Pensare Il Futuro - di Roberto Chinello

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Pensare il futuro: come potenziare le capacità strategiche dell’azienda di Roberto Chinello, ottobre 2009 Per molti anni mi è capitato di lavorare con aziende sulle loro strategie, su come attuarle e, frequentemente, su come uscire da empasse legate alle difficoltà di implementazione, alle “resistenze al cambiamento”, alla bassa condivisione da parte dell’organizzazione. Ho ascoltato molte riunioni cominciare con visioni analitiche, interpretazioni brillanti dell’evoluzione del mercato, idee creative, slanci inspirativi da parte della leadership. Spesso, verso la conclusione dell’esposizione, si faceva largo una voce che iniziava con “Sì, però…”. Era il segnale del “rompete le righe”: si potevano finalmente manifestare osservazioni, obiezioni, preoccupazioni… Le mappe mentali riguardanti il futuro di ciascuno dei partecipanti potevano finalmente collidere, alla ricerca di punti fermi, condivisioni, conflitti e “necessarie chiarezze”… A questa fase spesso subentrava un senso di frustrazione da parte del leader: troppa diversità, troppe “visioni del mondo”…e perché poi?! Le organizzazioni pensano continuamente al futuro. Esse impegnano una notevole quantità di risorse ad immaginarsi come evolveranno il mercato e i concorrenti, come si chiuderà il budget, se i consuntivi saranno in linea con le attese. E se l’euro salirà, se i tassi di interesse scenderanno ancora, se cadrà il governo o se i consumi saliranno…. L’enorme mole di pubblicazioni sul tema della strategia, intesa come “processo cognitivo e organizzativo del pensare il futuro e attrezzarsi per esso” testimonia un incessante interesse per questo tema. Un’elevata capacità di prevedere il futuro significa potersi posizionare per trarne il massimo vantaggio. Anticipare i concorrenti. Costruire posizioni di mercato dominanti. Creare le condizioni di un’alta redditività. La strategia è anche uno dei principali compiti della leadership aziendale. Le informazioni vengono elaborate e sintetizzate, una visione costruita, una strategia definita, una pianificazione declinata. “Pensare il futuro” costituisce un’attività cardine nella lotta all’interno dell’intensa competizione globale. Nei mercati finanziari è la capacità di produrre cash flow nel futuro che determina il valore dell’azienda. Il modo in cui una pluralità di analisti immagina i flussi di cassa futuri determina, oggi, il valore di una società. Il futuro incorpora quindi il valore. Il futuro è di per sé un business. Eserciti di esperti, società di analisi e consulenza, guru, istituti di ricerca, sondaggisti. Società editrici. Le scommesse, l’enalotto. Le previsioni del tempo. I pronostici sportivi. Il futuro è là, soggettivo e sfuggente. Deterministico solo dopo che è successo. Circondato da previsioni inesatte, approssimazioni più o meno riuscite. Il futuro “accaduto” è uno, le previsioni infinite. La maggior parte delle quali sbagliate. Cos’è questa irriducibile imprecisione? Perché questa soggettività? Esiste il metodo migliore per prevedere il futuro? Come ridurre il tasso di errore nelle previsioni? Scherzando, ma non troppo, John Kenneth Galbraith sosteneva che “l’unica funzione delle previsioni economiche è di rendere rispettabile l’astrologia”. Questo brevi osservazioni potrebbero bastare per constatare l’ineludibile natura soggettiva del “pensare il futuro”. Per contrastare questa idea, il marketing del business del futuro insiste ed

