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TEATRO STABILE D'INNOVAZIONE STAGIONE TEATRALE 2012-2013 sala Giancarlo Nanni TEATRO VASCELLO via Giacinto Carini n.78 info: 065881021 -065898031 Ufficio stampa Cristina D'Aquanno [email protected]

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TEATRO STABILE D'INNOVAZIONE

STAGIONE TEATRALE

2012-2013

sala Giancarlo Nanni

TEATRO VASCELLO via Giacinto Carini n.78

info: 065881021 -065898031

Ufficio stampa Cristina D'Aquanno [email protected]

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Per visionare tutta la stagione 2012-2013 www.teatrovascello.it

28 settembre

Inner Word Theatre

Medea’s Scream di Sašo e Mojtina Jurcer

regia Sašo Jurcer con Mojtina Jurcer produzione JURCER - Inner World Theatre Production Company - Maribor

Supportato dal Ministero della Cultura della Repubblica di Slovenia e Maribor - Capitale europea della cultura 2012

Ambasciata della Repubblica di Slovenia in Roma

Un sentimento di vendetta vibra nel corpo dell’attrice, fino a toccare il culmine della disperazione,

mentre compone e ricompone sul suo tavolaccio di maga, il corpo nudo e inerme di una bambola.

Medea conosce il proprio fato.

Un grande tavolo, coperto forse di terra, o di sabbia. Molti bicchieri, alcuni vuoti, altri riempiti di

liquido rosso. Il corpo, oramai fatto a pezzi di un bambolotto: membra sparse, e da un lato, rovinata,

la testa. In questo inquietante scenario, l’attrice slovena Mojtina Jurcer si cala nella nera vicenda di

Medea attraverso una partitura stringente di azioni fisiche e sonore. La sua è una dimostrazione di

virtuosismo. Una sfida alle regole del teatro. La funambolica prova di un’interprete che rinuncia allo

strumento più naturale in scena: la parola. Mentre la padronanza del gesto e l’espressività animale

della sua voce rendono palpabili e concrete, davanti al pubblico, le ultime ore della donna che il

mito vuole maga gelosa e madre assassina dei propri figli. In un rituale senza parole, come in un

sogno maligno, la seduzione di morte e la disperazione di colei che ha scelto di incamminarsi in un

viaggio senza ritorno.

Perché la storia di Medea è una delle più cupe nell’universo del mito, ma soprattutto è la più

conosciuta tra le vicende antiche legate alla figura dell’altro e dello straniero. Con occhi

contemporanei, noi vediamo in Medea una figura dell’alterità (è donna, è sapiente, ma soprattutto è

straniera, barbara), figura-tema problema presente nei testi classici, ma ancora aperta, viva e vicina.

Medea è in questo senso vicenda esemplare, perché il nostro tempo è segnato profondamente da uno

dei temi fondanti della Medea mitologica, cioè dal confronto-scontro di civiltà, e in generale dal

problema dell’alterità.

Appassionata, coraggiosa, maga, figlia del re della Colchide, la barbara Medea si innamora del

greco Giasone che è giunto nel suo lontano paese, sul mar Nero, per impossessarsi del vello d’oro.

Per Giasone Medea tradisce il padre, uccide il fratello, abbandona la patria, accetta di vivere altrove

come esule e sradicata. Ma l’atto che la distingue, con la selvaggia tragicità che soltanto i Greci

avrebbero saputo attribuire a una donna è quello che Euripide ha scelto di mettere al centro della

sua tragedia: l’uccisione dei figli, l’atto estremo con cui Medea si vendica dell’abbandono di

Giasone. Interamente costruita nella prospettiva dell’infanticidio, che costituisce per lei un punto di

non-ritorno, la versione di Euripide è quella che ha attraversato i secoli giungendo fino a noi, e che

si materializza ora di nuovo davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie, in questo suo grido.

