul sacer-dozio, e lo invitammo perciò aparlare di «Il sacerdote nella so-cietà permissiva». Per quell’in-contro spedimmo l’invito ancheai padri sinodali, ed effettiva-mente ne vennero parecchi.Ricordo che mentre accoglievo lepersone che arrivavano alla con-ferenza, vidi un cardinale insoli-tamente giovane, che non cono-scevo. Seppi che si trattava delcardinal Karol Wojtyla, arcive-scovo di Cracovia. Gli chiesi sepotevamo fargli un’intervista sulsacerdozio da pubblicare in di-verse lingue. Eravamo interessatia far sentire la voce di un vesco-vo che subiva la mancanza di li-bertà del sistema comunista. Egliaccettò e, in capo a qualche setti-mana, ci consegnò le risposte intrentun cartelle scritte a mano in

polacco. Pubblicammo il testo initaliano nella collana CRIS-Docu-menti che avevamo iniziato apubblicare. In seguito uscì in di-verse lingue in vari Paesi.Nel novembre 1972 organizzam-mo altre conferenze sul tema«Violenza, giustizia e redenzio-ne». Il professor Sergio Cotta, or-dinario dell’Università La Sa-pienza, illustrò «Le radici cultu-rali della violenza»; il filosofo Jo-seph Pieper, dell’Università diMünster, intervenne su «La giu-stizia oggi»; monsignor FranzHensgbach, vescovo di Essen epoi cardinale, che era presidentedi Adveniat, l’istituzione dell’epi-scopato tedesco che aiutava laChiesa latinoamericana, parlòdella «Liberazione operata daCristo». Anche in quell’occasionefu presente il cardinal Wojtyla.

Questi precedenti ci indussero ainvitarlo a tenere una relazionenel 1974. Accettò, per il ciclo diottobre. Il tema era «Esaltazionedell’uomo e sapienza cristiana».Il primo relatore fu il professorPeter Berglar, dell’Università diColonia, su «La storia universalee il Regno di Dio»; la secondaconferenza fu del professor Anto-nio Millán Puelles, dell’Univer-sità di Madrid, su «Il problemaontologico dell’uomo come crea-tura»; quella del cardinal Wojtylaebbe come titolo «L’evangelizza-zione e l’uomo interiore».Pubblicammo subito il testo dellarelazione nella collana CRIS-Do-cumenti. Gli organizzatori aveva-

Quando i santi s’incontrano San Giovanni Paolo II & il beato Álvaro del Portillo

Mons. Joaquín Alonso è stato per anni fra i principali collaboratori del primosuccessore di san Josemaría Escrivá alla guida dell’Opus Dei, mons. Álvarodel Portillo, beatificato il 27 settembre 2014. Qui ripercorre alcuni sempliciepisodi che denotano la sintonia quasi amicale che si istaurò fra don Álvaroe san Giovanni Paolo II: è proprio vero che i santi si riconoscono fra loro, insinergia per il bene della Chiesa.

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TESTIMONIANZE

Il cardinal Wojtyla fu presentatoa don Álvaro del Portillo da mon-signor Andrea Deskur, grandeamico e compagno di seminariodel cardinale, durante il ConcilioVaticano II, in un incontro nellabasilica di San Pietro.Si rividero nel novembre 1977,quando il cardinale fu invitato apranzo da don Álvaro nella sedecentrale dell’Opus Dei. Un nuo-vo invito a pranzo, con monsi-gnor Deskur, avvenne il 17 ago-sto 1978. Don Álvaro coglievaquelle occasioni per illustrareaspetti dello spirito dell’OpusDei e delle iniziative apostolichepromosse in tutto il mondo.Prima ancora, negli anni Settan-ta, il cardinal Wojtyla era statotre volte in una residenza univer-sitaria romana, la RUI, diretta dafedeli dell’Opus Dei, dove, inco-raggiati da san Josemaría, alcunisacerdoti che si occupavano delCRIS, Centro romano di Incontrisacerdotali, organizzavano con-ferenze su temi di attualità. Datestimone diretto posso riferirealcuni episodi.

Nell’ottobre 1971 programmam-mo conferenze su «La crisi dellasocietà permissiva». Aprì il cicloil professor Jérôme Lejeune, sco-pritore delle cause della sindro-

Il giovanecardinal Wojtyla

Una conferenzamemorabile

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no suggerito al cardinale di citarealcune parole del fondatore del-l’Opus Dei. Ed egli nel testo in-serì queste parole: «In che modo,plasmando la faccia della terra,l’uomo plasmerà in essa il suovolto spirituale? Potremmo ri-spondere a questa domanda conl’espressione così felice, e a per-sone di tutto il mondo così fami-gliare, che monsignor JosemaríaEscrivá de Balaguer, fondatoredell’Opus Dei, ha diffuso da tan-ti anni: “Santificando ciascuno ilproprio lavoro, santificandosi nellavoro e santificando gli altri collavoro”» (Cfr La fede della Chie-sa. Interventi del card. KarolWojtyla, Edizioni Ares, Milano1978, p. 76).

Il giorno dopo l’elezione di Gio-vanni Paolo II, don Álvaro ebbel’imprevista occasione d’incon-trare e di essere abbracciato dalnuovo Papa al Policlinico Ge-melli, dove era ricoverato monsi-gnor Deskur, vittima di un ictuscerebrale. Il Santo Padre avevavoluto andare subito a visitarlo.E provvidenzialmente anche noinelle stesse ore.Pochi giorni dopo, don Álvaroandò a pregare alla Mentorella,un piccolo santuario mariano nelLazio, dove il cardinal Wojtylaera solito recarsi quando si trova-va a Roma. Da lì inviò una carto-lina al Santo Padre dicendogliche poteva contare sulle migliaiadi Messe che i fedeli dell’OpusDei stavano offrendo ogni giornoper il Papa. Pochi giorni dopoGiovanni Paolo II telefonò diret-tamente per ringraziare. Don Ál-varo chiese allora a don Stanis-law Dziwisz, il popolare don Sta-nislao, segretario personale diGiovanni Paolo II, di poter vede-re il Papa, il quale lo ricevette ilgiorno dopo: fu un’udienza di ca-rattere famigliare, nell’apparta-mento privato.Non era trascorso molto tempo

quando don Álvaro gli fece arri-vare la notizia che per il giornodopo, festa di San Nicola, avevapronte le arance che i polacchisono soliti regalarsi in quelladata. Il Papa rimase sorpreso evolle riceverlo la mattina se-guente. Don Álvaro, insieme al-le arance, gli portò diversi libridi san Josemaría – che ovvia-mente non era ancora santo –, eche interessarono molto il Papa,al punto che poi li fece colloca-re nella stanza dove lavoravanoi suoi collaboratori nella prepa-razione di discorsi e omelie.In quei mesi ebbi la grazia che ilPapa mi chiedesse di andare a co-lazione e a pranzo da lui per par-lare in spagnolo, in vista delviaggio apostolico del Papa inMessico.

Il Santo Padre si affezionò gran-demente a don Álvaro per la dili-

genza con cui si era prodigato inalcune occasioni per le quali gliaveva chiesto aiuto. Una fu a pro-posito dell’ordinazione episcopa-le del suo successore nella sededi Cracovia, monsignor Machar-ski, che il Papa avrebbe celebratonella basilica di San Pietro il 6gennaio 1979. Gli sarebbe pia-ciuto che la cerimonia si svolges-se all’altare della Confessione –l’altare centrale della basilica,sotto il baldacchino del Bernini –ma gli avevano fatto notare cheprobabilmente non ci sarebbestata molta gente e che sarebbestato meglio ripiegare sull’altaredella Cattedra, nell’abside. Il Pa-pa, durante un pranzo, mi disse dichiedere a don Álvaro il suo pa-rere. Don Álvaro m’incaricò didire al Papa di organizzare puresull’altare della Confessione per-ché gli assicurava la partecipa-zione di molte persone. In effetti,mobilitò moltissime gente di tut-ta l’Italia, e la basilica si riempì.Il Papa era felice e alla fine dellamessa ringraziò l’Opus Dei.

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6 dicembre 1978. San Giovanni Paolo II con il beato Álvaro delPortillo che gli ha portato doni per la festa di san Nicola, secon-do la tradizione polacca. Dietro, mons. Stanislao Dziwisz, emons. Javier Echevarría.

I primi incontricon il nuovo Papa

E la basilicasi riempì

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Un’altra volta fece sapere a donÁlvaro che, quando era a Craco-via, in Avvento e in Quaresima eraabituato a celebrare una Messaper gli studenti universitari. Glichiedeva suggerimenti su comeintrodurre la consuetudine anche aRoma. Don Álvaro gli consigliòdi far stampare degli inviti che sipotessero distribuire personal-mente nei quali fosse scritto ilgiorno e l’ora della Messa, e la di-sponibilità dei confessori da dueore prima; e di preparare nella ba-silica di San Pietro una quarantinadi confessionali. Al Papa piacquemolto l’idea e così la Messa si ce-lebrò a partire dal 1979.

con il Papa. Furono dei mesi in-dimenticabili. Approfittando del -le mie visite, don Álvaro facevaarrivare al Papa dei piccoli re-gali simpatici, come per esem-pio un’audiocassetta con dellecanzoni messicane, come LaMorenita, dedicata alla Madon-na di Guadalupe.Uno di quei giorni don Álvaromi chiese di portare al Papa unvideo sull’Opus Dei, curato dalgiornalista televisivo italianoAlberto Michelini, con intervi-ste a coniugi di vari Paesi. Il do-cumentario riportava pure alcunibrani dell’omelia del cardinalKönig, arcivescovo di Vienna,tenuta in spagnolo quando nel-l’agosto 1978 aveva conferitol’ordinazione sacerdotale a unaquarantina di fedeli dell’OpusDei nel santuario mariano diTorreciudad. Gli consegnai il vi-deo dicendo che c’erano delleparole in spagnolo. Il Papa miringraziò. Una mattina mi chia-mò don Stanislao chiedendomidi andare a colazione con il San-to Padre (di solito mi chiamavala sera prima). Feci il più in fret-ta possibile, ma per vari motiviquella mattina arrivai in ritardo.Il Santo Padre era già nella salada pranzo e lo trovai che ridevadi gusto davanti al televisore.Stava guardando quel video nel-la scena in cui il giornalista in-tervistava una coppia di sposiafricani con un bambino; la si-gnora rispondeva velocementealle domande, mentre il maritonon faceva che ha annuire in si-lenzio. E il Papa mi disse: «Guar-da, le donne parlano e noi uomi-ni dobbiamo stare zitti!».

Ricordo pure un episodio del1981, mentre il Papa era ricove-rato al Gemelli dopo l’attentato.Un giorno don Álvaro disse adon Stanislao che saremmo parti-ti da Roma entro pochi giorni eche gli sarebbe piaciuto ricevere

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In alto: Roma, 1971. Il card. Wojtyla, con accanto l’autore del-l’articolo, dopo la conferenza del card. Hoeffner (a sinistra) nellaResidenza Universitaria Internazionale. Sotto: san Giovanni Pao-lo II amava scherzare con la calvizie di mons. Joaquín Alonso.

Come ho ricordato, il Papa ave-va deciso di andare in Messiconel 1979 per un importante in-contro con l’episcopato latinoa-mericano nella città di Puebla,per trattare questioni d’impor-tante attualità nella Chiesa inquel momento, come la teologiadella liberazione. A questo sco-po desiderava aggiornare le sueconoscenze della lingua spagno-la e, attraverso don Stanislao,fui chiamato per parlare in spa-gnolo a colazione o a pranzo

Una visitamattutina

Canzoni messicaneper pregare

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la benedizione del Papa per quelviaggio. Don Stanislao fece en-trare don Álvaro, don JavierEchevarría e me. Don Álvaros’inginocchiò accanto al letto delPapa, baciò il suo braccio e glichiese la benedizione. Quandodopo un po’ di conversazione sta-vamo per andare via, don Álvaronotò che il Papa aveva qualcosasul petto che forse poteva darglifastidio e gli chiese che cos’era.Il Papa rispose: «La cassetta conle canzoni messicane che lei mimandò nel 1978 e che mi aiutanoa fare orazione».

Qualche mese prima era accadu-to qualcosa di molto significati-vo, da collocare nella cornice delconvegno UNIV, organizzato an-nualmente dall’Istituto per la Co-operazione universitaria, pro-mosso da persone dell’Opus Dei.Si trattava di un incontro interna-zionale per studenti, a Roma du-rante la Settimana Santa, al qualepartecipavano studenti di moltiPaesi per studiare alcuni temi diattualità e vivere la Pasqua vicinoal Papa. Già dal pontificato diPaolo VI il Papa riceveva inudienza tutta quella gioventù;Giovanni Paolo II lo fece tutti glianni del suo pontificato, eccettoil Lunedì Santo 2005, perché eragià molto grave, anche se inviòun messaggio che fu letto damonsignor Sandri, sostituto dellaSegreteria di Stato. In una di quelle udienze, nel 1980,uno studente dell’Opus Dei disseal Santo Padre che in piazza SanPietro c’erano molte immagini disanti, ma nessuna della Madonnae che gli sembrava giusto che cifosse. Il Papa gli rispose: «Moltobene! Molto bene!».Quando lo riferirono a don Álva-ro, egli incaricò subito l’architettoJavier Cotelo di pensare a dove sisarebbe potuto collocare un’im-magine della Madonna che si po-tesse ben vedere da piazza San

Pietro, per attirare gli sguardi ditutti i cristiani che giungono a Ro-ma videre Petrum, per vedere ilPapa. Cotelo fece un progetto cheprevedeva un mosaico dell’im-magine Mater Ecclesiae, il cuioriginale è dentro la basilica, inun luogo ben visibile dalla piazza:un angolo del palazzo apostolico.Al Papa piacque molto l’idea echiese che venisse realizzata. L’8dicembre 1981, durante la recitadell’Angelus, dalla finestra dellasua stanza benedisse l’immagineche in effetti si può vedere ancheda lì. Il Papa disse: «Nella corni-ce di questa piazza stupenda man-cava un’immagine che richiamas-se anche visibilmente la presenzadi Colei che la Chiesa, edotta dal-lo Spirito Santo, con affetto dipietà filiale venera come Madreamatissima (Lumen gentium, 53).Sono lieto di inaugurare, nella so-lennità dell’Immacolata Conce-zione della Beata Vergine Maria,questa testimonianza del nostroamore e della nostra devozione…Benedirò ora l’immagine dellaMadonna Madre della Chiesa,esprimendo l’auspicio che quantiverranno in questa piazza levinoverso di Lei lo sguardo, per rivol-gerle, con sentimento di filiale fi-

ducia il proprio saluto e la propriapreghiera».Per don Álvaro quella decisionedel Papa fu un’immensa e com-movente gioia. Anche per la deli-catezza del Santo Padre, che loinvitò due giorni dopo a concele-brare nella sua cappella privata ea fare colazione con lui. Giovan-ni Paolo II manifestò la sua sod-disfazione per aver collocatol’immagine della Vergine MaterEcclesiae in quel luogo. E piùtardi gli fece avere, come ricordograto, il grande cartone utilizzatoper confezionare il mosaico.

Don Álvaro ebbe la grande gioiadi partecipare alla beatificazionedi Josemaría Escrivá, celebratadal Papa il 17 maggio 1992. Euna grande manifestazione di af-fetto fu la visita di Giovanni Pao-lo II nella chiesa prelatizia diSanta Maria della Pace, il giornodella morte di don Álvaro, perpregare davanti alle spoglie diquel suo figlio fedele.

Joaquín Alonso

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San Giovanni Paolo II abbraccia il beato Alvaro del Portillo altermine della beatificazione del fondatore dell’Opus Dei, mons.Josemaría Escrivá, in piazza San Pietro, il 17 maggio 1992.

La Madonnain piazza San Pietro

L’ultimo saluto

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«La grazia del Signore Gesù Cri-sto, l’amore di Dio Padre e la co-munione dello Spirito Santo sia-no con tutti voi» (2 Cor 13, 13).

1. Per volontà di Dio Padre dalquale viene ogni dono, nel nomedel Signore nostro Gesù Cristo, econ l’aiuto dello Spirito SantoConsolatore, noi, Papa Francescoe Kirill, Patriarca di Mosca e ditutta la Russia, ci siamo incontra-ti oggi a L’Avana. Rendiamo gra-zie a Dio, glorificato nella Trini-tà, per questo incontro, il primonella storia. Con gioia ci siamoritrovati come fratelli nella fedecristiana che si incontrano per«parlare a viva voce» (2 Gv 12),da cuore a cuore, e discutere deirapporti reciproci tra le Chiese,dei problemi essenziali dei nostrifedeli e delle prospettive di svi-luppo della civiltà umana.

2. Il nostro incontro fraterno haavuto luogo a Cuba, all’incrociotra Nord e Sud, tra Est e Ovest.Da questa isola, simbolo dellesperanze del «Nuovo Mondo» edegli eventi drammatici della sto-ria del XX secolo, rivolgiamo lanostra parola a tutti i popoli del-l’America Latina e degli altriContinenti. Ci rallegriamo che lafede cristiana stia crescendo quiin modo dinamico. Il potente po-

tenziale religioso dell’AmericaLatina, la sua secolare tradizionecristiana, realizzata nell’espe-rienza personale di milioni dipersone, sono la garanzia di ungrande futuro per questa regione.

3. Incontrandoci lontano dalle an-tiche contese del «Vecchio Mon-do», sentiamo con particolare for-za la necessità di un lavoro comu-ne tra cattolici e ortodossi, chia-mati, con dolcezza e rispetto, arendere conto al mondo della spe-ranza che è in noi (cfr 1 Pt 3, 15).

4. Rendiamo grazie a Dio per idoni ricevuti dalla venuta nelmondo del suo unico Figlio.Condividiamo la comune Tradi-zione spirituale del primo millen-nio del cristianesimo. I testimonidi questa Tradizione sono la San-tissima Madre di Dio, la VergineMaria, e i Santi che veneriamo.Tra loro ci sono innumerevolimartiri che hanno testimoniato laloro fedeltà a Cristo e sono di-ventati «seme di cristiani».

5. Nonostante questa Tradizionecomune dei primi dieci secoli,cattolici e ortodossi, da quasimille anni, sono privati della co-munione nell’Eucaristia. Siamodivisi da ferite causate da conflit-ti di un passato lontano o recente,

da divergenze, ereditate dai no-stri antenati, nella comprensionee l’esplicitazione della nostra fe-de in Dio, uno in tre Persone –Padre, Figlio e Spirito Santo. De-ploriamo la perdita dell’unità,conseguenza della debolezzaumana e del peccato, accadutanonostante la Preghiera sacerdo-tale di Cristo Salvatore: «Perchétutti siano una sola cosa. Cometu, Padre, sei in me e io in te, sia-no anch’essi in noi una cosa so-la» (Gv 17, 21).

6. Consapevoli della permanenzadi numerosi ostacoli, ci auguria-mo che il nostro incontro possacontribuire al ristabilimento diquesta unità voluta da Dio, per laquale Cristo ha pregato. Possa ilnostro incontro ispirare i cristianidi tutto il mondo a pregare il Si-gnore con rinnovato fervore perla piena unità di tutti i suoi disce-poli. In un mondo che attende danoi non solo parole ma gesti con-creti, possa questo incontro esse-re un segno di speranza per tuttigli uomini di buona volontà!

7. Nella nostra determinazione acompiere tutto ciò che è necessa-rio per superare le divergenzestoriche che abbiamo ereditato,vogliamo unire i nostri sforzi pertestimoniare il Vangelo di Cristoe il patrimonio comune dellaChiesa del primo millennio, ri-spondendo insieme alle sfide delmondo contemporaneo. Ortodos-si e cattolici devono imparare adare una concorde testimonianza

L’abbraccio di Francesco & Kirill

Pobblichiamo, con sottotitoli redazionali, il testo integrale della «Dichiara-zione comune di Papa Francesco e del Patriarca Kirill di Mosca e di tutta laRussia» diffusa al termine dello storico incontro avvenuto il 12 febbraio 2016all’Avana (Cuba). È un testo di grande importanza, che sana un’incomunica-bilità durata quasi un millennio e che, pur non nascondendo il persistere didifficoltà, dischiude incoraggianti prospettive ecumeniche. In particolaresottolineiamo le condivise affermazioni dei paragrafi 19, 20, 21 sull’inalie-nabile diritto alla vita e sulla famiglia fondata sul matrimonio, ribadendo«l’immutabilità dei princìpi morali cristiani«.

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ECUMENISMO

Il patrimonio comunedel primo millennio

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alla verità in àmbiti in cui questoè possibile e necessario. La civil-tà umana è entrata in un periododi cambiamento epocale. La no-stra coscienza cristiana e la no-stra responsabilità pastorale nonci autorizzano a restare inerti difronte alle sfide che richiedonouna risposta comune.

8. Il nostro sguardo si rivolge inprimo luogo verso le regioni delmondo dove i cristiani sono vitti-me di persecuzione. In molti Pae-si del Medio Oriente e del NordAfrica i nostri fratelli e sorelle inCristo vengono sterminati per fa-miglie, villaggi e città intere. Leloro chiese sono devastate e sac-cheggiate barbaramente, i lorooggetti sacri profanati, i loro mo-numenti distrutti. In Siria, in Iraqe in altri Paesi del Medio Orien-te, costatiamo con dolore l’esodomassiccio dei cristiani dalla terradalla quale cominciò a diffonder-si la nostra fede e dove essi han-no vissuto, fin dai tempi degliapostoli, insieme ad altre comu-nità religiose.

9. Chiediamo alla comunità in-

ternazionale di agire urgente-mente per prevenire l’ulterioreespulsione dei cristiani dal Me-dio Oriente. Nell’elevare la vocein difesa dei cristiani perseguita-ti, desideriamo esprimere la no-stra compassione per le sofferen-ze subite dai fedeli di altre tradi-zioni religiose diventati anch’es-si vittime della guerra civile, delcaos e della violenza terroristica.

10. In Siria e in Iraq la violenzaha già causato migliaia di vitti-me, lasciando milioni di personesenza tetto né risorse. Esortiamola comunità internazionale aunirsi per porre fine alla violenzae al terrorismo e, nello stessotempo, a contribuire attraverso ildialogo a un rapido ristabilimen-to della pace civile. È essenzialeassicurare un aiuto umanitario sularga scala alle popolazioni mar-toriate e ai tanti rifugiati nei Pae-si confinanti. Chiediamo a tutticoloro che possono influire suldestino delle persone rapite, fra

cui i Metropoliti di Aleppo, Pao-lo e Giovanni Ibrahim, sequestra-ti nel mese di aprile del 2013, difare tutto ciò che è necessario perla loro rapida liberazione.

11. Eleviamo le nostre preghiere aCristo, il Salvatore del mondo, peril ristabilimento della pace in Me-dio Oriente che è «il frutto dellagiustizia» (cfr Is 32, 17), affinchési rafforzi la convivenza fraternatra le varie popolazioni, le Chiesee le religioni che vi sono presenti,per il ritorno dei rifugiati nelle lo-ro case, la guarigione dei feriti e ilriposo dell’anima degli innocentiuccisi. Ci rivolgiamo, con un fer-vido appello, a tutte le parti chepossono essere coinvolte nei con-flitti perché mostrino buona vo-lontà e siedano al tavolo dei nego-ziati. Al contempo, è necessarioche la comunità internazionalefaccia ogni sforzo possibile perporre fine al terrorismo con l’aiu-to di azioni comuni, congiunte ecoordinate. Facciamo appello atutti i Paesi coinvolti nella lottacontro il terrorismo, affinché agi-scano in maniera responsabile eprudente. Esortiamo tutti i cristia-

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L’Avana, 12 febbraio 2016

Appello per la pacein Medio Oriente

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curezza. Tuttavia, invitiamo a ri-manere vigili contro un’integra-zione che non sarebbe rispettosadelle identità religiose. Pur rima-nendo aperti al contributo di altrereligioni alla nostra civiltà, siamoconvinti che l’Europa debba re-stare fedele alle sue radici cristia-ne. Chiediamo ai cristiani del-l’Europa orientale e occidentaledi unirsi per testimoniare insiemeCristo e il Vangelo, in modo chel’Europa conservi la sua animaformata da duemila anni di tradi-zione cristiana.

17. Il nostro sguardo si rivolge al-le persone che si trovano in situa-zioni di grande difficoltà, che vi-vono in condizioni di estremo bi-sogno e di povertà mentre cresco-no le ricchezze materiali dell’u-manità. Non possiamo rimanereindifferenti alla sorte di milioni dimigranti e di rifugiati che bussa-no alla porta dei Paesi ricchi. Ilconsumo sfrenato, come si vedein alcuni Paesi più sviluppati, staesaurendo gradualmente le risor-se del nostro pianeta. La crescen-te disuguaglianza nella distribu-zione dei beni terreni aumenta ilsentimento d’ingiustizia nei con-fronti del sistema di relazioni in-ternazionali che si è stabilito.

18. Le Chiese cristiane sono chia-mate a difendere le esigenze dellagiustizia, il rispetto per le tradizio-ni dei popoli e un’autentica solida-rietà con tutti coloro che soffrono.Noi, cristiani, non dobbiamo di-menticare che «Dio ha scelto ciòche nel mondo è stolto per con-fondere i sapienti, Dio ha sceltociò che nel mondo è debole perconfondere i forti, Dio ha sceltociò che nel mondo è ignobile e di-sprezzato e ciò che è nulla per ri-durre a nulla le cose che sono, per-ché nessun uomo possa gloriarsidavanti a Dio» (1 Cor 1, 27-29).

19. La famiglia è il centro natura-

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ni e tutti i credenti in Dio a prega-re con fervore il provvidenteCreatore del mondo perché pro-tegga il suo creato dalla distruzio-ne e non permetta una nuovaguerra mondiale. Affinché la pacesia durevole e affidabile, sono ne-cessari specifici sforzi volti a ri-scoprire i valori comuni che ciuniscono, fondati sul Vangelo dinostro Signore Gesù Cristo.

12. Ci inchiniamo davanti almartirio di coloro che, a costodella propria vita, testimonianola verità del Vangelo, preferendola morte all’apostasia di Cristo.Crediamo che questi martiri delnostro tempo, appartenenti a va-rie Chiese, ma uniti da una co-mune sofferenza, sono un pegnodell’unità dei cristiani. È a voi,che soffrite per Cristo, che si ri-volge la parola dell’apostolo:«Carissimi, … nella misura incui partecipate alle sofferenze diCristo, rallegratevi perché anchenella rivelazione della Sua gloriapossiate rallegrarvi ed esultare»(1 Pt 4, 12-13).

13. In quest’epoca inquietante, ildialogo interreligioso è indispen-sabile. Le differenze nella com-prensione delle verità religiosenon devono impedire alle perso-ne di fedi diverse di vivere nellapace e nell’armonia. Nelle circo-stanze attuali, i leader religiosihanno la responsabilità particola-re di educare i loro fedeli in unospirito rispettoso delle convinzio-ni di coloro che appartengono adaltre tradizioni religiose. Sonoassolutamente inaccettabili i ten-tativi di giustificare azioni crimi-nali con slogan religiosi. Nessuncrimine può essere commesso innome di Dio, «perché Dio non èun Dio di disordine, ma di pace»(1 Cor 14, 33).

14. Nell’affermare l’alto valoredella libertà religiosa, rendiamo

Cristiani martiridel nostro tempo

grazie a Dio per il rinnovamentosenza precedenti della fede cri-stiana che sta accadendo ora inRussia e in molti Paesi dell’Euro-pa orientale, dove i regimi ateihanno dominato per decenni. Og-gi le catene dell’ateismo militan-te sono spezzate e in tanti luoghii cristiani possono liberamenteprofessare la loro fede. In unquarto di secolo, vi sono state co-struite decine di migliaia di nuo-ve chiese, e aperti centinaia dimonasteri e scuole teologiche. Lecomunità cristiane portano avan-ti un’importante attività caritati-va e sociale, fornendo un’assi-stenza diversificata ai bisognosi.Ortodossi e cattolici spesso lavo-rano fianco a fianco. Essi attesta-no l’esistenza dei fondamentispirituali comuni della conviven-za umana, testimoniando i valoridel Vangelo.

15. Allo stesso tempo, siamopreoccupati per la situazione intanti Paesi in cui i cristiani siscontrano sempre più frequente-mente con una restrizione dellalibertà religiosa, del diritto di te-stimoniare le proprie convinzionie la possibilità di vivere confor-memente a esse. In particolare,costatiamo che la trasformazionedi alcuni Paesi in società secola-rizzate, estranee a ogni riferi-mento a Dio e alla sua verità, co-stituisce una grave minaccia perla libertà religiosa. È per noi fon-te di inquietudine l’attuale limita-zione dei diritti dei cristiani, senon addirittura la loro discrimi-nazione, quando alcune forze po-litiche, guidate dall’ideologia diun secolarismo tante volte assaiaggressivo, cercano di spingerliai margini della vita pubblica.

16. Il processo di integrazioneeuropea, iniziato dopo secoli disanguinosi conflitti, è stato ac-colto da molti con speranza, co-me una garanzia di pace e di si-

L’ideologiadel secolarismo

La famiglia, centronaturale della vita

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le della vita umana e della socie-tà. Siamo preoccupati dalla crisidella famiglia in molti Paesi. Or-todossi e cattolici condividono lastessa concezione della famigliae sono chiamati a testimoniareche essa è un cammino di santità,che testimonia la fedeltà deglisposi nelle loro relazioni recipro-che, la loro apertura alla procrea-zione e all’educazione dei figli,la solidarietà tra le generazioni eil rispetto per i più deboli.

20. La famiglia si fonda sul ma-trimonio, atto libero e fedele diamore di un uomo e di una don-na. È l’amore che sigilla la lorounione e insegna loro ad acco-gliersi reciprocamente come do-no. Il matrimonio è una scuoladi amore e di fedeltà. Ci ramma-richiamo che altre forme di con-vivenza siano ormai poste allostesso livello di questa unione,mentre il concetto di paternità edi maternità come vocazioneparticolare dell’uomo e delladonna nel matrimonio, santifi-cato dalla tradizione biblica,viene estromesso dalla coscien-za pubblica.

21. Chiediamo a tutti di rispettareil diritto inalienabile alla vita. Mi-lioni di bambini sono privati del-la possibilità stessa di nascere nelmondo. La voce del sangue dibambini non nati grida verso Dio(cfr Gen 4, 10). Lo sviluppo dellacosiddetta eutanasia fa sì che lepersone anziane e gli infermi ini-zino a sentirsi un peso eccessivoper le loro famiglie e la società ingenerale. Siamo anche preoccu-pati dallo sviluppo delle tecnichedi procreazione medicalmente as-sistita, perché la manipolazionedella vita umana è un attacco aifondamenti dell’esistenza del-l’uomo, creato a immagine diDio. Riteniamo che sia nostro do-vere ricordare l’immutabilità deiprincìpi morali cristiani, basati

sul rispetto della dignità dell’uo-mo chiamato alla vita, secondo ildisegno del Creatore.

22. Oggi, desideriamo rivolgerciin modo particolare ai giovanicristiani. Voi, giovani, avete co-me compito di non nascondere iltalento sotto terra (cfr Mt 25,25), ma di utilizzare tutte le capa-cità che Dio vi ha dato per con-fermare nel mondo le verità diCristo, per incarnare nella vostravita i comandamenti evangelicidell’amore di Dio e del prossimo.Non abbiate paura di andare con-trocorrente, difendendo la veritàdi Dio, alla quale odierne normesecolari sono lontane dal confor-marsi sempre.

23. Dio vi ama e aspetta da cia-scuno di voi che siate Suoi disce-poli e apostoli. Siate la luce delmondo affinché coloro che vi cir-condano, vedendo le vostre operebuone, rendano gloria al vostroPadre che è nei cieli (cfr Mt 5,14, 16). Educate i vostri figli nel-la fede cristiana, trasmettete lorola perla preziosa della fede (cfrMt 13, 46) che avete ricevuta daivostri genitori e antenati. Ricor-date che «siete stati comprati acaro prezzo» (1 Cor 6, 20), al co-sto della morte in croce dell’Uo-mo-Dio Gesù Cristo.

24. Ortodossi e cattolici sonouniti non solo dalla comune Tra-dizione della Chiesa del primomillennio, ma anche dalla mis-sione di predicare il Vangelo diCristo nel mondo di oggi. Questamissione comporta il rispetto re-ciproco per i membri delle comu-nità cristiane ed esclude qualsiasiforma di proselitismo. Non sia-mo concorrenti ma fratelli, e daquesto concetto devono essereguidate tutte le nostre azioni reci-proche e verso il mondo esterno.Esortiamo i cattolici e gli orto-dossi di tutti i Paesi a imparare a

vivere insieme nella pace e nel-l’amore, e ad avere «gli uni versogli altri gli stessi sentimenti» (Rm15, 5). Non si può quindi accetta-re l’uso di mezzi sleali per incita-re i credenti a passare da unaChiesa a un’altra, negando la lo-ro libertà religiosa o le loro tradi-zioni. Siamo chiamati a metterein pratica il precetto dell’aposto-lo Paolo: «Mi sono fatto un pun-to di onore di non annunziare ilvangelo se non dove ancora nonera giunto il nome di Cristo, pernon costruire su un fondamentoaltrui» (Rm 15, 20).