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Pensare il futuro: come potenziare le capacità strategiche dell’azienda

di Roberto Chinello, ottobre 2009 Per molti anni mi è capitato di lavorare con aziende sulle loro strategie, su come attuarle e, frequentemente, su come uscire da empasse legate alle difficoltà di implementazione, alle “resistenze al cambiamento”, alla bassa condivisione da parte dell’organizzazione. Ho ascoltato molte riunioni cominciare con visioni analitiche, interpretazioni brillanti dell’evoluzione del mercato, idee creative, slanci inspirativi da parte della leadership. Spesso, verso la conclusione dell’esposizione, si faceva largo una voce che iniziava con “Sì, però…”. Era il segnale del “rompete le righe”: si potevano finalmente manifestare osservazioni, obiezioni, preoccupazioni… Le mappe mentali riguardanti il futuro di ciascuno dei partecipanti potevano finalmente collidere, alla ricerca di punti fermi, condivisioni, conflitti e “necessarie chiarezze”… A questa fase spesso subentrava un senso di frustrazione da parte del leader: troppa diversità, troppe “visioni del mondo”…e perché poi?! Le organizzazioni pensano continuamente al futuro. Esse impegnano una notevole quantità di risorse ad immaginarsi come evolveranno il mercato e i concorrenti, come si chiuderà il budget, se i consuntivi saranno in linea con le attese. E se l’euro salirà, se i tassi di interesse scenderanno ancora, se cadrà il governo o se i consumi saliranno…. L’enorme mole di pubblicazioni sul tema della strategia, intesa come “processo cognitivo e organizzativo del pensare il futuro e attrezzarsi per esso” testimonia un incessante interesse per questo tema. Un’elevata capacità di prevedere il futuro significa potersi posizionare per trarne il massimo vantaggio. Anticipare i concorrenti. Costruire posizioni di mercato dominanti. Creare le condizioni di un’alta redditività. La strategia è anche uno dei principali compiti della leadership aziendale. Le informazioni vengono elaborate e sintetizzate, una visione costruita, una strategia definita, una pianificazione declinata. “Pensare il futuro” costituisce un’attività cardine nella lotta all’interno dell’intensa competizione globale. Nei mercati finanziari è la capacità di produrre cash flow nel futuro che determina il valore dell’azienda. Il modo in cui una pluralità di analisti immagina i flussi di cassa futuri determina, oggi, il valore di una società. Il futuro incorpora quindi il valore. Il futuro è di per sé un business. Eserciti di esperti, società di analisi e consulenza, guru, istituti di ricerca, sondaggisti. Società editrici. Le scommesse, l’enalotto. Le previsioni del tempo. I pronostici sportivi. Il futuro è là, soggettivo e sfuggente. Deterministico solo dopo che è successo. Circondato da previsioni inesatte, approssimazioni più o meno riuscite. Il futuro “accaduto” è uno, le previsioni infinite. La maggior parte delle quali sbagliate. Cos’è questa irriducibile imprecisione? Perché questa soggettività? Esiste il metodo migliore per prevedere il futuro? Come ridurre il tasso di errore nelle previsioni? Scherzando, ma non troppo, John Kenneth Galbraith sosteneva che “l’unica funzione delle previsioni economiche è di rendere rispettabile l’astrologia”. Questo brevi osservazioni potrebbero bastare per constatare l’ineludibile natura soggettiva del “pensare il futuro”. Per contrastare questa idea, il marketing del business del futuro insiste ed