Verso il teatro del mondo interiore

“L’interiorità è assai più interessate di ciò che si vede all’esterno” spiega il regista Sašo Jurcer, che

ha fondato nel 2005 assieme a Mojtina, l’Inner World Theatre, il teatro del mondo interiore.

Attraverso una serie di spettacoli teatrali autoriali e trasponendo i confini tra performance, teatro

fisico, danza contemporanea e opera moderna, rifiutano i fondamenti mimetici della tradizione

occidentale teatro, e sul palco sempre più intensamente tirano giù il sipario di un mondo materiale

passando dalla nozione di teatro come specchio del mondo al teatro come un gesto per il mondo -

dal corpo dell'attore in scena al corpo come un mondo.

Durante il processo di ricerca di "teatro del mondo interiore" hanno sviluppato un sistema di teatro e

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la recitazione metodo, che - sulla base di decompressione temporale e la decomposizione spaziale -

libera il corpo dell'attore dai confini fisici della esterno e - attraverso la calligrafia corporea di

interiori stati mentali - si connette alla drammaturgia di manifestazioni d’umano movimento

interno.

Oggi la compagnia è una formazione mobile, che realizza e modifica le proprie creazioni anche in

rapporto alla diversa natura dei contatti teatrali e al dialogo con i diversi pubblici. Helsinki,

Pietroburgo, Budapest, ma anche Alexandria, Yerevan e Chicago sono state altrettante occasioni in

cui i due hanno messo alla prova la dinamica delle loro idee.

Lo scorso anno questo theatro carovana si fermò a Mosca dove Medea’s Scream è stato

programmato nel prestigioso Festival Internazionale di Mosca SOLO (in cui l'Italia rappresentavano

attori Fabrizio Gifuni e Severio La Ruina e l'anno prima Sonia Bragamesco) e principale quotidiano

russo IZVESTIA ha proclamato spettacolo MEDEA’S SCREAM come "una delle produzioni più

importanti". Come mediterraneo co-produzione (Slovenia, Croacia, Montenegro) dopo sfondamento

in Europa centrale al Festival MITTELFEST09, il successo dal pubblico greco al Festival delle

nuove forme teatrali a Salonicco, quest'anno Medea’s Scream fa parte dei due progetti simultanei di

Commissione europea: Capitale europea della Cultura - Maribor 2012 e Anno del dialogo

interculturale UE-CINA 2012. In novembre Medea’s scream e sarà presentato al festival che ha

carattere globale al ACTFEST (festival asiatico di teatro contemporaneo) organizzato dal

SHANGHAI DRAMATIC ARTS CENTE.

“Come un “teatro laboratorio” teatro del mondo interiore è incessante nei suoi sforzi per

indirizzare la ricerca in avanti nel teatro e fissa quindi nuovi standard in modi inaspettati, per

scoprire i suoi territori nascosti e sconosciuti. Contemporaneamente si tratta di un centro di ricerca

teatrale nella produzione e il riorientamento del teatro di aprire nuovi orizzonti per il teatro,

sperimentando con la sua tradizione, interazione tra tradizione e innovazione e di costruire un

ponte tra tradizione e sperimentazione.”

Sašo Jurcer

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19-20-21 ottobre

Pierfrancesco Pisani e Trento Spettacoli presentano

Mariangela D'Abbraccio

Marilyn Monroe Fragments tratto da Marilyn Monroe Fragments. Poesie, appunti, lettere di Marilyn Monroe

prefazione di Antonio Tabucchi, Feltrinelli, 2010

musica dal vivo di Raffaele Toninelli (contrabbasso)

regia Carmen Giordano

«Mi aprono … e non trovano assolutamente nulla … è uscita soltanto segatura così

sottile – come da una bambola di pezza – e la segatura si sparge sul pavimento e il tavolo».

Un incubo agghiacciante. L’incubo di Marilyn Monroe, bellissima diva di Hollywood eternamente

infelice.

