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Per una strategia marittima del XXI secolo Pier Paolo Ramoino

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Per una strategia marittimadel XXI secolo

Pier Paolo Ramoino

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I edizione: aprile 2009

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Indice

Presentazione di Umberto Gori ........................................................ 7 Prefazione .................................................................. 13 Introduzione ............................................................... 15 Capitolo I Strategia marittima del 2000 ..................................... 19 Capitolo II Un caso marittimo dell’ottocento: la questione del piroscafo Cagliari ................................................ 25 Capitolo III La missione Tellini al confine Greco–Albanese e le operazioni a Corfù (1923) .................................. 31 Capitolo IV Il caso “Beira Patrol” ................................................ 59 Capitolo V Il caso Achille Lauro .................................................. 63

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Indice 6

Capitolo VI Operazioni “Desert Shield” e “Desert Storm” 1991 Considerazioni di carattere strategico marittimo ..... 69 Capitolo VII I grandi temi della strategia marittima nazionale ed il “problema navale italiano” ................................ 89 Capitolo VIII Genesi dello strumento navale italiano degli anni ’90 ..................................................................... 97 Bibliografia essenziale di strategia globale e marittima ................................................................ 99

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Presentazione L’Autore di questo testo di strategia navale, l’Ammi-

raglio Pier Paolo Ramoino, mi ha fatto l’onore di chieder-mi una breve presentazione. Pur consapevole del grande divario di conoscenze in materia fra l’A., una delle ‘teste pensanti’ riconosciute della Marina Militare, e il sottoscrit-to, professore universitario di Relazioni Internazionali e Studi Strategici ― ma certamente non specialista di storia e strategia marittima ― ho accettato di buon grado per la stima e l’amicizia che provo per lui e per la colleganza nell’insegnamento in Accademia Navale.

Come afferma l’A. nell’Introduzione, oggi il mondo è profondamente cambiato. Dalla politica internazionale si è passati alla politica post–internazionale. Altri attori ed al-tre minacce sono apparsi sulla scena del pianeta. Ed anche il concetto di sicurezza non è più un concetto riferito solo all’ambito militare.

La strategia marittima ― dice però Ramoino ― non è ad una svolta: richiede solo un ripensamento perché “le teorie vanno rivisitate ed attualizzate, attraverso una co-stante rimeditazione delle recenti esperienze, ricordandosi che le abbiamo vissute impiegando strumenti non proget-tati per questi nuovi ruoli e troppo spesso utilizzati senza troppa chiarezza”.

Oggi i mezzi per assicurarsi potere marittimo sono ri-masti gli stessi, ma diverso ― ormai ― è lo scopo, consi-stente ormai nella protezione delle vie marittime dalle mi-

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Presentazione 8

nacce asimmetriche (terrorismo e pirateria), oltre che dai pericoli ambientali.

La presenza di numerosi choke points, di strozzature, di passaggi obbligati, di rotte fisse favorisce indubbiamente il terrorismo e la pirateria, ma ― nello stesso tempo ― ren-de anche possibili misure di contrasto.

Il potere marittimo, che ha come scopo anche quello di difendere le risorse degli oceani, è diventato ― insomma ― un concetto più geopolitico che geostrategico, più lega-to a condizioni geografiche e antropiche che a concezioni strategico–militari.

Ovviamente, però, le Marine militari hanno anche altri compiti e sono capaci di molte altre funzioni.

Innanzi tutto ― e l’Ammiraglio Ramoino lo ricorda ― le Marine militari sono, per le loro caratteristiche, uno strumento ideale di politica estera. Fra tutte le Forze Armate, esse sono le sole ad avere la pienezza delle ca-ratteristiche necessarie a svolgere la funzione di rappre-sentare gli Stati in pace e in guerra. Queste caratteristi-che sono:

1) capacità di operare a grandi distanze; 2) notevole capacità di trasportare uomini e mezzi; 3) disponibilità di sistemi d’arma che possono essere

utilizzati contro bersagli di tipo diverso; 4) capacità di impegnarsi e disimpegnarsi abbastanza

celermente dal teatro di operazioni. Le Marine militari, se di una certa consistenza, sono capa-

ci sia di soft power che di hard power. In tempo di pace esse possono svolgere missioni diplomatiche, esercitare pressioni e, nel perseguimento di obiettivi differenziati, show the flag.