25. Speriamo che il nostro incon-tro possa anche contribuire allariconciliazione, là dove esistonotensioni tra greco-cattolici e orto-dossi. Oggi è chiaro che il meto-do dell’«uniatismo» del passato,inteso come unione di una comu-nità all’altra, staccandola dallasua Chiesa, non è un modo chepermette di ristabilire l’unità.Tuttavia, le comunità ecclesialiapparse in queste circostanze sto-riche hanno il diritto di esistere edi intraprendere tutto ciò che ènecessario per soddisfare le esi-genze spirituali dei loro fedeli,cercando nello stesso tempo divivere in pace con i loro vicini.Ortodossi e greco-cattolici hannobisogno di riconciliarsi e di tro-vare forme di convivenza reci-procamente accettabili.

26. Deploriamo lo scontro inUcraina che ha già causato moltevittime, innumerevoli ferite adabitanti pacifici e gettato la socie-tà in una grave crisi economica eumanitaria. Invitiamo tutte le par-ti del conflitto alla prudenza, allasolidarietà sociale e all’azione percostruire la pace. Invitiamo le no-stre Chiese in Ucraina a lavorareper pervenire all’armonia sociale,ad astenersi dal partecipare alloscontro e a non sostenere un ulte-riore sviluppo del conflitto.

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Inalienabile dirittoalla vita

Giovani, coraggiocontrocorrente

Greco-cattolici& ortodossi

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27. Auspichiamo che lo scismatra i fedeli ortodossi in Ucrainapossa essere superato sulla basedelle norme canoniche esistenti,che tutti i cristiani ortodossi del-l’Ucraina vivano nella pace enell’armonia, e che le comunitàcattoliche del Paese vi contribui-scano, in modo da far vederesempre di più la nostra fratellan-za cristiana.

28. Nel mondo contemporaneo,multiforme eppure unito da uncomune destino, cattolici e orto-dossi sono chiamati a collaborarefraternamente nell’annuncio del-la Buona Novella della salvezza,a testimoniare insieme la dignitàmorale e la libertà autentica dellapersona, «perché il mondo cre-da» (Gv 17, 21). Questo mondo,in cui scompaiono progressiva-mente i pilastri spirituali dell’esi-stenza umana, aspetta da noi unaforte testimonianza cristiana intutti gli àmbiti della vita persona-le e sociale. Dalla nostra capacitàdi dare insieme testimonianzadello Spirito di verità in questitempi difficili dipende in granparte il futuro dell’umanità.

29. In questa ardita testimonian-za della verità di Dio e dellaBuona Novella salvifica, ci so-stenga l’Uomo-Dio Gesù Cristo,nostro Signore e Salvatore, checi fortifica spiritualmente con lasua infallibile promessa: «Nontemere, piccolo gregge, perchéal Padre vostro è piaciuto di dar-vi il suo Regno» (Lc 12, 32)!Cristo è fonte di gioia e di spe-ranza. La fede in Lui trasfigurala vita umana, la riempie di si-gnificato. Di ciò si sono potuticonvincere, attraverso la loroesperienza, tutti coloro a cui sipossono applicare le parole del-l’apostolo Pietro: «Voi, che untempo eravate non-popolo, orainvece siete il popolo di Dio;voi, un tempo esclusi dalla mise-ricordia, ora invece avete otte-nuto misericordia» (1 Pt 2, 10).

30. Pieni di gratitudine per il do-

no della comprensione reciprocaespresso durante il nostro incon-tro, guardiamo con speranza allaSantissima Madre di Dio, invo-candola con le parole di questaantica preghiera: «Sotto il riparodella tua misericordia, ci rifugia-mo, Santa Madre di Dio». Che la

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Francesco

Vescovo di RomaPapa della Chiesa Cattolica

Kirill

Patriarca di Moscae di tutta la Russia

12 febbraio 2016, L’Avana (Cuba)

Beata Vergine Maria, con la suaintercessione, incoraggi alla fra-ternità coloro che la venerano,perché siano riuniti, al tempo sta-bilito da Dio, nella pace e nell’ar-monia in un solo popolo di Dio,per la gloria della Santissima eindivisibile Trinità!

Dopo la firma

Parole del Patriarca Kirill dopo la firma della Dichiarazio-

ne comune con il Santo Padre Francesco

Santità, Eccellenze, Cari fratelli e sorelle, Signore e Signori,Per due ore abbiamo tenuto una conversazione aperta, conpiena intesa sulla responsabilità verso le nostre Chiese, il no-stro popolo credente, il futuro del cristianesimo e il futuro del-la civiltà umana. È stata una conversazione ricca di contenu-to, che ci ha dato l’opportunità di ascoltare e capire le posi-zioni l’uno dell’altro. E gli esiti della conversazione mi per-mettono di assicurare che attualmente le due Chiese possonocooperare, difendendo i cristiani in tutto il mondo, e lavorareinsieme, con piena responsabilità, affinché non ci sia guerra,la vita umana venga rispettata ovunque nel mondo, si rafforzi-no le basi della morale personale, familiare e sociale e, attra-verso la partecipazione della Chiesa alla vita della societàumana moderna, essa si purifichi nel nome di nostro SignoreGesù Cristo e dello Spirito Santo.

Parole del Santo Padre Francesco dopo la firma della Di-

chiarazione comune con il Patriarca Kirill

Santità, Eminenze, Reverendi,Abbiamo parlato come fratelli, abbiamo lo stesso Battesimo,siamo vescovi. Abbiamo parlato delle nostre Chiese, e concor-diamo sul fatto che l’unità si fa camminando. Abbiamo parla-to apertamente, senza mezze parole, e vi confesso che ho sen-tito la consolazione dello Spirito Santo in questo dialogo. Rin-grazio per l’umiltà Sua Santità, umiltà fraterna, e i suoi buoniauspici di unità. Abbiamo prospettato una serie di iniziative,che credo siano valide e che si potranno realizzare. Perciò vo-glio ringraziare, ancora una volta, Sua Santità per la sua be-nevola accoglienza, come ugualmente i collaboratori, e ne no-mino due: Sua Eminenza il Metropolita Hilarion e Sua Emi-nenza il Cardinale Koch, con le loro équipe che hanno lavo-rato per questo. Non voglio partire senza dare un sentito rin-graziamento a Cuba, al grande popolo cubano e al suo Presi-dente qui presente. Lo ringrazio per la sua disponibilità attiva.Di questo passo, Cuba sarà la capitale dell’unità! E che tuttoquesto sia per la gloria di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, eper il bene del santo Popolo fedele di Dio, sotto il manto del-la Santa Madre di Dio.

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ORIZZONTALI: 1 Un’opera-zione lampo. - 6 Il prenome diPompeo. - 10 Una botola sopra lastalla. - 19 Il primo verso di SanMartino di Carducci. - 22 Un mo-dello della Chevrolet. - 23 La...coltivava Virgilio. - 24 Rivali deiromanisti. - 25 Il kenita marito diGiaele. - 27 Un titolo inglese. - 28Indirizzo culturale degli artisti ri-nascimentali. - 30 Parente già vis-suto. - 31 L’asso... di picche! - 33Pregiati perciformi. - 34 Un mi-lione di elettronvolt in sigla. - 36Metà di otto. - 37 La Pavlovna inFumo di Turgenev. - 39 La regio-ne con Durban. - 41 Mariti menomiti. - 43 Le navali dannunziane.- 44 Ha molte... stanze. - 47 L’A-licia Giménez, autrice di romanzipolizieschi. - 49 Un legno durissi-mo. - 51 Comprende il Canada. -52 Un quinto di ten. - 53 L’isola

con Pearl Harbor. - 55 Militarispecializzati. - 56 Fa coppia conFranz. - 57 La regista del filmAmelia. - 58 È abile se non fa cen-tro. - 62 Il calo... delle culle. - 63Daniel che dirige. - 64 Un «ecco»d’oltralpe.

VERTICALI: 1 Vanta molti tito-li. - 2 Località trentina con una fu-nivia che sale alla Paganella. - 3Privi di reazione. - 4 Il comicoTeocoli. - 5 Zebù senza vocali. - 6Si fa fuori volentieri. - 7 La mag-giore delle Cicladi. - 8 È vietatosenza vitto. - 9 Riceve il Chiese. -10 Sacerdotessa di Apollo. - 11 Lapunta della spiga. - 12 Il filo del-l’ordito. - 13 Un parcheggio...verticale. - 14 Fu caro a Galatea. -15 Popolare Dario. - 16 Raganel-le dei boschi. - 17 L’isola con Ca-poliveri. - 18 L’autore del roman-

zo Il conte pecoraio. - 20 Crosta-cei marini con guscio a cono. - 21Verbo del piangente. - 26 Un’iso-la spartitraffico. - 28 La città diuna Venere. - 29 Porzione di torta.- 32 Un confidente dei Proci. - 34Il commediografo Achard. - 35C’è la Tiberina. - 38 Papà di Bal-zac. - 39 Una fibra elastica. - 40Non danno scampo. - 42 La «sca-la» che sbaraglia. - 44 Gio, notoarchitetto del ’900. - 45 Ornava lebaccanti. - 46 Ne sono ricchi i ce-ci. - 47 Veniva posta negli scaldi-ni. - 48 Stoffa diagonale, spigata.- 50 Con Gengis quale sopranno-me di Temucin. - 51 Patricia nelcast di Colazione da Tiffany. - 54Articolo e... ora. - 55 Può sostitui-re ex. - 57 Vezzo di damina. - 59Sigla di Catania. - 60 Ira che nonha fine. - 61 Si segue standole da-vanti.

Fra tutti gli abbonati che invieranno entro il 30 aprile 2016 l’esatta

soluzione del cruciverba, verranno estratti tre buoni acquisto da euro

100 in libri del catalogo Ares. Gli analoghi premi messi in palio tra i

solutori del cruciverba n. 659 (gennaio 2015), qui risolto, sono stati

vinti dai signori: Stefano Ave, di Mulvena (VI); Leonardo Belocchi, di

Roma; Miriam Snider, di Capiago Intimiano (CO).

di Florio Fabbri

T E S T A M E N T O S C A R P A T I S

E T E R N I T R I A C E R I V E R S E

L O R E N A B O L L O R E T E D E U M

E L E N A O R N E L L A O T R I E I

V I G O P R O C O I O S L A L O M N

I A N M A G N O T S E L C E E M A

S O B E L I X S A V E R I O O T A R

I G A S M A P A L E T T O O N E R I

O R T I C A C O R I S T I B R O O K S

N U O T A R E O R A T E P I E R R O T

E M A L E V O L I A R T I G L I E R I

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

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CRUCIVERBA

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Dopo l’economia e i mass media,ecco la sanità. In linea con quantodeciso per le attività econonico-fi-nanziarie e per il settore della co-municazione, papa Francesco hainfatti istituito una Pontificiacommissione per le attività delsettore sanitario, un organismocon ampi poteri, alle dirette dipen-denze del cardinale segretario diStato, Pietro Parolin.Il compito della commissione, ov-vero una più efficace gestione del-le attività e la conservazione deibeni mantenendo il carisma deifondatori delle varie realtà, si ca-pisce meglio se si pensa alle re-centi disavventure di alcuni istitu-ti (è il caso dell’IDI, l’Istituto der-mopatico dell’Immacolata), conrelativo intervento da parte delVaticano per ripianare i debiti.Il presidente della commissione èmonsignor Luigi Mistò, segretariodella Sezione amministrativa del-la Segreteria per l’economia. Conlui operano don Carmine Arice,direttore dell’Ufficio nazionaleper la pastorale della salute dellaCEI; il professor Carlo Cardia, do-cente di Diritto ecclesiastico del-l’Università Roma Tre; MariellaEnoc, presidente del CDA dell’o-spedale pediatrico Bambino Ge-sù; Vladi Lumina, esperto nel set-tore patrimoniale; monsignorJean-Marie Mupendawatu, segre-tario del Pontificio consiglio pergli operatori sanitari; Enrico Zam-pedri, direttore generale del Poli-clinico Gemelli, e suor Maria An-nunziata Remossi, officiale dellaCongregazione per i religiosi. Lenomine hanno durata triennale.«La commissione», si legge inuna nota esplicativa del segretariodi Stato, «rilascia alle congrega-

zioni della Curia romana, da cui lepersone giuridiche pubbliche inte-ressate dipendono, il consenso ne-cessario, vincolante per la conces-sione delle autorizzazioni canoni-che in ordine alla dismissione o ri-organizzazione delle attività e/odegli immobili relativi al settoresanitario». La commissione, inol-tre, «è dotata dei poteri di accessoagli atti e di risorse per lo svolgi-mento della propria attività» e«può assegnare incarichi a socie-tà, professionisti e consulenti». Inconcreto alla commissione è affi-dato «lo studio generale sulla so-stenibilità del sistema sanitariodelle persone giuridiche pubbli-che della Chiesa (presupposti, ca-ratteristiche, vincoli, modalitàoperative-gestionali, attualità de-

gli obiettivi del sistema sanitariodelle singole persone giuridichepubbliche in fedeltà alla proprianatura, alla propria missione e alproprio carisma) così da definireuna possibile strategia operativadi lungo periodo anche in rappor-to ai princìpi della dottrina socialedella Chiesa; la proposta per la ri-soluzione delle situazioni di crisiin funzione delle risultanze dellostudio più generale e attivandotutte le risorse possibili in collabo-razione con i responsabili dellepersone giuridiche pubbliche inte-ressate; lo studio e la proposta dinuovi modelli operativi per le per-sone giuridiche pubbliche operan-ti nel settore sanitario, in grado diattuare il carisma originario nelcontesto attuale». Come si vede, poteri di grandespessore, che garantiscono un con-trollo stretto da parte della SantaSede, proprio al fine di evitare cer-ti incidenti di percorso che nelpassato hanno provocato ingentidanni economici e inferto duri col-pi alla credibilità dell’impegnodella Chiesa, nelle sue diverseespressioni, in campo sanitario.

Trecentocinquanta segnalazioni diattività sospette e sequestri caute-lari per un valore di oltre undicimilioni di euro. Sono i dati cheemergono dalla relazione annualedel promotore di giustizia vatica-no, Gian Pietro Milano, per l’inau-gurazione dell’anno giudiziario. All’ufficio del promotore nel cor-so del 2015 sono stati trasmessisette rapporti a carico di nove per-

PIAZZA SAN PIETRO

Risanare la sanità

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Incidenti, evasione,furti & riciclaggio

Il card. Pietro Parolin è a ca-

po della nuova Commissio-

ne per il Settore sanitario.

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sone fisiche e «per la maggiorparte le ipotesi di reato hanno ri-guardato potenziali casi di frodeed evasione o elusione fiscale». Secondo l’avvocato Milano, inVaticano è stato raggiunto «un al-to livello di operatività» in politi-che di prevenzione del riciclaggioe in altre attività di vigilanza.Nella sua relazione il promotoredi giustizia sostiene che le riformeavviate da papa Francesco incido-no profondamente sulla vita inter-na dello Stato della Città del Vati-cano e sulla sua attività normati-va, giurisdizionale e amministrati-va. «Le nuove norme hanno effet-to anche sul piano dei rapporti congli altri ordinamenti, ai quali laChiesa e le sue espressioni istitu-zionali possono offrire un contri-buto peculiare e significativo». Milano sottolinea che «la SantaSede condivide le istanze più ur-genti della comunità internaziona-le, in particolare la tutela dei mer-cati finanziari e il contrasto al rici-claggio dei proventi di attività cri-minose e al finanziamento del ter-rorismo». La Santa Sede e lo Sta-to della Città del Vaticano si sonoanche «impegnati ad adottare una

serie di misure di adeguamento erecezione di specifiche norme del-l’Unione europea». Il processo di assimilazione delleregole europee in materia econo-mico-finanziaria, specie perquanto riguarda il reato di rici-claggio, ha determinato «la gra-duale integrazione nell’ordina-mento comunitario» e il «disan-coramento» dalla legislazioneitaliana. Con l’acquisizione degliassetti normativi di matrice co-munitaria – si osserva nella rela-zione – i confini virtuali del Vati-cano si sono dilatati «da enclaved’Italia a enclave d’Europa».«L’azione di ammodernamento»,spiega ancora il promotore di giu-stizia, «ha riguardato soprattutto ilsettore della regolamentazione delsistema finanziario» tanto che inquesto àmbito, dopo che sono sta-te introdotte varie disposizioni«volte a tutelare e a incrementarela trasparenza, l’integrità e la stabi-lità del mercato», l’ordinamentovaticano può essere ormai conside-rato alla pari con quello europeo. Dopo aver lodato l’impegno dellaGendarmeria vaticana, Milanospiega che l’incremento dei con-trolli sul trasporto transfrontalierodi denaro contante hanno portatoa una media di trenta verifiche algiorno, con otto arresti e cinquan-tatré fermi, mentre le denunce difurto sono state cinquantotto e ot-tantotto le contravvenzioni. Tre itentativi di truffa individuati. Cu-rioso è che nel territorio vaticanoci siano stati anche sessantaquat-tro incidenti stradali. Tra le attività della polizia giudi-ziaria vaticana in primo piano cisono anche le azioni di contrastodei crimini informatici. Sono statioscurati siti web caratterizzati dacontenuti diffamatori dello Statodel Vaticano e della Santa Sede echiusi account di posta elettronica«per reati di truffa, ovvero di furtodi identità virtuale». In questa ma-teria fondamentale è «il ruolo stra-tegico della cooperazione sia a li-vello interno sia soprattutto in àm-bito internazionale tra omologheistituzioni operanti nei vari Stati».

Sarà una donna a guidare uno deidipartimenti della nuova Segrete-ria per le comunicazioni istituitada papa Francesco. È Natasha Go-vekar, teologa slovena che nelnuovo superdicastero sarà respon-sabile della direzione teologico-pastorale, in sostanza il ruolo pre-cedentemente ricoperto dal Ponti-ficio consiglio per le comunica-zioni sociali guidato dall’arcive-scovo Claudio Maria Celli.Natasha Govekar, nata a Sempe-ter, in Slovenia, nel 1975, ha stu-diato teologia e lingua slovenaall’Università di Lubiana. Haconseguito il dottorato in missio-logia alla Pontificia UniversitàGregoriana con una tesi sulla co-municazione della fede attraver-so le immagini.Il Papa ha nominato anche un lai-co quale responsabile del settoreinformatico del dicastero: si trat-ta dell’ingegner Francesco Ma-sci, di trentotto anni.

Aldo Maria Valli

191

Gian Pietro Milano, promo-

tore di Giustizia della Santa

Sede e dello Stato Vaticano.

La teologa slovena Natasha

Govekar, figura chiave della

Comunicazione vaticana.

Quote rosa

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Santa Zelia Guérin (1831-1877) esan Luigi Martin (1823-1894) so-no i genitori di santa Teresa di Li-sieux, che ci ha lasciato su di loroquesta testimonianza: «Il Signoremi ha dato un padre e una madrepiù degni del cielo che della terra.Ho avuto la fortuna di appartenerea genitori senza eguali. Dio mi hafatto nascere in una terra santa».Ebbero nove figli, quattro dei qua-li morti in tenera età, e Zelia ri-cordava così gli anni passati a ge-nerarli e a farli crescere: «Non vi-vevamo che per loro, questa era lanostra felicità, e non l’abbiamomai trovata se non in loro. Insom-ma, tutto ci riusciva facilissimo, ilmondo non ci era più di peso. Perme era il grande compenso, perciòdesideravo di averne molti, per al-levarli per il Cielo».Spesso le gravidanze erano diffi-cili e Zelia raccontava: «Ho vistotante volte mio marito preoccu-parsi a questo riguardo per meche invece stavo tranquillissimae gli dicevo: Non avere paura, ilbuon Dio è con noi».Teresa poté conoscere la suamamma solo nei primi quattro an-ni di vita, ma annotava: «Il buon

Dio mi ha fatto la grazia di schiu-dere la mia intelligenza molto pre-sto. Senza dubbio voleva, nel suoamore, farmi conoscere la Madreincomparabile che mi aveva data,ma che la sua mano divina avevafretta di incoronare in cielo!».E ciò che ricordava maggiormen-te era di aver subito consideratole braccia della mamma comeuna «custodia paradisiaca», e diavere appreso da lei a pregare:«Amavo molto Dio, e gli offrivospesso il cuore secondo la picco-la preghiera che Mamma mi ave-va insegnata». Al punto che lapiccola comprese che la mammaera morta la mattina in cui – por-tata in casa di amici – si accorseche nessuno si preoccupava difarle dire le preghiere.Zelia morì prematuramente perun tumore, tra indicibili sofferen-ze che accettò con totale e santarassegnazione. Al chiudersi del-l’ultimo tragico dicembre dellasua vita, poteva affermare:– Sono come i bambini che nonsi preoccupano del domani,aspetto sempre la felicità.Così una delle figlie descrisse isuoi ultimi giorni: «Quando èstanca di avere la testa appoggia-ta, la solleviamo molto adagiocon i guanciali sino a che siacompletamente seduta. Ma que-

sto non avviene mai senza doloriincredibili, perché il più piccolomovimento le fa emettere gridastrazianti. E tuttavia con quale pa-zienza e con quale rassegnazionesopporta questa triste malattia!Non lascia mai il suo rosario, pre-ga sempre malgrado le sue soffe-renze, ne siamo tutti ammirati,perché ha un coraggio e una ener-gia che nulla eguaglia. Quindicigiorni or sono diceva ancora ilsuo rosario, tutto intero in ginoc-chio ai piedi della santa Verginedella sua camera, che lei ama tan-to. Vedendola così malata, volevofarla sedere, ma era inutile».Morì all’alba del 28 agosto 1877.Le ultime righe da lei tracciatefurono: «Se la santa Vergine [diLourdes, dove si era recata inpellegrinaggio] non mi guarisce èperché il mio tempo è finito e ilbuon Dio vuole che mi riposi al-trove che sulla terra».Luigi Martin, suo amatissimosposo, le sopravvisse diciassetteanni, curando le figlie con tale te-nerezza che Teresa lo considera-va un’immagine terrena di «papàil buon Dio». Gli anni passati conlui sono raccontati, nell’autobio-grafia da lei scritta, arricchiti damille piccole annotazioni di que-sto genere: «Mi bastava guardar-lo per sapere come pregano i san-ti»; «quando penso a te, caro bab-bino, penso istintivamente al Si-gnore, perché mi sembra impos-sibile vedere sulla terra qualcunopiù santo di te».La malattia del papà coincise coni primi anni della vita monasticadi Teresa al Carmelo, ed ella im-parò, guardandolo, come si fa arestare sempre figli di Dio, comeGesù sfigurato dalla sofferenza.

Così muoiono i santi

192

EDITORIA

«Quando muore un santo, è la morte che muore»: è quel che rendono palpabi-

le i «Cento racconti di risurrezione» che compongono il libro Come muoiono i

santi (Ares, pp. 224, € 12,90), di cui offriamo una breve anticipazione. Padre

Antonio Maria Sicari vi presenta un’impressionante «galleria» di santi «foto-

grafati» negli ultimi istanti della loro vita; conosciamo così la morte del mi-

stico, del martire, dell’anziano logorato dagli anni, come del giovane che ha

imparato il segreto dell’amore nel giro di una vita breve ma irripetibilmente in-

tensa. Da questi suggestivi «ritratti» in cui si susseguono le figure più celebri

e altre forse meno consuete, l’autore aiuta a riscoprire la vita come un viag-

gio verso una felicità più grande, quella della Casa del Padre.

Nascerein una terra santa

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Nell’ultimo incontro che ella eb-be col papà malato, alle grate delmonastero, quando le figlie glidissero «arrivederci», Luigi potésolo alzare faticosamente gli oc-chi e indicare in alto col dito. Re-stò così a lungo, poi riuscì fatico-samente a sillabare:– In cielo!Nella casa di cura dov’era ricove-rato, lo assistevano come si assisteun santo. Aveva ancora dei mo-menti buoni, e tutti vedevano chel’orientamento del suo cuore edella mente era sempre immutato.– Chiedi a san Giuseppe che iopossa morire da santo – sussurròun giorno alla figlia che lo accu-diva.Morì a settantuno anni di età,guardando fissamente la figliache accanto a lui recitava la bellapreghiera che comincia: «Gesù,Giuseppe e Maria vi dono il cuo-re, la vita e l’anima mia».Qualche anno prima, Teresa ave-va già scritto profeticamente:«Presto saremo nella nostra terranatale, presto le gioie della nostrainfanzia, le serate della domeni-ca, le nostre conversazioni segre-te. Tutto ciò ci sarà restituito persempre, e con gli interessi pergiunta. Gesù ci renderà le gioie dicui ci ha privato per un istante!Allora dalla testa raggiante delnostro caro papà vedremo scatu-rire fiotti di luce e ciascuno deisuoi capelli bianchi sarà come unsole che ci colmerà di gioia e difelicità!».

Santa Gianna Beretta Molla, pe-diatra e madre (1922-1962), nac-que a Magenta, in provincia diMilano, da una famiglia con soli-de radici cristiane. Scelse gli stu-di di medicina, specializzandosiin pediatria, anche perché sogna-va di raggiungere un suo fratellomedico che si era fatto missiona-rio cappuccino in Brasile. Decisi-vo fu, invece, l’incontro con l’in-gegner Pietro Molla, al quale si

legò in matrimonio, desiderosa diviverlo come incarnazione del-l’infinito amore di Dio per le suecreature. La casa venne allietatada tre bambini. Nell’estate del1961 si annunciò una nuova ma-ternità che Gianna accolse subitocon gioia, anche se non mancava-no le preoccupazioni per un fi-broma che le cresceva a fiancodell’utero. Consigliata ripetuta-mente di ricorrere all’aborto,Gianna rifiutò in maniera assolu-ta, accordandosi col marito sulladecisione di salvare anzitutto ilbambino. La bambina nacquebella e sana, ma Gianna morì do-po pochi giorni, lieta del suo sa-crificio e della sua obbedienza aDio. La spiegazione più profondadi una tale drammatica scelta l’hadata il marito stesso: «Quello cheha fatto non lo ha fatto “per anda-re in Paradiso”. L’ha fatto perchési sentiva una mamma. Per com-prendere la decisione non si puòdimenticare, per prima cosa, lasua profonda persuasione, comemamma e come medico, che lacreatura che portava in sé era unacreatura completa, con gli stessidiritti degli altri figli, anche seera stata concepita da appena duemesi. Un dono di Dio, al qualeera dovuto un rispetto sacro. Nonsi può nemmeno dimenticare ilgrande amore che aveva per ibambini: li amava più di quantoamasse sé stessa. E non si può di-menticare la sua fiducia nella

Provvidenza. Era persuasa, infat-ti, come moglie, come madre, diessere utilissima a me e ai nostrifigli, ma di essere soprattutto inquel preciso momento, indispen-sabile per la piccola creatura chestava nascendo in lei».Gianna Beretta Molla si appog-giò, dunque, su questa evidenzadi fede: offrì la vita, consapevoleche, senza di lei, Dio potevaprovvedere agli altri bambini, mache neppure Dio avrebbe potutoprovvedere alla creatura che ave-va in grembo, se lei la rifiutava.Era una madre cristiana, sapevadi dover incarnare la Provviden-za nel suo stesso grembo. Il restoè affidato tutto al nome che ven-ne dato al frutto di tanto sacrifi-cio. Mentre ancora la madre erasul letto di morte, la bambinavenne portata in chiesa e battez-zata col nome di Gianna Ema-nuela: il nome della madre unitoal nome di quel Gesù che è Diocon noi.Poi il papà consacrò la bambinaalla Madonna, come Giannaamava sempre fare. Non erapronta la tomba di famiglia, e al-lora il parroco commosso mise adisposizione la cappella centraledel cimitero. Così la bara vennedeposta nella tomba dei sacerdo-ti, forse un segno di delicatezzada parte di Dio, davanti al sacri-ficio di questa madre.

P. Antonio Maria Sicari

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Pediatra& madre

I genitori di santa Teresa di Lisieux, Ze-

lia Guerín e Luigi Martin; a destra, santa

Gianna Beretta Molla.

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Quanta inerzia e negligenza, quanta millanteria evulnerabilità. Qui divampa la corruzione, lì indispet-tiscono i miraggi intorno alla revisione della spesapubblica (spending review per chi disdegna l’italia-no). Giri lo sguardo e leggi che le famiglie stentanoe le agromafie ingrassano. Tra sciali e privilegi,emergono gl’imbrogli nel settore immobiliare, dovemanca perfino la schedatura del patrimonio. Essen-ziale. Per scandalizzarsi, basta accennare all’inde-cente affittopoli «aglio e oglio», cioè nel cuore del-l’impero. Affermano che in certi uffici il personalescarseggia. Perché non è stato rafforzato coi dipen-denti sottoccupati? Scovateli, a Roma e altrove. Stu-piscono anche magagne tecnologiche: a Milano, 130banche dati comunali non parlano tra loro.Banche, banche... La direttiva UE che scarica i cracsulla clientela, il famigerato bail-in o «salvataggiointerno», non è stato un fulmine a ciel sereno. Le nu-vole nere hanno galleggiato per mesi sulle teste di-stratte, pallido eufemismo, di chi avrebbe potutorenderle meno tempestose; magari suonare l’allar-me. Aivoglia a sparare bordate contro i complottigermanofili e l’euroburocrazia quando sono mode-ste le capacità d’intervenire efficacemente negl’in-granaggi decisionali, nella scrittura e nella gestionedi regole e procedure. Talento negoziale e spottisti-co raramente coabitano. Le litigiosità spinte odoranodi debolezza. Isolano e irritano come le sfide ciarlie-re o smargiasse. L’UE è allergica alle paillettes e pra-tica la «narsistenza», pregiudiziale resistenza allenarrazioni del nostro governo. Non sono un segretoil maxi-debito, la mini-produttività, la crescita di-mezzata rispetto all’eurozona, le previsioni livide.

l Lessicografia, inizio 2016 interessante. La pessi-ma riforma si condensa, a tutta pagina, in «schifor-ma»: una tenuta, nonostante le smentite, è il rima-neggiamento delle pensioni vedovili. Appare l’im-maginaria e orwelliana Eutopia, mentre proseguonodivisioni tenaci, mediocri e fragili compromessi, im-placabili egoismi davanti alle tragedie migratorie.Spettro Uexit alle frontiere. Circolano a mazzi i«buoni scontro»: mica è un errore di stampa. Bistic-ci con uno, ti azzuffi con due.Per le fughe dalle responsabilità, fioccano gli scarica-barile. Precisione, perdinci. In moltissimi casi si trat-ta di «scaricafiaschi». Occhio alle sovrapposizioni ditrasformismo e trasversalismo: forse genereranno unapposito «ismo». Avvertita la necessità d’introdurreparole nuove. «Strafare», per esempio, è privo di un

adeguato contrario. «Pankomat» sarebbe utile per in-dicare la panchina sulla quale i parlamentari volta-gabbana aspettano il premio (incassi assai contesi).Dovremmo esplicitare chiaramente che l’ammiratomarchingegno, spesso, altro non è che una «marchi-pocrisia». D’ingegno, nisba. Da trovare una denomi-nazione specifica per le emergenze destinate a pro-trarsi per lunghi periodi: giova distinguerle dalle si-tuazioni che impongono rimedi-lampo.È ammissibile, signori cruscanti, un ritocco a «cric-ca»? Poiché i 5St sono impegnati a martellare clicperfino quando dormono, sarebbe comodo apostro-farli «clicca» (evitando confusioni coi cinesi affe-zionati alle primarie meneghine del PD). Non di-mentichiamo Beppe Grillo. Il leader è una figuraapicale, oltre che carismatica. Adesso, col «passo difianco», il comico ha inventato a suo uso e consumoil leader laterale. A che serve? Boh. Comunque sia,non arzigogoli fantastici collateralismi.Da scoraggiare, nelle cronache politiche, l’espres-sione «voce grossa»: è semplicemente volgare, gros-sier. Accrescitivi e diminutivi sono in bailamme.Matteo Renzi respinge le critiche definendole «pole-micucce» e «lezioncine»: deformazioni acidule cherinvigoriscono i bersagli. Eppoi, le panzane sonoscambiate per appetitose panzanelle, i cartelloni dicomparse diventano all’improvviso cartelli elettora-li... Il «cangurone»? Mostro parlamentare invocato aPalazzo Madama per divorare pacchi di emenda-menti e sostenere, insieme alle unioni civili, praticheinsane. Di norma, senza ironia, tenerlo ben bene rin-chiuso in doppia gabbia.

l Animate dispute nei laboratori di Gazzosa-Citysul manuale del perfetto leader 3.0, in avanzata ste-sura. Ecco le prime indiscrezioni sui precetti elabo-rati. L’elenco è riferito alla rinfusa, come trapelato,ma uno scoop è uno scoop. «Prometti più di quelloche sei sicuro di non mantenere» (rovescio di unagloriosa massima degasperiana). «Appropriati rapi-damente di tutto ciò che fa tendenza e fai scattareparallelismi coi personaggi popolari». «Tieni prontoun capro espiatorio per ogni possibile guaio». «Leparole hanno un mercato, evitane la saturazione».«Coltiva le incertezze come il prezzemolo sul balco-ne di casa». «Alza i decibel sui decimali positivi»(un intellò aveva suggerito una versione lirica: can-tare spesso Vincerooo, mica solo all’alba come il te-nore di Turandot). Dai Gazzosa-City, lo scherzo èbello se dura poco.

