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MASTER PER EDUCATORI CRISTIANI - SEDI ROMA 1 E ROMA 2 PEDAGOGIA CRISTIANA Carlo Nanni Pedagogia per cristiani operanti nella scuola [prime 5 unità didattiche] Sommario Introduzione 1. Formarsi per educare 2. L’educazione a scuola e nella formazione professionale 3. La comunità educativa scolastica 4. Il rapporto educativo 5. Modelli comunicativi e modelli educativi INTRODUZIONE 1. Nuovi contesti Gli atti terroristici contro le Torri Gemelle di New York e contro il Pentagono di Washin- gton ci hanno letteralmente impressionati e ci hanno lasciati veramente attoniti. Nella loro maniera tragica ci hanno evidenziato che è finita l’epoca della «fine della guerra fredda», quello che è stato il periodo del «disgelo», del «tramonto delle ideologie», della «caduta del muro di Berlino». Come si è detto, niente è più come prima. Ma a ben vedere una serie di nuove realtà, maturate nell’ultimo decennio del secolo scorso, ci stanno dicendo a chiare note che gli assetti raggiunti negli ultimi cinquant’anni sono arrivati alla fine delle loro possibilità e funzionalità. Con la massiccia attivazione della globalizzazione della produzione e del mercato, con l’uso sociale diffuso delle nuove tecnologie computerizzate (compu- ter, reti telematiche, telefonini), con la complessificazione della vita individuale e sociale con la crescita della multiculturalità e del pluralismo ad ogni livello (personale, locale, nazionale, interna- zionale), con l’enfasi sui valori della qualità della vita (soggettivismo, salute, benessere) e della qualità totale (produttività, efficienza, efficacia), con il diffondersi di nuove sensibilità in ambito e- tico e religioso (che vanno dall’assenza, all’indifferenza, alla marginalità, alle forme vagamente u- niversalistiche, alla confessione praticante e impegnata, al fondamentalismo intollerante), tutto va ripensato. E’ come se l’impianto elettrico di un’abitazione, costruito cinquant’anni fa, con l’introduzione di strumentazioni elettriche ed elettroniche assolutamente nuove, non resista più e vada in tilt ad ogni benché minima maggiorazione di erogazione di energia. 1

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MASTER PER EDUCATORI CRISTIANI - SEDI ROMA 1 E ROMA 2 PEDAGOGIA CRISTIANA

Carlo Nanni Pedagogia per cristiani operanti nella scuola [prime 5 unità didattiche] Sommario Introduzione 1. Formarsi per educare 2. L’educazione a scuola e nella formazione professionale 3. La comunità educativa scolastica 4. Il rapporto educativo 5. Modelli comunicativi e modelli educativi INTRODUZIONE

1. Nuovi contesti Gli atti terroristici contro le Torri Gemelle di New York e contro il Pentagono di Washin-

gton ci hanno letteralmente impressionati e ci hanno lasciati veramente attoniti. Nella loro maniera tragica ci hanno evidenziato che è finita l’epoca della «fine della guerra fredda», quello che è stato il periodo del «disgelo», del «tramonto delle ideologie», della «caduta del muro di Berlino». Come si è detto, niente è più come prima.

Ma a ben vedere una serie di nuove realtà, maturate nell’ultimo decennio del secolo scorso, ci stanno dicendo a chiare note che gli assetti raggiunti negli ultimi cinquant’anni sono arrivati alla fine delle loro possibilità e funzionalità. Con la massiccia attivazione della globalizzazione della produzione e del mercato, con l’uso sociale diffuso delle nuove tecnologie computerizzate (compu-ter, reti telematiche, telefonini), con la complessificazione della vita individuale e sociale con la crescita della multiculturalità e del pluralismo ad ogni livello (personale, locale, nazionale, interna-zionale), con l’enfasi sui valori della qualità della vita (soggettivismo, salute, benessere) e della qualità totale (produttività, efficienza, efficacia), con il diffondersi di nuove sensibilità in ambito e-tico e religioso (che vanno dall’assenza, all’indifferenza, alla marginalità, alle forme vagamente u-niversalistiche, alla confessione praticante e impegnata, al fondamentalismo intollerante), tutto va ripensato. E’ come se l’impianto elettrico di un’abitazione, costruito cinquant’anni fa, con l’introduzione di strumentazioni elettriche ed elettroniche assolutamente nuove, non resista più e vada in tilt ad ogni benché minima maggiorazione di erogazione di energia.

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2. Cambi di vita e di cultura Non sono cambiate solo le strutture socio-economiche e i rapporti materiali di produzione o

i valori di riferimento: sta cambiando la vita e la cultura. Non solo si piglia coscienza della soggetti-vità individuale, ma si accresce il peso sociale delle nuove soggettività collettive (terzo settore, vo-lontariato…). Si diffonde un nuovo modo di intendere la professionalità (basato sulla competenza, la flessibilità e fondamentalmente riferito alla soddisfazione del cliente). Ma più specificamente si impone sempre più un nuovo modo di apprendere, di pensare, di far scienza, di didattica, di forma-zione, che dà priorità ai processi, all’interazione sociale, alla costruttività della produzione concet-tuale, all’esigenza ermeneutica (cioè all’esigenza di saper interpretazione e comprensione) dei vis-suti, delle esperienze, del patrimonio sociale di cultura, le risorse soggettive e dell’ambiente: in vi-sta di una migliore cultura e di solide competenze operative, capaci di gestire la complessità ed af-frontare le novità e i problemi che sopravvengono nell’esistenza individuale e nelle interazioni in-terpersonali e comunitarie.

3. Nuove professionalità e nuovi modi educativi A fronte di queste novità esistenziali, culturali e di vita individuale e sociale, anche in ambi-

to socio-educativo i privati, la società civile, i governi, le organizzazioni internazionali hanno credu-to e credono di rispondere con forme di aiuto e di servizio educativo alle persone, ai gruppi, alle comunità, all’opinione pubblica locale, nazionale, internazionale e mondiale. Per secoli e millenni – a parte quelli che erano considerati gli educatori «naturali», i genitori, i sa-cerdoti, le suore per l’infanzia abbandonata – le professioni sociali nell’ambito educativo si riduce-vano ai pedagoghi, ai maestri, agli insegnanti, agli istitutori. Ora invece si va pensando agli educa-tori professionali (con varie specializzazioni di ambito), all’educatore socio-sanitario, al progettista di formazione e sviluppo delle risorse umane, all’animatore socio-culturale del tempo libero, all’educatrice dell’infanzia, al mediatore interculturale, al consulente delle interazioni familiari, all’orientatore educativo scolastico e professionale, al tutor dei processi di apprendimento, all’educatore della comunicazione sociale (il cosiddetto «media-educator», al formatore a distanza e multimediale, allo psicologo scolastico, al formatore dei formatori, al manager delle istituzioni educative…; oltre che evidentemente al pedagogista pratico e teorico, al ricercatore o al docente di istruzione e formazione superiore o universitaria, ecc. 4. La pedagogia

Opinioni, detti, proverbi, norme orali e scritte relative all’educazione si trovano in tutte le culture. Ciò testimonia che una riflessione sull’educazione a sempre accompagnato le pratiche edu-cative, vale a dire l’insieme, più o meno consolidato, di saperi e di norme di condotta, interne alla cultura di un popolo, prospettate e messe in atto in vista di un atteso buono sviluppo delle persone. Nella tradizione del pensiero occidentale, molti autori a cominciare da Esiodo, lo stesso Omero, ma poi da Platone, Aristotele, sant’Agostino, san Tommaso, J. Locke, I. Kant e tanti altri hanno svilup-pato idee o hanno prospettato indicazioni per una «paideia», cioè per una cultura educativa. Ma una riflessione sistematica, oggi diremmo scientifica, sull’educazione, più o meno autonoma dalla filosofia, si è cominciata ad avere con l’inizio dell’ ‘800, in concomitanza con il decollo della rivoluzione industriale, con l’emergere della borghesia, con l’affermarsi della razionalità scientifi-co-tecnica di marca illuministica, con l’attenzione romantica alla fanciullezza e con l’evidenziazione letteraria ed artistica ai sentimenti e ai mondi vitali quotidiani: come sostegno cul-turale al maestro, all’insegnante, all’educatore in quella che sempre più diventava istruzione e scuo-la di massa, aperta a tutte le classi della popolazione, maschile e femminile.

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Tale riflessione si è sviluppata sotto forma di saggio, come con J.-J. Rousseau e J.H. Pestalozzi; poi sotto forma sistematica di natura teorica, a cominciare da J. F. Herbart, e in seguito, soprattutto con il movimento delle Scuole Nuove all’inizio del ‘900, sempre più in maniera scientifica. Dopo la prima metà del ‘900, ha preso ad avere anche il contributo della ricerca tecnologica. A questa disciplina autonoma, normalmente collocata nell’ambito della cultura umanistica e delle scienze umane e sociali, si è dato il nome di «pedagogia». Nel corso del suo sviluppo si è poi cercato di considerarla come scienza dell’educazione o come complesso di discipline a carattere pedagogico o accanto ad un insieme discipline scientifiche u-mano-sociali relative all’educazione e alla formazione. Se ne tratterà più diffusamente nel seguito del volume. Ma certamente questo processo di articolazione e specializzazione disciplinare non è distante dagli sviluppi scientifico-tecnologici degli ultimi due secoli, dall’evoluzione sociale verso forme di vita democratica, dalla complessificazione dell’esistenza sociale a tutti i livelli, che ha por-tato sempre più a pensare ed attuare l’aiuto educativo all’istruzione e alla formazione in termini di educazione permanente e di problema sociale di prim’ordine.

5. La pedagogia generale All’interno del complesso disciplinare variamente denominato scienze dell’educazione o

scienze della formazione, la «pedagogia generale» viene a essere la disciplina a cui più che ad altre discipline pedagogiche è affidato il compito di una riflessione sistematica e critica sui problemi dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, nella loro globalità. A seguito e come frutto di tale riflessione e ricerca critica, la pedagogia generale viene ad assumere la configurazione di un sapere generale relativo alle strutture di senso della formazione e dell’educazione umana. In rapporto alle altre discipline pedagogiche assolve anche ad una funzione di sintesi, per cui viene ad essere anche, in qualche modo, un «sapere dei saperi» molteplici, articolati, dinamici ed in conti-nua evoluzione del campo culturale, scientifico e tecnologico relativi al servizio educativo alle per-sone, ai gruppi, alle comunità, allo sviluppo umanamente degno. Dal punto di vista culturale, cioè della formazione della mentalità, la pedagogia generale dovrebbe inoltre aiutare il formarsi di idee valide e critiche sulle conoscenze, i valori, i modelli di comporta-mento, i fini e i mezzi, le strategie e gli itinerari dell’intervento individuale e comunitario di tipo educativo-formativo.

6. Tra “ratio” e “fides”

Nelle pagine che seguono si cerca di cogliere il senso dell'educazione, attraverso una pacata riflessione sui punti nodali e problematici dell'azione educativa, nei suoi riferimenti teorici e nelle sue dimensioni essenziali. Tale ricerca di senso si muove all'interno di quella tradizione pedagogica che può essere denomina-to un “far pedagogia nella fede”. Essa si produce nell'incontro, e spesso nella tensione, di due mo-vimenti dello spirito: da una parte quello proveniente dall'esperienza di fede che ricerca la sua intel-ligenza e la sua incarnazione secolare, laica, mondana; dall'altra quello derivante dall'esperienza soggettiva e sociale che ricerca il senso ultimo del proprio esistere nel mondo, con gli altri, nella storia e dell’educazione in particolare. La tradizione ha parlato per questo di una fede che ricerca l'intelligenza (e certo anche la sua ragionevolezza e sensatezza) e di un'intelligenza che ricerca la fede (o, più esattamente, che ricerca una risposta a quella sete di assoluto, religiosamente classifica-ta come “naturale desiderio di vedere Dio”, forse con una certa sbrigatività, in quanto non si dà con-to in tal modo di tutte le presenze che, seppure in modo limitato e parziale, esaudiscono tale sete, senza necessariamente arrivare all'affermazione di un Dio trascendente).

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Per chiarire questo rapporto dinamico tra ragione e fede può risultare agevole l'immagine della poli-fonia contrappuntistica, in cui voci per sé‚ indipendenti si sostengono, si sfidano, e fors'anche si turbano reciprocamente, in modo tale che ne risulta un effetto sonoro del tutto nuovo e inaspettata-mente ricco, quale nessuno sarà in grado di spiegare in base alla semplice somma dei diversi ele-menti. Da un tal modo di riflettere, se da un lato, a livello di atteggiamento personale, ne sortisce una più chiara coscienza del limite di ogni intendere umano, d'altro canto ne viene pure la spinta ad esplora-re ed a conoscere sempre di più, in quanto si è messi a parte dell'inesauribile “mistero dell'essere”. Si viene ad essere normalmente più attenti al carattere spesso ipotetico, congetturale o precario dei risultati della riflessione umana, soprattutto quando ci s'incammina nel difficile percorso dei fonda-menti e dei sensi cosiddetti “ultimi” o in quello dei principi primi del conoscere e dell'agire umano. Ma d'altra parte si può intendere meglio la dignità di ogni affermazione storica di verità, quanto si voglia parziale e precaria; così come si può comprendere la grandezza umana della ricerca, per apri-re varchi nei problemi, e della lotta, per raggiungere almeno atomi di verità e di significato. È appena da notare che, come ogni altra forma storica di far pedagogia, anche questo modo specifi-co si esprime in forme ed esiti diversificati e pluralistici, in rapporto alle urgenze storico-ambientali, al contemporaneo e comunitario sentire, alla personale comprensione ed esperienza di vita e di fede. Riferimenti bibliografici BERTAGNA G. (2000), Avvio alla riflessione pedagogica, Brescia, La Scuola. CHIOSSO G. (Ed.) (2002), Elementi di pedagogia, Brescia, La Scuola. LAENG M. – BALLANTI G. (2000), Pedagogia, Brescia, La Scuola. NANNI C. (2002), Antropologia pedagogica, Roma, LAS. PELLEREY M. , Educare. Roma, LAS. TAROZZI M. (2001), Pedagogia generale. Storie, idee, protagonisti. Milano, Guerini. 1. FORMARSI PER EDUCARE

1. Problemi e novità nella funzione educativa-docente

La situazione difficile dell’educazione in genere, della scuola e della scuola cattolica (e della formazione professionale) in particolare, influisce sulla condizione degli insegnanti, dirigenti e per-sonale scolastico, da sempre un po' la chiave di volta dell'intero sistema scolastico.

Permangono le difficoltà socio-economiche che si riflettono particolarmente sulla continuità della presenza di giovani insegnanti laici (e che incidono previamente nel reclutamento e nella scel-ta di un impegno professionale in essa). Il contesto socio-culturale rende piuttosto difficile la trasmissione e la mediazione culturale.

L'insegnante è chiamato ad essere non solo docente e professionista, ma educatore, testimo-ne di vita, consigliere, amico, e spesso supplente delle figure parentali e civili; in una difficile sinte-si di competenza, testimonianza morale e autorevolezza educativa; deve muoversi tra aspirazioni dei giovani, attese familiari, esigenze sociali e concrete possibilità scolastiche.

E' pur vero che, come è capitato per le altre professioni sociali, anche per le professioni sco-lastiche è diventata comune una certa attenzione alle dimensioni di fondo della professionalità vera e propria (oltre il tradizionale sapere, saper fare, saper essere), quali

- la cura per una buona qualità della soggettività personale (solidità di personalità, inclina-zioni particolari, saggezza, capacità relazionali...);

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- la ricerca del buon rapporto con i mondi vitali in cui la professionalità è vissuta e dei si-stemi referenziali in cui si inquadra e da cui riceve senso;

- l'istanza di arrivare almeno a problematizzare gli aspetti etici dei ruoli professionali e di definire una deontologia del servizio educativo sociale professionale (forse riferibile come attualità anche all'emergenza della "questione morale" quale problema urgente e basilare per la vita e il futu-ro del corpo sociale e della vita organizzata).

2. In un contesto che domanda nuovi compiti alla scuola e al sistema socia-le di formazione

A parte le complesse problematiche del contesto socio-culturale e quelle derivanti da un quadro socio-politico piuttosto deteriorato, per suo conto, la scuola (di qualsiasi tipo) e la formazio-ne professionale hanno oggi da far fronte a problemi strutturali e culturali specifici, che si vanno ammassando senza soluzione da qualche tempo: ad esempio la scolarizzazione di massa, l'adegua-zione della cultura e delle procedure ai tempi e ai bisogni della popolazione scolastica, il rapporto con la produzione sociale; l’incidenza delle nuove tecnologie informatiche; il regime di concorrenza cui è sottoposta dal potere economico-sociale, dall'opinione pubblica e dalle altre agenzie sociali di formazione, ecc.

