PER BERE LʼACQUA DAL RUBINETTO E NON USARE LA …...prevenzione e gestione dei rischi nella filiera...

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Rivistaweb Supplemento della rivista Medicina Democratica. Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 23 del 19 gennaio 1977. Iscritta al Registro Nazionale della Stampa [Legge 58/81 n.416, art. 11] il 30 ottobre 1985 al n° 8368317, foglio 657 ISSN 0391-3600 N.7 OTTOBRE 2019 PER BERE LʼACQUA DAL RUBINETTO E NON USARE LA PLASTICA: PREVENZIONE , PRECAU- ZIONE , ANALISI DEL RISCHIO E ATTUAZIONE AL MEGLIO DELLE NORME DI TUTELA ESISTENTI Sul rapporto ISTISAN (Istituto Superiore di Sanità) n. 14/21 del 2017 possiamo leggere che “ … per garan- tire un sempre più elevato grado di protezione della salute, le strategie di controllo sulla qualità delle acque devono essere aggiornate allo stato delle co- noscenze circa lʼanalisi dei rischi. È da perseguire in questo contesto lʼadozione di un nuovo approccio oli- stico che sposta lʼattenzione dal controllo retrospet- tivo sulle acque distribuite, alla prevenzione e gestione dei rischi nella filiera idropotabile, estesa dalla captazione al rubinetto, sul modello dei Water Safety Plans (WSP) elaborati in sede di OMS “. Quindi per garantire la tutela della acqua distribuita dagli acquedotti (e “fare concorrenza” alle acque mi- nerali) occorre tutelare le falde (art. 94 del dlgs 152/06) e, più in generale, le fonti utilizzate. Un piano di autocontrollo igienico-sanitario basato sui principi di Piani di Sicurezza dellʼAcqua non è attual- mente obbligatorio per i sistemi di gestione delle acque potabili, sebbene disposizioni in tal senso risul- tano già in taluni regolamenti regionali. Uno dei modi per raggiungere questo obiettivo sono le diverse forme di tutela non solo dei singoli pozzi di prelievo ma delle aree di ricarica delle falde. Lʼimmagine che segue è un estratto di mappa della Regione Emilia Romagna e rappresenta in partico- lare il rapporto tra zone di ricarica della falda e pozzi (quadrati verdi e pentagoni rossi). Le zone di ricarica sono distinte per livello di sensibilità e quindi di pro- tezione.

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Supplemento della rivista Medicina Democratica. Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 23 del 19 gennaio 1977. Iscritta al Registro Nazionale della Stampa [Legge 58/81 n.416, art. 11] il 30 ottobre1985 al n° 8368317, foglio 657 ISSN 0391-3600

N.7 OTTOBRE 2019

PER BERE LʼACQUA DAL RUBINETTO E NONUSARE LA PLASTICA: PREVENZIONE , PRECAU-ZIONE , ANALISI DEL RISCHIO E ATTUAZIONE ALMEGLIO DELLE NORME DI TUTELA ESISTENTISul rapporto ISTISAN (Istituto Superiore di Sanità) n.14/21 del 2017 possiamo leggere che “ … per garan-tire un sempre più elevato grado di protezione dellasalute, le strategie di controllo sulla qualità delleacque devono essere aggiornate allo stato delle co-noscenze circa lʼanalisi dei rischi. È da perseguire inquesto contesto lʼadozione di un nuovo approccio oli-stico che sposta lʼattenzione dal controllo retrospet-tivo sulle acque distribuite, alla prevenzione egestione dei rischi nella filiera idropotabile, estesadalla captazione al rubinetto, sul modello dei WaterSafety Plans (WSP) elaborati in sede di OMS “.Quindi per garantire la tutela della acqua distribuitadagli acquedotti (e “fare concorrenza” alle acque mi-nerali) occorre tutelare le falde (art. 94 del dlgs

152/06) e, più in generale, le fonti utilizzate.Un piano di autocontrollo igienico-sanitario basato suiprincipi di Piani di Sicurezza dellʼAcqua non è attual-mente obbligatorio per i sistemi di gestione delleacque potabili, sebbene disposizioni in tal senso risul-tano già in taluni regolamenti regionali.Uno dei modi per raggiungere questo obiettivo sonole diverse forme di tutela non solo dei singoli pozzi diprelievo ma delle aree di ricarica delle falde. Lʼimmagine che segue è un estratto di mappa dellaRegione Emilia Romagna e rappresenta in partico-lare il rapporto tra zone di ricarica della falda e pozzi(quadrati verdi e pentagoni rossi). Le zone di ricaricasono distinte per livello di sensibilità e quindi di pro-tezione.

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La norma distingue in diverse forme di protezione,ognuna con una finalità e estensioni diverse, che ogniRegione deve applicare in relazione alle caratteristicheterritoriali. La graduazione è in questi termini : aree disalvaguardia (distinte in zona di tutela assoluta e zonedi rispetto) e zone di protezione allʼinterno dei baciniimbriferi e delle aree di ricarica della falda. Nel casodella mappa cartografica sopra riportata anche se lezone sono denominate come “zone di protezione” nellarealtà la suddivisione riportata (zone di ricarica direttain colore verde scuro, zone di ricarica indiretta, coloregiallo, bacini imbriferi, colore verde chiaro) non vi è unacorrispondenza con i diversi livelli di protezione previstidalla norma. Una rigorosa delimitazione delle zone di salvaguardiae di protezione permetterebbe agli enti locali di avereuno strumento aggiuntivo per tutelare lʼambiente su-perficiale in funzione della tutela della qualità delle faldesotterrane nel pieno rispetto delle linee guida ISTISANcitate. Viceversa, una inadeguata attuazione delle areedi salvaguardia e di protezione determina una tuteladelle zone di captazione a servizio degli acquedotti. A titolo esemplificativo si può citare il caso di S. Euse-bio, zona industriale in corso di realizzazione, a ridossodei campi acquiferi di Castelvetro e Spilamberto (Mo-dena). Dalla relazione geologica ambientale progettuale:“...l̓ ambito è quello tipico della alta pianura modenese,terreni permeabili con presenza di ricche falde acqui-fere con caratteristiche per uso idropotabile… dalla