PIAZZA QUADRATA di Dino Basili

Litigiosità che odorano di debolezza

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L’islàm è spesso erroneamenteconsiderato una monade dai trattidefiniti. Poiché manca un’autoritàcomune sovraordinata capace diesprimere una posizione ufficialesu ogni specifica questione (que-sta caratteristica riguarda princi-palmente l’islàm di professionesunnita, l’80/90% circa del mon-do musulmano), nell’islàm convi-vono tante confessioni nell’àmbi-to della principale divisione frasciiti e sunniti – ovvero gli sciiti, isunniti, i wahhabiti, i salafiti, gliismailiti, per menzionarne alcune– che assumono posizioni spessodivergenti fra di loro. Pertanto, sa-rebbe più corretto parlare degli is-làm e non di islàm.

La principale divisione è fra scii-ti e sunniti ed è tornata di grandeattualità negli ultimi mesi a segui-to dell’uccisione di un importanteleader religioso sciita in ArabiaSaudita e delle tensioni fra lo Sta-to saudita e l’Iran che ne sono se-guite. I fatti che hanno dato origi-ne alla scissione fra sciiti e sunni-ti risalgono al periodo di poco po-steriore alla morte di Maometto;emerse allora un contrasto sui cri-teri per l’individuazione del calif-fo, ovvero del successore del Pro-feta che avrebbe dovuto assumereil ruolo di capo politico e spiritua-le della comunità musulmana. Pergli sciiti, poiché Maometto nonaveva figli maschi, il primo suc-cessore andava individuato in Ali,cugino e genero del Profeta, chesposò la figlia Fatima; in questomodo, la successione si sarebbe

attuata all’interno della discen-denza del Profeta. Per i sunnitiera invece necessario individuareil califfo mediante una libera in-vestitura della comunità dei fede-li, riconosciuta come una vera au-torità religiosa. I sunniti propose-ro pertanto come califfo AbuBakr, uno dei primi convertiti al-l’islàm nonché suocero di Mao-metto (era il padre di Aisha). Se-guirono vicende belliche che con-solidarono i due fronti. Attual-mente la differenza fondamentalefra queste due principali compo-nenti dell’islàm riguarda l’esi-stenza e il ruolo della gerarchiareligiosa, mentre per quanto con-cerne i fondamenti della fede nonci sono rilevanti diversità. Nelsunnismo non c’è un vero e pro-prio clero: chiunque si sia prepa-rato nella dottrina e nella teologiaislamica può proporsi o autopro-clamarsi imam, ovvero guidare lapreghiera e il culto, mentre le pre-dicazioni religiose in Internet enei media sono tenute general-mente dai saggi e dagli studiosi,cioè dagli ulema, dai muftì, daimullah. Chi è benestante, o anzia-no, o goda di particolare visibilitào prestigio o responsabilità socia-le, può anche fregiarsi del titoloonorifico di sceicco.

Lo sciismo ha invece un clero or-ganizzato preparato in universitàspecifiche di scienze islamiche onelle scuole teologiche: per di-ventare mullah o ayatollah è ne-cessario quindi svolgere studispecifici. Gli ayatollah sono le

guide spirituali dei fedeli sciitiiraniani; anche se si tratta di unvero e proprio clero, non vi sonomodalità uniformi per raggiunge-re questo titolo. Generalmentel’elevato titolo di ayatollah è at-tribuito a coloro che hanno otte-nuto particolari meriti sia perproclamazione sia per nomina daparte di un altro ayatollah. Circai rapporti fra religione e politica,mentre secondo i sunniti Stato ereligione non sono separabili, glisciiti hanno una tradizione di for-male indipendenza fra leader re-ligiosi e politici; tuttavia lo Statosciita è soggetto al clero, il qualemonitora e decide se un gover-nante è degno di governare e serispetta le linee guida islamiche.Fra gli Stati a maggioranza sun-nita, hanno una particolare im-portanza strategica l’Arabia Sau-dita, la Turchia, l’Egitto, la Gior-dania, il Sudan, la Somalia, loYemen, i Paesi del Maghreb. Losciismo è invece diffuso in Iran(il 90% della popolazione), inIraq (lo è un terzo della popola-zione musulmana), in Pakistan(20%), in Arabia Saudita (15%),in Bahrein (70%), in Libano(27%), in Azerbaijan (85%), nel-lo Yemen (50%). Minoranze scii-te sono presenti in Turchia e inaltre parti del mondo, compresol’Occidente. La Siria, pur essen-do un Paese a maggioranza sun-nita, prima dell’inizio dell’attua-le guerra civile, era governatadalla famiglia Assad (di fede ala-wita-sciita) e da una potente bu-rocrazia sciita. Il Paese di riferimento politico ereligioso degli sciiti è l’Iran. Larivoluzione del 1978/1979, cheha trasformato la monarchia per-

La galassia islamica: una mappa

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ISLÀM

Il califfo dei sunniti

Il clerodegli sciiti

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morte del profetaMaometto.

I sunniti, che – comedetto – sono la con-fessione di circal’80-90% di tutti imusulmani, sono di-visi in quattro princi-pali scuole giuridi-co-teologiche. I ma-likiti, che danno fon-damentale importan-za interpretativa agliusi giuridici, religiosi e socialipraticati a Medina, considerandoquesta città la prima depositariadegli insegnamenti di Maometto;sono presenti nel Maghreb, inEgitto, in Sudan, nel nord ovestdell’Eritrea. Gli shafiiti, che dan-no particolare importanza all’ap-profondimento dei criteri inter-pretativi oggettivi del Corano edella Sunna (la raccolta dei com-portamenti del Profeta) per esclu-dere opinioni soggettive e arbi-trarie; sono presenti soprattuttoin Africa orientale, ma anche inIndonesia, in Egitto e in Palesti-na. Gli hanbaliti, che sono con-trari alle speculazioni filosofichee alla libera interpretazione delleScritture; sono presenti in ArabiaSaudita, in Siria, in Egitto. Glihanafiti, che sono gli interpretipiù elastici del Corano e dellaSunna in quanto attribuiscono si-gnificato al ragionamento dedut-tivo e analogico; sono presenti inSiria, in Iraq, in Palestina, in Af-ghanistan, in India, nei Balcani. Alla fine del XIX secolo si è dif-fuso il salafismo, un movimentofondamentalista particolarmenteintransigente che ritiene priorita-ria su ogni progetto politico la re-staurazione dell’islàm delle origi-ni rifiutando qualsiasi forma dioccidentalizzazione. I salafiti so-no presenti e in preoccupante ra-pida ascesa in tutto il mondo mu-sulmano: fin dalla prima metà delNovecento hanno cominciato a

tradurre le proprie posizioni ideo-logiche in un concreto impegnopolitico anti-occidentale. Questoatteggiamento è stato recepito dal-le frange estreme degli ambientifondamentalisti, che hanno ritenu-to così di avere un conforto reli-gioso nella pianificazione di azio-ni violente compreso il ricorso ainiziative terroristiche suicide. I wahhabiti sono invece i seguacidi Muhammad bin Abd al-Wah-hab, vissuto all’inizio del XVIIIsecolo, alleato di Muhammad BinSaud, principe di un’oasi della re-gione del Neged, capostipite delladinastia che nel XX secolo unifi-cherà la penisola arabica e che tut-tora governa l’Arabia Saudita.Punti fondamentali della dottrinasono l’affermazione del tawhid,ovvero l’assoluta unità di Dio, e lalotta con ogni mezzo contro tuttele forme di culto devianti o atipi-che. Il buon governo è l’adegua-mento della prassi politica e giuri-dica ai fondamentali princìpi dellasharî‘a, che, con estremo rigore,deve regolare ogni comportamen-to umano. Per questo la dottrinawahhabita manifesta una radicaleostilità nei confronti di quei go-verni che si allontanano dalla viatracciata dal Corano: non c’è spa-zio per forme di legittimità demo-cratica di tipo occidentale inquanto l’unica legittimità vienedal letterale rispetto della leggedivina. Il wahhabismo ha sempregoduto del sostegno finanziario

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Malikiti,shafiiti...

siana in una repubblica islamica,è stata guidata dalle autorità reli-giose, fra le quali ebbe particola-re rilievo l’ayatollah Khomeini.La Repubblica islamica iranianaè di fatto una vera teocrazia. Inaltri Paesi – come il Bahrein –,nonostante la maggioranza dellapopolazione sia sciita, è al poterela minoranza sunnita: in questicasi le vicende storiche sono ilfondamento di questa contraddi-zione. Nel tempo pertanto si sonocosì consolidati due blocchi:quello sunnita che è sotto la lea-dership saudita – che sembra at-tualmente non condivisa dallaTurchia – e quello sciita, guidatodall’Iran, alleato storico della Si-ria e sostenitore del movimentolibanese sciita Hezbollah, il cuiramo militare ha come obiettivola distruzione di Israele.

Oltre alla divisione fra sciiti esunniti esiste una terza originariaconfessione, attualmente di scar-sa entità, quella kharigita. I kha-rigiti sono una setta islamica lacui origine risale al 657: dopo labattaglia di Siffin, il quarto calif-fo e genero di Maometto Ali con-cluse un accordo con il suo riva-le Muawiya I, governatore dellaSiria e primo califfo degli Omay-yadi. I kharigiti non accettaronoil patto, che di fatto sanciva unatregua delle ostilità, e abbando-narono il partito di Ali (il verbo«kharagia» in arabo significa«andare via»). I kharigiti ritengo-no che la carica di califfo si deb-ba attribuire per via elettiva sen-za vincoli di casta, di tribù, di fa-miglia, e di razza. Oggi i kharigi-ti sopravvivono in piccoli nucleiin alcune località dell’Algeria,della Tunisia, a Zanzibar e nel-l’Oman e non hanno particolarerilevanza da un punto di vista po-litico e religioso. Sciiti, sunniti ekharigiti solo il risultato dellaprima scissione fra fedeli musul-mani negli anni successivi alla

Dal 657i kharigiti

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dei potentati sauditi; oltre ai re-gnanti sauditi, wahhabita era an-che Osama bin Laden. La dottrinawahhabita è particolarmente radi-cata in Arabia Saudita. I Fratelli Musulmani sono inveceun’organizzazione politica estre-mamente composita, nella qualeconvivono posizioni divergenti.Prevale tuttavia una visione inte-gralista, che si manifesta princi-palmente nella ferma opposizio-ne alla secolarizzazione delle na-zioni islamiche. Questo movi-mento, per la sua storia, per lasua diffusione nel mondo arabo eper l’ampio consenso e prestigiodi cui ha sempre goduto, può es-sere considerato la madre di tuttele organizzazioni islamiche, siamoderate sia fondamentaliste. IFratelli Musulmani hanno spessointrapreso iniziative di caratterefilantropico, concentrando il loroimpegno non solo nel settore po-litico, ma anche nell’insegna-mento, nella sanità e in attivitàsociali e religiose, come l’orga-nizzazione di incontri di preghie-ra e di spiritualità. Il movimentofu fondato nel 1928 da un inse-gnante egiziano di un villaggiosulle rive del Canale di Suez; iFratelli Musulmani si collocanopertanto nel complesso quadro diun risveglio culturale e religioso

che nei primi decen-ni del XX secolo rea-giva a iniziative dioccidentalizzazionedella società islami-ca. Il fondatore sipropose il consegui-mento di obiettivipolitici concreti di ti-po socialista, comela promozione delladignità e il riscattodei lavoratori arabiegiziani; questi fini,anziché dare impul-so a uno Stato laicoche avrebbe dovutorifiutare la cristalliz-zazione dei rapportisociali che sarebbeconseguita dal carat-tere confessionale

delle istituzioni, furono collocatinel quadro della concezione mo-rale e religiosa islamica. Per ilperseguimento di questi obiettiviinfatti veniva attribuito particola-re rilievo all’educazione e allasensibilizzazione ai precetti isla-mici in materia di solidarietà.

Anche il mondo sciita, sebbenepiù compatto, è frammentato inalcune correnti. La principaleconfessione è quella duodecima-na o imamita, che è la più nume-rosa ed è considerata la più mo-derata. I duodecimani credononella successione di dodici imam(da Ali alla figura messianica diMuhammad al-Mahdi che, scom-parso nell’874, mai morto, torne-rebbe alla fine dei tempi per ri-pristinare l’islàm nella purezzaoriginaria). Sono presenti soprat-tutto in Iran (l’85% circa dellapopolazione) e in Iraq. I settimimani, invece, credonoche al-Mahdi, l’ultimo imam,avrà solo sette predecessori. Traessi vi sono gli zaiditi, presentisoprattutto nello Yemen, e gliismailiti, tra i quali vi sono i car-mati (sono presenti in Bahrein,

dove, pur essendo gli sciiti il75% circa della popolazione, è alpotere un’élite sunnita), i fatimi-di, e i nizari, noti in passato come«setta degli Assassini» (gli assas-sini erano i consumatori di has-hish) e presenti nel subcontinenteindiano. Da un punto di vista po-litico ha particolare importanzala setta alawita o alauita, che èpresente in Siria, dove, pur costi-tuendo una minoranza, è al pote-re essendo la confessione religio-sa della famiglia Assad; la dottri-na alawita ha carattere iniziaticoe contiene elementi del cristiane-simo e dello zoroastrismo. Co-munità sciite, soprattutto duode-cimane, sono presenti anche inAzerbaijan, in Libano, nello Ye-men e in Afghanistan.

I drusi sono una setta musulmanadi derivazione sciita fondata nelsecolo XI in Egitto. La dottrinadrusa, particolarmente complessa,è integrata da elementi dell’islàm,del giudaismo, dell’induismo edel cristianesimo, e ha ormai as-sunto caratteri talmente peculiariche la pongono al di fuori dellagalassia musulmana. Inoltre, poi-ché è caratterizzata da un forte mi-sticismo e da un carattere esoteri-co non facilmente accessibile, èrivelata con grande circospezionesolo a chi sia ritenuto pronto e de-gno d’accoglierla. Le comunitàdruse, dopo un lungo periodo dipersecuzioni sunnite, sono attual-mente presenti in Giordania, inLibano, nella Siria meridionale,in Israele (nell’Alta Galilea); inquesti Paesi i drusi – si ritieneche siano circa 700 mila – si so-no integrati, arruolandosi nell’e-sercito e partecipando attivamen-te alla vita politica nazionale,senza però prendere parte a con-flitti sociali probabilmente per unpragmatico calcolo di sopravvi-venza, che li spinge a non espor-si. Tuttavia in alcune occasioni idrusi hanno avuto un peso politi-

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Due personalità di religione sciita: l’ayatollah Komei-

ni (1902-1989), sciita duodecimano; e il presidente

siriano Bashar-al-Assad (1965), sciita alawita.

Duodecimani,settimimani...

Dal secolo XI,i drusi

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Nuovi muri o barriere di filo spi-nato sorgono in Europa, non perdifendersi dai nemici o dai turchiche assediarono Vienna (nel1529 e, in modo più drammatico,nel 1683), ma oggi per bloccare econtrollare le onde di rifugiatiche cercano in Europa un rifugioper sopravvive.Davanti alla porta dell’Europa siaccumulano crisi e problemi qua-si insolubili, specie se non ritornauna solidarietà tra i 28, in parti-colare da parte dei Paesi dell’Est,sempre più chiusi nelle loro fron-tiere, tornati alla sovranità nazio-nale dopo la scomparsa del-l’URSS con il crollo del Muro diBerlino (9 novembre 1989).Il Consiglio europeo del 18 e 19febbraio ha discusso il delicatodossier del Brexit (la permanenzadella Gran Bretagna nell’UE) dadecidersi con un referedum po-polare. La Casa Bianca ha fattosaper che ritiene opportuno cheLondra rimanga nell’UE. «YesSir!». Si capisce che gli america-ni preferiscano avere un orecchioamico nel palazzo del Consiglio.Per la prima vota tre navi daguerra della NATO sorvegliano ilMar Egeo per aiutare i rifugiati ecombattere gli «scafisti» crimi-nali (compito che spetterebbe al-la Turchia).Il rapporto dell’UE con la Tur-chia rimane irrisolto. La Turchiaè una potenza regionale, la cuipolitica ha creato frizioni conMosca per l’abbattimento di uncaccia russo che avrebbe violatolo spazio aereo turco. Mosca, hainvitato i russi a non recarsi invacanza in Turchia (circa 4 mi-lioni di turisti l’anno) e ha sospe-so le importazioni di frutta, ver-

dura e altri prodotti turchi. Dopol’attentato in una stazione bal-neare sul Bosforo, in cui sono ri-masti uccisi e feriti numerosi vil-leggianti tedeschi, anche Berlinoha invitato i suoi cittadini a nonrecarsi, per il momento, in Tur-chia. Altri 3,5-4 milioni di turistil’anno in meno sulle spiagge tur-che. Cinicamente si potrebbe os-servare che vi saranno molti po-sti liberi, a prezzi scontati, peraltri villeggianti europei. Il san-guinoso attentato ad Ankara, il17 febbraio, che ha causato 18morti e decine di feriti, ha dimo-strato che la situazione politicain Turchia non è sotto controllo.«Le sfide alle quali l’UE è con-frontata non debbono condurci al-la rassegnazione e al pessimi-smo», scrive Rüdiger Lüdeking,ambasciatore della Repubblica fe-derale della Germania presso ilRegno del Belgio (Le Soir, quoti-diano francofono di Bruxelles, 12febbraio 2016). Il diplomatico ri-corda che martedì 9 febbraio i mi-nistri degli Esteri dei sei Paesi fon-datori della CEE (Comunità econo-mica europea) hanno dato un pre-ciso segnale in favore di un rina-scimento (sic) dell’idea europea.

Ci vorrebbe un nuovo AlessandroMagno europeo per tagliare conla spada i «nodi gordiani» delladiscordia europea: a) Trovare una soluzione euro-pea, condivisa, per i rifugiati, po-litici e/o economici.b) Negoziare con la Turchia, cheha già raccolto circa 2,3 milioni

OSSERVATORIO D’EUROPA

Brexit & il mistero Siria

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co importante, diventando ele-mento determinante nei precariequilibri mediorientali. Questo èavvenuto soprattutto in Libanomediante le iniziative del leaderJumblatt. Pertanto, pur trattando-si di piccole comunità, i drusihanno svolto e possono svolgerefunzioni decisive di mediazionepolitica, in piena applicazionedel consolidato principio geopo-litico secondo il quale chi non hauna particolare forza che gli con-senta di comandare può soprav-vivere attraverso il potere che ac-quista mediante un’abile attivitàdiplomatica.

In conclusione, viene naturalechiedersi se, in relazione a que-sta classificazione, possano es-sere distinti i Paesi musulmaniespressione di un islàm modera-to da quelli che possano esseredefiniti fondamentalisti in quan-to correlato politico di un radi-calismo religioso. In proposito,l’opinione dei Paesi occidentalirisulta spesso arbitraria e condi-zionata in quanto il giudizio sulcarattere fondamentalista o me-no di uno Stato musulmano nonè oggettivo ovvero non si fa di-pendere dalla corrente dell’is-làm che prevale nel suo territo-rio, ma è influenzato dai rappor-ti economici, commerciali, di-plomatici, culturali che si hannocon quel Paese, o, più in genera-le, dal superficiale clima ami-chevole che si percepisce inmolte note località turistichearabe. Per esempio, l’Occidentesembra considerare moderate lemonarchie saudite in quanto al-leate e importanti partner com-merciali; in realtà, nella peniso-la arabica predomina il wahha-bismo, che – come si è detto – èespressione di una forma estre-mamente rigorosa, radicale e in-transigente di islàm.

Roberto Rapaccini

Chi sonoi «moderati»?

Tre nodida sciogliere

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di rifugiati siriani spendendo ol-tre 7 ml. di euro per mantenerli,su come fare perché non si avvii-no verso il Nord dell’UE che pe-raltro ha promesso un contributodi 3 miliardi di euro, annunziatinella visita della cancelliera An-gela Merkel ad Ankara pochigiorni prima delle elezioni (1°novembre 2015). I risultati elet-torali hanno registrato unaschiacciante vittoria di Erdogan,capo dell’AKP (Partito giustizia esviluppo). Gli Occidentali hannonotato, con «irritazione», per dirpoco, le violazioni delle libertà inTurchia: circa 90 giornalisti sonoimprigionati con altri numerosioppositori politici; la libertà diculto è controllata da vicino datoche gli imam ricevono il giovedìuna nota che deve essere la basedel loro sermone nella moschea ilseguente venerdì; i copti, gliebrei e altre comunità religiosegodono dei privilegi previsti dal-la Costituzione; la Chiesa cattoli-ca, invece, continua a essere og-getto di una decennale discrimi-nazione: non è riconosciuta, nonha personalità giuridica, non puòcostruire nuove chiese, né uffi-ciare in pubblico. I sultani del-l’Impero ottomano erano moltopiù cooperativi con i cattolici e

usavano a loro profitto il saperedegli ecclesiastici.c) Occorre decidere sull’acco-glienza dei rifugiati, ha precisatoil presidente Juncker. «Oggi solo300 rifugiati sono stati collocatisu 160mila aspiranti a un posto inun Paese dell’UE». Il referendumolandese del 6 aprile, richiesto datre movimenti politici euroscetti-ci, riguarda l’Accordo di associa-zione dell’Ucraina all’UE. Unvoto contro l’Accordo minerebbela credibilità dell’UE.

Intanto il presidente della Siria,Bashar El Assad, guida, comepuò, un Paese in guerra da più dicinque anni. Oggi può contaresull’aiuto politico e militare dellaRussia. Mentre l’aviazione russabombardava i «terroristi», cosìdefinisce Mosca i ribelli anti As-sad, russi, americani e numerosealtre delegazioni negoziavano, aMonaco, come avviare gli aiutiumanitari tra un’incursione aereae l’altra. A metà febbraio ancheun ospedale di Medici senzafrontiere in una città del Nord, èstato colpito da due razzi, lancia-

ti da aerei russi, causando unacinquantina di morti. Il ministrodegli Esteri russo ha definito talenotizia: «Pura propaganda». Ma itestimoni hanno ben visto che sitrattava di aerei russi. La conse-guenza è drammatica: il 90% deimedici e del personale ospedalie-ro si sono rifugiati altrove con leproprie famiglie. I feriti e i mala-ti rimarranno senza cure. Il presi-dente siriano ha dichiarato all’A-gence France Presse, di voler ri-conquistare tutta la Siria anche sela guerra durerà a lungo.Il «Gruppo di sostegno alla Si-ria», riunito a Monaco di Bavie-ra l’11 e 12 febbraio, ha trovatoun punto di accordo, flessibile apiacere, sulle modalità per forni-re aiuti alle città più colpite dalconflitto. Alcuni camion con vi-veri e medicinali sono partiti daDamasco, secondo la radio Vati-cana del 10 febbraio, per soccor-rere alcune città del nord, ovemolta gente, per lo più bambini,sono morti di fame. Si attendela cessazione delle ostilità, pre-vista dai contatti tra Obama ePutin, ma osteggiato da Assad.Speranza vana?

Vittime e attori della guerra so-no i curdi, circa 40-50 milioni,dispersi su un territorio compre-so, in parte, negli Stati attuali diIran, Iraq, Siria, Turchia e conpiccole comunità in Armenia.L’area è sovente indicata come«Kurdistan»: è il sogno dei cur-di avere un proprio Stato indi-pendente, o almeno autonomo,non più sotto la giurisdizione,spesso duramente repressiva, diTurchia, Siria, Iraq.La situazione dei curdi è compli-cata. Essi si battono valorosa-mente contro le forze di Assad,ma nello stesso tempo sono sog-getti a bombardamenti e attacchidella Turchia, anch’essa contro ildittatore siriano.

Giovanni Livi

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I ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori della CEE, riuniti a Ro-

ma il 9 febbraio, hanno auspicato un «rinascimento» dell’idea eu-

ropea. Da sinistra, Didier Reynders, Laurent Fabius, Frank-Walter

Steinmeier, Paolo Gentiloni, Jean Asselborn, Bert Koenders.

La Siria in guerrada oltre cinque anni

E i curdine fanno le spese

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Carl Gustav Jung sembra aver giàpredetto quello cui abbiamo potutoassistere nel corso di questo iniziod’anno sui mercati finanziari inter-nazionali. Attraverso la sua operaLa sincronicità come principio dinessi acausali pubblicata nel 1952,il celebre psichiatra e psicoanalistanonché antropologo delineava ilconcetto di «sincronicità»: un im-portante contributo sia al gergo ap-partenente alla sfera psicologica siaal più vasto – e a volte improprio –utilizzo del termine nella culturapopolare. Nella sua teoria si pone-va particolare attenzione al cosid-detto evento sincronistico ovverouna coincidenza dotata di un signi-ficato soggettivo per la persona co-involta; inoltre veniva ulteriormen-te sottolineata l’importanza sulla«acausalità» degli eventi ovvero laprivazione di qualsiasi legame ri-conducibile a un vero e proprio sin-cronismo, in netta contrapposizio-ne al principio di sincronicità quale«contemporaneità di due eventiconnessi quanto al significato, main maniera acausale».

A una vera e propria «sincronicità»e dualità di fattori la finanza inter-nazionale non ha potuto sottrarsiquest’anno. Non un dualismo dieventi tra loro simultanei, bensì uninsieme di eventi che hanno trova-to una vera e propria coincidenza –da qui l’affiancamento alla sincro-nicità junghiana – relativamente al-le enormi ripercussioni soggettiveche si sono disseminate lungo i de-stini di ogni piazza borsistica inter-nazionale.

La Cina evidenzia uno stato econo-mico reale in difficoltà e con ogniprobabilità stenterà a ripartire: no -no stante l’apertura all’ingresso dinuovi investitori stranieri, Pechinoevidenzia pochi consumi interni euna debole propensione all’export.La conferma a questa situazione distallo è arrivata prontamente attra-verso la pubblicazione dell’indicePMI del settore manifatturiero rile-vato da Caixin Media, che a di-cembre ha registrato un calo a 48,2punti rispetto al precedente valorepari a 48,6. Non solo si tratta deldecimo mese consecutivo caratte-rizzato dal segno meno, ma corri-sponde inoltre alla sequenza nega-tiva più ampia dal 2009: una vera epropria conferma del rallentamentoeconomico della seconda econo-mia mondiale.Anche negli USA si evidenzianodubbi sulla reale ripresa dell’eco-nomia soprattutto in funzione deiprossimi appuntamenti che la Fe-deral Reserve dovrà affrontare inottica monetaria. Deludenti i datianch’essi provenienti dal settoremanifatturiero statunitense, dovesia l’indice PMI sia l’ISM di dicem-bre hanno registrato cifre inaspetta-tamente inferiori riportandosi aquota 51,2 punti (minimi da no-vembre 2012) per il primo e a va-lori prossimi ai minimi da giugno2009 per il secondo: in quest’ulti-mo caso la rilevazione si è attestataa 48,2 punti ovvero la prima volta– in sei anni – dove si è potuto as-sistere a valori negativi per due me-si consecutivi.Una sincronicità e dualità nei datidi Cina e Stati Uniti d’America che– mediante la quantificazione deiloro indici manifatturieri – eviden-zia una fase di contrazione per en-

trambe le economie. Solo con valo-ri superiori a 50 punti dei rispettiviindicatori, i singoli Stati si riporte-rebbero in una condizione diespansione economica.

Presupposti negativi comuni e per-tanto scatenanti che hanno favoritoun vero e proprio evento sincroni-stico caratterizzato dal «sell-off»generalizzato sulle principali borseinternazionali. Una reazione all’u-nisono che ha registrato variazioninegative con saldi a due cifre per unammontare complessivo di perditevicino ai 7.800 miliardi di dollarinei primi venti giorni del 2016: l’i-nizio d’anno peggiore degli ultimivent’anni o, come sottolinea Gold-man Sachs, la performance regi-strata nel corso della prima settima-na rappresenta la peggiore dei pri-mi anni ’70; per Wall Street invece,il Financial Times riporta come ilsegno meno registrato nel corsodelle prime cinque sedute dell’annoin corso rappresenti la peggiore va-riazione negativa in assoluto. Da ri-cordare in particolar modo la ge-stione dei ripetuti crolli del princi-pale indice azionario cinese (ChinaSecurities Index 300): le autorità dicontrollo hanno prima disposto –per ben due volte – l’applicazionedel cosiddetto circuit breaker ovve-ro il sistema di interruzione degliscambi in presenza di una perditagiornaliera dell’indice superiore al7% per poi – dopo una settimanadalla neonata applicazione – fareretromarcia e cancellare questomeccanismo introdotto a inizio an-no. Il day after delle borse cinesi ha

FINANZA

Coincidenze per il crollo in borsa

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La crisi in Cina,le difficoltà in USA

Come ti scatenoil sell-off

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visto l’intervento della Banca cen-trale cinese che ha prontamenteagito attraverso una robusta inie-zione di liquidità di oltre 130 mi-liardi di yuan (oltre 20 miliardi didollari) – il più grande interventomonetario avvenuto dallo scorsosettembre – al fine di arginare lapiena crisi da panico tra gli opera-tori e riparare al precedente bloccodegli scambi. Azione quest’ultimache si aggiunge e amplifica le con-seguenze dirette della precedentesvalutazione della moneta cineseche ha visto riportare il valore delloyuan sul dollaro sui livelli del 2011,ovvero un ulteriore fattore destabi-lizzante per l’intero sistema finan-ziario con ripercussioni sul prezzodel petrolio con corrispondenza di-retta per l’ennesimo caso di sicroni-cità e dualità: quello tra la Cina el’andamento del greggio.La svalutazione della moneta cine-se e il sostanziale arretramentoeconomico presente e futuro delPaese (come sottolineato dal Fon-do monetario internazionale il PILnel 2015 è cresciuto del 6,9% enonostante sia sostanzialmente inlinea con gli obiettivi del Governoil valore si colloca ai minimi da 25anni) si presentano come ulteriorieventi sincronistici per l’attualecrollo del barile che ha visto ridur-re il proprio prezzo di oltre il 70%dai precedenti livelli raggiunti nelgiugno 2014. L’economia cinese èdi rilevanza cruciale per il mercatodel petrolio: a seguire gli USA, sitratta del secondo consumatoredell’intero comparto assorbendonecirca il 12% della produzione mon-diale; evidente quindi che un ral-lentamento di Pechino impliche-rebbe un ovvio calo dei consumi digreggio (in termini di importazionicomplessive) e con influenza diret-ta sui corsi della materia prima.Corollario ulteriore alla crisidell’«oro nero» si ha dall’eccessodi scorte mondiali: la produzione èmolto elevata e sul fronte dei con-sumi – anch’essi elevati – non siregistrano possibili compensazionial fine di riportare il mercato versoun più sano equilibrio. Quest’ulti-mo si potrebbe raggiungere in sede

negoziale tra i Paesi membri del-l’OCSE sul fronte della limitazionedelle estrazioni, ma attualmente, acausa sia delle crescenti tensionigeopolitiche nell’area del Golfo siadella peggiore crisi diplomatica inatto dagli anni ’80 tra Iran e ArabiaSaudita, appare proibitivo un ac-cordo per ridurre le quote produtti-ve degli stessi Paesi membri.

All’insieme di questi fattori ma-croeconomici si è aggiunto inoltreil più recente e annoso problema ri-conducibile ai crediti deteriorati incapo al sistema bancario europeo;gli indici settoriali nazionali euro-pei hanno registrato flessioni supe-riori al 35% sfiorando su alcuni ti-toli perdite di oltre il 50%. Solo lesuccessive rassicurazioni del presi-dente della Banca centrale europeaMario Draghi «alle banche europeee italiane la vigilanza BCE non faràrichieste di nuovi accantonamentiné di raccolta di nuovo capitale»hanno contribuito a far riprenderequota ai falcidiati corsi azionari. Lesuccessive dichiarazioni rilasciateper l’imminente futuro: «La Bancacentrale europea è pronta a rivede-re la politica monetaria a marzo» eancora «il consiglio ha il potere, lavolontà e la determinazione ad agi-re», aggiungendo inoltre che «nonci sono limiti» nell’applicazione

degli strumenti», hanno in qualchemodo ridato fiducia agli operatoriche, in attesa del prossimo appunta-mento della BCE, ipotizzano nellesale operative un ulteriore taglio suidepositi da -0,3% e -0,4% e soprat-tutto un aumento del QE relativoagli acquisti mensili passando dagliattuali 60 ad almeno 80 miliardi.Per le prossime settimane credia-mo che ci possano essere spunti ri-alzisti sui principali mercati azio-nari; nonostante questa potenzialitàla nostra precedente view rimaneconfermata e pertanto orientata aun approccio conservativo nellagestione del patrimonio. Il posizio-namento in capitale di rischio ri-marrà residuale (non oltre il 25%per coloro che hanno maggiorepropensione al rischio) e focalizza-to maggiormente sul principale in-dice azionario europeo (DJ Euro-stoxx50) e in misura ridotta sulmercato USA rappresentato dall’in-dice S&P500: nessun posiziona-mento nel panorama azionarioasiatico ed emergente. Sul fronteobbligazionario e valutario perma-ne il precedente outlook.Sincronicità e dualità anche nellagestione del proprio patrimonio: ri-spettando criteri di prudenza e pa-zienza nell’agire si potranno – dicerto – scongiurare eventi sincroni-stici esogeni, ma a noi sensibilmen-te riconducibili sotto il punto di vi-sta monetario.