Questo e molti altri pensieri fluiti dal suo sé più intimo si trovano in “Marilyn Monroe Fragments”,

uno spettacolo che restituisce i pensieri e le confessioni che per anni l’attrice ha custodito in alcuni

taccuini rimasti avvolti nel buio per anni.

Oggi, dopo il ritrovamento, rivedono la luce e plausibilmente andranno a confondersi in quel vortice

di dicerie, ricordi, racconti che per anni ha alimentato il mito di Marilyn Monroe. Oppure no. Le

verità che Marilyn ha annotato sulla pagina in modo disordinato, quasi convulso, forse la

riscatteranno per sempre,

mostrandola così come realmente era: sensibile, sofferente, dotata di una vena poetica

insospettabile.

«Oh Dio come vorrei essere morta/assolutamente inesistente/scomparsa da qui/da ogni posto»,

scrive negli anni cinquanta. Il decennio della svolta per lei, del successo a Hollywood e della fama

internazionale. La sua vita sembra una favola: gira “Quando la moglie è in vacanza”, film

indimenticabile che farà di lei un’icona sexy, sposa il famoso giocatore di baseball Joe Di Maggio,

frequenta il jet set statunitense, compresa la famiglia Kennedy. Eppure i fantasmi del passato sono

ancora concreti come blocchi di pietra sul suo petto, tanto che lei sente il bisogno di trasferirli nella

pagina, come a volerli intrappolare per sempre nell’inchiostro: lo stupro subito a dieci anni per cui è

stata brutalmente picchiata dalla zia, i giorni in orfanotrofio, l’uccisione del suo cagnolino Tippi, il

tradimento del primo marito.

In “Marilyn Monroe Fragments” seguiamo passo, passo la vita pubblica e interiore della star di

Hollywood, stupendoci di volta in volta dell’ossimoro che, insieme, le due dimensioni creano.

Marilyn scrive e scrive, qualcuno a distanza di 50 anni leggerà. Si addentrerà in un mondo intimo

fatto di confidenze lasciate alla carta, di lettere e vecchie fotografie e, abbandonato ogni

comprensibile atteggiamento voyeuristico, si lascerà commuovere dalla dolcezza e dalla fragilità di

una donna, di cui il mondo dorato di Hollywood ha sempre voluto vedere soltanto la disarmante

bellezza.

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dal 4 dicembre 2012 al 6 gennaio 2013

TSI La Fabbrica dell’Attore – Fondazione Teatro Piemonte Europa

FRATTO_X

di Flavia Mastrella e Antonio Rezza

con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista

con la partecipazione straordinaria di Timoty Granger

(mai) scritto da Antonio Rezza

Habitat di Flavia Mastrella

assistente alla creazione Massimo Camilli

Si può parlare con qualcuno che ti dà la voce?

Si può rispondere con la stessa voce di chi fa la domanda?

Due persone discorrono sull’esistenza.

Una delle due, quando l’altra parla, ha tempo per pensare: sospetta il tranello ma non ne ha la

certezza.

L’Habitat Fratto_X è una distesa di carne calda che genera figure antropomorfe. L’uomo porta

sempre con sé il colore del tempo visibilmente trionfante sulla pelle. Il cervello è l’orpello che

impedisce vigorosamente l’omologazione; la x, con destrezza nel tratto, sottolinea la centralità di

esseri completamente inutili.

Mentre l’ansia del presente sconvolge il passato, mentre uccelletti improbabili tracciano traiettorie

azzardate, lo specchio parlante costringe a pensare chi era lì per vedere, chi era lì per sentire, chi era

lì per subire la tirannia di chi si fa pagare per strappare l’arbitrio. Mai così poco libero.