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enfatizza la natura oggettiva dei propri manufatti, la precisione degli algoritmi e la flessibilità grafica dei report e delle analisi “what if…”. Queste comunicazioni pubblicitarie sembrano implicitamente rimuovere l’idea, evidentemente deleteria per il business, dell’imprecisione/incertezza come risorsa cognitiva. A questo desiderio di impossibile precisione sempre J. K. Galbraith risponde che “il vedere le cose convenzionalmente ci protegge dal gravoso compito di pensare”. Da oltre duecento anni, nei tempi in cui Immanuel Kant pubblicava il più celebre dei suoi scritti, la “Critica della Ragion Pura”, si è fatta largo la constatazione che la mente umana è un partecipante attivo nella creazione dell’esperienza cognitiva, e non un semplice contenitore vuoto da riempire di sapere. Tale sapere è prodotto dalla mente, e si materializza nell’insieme di filtri, percezioni, pregiudizi e focus attentivi che caratterizzano la nostra esperienza cognitiva quotidiana. Le infinite possibilità e combinazioni di questi filtri cognitivi determinano la pluralità delle opinioni e dei punti di vista, inclusi quelli sul futuro. Queste strutture cognitive, a livello sociale, sono spesso chiamate “paradigmi” 1, cioè meta-costrutti che costituiscono la nostra base percettiva (ciò di cui ci accorgiamo, ciò che elaboriamo, ciò che scartiamo) e che caratterizzano e codificano la percezione dominante di una organizzazione sociale in quanto capace di spiegare efficacemente la realtà circostante. È quanto accade quando una strategia viene condivisa (ed implementata!). Questi paradigmi sono stabili, ma non eterni: man mano che un numero crescente di eventi e dati non sono “spiegati” dal paradigma esistente, si costruiscono le condizioni per un “cambio di paradigma”. Il vecchio paradigma, tuttavia, vende cara la pelle: uno dei suoi effetti è quello di scartare i dati “incoerenti” o non spiegabili come irrilevanti, esponendo l’organizzazione al rischio. Questa “cecità” (paradigm blindness) permette un tempo supplementare di vita, ma solo per cedere la strada in maniera accelerata, spesso convulsa, al nuovo paradigma. Un esempio si può trarre su quanto accade nel momenti di un crash di borsa, dove le previsioni degli analisti prima del crollo generalmente non solo sono sbagliate (nella stragrandissima maggioranza), ma lo sono nella stessa maniera. Durante il crash, il cambio di paradigma coinvolge milioni di operatori in tempi rapidissimi, determinando l’andamento tipico a dente di sega dei mercati borsistici (crescite lente per tempi relativamente lunghi seguite da brusche e repentine cadute). L’idea stessa della competizione (interpersonale, interaziendale, intersociale) come “regolatore sociale” si fonda su un paradigma relativo alla distribuzione ottimale delle risorse ed all’avversione al rischio come tratto costitutivo del comportamento umano. La teoria dei giochi nasce per spiegare le ragioni di determinate dinamiche sociali, in particolare quelle ripetitive e subottimizzanti. Il famoso esempio del dilemma del prigioniero, risolvibile solo se giocato un numero elevato di volte tale da stimolare un comportamento cooperativo, anziché competitivo, richiede, per essere “risolto” un superamento consapevole e volontario del paradigma competitivo da parte dei giocatori. Questo superamento si posiziona nel momento in cui il primo giocatore, per la prima volta, decide di giocare in modo cooperativo (assumendosi un rischio superiore e cambiando i criteri di valutazione che lo hanno portato a preferire la strategia competitiva, cioè cambiando paradigma) e, contestualmente, l’altro giocatore decide di seguirlo in questa strategia. Chi ha una certa età, potrà ricordarsi di quel tenero calcolatore nel film “War Games” del 1983 che, spossato da un numero enorme di inconcludenti simulazioni di attacco e risposta nucleare tra le due superpotenze dell’epoca, decide di fermarsi per giocare a tris.

1 Thomas Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1979.

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Nelle storie sociali, i passaggi da atteggiamenti competitivi ad atteggiamenti cooperativi sono tra i fenomeni più visibili di paradigm shift: la nascita dell’Unione Europea, la fila unica ai banchi di accettazione di un aeroporto, il rispetto del divieto di fumo nei locali pubblici… Ogni nuovo paradigma sviluppa la possibilità di connettere meglio e in modo più completo gli elementi di un nuovo sistema organizzativo. In un’azienda, decidere di abbandonare una linea di prodotto, cambiare mercati, sistema di produzione, logistica costituiscono spesso un cambiamento di paradigma: talvolta funziona, più spesso no. Similmente all’evoluzione della specie, è molto più probabile, come organizzazione aziendale, scomparire piuttosto che evolvere con successo. Oggi esistono solo 123 nate prima della scoperta dell’America (1492), 884 aziende nate prima della rivoluzione francese (1789), 1.646 aziende nate prima delle Cinque giornate di Milano (1848)2. In questo senso, lavorare con un gruppo di direzione sulla strategia aziendale significa esplorare le componenti del paradigma dominante (le convinzioni, i filtri, le presupposizioni, i valori), riaccostarsi agli elementi non spiegati e rimossi (perché qualche cliente se ne è andato, perché qualche prodotto non funziona sul mercato, perché qualche marginalità comincia a decrescere…), elaborare ristrutturazioni interpretative che permettano un livello di spiegazione ed interpretazione della realtà migliore. Un efficace punto di partenza è lavorare sulle distorsioni cognitive più frequenti nella formulazione della strategia.