Stefano Masa

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I crediti deterioratidei Paesi dell’UE

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La provocazione che sarebbe pia-ciuta a Eco, di pubblicare PapeSatan Aleppe con l’editore Masa-niello e senza il nome in coperti-na dell’autore per vedere che ef-fetto-incasso fa, a Mario Andreo-se era venuta, ma Il nome dellarosa ha accumulato più di unatrentina di miliardi di lire, e que-sto diventa un ostacolo davanti alquale si sarebbe fermato anche,anche chi? Boh; forse tutti. Maqui ci troviamo davanti a un filo-sofo-semiologo-umorista, ancheumorista: è il titolo da conquista-re per cui ha lavorato dippiù. Faparte dello smontaggio dellastruttura narrativa, darsi ragionee stupire tutti filosofando sul dar-si torto. Che risate, ah, ah, ah!Ma ormai sono rimasti in quattroa cantare mapim-mapò.

La cosa che spinge un giovanetalentuoso verso gli studi filoso-fici sta in un dissimulato istintodi dominio; tutti i dittatori nehanno uno, specie i dittatori edi-toriali. Il problema diventa que-sto: mettere in gioco l’erudizionecreativa. Dante ce l’aveva; Boc-caccio se ne fregava, ma la lette-ratura italiana è cominciata lì.Perciò la partenza di UmbertoEco verso la dimora di san Tom-maso d’Aquino – con riserva diaccesso immediato – è stato unfatto nascostamente imbarazzan-te, la cui osannante esegesi eracosì prevedibile che, sostituendoi titoli delle opere, essa si mani-festa intercambiale. Lo sapevanoda subito che andava confrontata

la grandezza mediatica del perso-naggio con la sopravvivenza tem-porale delle opere, verificandocon incarico statistico ufficialequanti avevano acquistato, ini-ziato a leggere ed essere arrivatiall’ultima pagina senza avernesaltata nessuna, sospettando cheil tutto avrebbe solleticato l’inna-to sfottìo dell’autore che nonavrebbe tuttavia potuto, dato ilfatto contingente della dipartita,riderci su, giudicarlo, lasciarseloscivolare addosso perché tuttocomunque fa money-money-mo-ney, darling, come tutti gli inci-denti piacevoli che inseguono ra-cimolate prevedibilità. I coccodrilli sono un cliché. Unesempio di questo divagare di-vertito e inappellabile del profconsiste nel suo continuo inda-gare i segni che compongono laforma – anche la realtà emersa ei comportamenti noti – cioè lasemiotica usata come leva per lacomicità e scavandone le con-traddizioni. Ma abusare di unatecnica è diabolico e può diven-tare una manìa; il fatto è che seil giullare diverte il re, il re nonpuò zittire il giullare, pena lasua delusione e quindi l’inaridi-mento. Bisogna berselo tutto. Equello diventa autore, attore, in-terprete, spettatore, critico, go-duria e incasso, una s.p.a. al pro-prio servizio. Che c’entra con laletteratura?Così è nato «il partito di Eco»,con vari personaggi che se ne con-tendono la presidenza. E lui hacontinuato a raccontarsi in libelli,saggi, osservazioni, colti rimandi,bustine di fiammiferi, lezioni dimarketing e speculazioni arbitra-rie nonché sconquassanti sottinte-

Perciò Umberto Eco

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ADDII

Mentre ci domandiamo se Um-berto Eco sia nel frattempo giàarrivato al cospetto di Tommasod’Aquino senza il passaporto delfunerale religioso – ci sarà unpo’ di burocrazia paradisiaca? –,possiamo riandare agli anni diAlfabeta e del nascente Gruppo’63 tra la tiepidezza di Arbasino,la saccenteria di Angelo Gu-glielmi, la pazienza di ValerioRiva, la bravura zittita di CesareMilanese e gli osanna di quelliche non ci avevano capito nien-te, ma intanto scrivevano libriincomprensibili facendo arrab-biare critici e scrittori dell’eximpegno culturale mandati a pa-scere nel sottobosco, gli imitato-ri in ritardo. Il signor Saussure era cicciatocome un fico d’india tra i papa-veri e chi sapeva maneggiarlomeglio vinceva il banco, perciò ilsemiologo – quello che conosce einterpreta i segni della comunica-zione – al comando di una cosache si chiamava «la struttura»della forma-romanzo, aveva soloqualche interlocutore di ribattutao di rincalzo, mai una tesi di so-stanza aliena e autonoma. Eranosempre le stesse carte rimescola-te. E quando nuoti tra gli affoga-ti di sicuro arrivi primo. Certo è che se a fine carriera Um-berto Eco si mette a scrivere Nu-mero Zero che è tutta una con-traddizione rispetto a quello cheaveva fatto per cinquant’anni – ilsaggista –, uno si domanda per-ché Mario Andreose glielo hapubblicato – la Elisabetta Sgarbinon può metterci bocca –, la ri-sposta è che lui i libri di Eco lilegge sempre dopo che sono arri-vati in libreria.

Che c’entracon la letteratura?

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si, cose sempre sorrette dal «parti-to» con quell’accanimento dellaserva che ha concupito il compor-tamento della padrona per ridico-lizzarne i vezzi, le manie, le bas-sezze, la spudorata presunzione,l’incauta ironia ricopiata, le arro-ganze, eccetera, e così facendoconsola le altre serve adoranti neigiardinetti del giovedì, ergendosia giudice dello zeitgeist. E se inquesto gioco Pasolini non eraEco, Eco tuttavia non è riuscito adiventare Pasolini.

Il limite di Umberto Eco è subli-me, risiede proprio nel suo essereil professor Umberto Eco, acca-demico con quarantuno (41) lau-ree honoris causa e un romanzoche sembra il seguito in chiavethriller di Andrea da Barberino, Icavalieri della Tavola Rotonda,Robin Hood e il Santo Graal, emagari anche un po’ di Alì Babàe i quaranta ladroni, i Templari,eccetera, roba che va tanto di mo-da perché il presente è noioso, e

dal presente non si può fuggire;col nome della rosa, sì. Il Me-dioevo ha fama di oscurità, te lopuoi inventare come ti pare. Perscrivere un romanzo sull’oggi diqualsiasi epoca bisogna sapernevivere il tempo con distacco epartecipazione. Questo è il pro-blema: se l’erudizione condizio-na e guida, t’abbiocchi, e avereun rapporto indagatore e conflit-tuale con i segni ambigui e im-precisi del proprio tempo nonpuoi che beffartene anche sequelli sono lo starter, cioè la con-dizione per entrare nel caos e si-stemarlo, possibilmente provan-do a dare qualche risposta. La catalogazione – fumetti, de-sign, la leggerezza, la bellezza,la bruttezza, la tivù, i personag-gi di, lo spettacolo che, il dibat-tito con, insomma la quotidiani-tà –, l’intruglio nelle cose inalte-rabili assurte a modello del sa-pere non bastano a trasformarsiin conoscenze se non entranonel vissuto riconoscibile di unpersonaggio che un pendolare,un commuter, l’uomo della stra-da, il ricercatore alto e/o bassopuò immediatamente individua-

re. Umberto Eco ha interpretatoil distacco nella partecipazione eha fallito proprio dove mirava,la comunicazione. Il fatto è cheMario Andreose avrebbe dovutooperare un rigido editing, maga-ri anche una riscrittura, tantoEco i suoi libri non li rilegge, èsempre un esercito che avanza;impossibile solo a pensarlo, per-ciò come qualsiasi comune let-tore Andreose leggeva dopo,troppo tardi.Oggi, intellettuale ad escluden-dum, Umberto Eco è vittima deisuoi esegeti, del «partito» che al-tri hanno contribuito a formarecol suo silenzioso assenso speri-colato, come se questo bastasse adefinire non solo una continuità,ma dei discepoli. Tutto era co-minciato a Bologna, con LucianoAnceschi – roba troppo seria daripulire subito con una frescadoccia su Il Caffè satirico e lette-rario di Vicari, da Palazzeschi aCesare Cavalleri –; e poi il DAMSche sforna aspiranti recitanti de-clinati in tivù, laureatine inScienza della Comunicazione diimpo(a)ssibile futuro e, a vedermeglio, i libri di Eco-sapiente so-no tutti fatti di raccolte di artico-li, appunti, lezioni, saggi, rubri-chette, ciclamini riciclati, pastic-cini pasticciati, ingredienti in-grassati, anche blablablà; pastonidi cui si rendeva anche contosfoggiando ironia sui giudizi ac-clamanti e laudativi espressi daisuoi adepti di «partito», smon-tandoli e ricavandone ulteriore ti-tolo di erudironico. Purtroppo l’ignoranza e la brut-tezza che dilaga è avanzata paral-lelamente alla crescita culturaledi Umberto Eco, e questo è soloun fatto, non diciamo che sia in-quietante, però. Succede quandoi maestri non pervengono allamaestrìa della sintesi e si perdo-no soffermandosi nella trattazio-ne del divenire, un procedere daAristotele ad Anassimandro, pro-prio quell’avanzare a ritroso co-me Eco aveva intuito. Il sapere èun treno che va e viene. Una co-sa molto poco filosofica. Quanto

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Vittimadei suoi esegeti

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al memorialismo nostalgico dellibro La misteriosa fiamma dellaregina Loana, di memoria gioco-sa, era già stato abbondantemen-

te scritto. Applicando la semiolo-gia alla realtà, Eco ha trascuratol’impatto con quel coacervo psi-cologico che arriva a Freud, ma

origina dalla tragedia greca. Nonpuoi affrontare tutto, studiando.

Franco Palmieri

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Quando Eco difese l’Opus Dei

La scomparsa di Umberto Eco mi ha riportatoalla memoria un paio di episodi nei quali hoavuto occasione di interfacciarmi con lui. Nul-la di importante, ma occasione di rispettosoricordo. Era forse il 2001 e mi chiama Gianfranco Bet-tetini, grande amico di Eco, nonché illustrecattedratico, nonché da tanti anni fedele del-l’Opus Dei. Mi dice che qualche sera dopoavrebbe ospitato a cena Umberto Eco. Intendemantenere una promessa fattagli da tempo:fargli vedere un filmato che ritrae il fondatoredell’Opus Dei durante un incontro pubblico inArgentina. Mi chiede se posso essere presente,per eventuali approfondimenti sulla figura esul messaggio di Josemaría Escrivá.Eccoci alla cena, presente Renate, la gentilemoglie dell’autore del Nome della Rosa; cenasimpatica, discorsi vari e proiezione. Josema-ría si muove sul palco in un grande teatro diBuenos Aires davanti a cinquemila persone,parla in castigliano ma c’è un discreto dop-piaggio in italiano: non copre la voce origina-le e consente di apprezzare pause, interiezionied esclamazioni. Escrivá si sposta agilmentesul palco, risponde alle domande in manieragarbata, acuta e talvolta fremente di amore diDio, deciso a dare la primazia alla carità:«Noi sacerdoti non dobbiamo dividere, maunire! [cito a memoria]. Non possiamo esseredi parte! Dobbiamo avere le braccia spalan-cate, perché ci stiano tutti, quelli di destra,quelli di sinistra, quelli di centro!». La genteapplaude, si diverte e si commuove.Da persona educata e intelligente, nel prosie-guo della serata, Umberto Eco dice parole disincero apprezzamento, fa domande, si interes-sa. Di certo è rimasto colpito e almeno gli sa-rà rimasta stima e curiosità per questo sacer-dote sereno, comunicativo, santo…Passiamo al 2006. È l’epoca del Codice daVinci. Sui giornali si legge molto dell’OpusDei, improvvisamente tornato di moda per lasofisticata vicenda inventata da Dan Brown. Sicercano pareri e si fanno interviste. Una toccaproprio a lui: che cosa pensa dell’Opus Dei?Umberto Eco, chissà se per l’amicizia fraterna

con Bettetini o ricordando le parole schiette epositive di Escrivá, difende l’Opus Dei con de-terminazione. Il giorno dopo, a Bettetini che loringrazia, commenta scherzosamente: «Beh,adesso l’Opus Dei dovrebbe ricompensarmicon una cassa di whisky!».Gianfranco mi racconta la cosa divertito e iolo prendo in parola e faccio avere a Eco unapregiata bottiglia di Ballantine, con una frasescherzosa: «…Purtroppo non ci possiamo per-mettere una cassa intera!».Qualche giorno dopo mi arriva la sua altret-tanto scherzosa e pungente risposta, con l’ag-giunta di una «p» al mio cognome: «Caro dot-tore, grazie per il regalo inatteso. Non pensa-vo che l’Opus Dei avesse tante ricchezze mon-dane da permettersi un Ballantine. Immaginoche lo abbiate sottratto (per eliminare ognitraccia) al banchetto nuziale di Gesù con laMaddalena». «PS. Ovviamente l’idea mi è stata suggeritadall’attendibilissimo Dan Brown…». Grande cultura e ironico buon senso…

Aldo Capucci

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INQUIETOVIVERE di Guido Clericetti

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Nel volume In rima e senza(Mondadori, Milano 1981) Gior-gio Bassani, di cui il 4 marzo diquest’anno ricorre il centenariodella nascita, ha raccolto la suaintera produzione poetica, la suascrittura in versi che precede(1942-1950) e segue (1974-1978) quella narrativa. La primafase comprende Storie dei poveriamanti (1945) cui seguono Te lu-cis ante (1947) e Un’altra libertà(1951), raccolte poi, nel 1963, inL’alba ai vetri. Poesie 1942-1950 (Einaudi, Torino 1963).Bassani ha ripetuto più volte diessere un poeta, «sostanzialmenteun poeta», e dichiarato che la se-conda parte di In rime e senza èstata dettata dal bisogno fonda-mentale di dire in versi ciò che nelRomanzo di Ferrara non avevadetto esplicitamente. Nel risvoltode L’alba ai vetri si legge: «Nonsarà chi non veda come tutta l’o-pera di Bassani narratore proven-ga da questi versi, fin dai primi».Il giudizio è quanto mai appro-priato. Si pensi, con la poesiadella Dickinson citata nella quar-ta parte del capitolo terzo delGiardino dei Finzi Contini, a Ce-na di Pasqua (che richiama il ca-pitolo settimo della parte terza) oa Sogno (che richiama in genera-le la figura del padre e in partico-lare la parte quarta del capitolonono), ai celebri versi di Te lucisante citati nella parte sesta delcapitolo quarto («come la verità /come essa triste e bella») o al-l’Orfeo della terza parte dellostesso capitolo (che richiamaAdieu e Muore un’epoca).Non c’è poi chi non veda come ilpaesaggio e il sentimento di Ver-so Ferrara ritornino in Gli oc-

chiali d’oro (prima ancora che inL’airone) o come Per il parco diNinfa (cui in Epitaffio farà segui-to Ninfa rivisitata) sia prefigura-zione del giardino di Micol, quelgiardino che assume sempre dipiù una colorazione funebre.

Dicevamo dunque del rapporto diBassani con la poesia. CesareGarboli ha descritto così l’entu-siasmo dello scrittore per il capo-lavoro di Silvio D’Arzo: «Lo ri-cordo ancora entrare in casa diNicolò Gallo, agitare uno scarta-faccio aumentando il volume del-la voce per vincere la balbuzie:“Guardate qui, che racconto!Guardate, è tutto versi, ma nasco-sti, solo un orecchio finissimo sene accorge”. Era Casa d’altri» (inproposito si può ricordare il co-mune amore per Henry James cheD’Arzo nel suo saggio Henry Ja-mes, di società, di uomini e fanta-smi definisce «un eterno spettato-re», osservando come i fatti in let-teratura siano «falsi e gratuiti» senon riflettano «una lunga serie digiorni senza nome»).E non ci si deve meravigliare chein una lettera del 23 novembre1950 all’amico Giuseppe Dessì(il magistrale evocatore di quel«paese d’ombre» che, manzonia-namente, è sempre stata per lui laSardegna) nel lodarne la produ-zione in prosa Bassani, che nel1949 aveva pubblicato Isola del-l’Angelo in Botteghe Oscure, os-servi come la produzione poeticalo convinca meno, perché in essasi dovrebbe far ricorso a uno sti-

le meno «essenziale» e più pro-priamente «prosastico».Certo L’airone è il più lirico deiromanzi dello scrittore ferrarese.L’avventura spirituale di Edgar-do Limentani, israelita senza fe-de appartenente alla borghesiaagraria ferrarese, si svolge nellospazio di un giorno ed è la storiadi una conversione alla morte. Larivelazione avviene durante lacaccia: «Niente più gli apparivacome reale... Vero e non vero, vi-sto e immaginato, vicino e lonta-no: tutte le cose si mescolavano esi confondevano fra di loro. Per-fino il tempo normale, quello deiminuti e delle ore, non c’era più,non contava più». La morte del-l’airone è il simbolo della condi-zione umana. Il buffo uccello,che sembra quasi un errore di na-tura, vince nella morte la suacondizione e, nell’inutile lottaper la sopravvivenza, afferma ilsuo diritto a esistere veramente.Di fronte alla vetrina dell’imbal-samatore, sulla piazza deserta diGodigoro, Edgardo Limentaniprende coscienza di questa gene-rale verità: «Di là dal vetro il si-lenzio, l’immobilità assoluta, lapace. Guardava a una a una le be-stie imbalsamate, magnifiche,tutte, nella loro morte, più viveche se fossero vive».A proposito di quel romanzo Ce-sare Garboli in Quando l’aironechiude le ali (La Fiera Letterarian. 44, 31 ottobre 1968) scrisse:«In un mondo che non vuole piùsaperne di vivere, nel suo gran-dioso “trionfo” la morte non po-teva imbattersi in un antagonista,in un dissidente di più cocciuta,resistente anima laica». E Clau-dio Marabini alla voce Bassani

Giorgio Bassani, poeta

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POESIA

Da Henry Jamesa «L’airone»

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(Nuova Antologia gennaio 1969)richiamava Te lucis ante e la pre-fazione all’edizione del 1958 delGattopardo curata dallo stessoBassani: «La vita è musicale, sisa. Sui suoi temi fondamentali,sulle sue frasi più intense nonama indugiare. Si limita a dartelidi furto, ad accennarteli appena».Ricordo il mio primo incontrocon Bassani, avvenuto il 7 aprile1983 nell’Aula Magna del Con-vitto Nazionale, alla presenza delpreside e degli alunni dell’Istitu-to magistrale Isabella d’Este diTivoli, proprio per parlare del vo-lume In rima e senza, e rimastoconsegnato alle pagine di ungiornale locale (L’Aniene, n. 7-8,30 aprile 1983): prima la letturadi Verso Ferrara, L’ho già detto,Mi chiedi perché mai e quando,Davvero cari non saprei dirvelo,La cuginetta cattolica, RollsRoyce, Le leggi razziali, I gioca-tori, Valzer e poi la ricostruzionedelle vicissitudini cinematografi-che del Giardino dei Finzi Conti-ni da Zurlini a De Sica attraversola sceneggiatura Bassani-Moni-celli, come descritto nel Giardinotradito, l’articolo apparso giàsull’Espresso nel 1970.

Ricordo in particolare quantodetto in quell’occasione dalloscrittore a proposito dei compo-nimenti di Epitaffio. Io, dopoaver richiamato l’infelice giudi-zio di Natalia Ginzburg e quellopienamente convinto di Pier Pao-lo Pasolini, avevo sottolineato laripresa di un motivo qua e là giàpresente nelle prime raccolte (sipensi con I giocatori a Cena diPasqua, I Campi Elisi, Retrovia,Per il parco di Ninfa), rilevandocome Angelus e L’alba ai vetrisono posti non a caso uno dietrol’altro, in sequenza, a comunica-re una medesima inquietudine:prima «la luce estrema dell’ange-lus» (gli angeli ritornano già nel-la prima raccolta da Pontelago-

scuro a Retrovia) e poi «l’alba aivetri» (il «di là dal vetro» come«dietro la porta» che ritorna, co-me un leit-motiv, da Serenata eDai bastioni orientali a Storie deipoveri amanti e Mascherata).Bassani aveva aggiunto che queicomponimenti sono da un puntodi vista semantico lapidi, epigra-fi, benché ispirati per contrasto aun profondo senso della vita per-ché «l’epitaffio fa rivivere il pre-sente nel passato». Basterà ri-chiamare A un professore di filo-sofia («Questa minima / frangiadi semivita»), I grandi («quel /piccolo margine d’anni che anco-ra ci resta da vivere»), e ancoraIsola Bisentina («Come è bella lavita e che peccato / dover lasciar-la...»), A Franco Fortini («e pas-sare per dei Bassani e dei Forti-ni»), Salto di Fondi («che non cisto che non appartengo che la vi-ta / è altrove che è un’altra / co-sa») e Tennis club («un grandeocchio celeste»).Per citare i versi conclusivi di Al-la stessa, un componimento pro-verbiale dell’ultima raccolta, In

gran segreto (1978), la poesia diBassani sembra venire tutta daquei luoghi donde «per solito nonsi ritorna respirando anzi mai e /poi mai». Di quest’ultima raccol-ta si vedano anche Tale e quale,Muore un’epoca, In un orecchio,Brindisi per l’anno nuovo e Amo-ri impossibili.In un’intervista con Giorgio Va-ranini del 1970 ritorna il riferi-mento ad Alessandro Manzoni(cui rimanda, con il finale delGiardino dei Finzi Contini, l’epi-grafe al Romanzo di Ferrara)con il richiamo ai componimentimisti di storia e di invenzione ealla provvidenza («Nonché, siapure a modo mio, nella fede nel-la divina provvidenza»). Non acaso, a proposito di Te lucis ante,già Giuseppe De Robertis citaManzoni e Geno Pampaloni vedein quella raccolta poetica «gli in-ni sacri di un giovane non cre-dente affascinato dal Dio che co-manda la storia e lascia alle ani-me la loro destinazione alla mor-te» così come Claudio Marabini,alla voce Bassani sopra citata,

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Luci, epitaffi& inquietudini

Giorgio Bassani (1916-2000) è noto per il romanzo Il giardino

dei Finzi Contini (1962), ma va riscoperta anche la sua ricerca

poetica raccolta nel volume In rima e senza (Mondadori, 1981).

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sottolinea il «Tu» in quella poe-sia che, nella sua «ansia religio-sa», esprime «una sorta di pre-ghiera». Lo stesso Varanini poiricorda Eugenio Montale che, re-censendo nel Mondo Artistico eLetterario del 1° dicembre 1945le Storie dei poveri amanti, sotto-lineava «il temperamento discrittore aperto a molte vie» e no-tava la presenza del prosatore«nel tessuto del verso che rifuggeda ogni astrazione sonora e si va-le di un linguaggio ch’è realisti-co, ma non contraddice mai allepossibilità tonali della lirica».Se il tono e l’impasto di linguag-gio di quel primo volumetto ri-mandano a Montale, cadenze estilemi d’impronta montaliana ri-affiorano poi in Un’altra libertà,da Ars poetica («E non resti dime che un grido, un grido lento /senza parole. Nessuna mai paro-la: ché premio / m’eri, o frana ce-leste ed intima, tu sola») a L’albaai vetri («L’alba ai vetri e la mu-sica d’un piffero e un tamburo /volava a me con lieve, vaneg-giante allegria») e Qualche volta(«La pietà che le assume è unacera lontana / che nessuna voceumana può incidere»).In conclusione, sottolineando co-me il Geo Josz di Una lapide invia Mazzini, che torna a Ferrara ilgiorno stesso che gli operai stannomettendo la lapide con il suo no-me, sia richiamato significativa-mente per le sue valenze autobio-grafiche (più volte infatti Bassaniha dichiarato: «Geo Josz sonoio») proprio alla conclusione delRomanzo di Ferrara in Laggiù infondo al corridoio, vorrei ricorda-re In un orecchio di In gran segre-to («Ero molto lontano non sai /quanto. / Ti ho stretto forte la ma-no per restarti / accanto / per nontornarci mai più / là»), che fa pen-sare ancora una volta a Una lapi-de in via Mazzini, alla ben notaconsiderazione del capitolo se-condo: «Veniva da molto lontano,da assai più lontano di quanto nonvenisse realmente».

Sabino Caronia

Non sempre, per non dire rara-mente, giurati di Concorsi o Pre-mi letterari hanno riconosciuto ilvalore e l’importanza di operesottoposte al loro giudizio. E co-sì talvolta hanno scelto opere me-diocri, che sono ben presto svani-te, preferendole a opere che poisono entrate nella storia della let-teratura. Forse è inutile dire che,se si consulta l’elenco dei vinci-tori del Premio Nobel della Let-teratura, si incontrano nomi d’au-tori che sono ricordati quasi sola-mente perché inclusi in questoelenco, dal quale mancano autoridi opere fondamentali della lette-ratura universale. Tra gli altri,mentre s’incontra il nome diWinston Churchill, giustamentefamoso statista, manca quello diBenedetto Croce, il più famosodei letterati italiani della primametà del Novecento e uno dei piùfamosi in campo internazionale,del quale ancora vengono ristam-pate, lette e studiate opere.Alla luce di questo potrebbe me-ravigliare che, nel 1750, JacquesRousseau, quando aveva trenta-sette anni, con il Discorso sullescienze e sulle arti abbia vinto ilPremio bandito dall’Accademiadi Digione. E che nel 1838, quan-do aveva cinquant’anni, ArthurSchopenhauer sia stato premiatodalla Reale Società delle Scienzedi Norvegia per il suo saggio Lalibertà del volere umano. Anchese poi nulla ottenne JacquesRousseau per il successivo Di-scorso sull’origine e i fondamen-ti della disuguaglianza, e nullaArthur Schopenhauer per il sag-gio su Il fondamento della mora-le, presentato alla Reale Societàdelle Scienze di Danimarca.

Una delle esclusioni più clamo-rose riguarda Giacomo Leopardi.Dopo la pubblicazione della pri-ma edizione delle Operette mora-li, avvenuta nel 1827 a Milano daparte dell’editore Stella, GiacomoLeopardi, che aveva ventinoveanni, fu sollecitato da amici a par-tecipare al Concorso quinquenna-le indetto dall’Accademia dellaCrusca e dotato di cinquemila lire.

Trovandosi lontano da Recanati, aFirenze, e in ristrettezze economi-che, Giacomo Leopardi si persua-se a inviare al Concorso il suo vo-lume. Conteneva venti tra dialo-ghi e trattazioni, che in gran parteaveva scritto nel 1824. Tra questic’erano il Dialogo di Timandro edi Eleandro, il Dialogo di Cristo-foro Colombo e di Pietro Gutier-rez e il Dialogo di Torquato Tassoe del suo Genio familiare che era-no stati già pubblicati, nel gennaio1826, nella rivista Antologia, fon-data cinque anni prima a Firenzeda Gian Pietro Viesseux.Si era ritenuto che al Concorsodell’Accademia della Crusca do-vesse partecipare anche Alessan-dro Manzoni con I promessi spo-si. Ma egli non inviò il suo ro-manzo, per cui la lotta per l’asse-gnazione del premio si restrinsealle Operette morali e alla Storiad’Italia dal 1789 al 1813 del cin-quantanovenne Carlo Botta. Perlo più la maggior parte dei giura-ti, pur ammirando lo stile delleOperette morali, non ne condivi-deva i contenuti. Uno dei giuratidisse chiaramente: «I concetti

CONCORSI

Giacomo Leopardi bocciato p

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Poeta in difficoltà

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sentono non solo dell’immorale,ma tendono a far crollare le basid’ogni moralità, non dico cristia-na, ma di qualunque religione». Il primo relatore, che avevaespresso invece un giudizio assaifavorevole al libro, morì primadella riunione decisiva. Così, do-po aver respinto la proposta di di-viderlo, la Giuria assegnò il Pre-mio alla Storia d’Italia del 1789 al1814 di Carlo Botta con tredicivoti favorevoli. Un voto, con lamenzione d’onore, andò alle Ope-rette morali, un altro voto alla Sa-cra scrittura illustrata con monu-menti assiri ed egiziani di Miche-langelo Lanci. Carlo Botta non erauno sconosciuto. Era stato mediconell’esercito napoleonico, mem-bro del Governo Provvisorio delPiemonte, membro della Consultapiemontese e poi della Commis-sione esecutiva, rettore dell’Acca-demia di Nancy durante i Centogiorni e in seguito, dopo la restau-razione, anche di quella di Rouen(1817). Era l’autore della Guerradell’indipendenza degli Stati Uni-ti d’America, pubblicata in primaedizione a Parigi nel 1809 e in se-conda edizione riveduta a Milanonel 1819, che aveva avuto grandefortuna e suscitato anche entusia-smi. È da ritenere che GiacomoLeopardi, che nel frattempo era ri-tornato a Recanati, ed ebbe notiziadell’assegnazione del premio soloun mese dopo che questa era av-venuta, nulla abbia fatto per otte-nerlo, quantunque proprio ne Lascommessa di Prometeo, inclusanelle Operette morali, avesse im-maginato l’unico premio aggiudi-cato «senza interventi di sollecitu-dini, né di favori né di promesseocculte né di artifizi».

In pochi anni la Storia d’Italia dal1789 al 1814 ebbe quattordici ri-stampe. Le Operette morali, ac-cresciute di quattro, ebbero unaseconda edizione a Firenze daparte dell’editore Piatti nel 1834.Una terza edizione presso l’edito-re Starita, sempre rivista da Gia-como Leopardi, fu proibita a Na-poli dal Governo Borbonico dopola pubblicazione del primo deidue volumi previsti. L’edizioneconclusiva, a cura di Antonio Ra-nieri, fu pubblicata postuma nel1845 nelle Opere di Leopardi,edite a Firenze da Le Monnier.

Da allora le Operette morali han-no sempre affiancato il gloriosocammino dei Canti, che hanno re-so Giacomo Leopardi uno dei piùammirati e amati poeti d’Italia,mentre la Storia di Carlo Bottaviene per lo più ricordata comel’opera che vinse le Operette mo-rali, per le quali Friedrich Nietz-sche definì Giacomo Leopardi «ilpiù grande prosatore del secolo»(era logicamente il loro secolo:l’Ottocento). E continuano a rive-lare come Giacomo Leopardiavesse immaginato i premi deiquali parla nell’operetta intitolataProposta di premi fatta dall’Acca-demia dei Sillografi, e il premio dicui parla nell’operetta intitolata

La scommessa di Prometeo.Nella prima dice che l’Accademiadei Sillografi, ritenendo che sifosse ormai nel tempo delle mac-chine, avesse proposto di assegna-re tre premi, consistenti ognuno inuna medaglia d’oro del peso diquaranta zecchini, agli inventoridi queste tre macchine: quella chefaccia le parti e la persona d’unamico; quella che sia un uomo ar-tificiale «a vapore» che sappiacompiere opere virtuose e magna-nime; quella che sappia compieregli uffizi di una donna simile aquella immaginata da BaldassarCastiglione nel Libro del Corti-giano (che consiste in una serie didialoghi o conversazioni).Nella seconda operetta dice che ilCollegio delle Muse, che avevaindetto il Concorso, aveva attri-buito il Premio per una lodevoleinvenzione, ex aequo, a Bacco perl’invenzione del vino, a Minervaper quella dell’olio e a Vulcanoper aver costruito una pentola dirame, capace di cuocere con pocofuoco e speditamente. Ma che,quantunque i tre, come tanti altri ea eccezione di Prometeo, avesseropartecipato al concorso per passa-tempo, avevano rifiutato il premioche consisteva in una semplice co-rona di lauro. Sarebbe superfluosoffermarsi sull’arguzia e sul veroche Giacomo Leopardi rivela an-che in queste sue due operette.

Raffaele Vacca

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bocciato p er le «Operette»

Rivincita postuma

Giacomo Leopardi (Recanati, 1798 - Napoli, 1837).

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Da piccolo mi piaceva osservaregli artigiani intenti al loro mestie-re. Cercavo di rubarlo per fare dame quel che ottenevano dalla loromaestria. Meno piacevole la sen-sazione di venir derubati del pro-prio mestiere. La cosa mi è capita-ta durante la lettura di Secretum,un corposo romanzo di Rita Mo-naldi e Francesco Sorti che ha lapretesa di rettificare un episodioimportante di storia della Chiesa. I due autori hanno raggiunto unclamoroso successo internazio-nale mediante una serie di alme-no cinque romanzi dal titolo lati-no, che hanno come protagonistaAtto Melani, un personaggiorealmente vissuto tra il 1626 e il1714, un «evirato cantore» chefece carriera come spia interna-zionale per la Francia di LuigiXIV. Il libro non è un polpettoneindigesto alla maniera del Codiceda Vinci. Semmai segue la tecni-ca di composizione dell’archeti-po di questo tipo di letteratura, Ilnome della rosa di Umberto Eco,un fine semiologo molto intelli-gente, un poco spregiudicato, chescelse gli ingredienti di sicurosuccesso. Una narrazione sempretesa, con capitoli che terminanodopo aver suscitato spasmodicaattesa per il seguente; scene sem-pre giocate a gran velocità comequella degli inseguimenti tra as-sassini e poliziotti; vicende mi-steriose collocate in edifici cele-bri; largo ricorso ai luoghi comu-ni della cultura corrente del tipo«il buio Medioevo», perché biso-gna blandire, non correggere ipregiudizi del lettore; raffigurarela Chiesa cattolica sempre inten-ta a nascondere le menzogne sucui è edificata, e che perseguita

filosofi e scienziati quando tenta-no di smascherarla; il tutto inseri-to in un ambiente iperrealista, de-scritto fin nei minimi particolariper dimostrare l’attendibilità de-gli avvenimenti raccontati. È latecnica cinematografica applicataalla carta stampata. In questo ro-manzo compare anche la musicache deve accompagnare le scenepiù importanti (ormai i maggiorimusicisti del nostro tempo scri-vono musica solamente per film).Inevitabile la prosecuzione delsuccesso con altri episodi, con glistessi personaggi ormai cono-sciuti per le loro manie, peraltrogiocate in scenari sempre nuovi.