«Qualcuno poteva forse pensare che, col trascorrere degli anni, il fenomeno Antonio Rezza-Flavia

Mastrella fosse destinato a trovare un po’ di pace, se non il senso della ragione; e invece questa

ragione ha sviluppato i suoi artigli fino a raggiungere la follia pura, ma elaborando il pensiero con

un’acutezza così forsennatamente logica da fare a pezzi la sedicente realtà, assunta e cavalcata con

criteri rigorosamente matematici». Franco Quadri

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10 dicembre

Maddalena Crippa legge

LA POESIA DI PIER PAOLO PASOLINI

Paolo Schianchi - chitarra

Il mio tributo alla parola poetica di P.P. Pasolini, si compone di due blocchi di poesie tratte da varie

raccolte : POESIA IN FORMA DI ROSA

LE CENERI DI GRAMSCI

TRASUMANAR E ORGANIZZAR

POESIE DISPERSE II

LA RELIGIONE DEL MIO TEMPO

Tutte le poesie sono tratte dai due tomi intitolati Bestemmia ed editi da Garzanti.

I due blocchi poetici sono inframmezzati da una parte che ho costruito unendo brani tratti da diverse

interviste, in cui Pasolini parla della sua infanzia e della poesia.

Il background Pasoliniano, Intervista rilasciata a Dacia Maraini, Altre interviste, Il sostrato mentale,

Pasolini su Pasolini, Il malinteso, Il sogno del centauro, Prefazione dell' intervistato, Dialoghi con i

lettori, Dichiarazioni, inchieste, dibattiti, ( Quasi un Testamento ).

Meridiani edizioni Mondadori

La scelta e' assolutamente personale ma attraversa tutta l' opera poetica di Pasolini che e' davvero

immensa, ad esclusione solo delle poesie in lingua friulana, per ovvie ragioni di comprensione.

Si parla sempre molto di Pasolini, artista poliedrico che ha lasciato enormi testimonianze della sua

arte, ma trovo che ancora troppo poco si conosca o raramente si abbia l' occasione di ascoltare la

forza e la dolcezza della sua parola poetica.

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dall’8 al 20 gennaio 2013

Teatro Stabile del Veneto

WORDSTAR (S) di Vitaliano Trevisan

con Ugo Pagliai Paola di Meglio e Alessandro Albertine

e con Paola Gassman

regia Giuseppe Marini

Note di regia

Sebbene poco incoraggiata, quando non decisamente maltrattata, la nostra drammaturgia

contemporanea mostra, malgrado tutto, importanti segnali di vitalità da cui si stagliano delle punte

avanzate di cui vale la pena occuparsi. Un plauso e un ringraziamento particolari, dunque, al Teatro

Stabile del Veneto e al suo direttore per questa esemplare e significativa controtendenza.

Wordstar(s) di Vitaliano Trevisan è, lo affermo subito e con imprudente faziosità, un testo

importante, a suo modo, un classico. In primo luogo per la sua qualità meta-testuale e

metadrammatrica, capace di fare del medium usato il proprio tema e la propria narrazione. Il

linguaggio e la scrittura diventano, in modo autoriflessivo, materiale del racconto, la forma stessa

diventa sostanza narrativa.

Ulteriore motivo di originalità e fascinazione, Wordstar(s) è scritto senza punteggiatura e con gli

‘a capo’ tipici delle strutture versali e funzionali alla proposta di una lingua artificiale, ricreata in

provetta, che aspira a farsi distillato purissimo, partitura.

L’artificio è tuttavia così abilmente condotto e sorvegliato da conservare al linguaggio il suo

simulacro di quotidianità. A ribadire la centralità tematica della scrittura, insieme al titolo (WORD

oltre al suo significato in inglese - parola - è anche, nel linguaggio del computer, un programma di

scrittura) lavora un sottotitolo, altrettanto suggestivo: ritratto di scrittore come uomo vecchio (mi è

parso subito il titolo di un quadro di F. Bacon e questa forte suggestione non ha mancato di

reclamare i suoi diritti e le sue urgenze in sede scenografica, nei costumi, nell’uso della luce e del

colore, appunto, alla Bacon).