2 Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_oldest_companies

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Le distorsioni cognitive che influenzano l’efficacia del “pensare il futuro” In questo paragrafo esaminerò le distorsioni cognitive più frequenti su cui lavorare con un gruppo di direzione per potenziarne le capacità strategiche. Nel 2005 un articolo comparso in Scientific American3 descrisse, attraverso un esperimento oggi famoso, i meccanismi di attivazione delle distorsioni cognitive. Ai partecipanti veniva richiesto di guardare un video dove una squadra di pallacanestro si passava freneticamente la palla. Al singolo osservatore veniva chiesto di contare il numero di passaggi nel minuto di durata del video stesso. Durante il gioco, nel video veniva fatta comparire una persona, con un costume da gorilla, che attraversava la scena, si girava verso la videocamera, si batteva i pugni sul petto e infine lasciava la scena. Il risultato dell’esperimento fu che il 50% degli osservatori non si accorgeva del gorilla. Questo fenomeno, chiamato “inattentional blindness” dimostra che gli occhi, almeno sul piano conscio, non sono videocamere che registrano tutto ciò che accade. Anzi, il filtro (nel caso l’obiettivo prestazionale di contare il numero di passaggi) è attivo ed esiste – come risorsa - proprio per evitare un eccesso di stimoli e di informazioni potenzialmente distraenti. Il modo con cui il cervello filtra le informazioni si forma principalmente su base esperienziale, e quindi su passate esperienze di successo (ad esempio cercare il silenzio o un punto nello spazio per concentrarsi). E’ la ragione per cui esistono i correttori di bozze, le checklist, gli auditors… E’ virtualmente impossibile avere una visione fresca di una data realtà dopo esserne stati parte su base esperienziale. Un esempio drammatico di questa “inattentional blindness” riguarda le vicende degli attentati negli Stati Uniti l’11 settembre 20014. A conclusione dell’impressionante mole di indagini interne su perché i Servizi Segreti e la Sicurezza Nazionale non si erano accorti in anticipo di questi attentati, gli analisti hanno concordato che non fu una mancanza di informazioni precise, né un mancato allertamento degli apparati di sicurezza. Anzi. Tutte le informazioni erano state correttamente raccolte, catalogate, processate dalle Autorità. Semplicemente il “quadro generale” non riusciva ad emergere. Le Autorità non riuscivano a percepire il disegno complessivo di quanto si stava preparando. Era, come apparve nei commenti a caldo dopo gli attentati da parte di molti esponenti politici, “inconcepibile”. Si trattò, in altre parole, di un tragico fallimento del paradigma cognitivo sulla sicurezza (quasi esclusivamente focalizzato all’esterno del territorio USA) sino a quel giorno in essere. Negli Stati Uniti questa presa di consapevolezza è ormai parte del “nuovo” paradigma della sicurezza. Perfino un famoso cartoonist come Garry Trudeau, ideatore della striscia “Doonesbury” pubblicata giornalmente da 41 anni in oltre 1400 giornali nel mondo, dal suo sito (http://www.doonesbury.com) contrappone sarcasticamente i due paradigmi:

3 Vilayanur S. Ramachandran and Diane Rogers-Ramachandran, How Blind Are We? We have eyes, yet we do not see, Scientific American, June 2005 4 Questo esempio l’ho tratto dal bel libro di Adam Gordon, Future Savvy, Amacom 2009