A queste attività possono aggiungersi missioni umanita-rie e funzioni di polizia marittima internazionale, attività

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Presentazione 9

di contrasto a comportamenti illeciti, nonché contenimento e controllo della immigrazione clandestina.

Durante periodi di crisi o in tempo di guerra esse difen-dono lo spazio marittimo nazionale e internazionale e svolgono una serie di attività che vanno da misure per la prevenzione dei conflitti alla partecipazione a coalizioni per porre l’embargo a determinati Paesi violatori della le-galità internazionale, prendono parte alle peace support operations con funzioni di monitoraggio o di interposizio-ne fino ad esercitare il sea denial, quella funzione, cioè, che impedisce l’uso del mare agli avversari, o addirittura il sea control per il raggiungimento di obiettivi militari in aree strategicamente vitali.

Sei strategie sono state impiegate storicamente per eser-citare il potere navale: l’impiego delle flotte in battaglia, il blocco navale, l’intercettazione dei traffici marittimi, il fleet–in–being, ormai però in desuetudine dopo Taranto e Pearl Harbour, la difesa costiera e la power projection a-shore. Insomma le forze navali, che possono essere di-slocate, teoricamente, nei due terzi del mondo, sono il se-gno visibile della politica estera di uno Stato.

Oggi, di fronte alla globalizzazione incalzante e alla minaccia del terrorismo, il mutamento e l’incertezza sono due fattori che richiedono un adeguamento della dottrina d’impiego delle forze navali. I preesistenti assetti di difesa si rivelano vulnerabili. L’Ammiraglio Ramoino mette be-ne in evidenza la necessità di un sistema di difesa dinami-co, fondato sul principio della sicurezza collettiva.

L’Italia è necessariamente interessata al mare che la circonda tanto più che il Mediterraneo è tornato ad essere un mare strategicamente rilevante. In esso – e soprattutto fra la sua riva Sud e quella Nord – si giocheranno molte partite di vitale importanza. L’instabilità dell’area è assai preoccupante. Le tensioni e i conflitti che la caratterizzano

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sono evidenti. Basti pensare a fattori come la crescita de-mografica, il sottosviluppo, l’emigrazione clandestina, l’integralismo, il terrorismo, la presenza di armi di distru-zione di massa, etc. Lo scenario più verosimile è caratte-rizzato da turbolenza e tensioni.

Oltre alle difficoltà nella dimensione Nord–Sud è anche possibile, se non probabile, che si verifichino crisi anche nella dimensione Sud–Sud. L’instabilità politica e sociale di molti Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente e con-flitti e dispute per rivalità etniche, religiose o territoriali sembrano essere fra i principali scenari di crisi che l’Unio-ne Europea, e fors’anche la NATO, dovranno affrontare, soprattutto se quelle stesse instabilità interne portassero al potere ― come è probabile ― forze integraliste, con evi-denti riflessi di pericolosità per tutta l’area di nostro inte-resse.

Contenimento, prevenzione e cooperazione devono esse-re le linee guida delle strategie degli Stati europei di fronte alle instabilità del “Mediterraneo allargato”. Quanto è ac-caduto nei Balcani a causa del mescolarsi di culture radi-calmente diverse dovrebbe farci riflettere.

Dalla globalità, prevedibilità e stabilità del sistema bi-polare, in cui dominava la dimensione strategico–militare anche nell’ambito del Mediterraneo, si è passati ad un si-stema ancora in fase di transizione di difficile prevedibilità e in cui i fattori equilibranti non sono più di carattere pre-valentemente militare, ma ― piuttosto ― di carattere poli-tico–economico. Da una dimensione strategica si passa quindi ad una dimensione geopolitica nella sua estrinseca-zione prevalentemente geoeconomica. Questo non vuol certo dire che la dimensione geostrategica non possa rie-mergere con preoccupante violenza, ma le caratteristiche del nuovo sistema ‘in costruzione’ la rendono, almeno nel breve–medio periodo, piuttosto improbabile.