Si è presa coscienza della fine dello "scuolacentrismo" formativo e della necessità di operare interagendo coerentemente tra le diverse agenzie del sistema sociale di formazione (a cui fa da cor-rispettivo la concezione della comunità educativa scolastica). Si è riaperto il dibattito sui fini e le funzioni della scuola (solo istruzione o formazione delle intelligenze, o addestramento, o anche di educazione e socializzazione?) e sullo "specifico scolastico" (rivisitazione sistematica e critica della cultura sociale formativa per una formazione culturale e professionale di base?). Ma a dispetto di tale dibattito, sulla formazione degli insegnanti viene ad incidere anche la nuova domanda sociale di formazione che viene rivolta alla scuola e alla formazione professionale. Essa sembra attestarsi:

- su un più vivo senso delle libertà e dei diritti personali; - su una rinnovata domanda di autorealizzazione personale e professionale all'altezza dei

tempi e dei nuovi modi sociali, e insieme adeguata alle richieste pressanti della ripresa economica e dello sviluppo tecnologico-scientifico;

- sul problema dell'identità (personale, sociale, professionale, culturale, religiosa) e sull'ine-saudito ed impellente bisogno di senso.

- su nuove esigenze culturali (attorno ad alcuni bisogni-valori, come la pace, lo sviluppo, la solidarietà, la convivenza democratica, la salute, la prevenzione), che portano a parlare di "nuove educazioni" e che la scuola si dovrebbe addossare.

Si tratta evidentemente di una domanda sociale che investe non solo la scuola, ma l'insieme delle agenzie sociali di formazione, le famiglie, la società politica, civile ed ecclesiale.

Tuttavia, per ciò che spetta la scuola, sembra chiaro che diventano urgenti e rilevanti struttu-re che sostengono la formazione di base ai diversi livelli (elementare, medio, superiore) ed in parti-colare si fa urgente una valida cultura fondamentale per l'uomo e per il cittadino, così come per il cristiano. Tali problemi interpellano in modo nuovo sia la scuola come istituzione sociale di forma-zione che come prassi scolastica di insegnamento/apprendimento, sia la funzione docente (e non docente) e dirigente, nelle prestazioni professionali e nella rete relazionale cui si partecipa, sia la formazione iniziale e "in process" degli insegnanti e dei dirigenti scolastici.

3. Un quadro da tener presente nella formazione degli insegnanti

La complessità della situazione invita ad ampliare il tradizionale quadro relativo a ciò che è da tener presente nella formazione iniziale e in servizio degli insegnanti.

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Provo a farne un elenco:

1. Conoscenza della disciplina insegnata, della cultura/quadro storico ed epistemologico di essa; dei rapporti con le altre discipline e con la cultura acquisita e in sviluppo.

2. Competenza didattica: vale a dire la capacità di spiegare, di far domande, di motivare, di fare collegamenti e trasferimenti, di gestione della disciplina, di creare clima di classe e di scuola, di utilizzazione delle tecnologie educative (tradizionali, nuove, multimediali...), di animare la ricerca di gruppo e stimolare la espressività e la creatività e la capacità di risolver problemi da parte degli alunni (nelle loro differenze individuali), dei gruppi e della classe nel suo insieme. Ciò comporta conoscenze relative ai processi di apprendimento e di istruzione; e più largamente dei processi di sviluppo personale e della formazione della personalità; come pure capacità di "lettura" della situa-zione storico-culturale attuale e della condizione giovanile in particolare.

3. Capacità di osservare e controllare i processi di insegnamento/apprendimento, di valuta-zione e di verifica ciclica e formativa.

4. Cura dello stile di insegnamento e di relazione ai diversi livelli (verso i singoli alunni, con il gruppo-classe, con gli altri docenti e il personale amministrativo e dirigenziale...): è l’essere dell’insegnante che è da curare perché si educa con la testimonianza personale oltre che con la competenza di ruolo.

5. Capacità pedagogiche generali e stili di operare in équipe secondo un Progetto Educativo di Istituto, il POF, le indicazioni nazionali, ecc.

6. Capacità di aggiornamento e di sviluppo qualitativo del ruolo di insegnante. 7. La mentalità dell'insegnante: credenze, aspettative, conoscenze, progetti; rapporto tra pro-fessionalità e vita; deontologia ed etica professionale; professionalità e fede.

4. Nella continuità storica e nel costante aggiornamento di esperienze ec-clesiali di educazione cristiana

Questo quadro assume una particolare tonalità dal fatto di operare nella linea di una tradi-zione di impegno educativo cristiano, laicale e espressivo di una vita religiosa, sia nelle scuole sta-tali e non statali sia più in particolare all'interno di scuole o di centri di formazione professionali sa-lesiani, caratterizzati da un carisma religioso ed educativo specifico (ad es. scolopio, lasalliano, sa-lesiano, orsolino, maestre pie, ecc.). Non è solo questione di continuità, ma di qualità dell’educare e dell’operare nella scuola o nei centri di formazione professionale. Esso mette in luce la dimensione ecclesiale cristiana ecclesiale dell’opera educativa. Mette in risalto che l’operare scolastico e le ini-ziative educative sono qualcosa di sommamente personale, ma insieme "opera comune", opera di “tradizione” e di attenzione ai “segni dei tempi” (Gaudium et Spes, n. 11), spesso andando oltre le stesse limitazioni ideologiche, politiche, economiche, storiche e culturali in vista di quella "cosa buona", anzi "divina " e "tra le cose divine, divinissima", che è l' "educazione”.

5. Nell'orizzonte di una solida capacità culturale cristianamente ispirata

Nell'attuale situazione di pluralismo e di complessificazione socio-culturale, in particolare, è chiamata a fare scelte non solo politiche, ma anche culturali, pedagogiche e didattiche.

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Proprio perché la cultura formativa attuale non è scontata, è obbligo di tutti rispensarla, ride-finirla, riprospettarla pedagogicamente. Essa deve essere tenuta presente nella formazione dei do-centi in quanto se ne partecipa ed in quanto ne va la caratterizzazione di scuola e formazione pro-fessionale cattolica (vale a dire lo specifico rispetto ad altre forme di scuola e di formazione profes-sionale del sistema formativo pubblico).

5.1. La critica alla cultura che va per la maggiore

A questo scopo, a me pare che si impone una vasta e incisiva critica culturale ai modi e alla cultura che spesso vanno per la maggiore (e che magari in vario modo si compartecipa).

Si proverà ad indicare alcune piste.

1) Gli esiti negativi dei modelli di sviluppo del Welfare State e prima ancora dell'ideologia dello sviluppo illimitato, ci hanno aiutato a capire che occorre passare dall'avere all'essere. Ma forse oggi, specie dopo la caduta del modello della prassi liberatrice di ispirazione marxista (e la questio-nabile ripresa dell'economicismo capitalistico liberistico), si fa più facile intendere che occorre pas-sare anche da una priorità dell'agire a quella dell'essere: pena di umiliare la qualità umana della vita, facilmente sbilanciata sull'utile, sul funzionale, sul produttivo, sull'efficiente ed efficace, a scapito della gratuità, della contemplatività, della riflessività, della saggezza, dell'esteticità ed eticità della vita, della pacifica con-vivialità, della non-violenza dei rapporti interpersonali e sociali.

2) Le insufficienze dell'economicismo attuale e del modello occidentale di sviluppo (oltre che la positiva reazione delle religioni e di persone profondamente spirituali) ci invitano anche a criticare gli sbilanciamenti ed i tabù della modernità occidentale: lo sbilanciamento sull'io (che ri-duce l'altro ad oggetto e non riesce a vederne l'alterità soggettiva, il volto di una irriducibile interio-rità, proprietà e soggettività); lo sbilanciamento sulle cose mercificate da possedere e consumare (per cui diventa preponderante ed ossessivo il "carpe diem" e non si riesce a vivere umanamente quello che si sta facendo e vivendo, come vuole il detto "age quod agis"); il tabù del dolore, della sofferenza, della morte, dell'handicap, dello svantaggio economico (fors'anche collegato ad un mo-do di vedere tutto chiuso nella "curva dei giorni"), che si cercano di evitare in tutti i modi (invece che affrontarli e vivere almeno dignitosamente in senso di libertà e di umanità, se non in senso reli-gioso di significazione escatologica di una umanità più "alta").

5.2. L'attenzione all'ispirazione cristiana

Questa critica culturale può essere sorretta e rinforzata dalle indicazioni che vengono dalla rivelazione e dalla vita di fede proprie del cristianesimo.

Il mistero cristiano dell'incarnazione (per cui Gesù è profeta, ma anche più che un profeta), la rivelazione dell'amore misericordioso di Dio (di cui Cristo è il "volto" che si vede e si ascolta), il rinnovamento umano nello Spirito (per cui si compie la santificazione del mondo e in cui ci è dato di chiamare padre Dio e dire nostro Signore a Gesù), possono proficuamente aiutare a rivedere e ri-comprendere in modo "rinnovato" la cultura di ogni tempo e la nostra.

Ciò specialmente perché si mette in luce: - la centralità (non solo religiosa ed etica, ma anche culturale e pedagogica) del "vangelo

della vita", del mistero della creazione, della alleanza e della figliolanza tra ogni umanità e Dio. - la riconciliazione dei linguaggi (passando da Babele alla Pentecoste cristiana); e quindi la

possibilità di dialogare, comunicare, far comunità e comunione, oltre ogni alterità, differenza, sepa-ratezza, solitudine, emarginazione;

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- la riconciliazione tra umano e divino, tra tempo ed eternità, per cui per essere "grande" di fronte a Dio non c'è più bisogno di essere maschio, adulto, sano, ricco, bianco, civilizzato, apparte-nente al popolo eletto; ma si è amati fin dal seno materno, si è primi pur essendo ultimi, non c'è più schiavo o libero, uomo o donna, giudeo o greco, perché tutti ci siamo abbeverati allo stesso Spirito; e quindi tutti capaci di positivo apporto alla costruzione del corpo sociale (per cui non ci sono più cittadini di serie A e di serie B, ma tutti "concittadini" attivamente capaci di edificare un'umanità al-l'altezza del Cristo risorto, come insinua san Paolo nella Lettera agli Efesini, cap. 4, vv. 1-13).

- la profezia de "il di più di Dio", rispetto a pensieri troppo umani, sia riguardo ai modi di parlare e immaginare Dio stesso ("i miei pensieri distano dai vostri pensieri come il cielo dista dalla terra"), ma sia anche riguardo alla fedeltà e alla giustizia di Dio, che fa piovere sui giusti e sugli in-giusti, che fa splendere il sole sui buoni e sui cattivi, che non spegne il lucignolo fumigante, non spezza la canna incrinata, che non vuole la morte del peccatore ma vuole che si converta e viva, che va incontro al figlio prodigo e ricerca la pecorella smarrita...

In questo orizzonte si intravede la possibilità di una cultura e di una formazione che permet-te di aprire le porte alle speranze umane, perché si fa balenare la possibilità del senso di ogni impe-gno per quei cieli nuovi e terra nuova in cui risplenda definitivamente giustizia e verità; e si assicura la possibilità della piena comunione con il Dio-comunione "nell'ultimo giorno".

Ovviamente si tratta di intuizioni espresse in un linguaggio religioso ed in tal senso vanno ridetti nei termini (e nei limiti) delle nostre attuali codificazioni culturali e dell'istruzione scolastica.

E' appena da notare che ciò richiede di:

- vedere persone, eventi e cose con l' "occhio buono del Vangelo" e della carità (1 Cor, cap. 13).

- saper discernere i "segni dei tempi" (GS,11). - saper pensare secondo logiche di segno ->mistero ->segno; e secondo una gerarchia delle

verità; di personalizzazione e comunanza; di libertà e di regola... - saper coniugare ricerca e pratica; intelligenza ed invocazione... - coniugare affermazione e senso del limite di quanto si è affermato (e quindi richiede dialo-

go, confronto, apertura all'ulteriorità). Queste idee e questi atteggiamenti dovranno far parte del bagaglio formativo di chi opera nella scuola secondo una ispirazione e una prospettiva cristiana dell’uomo e del suo “destino” Do-vranno essere quindi oggetto di riflessione e di approfondimento, di discussione, di coscientizzazio-ne, di assunzione personalizzata.

6. Alcune piste e strategie di formazione Da quanto si è detto si prova a ricavare alcuni obiettivi generali da perseguire nella forma-zione e nell’aggiornamento di chi opera nella scuola come cristiano laico o religioso.

6. 1. Formarsi alla continuità con la tradizione educativa cristiana

Essere docente in una scuola e centro di formazione salesiani vuol dire inserirsi in una tradi-zione educativa che ha una sua storia. Pertanto sarà importante inserirsi in essa e caso mai recupera-re alcune idee e modi di essere che la tradizione educativa cristiana ha sempre avuto presente e va-riamente realizzato, pur nei limiti di ogni impresa storica.

Vorrei segnalare in particolare:

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1) il concetto di azione educativa vista essenzialmente come "educere", come "maieutica" della persona: sulla base di una concezione antropologica dell'educando, soggetto che non è da ido-latrare, ma neanche semplicemente da plasmare, perché è vita da promuovere e persona da suscitare e da sostenere nel suo processo di personalizzazione e di qualificazione personale dell'esistenza in-dividuale e comunitaria;

2) la concezione del rapporto e della relazione personale come strategia "prima" dell'educare (con la tradizione di fiducia, di stima, di rispetto, di dialogo, di incontro, di proposta che essa com-porta; e pur nella saggia attenzione alle tecnologie educative che l'innovazione scientifico-tecnologica offre);

3) la considerazione che l'istruzione è un illuminazione della mente per irrobustire il "cuore"

e che l'educazione è sì affare di intelletto, ma anche (e forse soprattutto) "affare di cuore", di "buon esempio", di bontà e di giustizia;

4) l'esigenza di una cultura ispirata ad un "umanesimo integrale" sia come forma che come contenuto dell'educare (nella prospettiva della "civiltà dell'amore" affermata da Paolo VI).

6. 2. Formarsi ad una mentalità e stili operativi da educatori/trici

Da sempre nella tradizione educativa cristiana, chi opera nella scuola o nella formazione professionale, non intende limitarsi ad istruire e addestrare ma vuole anche ed ultimamente educare. Ciò richiede la formazione di una mentalità da educatore/educatrice (anche per insegnanti e dirigen-ti o comunque operatori scolastici).

Di essa fa parte essenziale:

1) un approccio alla realtà e alla cultura con focalizzazione sulla crescita personale, indivi-duale e comunitaria, che porta a privilegiare il personale (rispetto allo strutturale), il potenziale (ri-spetto all'attuale), il valoriale (rispetto al fattuale) e a cogliere le possibilità storiche di umanizza-zione che si offrono nell'ambiente o che si possono produrre impegnandosi appositamente; 2) una visione del mondo e della vita, in cui pur tra determinismi, casualità, sia possibile pensare ad una concezione del mondo e dell’uomo, in cui l’umanità in coscienza, libertà, responsa-bilità e solidarietà possa costruire una vita e un mondo a misura di uomo (anzi cristianamente a mi-sura dell’umanità del Cristo risorto e dei “cieli nuovi e della terra nuova in cui abita definitivamente giustizia e verità).

3) una lettura ed una valutazione di fatti, eventi e persone, non unilaterali e polarizzate, ma comprensive, fiduciose, capaci di critica e di discernimento, situative e referenziali, rafforzative ed incoraggianti;

4) una logica operativa della processualità formativa, che ha come punto di partenza quegli

aspetti della vita personale ("il punto accessibile al bene", come diceva don Bosco), che sono da promuovere, sostenere, rafforzare, coltivare, accrescere, in una parola, da "educare"!;

5) una logica procedurale della gradualità e della "crescita insieme", aperta ad una configu-razione umanamente degna della vita personale e ad un di più di umanità per tutti, nell'orizzonte cri-stiano della ricerca del Regno di Dio e della sua giustizia.