consultazione delle mappe della tutela e dei vincolil̓ area in esame è posta in una zona di tutela dei corsiidrici superficiali e sotterranei.... A nord del compartosono presenti alcuni pozzi acquedottistici, uno dei qualiè stato recentemente acquistato dal Comune di Ca-stelvetro per usi idropotabili. La zona presenta uncampo acquifero di rilevante entità…..dato il grado divulnerabilità medio degli acquiferi all̓ inquinamento e lapresenza di specifiche fasce di tutela dei pozzi acque-dottistici la progettazione delle urbanizzazioni com-prende ; la previsione di una rete di raccolta delleacque di prima pioggia, LʼESCLUSIONE DELLEFASCE DI RISPETTO DEL POZZO ACQUEDOTTI-STICO e la predisposizione di vasche di volano pri-vate... è possibile ricavare una soggiacenza mediacompresa tra 5 e 10 metri dal PC, la direzione di flussodella falda è da SUD a NORD”. Da questo documentoemerge chiaramente che il sito possiede una fragilitàper le sue caratteristiche idrogeologiche (è anche unaarea di ricarica della falda) acuite dalla presenza deipozzi acquedottistici di Castelvetro e di Spilamberto.Lʼarea industriale progettata è localizzata in unʼareasottoposta a vincoli legislativi stringenti e necessità ditutele altrettanto stringenti. Dalla mappa progettuale idue pozzi hanno un raggio di rispetto per legge di pro-tezione (art. 94 dlgs 152/06) di almeno 200 metri (sonole due aree circolari in parte sovrapposte tratteggiate inazzurro nella figura che segue) intorno ai due punti dicaptazione (le regioni potrebbero adottare vincoli piùestesi rispetto al minimo dei 200 metri).

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Per la precisione la norma distingue in zona di tutelaassoluta (“area immediatamente circostante le cap-tazioni o derivazioni” per 10 metri) e zone di rispetto(di 200 metri).A nostro avviso, dalla planimetria sopra riportata lazona di salvaguardia non risulta rispettata conside-rando che nella circonferenza ricade una parte dellazona industriale. La nuova rete fognaria a serviziodelle industrie passa a 15 metri dalla zona di tutelaassoluta (linea rossa nella figura) ad una profonditàdi 1,5 metri, tantʼè che la provincia ha definito prescri-zioni aggiuntive per ridurre i rischi. Un “rispetto” ai li-miti della norma, singolare per una progettazione exnovo di una fognatura: erano sicuramente disponibilialtre soluzioni ben più tutelanti (con un franco di sicu-rezza ben maggiore) rispetto a quella scelta (e ap-provata dagli enti).

Provincia erano ne ve quali le tra prescrizioni da

anche nella recupero di asfalto di fresato di l'utilizzo comprendeva lottizzazione alla Lʼautorizzazione

impropriamente il termine di “zona di protezione”(che, come detto, si riferisce a forme di tutela menorestrittive per i bacini imbriferi e le aree di ricaricadella falda) anziché il termine “area di rispetto”. Ladifferenza non è di poco conto, la zona di rispetto,per definizione, “è costituita dalla porzione di territoriocircostante la zona di tutela assoluta da sottoporre avincoli e destinazioni dʼuso tali da tutelare qualitati-vamente e quantitativamente la risorsa idrica”. Vi èun lungo elenco di attività proibite tra cui, dispersionidi fanghi e acque reflue, accumulo e spandimento diconcimi chimici, fertilizzanti e pesticidi, dispersione diacque meteoriche nel sottosuolo, aree cimiteriali;cave, pozzi diversi da quelli acquedottistici, gestionedei rifiuti e autodemolizioni, stoccaggi di sostanze chi-miche pericolosi, pascolo e stabulazione di bestiame.

In questo caso la normativa rifacendosi allʼart 94comma 4, zone di protezione, chiaramente affermache qualora vi siano presenti in zona di rispetto, fab-bricati non conformi alla normativa o che potrebberopregiudicarne la zona di tutela, devono essere allon-tanati o messi in sicurezza.Considerazioni conclusive1) non sono delimitate dalla Regione Emilia Roma-

gna le zone di protezione ove regolamentare le atti-vità, queste zone vengono sovrapposte alle aree di ri-carica riducendo le tutele previste dalla normativa;2) non sono delimitati i punti di captazione dei pozziacquedottistici nelle mappe sul sito della RegioneER, al fine di avere una piena visione dei sistemi ac-quedottistici e applicare le norme atte per allontanaredelle aziende non compatibili dalle zone di rispetto;3) la Regione ER ha deciso inspiegabilmente di nonestendere allargare la zona di RISPETTO e dimantenere il minimo consentito di “almeno 200metri”;4) questo approccio nella applicazione alla normativadel settore contrasta con le indicazioni dellʼIstituto Su-periore di Sanità che sposta lʼattenzione dal con-trollo retrospettivo sulle acque distribuite, allaprevenzione e gestione dei rischi nella filiera idropo-tabile;5) nemmeno il Decreto del ministero della Salute 14giugno 2017 n.192, che fissa le regole della gestionedel rischio finisce per non essere rispettato nel con-creto : se si realizzano nuovi comparti industriali inzona di tutela come nel caso qui trattato come non siattuano pienamente i vincoli dovuti per le zone di ri-spetto:6) la trasparenza (disponibilità di informazioni, parte-cipazione per gli utenti) che il legislatore impone (art162 dlgs 152/06) non è stata garantita in toto nel casoin esame.7) La Regione Emilia Romagna a precisa domandae a numerosi contatti telefonici , dopo sua richiesta dicomunicazione scritta, in merito ai punti di captazione, pozzi, vasche di miscelazione,(allego) da oltre duemesi non risponde adducendo la responsabilità adATERSIR da lei interpellata che non risponderebbe,in violazione dellʼart 162 del dlgs 152/06 in tema diinformazione e trasparenza.Riflessioni finaliI vincoli citati relativi alla industrializzazione e alla rea-lizzazione di infrastrutture al fine di tutelare il patrimo-nio acqua, in una Regione che ha un elevatoconsumo di suolo e acqua, insieme ad una industria-lizzazione elevatissima sembrano passare in se-condo piano al cospetto della economia. I terminiANALISI del RISCHIO, PREVENZIONE, PROTE-ZIONE, RISPETTO, nel contesto analizzato nonhanno avuto quella forza impositiva che le corrispon-denti norme esigono.Appare lontano anni luce il grande sforzo che lʼISS hacompiuto elaborando i contenuti della pubblicazioneISTISAN 14/21 al fine spostare lʼobiettivo di garantireuna buona qualità dellʼacqua con la prevenzione.Non appare sufficiente mantenere le zone di rispettoal “minimo sindacale” dei 200 metri, gli interessi eco-nomici connessi con varianti di PRG adottate perconsumare suolo agricolo e trasformarlo in industria