Ma è la scelta dello scrittore a chiudere coerentemente il cerchio di questa profonda meditazione

sulla scrittura. E quale altro scrittore se non Samulel Beckett, che ha dedicato (sacrificato) l’intera

esistenza alla sua irriducibile ossessione per il linguaggio e che ha spinto la letteratura e il teatro al

limite delle loro (im)possibilità espressive, portandole al collasso per usura. Lo scrittore che,

partendo dal presupposto che l’immaginazione è morta e la vena creativa esaurita, corteggia l’idea

della fine della letteratura e della parola che si stempera nel silenzio da cui trae origine e a cui vuol

fare ritorno. Lo scrittore più fedele all’idea dell’arte come fallimento inevitabile (“essere artista è

fallire – scriveva – così come nessun altro ha il coraggio di fallire” o ancora “nessuna capacità di

esprimere… insieme all’obbligo di esprimere”).

Tenendosi al riparo dalla cronistoria o dalla biografia teatralizzata, Wordstar(s) narra (con libertà

immaginativa che ha consentito possibili e pertinenti pennellate bernhardiane nella composizione

del ritratto) gli ultimi giorni - o forse ore - di vita del grande scrittore, colto nella sua quotidianità

comicamente scandalosa. La vertigine del pensiero e il tormento creativo dell’artista si coniugano

con la tragicomica goffaggine dell’uomo, letteralmente in mutande, e di un corpo, cervello

compreso, che va in malora e che impedisce le più elementari attività quotidiane, come tagliarsi le

unghie dei piedi. Al flusso monologante del protagonista fanno da contrappunto le due figure

femminili di Suzanne e Billie – la moglie e l’amante - che nel loro chiacchiericcio post mortem,

logorroico e delirante, sembrano proprio (e così le ho trattate registicamente) due creature

beckettiane nel loro teatrino purgatoriale…così da avere sullo stesso palcoscenico lo scrittore e il

suo teatro in un alternante doppio registro con cui, a mio avviso, respira il testo-spettacolo. Analogo

trattamento, un po’ meno marcato, per la figura del giornalista-professore-biografo Knowson, che

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vagheggia fortune editoriali sulla vita di Samuel. Ringrazio ancora chi ha ritenuto di dover affidare

a me la cura registica di questo atto di nascita. Nel farlo ha forse tenuto conto di quella sorta di

primo amore per il gigante irlandese come nulla osta ad occuparsi di Wordstar(s), o, forse, per

favorire un avvicinamento di due beckettiani incalliti, quali Trevisan e me…

E grazie a Ugo Pagliai che ha immediatamente creduto nel progetto abbracciandolo col coraggio e

la spericolatezza del grande artista della scena… anche se abbiamo immediatamente escluso di

lavorare in maniera mimetica alla costruzione di questo ritratto, fare Beckett non era uno scherzo…

guardatelo e ascoltatelo: una meraviglia.

Giuseppe Marini

Note dell’autore

WordStar, il più diffuso programma di scrittura prima dell’avvento di Microsoft Word. Niente più

stelle, solo parole. Allo stesso modo, come un programma di scrittura ormai obsoleto, si spegne un

vecchio scrittore, Samuel – direttamente ispirato alla figura e alla biografia di Samuel Beckett –,

incalzato dal ricordo della moglie e dell’amante, entrambe inaspettatamente morte prima di lui, e

tormentato dalla presenza del direttore di una rivista di studi a lui dedicata, che cerca di carpirgli

un’ultima “illuminante” dichiarazione.

Vitaliano Trevisan

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dall'11 al 20 gennaio SALA STUDIO

NESSUNA PIETA’ PER PASOLINI

Ballata in prosa e musica

di e con Caterina Venturini al pianoforte Luis Gabriel Chami

Dal libro omonimo di Maccioni, Rizzo, Ruffino

Le rivelazioni inedite che hanno consentito di riaprire l’inchiesta sull’omicidio di Pierpaolo

Pasolini, con la speranza che si faccia luce finalmente su un delitto ancora impunito, su uno dei fatti

di cronaca più oscuri e inquietanti del nostro paese.