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"Conoscete Dick Clarke. Dick Clarke, quello che era il capo dell’antiterrorismo fino all’11 settembre. Mi sembra ovvio che non l’ha proprio visto arrivare!" -- Dick Cheney, ex vicepresidente USA su Richard Clarke "Esposizione pubblica di Bin Laden può far presagire ad un attacco (3 maggio 2001) "Piani di costruzione del network di Bin Laden stanno procedendo (26 maggio 2001) "Attacchi da parte di Bin Laden sembrano imminenti" (23 giugno 2001) "Bin Laden e il suo gruppo minacciano attacchi a breve" (25 giugno 2001) "Bin Laden sta pianificando attacchi di elevato profilo" (30 giugno 2001) "Preparazione degli attacchi da parte di Bin Laden continua nonostante alcuni ritardi” (2 luglio 2001) Alcuni “oggetti” di e-mails da parte di Richard Clarke alla Casa Bianca antecedenti l’11 settembre 2001 Si tratta quindi della constatazione che per poter trovare qualcosa, da qualche parte ci debba essere una “immagine” stessa di ciò che stiamo ricercando. Senza questa immagine, non ci accorgiamo nemmeno di ciò che ci appare davanti agli occhi. Per questo superare la “cecità da paradigma”, vedere cose che la maggioranza delle persone non vede, è quindi alla radice delle innovazioni e di molti straordinari successi nel business. Esaminiamo ora i principali fattori di distorsione cognitiva.

1. Aspettativa dell’osservatore: quando un osservatore si aspetta determinati risultati, tende a inconsciamente scartare o manipolare i dati incoerenti con le proprie aspettative

2. Pregiudizio confermativo: è la tendenza a interpretare dati e informazioni in modo da confermare un determinato pregiudizio

3. Effetto “gregge”: credere o fare cose perché si pensa che lo creda o faccia la maggior parte delle persone

4. Pregiudizio situazionale: simile al precedente, accade quando la situazione del contesto influenza significativamente la percezione della realtà (ad esempio in una depressione economica è difficile identificare i segnali di ripresa)

5. Ancoraggio: farsi influenzare da un determinata informazione/percezione (un’apertura negoziale aggressiva, dare prima le cattive notizie…)

6. Effetto “di recente” : è la tendenza a dare maggior importanza a dati od eventi molto recenti rispetto a informazioni del passato

7. Indimostrabilità personale: quando un’informazione è talmente vaga da potersi applicare ad un vasto numero di situazioni (oroscopi, test di personalità “da ombrellone”…)

8. Ricerca di struttura nelle situazioni casuali: l’essere umano non è a proprio agio nella casualità e ricerca un principio organizzatore esplicativo del caos

9. Avversità al rischio: la tendenza a preferire l’evitare una perdita rispetto a guadagnare Queste distorsioni “esistono” in quanto risorse costruite nell’evoluzione umana, sono un automatismo ordinatore nel caos delle informazioni che ci piovono addosso da tutte le direzioni,

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permettono di risparmiare carburante al cervello umano che, pur in queste condizioni, consuma un quarto delle calorie che assumiamo e che altrimenti funzionerebbe in uno stato perenne di “fuori giri”. L’acquisizione di consapevolezza personale rispetto ai propri filtri è un modo per migliorare la qualità del proprio ragionare e la propria “apertura” mentale. Sul piano di gruppo, metodo e facilitazione permettono di costruire una migliore comprensione dell’oggetto, riconnettendo un maggior numero di dati di realtà (diminuendo la quantità di “rimosso”) e, una volta appresa, la metodologia diventa una risorsa cognitiva del gruppo.