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realizzazione questa pavimentate, aree delle concessione dalla condizionata stata era

diverse compariva quali nelle

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e/o infrastrutture sono predominanti. Il gestore è chiamato sia a attuare i piani di rischio siaa realizzare le reti fognarie, acquedottistiche, lʼanalisidelle acque, la captazione e il trattamento delleacque : il suo ruolo è oramai di assoluta dominanzatale da porsi in contraddizione con i principi dellenuove norme in materia “spostate” verso iniziative diprevenzione ) anche lui presente nellʼISTISAN 14/21.Una politica dellʼacqua non può che essere quelladella promozione dellʼacqua emunta localmente,senza trasportarla in contenitori di plastica (e consu-mare carburanti per il trasporto con gli aggiuntivi im-patti ambientali). Questa politica non è in atto, comepurtroppo confermano gravi situazioni di contamina-zione delle falde acquifere, come il caso PFAS nelVeneto (recentemente è emerso che tale contamina-zione era a conoscenza delle istituzioni da ben 13anni). Senza una politica di prevenzione si deprime ancheil ruolo delle istituzioni e della democrazia : “Una le-zione appresa nella valutazione retrospettiva e nellagestione di crisi correlate alla qualità delle acque de-stinate al consumo umano in Italia dimostra chespesso elementi informativi importanti per la pro-tezione da fenomeni di contaminazione, soprat-tutto per parametri non oggetto di ordinario

controllo, potevano essere o erano effettiva-mente, detenuti da alcuni portatori di conoscenza(es. enti di ricerca, università, enti territoriali chiamatiad emettere pareri di emissione agli scarichi indu-striali, ecc.); tuttavia in mancanza di indirizzi e pro-cessi decisionali partecipati, tali elementi non sonostati condivisi a livello dei gestori idrici e/o delleautorità sanitarie territorialmente preposte al giudi-zio di idoneità delle acque al consumo, compromet-tendo in parte lʼefficienza nella prevenzione dispecifiche contaminazioni” (dal rapporto ISTISAN14/21).Se lʼintenzione del legislatore, come dichiara è di ar-restare lo spreco del trasporto dellʼacqua in conteni-tori di plastica, e di rendere sicura e “buona” lʼacquaal rubinetto, le normative in essere devono essere at-tuate “allargando” le zone con i diversi livelli di tuteladel bene acqua che non è presente nei casi esami-nati.Le norme ci sono, permettono interventi adeguati te-nendo conto delle differenze e delle caratteristicheterritoriali ma occorre che questo impegno legislativonon venga azzerato dallʼinerzia applicativa e arrivi adessere operativo, e questa non è questione tecnicama politica.

Roberto Monfredini - Modena

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Il pensiero alla base del movimento che ha messoin discussione le istituzioni totali, il potere clinico delcontrollo sui corpi, sulla popolazione, sulla forza la-voro ricattabile e ha creato assieme ai principi delmutualismo un modello di sistema sanitario univer-salistico e gratuito, alla luce di numerosi fatti reali equestioni politico ragionieristiche che attraversano isistemi sanitari regionali, messi in competizione dallaproposta di autonomia differenziata, appare dissol-versi e cadere in un profondo oblio. Fanno orrore, a chi ancora non soffra di disamorecronico, i casi mediatici e non di assenza di tutela eaccesso alla salute. Forza lavoro ricattata attraversola creazione dellʼillegalità, il metodo “confine” comedispositivo di esclusione e controllo, lo stillicidio dellapressione economica che grava su redditi miseri eimpoveriti, produce formali tentativi di prevenzione,spesso orientati più alla tutela delle merci e dellʼatti-vità imprenditoriale che della collettività e delle per-sone (in fondo siamo dei “consumatori”!) e unaccesso alle cure su tre livelli.Gli interventi di prevenzione sembrano tornare adessere di tipo poliziesco, nel senso che Foucault at-tribuiva ad esso, basati sul controllo del territorio esulla dimostrazione dellʼesistenza di un potere for-male, lo Stato, interessato a credere di esistere e

mediare tra interessi dei capitali e interessi collettivi,fintamente distratto, non vieta, ma contiene povertàed esclusione.In aumento gli infortuni, spesso mortali, tanti i malori,tanti i comunicati sindacali ma nessuna messa in di-scussione delle condizioni di vita e di lavoro, nes-suna domanda: bassi salari, condizioni di precarietà,instabilità, insicurezza, lavoro nero, assenza di as-sistenza sanitaria, ritmi di lavoro e condizioni am-bientali pessime ( dopo i numerosi casi di malori neiluoghi di lavoro, nessuno si è chiesto come sia lavo-rare al caldo e quali strumenti normativi e sindacalici siano per rifiutare tali condizioni!). Per non parlaredella teoria del migrante untore, anticipata da BeppeGrillo nel 2014 parlando della Tbc e della scabbia, ecome oggi fa Fedriga, Governatore della RegioneFriuli Venezia Giulia che vuole che i migranti sianovisitati al momento in cui sono rintracciati per pro-teggere i poliziotti dai contagi e dalla trasmissione dimalattie, creando un nuovo filone teorico accade-mico sulle malattie infettive e sulla salute pubblica. Aquesto si aggiungono i dispositivi normativi già esi-stenti, che stabiliscono il destinatario dei diritti, le-gando status giuridico (permesso di soggiorno) econtratto di lavoro, e le ultime novità repressive intro-dotte dal Decreto Sicurezza Bis, nipote della Minniti-