Secretum si svolge in dieci gior-nate del luglio 1700, nella villasuburbana del cardinale FabrizioSpada, segretario di Stato del pa-

pa Innocenzo XII, gravementeammalato e perciò dato per spac-ciato con immediate schermagliediplomatiche per nominare ilsuccessore. L’ambiente romanoattiva contatti col mondo interna-zionale per orientare i cardinaliche prenderanno parte al concla-ve. La vicenda risulta ancora piùcomplicata perché negli stessigiorni il re Carlo II di Spagna, ul-timo discendente diretto di CarloV nell’Impero, afflitto da saluteprecaria fin dall’infanzia, è ridot-to agli estremi. Il re non ha figli eperciò deve redigere un testa-mento che destini il trono di Spa-gna, con l’immenso impero cheancora detiene, a uno dei nipoti.Proprio in questo momento, ilcardinale Spada organizza nellasua villa suburbana il matrimoniodi un nipote con invito esteso atutte le persone che contano. Nondico altro per non urtare coloroche intendono leggere il roman-zo, che non è solamente un gial-lo, bensì anche un romanzo stori-co, con rievocazione di ambientie costumi spesso tratteggiati conabilità. Si assiste a banchetti suc-culenti; a giochi di società conpungenti osservazioni nei con-fronti delle personalità coinvolte;a descrizioni di colori che non siconoscono più, come il «gridelli-no», il colore grigio del tessuto dilino tendente a una tonalità viola-cea. Compaiono alcune pagineturgide di termini desueti, per di-mostrare quanto gli autori abbia-no saputo identificarsi con l’am-biente barocco, colto fin nei par-ticolari più minuti.Ma c’è di più. Nella quarta di co-pertina, l’ultimo editore si premu-ra di ricordare che i due simpatici

NARRATIVA

Il (torbido) Secretum & la storia

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Una vicendamolto complicata

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autori vivono in esilio a Vienna,perché il precedente editore li hatrattati rudemente, forse a suavolta costretto da esigenze miste-riose della grande politica. Oc-corre dire che si tratta del mag-giore gruppo editoriale italiano,che controlla varie reti televisive,presieduto da un ricco personag-gio che è anche primo ministro.Perciò, il rifiuto di ristampare ilprimo volume della serie, intito-lato Imprimatur, è un caso di cru-dele censura, un bavaglio per lalibertà di stampa, da mantenerecome principio intangibile.La vicenda raccontata da Impri-matur si svolge nel 1683, quandoKara Mustafà con 150.000 solda-ti turchi pose l’assedio intorno aVienna. In quella occasione il pa-pa Innocenzo XI si era svenatopur di finanziare i polacchi diGiovanni Sobieski e gli austriacidi Leopoldo che dovevano respin-gere l’attacco. In caso di vittoria, iturchi avevano minacciato discendere attraverso il Brennero fi-no a Venezia e Roma, decisi a ri-coverare i loro cavalli nella basili-ca di San Pietro. Innocenzo XI erafamoso per il rigore morale, per leeconomie fino all’osso, senza nul-la concedere ai teatri e alle festedi carnevale. Ma la famiglia Ode-scalchi, da cui discendeva, eracomposta di banchieri che aveva-no prestato denaro a Guglielmod’Orange, l’olandese che avevasposato Mary Stuart, figlia di Gia-como II re d’Inghilterra: Gugliel-mo III e Mary Stuart furono fattire del Regno Unito per impedirela presenza di un cattolico su queltrono, garantendo per sempre lareligione anglicana. Il panorama europeo era domina-to dal re sole, Luigi XIV, che ave-va stritolato la Germania, ridu-cendola alla polvere di circa tre-cento Stati dalla vita asfittica,ben deciso a sconfiggere l’Olan-da che gli impediva l’egemoniaeconomica sull’Europa. Distruttoil giovanile sogno d’amore conMaria Mancini, nipote del cardi-nale Mazzarino, la ragion di Sta-to l’aveva sposato con Maria Te-

resa, sorella di Carlo II di Spa-gna. La rinuncia a ogni diritto dieredità al trono di Spagna era sta-ta subordinata al pagamento diuna dote enorme, non soddisfat-ta: perciò rimaneva operante lapretesa di successione al trono diSpagna. Dopo la sconfitta di Kara Musta-fà, Luigi XIV mantenne gli aiutiall’Impero turco per resistere neiBalcani, mentre il suo esercitopresidiava le fortezze della Bar-riera verso l’Olanda. Per quantoriguarda l’Inghilterra, Luigi XIVdette asilo politico allo spodesta-to Giacomo II, che era anche suocugino di primo grado, finanzian-do uno sbarco in Irlanda, peraltrofallito, ma festeggiato fino a qual-che anno fa nell’Ulster a ludibriodei cattolici. In Francia, il re deci-se la revoca dell’Editto di Nantesfavorevole agli Ugonotti. Nel gi-ro di tre mesi, circa 300.000 traloro emigrarono nel resto d’Euro-pa: in Olanda, in Inghilterra, inPrussia, nella Selva Nera dove gliimmigrati trasferirono l’industriadegli orologi a cucù e a Ginevradove fu trasferita l’industria degliorologi da tasca. Il papa Innocen-zo XI aveva dovuto subire nel1682 l’imposizione dei principigallicani che miravano a trasfor-mare la Chiesa di Francia in unaChiesa strettamente nazionale, la-sciando al re la collazione di tuttii benefici ecclesiastici, con l’ob-bligo per il Papa di aiutare il re avincere l’opposizione dei gianse-nisti, una delle pagine più compli-cate della storia della Chiesa, conpersonaggi dotati di estrema in-telligenza e cultura, impegnati inun duello intellettuale privo di vied’uscita (un visitatore italiano delmonastero di Port Royal definìquelle monache «pure come an-geli, superbe come demoni», unadefinizione che potrebbe valereper tutto il giansenismo). Nel1956 il papa Innocenzo XI venneproclamato beato, una decisionenata per iniziativa di chi seppe in-sistere per arrivare a quel risulta-to. Potremmo qui aggiungere cheanche la beatificazione di Pio IX

dovette attendere un secolo primadi venir proclamata. Avendo con-traria tutta la storiografia risorgi-mentale, occorse la tenacia delcardinal Palazzini, marchigianoben deciso a difendere l’onore diun altro marchigiano: a partire dal1974, praticamente ogni anno,veniva radunato un congresso in-ternazionale dedicato a Pio IX.Perciò, chi aveva argomenti daaddurre a carico di quel Papa po-teva farlo nella sede più idonea.Poiché non emerse nulla in gradodi contraddire la fama di santitàgoduta in vita da Pio IX, nell’an-no 2000 si poté procedere alla suabeatificazione. Ci fu la solita ca-nea, ma in fondo meno intensa diquanto avevano promesso gli av-versari politici. Nel 2003 si pen-sava di proclamare santo ancheInnocenzo XI: poteva risultareopportuno accendere i riflettorisugli avvenimenti del 1683 per il-luminare il pericolo islamico in-gigantito dopo i fatti del 2001.

Alcuni mettono in relazione il ro-manzo dei nostri due autori conquella mancata canonizzazione:con le loro dotte ricerche d’archi-vio avrebbero rivelato alcuni ar-cana imperii, ossia il fatto che ilpapa Innocenzo XI avrebbe favo-rito con prestiti di denaro l’im-presa di Guglielmo III, eroe delladifesa del protestantesimo controil cattolico Giacomo II. Chi co-nosce la storia inglese sa quantosia fantasiosa una possibilità delgenere. Il più noto costituzionali-sta moderno, John Locke, tornòin Inghilterra durante la gloriosarivoluzione del 1688 e pubblicò iDue trattati sul governo civile,con la tesi che il re regna, ma nongoverna, perché chi governa è ilpremier, ossia il capo del partitoche ha vinto le ultime elezioni eche, fino al termine del suo man-dato, ha il diritto di dettare la po-litica di sua maestà (nell’aperturadei lavori della Camera, il re o la

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Ipotesifantasiosa

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regina leggono, non recitano amemoria, il discorso della coronae il premier, bontà sua, approva ildiscorso, ma è lui ad averlo scrit-to). Ma questo non bastava. Loc-ke scrisse anche la Lettera sullatolleranza, dove sviluppa la tesiche si deve essere tolleranti versotutte le confessioni religiose,tranne nei confronti dei cattolici,da discriminare in quanto sudditidi un sovrano straniero, una giu-stificazione piuttosto debole. Inrealtà, alla fine del secolo XVII,per la politica internazionale l’u-nico sovrano da cui guardarsi erail re di Francia Luigi XIV, ancheda parte del Papa.I supporter dei nostri due autoripensano che le loro dotte ricercheabbiano sconvolto i piani dellaChiesa, che si sarebbe vendicatafacendoli espellere dalla vita na-zionale, essendo stata costretta aproporre la beatificazione di unosconosciuto, il frate cappuccinoMarco da Aviano. Ma qui i sup-porter si sbagliano. Già esistevaun grande precedente, il frateGiovanni da Capestrano che ave-va predicato la resistenza di Bel-grado ai turchi nel 1458, abba-stanza prontamente proclamatosanto a differenza del Papa diquell’epoca, Callisto III, che l’a-veva scelto per quella missione.Marco da Aviano fu protagonistadella resistenza di Vienna per duemesi, fino alla travolgente caricadella cavalleria polacca che il 12settembre discese dalle alture delKahlenberg, travolgendo la strate-gia di Kara Mustafà. L’imperatoreLeopoldo fu tanto grato a quelfrate da decidere di trasformare lachiesa dei cappuccini in luogo disepoltura per la famiglia imperia-le; quando ebbe notizia della gra-ve malattia di Marco da Avianovolle assistere al suo trapasso,convinto di avere a che fare conun santo. Se la beatificazione delcappuccino è avvenuta solamentenel 2003, ciò si deve a circostan-ze diverse da quelle supposte daidue romanzieri e dai loro amici.

Alberto Torresani

Negli anni Sessanta del ’900 pre-se piede l’architettura metaboli-sta, di cui Kenzo Tange è consi-derato uno dei principali espo-nenti. Si basava sul tentativo ditrasmettere negli edifici l’ideadella potenzialità della crescita, equesto attraverso la ripetizioneseriale di elementi disposti in mo-do tale da comporre strutture lecui dimensioni mediassero il rap-porto tra la singolarità e la totali-tà. Qualcosa, insomma, che tra-sferisse nel campo inanimato delcostruito un richiamo allo svilup-po organico del vivente. Un co-strutto teorico: uno tra i tanti cheattraversano il pensiero proget-tuale da quando gli stili deposita-ti nella storia da tradizioni antichesi sono sfarinati sotto l’impulsoprepotente dell’espansione urba-na, della necessità di costruire infretta e con alte densità, e dell’u-so del ferro e dell’acciaio perstrutture che sono divenute piùagili, elevate ed elastiche di quan-to potessero essere in passato.Armen Manoukian (1932-1995),ingegnere armeno di formazioneitaliana, autore di un numero im-pressionante di architetture di no-tevole rilevanza in particolare nel-la zona tra Milano, Como e le val-li bergamasche, oltre che di diver-se opere di design dal discretosuccesso, sembra essere tra coloroche in certo modo riflettono iprincìpi di quella tendenza.Se ne possono trovare gli echi inopere quali il Centro femminiledi Ponte San Pietro (Bergamo), ilCollegio universitario della Fon-dazione RUI di Milano, il Palaz-zo di Giustizia di Como, lo Sta-bilimento Lechler di Como-Reb-bio e in altri edifici realizzati tra

gli anni Sessanta e Settanta.Le superfici sono scabre, spoglie,povere: il cemento a vista comu-nica il senso di qualcosa che non èancora finito e ha la ruvidità del-l’imperfezione. Sono piani che as-sorbono la luce, non splendononei colori. Come se il lavoro fosseancora in corso. E se il lavoro nonè finito, dev’essere continuato: ilmateriale stesso suggerisce la ne-cessità di un andare oltre.

Ma il materiale è solo una partedell’insieme. L’eloquenza dell’ar-chitettura supera di molto la meracomunicazione che deriva dallatessitura delle superfici, e la suagrammatica è fatta del succedersidi pieni e vuoti: di momenti di pe-santezza e di leggerezza, di pas-saggio e di chiusura. E del som-marsi dei volumi e delle forme. Sipotrebbe pensare che solo l’edifi-cio nel suo complesso costituiscauna forma, ma in realtà ogni sin-golo elemento ha una forma suapropria: sia una gronda o una fi-nestra, uno spigolo o un camino.L’effetto complessivo dell’archi-tettura è dato dalla giustapposizio-ne di tutti questi elementi, e dallaloro capacità di dialogo, tra di lo-ro e con gli occhi di chi li osserva.Al progettista spetta di saperequale sarà il risultato di una ese-cuzione che, quando sarà com-pletata, non potrà essere ripetutaun’altra volta e in un altro modo:una volta costruito, l’edificio re-sta e ingombra lo spazio, nel qua-le esso diviene comunque un’im-posizione che trasforma quanto

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ARCHITETTURA

Armen Manoukian, archite tture

Ogni elementoha forma propria

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vi stava prima, ridefinendo le re-lazioni spaziali, le viste prospet-tiche, i rapporti prossemici. In talmodo apportando, sempre e co-munque, una variazione sostan-ziale nel sito.Sta qui la responsabilità dell’ar-chitetto: la sua opera non è mai unfatto singolo e non è mai limitatanel tempo. Incidendo sullo spazionel quale vivono le persone, si in-serisce nella vita di queste. Per-manendo nel tempo, genera abitu-dini e quindi influisce sui gusti;imponendo comportamenti (se c’èuna scala bisogna salirvi, se c’è unmuro non si può passare...) condi-ziona gli stati d’animo.Usualmente chi parla di architet-tura lo fa riferendosi a personag-gi di grido, le cosiddette archi-star. Ma, per quanto eclatanti sia-no le opere da queste firmate, laqualità dello spazio di vita dellepersone è data all’insieme deitanti edifici disegnati da progetti-

sti che non sono assurti all’empi-reo della grande fama, e tuttaviahanno la capacità e la responsabi-lità di influire a volte più dellestesse archistar sulle condizioniestetiche e funzionali degli spaziurbani, e sui loro abitanti.Si consideri da questo punto divista l’opera di Armen Manouki-nan: in quanto progettista di ar-chitetture, persona desiderosa dioffrire momenti di dialogo e diestetica; in quanto ingegnere diformazione vocato alla razionali-tà e alla consistenza. Malgradol’imponente numero di operecompiute, egli non è arrivato al-l’apice della fama, ma fa partedella schiera di professionisti chehanno contribuito a costruirel’ossatura portante delle città: staqui il tema della qualità diffusadell’architettura. Un tema fonda-mentale, ben più rilevante diquello delle archistar, perché seaccanto alle opere di queste vivo-

no alcuni, tutti sono circondatidall’architettura diffusa.In tale contesto le opere di Ar-men Manoukin si distinguono:non perché soverchino con pre-potenza (come avviene spessocon i prodotti da archistar), maperché dipanano un discorso do-tato di una coerenza forte, sia in-trinseca (relativa ai rapporti tragli elementi del singolo edificio),sia estrinseca (relativa ai rapportitra edificio e contesto urbano).

Se si considera il Collegio univer-sitario di Milano, salta all’occhioil ritmo dato dalle sporgenze e ri-entranze, come se fosse compostoda elementi accostati tra loro, dal-le dimensioni variate, sia nella re-cinzione, sia nei paramenti mura-ri. Un ritmo non incalzante matranquillo e, allo stesso tempo,non monotono ma continuamentevariato, così da sollecitare inte-resse e coinvolgimento in chi os-serva, permettendogli di distin-guere i tanti ambienti di cui sicompone. Nella differenziazione,ogni partizione esterna assume unsenso, e ogni funzione interna ac-quisisce un’identità.Negli anni Sessanta l’ansia edifi-catoria era giunta al massimo el’attenzione per i dettagli ne sof-friva: se oggi risulta impensabileche un edificio nuovo non sia cir-condato da spazi verdi, all’epocala moda era ben altra. Proprio perquesto risulta tanto più gradevolela perizia e la delicatezza con cuile piante sono inserite a contornodi quell’edificio in cemento, chequi e lì diviene basamento di fio-riere, generando un connubio re-lativamente inconsueto tra fo-gliame ed edificato. Un dettaglio:ma la qualità dell’architettura èdata dal sommarsi di tanti episo-di di questo tipo. In questi si ri-vela la sensibilità di chi progetta,la sua attenzione verso coloroche occuperanno l’edificio.E se in questo caso, come negli

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, archite tture per l’uomo

Interesse& coinvolgimento

Il Collegio Universitario Torrescalla di Milano in una foto del 1975

di Herman Vahramian, curatore del volume Armen Manoukian

(Materiali per una biografia. 1932-1995), edito dall’Ares nel 2009.

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altri edifici abitativi, pubblici oindustriali di Manoukian disse-minati nel Nord Italia, la proget-tazione era relativamente facilita-ta dall’ampiezza degli spazi, uncaso molto particolare è quellodel centro parrocchiale dei SantiFelice e Francesco d’Assisi aPrestino (Como). Perché qui il si-to destinato alla chiesa appare al-quanto infelice: prossimo allastrada ma nascosto, e con cospi-cue differenze di quota. Unachiesa ha bisogno di spazio e ilsuo rapporto con la città dev’es-sere mediato da un ambiente dirispetto; per questo è importanteil sagrato, che con la sua funzio-ne di raccordo rende alla facciatala sua piena dignità.Ma dal secondo dopoguerra èstato difficile reperire spazi con-soni alle chiese nuove: queste so-no state spesso relegate, comeservizi di secondaria rilevanza, in

spazi di risulta, marginali neiquartieri nuovi. E in questa peri-feria di Como avviene lo stesso:il luogo per la chiesa risulta sepa-rato dal contesto urbano. Ergo, ilprogettista doveva compiere l’e-quivalente di un piccolo miraco-lo per render giustizia al luogoprincipe della comunità, e confe-rirgli dignità e centralità, pur inquella posizione emarginata.

Manoukian è riuscito nell’opera.A chi giunge alla chiesa di Presti-no si allarga il cuore. Una voltaevaso il traffico stradale, si entrain un’oasi protetta dagli alberi.Una piazza recondita ma non me-no aperta, perché la prospettivaprincipe è quella che indica ilcielo e parla di accoglienza. Sen-

za in nulla rinunciare a una gram-matica moderna, all’uso del ce-mento a vista, a diedri precisi chedefiniscono moduli lineari as-semblati in orizzontale, Manou-kian ha trovato una soluzione checon assoluta immediatezza co-munica che quella è una chiesa.C’è un elemento che sale a trian-golo e regge una croce sul lato:un’interpretazione contempora-nea del campanile. Vi sono fileverticali di tondi dalle dimensio-ni variate che rendono trasparen-za alla materia e ne accentuano laverticalità. Simili file di oblò siritrovano più in basso, da un latonella canonica e dall’altro nellafacciata della sala parrocchiale:due ali che avanzano rispetto alfronte della chiesa e abbraccianoun sagrato in cui si alternano bra-ni di prato, alberi e grossi sassibiancheggianti. Come una ricapi-tolazione della biosfera posta difronte al luogo di culto.L’atrio della chiesa, aperto sottoquello che appare come un log-giato, ha un che di misterioso: unpassaggio attraverso l’ombra cheprepara al chiarore diffuso del-l’interno, ove risaltano le note az-zurre delle vetrate istoriate tracui, dietro l’altare, sta la limpi-dissima croce, tanto esile quantodensa di una invincibile energia.Più che un edificio, è un luogoricco di significati. In cui si sug-gerisce che c’è sempre qualcosapiù oltre che dev’essere ancorascoperto: oltre l’ombra, oltre lepareti, oltre le vetrate, oltre il cie-lo... Un luogo che parla della vi-ta e accoglie la vita.Che fosse o no influenzato dal-l’approccio metabolista, ArmenManoukian ha trovato una viaoriginale quanto coerente con lacultura del suo tempo, per elabo-rare architetture per l’essereumano. Quando questo divenisselo standard qualitativo dell’archi-tettura diffusa, la città contempo-ranea troverebbe una dignitànuova, e resterebbe poco da invi-diare ai centri storici.

Leonardo Servadio

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Un luogoche accoglie la vita

La chiesa dei Santi Felice e Francesco d’Assisi a Prestino (Co).

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Shakespeare fu attore, prima chescrittore; uno dei pochissimi dram-maturghi del suo tempo a proveni-re dal palcoscenico, invece che daun’università. È un vero peccato,dunque, non sapere come lavorassementre dirigeva (probabilmente)anche la messa in scena delle sueopere. Stando così le cose (ed es-sendo, naturalmente, ben lontanianche dalle rigorosissime, lunghis-sime stage directions di Beckett),ogni regista è libero di interpretare,adattare, tagliare il testo che ha trale mani, fino a non porre limiti allasperimentazione. Diversi dei dram-mi shakespeariani, da Amleto a Ro-meo e Giulietta, sono stati traspostiai nostri giorni; diversi sono statioggetto di rappresentazioni speri-mentali da parte di compagnie disole donne, o da attori in costumimaori, o da burattinai. Davvero,non c’è limite all’originalità. Biso-gna vedere se lo spirito dell’operaresta o se si è perso per strada.Veniamo al Macbeth, con l’inquie-tante alone che lo circonda; aloneper lo più spurio, sia detto per in-ciso, giacché la voce secondo cuiesso sia rigorosamente da chiama-re The Scottish Play se non si è incerca di guai fu inventata in epocavittoriana e si può dunque tran-quillamente ignorare.L’ultimo adattamento cinemato-grafico, quello di Justin Kurzel, èstato accolto da numerosi criticiitaliani con paroloni come «adatta-mento rigoroso» e addirittura «ca-nonico»; ciò nonostante, effettispeciali a parte, che probabilmenteall’autore sarebbero piaciuti un

sacco, direi che di Shakespeare c’èproprio pochino.Innanzitutto, gli immensi spadonida guerra sembrano aver tranciato,insieme alla vita di re Duncan, an-che una buona metà delle battuteoriginali; il che lascia spazio a in-terminabili, pesanti silenzi. Quelche resta delle voci umane è spessosussurrato, sincopato, oppure co-perto da rumori e musica ossessiva,al punto che chi già non conosce latrama non riesce facilmente a capi-re che cosa stia accadendo e perché.È una storia impastata di sangue efango, a partire dalla scena dellabattaglia, dove i corpi feriti rilascia-no fiotti rossi ripresi al rallentatore.Sangue e fango sui volti, sulle ma-ni, sugli abiti, tra i capelli. Abbia-mo, in apertura, una scena abba-stanza inconsueta: il commoventefunerale dell’unica figlioletta diMacbeth. Da una parte, questo puòaiutare gli spettatori (come in ognivera tragedia) a identificarsi alme-no parzialmente con il protagonista,a volerne in parte giustificare l’in-soddisfazione e la sete di sangue.

Dall’altra, non si capisce perchéquella bambina subito ricompaiainsieme alle tre streghe, né si spiegala sua intenzione di nuocere ai ge-nitori precipitandoli in un abisso dimorte e dannazione. L’unica possi-bilità che mi viene in mente è chel’aldilà sia uguale per tutti, infernoper tutti, bimbi innocenti e invetera-ti assassini, e che la bambina vogliaricongiungersi presto a mamma epapà. Che cosa poi ci faccia un neo-nato tra le braccia di una delle trestreghe non è dato di sapere.Se il Macbeth shakespeariano è incorsa contro il tempo, qui la corsasi fa precipitosa e i ritmi incalzanti,come se tutti gli eventi, invece chein diversi anni, si concentrassero inpochi giorni. Quanto al fantasma diBanquo, l’amico trucidato, pare lastatua di un orco, immobile e con ilviso tutto nero: Macbeth non puòcerto accusarlo di «scuotere i suoiricci sanguinolenti verso di lui» co-me invece aveva fatto, anche trop-po graficamente, quello di Polan-ski (1971) in una produzione che amio avviso resta la migliore. In

Macbeth, tanto rumore per nulla

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CINEMA

Gli adattamenti:così è se vi pare...

Michael Fassbender & Marion Cotillard.

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ogni caso, quel fantasma perdequasi importanza, tra i tanti ag-giunti dal regista australiano.

A favore della pellicola giocanosenz’altro la bravura di MichaelFassbender e Marion Cotillard, in-sieme ai grandiosi paesaggi scoz-zesi, mai attraversati da un raggiodi sole, che dominano e quasischiacciano i personaggi. Né man-cano sprazzi di bellezza; come du-rante l’uccisione di Banquo, quan-do il piccolo Fleance, distrutto daldolore, riesce a fuggire, in quellache è definita dalla studiosa shake-speariana Katherine Duncan Jonesa lovely cameo performance. Sullostesso filone, è commovente l’a-more di Banquo e di Macduff per irispettivi figlioletti, bersagli dell’i-ra del tiranno. Invece che «passati afil di spada», però, la moglie e i fi-gli di Macduff vengono arsi sul ro-go; peccato che la battuta shake-speariana sia rimasta tale e quale.Indimenticabile l’espressione diFassbender quando dice alla mo-glie che la sua mente è «piena discorpioni», sorridendo invece didisperarsi. Altro momento sublimeè quello in cui, subito dopo la mor-te della moglie, egli ne solleva ilcorpo tra le braccia per recitare ilfamoso soliloquio: Tomorrow, andtomorrow, and tomorrow...

Ma che dire di una Lady Macbethche, nella sua follia, invece di ag-girarsi nuda e allucinata per lastanza e gemere al vedere le pro-prie mani sempre sporche di san-gue (come mirabilmente accadenella versione di Polanski), si ac-cascia al suolo fissando la teleca-mera, mentre le mani di cui parlasono interamente fuori campo?Nella sua follia, dice di udire qual-cuno che bussa al portone del ca-stello, ma in Kurzel non esistononé portone, né castello, e il bussa-re cui ella si riferisce appartiene aun’altra scena espunta, quella, co-mica e agghiacciante al tempostesso, del portiere ubriaco con-vinto (giustamente) di andare adaprire la porta dell’inferno.Il bel castello di Macbeth, infatti,Inverness, non è qui che una speciedi tendopoli rizzata attorno a unachiesetta di legno: re Duncan e ilsuo seguito sono intrattenuti in unbanchetto all’aria aperta (come nel-l’ultima cena del film Jesus ChristSuperstar), esposti alle intemperiee al vento sferzante che pare abbiareso necessario registrare i dialoghiin un secondo tempo (disagio ov-viato, questo, dal doppiaggio). An-che qui, come in Polanski, abbia-mo un canto di bimbi durante ilbanchetto; questo, però, paragona-to alla bellezza di quello, pare (vo-lutamente?) la recita di un asilomessa in piedi all’ultimo momento.Per fortuna il castello reale di Dun-sinane esiste «realmente»...

Anche il finale è ambiguo: dopo unestenuante, sanguinosissimo duellocontro Macduff, Macbeth rimanefermo, inginocchiato con il bustoeretto, presumibilmente morto. Ilfiglioletto di Banquo, Fleance (de-stinato in Shakespeare a diventareil progenitore degli Stuart), prendeuna spada e fugge, mentre il nuovore, il buon Malcom, afferra anch’e-gli una spada e si lancia... Dove?All’inseguimento del bambino, perimpedirgli, proprio come avevacercato di fare Macbeth, di impos-sessarsi del trono?Per il giornalista Nicholas Barber,«Kurzel fa tutto il possibile per tra-sformare ogni singola scena in unascena da incubo, che si tratti di in-cludere una processione di zombi(sì, zombi!) o cambiare radicalmen-te la profezia sul bosco di Birnam».Di fatto, l’intera profezia delle stre-ghe è tagliuzzata e il sabba del tuttoeliminato. «Quello che manca nel-l’audace dramma di Kurzel è lasensazione che qualcuno o qualco-sa stia cambiando. Non ci sono lucie ombra: di fatto, non c’è luce».Conclude, impietoso, il bloggerKirk McElhearn: «È Shakespeareriveduto e corretto per l’età dei Tro-ni di Spade. Senonché, Troni diSpade è molto più interessante».

Elisabetta Sala

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Però bravi gli attori& la Scozia fa il resto

Ambiguità da«Trono di Spade»

Nel Macbeth di Justin Kurzel non c’è luce nell’animo umano, solamente ombra e tenebra.

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C’era una volta il teatro elisabettia-no. Ai tempi della regina Elisabet-ta I fu eretto a Londra un grande eattrezzato teatro, il Globe Theatre,di forma circolare e non coperto.Al centro si trovava lo spazio de-stinato alla rappresentazione. Glispettatori si disponevano intorno,bevendo birra e gustando dolciumiin un’atmosfera vivace e chiasso-sa. Irritati o in visibilio, erano par-te dello spettacolo, coreografia inassenza di scenografia. Gli attorierano considerati girovaghi e fur-fanti. Detestavano il viola, coloredella Quaresima, sinonimo di tea-tri chiusi e fame. Quando moriva-no, le loro spoglie erano gettate infosse comuni. Eppure quegli attorierano capaci di sedurre gli spetta-tori. Li catapultavano in uno spa-zio immaginifico, grazie al poteredella parola e della fantasia. L’usodel corpo dava consistenza a ciòche, per natura, era impalpabile.In questa stagione teatrale che co-incide con i 400 anni della mortedel Bardo, due monologhi si di-stinguono per il loro artigianato ela loro bellezza. Si tratta di Sha-kespeare a merenda di ElenaRusso Arman e Otello unpluggeddi Davide Lorenzo Palla.

La magia del teatro elisabettianorivive all’Elfo Puccini di Milanoin Shakespeare a merenda, scritto,diretto e interpretato da una ElenaRusso Arman trascinante più chemai. Nello spazio di soli sessantaminuti, l’attrice di scuola ronco-niana dà saggio di che cosa vogliadire tenere il palco da sola. Capa-

ce d’incantare un pubblico dagliotto anni in su, Elena si trasformain Mary, candida sartina del Glo-be con il miraggio di fare l’attrice.A quei tempi potevano recitare so-lo gli uomini. Che travestiti, rico-privano anche i ruoli femminili.Qui siamo dietro le quinte. Apo-strofi e battute dei drammi di Sha-kespeare echeggiano fuoricampoe in inglese. Siamo in un festosoaffollatissimo bazar di rasi e da-maschi, veli e crinoline. E poi ri-

tratti, spille, anelli, code di topo,tele di ragno. Padrona dei cameri-ni, la piccola sarta furoreggia inun guazzabuglio di parrucche ecostumi. Attraversa con leggerez-za e ironia temi, passioni e perso-naggi dell’opera del Bardo. Maryentra in empatia con gli spettatori.Offre loro l’occasione di vivereatmosfere trasognate. Spazia dalcastello di Elsinore alla foresta delSogno di una notte di mezza esta-te. Trasforma un fazzoletto in uno

Shakespeare sugli scudi

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TEATRO

La magia del teatroda dietro le quinte

Elena Russo Arman in Shakespeare a merenda.

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spettro, una teiera e due anfore neipersonaggi che mettono in scenaL’assassinio di Gonzaga, il teatronel teatro che nell’Amleto consen-te di rivelare le colpe di Claudio.Con l’aiuto di due mascherine,Mary tesse la trama di ammicca-menti fra Romeo e Giulietta.Il monologo procede al ritmo dellapavana, che annunciava l’entratatrionfale di dèi e imperatori nellafinzione del masque, o alla caden-za vivace della gagliarda o della gi-ga. L’attrice mostra agilità e grazia.La musica crea pieni e vuoti. Di-venta esperienza fisica anche per lospettatore. La forma interagiscecon lo spazio, le figure, i materiali.Il personaggio di Mary si definiscepartendo da immagini, costumi eacconciature. Elena Russo Armantrasforma ogni ingrediente scenicoin un potente strumento espressivo.Caratterizza con voce proteiformevari personaggi. Dà forza alle si-tuazioni. Illumina frammenti deiprincipali drammi shakespeariani.Descrive momenti di baldoria e vi-ta di corte. Traduce le fumose at-mosfere di un’epoca remota in unamessinscena fresca e baldanzosa.