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Tutti questi cambiamenti hanno un riflesso ― come giustamente sottolinea l’A. di questo volume ― anche sul comparto marittimo, “portando ad uno strisciante, ma con-sistente, cambiamento degli ‘strumenti navali’delle mag-giori Potenze e di molti Stati interessati al controllo dei mari”.

L’evoluzione del pensiero navale che Pier Paolo Ra-moino disegna con grande maestria, con l’ausilio di im-portanti casi di studio riflettenti la sua grande competenza storica, costituisce un importante contributo ad una rifles-sione che, se ha come suoi primi interlocutori gli Ufficiali allievi dell’Accademia Navale, non tralascerà di far sentire i suoi effetti negli ambienti deputati alla sicurezza, nonché a quella parte di pubblico che sempre di più non vuol sen-tirsi distaccato dai grandi temi delle relazioni internazionali.

Umberto Gori

Università degli Studi di Firenze Luglio 2008

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Prefazione

Rari nantes in gurgite vasto (Virgilio, Aen. 1, 118)

La prima edizione del mio FONDAMENTI DI STRATEGIA

NAVALE, pubblicata dal Forum di Relazioni Internazionali nel 1999 e ristampata nel 2001, si è esaurita nei pochi anni in cui è stata impiegata quale libro di testo per i Guardia-marina del 4° e 5° Corso dell’Accademia Navale e per gli Ufficiali dei Corsi Normali e Superiori di Stato Maggiore presso l’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia e l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze di Roma. Molti sono stati in consensi, ma molte anche le critiche che mi sono state rivolte, in particolare mi hanno colpito le acute osservazioni di alcuni giovani Ufficiali molto inte-ressati alle problematiche “navaliste”, che in seguito agli avvenimenti degli ultimi anni ed in special modo dopo quanto è avvenuto dall’11 settembre 2001, mi avevano in-dotto a rivedere il testo ed apportarvi alcune modifiche ed aggiunte. Sono poi venuto all’idea, sempre per suggeri-mento degli Studenti, di scrivere una sorta di “supplemen-to” a FONDAMENTI, che avvalendosi della parte teorica in-clusa nel suddetto testo ne aggiornasse alcune visioni stra-tegiche.

Rimango comunque convinto che la “Strategia Navale” sia un corpus di studi in cui spesso gli aggiornamenti non sono altro che un modo più moderno e accessibile di e-

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Presentazione 14

sprimere alcuni concetti fondamentali in un certo senso “e-terni”, tenendo conto che “il potere marittimo ― sea power degli inglesi ― è il mezzo col quale gli stati eserci-tano il dominio del mare ― talassocrazia– per scopi mili-tari, commerciali e coloniali: esso pertanto esplica la sua azione non solo nel campo marittimo ma altresì in quello politico ed economico …”1, come un nostro illustre prede-cessore nell’insegnamento all’Accademia Navale affermò oltre un secolo fa.

Speriamo che questa mia nuova fatica attiri verso la strategia marittima sempre più giovani menti affinché la sensazione di noi più anziani non rimanga quella esposta dal verso virgiliano in epigrafe.

Livorno, Estate 2008 Contrammiraglio (r)

Pier Paolo Ramoino

Vicepresidente del Centro Universitario di Studi Strategici ed Internazionali

dell’Università di Firenze

1 G. Sechi − Elementi di Arte Militare Marittima – Livorno 1903 – pag. 3.

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Introduzione Il XXI secolo doveva essere dal punto di vista strategi-

co un periodo di stabilità e di pace, questo almeno si pre-vedeva dopo la “caduta del Muro” e la sparizione di una delle Superpotenze dallo scenario internazionale. Questi primi anni del secolo sembrano totalmente negare questa visione, infatti al bipolarismo forse imperfetto, ma che ga-rantiva un equilibrio, sia pure “del terrore”, ha fatto segui-to un insieme di avvenimenti imprevedibili e fortemente destabilizzanti le normali relazioni internazionali, in parti-colare il fenomeno del terrorismo, già presente nell’era strategica precedente, si è sviluppato in modo estrema-mente preoccupante al punto da fare dell’11 Settembre 2001 una data d’inizio di un nuovo momento strategico globale.