LA SALUTE CHE AFFONDA

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Orlando.Forza lavoro, persone, forgiate dal Mediterraneo,dalle rotte balcaniche, dalle violenze dellʼEst in deca-denza, dalla perdita di ricchezza, dallʼabbandonodelle periferie urbane e rurali, dalle condizioni di vitae lavoro che si vedono chiudere lʼaccesso alla sa-lute, prima e dopo. Tre categorie di cura: la prima –in un mix pubblico/privato – offerta a chi possiedeadeguate risorse economiche (si pensi a tal propo-sito allʼespandersi delle polizze integrative, anchecomprese nel recente rinnovo contrattuale dei metal-meccanici), per cui nel pubblico si trova risposta perle patologie acute e/o interventi complessi e nel pri-vato a pagamento gli accertamenti diagnostico stru-mentali, così tagliando il tema delle liste dʼattesa; laseconda, interamente pubblica, per chi, cittadino ita-

liano, non ha sufficienti risorse per accedere allaprima opzione; la terza per quanti, anche italiani chenon potendo accedere al privato, rinunciano allecure per tempi dʼattesa troppo lunghi, non hanno di-ritto al servizio sanitario. Mentre avviene questo processo, questo imporsi diuna visione dominante basata sul ricatto e la conse-guente fragilità escludente, i presidi sanitari e i mo-delli di intervento fanno acqua da tutte le parti e lapolitica e la dirigenza sanitaria affermano che è an-cora il tempo dei corporativismi. Benefit, aumenti,posizioni, premi, tabelle e standard bacchettoni, cosìche i bisogni reali affondino nellʼindifferenza insiemealla prossima imbarcazione nel Mediterraneo.

Renato Turturro - Forlì

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In Germania la commissione di esperti che prende ilnome di Sachverstaendigenrate ha relazionato algoverno di Angela Merkel la situazione generale delPaese rispetto al tema del lavoro e delle sue sfaccet-tature. Ciò che di impattante è emerso, è che la gior-nata di 8 ore per questi esperti è obsoleta. “Leaziende hanno bisogno della certezza di non infran-gere la legge se un dipendente partecipa di sera auna conferenza telefonica e se a colazione legge lemail”, ha spiegato Christoph Schmidt, presidentedella commissione, “ormai lʼidea che la giornata la-vorativa inizi la mattina in ufficio e si concluda conlʼabbandono pomeridiano dellʼazienda è obsoleta enon flessibile”, ha specificato poi. “Le tutele dei la-voratori sono state efficaci in Germania, ma alcunedi esse non si adattano più al mondo del lavoro digi-talizzato”[1]. Eʼ proprio questo il punto. Siamo sicuri

che lʼintroduzione continua di nuove tecnologie (di-gitali e non), mascherate come miglioramento delcomfort e dellʼergonomia, siano strumenti neutri?Siamo convinti che la cosiddetta rivoluzione tecnolo-gica porti benefici a chi produce la ricchezza realein ogni Paese, ossia, i lavoratori?Forse, in “Quaderni Piacentini” e in altri scritti di so-ciologia del lavoro e del movimento operaio[2], nonsi era già analizzato ed evidenziato che dietro lʼin-troduzione di metodologie e tecnologie innovative diproduzione si nascondesse un aumento delle pro-duttività e del controllo?Se da un lato, la necessità fisiologica di espulsionedi esuberi, (ad ogni “ristrutturazione” e/o introduzionedi nuove metodologie e tecnologie applicate, vienerichiesta la presenza solo di operai e tecnici specia-lizzati), genera flotte di disoccupati e sposta il con-trollo reale del prodotto sui quadri e supervisori (centri di controllo e gestione), dallʼaltro, aumenta ilcontrollo dei metodi di sciopero e di lotta per impe-dire i licenziamenti e migliorare le condizioni di la-voro. Non è forse così, rendendo tutto più “smart”,abolendo i limiti di orario di lavoro giornaliero, spal-mandoli sullʼorario settimanale, cancellando il limitetra tempo di lavoro e tempo di vita che si sovracca-ricano i lavoratori che permangono dentro al mer-cato del lavoro, generando oltre che lavoratorialienati, persone alienate dalla loro stessa vita, alienidi e da se stessi? Che ripercussioni ha tutto questoin termini di salute e sicurezza sul lavoro e di salutepubblica e quali effetti in termini sociali?Qualche anno fa, da unʼinchiesta fatta dal quoti-diano La Repubblica, emergeva come il fenomeno

Quale lavoro nellʼepoca dellʼindu-stria 4.0

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dellʼutilizzo di cocaina in ambito lavorativo, fossecaratterizzato da unʼespansione di natura trasver-sale tra categorie estremamente eterogenee e conlo specifico fine di aumentare la prestazione, cioèdi consentire ai lavoratori che ne fanno uso di ge-stire stress e senso di inadeguatezza. Questi duefattori psico-sociali dovrebbero far riflettere, soprat-tutto chi si occupa nei vari ambiti e nei vari livelli disalute e sicurezza nei luoghi di lavoro, su dove stiaandando la cultura del lavoro, la valorizzazione dellavoro e della vita sociale e personale, il senso dellavoro stesso[3].Stress e senso di inadeguatezza: il primo fattore è in-fluenzato dallʼambiente di lavoro, intenso come rispo-sta che lʼindividuo elabora verso quellʼambiente e inquellʼambiente, ed è condizionato dallʼorganizzazionedel lavoro, dalle relazioni tra colleghi e con i superiori(fondamentale se lʼorganizzazione, come la maggiorparte di quelle esistenti al mondo dove il profitto è pri-vato, ha unʼimpostazione verticistica e gerarchica),dai ritmi di produzione; il secondo, è un aspetto ricol-legabile al mondo del lavoro che cambia, si evolve, sidigitalizza sempre più, vista da una prospettiva ottimi-stica degli “esperti economisti”, è lʼutilizzo della for-mazione continua professionale sia in età adulta chein età scolare, (vedi ad esempio lʼAlternanza ScuolaLavoro). Non è forse da anni in corso, dalle scuoleallʼuniversità, un processo educativo di fidelizza-zione? Richiamando e scomodando Renato Curcio,nel suo libro “Il consumatore lavorato” (dove vengonoanalizzate le tecniche di fidelizzazione dei lavoratorinei supermercati della Grande Distribuzione Orga-nizzata, applicate a specifiche tipologie organizzativedel lavoro) si smaterializza la linea di demarcazione,come per la proposta di abolizione delle otto ore di la-voro giornaliere in Germania, tra lavoratore e consu-matore, tra lavoro e vita. E ora le si applica anchecome pedagogia nel sistema scolastico e universita-