Shakespeare a misura di ragazzi.Ma raccontato con tale arguzia epassione, da essere vivamente con-sigliato a tutti. In Otello unplugged,di ritorno nel prossimo marzo allaSala Fontana di Milano, DavideLorenzo Palla arretra la lancetta deltempo e diventa cantastorie. Ani-mando una fiera paesana, Pallaprofana un grande classico delladrammaturgia per battere nuovicircuiti e intercettare nuovi spetta-tori. Gli bastano due casse da frut-ta, un cappello triangolare e unagiacca da ammiraglio. L’abbrivo èfunereo. Ma un avvincente flash-back definisce dal nulla luoghi,eventi, personaggi e dettagli.L’immaginazione forgia bare ne-re e bianche, velluti rossi, calli,canali, isole, navi. Entriamo nelmiserabile animo umano. Com-

prendiamo che gli amori maledet-ti non sono semplificazioni gior-nalistiche, che il delitto passiona-le è orrendo ma non incompatibi-le con la parola «sentimento». In-vidie e gelosie sono un fazzolettoscarlatto che offusca la vista,chiudendola alla verità e alla vita.Palla versione menestrello rappre-senta temi solenni in chiave grotte-sco-satirica. La forza di questagiullarata sta nello spaziare attra-verso registri contrapposti: dal po-polano al sublime, dall’ironico alsarcastico, con inattesi acuti lirici.Il ritmo è incalzante, il montaggioardito. Apprezziamo la vitalità dellinguaggio, che svaria dal venezia-no al fiorentino. I personaggi sonoschizzati con tratti veloci di pennel-lo: figure stentoree, piagnucolanti,placide, viscide, ingenue; oppurecomplesse e mutevoli come Otello,fiero e spavaldo, vulnerabile e titu-

bante, geloso, indemoniato fino al-l’impeto omicida. Sberleffi e lazzinon indeboliscono la letteratura.Un grande classico viene racconta-to con un artigianato teatrale eclet-tico, e il contributo di un musicistache suona pianoforte, fisarmonica,tromba e sax. Tiziano Cannas uti-lizza una loop-station per creare ar-rembanti atmosfere sonore, diver-tenti botta e risposta con l’attore,attimi di puro straniamento.Il lavoro di Palla, che a più ripresecoinvolge direttamente il pubblicofino a sbalzarlo sul palcoscenico,comprende alcuni momenti meta-teatrali. È tributo al mestiere del-l’attore. È anche il riconoscimen-to della fatica di tecnici, macchini-sti e attrezzisti sempre nascostidietro le quinte, eppure indispen-sabili per la buona riuscita di unospettacolo.

Vincenzo Sardelli

219

Una performancea misura di ragazzi

Davide Lorenzo Palla, alla Sala Fontana di Milano, nell’estrosa

e coinvolgente rivistazione dell’Otello nei 400 anni dalla morte

di William Shakespeare.

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Elio Fiore

L’opera poeticaA cura di Silvia Cavalli

Prefazione di Alessadro Zaccuri

pp. 728, € 20

Appartato e visionario, apostolo della

speranza e cronista di private apo -

calissi, per la poesia italiana del seco-

lo scorso Elio Fiore non ha so lamente

rappresentato un irripetibile e sor-

prendente caso letterario. La sua è

stata semmai una presenza viva e co-

raggiosa, una testimonianza di in-

stancabile fedeltà al mistero della pa-

rola e dell’esistenza. A ottant’anni

dalla nascita dell’autore, questo volu-

me curato dall’italianista Silvia Ca-

valli presenta l’intera produzione in

versi di Fiore, riordinando in maniera

sistematica le molte opere già edite e

offrendo una ricca selezione di testi

rari o del tutto inediti, a partire dalla

raccolta Quader no greco, che il poe-

ta aveva licenziato poco prima della

sua morte nell’estate del 2002.

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La deformazione del titolo è volu-ta per ricordare la figura di ErikSatie (1866-1925), nato centocin-quant’anni fa: non dunque «genioe sregolatezza», come vuole l’ap-passionata traduzione di Kean, ouDésorde et Génie del 1836 riadat-tato poi da J.P. Sartre, ma la nonregolatezza, non regolatezza chefinisce qui per corrodere la stessaespressione di «genio». Terminequest’ultimo, per altro, che datempo non allude ormai a quel ba-gliore romantico emanato dal suosignificato epidermico: non esi-stono geni, ma personalità chepossono avere qualcosa di genia-le, ed Erik Satie lo è stato moltomeno di quanto lui stesso pensas-se, almeno da come lo giudica tut-tora la storia.Questo per dire che i continuicambi di posizione, la costanteirrisione di qualsiasi solidità co-stituita che spesso egli stessopromuoveva, finisce per diventa-re oggi non tanto qualcosa di sul-fureo denso di promesse, o fuga-ci spie di svolte stilistiche medi-tate e consapevoli come nel qua-si contemporaneo Stravinsky –che cambiava stile, sì, ma ogniventi o trent’anni –, bensì di ungioco che alla fine rischia di di-ventare stucchevole.

Satie comincia con un periodogotico-mistico, quello delle cele-bri Gymnopédies per pianoforte,dove aderisce a una pseudo-chie-sa esoterica fondata da JoséphinPéladan, la Rose-Croix du Templeet du Graal: scrive composizioni

di carattere modale e di sugge-stione antica, in parte visibile nel«balletto cristiano in tre atti»Uspud. L’operazione artisticapossiede un tono vagamente pro-fanatorio e dissacratorio che deri-va dalla sua fonte letteraria, Latentation de Saint Antoine diFlaubert. Quest’ultimo soggetto,drammaticamente messo in evi-denza dalla grandiosa prima ver-sione in olio su tavola di M. Grü-newald dei primi del Cinquecen-to, era molto noto in àmbito pitto-rico al tempo: persino Paul Cé-zanne se ne occupò con incisivaeloquenza, perché la tentazionecarnale, pur rifiutata dal santo, di-ventava in quel periodo un viaticoper mostrare la fantasmagoriadell’erotismo decadente che inve-stiva tutta l’art nouveau. Il rischioera la disonestà dell’artista, comeacutamente osservava L. Tolstojin merito a una Tentazione di J.Charles Dollman presentata al-l’Esposizione di Parigi del 1900:«L’interesse del pittore è chiara-mente attratto dalla donna nuda enon da Antonio, quindi la tenta-zione non è del santo, ma sua.Anche se questo dipinto ha deimeriti artistici, la visione è falsa edistorta» (Che cos’è l’arte?).Ma poi Satie si stufa, e fonda luistesso una chiesa indipendente,l’Eglise Métropolitaine d’Art deJésus Conducteur, autonominan-dosi «Parcier et Maître de Cha-pelle». Con questi titoli non fir-ma umili istanze filantropiche oiniziative di apostolato, ma in-fiammate difese e articoli provo-catori contro i «nemici»: lo ani-mava una buona dose di disprez-zo per i suoi contemporanei eun’alta valutazione dei propri

Erik Satie, genio & non regolatezza

221

MUSICA

Bizzarricontrosensi

meriti; da qui l’impossibilità, purrichiedendone i favori, di riuscirea stringere rapporti di amiciziastabili con chiunque. La ricercasistematica del controsenso pro-duce titoli tra i più bizzarri dellastoria: dai Morxceaux en formede poire al Prélude en tapisserie,da Le Piège de Méduse alla So-natine bureaucratique.

Inchiostro nero e rosso, disegni escritti intorno al pentagrammacompletano l’immagine di unpersonaggio che anche musical-mente brucia continuamente ciòche ha dietro di sé, nonostante loabbia costruito: animatore delGruppo dei Sei, stringe contatticon i grandi del suo tempo, J.Cocteau, G. Apollinaire, D. Mil-haud, I. Stravinsky, C. Debussy(al quale, pur essendo prossimo amorire, scrive un’aspra lettera di-cendo che non aveva sostenutoabbastanza la propria operaParade: da notare che per anniSatie andava ogni settimana a ca-sa di Claude per discutere le pro-prie opere e chiedere favori).Fin dal 1922 membro del partitocomunista francese, alla fine rea-lizza una sorta di saldatura «per ilpopolo» rifiutando la mediazionedei gruppi d’avanguardia, il na-scente movimento surrealista, e sigetta nei dada di J. Cocteau – conil quale litiga subito dopo –, unmovimento che, personalmente,mi ha sempre dato la sensazionedi una superfetazione dell’ego,piuttosto di una costruzione chedesse il senso a un non senso.

Comunistadal 1922

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Gaetano Curreri (Stadio) Vinci-tore del Festival. Ho un carattereche mi porta a tentare di capire leragioni degli altri e a dare unaspiegazione a chi mi offende. Per-ché il perdono non è un fatto solocristiano, ma fa parte della propriasensibilità e generosità d’animo.

Francesco Gabbani, Vincitoredi Sanremo Giovani. Mi è subitopiaciuto il titolo della mia canzo-ne Amen, e alla fine mi ha portatofortuna, anche contro gli incidentitecnici che mi stavano penalizzan-

do. Ma quando si è felici diventamolto più facile perdonare.

Carlo Conti. Papa Francescoperdona e io... ci provo! Sono untoscano, con tutte le caratteristi-che caratteriali della mia terra.Mi accendo subito. Ma mi passaaltrettanto in fretta. E spesso rie -sco a perdonare. Non so tenere ilbroncio.

Virginia Raffaele. Perdonaresinceramente è la cosa più diffi-cile che ci sia. Richiede un gran-de sforzo intimo. Per questo ap-

FESTIVAL/1

Cari vip, sapete perdonare?

Il Festival di Sanremo catalizza per una settimana gli argomenti che fanno di-

scutere una certa parte di italiani. Sulla passerella del Teatro Ariston sfilano le

opinioni o i gesti dei vip che poi vengono ospitati sui media di tutto il mondo.

Abbiamo approfittato della presenza di un red carpet internazionale per sotto-

porre ai protagonisti sanremesi una domanda che ci sta particolarmente a cuo-

re: l Scusi, ma lei sa perdonare e dimenticare come chiede papa Francesco?

222

L’estetica dadaista irrompe nei te-sti e nel linguaggio musicale conellissi armoniche e tematiche cheintercettano certamente interesseper le loro frantumazioni sintatti-che e per il loro gusto dell’artifi-cio scenico: nel volutamente fri-volo e banale testo de Le tennis,per esempio, le crome staccatedel basso imitano il rimbalzaredella palla. Ironia figurativa inte-ressante. Satie, segnato da un’esi-stenza difficile e consumata sem-pre ai margini dell’insuccesso, sidistacca però progressivamentedal dibattito e rinuncia a elementitecnicamente più complessi e in-novatori, così da tornare a espe-rienze tradizionali dove la sem-plificazione grottesca finisce perdiventare uno stile comodo per ilpubblico e per sé stesso: il piani-sta di cabaret, le melodie da circo,le sensazioni dei teatri ambulantie perfino dei music-hall.

Per giungere a una conclusione,il personaggio è più efficace co-me provocatore e scrittore (Qua-derni di un mammifero, Adelphi,Milano 1980) che nelle ricadutedelle sale da concerto. Mi sembrache con lui si possa applicare ilmetodo formalista teorizzato dalsempre efficace Del bello musi-cale (1854) di E. Hanslick: lamusica è la forma di sé stessa,tutto ciò che si crea sopra è fuor-vianza e narcotico, quello cheNietzsche criticava in Wagner,quello che Schönberg definiva inun suo noto articolo I miracolidella salsa. Nominare Appassio-nata una Sonata di Beethovennon la rende più bella o più ap-passionata; titolare La Belle Ex-centrique (1920) non rende ilbrano di Satie più affascinante:solo la forma e l’ascolto decido-no. In senso più profondo diquello che apparentemente sem-bra, o piace, o non piace.

Massimo Venuti

Tra il dire& il fare

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prezzo dal profondo chi lo fa. Ioci provo. Ma non sempre riesco apraticarlo, tutt’al più ne facciol’imitazione.

Madalina Diana Ghenea. Miopadre mi ha insegnato a perdona-re e a rispettare gli altri. Ho sem-pre cercato di seguire questoprincipio. Spesso vi riesco anchese mi costa fatica, qualche voltanon ce la faccio. Ancora più dif-ficile dimenticare.

Gabriel Garko. Sono uno positi-vo che guarda sempre avanti conentusiasmo. Cerco anche discrollarmi di dosso le cattiverieche mi circondano. In questo ca-so, più che perdono è un distaccodai giudizi. Dimenticare? Èun’altra faccenda.

Elton John. Vivo un momentocosì felice e appagante della miavita professionale e familiare chemi sento in pace con il mondo.Questa serenità interiore e profon-damente cristiana mi porta a per-donare chi tenti di offendermi.

Orietta Berti. Perdonare è stato ilprimo insegnamento dei miei ge-nitori ed è stato anche il primo va-lore che ho trasmesso ai mie due

figli. In questo sentimento, io e lamia famiglia, siamo profondamen-te allineati con papa Francesco.

Laura Pausini. Ho un carattereimpulsivo, vivace, un po’ matto,ma anche generoso e disponibileverso il prossimo. A volte vorreireagire alle provocazioni, ma poipenso a quanto sono stata fortuna-ta e non posso non perdonare.

Aldo (Baglio). Sono siciliano intutti gli aspetti positivi e negatividel carattere: pronto a difenderefino all’ultimo le mie idee, ma an-che molto generoso e altruista. Econ molti sforzi riesco a perdona-re persino Giovanni e Giacomino.

Giovanni (Storti). Cosa vuoi,quando lavori da venticinque an-ni con due elementi come Aldoche è proprio un terrone e Giaco-mino che si sente un piccolo lord,se non impari a perdonare e a di-menticare non ne esci vivo.

Giacomo (Poretti). Non è cheogni momento uno è lì a perdona-re e poi dimenticare chiunque perqualsiasi cosa gli venga fatto! Gio-vanni e Aldo, per esempio, fannoapposta a mettere a dura prova la

mia ritrovata fede cristiana.

Arisa. C’è perdono e perdono enon bisogna mischiarli. Non loconsidero perdono, nel senso piùprofondo, il fatto per esempio dinon vendicarsi delle critiche fe-roci. Fanno parte del lavoro. Ilperdono arriva dall’anima.

Morgan (Bluvertigo). Sono por-tato per carattere a dire quello chepenso, a volte anche in modo po-lemico che può offendere. Ma poicon la stessa intensità so chiederescusa e so perdonare chi mi ag-gredisce. Non tutti lo sanno fare.

Irene Fornaciari. Ho sempre vis-suto il perdono in maniera partico-lare e molto personale. Legato alfatto di sentirsi in colpa senza mo-tivo. Le prime volte che mi esibi-vo in pubblico mi sentivo in colpadi essere la figlia di Zucchero.

Noemi. Il perdono è un fatto digenerosità, di umiltà, perché ticostringe a un profondo esameinteriore, ad ammettere che sipossa sbagliare e che anche l’al-tro possa fraintendere. Il perdononasce da una grandezza interiore.

Patty Pravo. Le filosofie orienta-li, che adoro e che pratico da de-cenni, mi hanno insegnato a guar-dare tutto con distacco positivo econ la disponibilità a capire gli al-tri, soprattutto chi vuole ferirti.Perdonare è un’arma infallibile.

Eros Ramazzotti. Chi arriva dacerte realtà di periferia come lamia pensa che perdonare possasembrare un gesto di debolezza, di

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?

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mancanza di carattere. Crescendoe maturando si scopre che perdo-nare è invece il vero atto di forza.

Enrico Ruggeri. Il perdono permolti ha un valore soltanto reli-gioso, quasi un’esclusiva dei cat-tolici. Penso che invece sia inna-to nella sensibilità umana e di-penda dalla disponibilità perso-nale ad ascoltare e capire gli altri.

Nicole Kidman. Le parole di papaFrancesco che parlano di perdonoe di misericordia mi trovano pro-fondamente d’accordo. Sono con-vinta che se la gente non cominciaa parlarsi, capirsi, perdonarsi si en-trerà in un tunnel pericoloso.

Cristina D’Avena. Per caratteremi viene facile perdonare e di-menticare le offese. Riesco aguardare il mondo in modo sem-pre ottimista e gli amici mi dico-no che, dentro, sono rimasta laragazza dello Zecchino d’oro.Ma li perdono.

Ezio Bosso. Riesco a perdonarechi mi guarda in un certo modo enon ce la fa a nascondere il pro-prio retropensiero. Il mio perdo-no è sincero perché non viene

preceduto dalle scuse di chi nonsi rende conto che mi offende.

Renato Zero. È lungo l’elenco dichi dovrebbe chiedere perdono ame, ma l’esempio di papa Fran-cesco mi ha insegnato che ci sisente più vicini a Dio perdonan-do chi ti ha offeso. Ultimamenteriesco anche a dimenticare.

Beppe Fiorello. Ammetto di nonavere un carattere che riesca aperdonare subito senza chiederespiegazioni. Posso arrivare alperdono dopo avere capito e ap-profondito le motivazioni chehanno spinto l’altro a offendermi.

Nino Frassica. Dopo oltre diecianni accanto a don Matteo ho capi-to che il segreto di essere sereni consé stessi è la capacità di perdonare.Quando ascolto papa Francesco miripeto: «Se riesce a perdonare lui,chi sono io per non farlo?».

Elisa. Sono sempre un po’ per-plessa quando sento che la gentesa perdonare con tanta facilità. Ionon ci riesco. So perdonare, ma viarrivo dopo un percorso basato sulragionamento valutando la volon-tà dell’altro di chiedere scusa.

Antonino Cannavacciuolo. Ilperdono è un piatto che va servi-to caldo, immediato, altrimentiperde il suo sapore cristiano, nonha più valore: parola di chef. Enon c’è nemmeno una ricetta perriuscire a perdonare. Bisogna la-sciar parlare il cuore.

Giancarlo Leone. Trovo moltoefficaci le parole del Papa econdivido la scelta dell’annodella misericordia per portareun po’ di umanità in una societàsempre più egoista. Perdonarene è la logica conseguenza, nonsolo per i cristiani.

Enrico Brignano. Sono un fandi papa Francesco e tutto quelloche dice per me è Vangelo. Lui sadare l’esempio vivendo l’umiltà,difendendo gli ultimi e perdonan-

do tutti. Io ci provo e non semprevi riesco. Dimenticare, poi, èun’impresa.

Alessandro Gassman. Il perdono,se fosse veramente e profonda-mente applicato come chiede papaFrancesco, risolverebbe ogni pro-blema conflittuale nel mondo. An-ziché sparare, si chiede scusa, siperdona e si torna a dialogare.

Rocco Papaleo. A volte serve,com’è nel mio carattere e nel miolavoro, sdrammatizzare per riu -scire a comunicare con gli altri inun mondo sempre più spietato.Una mano sulla spalla e un sorri-so a chi ti offende sono la ricettavincente.

Roberto Bolle. È fondamentaledare un senso pieno alle paroleche raccontano i sentimenti. Laparola perdono è l’essenza delcredente, altrimenti non ha sensoneanche entrare in una chiesa. Losi recita anche nel Padre Nostro.

Leonardo Pieraccioni. Vi perdo-no per questa domanda impossibi-le: chi, a parole, non perdonerebbeil mondo intero? Ma poi vogliovedere questi grandi altruisti comesi comportano, per esempio, quan-do salgono in macchina.

Giorgio Panariello. A volte misento in colpa per la fortuna cheho avuto rispetto a chi non hanulla. Ma il perdono è un fattotroppo intimo per confessarlo inpubblico. Detto da me, poi, ver-rebbe scambiato per una battuta.

Claudio Pollastri

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Ci sono un paio di momenti chevivo con un misto di piacere e or-rore: la compilazione della classi-fica dei dischi dell’anno e le sera-te di Sanremo con il temuto arti-colo che arriva alla pubblicazioneinevitabilmente quando l’eco del-la manifestazione è ormai affievo-lito. Quelli dedicati a Sanremo so-no gli unici giorni in cui mi im-mergo totalmente in una musica(e in una cultura) pop che non miappartiene o che vorrei non mi ap-partenesse se non tangenzialmen-te. Ma è una cultura di cui sonocomunque figlio e, mi illudo,esclusivamente fruitore semipro-fessionale. Queste cinque sere diimmersione «pop» mi servono an-che per studiare le differenze tra i,più o meno oscuri, mercati musi-cali che frequento e quelli piùscintillanti e visibili ... e forse an-che per disintossicarmi un po’ ...

A Sanremo mi hanno general-mente colpito positivamente icampioni più «datati» e le cinqueNuove Proposte presentate nellafinale di venerdì. Questo dato èin controtendenza rispetto a ciòche avveniva negli ultimi anni incui, proprio le nuove proposte,presentavano prodotti già «vec-chi» probabilmente per non esse-re percepiti come corpi estraneiall’interno del Festival.E allora bravi Miele, Mahmood,Meta, Dello Iacovo e Gabbani!Tutti, in una maniera o nell’altra,interpreti, e talvolta autori, dibrani interessanti e proposti almeglio. Miele (6), che aveva la

canzone più debole del lotto, mi èpiaciuta molto come intensa in-terprete da palco. Mahmood (6,5)intuisce e produce un pop elettro-nico che deve molto, soprattuttonella più interessante parte ini-ziale, alle pagine dubstep londi-nesi di qualche anno fa, ma l’usofonetico delle parole resta inte-ressante anche quando il branoritorna più vicino ai canoni delclassico pop italiano. Ermal Me-ta (6,5) non si può considerareper nulla una nuova proposta e sisente! Già leader dei «La fame diCamilla» e autore tra i più richie-sti, presenta un brano che dietroun’apparenza pop (ma tutti questiviolini nel ritornello non sono co-munque troppi?) nasconde moltepiacevoli sorprese e un finale aeffetto. La freschezza di ChiaraDello Iacovo e della sua Introver-so (7) rimane intatta anche su di-sco ed è una bella sorpresa! Nonvorrei si bruciasse come successealla Valeria Rossi di Tre Parole,

ma la sensazione è che la DelloIacovo, anche come autrice, ab-bia tutte le carte in regola per sor-prenderci e durare. Stessa sensa-zione per Amen e per il suo auto-re Francesco Gabbani (7) che,pagati i debiti con Battiato, scri-ve un brano pessimista e apoca-littico rivestendolo con una elet-tronica vintage pop e contagiosa.

E veniamo ora ai campioni. One-stamente di belle canzoni non neho quasi sentite e in generale hosentito poche cose interessanti.Tra queste, Patty Pravo (9) che sipresenta con un buon brano scrit-to da Zampaglione. La voce dellaPravo, pur non essendo sempreintonata e avendo esacerbato conil passare del tempo le sue caratte-ristiche sino a diventare a volte fa-stidiosa, è ancora unica e sue ver-

Sanremo 2016: le pagelle ai cantanti

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FESTIVAL/2

Patty Pravo ha meritato

il Premio della critica.

Brave le nuoveproposte

StraordinariaPatty

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sioni live sono da additare comeesempio interpretativo. In Tutt’alpiù (8), nella serata delle cover, laPravo si «canta addosso» in ma-niera straordinaria riuscendo acantare sugli splendidi archi e fa-cendo dimenticare una ritmicascandalosa e un rapper nato giàvecchio. In Cieli immensi (8), nel-la serata finale, non si limita acantare, ma sembra porgere all’a-scoltatore le parole come se sitrattasse realmente di un discorsointimo con lui, come se quelle pa-role e quella melodia avessero unpeso e un’urgenza che poco hannoa che fare con il pop. Il tutto sen-za mai urlare o alzare la voce.

Arisa (7) ha una voce antica euna canzone particolare, non midispiacciono né l’una né l’altra, eanche nella serata delle covercanta una canzone, Cuore di RitaPavone, così legata alla voce del-la sua interprete originale, in ma-niera credibile.Ruggeri (7) scrive, finalmente,una bella canzone in cui i pessimivezzi autoriali degli ultimi anni sisposano al meglio con una formapop/rock che ha, come unico pic-colo difetto, quello di ricordare lesue cose migliori di trent’anni fa.Provate a pensare la sua Il primoamore non si scorda mai (7,5)cantata dalla Bertè anni ’80 eavrete un classico della musicaitaliana. E il suono vagamenteprogressive della tastiera nel ritor-nello è una ciliegina sulla torta.Su Morgan, i «Bluvertigo» e la lo-ro Semplicemente va fatto un di-scorso a parte. Ascoltandola dalvivo, con una pessima regia audioe la voce di Morgan al lumicino,non riuscivo a «leggerla» e valu-tarla. Tra tutte le canzoni sanre-mesi questa è l’unica che trova sudisco la sua versione migliore fa-cendo emergere una canzone dal-la scrittura obliqua ma con fortilegami con la classicità (l’attaccodel ritornello potrebbe essere

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cantava Battisti passava tutto.Noemi, che in concorso presentauna canzone (6) che aspira a esse-re una nuova Quello che le donnenon dicono, ci mette la grinta maDedicato è un finto brano facile,in realtà un brano impossibile dainterpretare mantenendo l’inten-zione sino alla fine. Il bacio amezzanotte dei «Dear Jack» è ro-vinato da una voce ancora troppoacerba e da un arrangiamento pre-tenzioso. Lo dico da interprete:molti brani famosi sono frutto diequilibri che come cantante puoirispettare o violentare, ma devipoter scegliere. Questi arrangia-menti invece spesso sembrano es-sere fatti a caso, tanto per far suo-nare i musicisti, impedendo agliinterpreti respiri personali. Accet-tabili allora gli «Zero assoluto» epessimi Caccamo e Iurato, o Ber-nabei. Anche Dolcenera, che inconcorso si è presentata con unacanzone classicamente soul comeOra o mai più (6,5), azzera, per-ché sembra non averla percepita,la sensualità di Amore disperato.Quasi peggio fa Annalisa con lascabrosa America di Gianna Nan-nini, ma anche lei, in concorso,non sfigura con la sua Diluviouniversale (6,5) valorizzata da unarrangiamento dal clima scuroche ricorda la Settima luna di Lu-cio Dalla.Per finire: che Clementino nonsia un rapper ne sono certo; cheil brano di Rocco Hunt, fatta latara di un testo un po’ troppo qua-lunquista e irritante, rimandi allecose più funk e leggere a firmaPiscopo/Daniele di metà anni ’80è solo positivo (6); che Noi siamoinfinito di Bernabei sia un branodestinato a sfondare per quanto è«costruito», in maniera irritante,per vendere, una certezza! E una domanda: la Michelin èbravina (6), ma ci deve esserequalcosa che non funziona. Per-ché all’Ariston tutti si emoziona-no e io a casa penso che non sen-to nulla, nemmeno il timpano chelei sta suonando con foga?

Paolo Ronchetti

Morgan meglioin disco

uscito dalla penna del migliorModugno). Insomma, se dal vivoil voto era intorno al 3, in studioarriviamo a un bell’8 convinto.Anche parlare di «Elio e le storietese» e della loro Vincere l’odio èdifficile. Geniali e onnipresenti (idue tastieristi che non suonavanosul palco con loro erano: uno in-viato in sala stampa con collega-menti surreali con Conti e l’altro ilmusicista factotum del Dopofesti-val) hanno presentato un brano disoli ritornelli giocati sull’anadiplo-si. Cucire una decina di ritornellil’uno all’altro è impresa difficilis-sima e il risultato, paradossalmen-te, ha poco a che fare con la legge-rezza di Sanremo e finisce conl’assomigliare più a una riuscitaperformance surrealistico/zappia-na (9) che a una canzone (7).Rimangono gli «Stadio» che scri-vono, al meglio, una loro classicacanzone. Ci sono, in questa Ungiorno mi dirai (7), i pregi e i di-fetti di una carriera spesso passa-ta da gregari di lusso alle spalledi tutta la cosiddetta scuola bolo-gnese. Autenticamente sorpresidel successo finale, la loro canzo-ne potrebbe ricordare a tutti i di-scografici che per vincere Sanre-mo, a volte, basta una canzoneche sia minimamente accettabile,credibile e sincera.

Di Fragola, Scanu, Annalisa,Noemi, Dear Jack, Caccamo/Iura-to, Bernabei, Neffa, Hunt, Forna-ciari e Clementino non posso cheribadire come tutti loro abbianosbagliato completamente la seratadelle cover affidandosi ad arran-giamenti superficiali e interpreta-zioni completamente fuori fuocoo non nelle loro corde e poetiche.Fragola che canta La donna can-none rischia l’effetto Karaoke co-sì come uno Scanu alle prese conBattisti ... Scanu canta intonato epreciso; Battisti cantava quasi sto-nato e impreciso. Di ciò che cantaScanu non passa nulla, di ciò che

Le coversbagliate

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Raramente ci siannoia leggendoun libro di Ste-fan Zweig, l’au-tore di Paura,Momenti fatali eBruciante se-

greto, per citaresolo pochi suoi

titoli; e meno che mai ci si annoiacon Kleist, perché non si tratta tan-to di una biografia organizzata per

tempora, ma di un saggio struttura-to per species, cioè per rubriche te-matiche, che ripercorre la vita pre-maturamente troncata – appenatrentaquattro anni – di von Kleist,il grande poeta romantico tedesco.Questo ritratto in forma di saggio,pubblicato per la prima volta nel1925 nel volume La lotta col de-

mone (Hölderlin, Kleist, Nietz-

sche), cerca di scandagliare il mi-stero costituito dalla vita breve etormentata di von Kleist, un’animache non trovò mai la pace dai suoidèmoni interiori. Le parole ricor-renti e i concetti che ritornano conmaggiore frequenza in queste pagi-ne sono infatti passione, caos, slan-cio prometeico, eroismo, dismisu-ra, abisso, titanismo, forza distrut-tiva, sconvolgimento, eccesso, esa-gerazione, frenesia, ardore, furia,fuoco. E proprio di puro fuocosembra esser stata l’anima del gio-vane poeta. Paradossalmente, po-chissimo conosciamo della suaparvenza fisica, del suo volto (di

lui non abbiamo che due ritratti,per giunta piuttosto scialbi); e assaipoco della sua sovrabbondante ric-chezza interiore egli riusciva a co-municare a chi lo circondava: così,nessuno si rendeva conto che, sot-to la dura scorza di un tempera-mento all’apparenza opaco, pococomunicativo, per nulla incline al-la socievolezza mondana, mutonelle occasioni conviviali, così di-verso dal riposato equilibrio concui Goethe, quasi dall’alto, guarda-va alle passioni umane, si celavauno spirito capace di profonditàabissali.Ma quello che imponeva a Kleist ilsilenzio era, secondo Zweig,«un’invincibile castità del senti-mento» (p. 15), un perfezionismoteso fino allo spasmo nella sua ri-cerca di gloria, di assoluto, nellasua ambizione per raggiungere ivertici dell’arte, ma anche i picchidella profondità nei rapporti uma-ni. E il silenzio del poeta, «quelsuo silenzio sordo, meditabondo,pesante, in cui stava per ore e orein mezzo agli altri, fu l’unica cosache gli uomini notassero in lui; e,anche, una certa assenza dello spi-rito, un essere annuvolato in mez-zo al giorno chiaro» (ibidem). Laricchezza interiore strabordante diKleist faticava a comunicarsi alprossimo e si traduceva in una pe-renne inquietudine, in una ricercaaffannosa e senza costrutto di unubi consistam. E l’elemento chepiù colpisce del volume di Zweig,e su cui ritornano le sue pagine, avolte con il rischio dell’effetto ri-petizione, è proprio la cura con cuivengono annotati i viaggi attraver-so la Francia, la Germania, la Sviz-zera, il girovagare senza fine e sen-za esito di Kleist, sempre animato

da una smania che non sa dirigereverso una finalità costruttiva, con-tinuativamente proteso com’è ver-so progetti troppo grandi per lui,verso un’ambizione che, persinonel momento in cui si propone diconcepire piani quieti e ordinati,quando si prefissa di dedicarsi al-l’agricoltura, di comprare una fat-toria, di diventare un placido pos-sidente impegnato a far fruttare ipropri campi, ha sempre lo stigmadella furia, dell’eccesso, dell’in-contentabilità: in una parola, del-l’amarissimo, cocente fallimento.Carattere notevolissimo del volu-me è la singolare impennata, in ter-mini di spazio, di ampiezza e didettagli, che Zweig dà al raccontonella sua ultima sezione, dove arri-va a narrare la morte di Kleist, quelsuicidio così tragico. Come ricordal’autore, l’idea della morte accom-pagnò Kleist fin dalla prima infan-zia; se, da buon prussiano ordinatoe organizzato, egli si era fatto un«piano per la vita» (sentendo poiacutissima la pena di esservi impa-ri), parimenti, il giovane romanticosi era fatto un piano per la morte;ambiva a una morte magnifica, enon da solo, tanto che, a tutti colo-ro che gli erano cari egli offrì, inmomenti diversi, quasi a testarnela superiore fedeltà al sentimentoche li legava, la sua compagnia peril definitivo salto nel buio: prima aKaroline von Schiller; poi all’ami-co Rühle, cui scrisse, con paroleappassionate quant’altri mai, perproporre una specie di nerissima,sublime avventura: «Non mi vuoleuscire dalla testa l’idea che dobbia-mo fare ancora qualcosa insieme:vieni, facciamo qualcosa di buono,e, con questo, moriamo! [...] È co-me passare da una stanza in un’al-

227

Anima tragicaStefan Zweig, Kleist, Castelvec-chi, Roma 2016, pp. 86, euro14,50.

LIBRI & LIBRI

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tra». Sino a che, a rispondere al-l’appello è una donna malata, di-vorata dalla malattia, già vicina al-la morte, un’anima bella, una «sen-timentale vaporosa» (p. 79). Balzaall’occhio, più ancora che nellegrandi biografie (una su tutte, Ma-

ria Antonietta), una sorta di pro-fonda adesione interiore con cuiZweig racconta gli ultimi momentinella vita del giovane poeta prus-siano. E nulla può distogliere il let-tore dalla singolare suggestione,dalla convinzione che la passione,quasi la profonda identificazioneche trapela da queste pagine, trovila sua motivazione profonda nel ri-conoscimento di un’affinità di fon-do: quasi vent’anni dopo aver nar-rato la morte di von Kleist, infatti,anche Zweig morì suicida, in Bra-sile, insieme con la moglie Lotte.