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Per una nuova “prassi del pensare il futuro” Perché un’organizzazione pensa e immagina ciò che pensa e immagina? È possibile migliorare la qualità dei processi cognitivi relativi al futuro e quindi delle strategie di un’organizzazione? Come si sviluppa un paradigma all’interno di un’organizzazione? Queste domande colgono lo snodo centrale di questo articolo: comprendere come si struttura il pensiero sul futuro, acquisire consapevolezza sui paradigmi cognitivi e quindi su come essi filtrano la nostra lettura della realtà costituisce il presupposto di un lavoro di potenziamento delle capacità organizzative di leggere e disegnare il futuro. In questo senso il mestiere dello strategist è principalmente “di facilitazione”, cioè di aiutare una organizzazione a ricostruire il come è emersa una certa idea del futuro: quali dati utilizzo? Che ipotesi faccio? I dati che fonti hanno? Che esperti sento? Come verifico la fondatezza delle previsioni? Come testo la robustezza delle implicazioni che ne traggo? Come connetto tra loro gli elementi del futuro? La maniera più efficace e testata sperimentalmente è costituita dall’esame di casi di successo attraverso uno strategist-facilitatore, con l’intento di identificare le modalità con cui si è articolato il pensiero strategico di quella particolare organizzazione. Esaminiamo come funziona. In un contesto aziendale, il gruppo di direzione viene guidato dal facilitatore in un racconto minuzioso di come si è costruita una determinata visione (di successo) del futuro, lavorando su fattori espliciti ed impliciti, dati fattuali e credenze, percezioni e rimozioni: analisi, riunioni, relazioni di esperti e consulenti, pubblicazioni, verbali…. In un caso di successo (con i suoi effetti positivi sul benessere organizzativo), i ricordi, i racconti, gli eventi si intrecciano con gli elementi inconsapevoli all’interno del gruppo. Poco alla volta il gruppo prende coscienza degli elementi impliciti, “non detti”, identitari: è la cultura organizzativa ad averli prodotti. Sembra cioè che l’organizzazione abbia pensato una determinata cosa senza sentire il bisogno di dirselo o renderlo esplicito in maniera dettagliata. L’implicito è l’elemento segnalatore dell’esistenza di un paradigma cognitivo dominante: non c’è bisogno di esplicitare una cosa nota e condivisa a tutti. Durante l’esplorazione del caso di successo, l’elemento su cui progressivamente si concentra l’attenzione da parte del facilitatore è l’identificazione dei componenti del paradigma. In alcuni casi sono emerse vere e proprie “rivelazioni”: un’azienda aveva costruito previsioni di vendita e budget sull’assunto (desiderio? speranza?) di una domanda sufficiente a far girare due turni sull’impianto industriale (il che permetteva un ritorno accettabile del capitale investito). Implausibile? Beh, immaginate che la domanda del mercato cresceva stabilmente e moderatamente da oltre venti anni, che l’azienda aveva focalizzato i propri sforzi su una strategia di competitività sui costi, e su un bon ton competitivo tra concorrenti noti e conosciuti. Le condizioni di mercato erano improvvisamente cambiate (a cominciare dalla crisi mondiale e dall’arrivo di un feroce competitor cinese), ma la “cecità da paradigma”5 ha semplicemente scartato questi dati di realtà, a favore della conferma di una lettura di stabilità del contesto. La parte più complessa del lavoro arriva quando questa analisi viene restituita al gruppo. Se i fatti oggetto della cecità da paradigma vengono restituiti così some sono, non è difficile aspettarsi che, come è accaduto la prima volta che il gruppo ha affrontato la questione, essi siano scartati come irrilevanti, incoerenti, o facili considerazioni del “senno di poi” (se nel frattempo, ad esempio, la crisi ha morso duro).