rio. La scuola e lʼuniversità si aprono al mercato dellavoro.Qualche “eticista” del lavoro dirà che il lavoro stessoè vita. Il lavoro è, e resta, un mezzo per produrre ric-chezza, un mezzo per soddisfare i bisogni, ma la do-manda è: questa ricchezza prodotto verrà poire-distribuita e a quale costo in termini di salute e fe-licità? Tutto questo, con il rischio di lasciare indietrochi non si adegua o non si può adeguare: aumentoetà lavorativa, maggiore presenza di lavoratori an-ziani, conseguente aumento di patologie collegate allavoro e infortuni ( disadattamento e disabilità da la-voro), nessuna diversificazione tra lavori usuranti enon. Questi i rischi.Cosa significa quindi non tracciare una linea di sepa-razione tra tempo di vita e tempo di lavoro, in una so-cietà delle “24 ore” completamente totalizzante intermini di produzione di profitto ? Basti pensare cheanche mentre utilizziamo un social network stiamoproducendo ricchezza in termini di informazioni per igestori della rete, colossi del tipo Google.[4] Significaforse inglobare il lavoro e i suoi derivati, anche negliambiti relazionali personali ed essere sempre a di-sposizione delle proprie aziende, controllati in ognimomento ?Recentemente, il D.Lgs. n. 151/2015 (Jobs Act) haapportato alcune interessanti modifiche al testodellʼart. 4, legge n. 300/1970, riguardo al controllodei dipendenti. Il principale scopo del legislatore èstato probabilmente quello di prendere atto che letecnologie telematiche hanno reso decisamenteproblematica lʼapplicazione di norme emanatequasi mezzo secolo fa, quando telefoni cellulari esmartphone, personal computer e tablet, internet,posta elettronica erano per lo più ancora in fase diideazione[5]. In effetti, tali nuove tecnologie hannosuperato la distinzione concettuale, contenutanellʼart. 4 Statuto dei lavoratori, tra strumento de-putato al controllo e strumento di lavoro: gli stru-menti sopra citati infatti, costituiscono nellʼattualesistema di organizzazione del lavoro “normali” stru-menti per rendere la prestazione lavorativa, maconsentono al contempo un controllo continuo ecapillare sullʼattività del lavoratore, come del restoha affermato la Corte europea dei diritti umani consentenza n. 61496/08 del 12 gennaio 2016: perso-nal computer fissi e portatili, tablets, registratori dicassa elettronici, telefoni cellulari semplici, telefonicellulari smartphone, radio ricetrasmittenti, abbi-gliamento tecnologico (indumenti di lavoro corre-dati da sistemi di comunicazione radiotelefonici eGPS)[6]. Eʼ proprio su questʼultima tipologia tecno-logica, considerabile strumento di lavoro atto a ga-rantire unʼottimizzazione della prestazione

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lavorativa, anche in termini di sicurezza per il lavo-ratore, che già qualche azienda ha visto la sua ap-plicazione per i motivi appena citati, in particolarmodo nel settore logistico, caratterizzato da hubcon magazzini giganteschi e attivi ad ogni ora egiorno, spesso automatizzati o semi-automatizzati.Un esempio, quello dellʼazienda Tesco che haadottato un braccialetto (smart watch) per control-lare il lavoro e impartire ordini ai propri dipendenti,tramite questa “wearable tecnology”[7].

In questo “evolversi” del lavoro sussunto al profitto,nel conflitto di classe, la risposta alla prima do-manda, è che lʼapplicazione delle tecnologie digi-tali e non, non sono un mezzo neutro, così comeora, e investono tutti i settori lavorativi: dalle fabbri-che robotizzate della FCA Group che adottano me-todologie di lavoro non riconosciute da nessunente che si occupi di ergonomia[8], ai magazzinidella logistica, alle consegne dei rider nelle città(vedi proteste lavoratori Foodora), alle campagnee alle fabbriche abusive del tessile dove perman-gono condizioni di schiavitù, ai lavori di concetto edel terzo settore. Questo lo dimostra il fatto che lamaggior parte delle aziende non investe le stesserisorse economiche e di sapere per garantire con-dizioni di salute e sicurezza dignitose, come av-viene per lʼinnovazione e la ricerca, ai finidellʼintroduzione di tecnologie avanzate se non neitermini dellʼaumento della produttività. Storica-mente infatti, ad ogni cambio epocale nelle moda-lità di produzione, aumentano i livelli didisoccupazione ed inoccupazione forzata. A questo si aggiunge che nelle dinamiche di cen-tralizzazione e di concentrazione dei capitali, legrandi aziende scelgono di esternalizzare anche icosti relativi ai due aspetti, parcellizzando il lavoroe scaricando tutto sulle aziende appaltatrici e que-ste a loro volta, alle sub-appaltatrici. Tale effetto a

cascata, è consentito anche dagli impianti norma-tivi presenti in molti Paesi del mondo.Questa non vuol essere unʼapologia misoneista,ma un invito ad interrogarci e dare delle rispostereali su dove voglia indirizzare il mondo del lavorochi ci governa, nel solo nome del profitto, con tuttisuoi aspetti collegabili alla salute, alla società, al-lʼumano, alla vita stessa.Fino a quando il lavoronon sarà proprietà dei lavoratori e mezzo di pro-duzione per la ricchezza condivisa, e forse mai losarà, fino a che esisteranno disoccupati, morti e in-validi da lavoro (nellʼUnione europea 7,1 milioni iltotale, 3,4 per decessi e 3,7 per disabilità, anni divita persi per disabilità o morte derivanti da unamalattia), precari, discriminazioni di etnia e genere,ricatto, schiavitù, non si potrà dormire tranquilli. Amaggior ragione chi, per sensibilità, ha scelto dioccuparsi di questo come professione o comesenso della propria condizione materiale ed esi-stenziale.Lo slogan degli anni ʼ70 “Lavorare meno, lavoraretutti”, diventa sempre più una necessità, perchépresto il lavoro come lo conosciamo, forse scom-parirà, e sarà preoccupante se non saremo noi acontrollare questo passaggio storico, perché an-cora una volta, ne subiremo le contraddizioni.