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7. Piste di formazione

7.1. L'auto-formazione

Una modalità di formazione in servizio è quella personale di ogni docente in concomitanza con la sua attività didattica. In proposito vorrei accennare a due forme di essa:

1) Forse mai come oggi, nell'intricato muoversi degli avvenimenti e dei processi storici, al-l'insegnante si addice non solo l'essere educatore ma anche (e in vista di esso) essere "pedagogista", nel senso non di un esperto accademico di scienza/e dell'educazione, ma di un "pratico riflessivo", capace di saper leggere fatti ed eventi, valutarli a misura di educazione, svolgerli ed organizzare ri-sorse e collaborazioni in modo educativamente efficace e significativo. Momenti specifici possono essere la preparazione del piano di lavoro annuale, nella preparazione e nella verifica della lezione o dell'attività didattica, letture nuove di articoli di riviste o di saggi in libri, ascolto o partecipazione a conferenze convegni, ecc.

2) Educando ci si educa. Aiutando la crescita e la vita dei giovani e delle giovani si aiuta la crescita e la vita propria e comune. In questo orizzonte di senso si parla oggi sempre più di "coedu-cazione" non tanto e non solo come strategia educativa coinvolgente insieme ragazzi e ragazze, ma piuttosto come evidenziazione della reciprocità che dovrebbe caratterizzare anche la relazione edu-cativa, così come dovrebbe essere con ogni altra relazione interpersonale autentica, questa potrebbe essere un'altra fonte di auto-formazione. Ma ad essa bisogna abilitarsi, sapendosi mettere in atteg-giamento di saper ricevere oltre dare, di saper cogliere metamessagio nel corso dei processi comu-nicative e relazionali, ecc.

7.2. Strategie di formazione e loro caratteristiche Per iniziative di formazione in gruppo, a me sembra di capire che esse dovranno avere come quadro di riferimento quello sopra presentato:

- in quanto educatori in genere (= cfr. il quadro sopra indicato) - in quanto educatori di ispirazione cristiana - in quanto educatori legati ad una tradizione carismatica di educazione;

A riguardo mi sembrano possibili diverse strategie di attuazione: 1) "studio di casi": punto di partenza esperienziale. Analisi e approfondimento in gruppi

(magari con l'ausilio di letture, o di interventi di esperti; discussione delle soluzioni insieme; ricerca di un "testo" acconsentito sulla questione.

2) affrontamento di problemi (="Problem solving): individuazione del problema (e magari sensibilizzazione ad esso da parte di esperti), determinazione degli aspetti e dimensione del pro-blema; ricerca delle cause/ variabili intervenienti; ricerca degli strumenti, mezzi, ragioni risolutivi o riduttivi della problematicità; discussione dell'ipotesi/progetto di intervento; operazionalizzazione di esso, stabilendo forme di controllo e di verifica;

3) discussione di concetti o categorie o costrutti concettuali chiave di una disciplina o di un modulo didattico;

4) produzione (o simulazione di produzione) di "pacchetti" didattici o di materiali didattici multimediali (con ciò che di preparazione teorica e di situazione di "laboratorio" esso comporta);

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5) simulazione di elaborazione di un Progetto Educativo di Istituto (con tutto ciò che esso comporta di chiarificazione delle finalità, di definizione degli obiettivi, di determinazione dei con-tenuti culturali e di esperienze che dovrebbero qualificare la scuola, di indicazione delle strategie privilegiate nella formazione e nella didattica, nella definizione delle forme di controllo, di verifica e di valutazione dell'azione formativa, ecc.);

6) aggiornamento circa aspetti didattici o di contenuto culturale delle materie e delle innova-zioni scientifico-tecnologiche (ma anch'esse non isolate da un quadro di riferimento generale cultu-rale e pedagogico.

Per tutte queste modalità non dovrebbero mai essere persi di vista: - la necessità di contributi e di prospettive multi-disciplinari; - l'attenzione ai nessi e agli aspetti interdisciplinari che aiutino la sintesi oggettiva (dei con-

tenuti) e la sintesi soggettiva (=l'inquadramento nell'insieme della cultura professionale e generale personale;

- l'attenzione a considerare le cose in prospettiva pedagogica vale a dire secondo una conti-nuità di rilevare (= dove, come, quando, in che modo avviene), di inquadrare (= che cosa ultima-mente è in questione e perché), di progettare (= allora che fare in prospettiva?), di operazionalizzare (= con che mezzi, con chi, con che successività, secondo che ritmi, con quali controlli, ecc.).

7. Professionalità, vocazione, servizio

Vorrei prima di concludere avanzare due suggestioni particolari legati all'ispirazione cristia-na, che mi sembrano particolarmente utili per l'aspetto etico e per l'identità dell’educatore e della professione docente in particolare.

Alla luce della ispirazione cristiana, si riesce a comprendere meglio la stessa la dimensione etica (e deontologica) della professionalità educativa e scolastica.

E' infatti relativamente facile intravedere per i cristiani l'essere educatori o insegnanti come una "vocazione specifica" all'interno della globale vocazione cristiana.

Rimettere in circolo la categoria della vocazione nel discorso delle professionalità educative, è forse un bene non solo per chi opera cristianamente, ma per tutti, perché sarebbe stimolante in più sensi:

1) perché spinge ad essere più attenti agli aspetti della personalità profonda che fanno da so-strato alla professionalità educativa. Vocazione o non vocazione, è da tener conto delle tendenze personali, delle propensioni soggettive, delle sensibilità particolari che "spingono" a scegliere pro-fessionalità educative o facilitano (o all'opposto rendono difficile o sofferto) l'assolvimento di ruoli educativi.

Anche la componente di amore educativo che connota la relazione educativa non è senza una base di eros educativo (o all'opposto di repulsività emotiva), che sarà quindi da curare e qualifi-care al meglio.

2) perché chiede di studiare e (di tener in debito conto nella formazione) le motivazioni "al-

te" (le intenzionalità etiche, le volontà di impegno sociale, il senso civico ed ecclesiale ed i loro contrari) che possono essere alla base della scelta personale nel campo della formazione o che mo-tivano la pratica educativa.

3) perché dà spessore pedagogico (ed una certa centralità sistemica) alla categoria della "re-sponsabilità educativa", nel senso che l'educazione viene ad essere vista e vissuta sia come risposta

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all' "appello" di crescita umana che sorge dalla generazione (per chi è genitore) o (comunque) dal-l'incontro con persone che chiedono un "servizio" educativo (individuale e sociale) di promozione e qualificazione umana.

In tal modo la stessa professionalità educativa, oltre ad avere spessore etico, eviterebbe più facilmente un certo individualismo (e da una certa possessività relazionale) secondo cui spesso vie-ne vissuta. L'educatore apparirebbe più chiaramente nella sua imprescindibile veste di "vicario e rappresentante della comunità umana" (come ricorda la "Gravissimum Educationis" al n. 6). E si comprenderebbe meglio l'esigenza della coerenza tra libertà di insegnamento e di istruzione e dirit-to/dovere allo studio, all'istruzione, all'educazione.

L'essere educatore ed il compito comune di educare sarebbero compresi meglio in quanto si evidenzierebbe la loro intrinseca dimensione di "missione" religiosa e/o civile (in quanto mandatati ad educare dal Dio della vita o dalla società preoccupata per la vita umanamente degna dei suoi membri).

8. Una specifica spiritualità?

La categoria religiosa della "vocazione" insinua pure l'esigenza di una "spiritualità" specifi-ca per educatori/trici in cui inquadrare la funzione educativa e con cui sostenere l'attività di ruolo (quella scolastica in particolare).

In essa giocherebbero un ruolo fondamentale le categorie della vocazione, della missione, della condivisione umana comunitaria, del servizio ecclesiale e civile, della carità fattiva, della ri-cerca della giustizia e della verità, dell'apertura radicale alla speranza del Regno di Dio e quel "van-gelo dei piccoli" che è necessario per entrare in esso.

La ricerca di una spiritualità darebbe un buon sostegno all'identità personale e darebbe inci-sività all' azione, aiuterebbe cioè quella unificazione di essere e di agire che tanto è necessaria nella pratica educativa (venendo a risultare "mezzo educativo" di prim'ordine, in quanto "veicolato" a li-vello di "meta-comunicazione" nel rapporto educativo).

Anche qui il discorso non si circoscrive necessariamente all' "hortus conclusus" della scuola cattolica o dell' educazione cristiana (ed in particolare di dirigenti, insegnanti, personale scolastico cristiani, operanti nella scuola statale).

Infatti si può considerare corrispettivo "laico" della spiritualità la categoria della "integra-zione". Essa può essere assunta come qualità unificante della professione educativa e giocata a di-versi livelli:

1) a livello personale, come integrazione tra vita, cultura, fede e agire; tra personalità e ruoli;

tra continuità e differenza di genere, di appartenenze vitali, di stagioni di vita; tra prima formazione ed aggiornamento continuo; 2) a livello di competenza culturale, come integrazione di esperienza soggettiva, di tradizio-ne culturale ed ecclesiale, di ispirazione ideale e/o di fede, di conoscenza scientifica, di tecniche pe-dagogiche e didattiche, di operatività personale e comunitaria;

3) a livello di azione educativa, come mediazione e stimolazione per una globale ed unitaria formazione personale e sociale, degli individui e delle aggregazioni comunitarie; o come integra-zione tra azione individuale ed azione comunitaria; tra docenza disciplinare e connessione interdi-sciplinare e trasferimenti culturali e vitali (con il risultato di spingere l'educatore e l'educatrice ad essere uomo o donna dei nessi, della ricerca di unificazione culturale e vitale);

4) a livello di stili di apprendimento, come coniugazione di sentire, osservare, teorizzare, progettare, operazionalizzare.

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2. L’EDUCAZIONE A SCUOLA E NELLA FORMAZIONE PRO-FESSIONALE

1. Nel contesto di una rinnovata attenzione all’educazione Le innovazioni, le possibilità, le contraddizioni e i rischi della attuale complessità vitale

(sociale, culturale, personale) si riflettono sulla vita delle nuove generazioni e delle generazioni a-dulte. Per questo è diventato fondamentale il diritto di tutti all’apprendimento per tutta la vita e in questa linea il diritto alla crescita sana, alla qualità della vita nelle diverse età di essa, all’alfabetizzazione, all’istruzione, alla formazione professionale, ad convivenza civile, ecc. In questo contesto si pone più che mai urgente l’aiuto educativo (anche solo rispetto a qualche de-cina di anni fa, quando parlare di educazione sembrava rischiare l’indottrinamento o il plagio. Lo stesso sistema sociale di formazione si concepisce sempre più chiaramente come “sistema edu-cativo pubblico di istruzione e di formazione professionale” nella prospettiva dell’educazione per-manente. Ciò porta a considerare in modo nuovo anche il ruolo e la funzione sociale di chi opera in tale si-stema; ma si viene a riflettere anche nella formazione e nell’aggiornamento della funzione docente, dirigente o di chi comunque opera a scuola e nella formazione professionale.

Oggi, predominano oggi due tendenze nella politica della formazione insegnante: una più tecnico-operativa e l’altra più etico-partecipativa. Ad evitare contrapposizioni astratte o cadute ide-ologiche, conviene evidenziare la dimensione educativa, che, come si è detto, diventa sempre più chiaramente il fine diretto di chi opera nella scuola in prospettiva dei fini ultimi del sistema sociale di formazione (cfr. Inizi del Regolamento autonomia, Statuto delle studentesse e degli studenti, Legge sulla parità, Legge delega n. 53 del 28.32003).

2. Il concetto di educazione

Il termine «educazione» sta ad indicare l’aiuto personale e sociale di promozione delle capa-cità fondamentali per vivere la vita in modo cosciente, libero, responsabile e solidale, nel mondo e con gli altri, nel fluire del tempo e delle età, nell'intreccio delle relazioni interpersonali e nella vita sociale storicamente organizzata.

2.1. Etimologia ed uso del termine

L'etimologia incerta, tra «educare» (= allevare, coltivare) «educere» (= tirar fuori, sviluppa-

re) fa riferimento ad un intervento promozionale, riferito nel primo caso più agli aspetti organici (al-levamento, custodia, assistenza, cura, nutrizione, igiene) ed invece nel secondo caso agli aspetti più interiori (immaginazione, osservazione, intelletto, ragione, senso critico, emotività, relazionalità, espressività, operatività). L'uso storico evidenzia la polisemia del termine, considerato sinonimo di sviluppo, crescita, formazione, socializzazione, inculturazione, istruzione, insegnamento, addestra-mento, aggiornamento; ed evoca ambienti istituzionali particolari come la famiglia, la scuola, le chiese, i gruppi, le associazioni, i movimenti, ma investe anche la responsabilità sociale nel suo complesso. Nelle lingue moderne, l'inglese «education» è molto vicino a istruzione o comunque a educazione scolastica, mentre si usa «bringing up» per il far crescere (specie in famiglia) e «training» per la ca-pacitazione ad agire. A sua volta il tedesco «Erziehung» sottolinea l'intervento sul processo di tra-sformazione umana, che «tira fuori faticosamente» l’umanità di ciascuno.

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2.2. Le molte facce dell'educazione

L'educazione può essere intesa in più sensi, accentuando questo o quello dei molteplici a-

spetti secondo cui può essere considerata. Nell'uso quotidiano, quando si parla di educazione, s'intende anzitutto una particolare attività uma-na, connessa a determinate figure e a ruoli o particolari, come genitori, maestri, insegnanti, sacerdo-ti, istitutori, educatori, all'interno di un rapporto interpersonale particolare, e rivolta a nutrire, cura-re, formare individui della generazione in crescita. E' senz'altro l'uso più antico del termine, cui sembra riferirsi l'incerta etimologia. Sempre più insistentemente nell'epoca moderna e contempora-nea, l’educazione viene vista come attività e compito di chi appartiene alla generazione in crescita, e pertanto si è portati ad identificarla con il processo di crescita personale, accentuandone l’aspetto attivo di autoformazione. In certi casi, riferendosi alla situazione in cui si dispiega l'attività educativa, la si vede come un pro-cesso, cioè una sequenza organizzata di attività finalizzate alla strutturazione e al consolidamento della personalità e della sua vita relazionale. Altre volte si parla di educazione volendo indicare il risultato complessivo di tale attività in un sog-getto o in una pluralità di soggetti (come quando si parla di educazione classica, di educazione tec-nico-scientifica o di educazione primaria, secondaria, ecc.). Tuttavia, nel linguaggio dell'opinione pubblica, per lo più, quando si parla di educazione si fa rife-rimento ad un sistema o insieme di strutture, istituzioni, persone, procedure sociali, in cui si realiz-zano tutti o in parte i significati enunciati precedentemente. Per questo si parla di sistema educativo o di educazione differente da nazione a nazione (educazione europea, asiatica, americana, ecc.); da periodo storico a periodo storico (educazione antica, medioevale, moderna); attuata da differenti i-stituzioni o in diverse situazioni (educazione familiare, scolastica, ecclesiale, ecc.); o secondo parti-colari modalità, regole di funzionamento, strutture (educazione pubblica o privata; neutra o confes-sionale; centralizzata o decentralizzata). Anzi non è raro il caso in cui educazione viene intesa pu-ramente come equivalente a scuola e a processi d'istruzione scolastica, soprattutto nella letteratura anglofona o nella pedagogia accademica tradizionale. In ogni caso è chiaro il riferimento al sistema sociale di vita, rispetto a cui l’educazione sarebbe un sotto-sistema.

2.3. La specificità educativa

Non appena si passa dallo stato selvaggio a forme di vita organizzata, l’educazione appare

subito tra le pratiche sociali fondamentali della vita comunitaria. Le pratiche educative – cioè l’aiuto sociale alla formazione delle generazioni in crescita da parte delle generazioni adulte ed an-ziane, codificate culturalmente in consuetudini, norme e metodologie più o meno socialmente con-divise – sono parte essenziale alla vita e alla cultura di ogni società. In tal senso si può, quindi dire, che sempre e dovunque si è educato e si educa. L'età moderna e con-temporanea ha esaltato, ma anche aspramente criticato e contestato l'azione sociale di educazione. Pur tuttavia, le nazioni e le organizzazioni internazionali connettono strettamente sviluppo sociale e educazione, coscienti della funzione sociale dell'educazione e del suo essere uno dei diritti fonda-mentali dell'uomo e del cittadino. Alla problematicità di sempre, collegata con la diversità generazionale, con la disparità di esperien-za e di vita tra educatori ed educandi, con l’interferenze date dalle innovazioni e dai mutamenti che subentrano nelle tempo e nelle diverse età della vita, oggi si affianca la vasta problematicità derivata dalle particolarità del vissuto sociale contemporaneo. Questo dilatarsi di prospettiva e di impegno, ma anche di problematicità, richiede, a livello logico, un supplemento di chiarificazione e precisione, ad evitare confusioni, eccessività, incomprensioni, guasti.