Dell’insicurezza collettiva e dei cambiamenti di equili-brio mondiali non è stato logicamente esente il comparto marittimo e di conseguenza il pensiero navale si è dovuto evolvere ed aggiornare. A nostro parere tutto ciò non ha significato il ripudio delle teorie strategiche dei grandi pensatori navalisti del XIX e del XX secolo, ma solo una loro rilettura in chiave realistica, che sta logicamente por-tando ad uno strisciante, ma consistente, cambiamento de-gli “strumenti navali” della maggiori potenze e di molti Stati interessati al controllo dei mari.

Come saggiamente dice il Giorgerini “la guerra totale al terrorismo, dichiarata dopo l’11 Settembre 2001 dagli

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Introduzione 16

Stati Uniti ai quali si sono affiancati molti altri paesi, con-tinua ad imporre missioni in alto mare di pattugliamento, vigilanza, monitoraggio, ecc. a gran parte delle forze nava-li nei confronti di migliaia di navi mercantili che ogni giorno sono in navigazione in ogni mare. Dal canto suo, il naviglio dei servizi di guardia costiera è mobilitato nelle sorveglianza delle acque costiere e litoranee..”1. Tutto ciò fa intravedere un ruolo sempre più centrale delle Marine Militari nelle strategie globali nazionali e ci obbliga a ri-considerare alcuni aspetti del noto binomio “sea control– power projection ashore” . Questo nostro breve lavoro parte quindi da alcune considerazione da noi fatte su quel-la palestra di pensiero che è la Rivista Marittima e prose-gue con l’esame di alcuni fatti storici utilizzati quali “casi” di studio, alcuni dei quali già da noi impiegati come spunti di discussione in seminari accademici e, a volte, pubblicati sulla già citata Rivista e sull’Osservatorio dell’ISMM” di Venezia. Logicamente gran parte di questo materiale è sta-to rivisto e modificato per questa pubblicazione sia a se-guito delle osservazioni e commenti dei Frequentatori dei Corsi da noi tenuti sia per meglio caratterizzarli quali e-sempi del ritrovato ruolo constabulary2, diplomatico e spedizionario delle Forze Navali. In particolare è stata considerata meritevole di indagine sia l’esperienza accu-mulata negli ultimi lustri da parte di Marine che sono state impegnate in operazioni di mantenimento o imposizione della pace in contesti multinazionali sia più antiche espe-rienze legate all’uso od alla minaccia dell’uso della forza in contesti marittimi per ottenere risultati politici. Ancor oggi infatti l’antico detto attribuito ad O. Cromwell che “a

1 G. Giorgerini – Aspetti del momento navale – Inserto alla «Rivista Ma-rittima» n° 2– Feb. 2004.

2 Il termine inglese ci appare più opportuno e più significativo di quello di “polizia marittima” spesso utilizzato nella letteratura strategica italiana.

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Introduzione 17

man–of–war is the best ambassador” appare non solo molto significativo, ma anche molto applicato nelle rela-zioni internazionali dei nostri giorni, lo dimostra lo sforzo, che anche piccole nazioni affrontano per dotarsi di una Marina Militare i cui scopi sono ben rappresentati dalla schema seguente, tratto con qualche modifica dal noto li-bro curato da M. Pugh3. In cui appare chiaro che le mis-sioni constabulary e di “diplomazia navale” hanno co-munque una loro base su una capacità militare tipica della Nave da guerra.

Il primo caso esaminato fa riferimento ad un classico impiego constabulary delle FF.NN., il secondo ad una ve-ra operazione di Gunboat Diplomacy, il terzo ad un caso di embargo sotto mandato ONU, il quarto a grandi opera-zioni di seacontrol e di power projection ashore ed infine i due ultimi capitoli sono dedicati ai temi della strategia na-

3 M. Pugh (editor) – Maritime security and peacekeeping – Manchester

1994 – tradotto a cura di F. Sanfelice di Monteforte La difesa della pace: gli aspetti marittimi – Forum di Relazioni Internazionali – 2000.