Renato Turturro – Forlì

Note:[1] Link: http://www.huffingtonpost.it/2017/11/20/in-germania-si-va-verso-laddio-alle-8-ore-di-lavoro-al-giorno-norma-obsoleta-in-un-mondo-digitale_a_23282621/[2] Cfr. A cura di M.Ancona, F. Steri, Proletari indu-striale e Organizzazione del lavoro – Antologia –Ed. Savelli 1975[3] Link:http://www.infodata.ilsole24ore.com/2015/04/02/aumenta-luso-di-farmaci-in-italia-il-consumo-di-antidepressivi-regione-per-regione/[4] Cfr. C.Formenti, Felici e sfruttati, Egea, 2011.[5] Cfr. V. Meleca, Il Grande Fratello in azienda, inDir. prat. lav., 1993, 2927 e Il Grande Fratello inazienda – tra privacy e controlli a distanza, Isper,2002.[6]Link: http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2016/08/JOBS-ACT-E-NUOVI-CONTROLLI-A-DISTANZA.pdf[7] Cfr. “Tecnologie indossabili, il braccialetto permonitorare i dipendenti”, M. Serafini, Corriere dellaSera, 14/10/2009[8] Sullʼargomento: Ergo-UAS. La metrica del la-voro che fa male – P.R.C. ABRUZZO -2013.

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La meditazione dif-fusa, un libro di GianLuca Garetti con illu-strazioni di Maria Ma-selliMeditare, può apparire pratica melensa di spiritua-listi o di sedicenti guru, di fronte al pianeta infiamme, alle disuguaglianze, allʼinquinamento am-bientale, alla disumanizzazione.

La meditazione di cui si parla in questo libro non èun invito ad un rinchiudersi solitario in se stessi,ma una pratica diffusa, condivisa, di comunità,oltre che personale, calata nel sociale, nella sfidadegli ultimi. Per mettersi in contatto profondo conla nostra umanità, ʻla via primaria per esprimerelʼinedito che è in noiʼ e collegare il nostro mondointeriore con il mondo esterno. Per restare umani. Nel libro il piano psico-sociale e spirituale continua-mente si incrociano, in una sorta di ecosofia, unʼar-

ticolazione etico-politica, che comprende i registridellʼambiente, dei rapporti sociali e della soggetti-vità umana, per reincantare il mondo.In fondo il nostro unico dovere morale è quello didissodare in noi stessi vaste aree di tranquillità, disempre maggior tranquillità, fintanto che si è ingrado di irraggiarla anche sugli altri. E più pace cʼènelle persone, più pace ci sarà in questo mondo agitato, scrive Etty Hillesum, la guida spirituale diquesto libro, cui è dedicato lʼultimo capitolo.Gian Luca Garetti, medico e psicoterapeuta, daanni promuove percorsi di meditazione. Si occupaattivamente di ambiente è vicepresidente nazio-nale di Medicina Democratica, membro di ISDE(medici per lʼambiente) e uno dei redattori della ri-vista on line ʻLa città invisibileʼ.

Con edizioni Piagge, casa editrice indipendente e,al tempo stesso, schierata e militante, ha pubbli-cato anche Vivere felici con rifiuti zero. Un per-corso psicologico per tutti.In questo libro si parla di una pratica di medita-zione di gruppo, in cui continuamente si incro-ciano il piano psico-sociale e spirituale.continuamente si incrociano, e si articolano in unasorta di ecosofia, unʼarticolazione etico-politica,che comprende i registri dellʼambiente, dei rapportisociali e della soggettività umana, per reincantareil mondo.

In questo libro il piano psicologico continuamentesi incrocia con quello politico e spirituale, per di-ventare umani. La meditazione come un buon ciboper tutti, non un invito ad un rinchiudersi solitario inse stessi, ma una meditazione diffusa, condivisa,di comunità, oltre che personale, calata nel sociale,nella sfida degli ultimi. Per collegare il nostromondo interiore con il mondo esterno, e mettersi incontatto profondo con la nostra umanità. Per re-stare umani

Per ordinare il libro, il cui costo è 10 euro, an-dare al sito https://www.edizionipiagge.it/ ecliccare su contatti-ordini

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Per la prima volta uno studio internazionale (Asat-suma-Okumura, T., Ando, H., De Simone, M., Yama-moto, J., Sato, T., Shimizu, N., Asakawa, K.,Yamaguchi, Y., Ito, T., Guerrini, L., Handa, H., 2019,p63 is a cereblon substrate involved in thalidomide te-ratogenicity, Nature Chemical Biology.https://doi.org/10.1038/s41589-019-0366-7) coordi-nato dalla dott.ssa Luisa Guerrini del Dipartimento diBioscienze dellʼUniversità di Milano e consiglierascientifica del comitato V.I.Ta. (Vittime Italiane del Ta-lidomide), ha evidenziato il meccanismo di azione te-ratogena del Talidomìde, il famigerato farmaco

sintetizzato in Germania nel 1953 dallʼazienda Grü-nenthal che ne registrò il brevetto nel 1954 e lo diffuseimmediatamente con una pubblicità capillare (ospe-dali, studi medici, dentisti, ecc.) senza eguali: secondocaute stime questo farmaco provocò 10.000/20.000vittime tra aborti e decessi post-partum, oltre alle mi-gliaia di sopravvissuti con malformazioni degli arti su-periori e inferiori, non tutti riconosciuti e indennizzaticome sarebbe dovuto accadere. In Italia, per esem-pio, nonostante la legge 244 del dicembre 2007 – cheha cercato di porre un tardivo rimedio per i danneg-giati dai farmaci contenenti il principio attivo Talido-mìde – e la legge 160 dellʼagosto 2016 – che haesteso il diritto di indennizzo anche ai nati prima del1959 e dopo il 1965 – ad alcune decine di cittadine ecittadini nati in quel periodo con malformazioni conge-nite degli arti, non sono ancora stati riconosciuti e ri-sarciti i danni perché non rientranti in toto entro i criterigenerali stabiliti per il riconoscimento della malforma-zione e per la dimostrazione dellʼuso e della diffusionedel farmaco nel periodo di nascita, etc … Per queste ragioni, riprendiamo una lettera aperta sultema del risarcimento dei danni alla salute causati dal-lʼuso di sangue infetto (AIDS, Epatite) durante trasfu-sioni o dalla somministrazione del Talidomìde,indirizzata nel febbraio 2019 al Ministro della Salute –al momento era Giulia Grillo, oggi Roberto Speranza– apparsa originariamente sulla rivista EX, diffusa intutta Italia tra emofilici e talassemici, firmata dallʼAvvo-cato Marco Calandrino, nella quale vengono poste al-cune problematiche riguardanti numerosi casi dimancato risarcimento di emofilici, talassemici, emo-trasfusi e talidomidici, sulle quali si chiede al Ministrodi fare chiarezza. Esprimendo il nostro sostegno a questa lettera, ne ri-prendiamo il testo che si può leggere per intero suquesto link https://ateonlus.org/wp-content/uplo-ads/2019/03/EX-febbraio-2019.pdf

Dieci Domande Al Ministro Della Salute Giulia Grillo,Editoriale, EX, Febbraio 2019, p. 2

Si propone attraverso questa lettera aperta un dialogodiretto con il ministero, che non esiste ma che sa-rebbe bene istituire per non rischiare di compiere er-

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E in Italia? Dieci domande al Mini-stro della Salute sulle Vittime delsangue infetto e del Talidomide

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rori che si rivelerebbero gravissimi.