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J.J. Rousseau, nel primo capitolo dell’Emile, afferma che ciascuno di noi è formato da tre specie di maestri: la natura (= lo sviluppo interno delle facoltà e degli organi); gli uomini (= l’uso che ci vie-ne insegnato a fare di questo sviluppo); e le cose (= l’acquisto dell’esperienza personale relativa agli oggetti). Con volontà di una maggior precisione, dopo gli anni venti, i pedagogisti cominciarono a distingue-re tra educazione intenzionale e educazione funzionale. Con educazione intenzionale si vuole carat-terizzare quella serie di azioni e interventi voluti e specifici, predisposti esplicitamente secondo un certo ordine metodico e posti da chi ha compiti e responsabilità educative, individualmente e/o col-lettivamente, in vista di favorire e promuovere il processo formativo della personalità dei soggetti di educazione Con educazione funzionale s'intendono le incidenze più svariate sulla personalità in sviluppo, che sortiscono senza piano né scopo dalle forze socio-culturali, politiche, economiche, dall'ambiente naturale, dai grandi avvenimenti storici e dei piccoli accadimenti quotidiani. In termini simili oggi si parla di educazione informale (= le influenze dell’ambiente e delle dinami-che della comunicazione sociale), di educazione diffusa (= iniziative od occasioni istituzionali o contestuali con vasta risonanza formativa, come quelle che vengono dall’organizzazione dello sport, dal mondo del divertimento o dall’associazionismo), e di educazione formale, appositamente messa in atto da quello che viene detto il sistema sociale di educazione, o, ancora, di educazione non formale, ad indicare quelle azioni intenzionalmente educative, ma messe in atto senza troppo badare alla sistematicità, alla sequenzialità programmata o alle verifiche controllate di esse (come capita molte volte nell’educazione familiare o in quella dei gruppi spontanei, rispetto all’educazione scolastica o a quella di corsi di studio o di formazione professionale). Quel che appare abbastanza evidente è che la crescita personale e la sua formazione impegnano isti-tuzioni e persone in una vasta gamma di azioni (= azioni formative). All'interno di esse, l’educazione sembra caratterizzarsi per l'attenzione alla globalità e alla unitarietà della vita persona-le. Proprio per questo, ha da tener conto dell'intera sfera di rapporti di cui è intessuta la vita umana (in tal senso si parla di «forme dell'educazione»: educazione fisica, psichica, intellettuale, morale, estetica, religiosa, tecnico-professionale, ecc.). Anzi l'educazione sembra trovare il suo «proprium», cioè la sua modalità diretta e specifica, nel ri-ferirsi alla strutturazione organica della personalità umana e del suo comportamento storico, co-sciente, libero, responsabile e solidale. In questo orizzonte di senso vengono ad essere qualificate educativamente le altre attività formative (l'apprendimento, l'insegnamento, la formazione culturale, gli interventi metodici di socializzazione e d’inculturazione, l'addestramento, l'allevamento, il sano sviluppo biopsichico): in modo tale che l'essere umano sano, colto, socializzato, competente, pro-fessionista sia persona e viva autenticamente. Per tali motivi è da dire che forse solo mediante un'indagine approfondita sulla vita e la libertà u-mana si potrà comprendere meglio e più adeguatamente il significato specifico dell'educazione: nel senso che si fa opera propriamente educativa solo quando si aiuta a crescere in «umanità», quando si agisce per la «genesi della persona», quando si fa opera d'iniziazione all'agire libero e responsa-bile, eticamente valido e operativamente capace. Ma è evidente che a questo livello risulta preponderante l'influsso delle concezioni che si hanno del mondo e della vita e più in particolare della immagine che si ha dell’uomo e del suo destino.

3. L'educazione scolastica La scuola non ha il monopolio dell'educazione e non riesce a fare tutto. Deve collaborare

con le famiglie, con le chiese, con le diverse agenzie sociali, con i governi e gli organismi in-ternazionali, con il mondo imprenditoriale, con il sistema della comunicazione sociale, con l'organizzazione sociale dello sport e del divertimento, ecc.

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3.1. La specificità dell’educazione scolastica Però a scuola, e a scuola soltanto, si può (ho detto "si può", perché non sempre ci si riesce): - aiutare a riflettere in maniera sistematica e critica sulla cultura sociale, quella antropolo-

gica e quella scientifica, e sui modelli sociali di comportamento; - aiutare a correlare e confrontare pubblicamente e democraticamente l'esperienza persona-

le con le nuove tendenze della cultura e della vita sociale; - aiutare ad integrare ed arricchire l'esperienza e la cultura personale, grazie alla cultura

scolastica (la "paideia", che secondo Bruner dovrebbe esprimere il meglio della cultura socia-le: l'eccellenza della cultura), dando ad esse continuità (memoria, senso del presente, pro-spettiva di futuro), strumenti intellettuali per saper interagire con gli altri e con il sociale (ap-prendendo a vivere insieme con gli altri, direbbe Delors), offrendo e stimolando a trovare "ra-gioni" di vita (valori).

3.2. Le modalità dell'azione scolastica Gli insegnanti, sia come singoli sia come corpo docente (come ho detto, diventa centrale la

realizzazione della comunità educativa scolastica!) hanno a loro disposizione cinque grandi modalità di educazione:

1) si educa insegnando con competenza, cioè aiutando l'apprendimento con il dare informa-zioni corrette, valide, pertinenti, motivate, adeguate; evitando l'indottrinamento, ma pure l'i-gnoranza;

2) si educa con lo stile dell'insegnamento, cioè instaurando una relazione interpersonale e di gruppo positiva (che non è uguale a quella genitoriale per il forte tasso di intenzionalità che la caratterizza), sapendo comunicare correttamente (essendo congruenti tra ciò che si trasmette e il modo di trasmetterlo); evitando il plagio, ma pure l'indifferenza;

3) si educa con la maniera con cui si vive il ruolo e la professione insegnante (la testimo-nianza); evitando l'intolleranza della diversità ma pure il burocraticismo; lo spirito di crociata ma anche l'insignificanza.

4) si educa con il clima scolastico e con il senso di responsabilità (e di appartenenza) inter-personale e globale che si riesce a dare alle procedure e alla vita scolastica, evitando che di-venti una piazza ma pure una caserma.

5) si educa facendo fare tirocinio di libertà, di corresponsabilità e di cittadinanza democratica, già nell'apprendere e poi nella pratica scolastica, nel modo di intendere e vivere all'interno dell'istituzione scuola, pensata e attuata come comunità interagente con la più vasta comunità locale (come dice l'art. 1 dello Statuto delle Studentesse e degli Studenti).

3.3. L'educatività della cultura scolastica In risposta alla complessità culturale e sociale, oggi i pedagogisti hanno dato luogo ad una

nuova "antinomia" educativa, quella che oppone "disciplinaristi" (che si rifanno a Bruner e a Gardner) a "trasversalisti" (che si rifanno soprattutto a Morin.). Questi ultimi dicono che insi-stendo troppo sulle discipline non si riuscirebbe ad educare a leggere e trattare la complessità attuale dell'esistenza, rimanendo vittime dell'astrattezza "scientifica", del particolarismo, della specializzazione, dei contenuti delle discipline (per natura loro, sempre retrodatati aspetto alla realtà presente e alle tendenze di futuro).

Occorre piuttosto ricercare una via di integrazione, evidenziando però il ruolo educativo delle discipline e della cultura scolastica in genere. Infatti, sempre, ma specialmente oggi, in un contesto di rapido cambiamento e di "leggerezza" del sapere, la cultura scientifica resta una formidabile risorsa educativa, perché può dare senso di solidità e aderenza alla realtà co-me nessun altro.

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Più specificamente sono pronto a far vedere che una disciplina scolastica educa con i suoi contenuti, con il tipo di approccio alla realtà che esprime e con il punto di vista con cui guar-da il reale, con il tipo di logica che privilegia, con i metodi e le tecniche con cui ricerca ed ac-costa il suo oggetto, con il linguaggio tipico in cui si esprime, con le idee chiave con cui tesse la trama del suo discorso. Oggi, infatti, la coscienza scientifica, contemporanea (l'epistemolo-gia e l'ermeneutica scientifica) ha esplicitato chiaramente il senso del limite e della particola-rità della ricerca scientifica e per questo invita ad aperture interdisciplinari, a usare metodi non solo quantitativi, ma anche qualitativi, a ricercare alleanze per studiare problemi di confi-ne, di frontiera o questioni multi-disciplinari; ma ha anche il senso della storicità, della cultu-ralità e della politicità della ricerca e della produzione scientifica.

In questo senso, un rinnovato spirito educativo disciplinare può educare alla molteplicità degli approcci e dei linguaggi (dei metodi e delle tecniche) con cui l'uomo conosce, si rende ragione della vita, si accosta alla realtà ed affronta i problemi che la vita gli pone. Stimola a non fissarsi nelle proprie acquisizioni culturali, ma a sapersi confrontare e dialogare con a ap-porti. Offre chiavi di lettura molteplici (e non monocordi o schemi fissi). Invita ad aprirsi al-l'altro, altri, all'oltre, all'ulteriore, al di più di essere (e cristianamente al “di più” di Dio). Chiede di ascoltare, dialogare, aggiornarsi. Rende coscienti limiti storici e contestuali della cultura di appartenenza, ma anche dell’ impegno storico di persone e gruppi per conoscere di più, per essere più nel vero, nel bello, nel buono andando verso quell' “uno” che non nega le differenze ma le colloca un quadro di riferimento e in modi essere più ampi e più grandi.

4. Le “educazioni” La scuola è della società e respira la cultura e le tendenze della società. Essa pertanto deve

fare i conti con le emergenze socio-culturali che incidono sul vissuto delle persone e dei gruppi so-ciali e che chiedono di essere integrate o come si dice in termini filosofici “sussunti” dalla scuola e concretizzati nella sua funzione di trasmissione e di formazione culturale.

Per questi aspetti si parla in genere di “nuove educazioni”, appunto perché derivanti dalle nuove movenze (“trend”) dei processi storici, della cultura e dello sviluppo mondiale contempora-neo. E si dicono “educazioni” sia nel senso che investono il sentire, il fare, l’ agire e l’essere delle persone nella loro globalità sia nel senso che sono di carattere complesso, precategoriali, transdisci-plinari, trasversali rispetto alle discipline sia scientifiche che scolastiche. Appartengono più alla cul-tura vissuta che a quella scientificamente controllata e consolidata. Ma proprio per questo possono fare da tramite vivace tra la scuola e la vita, tra l’apprendimento esperienziale e l’acquisizione per-sonalizzata del patrimonio sociale consolidato di cultura e di scienza.

La Legge 53/2003 ne prende in considerazione sei e le pone sotto l’ambito disciplinare della «Convivenza civile», presa come sintesi delle «educazioni» alla cittadinanza, ambientale, stradale, alla salute, alimentare, all’affettività. Si crede, infatti, che nella società multiculturale e multireligio-sa che ci circonda, sia indispensabile e sufficiente convivere civilmente, nei rapporti individuali e sociali, non solo con chi gode della cittadinanza formale, ma anche con chi non l’ha, ovvero con chi non fruisce pienamente dei diritti civili e politici, ma non per questo, in quanto persona umana, è meno titolare dei diritti sociali Nelle indicazioni nazionali finora presentate, sono riferite global-mente ad ogni ciclo, ma specificate una per una.

Non si parla esplicitamente di educazione alla convivenza democratica o di educazione alla cittadinanza, né di altre “educazioni”, quali l’educazione alla pace, allo sviluppo, alla legalità, all’intercultura, ma forse queste sono pensate in qualche modo inglobate nell’ambito della convi-venza civile. Ad indicazioni a parte si rimanda per l’insegnamento della religione. Comunque, il tut-to può essere sviluppato ulteriormente nell’ambito della autonomia scolastica locale. E’ pur vero che le sorti di tale ambito non sono molto rosee (e rischiano lo stesso destino che in passato hanno avuto l’educazione civica o l’insegnamento dei principi costituzionali). Infatti non è né univoca, né

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consolidata la pratica di tale ambito di apprendimento/insegnamento scolastico. Le educazioni sono spesso nate e praticate più nell’extra scolastico associativo, formativo e del volontariato, che in ambito scolastico. A scuola e nella formazione professionale, in molti casi, sono state praticate co-me forma di progetto specifico multidisciplinare, ma senza una collocazione disciplinare specifica. Nella riforma Moratti, l’educazione alla Convivenza civile è vista non come «un’altra disciplina» di insegnamento che si aggiunge a quelle tradizionali. Né si prevede un docente che la svolga e ai cui sia affidata. Essa è pensata, piuttosto, come un percorso transdisciplinare che coagula, nella prospet-tiva di una modifica comportamentale e valoriale, tutte le attività didattiche di insegnamento pro-mosse dalla scuola sulla base delle Indicazioni nazionali. È, in questo senso, un compito di tutti i docenti e della scuola nella sua globalità.

Nonostante queste incertezze di tipo istituzionale, è da dire che “le educazioni” più che altre discipline permettono di praticare la gamma delle modalità educative proprie della scuola (di cui sopra si è detto). Infatti, oltre alla sistemazione critica, disciplinata e rigorosa dell’esperienza, della cultura e dei comportamenti pubblici, individuali e collettivi, secondo il grado di sviluppo cogniti-vo-evolutivo e il tipo di scuola, è richiesta una mentalità valorialmente orientata ad esse; come pure procedure regolamentari e relazioni interpersonali e di gruppo o istituzionali ad esse improntate. Anzi si presuppone che ne sia segnata l’intera prassi scolastica e la didattica, che vi siano strutture partecipative, stili e comportamenti democratici da parte di tutti e a tutti i livelli dei rapporti inter-personali e collettivi; che la vita scolastica sia organizzata secondo i modi di una reale comunità e-ducativa, dove è basilare il rispetto delle personalità degli allievi e del personale docente e non do-cente; la tolleranza positiva, l’apertura mentale, la responsabilità e la solidarietà; ed infine, occorre, che tutta la scuola o il centro di formazione professionale interagisca e collabori con le famiglie e con il territorio.

5. Educazione e educazione permanente: l’orientamento Nel processo di democratizzazione e di personalizzazione del sistema educativo scolastico e

formativo pubblico, la funzione educativa si è andata sempre più articolandosi nell’attenzione alle differenze personali, alle diversità di genere e di condizione sociale, alle diverse età della vita, alle varietà e alle carenze delle dotazioni individuali e sociali. Per questo si è ricompreso nel quadro più ampio dell’educazione permanente (= un'educazione per tutta la vita, di tutta la vita, in tutta la vita); nella prospettiva di una società educante e sulla ricerca di un sistema sociale formativo integrato (e non più solo scuolacentrico,), affidato oltre all'educazione intenzionale della scuola, delle famiglie e delle chiese, all'educazione informale delle associazioni, dei movimenti, del sistema del divertimen-to e dello sport o del sistema della comunicazione sociale e all'educazione non formale che si ha nella partecipazione alla vita associata. in vista di collaborare nel favorire e rendere effettivo il dirit-to di tutti e ciascuno ad un apprendimento umanamente valido per tutta la vita.

Parimenti si va dilatando il concetto di formazione, che rispetto al passato non viene più solo inteso come plasmare, o come adeguamento alla "paideia" sociale o ancora come auto-sviluppo ar-monico o come abilitazione ai ruoli sociali, ma piuttosto in una maniera molto vasta, come azione sociale che in qualsiasi tipo di sviluppo pone l' attenzione alla qualificazione "umana" (= libera, re-sponsabile, democratica, giusta) dell'esistenza nelle sue diverse età, nelle differenziazioni di genere (maschile-femminile), nelle differenze individuali, di gruppo e comunitarie. In questo ambito l’educazione scolastica e della formazione professionale hanno rivestito anche le forme della prevenzione (specie di quella primaria, cioè “preventivamente” rafforzativa e promozionale delle risorse soggettive e del contesto socio-culturale). E hanno arricchito la loro tra-dizionale azione di orientamento, non riducendolo a informazione "neutra" per indirizzarsi nello studio o nel lavoro, ma più intensamente concependolo e praticandolo come aiuto e stimolo a saper-si conoscere e collocarsi nel mondo con prospettive di futuro umanamente degno. In tal senso l'o-rizzonte dell'orientamento scolastico è costituito da una cultura della vita, dalla centralità della per-

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sona come luogo e fonte di valore, in vista di percorsi di apprendimento personalizzato, differenzia-to, autoformativo.