ImpiegoImpiegodella Marinadella Marina

Utilizzo della marina in guerraUtilizzo della marina in guerra

Naval

Naval

Dip

lomac

yv

Diplom

acyv

Constabulary Mission

Constabulary Mission

MilitaryMilitary RoleRole• Power Projection Ashore• SEA CONTROL• SEA DENIAL

• MAINTENANCE OF SOVEREIGNITY&GOODORDER

• SAFEGUARDING NATIONAL RESOURCES

• INTERNATIONAL PEACEKEEPING

• SHOWING THE FLAG

• GUNBOAT DIPLOMACY

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Introduzione 18

vale e della strategia dei mezzi della nostra Marina per po-ter far iniziare ai nostri Studenti una valida e proficua di-scussione sui temi più attuali, che riguardano le nostre FF.AA.

Una più completa bibliografia conclude il volumetto per permettere al Lettore interessato di allargare il campo dei suoi studi.

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Capitolo I

Strategia marittima del 20001

Il ruolo constabulary e expeditionary delle Forze Navali

La fine della Guerra Fredda e il suo dopoguerra, di cui vediamo i non pacifici risultati in tante parti del mondo, ha mutato la stessa struttura del sistema delle Relazioni Inter-nazionali detto, forse impropriamente, di Yalta. Questo cambiamento ha profondamente coinvolto anche la Strate-gia Marittima ed alcune delle sue teorie più affermate. “Il credo affermato della Guerra Fredda era nel nesso tra po-tenza marittima, potere dello stato ed egemonia globale” come afferma Michael Pugh in un suo recente libro di suc-cesso2, oggi questo nesso è più visto tra Potere Marittimo e Sicurezza Globale, quest’ultima intesa soprattutto come mantenimento di un “buon ordine” internazionale, che pos-sa consentire un pianificato sviluppo politico–economico dei rapporti tra gli Stati. Questa visione sembra assegnare alle Marine, ed in particolare a quella della Superpotenza rimasta, un ruolo di “gendarme marittimo” detto nel lin-guaggio anglosassone constabulary. Gli Stati Uniti sembra-

1 Questo capitolo è tratto con qualche modifica da un articolo dell’A. su RIVISTA MARITTIMA.

2 M. Pugh – MARITIME SECURITY AND PEACEKEEPING – Manchester 1994 – pag. 12.

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Capitolo I 20

no avere ereditato questo compito da quello similare svolto della Royal Navy in gran parte dello scorso secolo ed in quello precedente, ma anche altre Nazioni hanno incomin-ciato ad attribuirvi grande importanza. Gendarme e diplo-matico insieme lo strumento navale è quindi destinato a so-stenere gli interessi dello Stato che lo ha costruito in un clima di stabilità internazionale, riconosciuto quasi univer-salmente come prerequisito indispensabile per una pacifica convivenza tra i popoli.

Il ruolo constabulary, a seguito nei profondi mutamenti occorsi anche nel campo del Diritto Marittimo in questi ul-timi decenni, è inteso soprattutto come volontà di dimo-strare una “sovranità” territoriale sulle acque di proprio in-teresse economico e quindi ritenuto da molti compito non più affidabile o non solo affidabile alle normali Forze di Polizia, ma quale espressione di volontà politica dello Sta-to esclusiva missione della Forza armata operante istitu-zionalmente sul mare, la Marina Militare.

A mio parere questo ruolo è sempre stato presente tra i compiti assegnati alle Marine da Guerra, utilizzando pro-prio il significativo segnale rappresentato sul mare dalla Nave Militare, autorevole ed inviolabile elemento dello Stato di cui orgogliosamente mostra la bandiera, simbolo di volontà e di forza, ma nello stesso tempo di amicizia e di diplomazia, che può trasformarsi da “ambasciata galleg-giante” a terribile “macchina di guerra” con la sola rice-zione di un messaggio dalla propria Nazione.