Una ricostruzione lucida e serrata delle ultime ore del poeta, con inserti poetici e musicali, tra cui

vibrano le canzoni scritte dallo stesso Pasolini.

Un altro tassello al teatro di narrazione in musica di Caterina Venturini, nell'occasione

accompagnata al pianoforte da Luis Gabriel Chami.

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25-26-27 gennaio

CHARLOT SRL

LA RICOTTA di Pier Paolo Pasolini

Antonello Fassari e Adelchi Battista progetto musicale di Lele Marchitelli

Dedicato a Pasolini

“Non è difficile prevedere per questo mio racconto dei giudizi

interessati, ambigui, scandalizzati. Ebbene, io voglio qui

dichiarare che comunque si prenda “la ricotta”, la storia della

Passione, che indirettamente “la ricotta” rievoca, è per me la

più grande che sia mai accaduta, e i testi che la raccontano i

più sublimi che siano mai stati scritti.”

Pier Paolo Pasolini

“LA RICOTTA” (1964) è un racconto che è diventato l’episodio di un film dal titolo

“RO.GO.PA.G.” prodotto da Bini. Siamo sul set cinematografico dove si gira un film sulla Passione

di Cristo. Stracci, il protagonista, che fa la parte del Ladrone buono, fra una pausa e l’altra della

lavorazione cerca di trovare di che sfamarsi, poiché ha dato alla moglie e ai sette figli il suo cestino.

Sullo sfondo, raccontati, i personaggi tipici del grande carrozzone cinematografico: il regista,

illuminato e assente, il giornalista inconsapevole marionetta del sistema, il produttore,la

Maddalena,le altre comparse. Una umanità fotografata nel suo rapporto con l’Assoluto e con il

profano, come in una sorta di Giudizio Universale, dove Stracci, il generico che diventa

protagonista, trasfigurato dalla ricerca del cibo, affronta un Calvario reale ma invisibile a tutti gli

altri.

Antonello Fassari

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dal 29 gennaio al 3 febbraio Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti

‘NA SPECIE DI CADAVERE LUNGHISSIMO

Un’idea di Fabrizio Gifuni materiali per una drammaturgia:

da Pier Paolo Pasolini “Scritti Corsari”, “Lettere Luterane”, “Siamo tutti in pericolo” (intervista di

Furio Colombo a P.P.P. dell’1/11/1975), “La nuova forma della meglio gioventù”, “Abbozzo di

sceneggiatura per un film su San Paolo”

di Giorgio Somalvico “Il Pecora”

Con Fabrizio Gifuni Disegno luci Cesare Accetta

Regia di Giuseppe Bertolucci

“Sono sempre più convinto che i teatri, oggi più che mai, siano il luogo dove poter giocare una battaglia

fondamentale per i destini culturali del nostro paese. Non mi vengono in mente tanti altri luoghi, come il

teatro, dove una comunità possa continuare a ritrovarsi, liberamente, per condividere un momento di pura

conoscenza emotiva.

Il corpo a corpo con lo spettatore fa del teatro un’esperienza unica e irripetibile. Il campo magnetico prodotto

dall’incontro tra il corpo degli spettatori e quello dell’attore può determinare, a patto che in scena accada

realmente qualcosa, un cortocircuito che non ha uguali dal punto di vista delle emozioni e della conoscenza.

Il teatro è anche uno degli ultimi luoghi dove si esercita ancora l’arte della memoria. Intesa sia come

mnemotecnica (gli attori sono gli ultimi depositari di questa disciplina) sia come serbatoio di una coscienza

storica collettiva. Per questo il teatro oggi fa più paura al potere.

Perché molti italiani ricordano. E non sono disposti a dimenticare. Perché molti italiani sanno che la

sistematica distruzione della memoria storica del nostro paese è stata e resta uno degli obiettivi più

pervicacemente perseguiti negli ultimi decenni. Perché azzerare e annullare il valore della memoria significa

poter dire e fare, oggi, tutto e il contrario di tutto.