Silvia Stucchi

Vive in unasperduta localitàdella Val d’Ao-sta. Eppure, an-che con questolibro il benedet-tino fratel Mi-chael DavideSemeraro con-ferma che si può

essere monaci e respirare a pienipolmoni ansie e fatiche, gioie e do-lori dell’umanità di oggi. In La

Quaresima. Un’occasione da non

perdere, Semeraro, uno degli auto-ri spirituali emergenti in Italia, simisura con un interrogativo sco-modo: può ancora avere senso vi-vere un «tempo forte» e antico co-me la Quaresima in un’età come lanostra, segnata da secolarizzazionee consumismo? Non siamo in pre-senza di qualcosa di terribilmenteanacronistico? La risposta di fratel

Michael Davide è che «la nostragenerazione di discepoli non puòin alcun modo rinunciare alla Qua-resima come tempo di purificazio-ne, di cambiamento interiore, di in-cremento di intelligenza del Van-gelo e di crescita in una testimo-nianza serena, disarmata, cordialee affidabile». Quaresima, dunque,come tempo di preghiera, digiunoe ascesi, non di musoneria, tristez-za o «fioretti» fini a sé stessi, ma dieducazione profonda del desiderio.Una meditazione accalorata, scrittaper aiutare a crescere nella vita cri-stiana, nella consapevolezza chequesta generazione di credenti, purfra mille difficoltà, ha l’onere dicomunicare la fede e la speranzaalle generazioni future.

Riccardo Caniato

Questo libro na-sce da una seriedi catechesi te-nute dal card.Schönborn inqualità di arci-vescovo diVienna sul temadel rinnova-mento dellaChiesa, solleci-

tato dal mutamento delle condizio-ni sociali in cui essa si trova a ope-rare. L’autore sostiene che tale rin-novamento debba essere incentratosul ripensamento di come sia pos-sibile a ogni cristiano divenire di-

scepolo di Cristo e indica il Di-scorso della montagna come laMagna Charta del discepolato. In-fatti, Gesù chiama tutti gli uominialla sua sequela per costruire laChiesa, esige da loro una dedizio-ne di vita, perché chiede di diven-tare sempre più simili a Lui quale

Figlio di Dio, ma promette la vitaeterna. La precondizione di tuttoquesto è la fede in Lui, ossia affi-darsi totalmente a Cristo, ma è al-trettanto vero, rileva Schönborn,che Egli non chiama uomini giàperfetti, bensì peccatori. La fededev’essere anche conversione aCristo per seguire esclusivamentele sue vie. Per il cardinale la cosapiù difficile da imparare quali «al-lievi» di Gesù è la conversione delcuore, facendo propri il pensiero,la volontà e i sentimenti di Dio.«Gesù ci fa camminare attraversoesperienze. [...] Gesù ci mostra cheabbiamo sempre bisogno di rico-noscere la nostra povertà. [...] Que-sto è dunque il nucleo: l’esperien-za della propria debolezza, dellapropria miseria [...], l’esperienzache abbiamo bisogno di salvezza»(pp. 16-17), sicché senza Cristonon ce la facciamo. Questo per-mette a Schönborn di esporre comeinterpreti le parole di Papa France-sco sulla necessità di una Chiesa«povera»: tutta la ricchezza di Cri-sto è dei cristiani, che però la por-tano in «vasi di creta». Andare ver-so le periferie significa non conce-pire tale ricchezza come esclusivadei credenti, bensì come qualcosada condividere senza giudicare co-loro che non credono e, anzi, es-sendo disposti a ricevere da loro,ossia sapendo guardare con bene-volenza tutto il bene che v’è in es-si e anche tutta la sofferenza pre-sente nel mondo e accompagnare

le persone verso la meta del Dise-gno divino originario. Ecco che al-lora il Discorso della montagna e iltema del peccato convergono inquello della croce: se Cristo ha li-berato l’uomo dal peccato moren-do sulla croce, «non può essercivia per la risurrezione che non pas-si per la croce, così come non puòesserci un discepolato che vogliaevitare la croce» (p. 13). L’autorerileva come questo «prendere lacroce» di Gesù per mettersi allasua «scuola» renda suoi discepoli,ma nel contempo anche «maestri»,ossia persone capaci di trasmetterel’insegnamento cristiano e di testi-moniarlo. E cita Paolo VI: «Il no-

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Tempo forte Michael Davide Semeraro, La

Quaresima. Un’occasione da non per-

dere, San Paolo, Cinisello Balsa-mo 2016, pp. 96, euro 10.

Discepoli di CristoChristoph Schönborn, Gesù Mae-

stro. Scuola di Vita, a cura di H.P.Weber, traduzione di M.C. AscherCorsetti, ESD, Bologna 2014, pp.224, euro 16.

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stro tempo preferisce i testimoni aidottori e se ascolta i dottori, liascolta perché sono testimoni» (p.23). Com’è possibile che discepolipeccatori diventino maestri? Per-ché sono accompagnati dal donodello Spirito Santo, consolatore emaestro, che rende possibile l’an-nuncio. Con una conversione al Si-gnore capace di discernere i «se-gni» del nostro tempo, coniugandomisericordia, giustizia e verità –che «può essere difficile da sop-portare o da accettare, ma è la con-dizione affinché possa attecchire lamisericordia» (p. 25) –, si contri-buisce a cambiare la Chiesa e an-che la società.

Matteo Andolfo

Un libro piutto-sto singolare:non un raccontodelle proprieavventure alpi-nistiche, né unastoria dell’alpi-nismo. Non è unracconto, maracchiude moltopiù materiale

narrativo di quanto a un saggio sianormalmente consentito. Brevini losa e nell’Introduzione spiega il suofine: «Gli scalatori scrivono moltospesso libri che saranno altri scala-tori a leggere: questo vorrebbe co-stituire un’eccezione. Pur risultan-do infatti l’opera di un fedele d’a-more delle terre alte, che natural-mente si rivolge ad altri suoi com-pagni di fede, si sforza anche di rac-contare la montagna a chi non laconosce e forse non la capisce. [...]Dopo quarant’anni spesi a scalaremontagne nei quattro angoli delglobo mi piacerebbe riuscire a co-municare al lettore la misteriosa ur-

genza che ogni volta spinge un al-pinista a ripartire» (p. 7). Un viag-gio in dieci voci che si può articola-re in tre blocchi: le esperienze emo-zionali (altezza, bufera, immensità,rischio), le attività che in montagnasi possono praticare (arrampicata,ghiaccio, scialpinismo) e alcuniluoghi del cuore (Dolomiti, Gran

Paradiso, Tunu, ossia la Groenlan-dia orientale). Cercare di spiegare ilperché dell’alpinismo (che è cosaben diversa da un escursionismo«addomesticato») non è affatto fa-cile neanche agli stessi alpinisti; fi-guriamoci a chi inorridisce al pen-siero dalla sua «inutilità», unita alrischio che gli è congenito. Brevinirivela che, forse non solo per lui, ilmondo della montagna è insepara-bile dall’idea di immensità. «Soprala testa ruota lentamente la stupefa-zione di tutte quelle stelle, che ren-dono il cielo fosforescente. Davantisi stagliano le masse acquattate del-le montagne, che fra poco sfolgore-ranno al primo sole. La neve scric-chiola, il ghiacciaio è blu comel’acciaio temprato. Un bagliore aoriente annuncia che sta iniziando ilpiù sconvolgente e insieme il piùprevedibile degli spettacoli. Si re-plica da milioni di anni, ma quasisempre senza testimoni, come ilfiore del deserto di Manzoni, chespande la sua corolla per l’imper-scrutabile Dio delle solitudini. Oraperò siamo noi, lì, in carne e ossa,gli intirizziti spettatori dell’epifaniadella vita» (pp. 177-178). Sono te-mi che, al di là dell’esperienza per-sonale, Brevini ha attentamentescandagliato anche nella sua attivi-tà di studioso (è docente di Lettera-tura italiana moderna e contempo-ranea all’Università di Bergamo),fino a dare alle stampe, nel 2013per Bollati Boringhieri, il saggioL’invenzione della natura selvag-

gia. Storia di un’idea dal XVIII se-

colo a oggi. Poche altre attività ri-sultano, nell’opinione corrente, tan-to deformate dai luoghi comuni. E aogni incidente grave l’incompren-sione si trasforma in condanna. Ne-gli ultimi tempi si è giunti addirittu-ra a invocare il divieto di salita percerte montagne o certi itinerari di

salita. Non a caso il capitolo piùampio è dedicato proprio al «Ri-schio». Il tema è delicato e le impli-cazioni sono molte. All’alpinista re-sponsabile è certamente richiestomolto equilibrio, competenza, ca-pacità di valutazione e prudenza.Nondimeno il rischio è, in qualchemodo congenito all’alpinismo: «Seil mondo moderno ha steso un sof-fice panno protettivo, che avvolge eanestetizza ogni minuto aspetto del-le nostre esistenze sottraendole alruvido confronto con la realtà e isuoi imprevisti, la montagna puòsquarciare quell’involucro e riapri-re i giochi, riportando la vita a mi-surarsi con le cose e con la morte.In un mondo in cui si enfatizzano isistemi di sicurezza, in cui si pre-tende che anche il rischio venga ge-stito, la montagna è diventata unmodo per riassaporare l’avventura,nel senso etimologico di ad ventu-

ra, “verso le cose future”» (p. 237).E, cercando di cogliere sintetica-mente il nucleo, azzarda: «Il subli-me – insisto – è decisamente lachiave per intendere l’alpinismo. Ilpericolo, la paura, l’abisso, la vasti-tà e l’immensità, il brivido dell’an-nientamento, il senso della fragilitàdell’uomo, la sua solitudine di fron-te a una natura incombente e mi-nacciosa: di tutto questo è fatto ilsublime, che è l’emozione più acu-ta e profonda che il soggetto possasperimentare di fronte alla minacciadell’annichilimento. In montagna siva per vivere queste sensazioni fat-te di grandiosità e di rischio» (p.220). Con un elemento in più ri-spetto all’estetica del sublime, checonsiste nel passaggio dalla con-templazione all’azione, dalla puraammirazione all’impegno fisico epsicologico dell’ascesa. Resta co-munque difficile far comprendere achi non ha frequentato la montagnail senso dell’alpinismo, dare una ri-sposta razionale alla domanda: «Machi te lo fa fare?». Può riuscirci for-se una grande narrazione. Ci riusci-rà questo libro? Forse, al lettore cheavrà la pazienza di arrivare a con-cluderne la lettura. Glielo auguria-mo di cuore.

Marco Dalla Torre

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Alta quota Franco Brevini, Alfabeto verticale.

La montagna e l’alpinismo in dieci

parole, Il Mulino, Bologna 2015,pp. 290, euro 16.

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In uno dei testi aiquali più di fre-quente tornerà,lo Zohar, NellySachs – l’ultimapoetessa ebraicain lingua tedesca– scoprì che inesso predominauna concezionenotturna, riflesso

di una presenza divina nel mondocapace di «vigilare la notte» e di unpensiero che deve lasciarsi investireda tutti «i nomi della carenza e deldolore». Risonanti di atmosfere ca-re al romanticismo tedesco, ma nonper questo meno intrise di mistici-smo ebraico, le pagine di cui si com-pongono le lettere «senza destinata-rio» alle quali la Sachs attese nei pri-mi anni Cinquanta, in un tempo diprofonde angosce, sono specchio diun animo abitato dalla più cupa in-quietudine, capace di riconoscersisoltanto nelle «metamorfosi» nellequali l’esistenza è continuamentecoinvolta e di cui si ha traccia inquanto, trattenendo in sé il tempo, ir-radia nostalgia, «unica chiave chechiude la serratura della notte». Se lascrittura della Sachs mantiene sem-pre un resto che non ammette d’es-sere ricondotto a un concetto, ma de-ve essere esperito con pazienza eprecisione, occorre ammettere che ildettato a tratti platealmente schizo-frenico di queste lettere fa resistenzaa ogni interpretazione che non siamicrologica, ossia volta a cercare ilgranello di polvere impregnato diuna voce che stilla flebile lungo «ilsentiero del silenzio». Retrospettiva-mente, rivolgendosi a Celan, laSachs confessò come queste letterefossero state scritte «per evitare diandare a fondo, ma sono testi in-comprensibili per gli altri, perché visi aggira come un fantasma la tele-grafia persecutoria». Qui del resto la

stessa musicalità che si è ritenuta pe-culiare all’intera esperienza artisticadella Sachs sembra ammutolire oforse, come in Beethoven, scoprire ilsegreto della propria autenticità inuna punteggiatura di deiscenza, qua-si che la superficie verbale, al pari diquella sonora, sia sempre in procin-to di spezzarsi, lasciando percepiresolo «suoni sospesi ad altezze verti-ginose».

Luigi Azzariti Fumaroli

Un manuale pra-tico ed essenzia-le per smontare iclassici luoghicomuni sulleCrociate o sulcaso Galileo e altempo stesso perripercorrere due-

mila anni di storia della Chiesa in«sole» 350 pagine. Ci si sposta velo-cemente dalla Galilea a Roma, dallecatacombe dei primi secoli ai lagernazisti, passando attraverso la lottaper le investiture, l’apostasia prote-stante di Lutero e Calvino e i capric-ci carnali di Enrico VIII. La storicaAngela Pellicciari, come altri con-vertiti in età adulta, si spende conpassione e attenzione alle fonti do-cumentali per testimoniare quellaVerità che una volta abbracciata maipiù ha abbandonato. Il testo è agile eoriginale, con capitoli brevi che sisusseguono in ordine cronologicoguidando il lettore a guisa di roman-zo fra gli snodi principali della storiadella Chiesa. Pagina dopo paginamatura una convinzione: la Chiesa èdi Cristo, ha i piedi nel mondo ma losguardo al Cielo. Dal monachesimoalle missioni all’associazionismo,fondata nei Sacramenti è strumentosoprannaturale: un faro per l’umani-tà puntato verso i luoghi possibilidell’eternità.

Riccardo Caniato

Ogni mattina laPizia si recavaalla fonte Casta-lia e lì si bagna-va; poi, nel tem-pio, bruciava adApollo un’of-ferta di foglie dialloro e farinad’orzo. Intanto i

sacerdoti verificavano se fossepossibile iniziare le consultazioniaspergendo d’acqua fredda una ca-pra. Se questa rabbrividiva signifi-cava che c’era il consenso di Apol-lo. Questo era soltanto uno dei ri-tuali che si perpetuarono là, nell’a-spra valletta nascosta sul massicciodel Parnaso, per oltre un millennio.Era, questo, assieme a Eleusi, il piùimportante santuario dell’antichità,nominato in innumerevoli testi,meta di milioni di pellegrini, visi-tato da centinaia di uomini e donneillustri, dall’VIII secolo a.C. sinoalla fine del IV secolo dell’era vol-gare. Questo grande centro spiri-tuale custodì gelosamente il segre-to dei suoi riti che non furono maiscritti. Segreti rimasero i dettaglidell’oracolo che la Pizia interroga-va su richiesta di militari, re, impe-ratori e gente comune provenientidalla Grecia, da Roma, dall’AsiaMinore, dall’Africa settentrionalesin dalla Britannia. Centro spiri-tuale supremo del mondo antico,fu affiancata, per importanza, sol-tanto dai culti di Roma e di Eleusiche tuttavia mai cancellarono l’im-portanza di Delfi. Sulla storia delpiù grande, longevo e misterioso(l’aggettivo qui è lecitamente spe-so) santuario dell’antichità si puòleggere l’appassionante e informa-tissimo racconto di Michael Scottnel libro tradotto da Laterza, Delfi,

il centro del mondo antico. Delfiera considerato letteralmente il«centro» del mondo di allora poi-

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Sibilla segreta Michael Scott, Delfi. Il centro del

mondo antico, Laterza, Roma 2015,pp. 378, euro 25.

Chiesa & verità Angela Pellicciari, Una storia del-

la Chiesa, Cantagalli, Siena 2015,pp. 350, euro 24.

«Notturni» ebreiNelly Sachs, Lettere dalla notte

(1950-1953), Giuntina, Firenze2015, pp. 70, euro 10.

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ché vi si custodiva l’Omphalos,«l’ombelico», una pietra che se-gnalava il punto centrale del mon-do visibile e invisibile, convergen-za di opposti, laddove gli dèi infe-ri Pitone ed Hera avevano fatto tre-gua con Apollo. Il dio accettava didare i suoi responsi ai quesiti delmondo facendo esprimere oscuri,frenetici presagi a una sacerdotessaconsacrata al suo culto, che parla-va seduta di fronte a un calderone.Le parole della Pizia venivano poitradotte dai sacerdoti. Per secoli laPizia fu una giovane vergine con-sacrata, poi furono preferite donneoltre i cinquant’anni dopo che unadelle giovani sacerdotesse fu ol-traggiata da un profanatore (cosìracconta Diodoro Siculo). Al cen-tro di una complessa attività ritua-le, fatta di celebrazioni e riti, gio-chi e processioni, la Pizia dava isuoi responsi una volta al mese pernove mesi all’anno (si pensava cheApollo d’inverno disertasse Delfi).Si accedeva alla mantèia, l’oraco-lo, dopo una lunga serie di atti pu-rificatori, attese, sacrifici e pre-ghiere ma al cospetto della sacer-dotessa erano ammessi soltanto imaschi. Dai responsi dipendevanodecisioni politiche importantissi-me, carriere, azzardi, avventure,vita e morte e così fu per molte ge-nerazioni e popolazioni. Delfi ac-compagnò la vita di Atene, Sparta,Roma e Alessandria per secoli.Nell’anno 377 un terremoto impo-nente devastò il complesso. Parecomunque che l’attività sia conti-nuata ancora per un ventennio sinoa quando il calo di pellegrini ne de-cretò la fine. L’ultimo atto è un’i-scrizione agli imperatori Valente eValentiniano che avevano impostouna tregua a pagani e cristiani. Inquell’iscrizione, per la prima volta,Delfi perdette l’aggettivo di hierà,sacra. Poco dopo, in un mondo or-mai illuminato dalla luce di Cristo,i pesanti portoni di bronzo dell’im-menso santuario deserto si chiuse-ro, per sempre; e la grotta della si-billa, la «pitonessa», tornò nelle te-nebre.

Mario Iannaccone

L’osservazioneche Terenzio Ma -miani della Ro-vere fece nel1868 a marginedel sistema diCharles Darwin,sostenendo che«non v’à errore

più pernicioso ai naturalisti, quantospiegare i fatti con la percezione deifini», intercetta la tesi di fondo diquesto volume almeno per due mo-tivi: il primo è che l’Autore spiegache, in Darwin, la descrizione deifatti della natura non è un elementoaccessorio e disegna una scritturanon solo come metodo argomentati-vo, ma anche, in un certo senso, co-me “stile” di una «conversione dellosguardo» che doveva permettere ailettori di fare esperienza concretadelle leggi naturali; il secondo moti-vo è che tale piacere estetico gene-rato, attraverso i testi, dalla meravi-glia di fronte alla natura, dovette, findal Viaggio di un naturalista intorno

al mondo (1839), fare i conti con leesigenze del metodo scientifico che«imponeva» di leggere i fatti alla lu-ce di precise ipotesi. La descrizionedel fatto non poteva, in altri termini,essere portata a compimento, senzaavvalersi di un «livello letterario»,nel quale era contenuto già un tenta-tivo di interpretazione scientifica delfatto stesso: volendo cercare «unaragione scientifica che spiegasse ta-le misterioso, continuo “sterminio”fra così tanti “accidenti”», era quin-di in nome della scienza, e non permero esercizio stilistico, che Darwinusava, all’interno delle possibilitàoffertegli dalla scrittura, anche «ilragionamento filosofico, la forza in-terrogativa della teologia, la chiarez-za definitoria della geologia e dellabiologia». Egli non intendeva certonegare l’esistenza, nell’uomo, di un

sentimento della bellezza non «con-taminato» dalla ragione, ma soste-neva tuttavia che quel «“sentimentoistintivo” che giunge all’uomo dallasua natura animale [...] incontra, aun certo punto imprecisato, un gra-do di estensione così raffinato che,grazie alla “comparazione” della ra-gione, risulta infine incomparabilecon quello stesso sentimento anima-le da cui pure proviene e da cui sa-rebbe stato originato». Se è veroche, in questo giudizio estetico, agi-va la lezione di Goethe, è comunquealtrettanto vero, secondo Bertani,che forse, a causa della non precisa-zione del passaggio dall’istinto allaragione, il modello illuminista e ro-mantico «pretendeva troppo», inDarwin, cercando di individuareuna causa meccanica a quelli cheegli stesso definiva, nel Viaggio, gli«atti liberi» del condor. La cosa cer-ta è che la ragione della tarda mo-dernità risultava, nelle pagine delnaturalista inglese, poco duttile aspiegare i comportamenti liberi ne-gli esseri viventi, se, in suo nome,veniva detto che non era «da com-piangere troppo» il trattamento degliindios da parte dei conquistatorispagnoli e che la vera “colpa” dellaBuenos Aires moderna consistevanel non aver ancora raggiunto l’«an-glosassone modernità». Lo stessoprincipio di piacere, introdotto daDarwin nel Viaggio come ciò cheaccomuna il selvaggio al civile, persanare il dualismo tra istinto e ragio-ne, finiva, secondo Bertani, in una«rassegnazione naturale» giustifi-cante l’ideologia vittoriana della di-visione in classi, nel momento in cuiserviva anche a sostenere che l’alle-gria dei minatori cileni era dovuta alfatto che si fossero abituati alla lorocondizione: in nome del principio dipiacere, potevano essere cantati, nelViaggio, anche «il lato oscuro delmondo, la legge della lotta e delleestinzioni di massa» operanti in «ra-gniformi vespe» e non le laborioseapi, che Jonathan Swift, nella Batta-

glia dei libri, aveva contrapposto aiferoci insetti, nei quali vedeva gliscienziati moderni.

Giuseppe Bonvegna

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I viaggi di Darwin Stefano Bertani, Il letterato Dar-

win. La scrittura dell’evoluzione, Edi-tori Riuniti University Press, Ro-ma 2015, pp. 223, euro 19,90.

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SaggisticaLetteratura

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La Doppia classifica, come dice il nome, si divide in

due parti. La pagina sinistra, qui sotto, offre una clas-

sifica mensile dei libri più venduti, compilata rielabo-

rando le liste dei bestseller diffuse dalle principali fon-

ti giornalistiche. Vale come un sintomo dell'aria che

tira nel mercato editoriale. Il numero su fondo nero ¶indica la posizione attuale; il numero su fondo chiaro

¬ indica la posizione nel mese precedente; la stellina

H segnala le nuove entrate. La presente elaborazione

si riferisce al mese di febbraio 2016.

Dopo i botti d’inizio anno, non registriamo scossoniin classifica, ma per il primato in primavera scalpi-teranno in molti: Adesso della Gamberale, come laproblematica Danish girl di David Ebershoff e l’on-nipresente (uffa...) Camilleri con Noli me tangere.

¶ ¬ Fabio Volo, È tutta vita, Mondadori, Milano2015, pp. 240, € 19,50. Permane il primato «voliano». Ecco la trama (paro-le grosse): una coppia, a prima vista perfetta, s’in-crina all’arrivo del primogenito.

· Á Nicholas Sparks, Nei tuoi occhi, Sperling &Kupfer, Milano 2016, pp. 494, € 19.90.

Gli amori di Sparks «spaccano» le classifiche: qui labella Maria è tutta concentrata sulla carriera fino al-l’incontro con il tormentato Colin. La storia c’è (contocco noir) anche se in 500 pagine sbiadisce un po’.

¸ ® Paula Hawkins, La ragazza del treno, Piem-me, Milano 2015, pp. 306, € 19,50.

Il noir della scorsa estate continua la sua cavalcata.

¹ ̄ Luis Sepúlveda, Storia di un cane che insegnòa un bambino la fedeltà, Guanda, Milano 2015, pp.98, € 10.

In tempi di povertà narrativa ben vengano le fiabe ela riscoperta dei temi che fecero grande Jack London.

º ° Lucinda Riley, Ally nella tempesta. Le sette so-relle, Giunti, Firenze 2016, pp. 608, € 12,90.

«Parlo al cuore e punto sul passaparola»: si presen-ta così la Riley, un po’ Liala, un po’ Harmony, maalmeno senza le porno-sfumature della James.

Anche la Saggistica sonnecchia: scalerà le posizioniPape Satàn Aleppe, la fatica postuma di Umberto Ecoper la Nave di Teseo (ma anche qui nihil novi: sono lesue «Bustine di Minerva» sulla società liquida).

¶ ¬ Francesco, Il nome di Dio è misericordia. Unaconversazione con Andrea Tornielli, Piemme, Milano2016, pp. 110, € 15.

Papa Francesco sul senso del perdono cristiano conpreziosi aneddoti del suo vissuto: per pregare la-sciandosi abbracciare dalla tenerezza del Padre.

· Á Calendario liturgico, San Paolo, Cinisello Bal-samo 2016, pp. 64, € 0,50.

Il Papa + un calendario liturgico: la sorprendente«cattoclassifica» d’inizio anno regge ancora...

¸ ® Marie Kondo, Il magico potere del riordino,Vallardi, Milano 2014, pp. 248, € 13,90.

Il libro in grado di aumentare l’autostima inducen-do a fare meno acquisti è inossidabile.

¹ ¯ Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adel-phi, Milano 2014, pp. 88, € 10.

Rovelli è un big delle Classifiche, speriamo che ungiorno incontri la fede: «A me non piacciono quelliche mi spiegano che il mondo l’ha creato Dio, perchépenso che non lo sappia nessuno di noi da dove vie-ne il mondo, penso che chi dice di saperlo, si illude».

º ° Gianluigi Nuzzi, Via Crucis, Chiarelettere, Mi-lano 2015, pp. 322, € 13,50.

Il libro ha aperto il caso «Vatileaks 2»: non è certocosì che si aiuta il Papa.

doppiaIN LIBRERIA

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SaggisticaLetteratura

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¶ Elio Fiore, L’opera poetica, a cura di Silvia Ca-valli, Ares, Milano 2016, pp. 728, € 18.

Il 19 luglio ’43 il piccolo Elio rimase sotto le maceriedi Roma bombardata: lo salvò la madre con il propriocorpo. L’evento, come la deportazione degli ebrei dalGhetto, sarebbe sempre ritornato nella sua poesia cri-stallina. Ora tutto il suo corpus creativo è finalmentedisponibile con una toccante prefazione di Alessan-dro Zaccuri. Un atto d’amore per un poeta occhi-di-bambino così legato alla storia della nostra rivista.

· Lodovico Festa, La provvidenza rossa, Sellerio,Palermo 2016, pp. 544, € 15.

Milano, autunno 1977. Una raffica trancia la vita diun’avvenente fioraia iscritta al PCI: si apre così unadoppia indagine, quella «ufficiale» e quella del Parti-to: ecco l’intrigante scenario da cui muove il noir diFesta, uno dei nostri più acuminati politologi (cfr perAres Ascesa e declino della Seconda Repubblica).

¸ Cees Noteboom, «Tumbas». Tombe di poeti e dipensatori, Iperborea, Milano 2015, pp. 384, € 20.

Tour tra i tumuli dei grandi scrittori: ispirato e dark.

¹ Thomas Merton, La montagna delle sette balze,Garzanti, Milano 2015, pp. 500, € 22.

Ritorna uno dei più amati «viaggi interiori»: per chiha sete di contemplazione e silenzi.

º A. Afanasjev - A. Puskin, Masha e Orso e altre fia-be russe, Bur, Milano 2015, pp. 176, € 14,50.

Le tavole di inizio ’900 di Ivan Bilibin impreziosi-scono queste grandi favole della tradizione russa:dalla strega Baba Jaga alla bella Vassilissa.

¶ Antonio Sicari, Come muoiono i santi. 100 raccontidi risurrezione, Ares, Milano 2016, pp. 224, € 12,90.

Il più celebre agiografo italiano propone una «gal-leria» di santi «fotografati» negli ultimi istanti di vi-ta: da questi suggestivi ritratti si riscopre la vita co-me un viaggio verso la casa del Padre.

· Ugo Borghello, I fondamentali dell’amore umano,Ares, Milano 2016, pp. 160, € 12.

Perché i giovani non credono più al «sogno dell’a-more per sempre»? Forse perché il nostro tempo nar-cisistico ha dimenticato i «fondamentali» dell’amoreumano. Ugo Borghello ha preparato un ricchissimopercorso per giovani coppie, che potranno riceveremolti spunti per riscoprire le radici del loro legame.

¸Adriano Pessina, L’io insoddisfatto. Tra Prometeo eDio, Vita e Pensiero, Milano 2016, pp. 240, € 18.

Illuminante percorso che prende il polso a uno deimali odierni: il gigantismo dell’«Io». Per una rifles-sione attualissima e davvero controcorrente.

¹ Ferdinando Castelli, A volte ritornano. Scrittori inricerca,Ancora, Milano 2014, pp. 190, € 16.

Come ricorda Antonio Spadaro, attuale direttore del-la Civiltà Cattolica, Padre Castelli era un «segugio»:«Fiutava Cristo dovunque». In questi cammei postu-mi ha indagato la sete di assoluto di Melville, Salga-ri, Achebe, Cioran e di tanti altri...

º Luca Borghi, Il medico di Roma, Armando, Roma2015, pp. 470, € 30.

Documentatissima biografia del «Principe dei clinici»dell’Italia postunitaria: Guido Baccelli (1830-1916).

di Mauro Manfredini

Qui sotto, nella pagina destra, figura un'altra classifi-

ca, che non si basa sulle vendite ma sulla qualità: è

una rassegna di volumi consigliabili e consigliati sulla

base del gusto, del buonsenso e di opinioni magari

sindacabili ma, di norma, non dissennate.

Entrambe le classifiche, quella di destra e quella di si-

nistra, sono accompagnate da brevi giudizi che forni-

scono sintetiche indicazioni critiche per un tempesti-

vo orientamento e non pregiudicano recensioni parti-

colareggiate in successivi numeri della rivista.

classifica IN REDAZIONE

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Attraverso le parole di DonatellaBisutti, che l’ha fondato e lo diri-ge, il semestrale Poesia e Cono-scenza si candida a proseguire laparabola idealmente inauguratasicon la rivista che nel tempo l’hapreceduta, Poesia e Spiritualità,e che ha purtroppo cessato le suepubblicazioni. L’avventura paredistinguersi dalla precedente peralcuni particolari. Se quella co-stituiva, fin dal titolo, un «seme-strale di ricerca transdisciplina-re», in linea con la vocazionemultilivellare e ipertestuale dellacultura contemporanea, questa,viceversa, pare un vivace e ruti-lante contenitore di versi, nellamigliore tradizione delle rivistedi poesia. In quella figuravanoanimati dibattiti, interventi, saggicritici, perfino delle «tavole ro-tonde» e «residenze di scrittura»(quali che siano i significati diquesti termini ove riferiti a un pe-riodico di poesia). In questa,Poesia e Conoscenza, il cui pri-mo numero ha visto la luce nelgiugno dello scorso anno, a pre-valere sembrano le voci isolate, ipoeti ospiti, le traduzioni. Si cor-re in orizzontale pattinando sulghiaccio fragile dell’emozioneanziché decidersi a sondare, inverticale, per mezzo di un caro-taggio della scrittura e, prima an-cora, del pensiero, gli antefatti«strutturali» che rendono siffattopassatempo, se così vogliamo de-finire la poesia e l’arte in genera-le, passatempo per lo più doloro-so per chi lo mette in atto e pia-cevole per chi ne gode, possibile. Di sondare e saggiare gli ante-fatti del poetare si era occupatala rivista precedente, mentre ifrutti maturi della ricerca è que-

sta nuova rivista a raccoglierli.Così sembrerebbe, almeno. Lastessa Bisutti riconosce la diffi-coltà di «trovare una formulache tenga conto di tutte questecose», ossia di intrecciare «l’o-rizzontale con la verticalità», ilsociale e mondano – di cui si èsempre nutrita la poesia civile –con lo spirituale e celeste – dicui, viceversa, trae beneficio lapoesia oracolare e lirica.