6. Dinamismo tra ragione e fede

In questa prospettiva educativa, chi è sorretto da un’ispirazione cristiana nella sua do-

cenza, intuisce abbastanza agevolmente la positiva correlazione che si può porre tra "saperi disciplinari" e intuizioni della vita e della ricerca di fede, in quanto, nella loro coniugazione, possono permettere, come con due ali, quel volo, quel movimento, tipicamente cristiano, di ricerca integrale di sé (e di incontro con Dio, fonte e termine di tale ricerca di senso): l'ala de "ratio" (filosofica, scientifica, teca logica, letteraria, artistica, musicale...) e l'ala della "fides" (quella del popolo cristiano, quella dei teologi quella dei mistici; quella predica quella vissu-ta, quella testimonia quella praticata...): l'Enciclica “Fides et Ratio” di papa Giovanni Paolo II lo ha mostrato in modo interessante. La fede nello Spirito Santo fa pensare ad un richiesta di “grazia” supplementare a questo sco-po; fa “sognare” la possibilità di avere i doni dello spirito (sapienza, intelletto, consiglio, for-tezza, scienza, pietà, timor di Dio), uniti alla la gioia di praticarli collaborando alla missione educativa della scuola e di ogni altra istituzione o azione educativa. Ed in tal senso risulta un’energia propulsiva per stili educativi forti ed autorevoli. All’educazione cristiana si chiede di aiutare le persone a far la sintesi tra maturità e qualificazione umana e una vita di adulti anche nella fede.

3. LA COMUNITÀ EDUCATIVA SCOLASTICA 1. L’organizzazione dell'apprendimento e comunità educativa: sfide e con-

tro-sfide La realizzazione di un progetto educativo richiede la convergenza delle intenzioni e delle convinzioni da parte dei membri della scuola; ed inoltre che essa stessa nelle sue strutture, nelle sue procedure, nella rete delle relazioni interne ed esterne sia organicamente armonizzata con esse, in vista dei fini da raggiungere che ne dicono la ragion d'essere. In tal modo l'istituzione scolastica verrebbe a concepirsi comunità educativa e didattica [= c.e.s.], soggetto e allo stesso tempo ambiente di formazione. Persone e strutture, procedure profes-sionali e comportamenti individuali sono chiamati a trovare convergenza ed unità in vista dell'effi-cacia nell'apprendimento e nella formazione culturale finalizzata alla formazione dell'uomo e del cittadino (fini generali della istituzione e della prassi scolastica). È appena da ricordare che ciò è in forte consonanza con la tradizione educativa cristiana, che da sempre ha considerato la scuola come “casa” e ha privilegiato sempre i rapporti interpersonali diretti, carichi di ideali ma anche di “amorevolezza”, di ragione e di cuore.

Oggi, nel clima dell’enfatizzazione della globalizzazione e delle esigenze produttive a tutti i livelli, si enfatizza l’antinomia tra scuola-impresa e scuola-comunità, tra scuola organizzazione e scuola comunità di vita. Sono antinomie o polarità da comporre e da far funzionare sinergicamente?

Peraltro, oggi ci si muove in un contesto di sfide e contro-sfide: il rapporto dell’Unesco (co-nosciuto come Rapporto Delors, ricorda che rispetto agli ormai tradizionali tre pilastri

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dell’educazione contemporanea (sapere, saper fare, saper essere) ce n’è un quarto, fondamentale per l’educazione del XXI secolo: “saper vivere insieme con gli altri”, vale a dire in maniera rispettosa e collaborativa. Non dovrebbe essere questa un’stanza a privilegiare un far scuola e una vita scolasti-ca (piuttosto che a fissarsi esclusivamente in un modello puramente cognitivo-tecnologico-economicistico), dando concretezza ad un modello più umanistico-solidaristico-personalistico?

In questa linea sembra invitare a muoversi anche l’innovazione costituzionale del Titolo quinto (soprattutto art. 117 e 118) che prospetta una composizione della Repubblica a partire dalle istituzioni più vicine al cittadino.

È da dire che la prospettiva si fa urgente anche in risposta alle esigenze di vita della nuova generazione, della società civile locale, nazionale e mondiale, che pure sono attraversate da tenden-ze opposte di individualismo, di separatezza o debbono sopportare fenomeni di anonimato, di mas-sificazione, di esclusione (magari dando luogo a forme di depressione, evasione, intolleranza, fon-damentalismo, disagio esistenziale profondo, ecc.), di distanza sociale e di burocraticismo vecchio e nuovo.

Certamente le esigenze di rapporti primari, diretti, caldi, coinvolgenti, solidaristici dovranno essere composte con le istanze di organizzazione, efficienza, produttività, in nome di quel “successo formativo” che spesso –seppure non senza una certa ambiguità – viene ad essere indicato come il traguardo concreto dell’apprendimento dell’istruzione scolastica o della formazione professionale.

2. Nel quadro dell’autonomia delle istituzioni educative e formative La prospettiva della comunità educativa oggi si pone nel quadro dell’autonomia delle istitu-

zioni scolastiche e formative. A livello sociale l’autonomia indica la capacità di governarsi con proprie leggi, all’interno di

uno stato unitario o confederato (vicinanza e diversità da "indipendenza"); di solito all’autonomia si congiunge la pratica del “principio di sussidiarietà”, vale a dire il principio per cui:

- c’è interazione e sostegno reciproco tra istituzioni del territorio, specie quando ci siano dif-ficoltà dell’uno o dell’altra o comunque secondo uno stile di rete e di solidarietà comunitaria (= sus-sidiarietà orizzontale);

- un’autorità di livello gerarchico superiore si sostituisce ad una di livello inferiore quando e nella misura in cui quest’ultima non sia in grado di compiere gli atti di sua competenza (sussidiarie-tà verticale). Si veda il nuovo Titolo V della costituzione, dove è prefigurata la comunità nazionale che per il servizio ai cittadini si organizza in un sistema che pare dai comuni, dalle città metropoli-tane, dalle province, dalle regioni e dallo stato. Non solo è rovesciato il senso del rapporto (non più centralismo, ma neppure semplice decentramento, ma focalizzazione di ciò che è più vicino e a ser-vizio dei cittadini che democraticamente hanno costituito e si esprimono nella Repubblica e si inse-riscono nell’Unione europea. In particolare il DPR 275/1999 ha instaurato un regime di autonomia delle istituzioni del si-stema educativo pubblico. Essa ha diverse dimensioni:

1) Istituzionale = possibilità e legittimità di una amministrazione e gestione senza ricorso di-retto agli organismi centrali, pur nel quadro del sistema sociale integrato di formazione e secondo delimitazioni concordate, non riducibili ad un semplice e limitato "decentramento" (-> Scuola come istituzione formativa).

2) Didattica = diritto di programmare attività curricolari e formative con caratteristiche par-ticolari in rapporto alla domanda formativa locale o di gruppo o degli stessi studenti (-> cfr. Curri-colo -> piani di studio personalizzati), magari “in rete” con altre istituzioni scolastiche o comunque enti o agenzie formative.

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3) Pedagogico-educativa = diritto di insegnare, istruire, formare secondo un peculiare pro-getto educativo di istituto o di scuola (=PEI o PES), pubblicamente riconosciuto nel quadro del plu-ralismo socio-educativo (-> pluralismo scolastico). 4) Di ricerca e sviluppo = diritto di fare ricerca da soli o in rete al fine di orientamento, spe-rimentazione, innovazione pedagogica, formativa degli operatori delle istituzioni scolastiche, di e-ducazione permanente a beneficio del territorio

L’autonomia scolastica si basa e è motivata sotto vari aspetti:

1) Il processo di progressiva democratizzazione della vita e delle istituzioni sociali, incluse quelle di formazione (protagonismo della società civile, responsabilità educativa delle famiglie, di-ritto educativo dei "soggetti sociali" (chiese, sindacati, gruppi, associazioni, consorzi di privati) e della/e comunità sociali (->contro il centralismo amministrativo e contro lo "stato-educatore").

2) Il pluralismo sociale e le differenze delle persone e dei gruppi sociali o delle peculiarità

locali, viste come ricchezza e valore, oltre che dato di fatto e di legittimità di essere e di manife-starsi.

3) L'adeguazione all'innovazione storica, tecnologica, comunicativa, vitale, da bilanciare con la tradizione e le particolarità culturali nazionali e locali.

4) L'attenzione e la risposta alle specificità e alle particolarità delle domanda formativa loca-li, territoriale, comunitaria o dei diversi "soggetti" sociali.

5) L'apertura e la rispondenza alla complessità e alla globalizzazione della vita e della cultu-ra, della produzione e del mercato internazionale (anzi: locale, nazionale, internazionale, mondiale).

6) L’Esigenza di efficienza e produttività formativa (-> contro il burocraticismo centralisti-co).

Occorre realisticamente essere attenti a che l'autonomia scolastica non accresca la differenza tra le scuole, tra zone e luoghi: in tal senso si pone la vigilanza, il controllo, e l'intervento di soste-gno degli organismi centrali dell'istruzione pubblica (= principio di sussidiarietà verticale e oriz-zontale) e la solidarietà sociale e scolastica.

3. Ragioni storiche e pedagogiche dell'ipotesi comunitaria scolastica

L'affermazione della comunità educativa trova le sue radici lontane in quel movimento che

tra il secolo scorso e questo nostro secolo ha cercato di vincere la componente "fredda" dell'orga-nizzazione e delle relazioni sociali (in cui diventano dominanti il momento del diritto, le procedure burocratiche, la relazione di scambio, i diritti dell'organizzazione e della funzionalità); a favore del-le componenti "calde" della convivenza sociale (che invece esalta i rapporti primari, il senso del-l'appartenenza, la solidarietà attiva, l'attenzione alle persone nella loro unicità oltre ogni regola, la spontaneità delle espressioni oltre ogni modello ufficiale predeterminato): cfr. la distinzione di F. Toennies tra società e comunità.

3.1. Ragioni storiche

Più direttamente essa è stata invocata da più parti (contestazione descolarizzatrice, pedago-gia dei cattolici, pedagogia democratica-deweyana, ecc.), attorno agli anni '70, come rimedio al bu-

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rocraticismo anonimo e alla finalizzazione funzionalistica o ideologico-politica, verso cui sembrava protendere la scuola nell'impostazione prevalente degli anni '60; ed insieme è stata proposta come strategia educativa globale per favorire un apprendimento attivo, responsabile, aperto alla vita so-ciale ed in cui la scuola fosse un esempio particolare di quel tipo di convivenza che si dice (e si vuo-le) appunto democratica, aperta ai bisogni del territorio ed aiutata dalle forze di esso a conseguire i suoi fini, in un quadro di società educante.

3.2. Ragioni pedagogiche

Si può quindi dire che verso l'instaurarsi della comunità educativa scolastica spingono: 1) il fenomeno della ricerca delle convergenze nel pluralismo socio-culturale; 2) l'esigenza sempre più sentita di un'istruzione personalizzata e di una relazione educativa (scolastica e didattica) di tipo dialogico, primario, rispettosa delle persona della loro vicenda e personalità; 3) la convinzione del-l'incidenza dell'ambiente nel corso dei processi formativi sia in senso negativo (da riequilibrare con un ambiente comunitario positivo) sia in senso positivo (e quindi tale che nel corso dei processi formativi si sia aperti ad esso) sia in senso ideale (cioè di impegno per creare ambienti sociali di ti-po comunitario-democratici e aiutare, attraverso la vita scolastica e la prassi didattica, a formare personalità capaci di inserirsi democraticamente nel territorio); 4) l'importanza di una comunità, di referenza concreta ed immediata, di stili comunitari e relazionali validi, di coinvolgimento persona-le e comunitario come sostegno dei processi di apprendimento; 5) ma non è da dimenticare la possi-bilità di inserire, in tal modo, il processo di apprendimento/formazione culturale scolastica nel pro-cesso di costruzione della cultura-paideia sociale(cfr. Premessa dei Programmi della scuola media del 1979, che prefigurano l’apprendimento degli studenti, come aspetto e momento della costruzio-ne della cultura e della vita democratica dell’intero popolo italiano).

4. Componenti della comunità educativa scolastica

Nella prospettiva tradizionale gli insegnanti e i dirigenti scolastici formavano gli alunni; gli alunni erano istruiti ed educati da essi.

Nel concetto attuale di c.e.s. invece tutti, seppure con modalità e responsabilità diversificate sono attivamente e responsabilmente implicati nei processi di formazione, come soggetti (e non semplicemente come fonti e destinatari) dell'educazione.

4.1. Componenti strutturali

Una comunità educativa scolastica suppone e si realizza sulla base di strutture che fanno da

obbligato supporto alle dinamiche relazionali scolastiche e all'azione didattica. Dalla loro buona qualità dipende il successo dell'apprendimento. Tali componenti sono "in-

dicatori" della qualità scolastica e quindi parte integrante della valutazione dell'istruzione e dell'e-ducazione di una scuola.

Concretamente sono: le strutture scolastiche; i servizi scolastici; le disposizioni legislative e gli apparati regolamentari; gli organismi di partecipazione, ecc...

4.2.Componenti "personali" Sono: 1) anzitutto gli alunni, primi ed insostituibili protagonisti della loro formazione; e punto di

riferimento fondamentale dell'azione della c.e.s. Essi partecipano all'elaborazione, all'esecuzione e

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alla verifica del progetto educativo e assumono responsabilità proporzionate alle loro capacità e al livello di formazione raggiunto; e magari propongono iniziative culturali e formative.

2) il personale docente e dirigente: costituisce un punto nodale della c.e.s., in quanto sono al punto di incrocio delle relazioni tra colleghi, alunni, genitori, personale non docente, autorità del territorio, opinione pubblica, ecc. Collaborano nella preparazione, realizzazione e valutazione del progetto educativo e dell'itinerario didattico.

3) i genitori degli alunni: in quanto principali responsabili dell'educazione dei figli, sono chiamati ad intervenire e collaborare attivamente nell'attività e nella qualità formativa del centro scolastico; con la loro presenza assicurano dall'esterno l'ambiente favorevole e il supporto sociale della scuola; sostengono, come parte interessata, il formarsi di un'opinione pubblica favorevole al sostegno e alla riforma scolastica e pedagogica.

4) l'istituzione titolare della scuola (stato, o altro): è presente direttamente o periodicamente con suoi rappresentanti nel gruppo gestore della scuola e attraverso di essi propone e controlla il conseguimento dei fini istituzionali da conseguire attraverso la scuola; promuove, mantiene ed ani-ma il carattere proprio del centro; segnala i principi e i criteri che sono da tener presenti nell'azione educativa e didattica.

5) il personale non docente ed amministrativo: che sovrintende al buon funzionamento delle strutture e dei servizi necessari per la vita scolastica.

4.3. Elementi dinamici Persone e strutture non esprimono ancora completamente il movimento interno della c.e.s.

Perché persone e strutture non siano semplicemente giustapposte occorrono alcune forze che danno coesione alla comunità e capacitano all'azione:

1) la rete delle relazioni interpersonali e comunitarie, organizzate e strutturate con supporti e procedure apposite;

2) gli ideali educativi compartecipati e magari sintetizzati in un progetto educativo scolasti-co, in cui tutti si riconoscono pur nel pluralismo e secondo un senso dinamico di compartecipazio-ne.

5. Funzioni educative della c.e.s.

Da quanto sopra si è detto emergono le fondamentali funzioni educative della c.e.s.:

1) essa, come soggetto globale, attiva i processi formativi, fondendo interventi diretti ed in-diretti; e come ambiente formativo favorisce l'adesione partecipata ai processi di trasmissione e di formazione culturale.

2) oltre che sostenere attitudini positive all'apprendimento, essa, attraverso la programma-zione e il controllo dell'itinerario formativo, proporziona il curricolo formativo proposto alle reali domande e possibilità degli alunni.

3) anzi essa, con il concorso di tutti i suoi componenti, può arrivare ad offrire nuove propo-ste culturali più calibrate alle situazioni concrete in cui si opera o alle innovazioni culturali emer-

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genti (soprattutto attraverso una programmazione di distretto ed in connessione con la programma-zione sociale del territorio in cui la comunità educativa è ubicata).