5 Cfr. Nassim Nicholas Taleb, Il Cigno Nero – Come l’improbabile govena la nostra vita, Il Saggiatore 2008

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Occorre quindi partire dall’elemento-risorsa costituito dal paradigma stesso. Comprendere a fondo “a che cosa serve” pensare il futuro in quel particolare modo. Per quell’azienda la lettura di stabilità aveva permesso un investimento tecnologico significativo e dai ritorni lunghi (ingiustificabile se il gruppo di direzione avesse prestato attenzione ai sacerdoti della flessibilità e del guerrilla-marketing…), un focus organizzativo sui costi (per tenere a bada dei commerciali che pretendevano solo pezzi unici per i propri clienti), la creazione di un quasi-oligopolio di controllo (dei prezzi al mercato e dei margini conseguenti). Tutti potenti fattori di successo competitivo, imprescindibili in quel mercato. Quel paradigma aveva funzionato bene, garantendo risultati e bonus per tutti! Esistevano quindi delle buone ragioni per eliminare dei fatti distonici. E così è stato. Questa eliminazione è parte di quel paradigma. Non c’è l’uno senza l’altra. Come in un progressivo zoom cinematografico, lo strategist-facilitatore orienta l’attenzione sui momenti in cui i fatti cruciali e distonici sono stati rigettati. Quali evidenze c’erano? Qualcuno le ha esaminate? Ne avete parlato? Chi ha verificato i dati? Come avete preso le decisioni? Il riesame esperienziale si concentra sui meccanismi attivatori della rimozione da paradigma: mancata circolazione delle informazioni, contrasti nelle riunioni, autocensura… Questi meccanismi (tra cui le distorsioni cognitive esaminate nel paragrafo precedente), portati sul piano della consapevolezza, diventano le risorse compensative per allargare e modificare il paradigma cognitivo. In altre parole, il ri-verificarsi dei meccanismi attivatori segnalerà la presenza “ingombrante” del paradigma. E permetterà all’azienda la decisione se attivarsi, approfondire e verificare la fondatezza degli elementi “di disturbo”. Per decidere quindi, con un maggior livello di consapevolezza, se eliminarli o valorizzarne il significato6. Nel caso della nostra azienda, emersero molti elementi espulsi dal paradigma. Tra questi il gruppo prese consapevolezza di una serie di ritorni informativi da parte del commerciale che segnalavano sia il rallentamento della domanda che l’arrivo sul mercato di questo “cinese”, con offerte a prezzi significativamente più bassi. Il gruppo si rese conto che queste informazioni (preziose e di prima mano da parte dei clienti) venivano accantonate perché, se negative come nel caso specifico, erano considerate un “teatrino” per tenere bassi gli obiettivi di budget del commerciale stesso. Era il gioco delle parti, che diamine!. Il gruppo esaminò anche quali altre fonti informative sulle previsioni di domanda fossero state utilizzate. Il quadro era semplice: l’indagine periodica dell’associazione di categoria (compilata burocraticamente su uno storico incompleto e “regredita linearmente” nel futuro) e le informazioni dei propri commerciali. Il gruppo decise quindi di valorizzare da subito i rapporti del commerciale, e anziché semplicemente leggerseli, stabilirono una serie di incontri sistematici ed interattivi per discutere ed approfondire l’andamento del mercato. Da quel momento il “paradigma di stabilità” su cui avevano fondato le decisioni di investimento e le previsioni di vendita si era ristrutturato da “stabilità di volume” a “stabilità di relazione” con i clienti e con le informazioni frequenti provenienti da loro stessi, condivise sui loro piani di produzione a fungere da meccanismo di regolazione dell’attività produttiva. Potenziarsi strategicamente significa allargare criticamente la quantità di informazioni e percezioni che utilizziamo per comprendere il futuro.

6 Questo lavoro di potenziamento strategico del gruppo dirigente di un’azienda si inquadra nella più ampia disciplina e prassi del “potenziamento organizzativo”. L’organizzazione, acquisendo consapevolezza dei propri principi di funzionamento e delle proprie risorse cognitive, emotive ed esperienziali, ne decide una ristrutturazione consapevole per aumentare l’efficacia del proprio comportamento.