Il primo numero di Poesia e Co-noscenza parrebbe smentire unotra i molti buoni auspici formula-ti dalla Bisutti, quello di evitareche la rivista divenga «una vetri-na di testi poetici» (editoriale, p.8). In realtà, la vetrina è tale. Ve-ro è anche che non si tratta di unavetrina nella quale gli oggetti so-no affastellati a caso, come uncollage di Arman o una sculturadi César Baldaccini, ma di un luo-go dell’anima dove tutto è dispo-sto in buon ordine e lo è in base auna sua logica. La ricerca di «te-matiche impegnate» – un altroauspicio tra quelli enunciati – c’èinteramente, la scelta dei testi è lìa dimostrarlo. Ma l’ambizionedel nostro intrepido neodirettore èun’altra. Ella vorrebbe fonderel’ideologia e la poesia, cercando«luoghi in cui le aspirazioni dellegrandi ideologie [...] possanoconfluire, fondersi, intersecarsicon l’alta, millenaria tradizione diuna spiritualità ispirata alla tra-scendenza e fecondarsi a vicen-da» (editoriale, p. 9). La strutturadella rivista sembra risentire, non

sempre in modo pacificato, del-l’antinomia sulla quale si fondanodue millenni di conflitti tra l’u-mano e il divino in letteratura, iquali vanno da Sofocle a Celan,da Boezio a Bonnefoy. In una recente intervista sul men-sile Orizzonti la Nostra avevapreso congedo dalla «letteraturad’impegno», affermando di noncredere più nella possibilità di un«coinvolgimento politico diret-to» (ma storia e politica sono,non saremo noi a ricordarglielo,due cose tra loro ben distinte). Lapalinodia arriva puntuale: «In unmomento di crisi dei valori e dicrisi politica drammatica [...] lavoce degli scrittori non può tace-re» (Poesia e Conoscenza, n. 1,p. 43). Ben venga questa voce, sesi ammette, come nessuno avràdifficoltà ad ammettere, che glianni dal 1980 al 2000 sono anda-ti sfumando in un delicato e inu-tile whimper, così come avvieneper la singolare apocalisse imma-ginata da Eliot, mentre oggidì noiavvertiamo il bisogno, quasi fisi-co, di un forte bang propulsore.Ma questo significa davvero ri-nunciare alla leggerezza e abban-donare il filone lirico inauguratodal Petrarca e culminato, attra-verso Pascoli, in D’Annunzio?Avevano ragione, allora, Continie Segre e aveva torto Cesare Gar-boli? O la ragione e il torto, comeda copione manzoniano, non silasciano dividere così nettamentecome si vorrebbe, e meno chemai nel domaine dell’arte, e lapluralità dei registri è destinata aprevalere sempre e comunque? Poesia e Conoscenza acquisterà,col tempo, una sua propria fisio-nomia più spiccata e riconoscibi-

Bisutti & Genova

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RIVISTE & RIVISTE

Vetrina& impegno

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le, non abbiamo dubbi. Non sap-piamo se i poeti siano oggi comeoggi in grado di spiegare, e menoancora di rintuzzare, l’orrore deitagliagole dell’ISIS. Certo è che lavoce dell’artista, come Bisuttipuntualizza, deve oggi più che al-tre volte potersi udire forte echiara (proprio a questo riguardo,belle e ispirate ci sono parse lepagine che Pierangelo Sequeridedica all’idea di una bellezzaoggi da recuperare, Poesia e Co-noscenza, pp. 114-117). Ma perdire che cosa? Ecco, in questo ca-so noi chiediamo al poeta un quidnovi in grado di farci conoscere ecomprendere. Poiché «la cono-scenza ha potenza sulla sofferen-za» (U. Galimberti). Meno ci in-teressano, oggi, Eschilo e il fina-le moraleggiante del suo Aga-mennone («tòn páthei máthos»)che afferma l’esatto contrario.

Secondo le tesi più accreditate ilnome deriverebbe dal turco hazi-ne, luogo dove il sultano conser-

va il tesoro, mentreun’altra ipotesi loidentificherebbecome derivazionedall’arabo khizana-tum, che indica siail tesoro, sia il luo-go dove si pratica ilprestito su pegno.Di casane e casa-neri è ricco il bassoMedioevo, allor-quando si diffuse,nell’Italia setten-trionale, la praticadel prestito su pe-gno. A Genova, conla fondazione delMonte di Pietà,creato con il nobileintento di combat-tere l’usura cui erasoggetta gran partedella popolazione,il termine – dappri-ma dispregiativo –

subì una progressiva riabilitazio-ne semantica al punto che, a furordi popolo, il nome «Casana» fuattribuito alla nuova istituzione,entrando nell’uso generale. Alpunto che il vicolo detto «Car-roggio del Promontorio» oveaveva sede il Monte fu ribattez-zato, con decreto della Municipa-lità, «Carroggio della Casana»,tuttora via laterale alla sede cen-trale della Banca Carige. Che è,ammettiamolo, una banca oggitra le più chiacchierate e da unanno nel mirino delle autorità diBruxelles. La passata gestionedell’istituto di credito ha assaipoco giovato, così pare, alla suaimmagine e reputazione. Menomale che esiste un bel quadrime-strale a riscattarne la posizionetraballante, e questo si chiama,per l’appunto, La Casana. Il pri-mo numero vide la luce nel 1958,quando molti di noi non eranoancora nati. Nel tempo il periodi-co (dapprima a cadenza bime-strale e successivamente, conl’aumento delle pagine, trime-strale, oggi quadrimestrale) ha ri-cevuto attestazioni e riconosci-menti di varia natura, tutti meri-

tati e tutti gratificanti. A comin-ciare dal disposto ministerialeche, nel 1977, includeva di dirit-to La Casana fra le riviste a ca-rattere culturale. Un paio d’anniprima la Società Dante Alighierile aveva conferito il premio «Lacultura ligure nella stampa». Èstata, poi, la volta del Premio«Attilio Pacces» da parte del-l’Associazione della stampaaziendale italiana. A dirigere la rivista, un vero eproprio house organ ma con unocchio di riguardo nei confrontidel grande patrimonio artistico,ignoto ai più, conservato nei mu-sei e palazzi no-biliari di Geno-va, senza di-menticare ilcaveau dellabanca, è An-t o n e l l oA m a t o .Nell’ulti-mo nume-ro de LaCasana( s e t t . -d i c .2015) figura-no un accattivante ser-vizio dedicato da Eliana Quattri-ni al fotografo Alex Webb; unodedicato da Giovanna Benetti algenovese Oratorio di San FilippoNeri, «scrigno d’arte nel cuore diGenova». Segue una carrellatasulla figura e sulla produzionedell’illustre pittore genoveseAlessandro Magnasco a firmaRoberta Olcese (La Casana, pp.41-43). La rivista è fresca e godi-bile e lascia intuire come, dietroai bilanci traballanti di Carige,stiano – qualità solide oggi piùche mai – la tradizione, la classe,la cultura della leading class ge-novese.

Carlo Alessandro Landini

Per contattare il semestrale Poesia e Cono-scenza, scrivere all’indirizzo [email protected]. Il quadrimestrale LaCasana si riceve gratuitamente. Per richie-derlo, occorre rivolgersi a Carige, via Cas-sa di Risparmio 15, 16123 Genova.

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Valorizzareil patrimonio

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Non poteva non richiamare l’at-tenzione della stampa nazionale ilnuovo libro di Ugo Finetti, Botte-ghe oscure. Il Pci di Berlinguer &Napolitano (Edizioni Ares, Mila-no 2016, pp. 320, euro 15), che ri-costruisce, sulla base dei verbalifinora inediti delle riunioni dellaDirezione del partito, i mutamentinella politica e nel gruppo diri-gente comunista seguendo le «vi-te parallele» di Enrico Berlinguere di Giorgio Napolitano.Proprio l’ex Presidente della Re-pubblica il 29 febbraio ha indiriz-zato all’autore la seguente lette-ra: «caro Finetti, la ringrazio diavermi voluto inviare il suo volu-me Botteghe oscure. Il Pci diBerlinguer & Napolitano. Lei haricostruito con grande attenzione– salvo sempre possibili ulteriorichiarimenti – il confronto internoal Partito comunista tra gli anni’60 e la scomparsa di Berlinguer.con i più cordiali saluti. GiorgioNapolitano».il libro è stato recensito da Lodo-vico Festa sul quotidiano Il Gior-nale del 5 marzo, ponendo in ri-lievo che Finetti «prosegue il pre-ziosissimo lavoro di ricostruzionedella discussione all’interno delPci, con scrupoloso esame dellefonti dirette ﴾specie i verbali delladirezione comunista messi oggi adisposizione dall’istituto Gram-sci﴿, che ha una pietra miliare nelsuo Togliatti & Amendola. La lot-ta politica nel Pci. Dalla Resisten-za al terrorismo ﴾Edizioni Ares,Milano 2008, pp. 448, euro 22﴿».Festa sottolinea poi che «l’ouver-ture del libro è centrata su quantoil Pci fosse forza autonoma equanto invece pesasse l’influenzamoscovita. Non pochi i fatti e le

dichiarazioni raccolte da Finettisu un legame assai solido con l’U-nione Sovietica». Riguardo ai fi-nanziamenti al partito, Festa notache Finetti riporta «dichiarazionirilevanti come quelle di Berlin-guer: “Siamo ricorsi a finanzia-menti deprecabili ma perché nelricorrervi il disinteresse personaledei compagni è stato assoluto”. Eancora: “Dire la verità al Partito?Non possiamo mettere tutte le ci-fre in piazza”». Nella recensioneal volume pubblicata il 28 feb-braio su Formiche.net si definisce«implacabile» il modo con cui Fi-netti svela «il disperato occulta-mento» berlingueriano dei «tra-volgenti debiti» del partito e delsuo sistema di autofinanziamento.Tornando a Festa, sottolinea che«il pezzo forte del libro sono le

critiche a Berlinguer per avere lan-ciato, e senza una discussione pre-ventiva, la questione morale. Al-l’argomentazione berlinguerianaFinetti contrappone gli interventidi altri dirigenti del Pci, a iniziareda Giorgio Napolitano che criticòle posizioni del segretario con unarticolo sull’Unità». Su questo te-ma, afferma Paolo Pillitteri nellarecensione al volume edita sia sul-l’Opinione.it del 23 febbraio sia suStato Quotidiano del 29 febbraio,il saggio di Finetti «viene a riem-pire un vuoto», svelando «la con-flittualità interna alla chiesa diBotteghe Oscure» tra la maggio-ranza berlingueriana e «la destradi Napolitano e dei suoi non nu-merosi miglioristi, costretti all’e-sterno a mimetizzarsi da hominestogliattiani molto continuisti».

ARES NEWS

Il PCI & i presuntuosi «nuovi diritti»

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Riproduciamo l’originale della lettera inviata dal presidente Giorgio

Napolitano a Ugo Finetti, autore del saggio sul confronto nel PCI tra

lo stesso Napolitano e Berlinguer.

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Su Avvenire del 3 febbraio è statapubblicata un’anticipazione del-l’introduzione del nuovo libro diPier Giorgio Liverani, Diritti di-storti. La legalizzazione dei desi-deri (Edizioni Ares, Milano 2016,pp. 240, euro 16), rilevando comel’autore «tracci una visione poten-te della nuova Babele dell’uomodi oggi», che, come si sottolineanella recensione del volume sulsettimanale Il nostro tempo del 21febbraio, «sostituisce al Verbo lasua parola, all’Assoluto la sua fi-nitezza, affermando sé stesso coltentativo di dare un nome nuovo»,quello di un presunto diritto, «atutte le cose che desidera». Perciò,«il titolo del libro non è un giocodi parole, ma un dilemma che in-veste la nostra vita personale, lasocietà civile, la religione e quin-di la fede, ma anche l’ethos degliagnostici e degli atei, le ideologieresidue e la politica, perché ri-guarda l’antropologia e dunque ilconcetto, la visione, il significatodell’uomo sulla Terra». «Sì, per-ché stiamo parlando di antropolo-gia vera (non di quella di chi af-ferma che la madre è “un concet-to antropologico” ma non è neces-sario che sia una donna», sog-giunge Andrea Vannicelli sul quo-tidiano La Croce del 5 febbraio,

«e della spiacevole tendenza dellacultura dominante a scindere l’au-tonomia dell’individuo dalla suaresponsabilità umana e sociale»,finendo per consentire l’afferma-zione del «diritto del più forte ascapito del più debole».Per la stessa testata (e in un videosu YouTube) ha recensito il volumePaolo Pugni, che lo ha definito«spettacolare» in quanto «spiegamolto bene che i diritti civili di cuioggi si parla non hanno nulla a chevedere con i diritti universali del-l’uomo proclamati nella dichiara-zione delle Nazioni Unite nel1948». Mentre questi ultimi «sibasano su una legge naturale cheprecede in senso logico l’uomo,tutti i diritti di oggi si basano sullaconsiderazione dello Stato eticoche decide di stabilire in funzionedel proprio capriccio ciò che è be-ne e ciò che è male senza alcun ri-ferimento alla natura. in realtà ionon ho il diritto di avere diritti,bensì me li ritrovo donati dalla mianatura, non per mia scelta». Lorenzo Bertocchi, recensendo ilvolume sulla Nuova Bussola Quo-tidiana del 18 febbraio, osservache Liverani con la sua «pennapuntuta analizza le questioni deldivorzio, aborto, matrimonioomosessuale, fecondazione etero-loga, eutanasia. Da quando la na-tura è diventata solo cultura si èsuonato il de profundis di ognifondamento da cui partire per ra-gionare di diritti. Fondamento, sibadi, non di fede, ma in quanto ra-zionalmente comprensibile e con-divisibile anche per chi una fedenon ha. Ma siamo in democrazia,e impera quello che Sergio cotta,filosofo del diritto citato da Live-rani, chiamava “neo-giusnaturali-smo libertino”. Oggi più della me-tafisica può il consenso. E i valorifiniscono per essere definiti damaggioranze che oggi li collocanolì, domani chissà. Non è più il va-lore che fonda la legge, ma la leg-ge che crea il valore».Secondo Pugni è la riproposizionedell’«antica battaglia» contro ilpeccato originale dell’uomo chevuole «decidere di sé come se non

fosse una creatura» e per combat-terla bisogna «scacciare con la ra-gione ciò che l’emotività vuole of-fuscare, nascondere, negare. Edobbiamo farlo comprendendosempre più la verità e imparandosempre meglio a raccontarla. Eccoperché è importante avere argo-mentazioni forti come quelle chepossono essere apprese da questolibro», che è stato recensito anchesul Giornale del 14 febbraio e sul-l’Eco di Bergamo del 28 febbraio.Tra i diritti naturali che «il nostrotempo narcisistico ha dimentica-to», è stato messo in rilievo sul si-to dell’Associazione italiana dellibro recensendo il 22 febbraio ilsaggio di Ugo Borghello, I fonda-mentali dell’amore umano (Edi-zioni Ares, Milano 2016, pp. 160,euro 12), ci sono le verità validesempre e per tutti che Dio ha im-presso nella nostra natura: «L’ar-ricchente e complementare diver-sità tra l’uomo e la donna, il sensoprofondo della sessualità o il por-tato “relazionale” di una famigliaunita. Don Ugo Borghello tracciaun incoraggiante percorso per fi-danzati e giovani coppie, che po-tranno riscoprire le radici del lorolegame e impostare un rapportonon vincolato alle oscillazioni delsentimento» né ai tentativi dellascienza o di altri poteri di forzarela natura fuori dal suo alveo.

Matteo Andolfo

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Le distorsionidel diritto

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lo certe domande cicciano sponta-nee, come l’erba, naturali?». Il prof raccolse le meningi e riuscìa dire: «Hanno messo un’ipotecasu un prodotto che ancora non c’èe che non conoscono, un’obbliga-zione subordinata applicata a unavita in crescita come se la renditafosse già stata valutata». Marisadisse: «Essì, come fosse un affare,ma poi quel ragazzino un giornovorrà sapere chi è sua madre e sco-pre che una tizia se l’è tenuto ingrembo per nove mesi e poi l’havenduto ai committenti che chiamapapà, e se poi si mette in testa dicercare la madre vera?». Ma Attilio voleva cambiare argo-mento, disse: «Se due persone so-no fatte in un certo modo diversonon glielo puoi impedire, l’ha det-to anche papa Francesco, è una co-sa misericordiosa, e poi magari agiudicare sarà il Padreterno, ma ilproblema dei ragazzini ordinati almercatino mi fa impressione, unpo’ di egoismo c’è e pare masche-rato dalle buone intenzioni; caraMarisa, secondo me in tutta questastoria c’è un trucco». Marisa stavapreparando la panna e si interrup-pe; «Che trucco?». Attilio cambia-va discorso: «Hai visto che hachiuso pure Tommasino? Sono giàquattro saracinesche che non siaprono più in cento metri di strada,e cià detto male pure a noi». «Atti-lio, non toccare questo tasto che mifai bollire il fegato», e Marisa con-tinuò a montare la panna per i ma-ritozzi. Poi disse: «Lo sai che han-no mandato lo sfratto per morositàa Carolina, prende seicento euro dipensione, j’hanno consigliato difasse trova’ al letto malata così nonla sfrattano, ma te pare possibilevivere in questo mondo dove ci so-no gli abusivi di piazza Navonache pagano venticinque euro di af-

Non c’è niente di più arruffato e rea-listico di un baretto italiano di peri-feria. In poche ore vi si consuma tut-to lo scibile di sopravvivenza. Gliidola fori stanno qui, suggeriti nondai mass media, ma dal circuito del-le problematiche private; pratica-mente poche e tutte uguali. Da una settimana Marisa la barista,istituzione locale da mezzo secolo,da padre in figlia, quella domenicanon aspettava che veder comparireAttilio il «professore». Attilio, ses-santenne vicino alla pensione, im-piegato postale, era diventato«professore» non appena s’erasparso in giro il suo libretto di poe-sie romanesche, stile Trilussa; peresempio: «Nun basta ’na foja de fi-co / pe’ nasconne quer che dico /pe’ mme parla la realtà / pesce frit-to e baccalà». Nelle pietanze mari-nare qualcuno ci aveva visto unametafora, ma poi tutto era finito incucina. Appena lo vide, Marisasbottò: «Professo’, a te che te piac-ciono tanto li paradossi, che mmedici che hanno dovuto fa’ ’na ma-nifestazione al circo Massimo, erfamilidei, pe’ dimostra’ che la fa-miglia è fatta di un maschio padremarito, una donna femmina mogliee un par de regazzini nati da queidue, e per amore ce lo vogliamomette’?». Erano le sette e Attilioera ancora un po’ intronato; «Fam-mi un caffè Marisa, ma poi dovestarebbe ’sto paradosso?». «Aaa!,ma allora lo fai apposta, una cosache sanno anche le scimmie e leaquile adesso è diventata incerta, tepare ’na cosa normale?». Attilioaveva capito, però gli piaceva sfru-culiare. «Però tu Marisa sei rima-

sta proprio indietro, ai PromessiSposi, non lo sai che adesso qual-siasi matrimonio s’ha da fare?».Marisa gli tirò una spugna bagnatache lo colse in piena faccia. «E al-lora beccate ’sta modernità, tiè». Si conoscevano da trent’anni, ilprof si era dedicato al campetto delcalcio e aveva allenato pure il fi-glio di Marisa, Roberto, che lochiamava zio, e come ogni dome-nica adesso andava a pranzo da lei.Suo marito Augusto e Attilio eranocresciuti insieme, stesse strade,stessa spiaggia, stesso mare, Ostia,stesse ragazze; la sorella di Marisaera la fidanzata di Attilio, potevanodiventare tutti parenti, ma quel po-meriggio sulla Vespa Camilla eracaduta dal sellino per un tampona-mento e c’era rimasta, anche il san-gue sull’asfalto. Attilio ci aveva ri-provato ma poi aveva lasciato per-dere, Camilla e nessuna più, e or-mai era passato tanto tempo. Il prof aprì il Messaggero e co-minciò a leggere. Poi disse: «Ognidomenica la stessa storia, otto pa-gine piene di annunci di esecuzio-ni immobiliari, gente che non cela fa più a pagare il mutuo, debi-tori dell’Agenzia delle Entrate,vendite senza incanto che se nevanno a prezzi stracciati a grossiconsorzi immobiliari, la societàdegli sfrattati è in crescita». Mari-sa raccolse la spugna e disse:«Scusa Attilio, me l’hai fatta pro-prio scappare, t’ho preso di stri-scio, ma ti pare possibile che dueomo si sposano, poi si compranoil necessario per farsi un figlio,che secondo me è solo il sostitutodel cane, un giocattolo, e lo possocapire che per i primi anni al bam-bino non gliene frega niente conchi gioca, ma dopo, quando co-mincerà a farsi delle domande,perché se non è proprio un citrul-

FAX & DISFAX

Il trucco

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quello si era sposato con NunziaDi Girolamo, una deputata delladestra, Augusto aveva esclamato:«Queste si che so’ larghe intese, aquarantamila euro de stipendio indue», e aveva fracassato il televi-sore. «Mo’ denuncia che non cel’abbiamo, sennò ce lo fanno pa-ga’ con la bolletta della luce»,aveva detto Marisa. E poi: «Ma al-lora ’sto trucco?». «Ma ci stanno iragazzini», aveva infilato Attilio.«Anche se mi scandalizzo non telo faccio vedere», aveva detto An-nalisa. Allora Attilio cominciò:«Ma avete visto quante coppie gayso’ spuntate? Dove stavano rinta-nate? È tutto un trucco. Allora iosai che vi dico, io fra tre anni va-do in pensione, allora facciamofinta che io e Roberto siamo unacoppia gay e lui un giorno si bec-ca la pensione di reversibilità».Non aveva finito di dirlo che tuttiscoppiarono a ridere, Annalisa fin-geva di scostarsi da Roberto, Ro-berto si era alzato e dava un bacet-to allo zio Attilio e Marisa rivoltaad Augusto stava dicendo «Ma ten’eri mai accorto che ciavevamoun fijo gay?», e Augusto invece,serio serio, stava dicendo: «Manon è mica una brutta idea, tantopoi per un bambino ci pensanoquesti due, tutto regolare, nondobbiamo affittare una strascinata,basta però che non vi tocca parte-cipare a qualche gay pride». Ride-vano come matti. Mentre mangia-vano il castagnaccio Marisa disse,quasi soprappensiero: «È proprioun bel trucco, ma davvero pensiche ci stanno in giro tante coppiegay fasulle?». Attilio, dopo unasorsata di acqua e anice, disse:«Vorrei proprio sapere se anchealle coppie gay sono riconosciutigli assegni famigliari per il coniu-ge e anche il bonus bebè».

fitto al mese?». Attilio si ricordavadi quando aveva pubblicato quel li-bretto di poesie e aveva conosciutoquella brava scrittrice, Anna Mon-giardo; lei abitava in una casa pro-prio a piazza Navona, Corsia Ago-nale n. 10, pagava quasi niente,gliel’aveva data qualcuno al Co-mune quando c’erano Walter Vel-troni e l’assessore Marco Causi,ma Anna non ci stava bene e se nevoleva andare, poi non l’aveva vi-sta più, però un buchetto quasi gra-tis a piazza Navona gli sarebbepiaciuto anche a lui, quando pensa-va di fare il poeta alla Trilussa, eaveva scoperto che a Roma eranoun battaglione. Disse: «Ci pensiMarisa che i negozi nostri si sonoliberati manco ce fosse stata la pe-ste dentro, bella fregatura». Anniaddietro avevano comprato in so-cietà tre locali in una zona di peri-feria, per un po’ li avevano affittatibene, ma quando aveva aperto ilmegastore nessuno li aveva volutipiù. Adesso ci pagavano l’IMU, ilocali sfitti sono un bene che rendesolo alle tasse comunali, e in piùl’addizionale IRPEF era salita oltreil tre percento, un salasso. La do-manda se l’erano posta: «Ma chereddito mi dà un locale vuoto e inabbandono?». Niente da fare. Marisa, come svegliandosi, incal-zò: «E che sarebbe ’sto trucco?».«Te lo dico a pranzo, dopo; che haipreparato di buono?». «Ho prepa-rato quello che piaceva tanto a Ca-milla», ma non riuscì a finire lafrase perché scoppiò a piangere.Attilio uscì sul marciapiede, erapieno di piccioni che beccavano,anche qualche gabbiano, una zin-gara smucinava nei cassonetti. Pe-rò lo sapevano tutti e due che le ca-teratte si aprivano come niente,c’erano tanti grovigli che rimbal-zavano come birilli non appena

una pallaparola li colpiva, con tut-to quel che ne seguiva, e adessoavevano il problema di Roberto,ventisette anni, geometra precario,fidanzato con Annalisa, farmacistaimpiegata part-time come com-messa nella farmacia comunale diCorviale. Per loro i figli non eranomai stati giocarelli, sempre amore-vole preoccupazione. Quando rien-trò nel bar, Attilio disse: «Lo saiMarisa qual è la fortuna di Roma?Che i turisti vengono qui per il suopassato, per il Papa e il Colosseo;se solo si mettessero a guardare ilpresente scapperebbero»; e Marisadisse: «Il presente ce l’hanno but-tato addosso a noi». Intanto s’erafatto tardi, era domenica, tutti in-sieme a casa per il pranzo, comesempre da anni. «Ma poi me lo di-ci dove sta il trucco», insistevaMarisa. Roberto e Annalisa giocavano ascacchi, lei era bravissima e ci siappassionava. «Ciao zi’». Per loroAttilio era sempre stato lo zio. Au-gusto, il marito di Marisa, stavaaggiustando un rubinetto che per-deva. Marisa aveva preparato lapizza di scarola con l’uvetta e i pi-noli, le pappardelle con le noci, lemelanzane tagliate a barchetta concapperi, alici e pezzetti di pecori-no; Annalisa aveva preparato laschiacciata di castagnaccio con ipinoli e le pere. La televisione non ce l’avevanopiù da un pezzo, da quando Augu-sto una sera ci aveva scagliatocontro la bottiglia di birra, avevafatto un botto che pareva una can-nonata. Stavano guardando uno diquei duelli politici e parlava Fran-cesco Boccia, un deputato econo-mista della sinistra di governo,che a un certo punto aveva dettoqualche cosa sulle «larghe intese»,e poiché Augusto aveva letto che

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di Franco Palmieri

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Alberto Azzini, I due Cammini, Statale11 Editrice, Vicenza 2010, pp. 234,euro 16.

Enrico Baiardo – Fulvio De Lucis,Dentro il mondo. Oltre il tempo (Let-tura dei «Quattro Quartetti» di T.S.Eliot), Erga Edizioni, Genova 2015,pp. 202, euro 14.

Ulderico Bernardi, Una Terra antica(Cultura, storia e tradizioni dell’O-pitergino), Editrice Santi Quaranta,Treviso 2014, pp. 380, euro 17.

Évelyne Bloch-Dano, Giardini di carta(Da Rousseau a Modiano), traduzionedal francese di S. Prencipe, add Edito-re, Torino 2016, pp. 222, euro 16.

Émilie Bonvin, Santa Maria che scioglie inodi (Preghiere e novene), traduzionedi L. Pietrantoni, Edizioni Mediterra-nee, Roma 2015, pp. 122, euro 9,50.

Luca Borghi, Il medico di Roma. Vita,morte e miracoli di Guido Baccelli(1830-1916), Armando Editore, Ro-ma 2015, pp. 456, euro 30.

Gandolfo Cascio, Un’idea di letteraturanella «Commedia», Società EditriceDante Alighieri, Roma 2015, pp.134, euro 7,50.

Bachi Dardani, Un segreto ancora, Ilnuovo Melangolo, Genova 2015, pp.96, euro 12.

Giuseppe Deiana, Nel nome del figlio (Lafamiglia Puecher nella Resistenza),prefazione di V. Rognoni, Mursia Edi-tore, Milano 2013, pp. 502, euro 24.

Diario di Murasaki Shikibu (Murasaki Shi-kibu nikki), a cura di C. Negri, MarsilioEditori, Venezia 2015, pp. 126, euro 12.

Ruggero Eugeni, La condizione postme-diale (Media, linguaggi e narrazio-ni), Editrice La Scuola, Brescia2016, pp. 96, euro 8,50.

Lodovico Festa, La provvidenza rossa,Sellerio Editore, Palermo 2016, pp.530, euro 15.

Gianpiero Gamaleri, Pensieri per l’An-no Santo (Commenti alle Omelie diPapa Francesco a Santa Marta pub-blicati su «Il mio Papa»), LibreriaEditrice Vaticana, Città del Vaticano2016, pp. 142, euro 12.

Lisa Genova, La scelta di Katie, traduzio-ne di L. Prandino, Edizioni Piemme,Milano 2016, pp. 404, euro 18,50.

Stefano Malatesta, Quando Roma eraun paradiso, Skira Editore, Ginevra-Milano 2015, pp. 142, euro 15.

Mauro Murzi (cur.), Temi di filosofia del-la fisica, Casa Editrice Limina Men-tis, Villasanta 2016, pp. 220, euro 27.

Nina Nasilli, Al buio dei nodi anfratti, conun nota di A. Bertoni, Book Editore,Ro Ferrarese 2016, pp. 144, euro 14.

V.I. Nemirovič-Dančenko, La mia vitanel teatro russo (Memorie del co-fondatore del Teatro d’Arte di Mo-sca), a cura di F. Malcovati, tradu-zione di I. Serra, Dino Audino Edito-re, Roma 2015, pp. 192, euro 20.

Alessandro Parenti, Parole strane (Eti-mologie e altra linguistica), Leo S.Olschki Editore, Firenze 2015, pp.VI-158, euro 18.

Stefano Parenti, Fatherless (L’assenzadel padre nella società contempora-nea), invito alla lettura di R. Marche-sini, D’Ettoris Editori, Crotone 2015,pp. 226, euro 16,90.

Adriano Pessina, L’io insoddisfatto traPrometeo e Dio, Vita e Pensiero, Mi-lano 2016, pp. X-224, euro 18.

Stefano Pivato, Favole e politica (Pi-nocchio, Cappuccetto rosso e la

Guerra fredda), Il Mulino, Bologna2015, pp. 190, euro 19.

Pontificio Consiglio per la Promozionedella Nuova Evangelizzazione,Santi nella Misericordia, EdizioniSan Paolo, Cinisello Balsamo 2015,pp. 144, euro 7,90.

Vittorio Possenti, I volti dell’amore, Ca-sa Editrice Marietti, Genova 2015,pp. 102, euro 12.

Giuseppe Oreste Pozzi, Il soggetto del-l’inconscio e la cura (Autismo e psi-cosi nell’incontro con il Reale), pre-fazione di A. Di Ciaccia, FrancoAn-geli, Milano 2015, pp. 172, euro 23.

Antonio Rossi, Brevis altera, Book Edito-re, Ro Ferrarese 2015, pp. 80, euro 14.

Alfred Schütz, Max Scheler (Epistemo-logia, etica, intersoggettività), a curadi L. Allodi, prefazione di G. Cusina-to, Editrice Morcelliana, Brescia2015, pp. 228, euro 17,50.

Roger Scruton, Essere conservatore, a cu-ra di O. Sanguinetti, D’Ettoris Editori,Crotone 2015, pp. 296, euro 20,90.

Antonio Maria Sicari, La festa dellaMisericordia (Esercizi spirituali perfamiglie in compagnia di santa Tere-sa di Lisieux), Archa, Pergine Valsu-gana 2016, pp. 104, euro 6.

Werner Sombart, Saggi sociologici,saggio introduttivo e traduzione di L.Allodi, Aracne Editrice, Ariccia2015, pp. 352, euro 18.

Giovanni Tonellato – Nicola Tonelli, Ilpittore inquieto e la ragazza del fio-re, Editrice Santi Quaranta, Treviso2015, pp. 184, euro 13.

Giusto Truglia, Frammenti sparsi, Giu-liano Ladolfi Editore, Borgomanero2015, pp. 126, euro 12.

Alessandro Vanoli, Quando guidavanole stelle (Viaggio sentimentale nelMediterraneo), Il Mulino, Bologna2015, pp. 236, euro 16.

LIBRI RICEVUTI

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Ringraziamo gli editori per l’invio delle loro novità. Il giudizio critico, nei limi-

ti dello spazio disponibile alle rubriche, è cronologicamente indipendente da

questo annuncio bibliografico.

Questo fascicolo (n. 661) è stato chiuso in tipografia l’11 marzo 2016. Il fascicolo precedente (n. 660) è sta-

to consegnato al C.M. Postale di Perugia, per l’inoltro agli abbonati e alle librerie, il 18 febbraio 2016.

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Questo libro raccoglie i settantotto racconti della fortunata rubrica che Mari-

na Corradi tenne sul quotidiano Avvenire da luglio a settembre 2015. «Quan-

do le proposi per la prima volta di spendersi in un genere letterario (apparen-

temente) nuovo per lei», scrive Marco Tarquinio nella Prefazione, «quando

cioè la sfidai ad affacciarsi per tre mesi (gennaio, febbraio e marzo 2013) dal-

la speciale “finestra” che apriamo ogni giorno sulla prima pagina di Avvenire

– il giornale che l’ha scelta, e che lei ha scelto –, Marina provò a eccepire, ac-

cennò a resistere, ma poi accettò. La rubrica, mi disse, sarebbe stata In viag-

gio. Venne poi un anno di quotidianità raccontata, settimana dopo settimana.

Perché è sempre In un giorno come gli altri che si può essere accompagnati

“ad ascoltare, per una volta, anche sé stessi”. Poi, a ritmare in modo diverso quell’ascolto, ecco di nuovo la “fine-

stra” aperta sulla nostra prima pagina per ancora tre mesi. E l’audacia di usarla, stavolta, per farci entrare nella di-

mensione intima e immensa di una casa di montagna e dello sguardo dei piccoli: Con occhi di bambina».

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Padre Antonio Sicari presenta un’im-

pressionante «galleria» di santi «foto-

grafati» negli ultimi istanti della loro

vita. La morte per loro è la tenerezza di

un abbraccio. È l’incontro con l’Amato

lungamente inseguito. Conosciamo co-

sì la morte del mistico, del martire, del-

l’anziano logorato dagli anni, come del

giovane che ha imparato il segreto del-

l’amore nel giro di una vita breve ma ir-

ripetibilmente intensa. Da questi sug-

gestivi «ritratti» in cui si susseguono le

figure più celebri e altre forse meno

consuete l’autore aiuta a riscoprire la

vita come un viaggio verso una felicità

più grande, quella della Casa del Padre.

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