Infatti la flessibilità del mezzo navale non è soltanto una dote militare, ma anche una caratteristica diplomatica, che, se opportunamente usata, può consentire grandi van-taggi all’attore strategico interessato3.

3 v. i numerosi esempi nell’ormai famoso libro di J. Cable – GUNBOAT DI-

PLOMACY 1919–1979 (Londra 1981).

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Strategia marittima del 2000 21

Se quindi la stabilità internazionale è divenuta l’ele-mento più desiderabile nei rapporti tra gli Stati, le guerre sono simmetricamente aborrite proprio come elemento d’instabilità e vanno quindi prevenute, contenute, pacifica-te. Già il Corbett aveva individuato la necessità d’inter-vento dedicando alcuni capitoli della sua opera principale alle cosiddetti “guerre limitate”4, ma i tempi del grande scrittore inglese erano molto diversi da quelli attuali in quanto la guerra, limitata o no, era ancora presente quale soluzione clausewitziana di un problema politico e l’im-maginario collettivo ne tollerava l’esistenza. I nostri tempi sono certamente diversi: la guerra è presente con le sue di-struzioni, i suoi orrori e le sue conseguenze, ma non ha più dignità di esistere come concetto e come parola, sostituita perfino nel linguaggio corrente da sinonimi meno carichi di pathos come conflitto, controversia, confronto militare.

Ma come prevenire, raffreddare e risolvere questi con-flitti? Per le Forze Navali sembra essere necessario teoriz-zare nuovamente il concetto di expeditionary role5, idea anche essa antica quanto le Marine, ma che sta divenendo fondamentale come la recente storia ci mostra dalle Fal-kland/Malvinas alle operazioni nel Golfo ed in Adriatico. L’intervento in aree di crisi di una Forza Navale, quasi sempre multinazionale, sembra essere la logica conclusio-ne di ogni azione diplomatica in procinto di fallire, sia per assicurare con una presenza amichevole i Paesi Alleati o le loro popolazioni minacciate, sia per una necessaria coerci-ve diplomacy sui “turbatori” dell’ordine internazionale. Queste Forze debbono poter all’emergenza provvedere al-l’imbarco rapido dei connazionali minacciati nei loro beni

4 J. Corbett – ALCUNI PRINCIPI DI STRATEGIA MARITTIMA – Trad. Italiana –Roma 1995; Cap. IV, V, VI.

5 G. Till – NAVAL PLANNING AFTER THE COLD WAR – in Brassey’s Defence Yearbook 1993 – Londra 1993.

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Capitolo I 22

e nella loro vita in territori stranieri, proteggere il lavoro delle molte Organizzazioni non governative (NGO) impe-gnate a rendere meno sanguinosi i conflitti, assicurare il libero transito dei traffici marittimi, ma debbono anche es-sere in grado di svolgere azioni militari di tipo chirurgico sia navali, che aeree e terrestri, per spezzare rapidamente la volontà di chi vede nel prosieguo del conflitto il rag-giungimento di un proprio obiettivo strategico.

Questo scenario prevede lunghe e sfibranti attese in a-ree lontane dalle proprie basi prima del breve (ma non sempre) intervento risolutivo. Ecco che quindi lo strumen-to navale si è dovuto adattare a questo ruolo di spedizione con mezzi dotati di maggiori autonomie, nuove capacità logistiche e sanitarie6, sistemi d’arma più precisi e di più ampia portata e collegamenti C3I assai efficienti. In questo nuovo quadro strategico la Marina diviene elemento abili-tante per trasportare, sbarcare, sostenere, proteggere e ri-condurre a casa le altre componenti delle proprie forze armate e degli alleati impegnate in lontani teatri operativi. In questo compito possiamo forse affermare che una Ma-rina ben addestrata e ben motivata è una naturale forza di proiezione su cui far affidamento quale struttura portante delle possibili spedizioni oltremare.

Agire nel campo della “polizia marittima” e della “proie-zione di forza” non dovrebbe rappresentare una dicotomia in-superabile. Si tratta di acquisire una flessibile mentalità di “o-peratore” giuridico–diplomatico senza perdere il fondamen-tale ruolo combattente, su cui deve basarsi la credibilità mili-tare e quindi il risultato politico dello strumento impiegato.