4) infine dal punto di vista educativo essa permette di offrire modelli di identificazione pro-porzionali e aiuta a creare nuovi simboli, cioè nuove strutture significative che migliorano la comu-nicazione e la cultura di tutti ed ognuno.

6. Esigenze strutturali della c.e.s.

Ragioni pedagogiche e ragioni storiche mettono in luce come l'affermazione della c.e.s. sia una dimensione costitutiva della scuola (cioè una condizione essenziale per il conseguimento dei fi-ni di essa) ed insieme una prospettiva ideale (a cui si deve dare il contributo di impegno di tutti e di ognuno e le pre-condizioni strutturali e procedurali perché possa esistere ed essere efficace).

A questo scopo occorre:

1) assicurare l'unità fondamentale di orientamento; e quindi concepire la c.e.s. come un fatto di crescita, piuttosto che come un'esigenza iniziale di consenso totale. Per questo si tratta di: (1) promuovere un processo di convergenza, per creare una visione comune sulla base del consenso ad alcuni valori di fondo; (2) rafforzare con mezzi opportuni il senso di appartenenza e di collabora-zione nell'elaborazione e nell'attuazione del progetto formativo; (3) curare la formazione permanen-te dei componenti della c.e.s. (aggiornamento professionale dei docenti, revisione comune dell'agire e dei risultati, approfondimento delle ragioni su cui è fondato il progetto formativo, ecc.). Ovvia-mente oggi, in un contesto di pluralismo occorre puntare sulla condivisione dei principi e dei valori di base; sulla convergenza pratica per la concretizzazione e l’attuazione del PEI o del POF; sulla le-gittima differenziazione per ciò che riguarda fondamenti, motivazioni, giustificazioni di ideali con-divisi e di comportamenti attuativi; sul dialogo, confronto critico per lo sviluppo, l’approfondimento, l’alternativa, il mutamento, l’innovazione, la sperimentazione, ecc.

2) favorire la partecipazione di tutti alla costruzione della c.e.s. e alla definizione e conse-guimento dei fini di essa. Per questo occorre: (1) assicurare un'adeguata informazione, mezzo indi-spensabile per condividere le decisioni e garantire l'esercizio della corresponsabilità; favorire la cir-colazione delle informazioni e delle decisioni tra i membri e i diversi settori che compongono la c.e.s.; prima delle deliberazioni, mettere a disposizione dati e motivi che possono aiutare un dialogo costruttivo con cui arrivare a decisioni compartecipate: (2) determinare i compiti specifici e lo spa-zio di intervento decisionale delle diverse componenti della c.e.s.; (3) determinare le responsabilità "personali" (cioè quelle affidate a ruoli e funzioni esercitati da persone e ordinati gerarchicamente); (4) costituire e sostenere il buon funzionamento degli organi collegiali di partecipazione (differenti da nazione a nazione...).

3) pensare e realizzare “comunitariamente” i processi di apprendimento: gruppo classe o in-tergruppi; favore per strategie e metodologie collaborative; forme di monitoraggio e di valutazione comunitaria dei processi, delle iniziative, dell’apprendimento, ecc.

4) creare un ambiente e un clima relazionale e procedurale positivo. Per questo occorre: (1) promuovere al massimo le possibilità d'incontro tra i componenti della c.e.s., in un clima costrutti-vo, superando relazioni puramente burocratiche; (2) creare una buona piattaforma di comunicazio-ne, attraverso concrete espressioni di rispetto, di fiducia, di apprezzamento, risolvendo positivamen-te nel dialogo i momenti di conflittualità; (3) promuovere la partecipazione di tutti alle attività for-mative extra-accademiche (momenti ricreativi, attività culturali o formative; iniziative para od e-xtra-scolastiche di vario genere ecc.).

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5) favorire l'inserimento attivo della c.e.s. nella realtà più larga del territorio, pur nel rispetto

dell'autonomia e della specificità della scuola. La c.e.s., in quanto realtà culturale e servizio sociale, occupa con diritto uno spazio civile e

partecipa al confronto civile sui problemi educativi e di formazione professionale dibattuti e sentiti nel territorio. Per questo: (1) essa richiede, opportunamente e secondo i reali bisogni, presenze cul-turali e civili del territorio nella scuola e nella didattica; (2) apre la didattica ai problemi del territo-rio, promuovendo iniziative didattiche e culturali (ricerche, dibattiti, seminari...) per la conoscenza e la coscienza consapevole di essi; (3) crea iniziative di servizio formativo, culturale o ricreativo, a-perte a tutti; (4) partecipa attraverso i suoi membri alle iniziative del territorio; (5) interviene per quanto è nelle sue possibilità alla vita degli organismi o al dibattito pubblici. Alla base c'è la coscienza del complesso intreccio etico e funzionale che sussiste tra scuola e società; e all'orizzonte c'è la prospettiva pedagogica e valoriale della società educante.

7. Riferimenti e orizzonti ideali civili ed ecclesiali In Italia queste idee sono state codificate giuridicamente e sono diventate parte della legisla-

zione scolastica, attraverso una serie di decreti-legge, di circolari emanate dal Ministero della Pub-blica Istruzione, soprattutto tra il 1973 e il 1974: essi sono solitamente detti "Decreti Delegati", ri-guardanti tra l'altro appunto gli organi collegiali e la partecipazione scolastica. Oggi dimostrano tut-ta la loro “storicità” e la loro limitatezza e insufficienza. A livello ideale è molto interessante l’inizio dello Statuto Studentesse e studenti (DPR 249/1998).

Come cristiani ci si può riferire utilmente alla teologia della chiesa-popolo di Dio e secondo la chiesa-comunione e sacramento di salvezza per il mondo (costituzione Conciliare “Lumen Gen-tium” e “Gaudium et Spes”); al documento CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, specie n. 54. 4. IL RAPPORTO EDUCATIVO

Il rapporto educativo può essere considerato la categoria centrale dell’educazione. Infatti, la

relazione e l’interazione a cui dà luogo o che lo esprimono, evidenziano come l’educazione, anche quando è rivolta al proprio sé (= autoeducazione), si pone sempre nell’orizzonte di un vivere comu-ne, all’interno di processi storici e di progetti personali e comunitari, nella concretezza delle intera-zioni e dei processi di comunicazione interpersonale e sociale, siano essi intenzionali o meno; all’interno di strutture ed istituzioni; nel concreto farsi di società storiche; nella continua interazione con l’ambiente; nella dinamica dei processi produttivi, culturali, civili. 1. Un modo di intendere l’intera azione educativa, le sue dinamiche, le sue ten-sioni

A ben vedere, la funzione educativa non è tanto funzione dell’educatore o dell’educando, ma piuttosto funzione di un rapporto tra persone, finalizzata ad uno scopo comune, sociale oltre che personale. In tal senso secondo alcuni il rapporto educativo costituisce il punto di partenza obbliga-to e realistico di ogni riflessione e di ogni ermeneutica pedagogica. Nel rapporto educativo si con-

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densano e si riflettono le cosiddette «antinomie educative», cioè la serie di contrapposizioni che di fatto o di diritto si giudicano presenti nel rapporto educativo in atto. Il termine antinomia (dal greco «antí» = contro e «nòmos»= legge), in senso letterale dice un contrasto tra leggi, tra affermazioni di principio. In logica sta ad indicare affermazioni reciprocamente incompatibili. L’esperienza educa-tiva mostra chiaramente la presenza di tensioni e contrasti (o perlomeno di polarizzazioni) nel modo di attuare e di intendere l’educazione nei suoi fini, contenuti e riferimenti contestuali (e si parla per questo di antinomie educative «materiali») o nei metodi e stili educativi (e si parla per questo di an-tinomie educative «formali»). Molte antinomie educative si colgono a livello di sistema educativo in generale e scolastico in particolare, ad esempio tra trasmissione e creatività, conformazione e personalizzazione, tra fini e mezzi, tra domanda educativa e risposta o proposta educativa, tra spe-cializzazione e formazione generale, tra cultura letterario-umanistica e cultura scientifico-tecnica, tra educazione contenutistica («materiale») e educazione critica ed abilitativi («formale»), tra edu-cazione intenzionale e educazione funzionale, tra scuola ed extra-scuola, tra istruzione e educazio-ne, tra scuola e lavoro, tra scuola privata e scuola pubblica, tra scuola statale e scuola non-statale, ecc. Ma nel rapporto educativo vengono a manifestarsi e ad essere attive le contrapposizioni presenti nella vita sociale, nei rapporti intergenerazionali o addirittura nella condizione umana in quanto ta-le: tra individuo e società, tra persona e istituzione, tra privato e pubblico, tra moralità e legalità; tra genitori e figli, tra adulti e giovani, tra tradizione e innovazione; tra l’ io e il proprio sé; tra essere e coscienza; tra essere e agire, tra essere e avere, tra gratuità e utilità, tra spontaneità e razionalità, tra oggettività e soggettività, tra essenza e esistenza, tra libertà e necessità, tra materia e spirito, tra corpo e anima, tra corpo e mente, tra immanenza e trascendenza, tra interiorità ed esteriorità, tra temporalità e eternità, tra maschio e femmina, tra uomo e mondo, tra uomo e Dio.

2. La centralità della relazione e della comunicazione

Tradizionalmente nel considerare il rapporto educativo ci si fissava sulle figure ed i ruoli delle persone che entrano in rapporto. E’ stato questo il luogo privilegiato delle trattazioni riguar-danti l’educatore, l’educando ed i rispettivi ruoli e funzioni all’interno del processo di sviluppo, di apprendimento e di formazione. Al presente, molte di queste questioni sono riprese a partire dal fenomeno e dai processi della co-municazione umana. L’accento, più che sulle persone, è posto sul processo. Più che al rapporto, sta-ticamente visualizzato nei suoi aspetti e nelle sue intersezioni, l’attenzione va in primo luogo ai flussi interattivi ed alle ripercussioni che essi hanno sulla crescita delle persone. Tale approccio ha il merito di porre l’educazione nel contesto del vasto mondo dei simboli e dei linguaggi, in quello del-la cultura e delle sue dinamiche, e nel complesso mondo delle relazioni interpersonali e sociali (an-che se ne oscura un po’ la dimensione di soggettività personale propria dei partners del rapporto). Peraltro grazie agli studi scientifici e filosofici sul linguaggio e sull’intersoggettività, si è potuto mettere in luce come il rapporto educativo concorra all’emergenza della soggettività e dell’identità individuale e comunitaria. Infatti, oltre ad essere in qualche modo costitutivo dell’io di coloro che entrano in rapporto, seppure in diverso grado e modo, oltre a farsi noti a se stessi e riconoscersi re-ciprocamente, nel rapporto educativo si partecipa alla creazione del comune patrimonio d’idee, di valori, di modelli di comportamento e di espressione che diciamo cultura. In tal modo si mette in ri-salto come l’educazione diventi momento di costruzione della comunità e del sentimento della cit-tadinanza.

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3. Nell’ambito della comunicazione, delle relazioni e dei rapporti interpersonali.

A dire il vero, come nota J. Dewey, ogni genuina comunicazione ha una valenza educativa, in quanto permette un allargamento e un mutamento della propria esperienza, dando adito ad una modificazione più o meno ampia dell’atteggiamento, del comportamento e della sistemazione men-tale ed affettiva, sia che si trasmetta o si riceva una comunicazione. All’interno del rapporto educa-tivo ogni azione educativa può essere considerata una comunicazione mediata da simboli. Una tale affermazione, nella sua generalità, ha il vantaggio di essere comprensiva della molteplicità di forme in cui si può tradurre l’intervento educativo e si può esprimere il rapporto educativo. Vi può infatti rientrare qualsiasi intervento che, come la comunicazione, può essere intenzionale o solo funziona-le, codificato o non del tutto codificato, derivante da fonti anonime o da persone concrete, diretta-mente o indirettamente, tramite parole o con altri mezzi. Ma indubbiamente si riesce ad immaginare più realisticamente l’intervento educativo se lo si colloca nell’ambito della comunicazione, delle re-lazioni e dei rapporti interpersonali e sociali. Come tale soggiace alle regole ed al gioco, alle struttu-re ed alle dinamiche caratterizzanti l’incontro e la comunicazione tra persone, con tutte le sue diffi-coltà, interferenze, guasti: fino alle forme di vera e propria incomunicabilità, soggezione psicologi-ca, reificazione personale, od altre forme patologiche. Similmente l’educazione appare come una relazione ed un processo interattivo (o, se si vuole, transattivo) nel senso che gli interscambi non sono riducibili alle sole intenzioni o contenuti verbali, ma implicano la creazione di atteggiamenti e di comportamenti globalmente personali con reazioni psicologiche e reinterpretazioni di sé, più o meno vaste, da parte dei partners del rapporto, seppure in diverso grado e modalità d’incidenza. Per designare le polarità del rapporto educativo, la pedagogia tradizionalmente, parla in modo schematico di «educatore» e di «educando». In effetti le due polarità personali del rapporto educati-vo, possono essere interpretate unidimensionalmente e singolarmente, cioè come un rapporto di io-tu, globale o sotto qualche aspetto, naturalmente nel concreto di una situazione di vita; ma possono essere interpretate e vissute pluridimensionalmente e collettivamente, ad es. come individuo-gruppo, gruppo-gruppo, collettivo, comunità educativa di educandi e di educatori pluriarticolata e magari plurifunzionale. Nel rapporto educativo non è senza incidenza la specificazione del «genere» maschile o femminile della relazione, la quale richiede pertanto una sua differenziazione nell’interazione educativa. Anzi non è possibile mettere tra parentesi il carattere strettamente intersoggettivo del rapporto, vale a dire la coscienza e il fatto di trovarsi di fronte a persone che hanno il loro nome e cognome, persone in carne e ossa, per cui in sede di pratica educativa e didattica sarà necessaria una precisa attenzione all’individualizzazione del rapporto stesso, non mai del tutto sovrapponibile alla interazione di gruppo o alle dinamiche collettive. 4. La specificità del rapporto educativo

All’interno del mondo dei rapporti interpersonali, il rapporto educativo si specifica per mo-dalità particolari e per gli scopi che regolano la relazione e la comunicazione interpersonale. In primo luogo il rapporto educativo presuppone una situazione relazionale fondamentalmente e specificamente asimmetrica, nel senso che i partners del rapporto non solo giocano ruoli ed assol-vono funzioni diversificate, ma intervengono in condizione di disparità per ciò che riguarda le di-verse esigenze vitali e per ciò che concerne esperienza di vita, attitudini, maturità personale, cultura. Si tratta di una disparità specifica, non assoluta, né necessariamente a tutti i livelli, e quindi con la possibilità che risulti inesistente o addirittura capovolta nel tempo o sotto qualche altro aspetto della vita personale. Ad un’attenta riflessione essa si mostra inoltre complementare, nel senso che nel rapporto educativo può trovare esaudimento il bisogno-aspirazione dei partners di partecipare al pa-trimonio sociale di cultura e di sentirsi coinvolti nel comune e generale processo di trasformazione e

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di liberazione personale e comunitaria (che fa da orizzonte di senso al rapporto educativo). In un ta-le contesto sono da assumere le espressioni di P. Freire, altrimenti piuttosto eccessive nella loro pe-rentorietà, secondo cui «nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, tutti si educano insieme». In secondo luogo il rapporto educativo (e la corrispettiva comunicazione e relazione) è da conside-rare come una particolare relazione di aiuto (Rogers). Essa nasce da una domanda (più o meno im-plicita o chiara, individuale e spesso chiaramente sociale) che appella ad un sostegno, ad un venire incontro in vista della promozione personale e della buona qualità della vita propria ed altrui (= re-sponsabilità educativa). E’ da notare che più che una semplice risposta riveste le forme di una pro-posta che legge, interpreta, educa (cioè assume criticamente, migliora, contestualizza) la domanda stessa in rapporto all’integralità delle istanze da essa avanzate. Proprio per tali caratteristiche oggi si parla sempre più dell’educazione come un «servizio alla persona» e lo si pone all’interno dei servi-zi sociali che danno attuazione ai diritti umani individuali e comunitari delle persone (nella fattispe-cie al diritto all’educazione, all’istruzione, alla buona crescita, alla formazione, ecc). In tal modo l’aiuto diventa un voler il bene dell’educando. E ciò è costatabile nella particolare tona-lità affettiva presente nel rapporto educativo, tale che fa parlare di «amore educativo» (con una sua base istintuale emozionale, denominabile «eros» educativo, ed un’espressione sentimentale, deno-minabile «affetto educativo»). Come in ogni altra forma di amore umano, specie quando il rapporto educativo raggiunge una certa consistenza relazionale, è facile che in esso si producano momenti di dolore e di gioia, di sofferenza e di soddisfazione, di crisi e d’incomprensione profonda, di attrazio-ne e di odio, di riconoscenza e di rancore, di attaccamento e di distacco, di gelosia e di indifferenza, di calore e di freddezza, di tenerezza e di aggressività, di incomprensione profonda e di finissima empatia, di momenti caldi e di routine noiosa, di differenza e di consonanza intellettuale ed emoti-va, etica e religiosa. 5. I caratteri del rapporto educativo