Egregio Ministro, in riferimento a:

1) Iter transattivo di cui alle leggi 222 e 244 del dicem-bre 2007 per i danneggiati (che contrassero aids e/oepatite) da emoderivati e trasfusioni infetteUn alto dirigente del Suo Dicastero allʼepoca la definì“la più grande transazione della storia della Repub-blica Italiana”. In realtà poi fu lo stesso Ministero dellaSalute a introdurre requisiti e condizioni (non previstinelle leggi istitutive) che resero impossibile lʼaccessoalla transazione alla stragrande maggioranza dei ri-chiedenti, come testimoniato dalle migliaia di provve-dimenti di rigetto e/o di preavviso di rigetto. Ad oltre11 anni da quella che fu definita “la più grande transa-zione della storia della Repubblica Italiana” Le chiedo:ad oggi quanti danneggiati hanno sottoscritto col SuoMinistero una transazione di cui a questo iter? Equanti, fra loro, sono stati pagati?

2) Equa riparazione di cui alla legge 114 dell̓ 11 agosto2014 per i danneggiati (che contrassero aids e/o epa-tite) da emoderivati e trasfusioni infette.Come Lei sa, su richiesta e sollecitazione della CorteEuropea dei Diritti dell̓ Uomo di Strasburgo, il Governoe il Parlamento Italiani emanarono in tutta fretta nel-lʼestate del 2014 un decreto legge, poi convertito inlegge, che riconosceva unʼ“equa riparazione” (terminemutuato dalla terminologia europea) ai danneggiati(che contrassero aids e/o epatite) da emoderivati etrasfusioni infette e che avevano fatto domanda di ac-cesso allʼiter transattivo di cui sopra. Una “transazionedella transazione” come fu definita. Importo ugualeper tutti, 100 mila euro: decisione iniqua, perchè met-

teva sullo stesso piano posizioni molto diverse tra loroe cioè danneggiati con la doppia patologia (aids edepatite), danneggiati gravi e meno gravi, eredi di dan-neggiati deceduti. Ma almeno non poneva quelle con-dizioni restrittive che erano state apposte allʼitertransattivo. Migliaia di danneggiati hanno aderito. IlMinistero avrebbe dovuto completare lʼiter entro il 31dicembre 2017: in prossimità di tale scadenza il SuoDicastero chiese un nuovo termine, 31 dicembre2018, assicurando che ciò sarebbe stato sicuramentesufficiente per completare lʼiter. In realtà al 31.12.2018l̓ iter in questione non si è concluso e diverse centinaiadi persone non sono ancora state pagate. Chiedo:quanti danneggiati devono ancora essere pagati? Edentro quale data il Suo Dicastero si impegna a pa-garli?

3) Estensione dellʼequa riparazione di cui alla legge114 dellʼ11 agosto 2014 per i danneggiati (che con-trassero aids e/o epatite) da emoderivati e trasfusioniinfette.Nel Suo atto di indirizzo per lʼanno 2019 del27.09.2018 Lei scrive: “Eʼ, altresì, auspicabile lʼesten-sione della procedura dellʼequa riparazione ... si po-trebbe ipotizzare una estensione di una analogasoluzione anche per i contenziosi instaurati dopo il1/1/2008”. Era questa una proposta delle associazionie di molti avvocati, che potrebbe rappresentare quellasoluzione minimale alla richiesta di giustizia di tantidanneggiati di oggi esclusi da ogni risarcimento. Sipotrebbe iniziare, come primo passo, estendendolʼequa riparazione a coloro che fecero nei termini (19gennaio 2010) domanda di adesione alla proceduratransattiva (leggi 222 e 244 del 2007), avendo peròiniziato una causa dopo il 1° gennaio 2008, cioè neglianni 2008 e 2009: sarebbe particolarmente sempliceperché il Ministero ne conosce il numero (300 posi-zioni circa), lʼidentità ed è già in possesso di tutta ladocumentazione. Chiedo: come intende procedere(tempi, destinatari, importi) sulla via di tale auspicataestensione?

4) Indennizzo legge 210 del 1992 per i danneggiati(che contrassero aids e/o epatite) da emoderivati etrasfusioni infette.Migliaia di beneficiari di tale indennizzo non hannopercepito gli “arretrati” della rivalutazione perché sonomigliaia le sentenze, passate in giudicato e quindi de-finitive, che il Suo Dicastero ad oggi non ha ottempe-rato. Cʼè chi dice siano 5 o 6 mila, recentemente èstato indicato il numero di 4 mila. La situazione èmolto grave, perché ci sono beneficiari anziani, malati,e non è raro che qualcuno muoia senza aver ricevutoquanto di sua spettanza: ed è grave perché sono sen-

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tenze di diversi anni fa, del 2013, del 2014 e succes-sivi.Chiedo: quante sentenze definitive il Suo Ministerodeve ancora ottemperare?I Suoi Uffici hanno predisposto un piano al riguardo?Con quali tempi? Sono state fornite loro le risorse ne-cessarie, umane e finanziarie?