6 La necessità di imbarcare rifugiati e civili di ogni sesso ed età richiede certamente spazi dedicati o dedicabili e strutture ospedaliere all’avanguardia, che non erano normalmente previsti nelle abituali operazioni marittime. In molti casi sarà probabilmente necessario includere nella Forza una o più Navi Ospedale, tipo di unità quasi scomparso dall’inventario delle Marine Militari.

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Strategia marittima del 2000 23

La Strategia Marittima è quindi ad una svolta? Non lo crediamo, richiede solo un ripensamento, in quanto la “battaglia decisiva” di mahaniana memoria non rappresen-ta più l’obiettivo principe di questa disciplina. Le teorie vanno rivisitate ed attualizzate, attraverso una costante ri-meditazione delle recenti esperienze, ricordandosi che le abbiamo vissute impiegando strumenti non progettati per questi nuovi ruoli e troppo spesso utilizzati senza troppa chiarezza.

I recenti studi condotti in occasione del centenario della guerra ispano–americana del 1898 hanno nuovamente messo in evidenza quanto commentava il nostro Bonami-co, agli inizi del nostro secolo7, che in quella guerra, emi-nentemente condotta con una logica strategica di spedizio-ne, non sempre tutto era chiaramente visto dai pianificatori dei due schieramenti con le note conseguenze che tutti co-nosciamo, anche se tra i membri del comitato strategico americano sedeva Alfred T. Mahan.

La Strategia Marittima si nutre di teorie, che traggono la loro essenza da presupposti economici, storici, sociali e giuridici e pertanto i suoi cultori ne cambiano continua-mente le definizioni per renderle più rispondenti alle esi-genze dei propri tempi e più adatte alla comprensione dei loro lettori.

Ma la Strategia Marittima richiede soprattutto chiarez-za, non solo di idee, ma anche di terminologia, perché de-ve coprire un panorama sempre più vasto di attività in cui molti attori di cultura e tradizioni differenti possono e deb-bono cooperare e quindi innanzitutto capirsi. I recenti Simposi che si sono tenuti a Newport presso l’U.S. Naval War College sul Potere Marittimo hanno cercato proprio

7 D. Bonamico – INSEGNAMENTI DELLA GUERRA ISPANO–AMERICANA – in

Rivista Marittima, vari numeri 1903

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Capitolo I 24

di fare chiarezza ed hanno avuto se non altro il merito di diffondere un linguaggio comune8, che, se pur di stampo prettamente anglosassone, sta avendo una meritata diffu-sione.

Tutto ciò ha comportato una sistematica revisione della strategia dei mezzi e la caratteristica che oggi appare vin-cente e che, a mio parere, dovrebbe essere considerata prioritaria nel ridisegnare lo strumento navale è l’autono-mia, intesa in modo globale, in quanto questa caratteristi-ca, che nel tempo della Marina velica era intrinseca al con-cetto stesso di Nave, consente quella costante capacità di presenza attiva che l’attuale dibattito strategico ci fa rite-nere indispensabile. Solo con grandi autonomie (non solo in combustibili, ma anche in armi, viveri, parti di ricambio e risorse umane) i ruoli di polizia e spedizionari possono essere svolti con successo.

L’11 settembre 2001 sembra aver aperto una nuova era strategica dove le Marine acquistano sempre nuove valen-ze legate alla stessa filosofia di base degli strumenti marit-timi: la capacità di presenza stabilizzante, la flessibilità degli interventi e la credibilità dell’azione militare. Il futu-ro probabilmente confermerà il ruolo centrale di una vi-sione marittima delle strategie globali degli Stati.

8 L’efficacia operativa di un linguaggio strategico–marittimo comune mi

pare sia emersa in modo evidente nei Simposi tenuti su invito della Marina Militare Italiana a Venezia, in cui alti personaggi delle Marine del Mediterra-neo e del Mar Nero hanno potuto confrontare i loro punti di vista in modo pia-no ed estremamente costruttivo