L’evidenziazione delle peculiarità del rapporto educativo permette di delineare agevolmente i suoi tratti essenziali. Esso può essere inteso innanzitutto come un rapporto «teleologico», cioè orientato secondo finalità, verso il conseguimento di obiettivi, con contenuti, appunto educativi, in quanto rivolti allo sviluppo e la formazione personale (e in tal senso differenziabili, almeno intenzionalmente e formalmente – anche se magari non materialmente – da finalità, obiettivi e contenuti di altro tipo, ad es. economici, politici, ecclesiali, ecc). L’intenzionalità educativa, può essere sperimentata e vissuta in forma co-sciente ed esplicita, ma anche in forma implicita ed indiretta o anche sotto forma vitale, immediata e intuitiva; o ancora a livello di coscienza collettiva, cioè come modo culturale di comportamento (che si produce in costumi, usanze, comportamenti e che è oggettivata nelle istituzioni del sistema sociale di formazione). Essa specifica e regola la relazione, la comunicazione e la dinamica del rap-porto educativo. E’ pure evidente che il rapporto educativo si realizza quando c’è effettiva comunicazione ed intera-zione personale in un quadro intenzionalmente educativo. Il carattere «dialogale» del rapporto edu-cativo è oggi particolarmente sentito dalla coscienza contemporanea. Tuttavia, anche in questo caso, non significa che l’incontro non vada soggetto a tensioni tra le polarità del rapporto educativo. Anzi il carattere dialogale può conseguire alla decisione di dare sbocco positivo ad esse. In effetti fa parte del rapporto educativo una intrinseca dimensione «dialettica» (ad es. nella linea del «controllo» lungo le polarità di dominanza-sottomissione, di autorità-libertà; oppure nella linea della «emozio-nalità» lungo le polarità di distacco-accettazione, di disistima, rifiuto, distacco o all’opposto di sti-ma, calore, simpatia; o ancora nella linea della «possibilità di educazione» lungo le polarità di au-to/etero-educazione, direttività/non direttività, educazione negativa/educazione positiva, auto-realizzazione/condizionamento).

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Il gioco dialettico del rapporto educativo mette pure in luce l’aspetto «dinamico» e «processuale» di esso, nel senso che si attua nel tempo, all’interno della vicenda storica delle persone e dei gruppi storici socialmente organizzati. E pertanto implica momenti privilegiati e di crisi; cicli e periodi soggetti a crescita ed a regressioni, a fissazioni e sviluppi; un laborioso apprendimento, pratico oltre che conoscitivo; una certa disciplina di vita, mentale, affettiva, volitiva e comportamentale; l’esperienza assimilativa ed elaborativa di quanto viene appreso; una gradualità ed un certo ordine di successione di contenuti, di atti, di metodi, di tecniche e di mezzi educativi; ed infine un certo re-siduo di tensione, non ulteriormente componibile, ma sempre suscettibile di trattamento in presenza di elementi di novità o di mutamento di intenzioni e di volontà. Ad evidenziare il carattere dinamico del rapporto educativo, nella tradizione pedagogica si è venuto a dire che etero-educazione ed auto-educazione stanno tra loro in rapporto inversamente proporzio-nale: la prima tende a diminuire e proporzionalmente l’altra ad aumentare. Al limite si può arrivare a dire che il rapporto educativo sa che il suo «destino» è di «morire» come tale cioè di ridursi sem-pre più e di venir meno, quando e nella misura in cui ormai chi è soggetto-educando ha competenza di guidare in proprio la crescita personale: un traguardo che non ha tempo stabilito, né unico. In molti casi il rapporto interpersonale continua. Quello che era l’educatore continua ad essere il padre, la madre, il sacerdote, l’amico, l’amica, il consigliere, il compagno, il concittadino con cui si fa strada insieme nella vita comune (e corrispettivamente quello che era l’educando continua ad essere il figlio, la figlia, ecc.). 6. La situazionalità del rapporto educativo: il fattore ambiente.

La rilevanza del contesto in qualsiasi comunicazione, invita a ricordare come nella sua di-namica la relazione educativa s’intreccia con i flussi comunicativi e con le procedure relazionali dell’ambiente in cui il rapporto educativo si compie come evento, cioè come un fatto umano storico, nel corso del tempo e in una situazione concreta. L’attenzione all’ambiente, non solo geo-fisico (l’habitat), ma sociale, culturale, simbolico (vale a dire quello che si viene a creare nella mente di ognuno a seguito delle stimolazioni provenienti dalla comunicazione interpersonale e sociale) è caratteristica della tradizione pedagogica. Infatti il rap-porto educativo si dà sempre all’interno di situazioni di vita informali o appositamente strutturate; e quindi assume carattere differente a seconda di esse e del come esse sono vissute. Il rapporto educa-tivo si realizza normalmente in istituzioni che accanto alla finalità educativa assolvono ad altre fina-lità (ad es., in famiglia, in parrocchia, nel sindacato, nel partito) o in istituzioni appositamente orga-nizzate e strutturate (scuola, associazioni educative, giardini d’infanzia, collegi, convitti, università, convegni, seminari, corsi, lezioni) od anche in istituzioni non direttamente educative (associazioni sportive, associazioni ricreative, teatro, luoghi d’incontro, ecc.). Quanto alla dimensione temporale si possono distinguere rapporti educativi relativamente duraturi (come capita nel rapporto madre/figlio) e rapporti educativi episodici, ma non per questo magari meno importanti o di minore efficacia educativa: si pensi a certi incontri, a certe conversazioni o dialoghi con amici, o con persone, o con grandi personaggi, in cui può essere deciso l’indirizzo di vita. Resta comunque che il rapporto educativo dilapida i propri tesori se non dispone di tempo e di luo-ghi, di mezzi e di strutture pertinenti per svilupparsi. 7. I Valori nella relazione educativa

Nel rapporto e nella comunicazione educativa non si bada solo all’incontro personale “o-rizzontale” o “frontale”. Certo esso è importante. L’incontro con le persone è fondamentale. Ma es-so stesso è sempre inserito in processi vitali e fa riferimento a mondi vitali. E parallelamente ha co-

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me suo cielo e orizzonte (= la dimensione verticale!) il mondo delle idee, dei valori e dei modelli di comportamento. Non ci si incontra a mente vuota o neutra. Non si è “puri” e senza interessi o senza attese. La cultura di appartenenza e di riferimento fa da trama dell’incontro interpersonale in genere e in particolare nel rapporto educativo che, come si è accennato, è del tipo delle relazioni “teleolo-giche”, cioè rivolte al conseguimento di un fine e proteso al conseguimento di obiettivi specifici e intenzionalmente voluti, prospettati, organizzati, programmati, operazionalizzati. 8. Condizioni e condizionamenti del rapporto educativo

Di solito, questa costitutiva ed originaria connessione del rapporto educativo con il mondo della natura, della civiltà, delle strutture e delle istituzioni economiche, sociali, culturali, politiche e religiose, viene considerata quasi solo come limite e condizionamento del processo formativo e dell’intervento educativo. Altrettanto spesso viene detto dell’apparato strutturale bio-psichico sog-gettivo. Ma tale modo di vedere è decisamente improprio. Infatti la corporeità umana nella sua struttura biopsichica, l’ambiente geo-fisico originario o variamente manipolato dal lavoro umano, le istituzioni culturali, sociali, politiche, economiche, religiose, le strutture della comunicazione inter-personale e sociale, la dimensione temporale-storica, sono, in senso proprio, condizioni normali ed essenziali dell’essere e del porsi del rapporto educativo. E’ pur vero che tali condizioni, in sé normali, possono diventare in concreto sorgente di condizio-namenti, d’impedimenti, di limiti e di determinismi, che interferiscono negativamente nel processo e nel rapporto educativo o lo rendono perlomeno arduo, dando luogo a squilibri, fissazioni o regres-sioni di personalità; oppure a forme varie di handicap o di insensibilità, frigidità, inerzia, passività, fissazione, egoismo. Ad altro livello possono configurarsi come massicce interferenze sociologiche, culturali, economiche, politiche, istituzionali, tecniche, come quando parliamo di massificazione, di omologazione, di manipolazione, di alienazione, di oppressione, di discriminazione, di pressione, di angoscia. Ma è nei confronti di tale fondamentale ambiguità delle possibilità e delle risorse, che va esercitato il carattere correttivo, integrativo o promozionale dell’intervento educativo e della ricerca pedago-gica. Riferimenti bibliografici APEL K.-O (1992), Etica della comunicazione, Milano, Jaca Book. BELLATALLA L. (Ed.) (1994), Linguaggio e comunicazione, Parma, Ricerche Pedagogiche. BERTIN G. M. (1975), Educazione alla ragione, Roma, Armando. BRETON Ph. (1995), L’utopia della comunicazione, torino, UTET. CARONI V.- V. IORI (1989), Asimmetria nel rapporto educativo, Roma, Armando. DE AUGUSTINIS M. (1993), La comunicazione educativa, Brescia, La Scuola. FRANTA H. (1977), Interazione educativa, Roma, LAS. HANNOUN H. (1975), Les conflicts de l'éducation, Paris, Les Editions ESF. MARESCA M. (1916), Le antinomie dell'educazione, Roma, Bocca. LAROCCA F. (1992), Il dialogo creativo, Verona, Morelli. LEVY P. (1997), Il virtuale, Milano, Cortina. LUMBELLI L. (1981), Educazione come discorso, Bologna, Il Mulino. PATI L. (1984), Pedagogia della comunicazione educativa, Brescia, La Scuola. PERETTI M. (1975), Autorità e libertà nell'educazione contemporanea, Brescia, La Scuola. PERUCCA PAPARELLA A. (1987), Genesi e sviluppo della relazione educativa, Brescia, La Scuola. PORCHEDDU A. (1984), Insegnamento e comunicazione, Teramo, Giunti & Lisciani. POSTIC M. (1983), La relazione educativa, Roma, Armando.

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RIVOLTELLA P.C. (1998), Teoria della comunicazione, Brescia, La Scuola. SARTORI G. (1997), Homo videns. Televisione e post-pensiero, Roma-Bari, Laterza. 5. MODELLI COMUNICATIVI E MODELLI EDUCATIVI Per comprendere realtà complesse usiamo dei modelli che semplificano la molteplicità della espe-rienza e cercano di darle una unità e generalizzazione di comprensione dei fenomeni indagati. Nessun modello è da solo onni-comprensivo, ma ciascuno aiuta a comprendere questo o quell’aspetto o dimensione della realtà in questione. Per questo si è cercato di considerare i modelli della comunicazione e dell’educazione: due realtà complesse, ma di alto significato umano, individuale e sociale. 1. I dati del problema 1.1. Comunicazione realtà complessa: 1) cfr. le molte forme di comunicazione: Verbale / non ver-bale; orale / scritta / pittorica / multi-codificata); 2) cfr. i molteplici tipi e livelli della comunicazio-ne: intra-personale (= con se stessi; cfr. Platone, Menone) – interpersonale - di gruppo (primario – faccia a faccia) - di massa (in massa, con i mass media, per la massa) - virtuale (on line) - “sociale” (ufficiale, procedurale, istituzionale) - extra-personale (tra macchine, intelligenze artificiali, robot, sistemi esperti), cosmica - “religiosa”- mistica... 1.2. Comunicazione, parola di moda, tra quelle maggiormente usate. Spesso si dice: “tutto è comunicazione”, siamo nell’epoca della comunicazione... ma la realtà spes-so contraddice queste affermazioni. E l’abbondanza e la diversità dell’uso del termine non depone alla sua chiarezza e precisione semantica. C’è il rischio che per dire tutto non si dica nulla. 1.3. Comunicazione, utopia della società della comunicazione = società democratica, del dialogo comunitario, società della trasparenza (Vattimo) 2. La ricerca di una adeguata comprensione Da circa cinquant’anni, la comunicazione è diventato un fenomeno umano e sociale sempre più stu-diato a tutti i livelli. Tuttavia è stato sempre prevalente un approccio specifico, specialistico, analiti-co, settoriale; con acute evidenziazioni di aspetti e di dinamiche interattive. Molto meno sono state provate piste di ricerca di tipo comprensivo, interpretativo globale. 2.1. Etimologia Una prima luce cercheremo di averla dall’etimologia stessa del termine:

a) “comunicazione” sinonimo di partecipatio = mettere in comune, mettere a parte qualcuno di, condividere con qualcuno, da parte di un soggetto, una qualità, un’energia, una carica, una attribu-zione, un privilegio, una parola (“sermonis communicatio”: Cicerone) perché diventi dote anche di altri; [da “com- munus” = compartecipare, condividere, scambiare (-si) reciprocamente (= con una osmosi bidirezionale, non secondo una traiettoria unidirezionale) un compito, una carica, un dono].

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b) sinonimo del greco koinonia = communio, societas = comunità che condivide [o non condivide] qualcosa (di valore -> bene comune = bene compartecipato o da compartecipare da tutti). 2.2. L’uso del termine negli ultimi decenni cfr. Dizionario Zingarelli: molti significati: dai “mezzi di e vie di trasporto” al controllo, scambio di informazione, messaggi, idee, emozioni; e accoglienza di significati legati alla tecnologia e agli stu-di della comunicazione (cibernetica, informazione, linguistica...).

2.3. L’aiuto dei modelli

(1) Il modello cibernetico (C. Shannon/N. Wiener e W. Weaver, 1949)

FONTE EMITTENTE SEGNALE MESSAGGIO RICEVENTE

DESTINATARIO RUMORE (MEDIUM)

Esalta la dimensione informativa / strumental-funzionale Linearità e circolarità del processo. Fortemente meccanica / tecnologica

Passività del ricevente. Poca attenzione al contesto. Più attenzione all’aspetto tecnico-sintattico (meno a quello semantico e quello pragmatico). Successivamente si è stati attenti al “medium” e al “feed-back”, “rumore”

Mezzi: - “presentational” = voce, faccia, corpo ; parole, espressioni, gesti - “representational” = libri, pitture, foto, scritti, decorazioni - “mechanical” = telefono, radio, TV, telefax....

▪ Cfr. gli sviluppi di W. Schramm/C.E. Osgood, che mettono in risalto il ruolo dei soggetti umani (e meno il ruolo del canale) e la loro reciprocità/interazione dinamica nell’emettere, ricevere codifica-re e decodificare e interpretare i messaggi.

(2) Modello linguistico(R. Jacobson, 1963;discepoli di F. de Saussure e di C.Peirce) - ‘Oggettua-lizzazione’ del destinatario

CONTESTO MITTENTE MESSAGGIO DESTINATARIO

canale fisico - CONTATTO - conessione psicologica CODICE

- Attenzione alla dimensione sintattica e semantica e meno a quella ‘pragmantica’ (feed-back) . [Cfr. anche gli studi psico- linguistici di K. Bühler]

- Evidenziazione delle funzioni dello scambio comunicativo-linguistico: 1. funzione soggettiva = autoreferenziale (“dice a sé”) (emotiva) 2. funzione referenziale = “parla di qualcosa” 3. funzione poetica = creativa / trasgressiva 4. funzione imperativa o incoativa = influsso sul recettore (conativa)

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5. funzione metalinguistica = “discorso sul discorso” 6. funzione fatica = rafforzativa (“ascoltata”…. “Chiaro!!”) - Attenzione alla referenza (contesto del discorso, cultura, realtà) - Attenzione alla codificazione (generi letterari)

2. 4. L’apporto della filosofia dell’intersoggettività I due modelli sopracitati rimangono basilari nello studio della comunicazione di massa, ma spesso vengono generalizzati ed utilizzati per ogni altra forma di comunicazione, non senza grossi limiti.