5) Indennizzo legge 210 del 1992 per i danneggiati(che contrassero aids e/o epatite) da emoderivati etrasfusioni infetteNel Suo atto dʼindirizzo per lʼanno 2019 del27.09.2018 Lei scrive: “In ordine alla gestione degliindennizzi e risarcimento danni da emotrasfusioni disangue infetto e vaccini obbligatori si lavorerà a unarevisione della legge 210/1992 e della legge 229/2005relativa agli indennizzi...”. Esprimiamo forte preoccu-pazione per lʼintenzione di addivenire a una revisionedella legge 210/92: ciò non è possibile da un punto divista giuridico, in quanto tale indennizzo è stato rico-nosciuto con durata a vita, talvolta anche da sentenzepassate in giudicato. Trattasi di persone che, anchese con le cure più moderne hanno ricavato dei bene-fici in termini di salute, hanno comunque subito gravidanni non solo fisici, ma anche psicologici: hanno giàavuto la vita “rovinata”. Lʼaver contratto l̓ epatite, infatti,ha già “ipotecato” tutta la vita di queste persone.In incontri parlamentari e contatti informali abbiamoavuto rassicurazioni circa il fatto che non si procederàa una revisione della legge, e che tale atto sarebbe dainterpretarsi come un “riepilogo” delle richieste delleDirezioni Generali del Ministero, ma a questo punto èimportante che Lei chiarisca il Suo pensiero.Chiedo: quali sono le Sue reali intenzioni al riguardo?Quali impegni intende prendere verso la comunità deidanneggiati da sangue infetto?

6) Indennizzo legge 244 del dicembre 2007 per i dan-neggiati dai farmaci contenenti il principio attivo Tali-domìde, commercializzato negli anni ̒ 50 e ̒60, che haprovocato la nascita, nel mondo, di migliaia di personecon forti “mutilazioni”, spesso senza gambe e/o brac-cia.Decine di sentenze di tanti tribunali dʼItalia, di tutte leCorti dʼAppello che si sono pronunciate e, da ultimo anovembre 2018, della Suprema Corte di Cassazione,hanno stabilito che il Suo Dicastero corrispondeva ecorrisponde un indennizzo calcolato erroneamente. Auna sessantina di beneficiari, peraltro solo dopo lʼin-tervento dei Tribunali Amministrativi Regionali in sededi ottemperanza, il Suo Ministero ha corrisposto gli“arretrati” (peraltro in molti casi solo per un periodo li-mitato), ma a nessuno ha adeguato lʼassegno men-sile secondo il corretto metodo di calcolo, neppure in

presenza di sentenze definitive e di “ordini” dei TAR.Chiedo: almeno a chi ha ottenuto una sentenza defi-nitiva il Suo Dicastero entro quale data si impegna apagare gli “arretrati” (tutti) e ad adeguare lʼassegno?

7) Indennizzo legge 244 del dicembre 2007 e legge160 del 7 agosto 2016 per i danneggiati dai farmacicontenenti il principio attivo TalidomideCon la citata legge 160 la possibilità di ricevere tale in-dennizzo è stata estesa anche ai nati prima del 1959e dopo il 1965. Ai pochi danneggiati da Talidomìdenati nel 1957 (ci risulta non siano oltre 20) il Suo Mi-nistero respinge le domande, in quanto le giudicainammissibili, citando la data di commercializzazionedi un farmaco a base di Talidomìde avvenuta nel1958. Ma i farmaci a base di Talidomìde erano molti,e il Talidomìde fu brevettato nel 1954 in Germania. Edinoltre lʼindennizzo in questione prescinde da profili diresponsabilità dello Stato Italiano e quindi non sa-rebbe comunque fondata la motivazione che finchénon è stato autorizzato in Italia lʼindennizzo non è do-vuto.Tali rigetti sono quindi in contrasto con la citata leggee negano agli interessati il diritto a “essere sottopostial giudizio sanitario”.Chiedo: che cosa intende fare per porre termine a talesituazione?

8) Indennizzo legge 244 del dicembre 2007 per i dan-neggiati dai farmaci contenenti il principio attivo Tali-domìdeIl Suo Ministero ha assunto una linea estremamentepenalizzante nei confronti dei danneggiati “monolate-rali”, sullʼassunto che le loro malformazioni non sa-rebbero state causate dal Talidomìde. Talepresupposto nel mondo scientifico è discusso e sonodiversi e autorevoli i pareri contrari. Siamo poi arrivatia una situazione assurda: in presenza di responsi po-sitivi (circa il nesso causale) da parte delle Commis-sioni Mediche Ospedaliere incaricate, il Suo Ministerone sollecita il riesame non una, ma anche due volte.Da notare che tale “linea” del Suo Dicastero è re-cente: sono infatti molti i danneggiati “monolaterali” acui fu riconosciuto lʼindennizzo dal Ministero della Sa-lute negli anni scorsi. E pertanto chiedo: di fronte auna problematica scientificamente controversa per-chè il Suo Dicastero ha scelto un atteggiamento re-strittivo? Trattandosi peraltro di poche decine dipersone e con gravi malformazioni? Non dovrebbecomunque prevalere lʼaspetto solidaristico e assisten-ziale tipico di un indennizzo come quello de quo?

9) Risarcimenti per i danneggiati da Talidomide. Perchè il Suo Dicastero non si fa parte attiva nei con-

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fronti delle Aziende farmaceutiche che distribuirono ilTalidomìde in Italia e nei confronti dellʼazienda tede-sca che lo produsse per chiedere un risarcimento perle vittime italiane del Talidomìde? Specie ora che, datalʼetà, hanno bisogno di più assistenza e aiuti (costoseprotesi, etc.). Trattasi di qualche centinaio di persone:numeri “gestibili”. Il Parlamento Europeo ha già ema-nato una risoluzione in tal senso. Il Ministero della Sa-lute ha fatto la sua parte (mi riferisco allʼindennizzo dicui ai punti precedenti), ma non basta. Piuttosto chechiamare il suo Dicastero a risponderne anche sottoun profilo risarcitorio (per i mancati controlli del-lʼepoca), non sarebbe più giusto chiedere alle aziendefarmaceutiche di fare la loro parte?

10) Trasparenza e informazione.Unʼultima domanda: non sarebbe auspicabile unamaggior trasparenza da parte del Suo Dicastero sui

procedimenti che riguardano le questioni di cui sopra?Con aggiornamenti periodici sul sito istituzionale delMinistero? Con numeri, tempistiche e lo stato dei variprocedimenti?

Avv. Marco Calandrino del Foro di Bologna

N.d.R. Nonostante la pericolosità, già accertata nel1961, il Talidomìde è stato nuovamente messo incommercio dagli anni ʼ90 dello scorso secolo comeantitumorale e come farmaco contro la lebbra, propo-nendo stretti sistemi di controllo del suo impiego perevitarne l̓ uso in caso di gravidanza. I controlli, tuttavia,si stanno rivelando inefficaci poiché in Brasile negli ul-timi decenni si sono avuti numerosi nuovi casi di bam-bini talidomidici.

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