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Epilogo Nel 1959, il Direttore Generale del Servizio postale USA dichiarò che “… prima che l’uomo arrivi sulla luna, la posta verrà consegnata in poche ore da New York all’Australia da missili automatici. Siamo alle soglie della posta-razzo”

Può far sorridere oggi rileggere queste affermazioni e il loro corredo iconografico. Ma questo prevedeva il paradigma dominante di quell’epoca. Un paradigma positivista che, seppur grossolanamente sbagliato in virtù di un buon numero di distorsioni cognitive (non a caso le immagini dell’epoca mostrano principalmente razzi che partono, saltando a piè pari il dato di realtà che non è possibile frenarne la corsa senza l’autodistruzione), che ha condotto, anche grazie ad illusioni come questa, ad uno straordinario aumento della cooperazione internazionale, del commercio, della crescita economica e sociale dell’umanità e, non ultima, alla conquista della Luna. “Solo chi non fa pronostici non li sbaglia mai” (Gianni Brera) P.s.: forse stai leggendo questo articolo in un luogo pubblico. Hai mica visto per caso un gorilla passarti davanti? E come puoi essere sicuro che no? Se non l’hai visto non è forse perché questo articolo ha catturato la tua attenzione?

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Appendice: Futurografia dei paradigmi Un filone dello studio futurografico dei paradigmi si concentra sulle previsioni di “esperti” che risultano sbagliate (talvolta comicamente tali). Tali espressioni sono frequentemente frutto di un paradigma particolarmente forte ed all’apice del suo “potere distorsivo”. Lo studio delle condizioni di contesto per cui una particolare previsione viene accolta da un generale consenso è prezioso nella ricostruzione dei componenti del paradigma dominante. Più pragmaticamente, gli esempi riportati sotto suggeriscono anche un po’ di cautela “igienica” nel formulare pensieri sul futuro…

� "Non c’è alcuna probabilità che l’uomo possa utilizzare l’energia dell’atomo" -- Robert Millikan, Premio Nobel in Fisica, 1923

� "Nel futuro i computer potrebbero pesare non più di una tonnellata e mezza" – Rivista

“Popular Mechanics”, nel descrivere la marcia instancabile della scienza, 1949

� "Penso che ci possa essere un mercato mondiale per almeno cinque computer" -- Thomas Watson, Presidente IBM, 1943

� "640K (mezzo mega) di RAM dovrebbe essere abbastanza per chiunque" -- Bill Gates, 1981

� "Questo 'telefono' ha troppi difetti per essere seriamente considerato come un mezzo di

comunicazione. Questo dispositivo è intrinsecamente privo di valore" – memo interno della Western Union, 1876.

� "Sono proprio contento che sia Clark Gable a rimetterci la faccia e non io la mia" -- Gary

Cooper commentando la sua decisione di non accettare il ruolo chiave in “Via col vento”.

� "Non ci piace il loro sound e la chitarra sta andando fuori moda" -- Decca Recording Co. rifiutando i Beatles, 1962.

� "Macchine per il volo più pesanti dell’aria sono impossibili" -- Lord Kelvin, Presidente della

Royal Society, 1895.

� "Scavare per il petrolio? Intendete scavare per terra per cercare del petrolio? Dovete essere pazzo!" – Scavatori che Edwin L. Drake tentò di assumere per i suoi progetti di estrazione petrolifera nel Texas nel 1859.

� "I titoli azionari hanno raggiunto quello che sembra essere un livello permanentemente alto"

-- Irving Fisher, Professore di Economia, Yale University, 1929.

� "Gli aeroplani sono dei giocattoli interessanti, ma privi di interesse militare." – Maresciallo Ferdinand Foch, Professore di Strategia, Ecole Superieure de Guerre.

� "Tutto ciò che poteva essere inventato, è stato inventato." -- Charles H. Duell, Commissario

dell’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti, 1899.

� "La teoria di Louis Pasteur sui germi è una ridicola storiella." -- Pierre Pachet, Professore di Fisiologia a Tolosa, 1872

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� "L’addome, il petto e il cervello saranno per sempre preclusi all’intrusione anche da parte del miglior chirurgo" -- Sir John Eric Ericksen, Chirurgo britannico, nominato “Surgeon-Extraordinary” dalla Regina Vittoria nel 1873.

� "Non c’è alcuna possibile ragione per cui chiunque possa volere un computer nella propria

casa" – Ken Olson, Presidente, Amministratore Delegato e Fondatore di Digital Equipment Corp., 1977