Per cercare di ridurre questi limiti, è utili richiamarsi al contributo della filosofia della intersogget-tività, da cui si possono ricavare altri due modelli di comunicazione:

Il modello io-tu di M. Buber (= L’altro di Levinas) Tu (= l’ Altro)

io — relazione — tu (= l’altro)

esso - Primato alla dimensione relazionale e quella della partecipazione - Rilevanza al dialogo. - Rilevanza del flusso “a due direzioni” e alle condizioni ‘etiche’ della comunicazione: alterità, li-

bertà, reciprocità, responsabilità (3) l’ermeneutica di Gadamer (rilevante attorno il 1985)

fusione di orizzonti orizzonte di senso ↑ pre-testo ← pre-comprensione testo storia lettore -------- ------------------ -------------- evento vissuto persona contesto comunità → nuova comprensione - Rilevanza del contesto ( = non c’ è testo senza contesto) - Rilevanza alla dimensione “partecipativa” - Senso della storicità, attenzione all’esperienza, al vissuto, ai processi e mondi vitali - Evidenziazione della processualità, dell’interazione, della soggettività, della comunità, della ne-cessità dell’interpretazione per passare dal vivere al fare esperienza, cogliere il significato 3. Osservazioni per l’uso

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Oggi tutti questi modelli sono messi in questione dallo sviluppo dei “new-media” computerizzati, dalle telecomunicazioni (internet, reti telematiche, telefonini, videogiochi...).

3.1. Resta importante ricercare delle costanti:

Nell’attuale situazione è più evidente che in passato la complessità della comunicazione. Per molti è impensabile arrivare ad una “definizione” unica e onnicomprensiva (altrettanto vale così per un modello “comprensivo” in grado di rappresentarne struttura e funzioni). Tuttavia, ciò non toglie che si possa cercare di avviare un minimo di lavoro di comprensione del fenomeno comunicativo. A questo scopo si metteranno in luce almeno alcune “costanti”:

1) la comunicazione costituisce l’essere umano, ne rappresenta la specificità più moderna. on-

tologica. L’homo sapiens è “homo communicans” (e per questo soffre fortemente la incomunicabi-lità, l’isolamento...;

2) la comunicazione è scambio simbolico, in cui intervengono in modo attivo e creativo tutti e due i soggetti. Tra emittente e ricevente c’è o ha da esserci almeno un po’ di reciprocità: l’uno e l’altro sono attori allo stesso titolo del processo di comunicazione(per cui si comprende quanto è grave quanto ciò non viene promosso, voluto, rispettato);

3) in gioco, nella comunicazione, non è soltanto la produzione/trasmissione di un messag-gio/informazione, ma la costruzione di un significato in vista di valori e di un’immagine condivisa del mondo (di qui la responsabilità individuale e sociale della comunicazione);

4) lo scambio simbolico, operato a partire dalla comunicazione, consente all’uomo di definire il suo sapere, la sua immagine della realtà, la sua identità personale e sociale, perché al contempo si costruisce la cultura e la realtà comunitaria. La realtà che noi conosciamo è una ‘realtà sociale’ più che ‘naturale’: non esiste una nostra conoscenza che non sia mediata dalla comunicazione cultura-le/interculturale.

5) oltre a questa dimensione personale, interpersonale e sociale la comunicazione ha anche una funzione “rituale”, serve cioè a rafforzare, celebrare il proprio essere personale, sociale e l’apertura alla trascendenza. aiuta nella fase di passaggio a un’altra situazione; guarisce o lenisce quanto di do-loroso non può essere evitato. La ritualità della c. è presente, con un significato più debole, anche in molte manifestazioni della cultura dei media: è sufficiente pensare Cfr. i riti “catartici” (= purifica-tori e curativi) della televisione, riti dell’appuntamento fisso con la fiction preferita, con la partita di calcio teletrasmessa, la partecipazione ai grandi avvenimenti del mondo (ad es.: i viaggi del Papa, i funerali di Lady Diana, la guerra del golfo, le torri di New York).

6) il soggetto umano vive all’interno di una rete di comunicazione interpersonali che non pos-sono prescindere dai contesti sociali, storici e culturali. Non esiste comunicazione che di questi con-testi non risenta.

7) peraltro sempre più si avvertono rischi di riduttivismi, evanescenze, assenze, vuoti, possibi-lità di dominazione, strumentalizzazione, alienazione... 3.2. coscienza dei problemi filosofici aperti In ogni caso rimangono aperti alcuni problemi di carattere teorico:

1. problema gnoseologico: la “verità” della comunicazione: il problema rapporto tra messaggio e realtà (specie oggi con lo sviluppo del cosiddetto mondo virtuale,

2. problema antropologico: chi è il “soggetto”? le agenzie che hanno in mano le informazioni, le banche dati? i poteri occulti e non occulti che commissionano i messaggi comunicazione. Che tipo di uomo si vuole se si persegue una comunicazione umanamente degna? l’interazione < relazione < soggettività individuale e comunitaria.

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3. problema etico: l’”etica” della comunicazione: la ricerca delle condizioni di possibilità di una comunità della comunicazione e di una società trasparente (rispetto, eguaglianza, giusti-zia, dialogicità democratica, responsabilità, solidarietà....)

4. problema “metafisico”, quello riguardante i limiti e l’oltre della comunicazione: è tutto co-municabile? o si dà e si deve dare l’indicibile, l’ineffabile? E’ tutto comunicabile? Che rap-porto c’è tra comunicazione e silenzio, ascolto, contemplazione mistica?

4. L’applicazione alla comunicazione educativa La comunicazione educativa rientra nell’ambito della comunicazione interpersonale e di gruppo. Ha al centro il rapporto e la relazione educativa, con le sue particolarità rispetto ad altri tipi di rapporto o di relazione (non è ad esempio una relazione di coppia! Normalmente non è una relazione tra pa-ri...). Per comunicare utilizza mezzi antichi e nuovi. Si serve dei mass-media e dei nuovi media. Sto-ricamente ha dato luogo a diverse maniere standardizzate di comunicazione, che potremmo chiama-re “modelli” di comunicazione. Ed ultimamente risente molto dei modelli di comunicazione che cir-colano nella comunicazione di massa o nella linguistica: non senza problemi. Accenneremo schematicamente ad un critica: 1) Il modello “testo/racconto” centrato: = l’insegnamento si basa su un testo o sul racconto di miti, idee raccontate o trasmesse dal maestro. Esso è:

- concreto, diretto, esperienziale, caldo affettivamente - aiuta il formarsi della continuità storico-sociale-culturale. - fortemente identificativo/partecipativo

ma: - omologante? - tradizionalista? - …e la creatività?

2) Il modello “docente-centrato” (oggi i guru, i maestri di vita): = l’apprendimento dipende dall’insegnamento e dalla cultura personale dell’insegnante/docente, che dirige il processo di apprendimento e riduce i recettori a “discepoli”, tendendo a plasmarli “a sua immagine e somiglianza”. Esso è:

- stimolativo/essenziale - rassicurante - fortemente identificativo per lo sviluppo della personalità e della mentalità.

ma: - crea dipendenza? - sviluppa un tendenziale autoritarismo? - quale cultura? - la cura delle modalità della comunicazione? - quanta attenzione a stimolare un pensiero critico?

3) Il modello pedo- centrato:

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= al centro non c’è il maestro, ma l’alunno/gruppo classe, che è come il sole attorno a cui ruota l’azione degli insegnanti e della scuola e di ogni forma di educazione (cfr. J. Dewey, Montessori, Decroly, Ferriere, Claparède....).

Esso fa: - attenzione alla vita, alle persone, al momento vitale, all’età, agli interessi… - dell’attività dell’alunno e del lavoro di gruppo il principio, il metodo e il fine dell’azione e-

ducativa ma:

- limitato alla “risposta” (confermativo, poco stimolante), senza molta “proposta”? - poco attento alla complessità e alla contestualità? - poco attento alla processualità e alla temporalità dell’apprendimento?

4) Il modello linguistico-tecnologico (processo centrato) = il centro è dato al processo di apprendimento, e lo si sviluppa secondo i modelli della cibernetica e della linguistica.

Esso dà: - attenzione alla processualità - evidenziazione del messaggio e del metamessaggio/ contenuto e relazione - attenzione ai codici, alle specificità dei media dei generi letterari (sintassi) - attenzione al contesto (rumore); - attenzione al feed-back - attenzione alla referenza e ai suoi diversi livelli

ma non è senza problemi: - oggettivizza il partner (l’alunno non è soggetto, ma destinatario, recettore) - unidirezionalità della comunicazione (non reciprocità, mentre l’educando spesso è fonte) - meccanicità (= non c’è molta libertà nel feed-back, mentre l’educazione ha a che fare con

l’attenzione, la libertà, la volontà, la significatività, la motivazione... - il messaggio è “neutrale” (mentre i contenuti educativi non sono indifferenti, qualificano…) - l’emittenza spesso dipende dalla…committenza (che può strumentalizzare il messaggio) - mentalistico-cognitivo (mentre la comunicazione educativa è globalmente personale).

Conclusione Si comprende come nell’educazione non è questione di modelli e di tecniche, pur non potendone fa-re a meno ed essendone potenziata. Ma resta che primariamente si affida alla validità del rapporto e della testimonianza personale, libera, rispettosa, ma anche propositiva e stimolativa.

LA RIFORMA SCOLASTICA: LE IDEE E LE LEGGI don Carlo Nanni (da: “La Scuola e l’uomo”, 2003/7, I-II) 1. Premessa Per chiarezza di discorso conviene tener distinti la riforma della scuola, la legge delega 28 marzo 2003. n.53 e l’attuazione della riforma della scuola portata avanti dal ministro Moratti.

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2. L’esigenza della riforma della scuola La scuola in tutto il mondo chiede un’incisiva riforma a motivo dei “nuovi scenari” internazionali venuti alla ribalta nell’ultimo decennio. Essi cambiano non solo l’economia, il modo di far politica, le strutture sociali, ma anche la cultura e la vita. Elenchiamo: 1) la globalizzazione economico-finanziaria e il mercato mondializzato (con reazioni “antiglo-bal”); 2) le nuove tecnologie informatiche, robotiche, telematiche (enfasi del “virtuale”) e delle biotecnologie (fino alla “clonazione” umana?); 3) l’enfasi quasi totale sui valori della qualità della vita (intesa quasi esclu-sivamente come benessere individualistico) e della produttività operativa (efficienza e successo); 4) forte pluralismo, complessità, sociale, multicultura (e quindi esigenza di intercultura); 5) etica e religiosità tra non senso e ricerca di senso, frammentazione e relativismo, insignificanza, indifferenza, nuove religiosità, impe-gno, ma anche fondamentalismo, intolleranza, razzismo... Rispetto a queste nuove tendenze, si nota una grande fiducia nell’educazione, nell’istruzione e nella forma-zione professionale, pur distinguendosi un modello prevalentemente cognitivistico-tecnologico (Cresson e la società cognitiva) e uno piuttosto umanistico-solidaristico (Delors e i “quattro pilastri”dell’educazione del 21° sec.: sapere, saper fare, saper essere, saper vivere insieme con gli altri). L’importanza dell’apprendimento per tutta la vita e di una scuola della società (più che dei governi o dello Stato). 3. Le ragioni della riforma scolastica italiana In particolare il sistema scolastico italiano chiedeva di essere riformato al fine di: 1) adeguare scuola e mondo del lavoro e della produzione (= scuola e modello di sviluppo); 2) rapportare positivamente scuola e partecipazione democratica (= cfr. le 6 nuove educazioni, che si fanno confluire nell’ “educazione civile”); 3) aiutare le persone-cittadini-studenti a saper vivere insieme (democraticamente) con gli altri nel pluralismo, nella differenza, nella complessità, nella multicultura, nel cambiamento, nella novità della vita e dei valori e persino nel conflitto esistenziale e sociale (= aspetto personalistico); 4) riordinare i cicli del sistema scolastico italiano che si era riformato “a pezzi” ( e senza la riforma della se-condaria di secondo grado) (= aspetto istituzionale). 4. I principi della legge di riforma 28 marzo 2003, n. 53 Si possono così individuare: 1) “concorrenza” tra nazionale e locale (ma fatta salva l’“autonomia delle istituzioni scolastiche” 2) educa-zione permanente (= apprendimento per tutta la vita) e tutela delle “pari opportunità” di apprendimento; 3) educazione e non solo istruzione e formazione professionale; 4) policentrismo educativo pubblico: tra scuola statale e scuola paritaria, tra scuola, famiglie, mondo del lavoro, università (seppure con un certo “neo-scuolacentrismo”?); 5) centralità del soggetto che apprende 6) la personalizzazione del curricolo (ma si tratta forse di un “neo-liberismo educativo”?); 7) ricerca di coniugare sempre e per tutti teoria e pratica, concettua-lizzazione e operatività (cfr. la complementarità tra discipline e laboratori); 8) ricerca tra acquisizione delle competenze, sviluppo spirituale morale e educazione alla convivenza civile: cfr. profili e le 6 educazioni convogliate nella educazione alla convivenza civile che è responsabilità dell’intera comunità educativa). 5. Le novità rispetto alla 30/2000 (Legge Berlinguer) Nell’assunzione di molti aspetti della 30/2000, la 53/2003 si distingue per: 1) la possibilità di ingresso a 5 anni e mezzo nella primaria (e quindi di un possibile anticipo terminale); 2) il primo ciclo di 8 anni e la sua articolazione/distinzione tra scuola primaria e secondaria di primo grado (il ri-torno della “media”?); 3) la reintroduzione del comportamento nella valutazione (art. 3,1 a); 4) l’introduzione della possibilità di due percorsi: liceo e istruzione/formazione professionale (che si continua con università e IFTS); 5) la possibilità dell’alternanza scuola-lavoro dopo il 15° anno; 6) abrogazione della legge dell’innalzamento dell’obbligo scolastico (art. 7, 11) e la riaffermazione dell’obbligo formativo (12 anni di formazione per tutti).

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6. I problemi aperti A prescindere dalla condivisione o meno dei principi su cui si fonda e dei modi discutibili con cui è stata “legiferata” (=la via della delega “blindata”), la legge mostra molti problemi aperti per ciò che riguarda la sua attuazione. Segnaliamo: 1) la formazione e il reclutamento degli insegnanti (art. 5) e la loro formazione continua (non dimenticando le nuove figure di sistema, come il cosiddetto “tutor”); 2) come si combineranno le indicazioni nazionali cur-ricolari (già di per sé problematiche nella loro determinazione) con la legislazione relativa al decentramento, al federalismo? che ne sarà dell’autonomia scolastica e del ruolo del collegio dei docenti nella determinazio-ne del curricolo? 3) Come e quanto peseranno le determinazioni relative alla valutazione dei crediti scolastici e la definizione degli standard minimi formativi di spendibilità nazionale non solo sugli esami di stato termi-nali e nella valutazione continua, annuale e biennale, ma anche nelle scelte didattiche concrete e nel “currico-lo latente” di insegnanti, studenti, famiglie, società? 4) come si attuerà il cosiddetto secondo canale; in parti-colare, quale sarà la sorte degli istituti tecnici? 5) come sarà realizzabile il doppio percorso del secondo ciclo 6) come si attuerà la legge sulla parità scolastica (e la legge sugli insegnanti di religione? 7) e più in genera-le: si va verso la liberalizzazione della scuola pubblica? 7) chi “comanda” la riforma: “i fini” della scuola o la copertura economica della riforma (se assurge a precondizione indiscussa e indiscutibile)? 7. Le sottolineature dell’UCIIM A conclusione, appare assodato che per l’UCIIM 1) vale “l’educazione prima di tutto” (che dà configurazio-ne alla “missione educativa” e che è da rendere “competente” nella professionalità docente); 2) altrettanto è da dire per l’istanza pedagogico-critica relativa all’ “integralità” del curricolo “con”, ma “oltre” le tre “i” (in-glese, informatica, impresa) care a molti (inclusa la formazione spirituale e morale di cui all’art. 2); 3) pari-menti è per uno “statuto” delle studentesse e degli studenti, considerati e trattati come persone, soggetti e protagonisti del loro apprendimento all’interno della comunità educativa d’istruzione e di formazione; 4)l’impegno per una scuola-comunitaria, laboratorio e tirocinio di pratiche di personalizzazione e di promo-zione di una cittadinanza democratica; 5) la preferenza per il modello umanistico-solidaristico dell’intero si-stema educativo pubblico. Per approfondimenti si rimanda a: C. NANNI, La riforma della scuola: le idee, le leggi, Roma, LAS, 2003.

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