Il progetto Gadda e Pasolini: antibiografia di una nazione nasce da questo: dal desiderio di organizzare un

grande racconto sulla trasformazione del nostro paese. Su ciò che eravamo, su ciò che siamo diventati o su

ciò che in fondo siamo sempre stati. Per capire cosa è accaduto, come sia stato possibile arrivare a tutto

questo. Una mappa cromosomica dell’Italia e degli italiani per orientarsi meglio in un presente troppo spesso

buio, opaco e pericoloso.

Ho iniziato così, circa dieci anni fa, un lungo ed entusiasmante viaggio con Giuseppe Bertolucci – che non

ringrazierò mai abbastanza per avermi accompagnato con il suo talento e la sua umanità – prendendo in

prestito le parole di due autori per molti aspetti diametralmente opposti per formazione, lingua e visione della

Storia.

Attraverso «studi» e passaggi successivi, hanno preso vita e corpo i due spettacoli ’Na specie de cadavere

lunghissimo (da alcuni testi di Pasolini e da un poemetto di Giorgio Somalvico) – andato in scena a partire

dal 2004 – e L’ingegner Gadda va alla guerra o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro (da due testi del

Gran Lombardo e dall’Amleto di Shakespeare), che ha debuttato nel gennaio del 2010.

Quello che ne è venuto fuori, a distanza di anni, è un doppio sguardo sulla nostra storia del Novecento,

feroce e inesorabile. Dove al «teorema pasoliniano» sulla mutazione antropologica di un intero paese si

aggiungono, come tessere di un unico mosaico, le note gaddiane sulla Grande Guerra e le sue annotazioni

psico-letterarie sul ventennale flagello fascista.

Due sguardi incrociati sulle dinamiche della grande Storia, spesso sorprendenti, dove termini come

progressista o conservatore cedono il passo alla sola forza di due intelligenze in continuo movimento.

I due autori, pure così distanti, si ritrovano sul terreno comune di un amore furioso verso il proprio paese,

partendo dalla loro personale tragedia privata. Due uomini che si conquistano sul campo la possibilità di

poter esprimere un giudizio su ciò che li circonda, solo dopo aver fatto a pezzi se stessi. È per questo, credo,

che le loro parole – come munite di una speciale forma di autorevolezza – sembrano avere, oggi, un peso

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specifico così grande. Da questa pratica autodemolitoria, da questo continuo far naufragio del proprio io,

credo derivi la forza dei loro ragionamenti, oltre che della loro scrittura. In questo esercizio spirituale e al

contempo laico risiede lo statuto etico del loro pensiero. Perché non basta esprimere un pensiero alto o

condivisibile, ma è necessario che chi lo esprime sia credibile per chi lo ascolta.

Gadda e Pasolini analizzano da differenti angolazioni i sintomi di quella piaga – antropologica prima che

storica – che fu il fascismo. Osservano la riemersione carsica (e dunque periodica) di quel liquame nero

presente nelle arterie del nostro paese, marcano differenze e continuità tra il vecchio e il nuovo, individuano

con precisione chirurgica i connotati endemici del fenomeno definito da Piero Gobetti – con lucidissimo in-

tuito, nel novembre del ’22 – «l’autobiografia della nazione».

Nel primo dei due spettacoli – ’Na specie de cadavere lunghissimo – l’emergenza drammaturgica nasceva dal

desiderio di distillare sostanze linguistiche dai sapori apparentemente opposti: la prosa politica e polemica

del Pasolini luterano e corsaro e gli endecasillabi inediti e sorprendenti di Giorgio Somalvico, che – in un

romanesco crepitante e reinventato – costringe in metrica il delirio dell’omicida, in fuga da Ostia, in

un’immaginaria scorribanda notturna alla guida dell’Alfa Gt.

Su questo formidabile poeta milanese – ancora incredibilmente troppo poco conosciuto rispetto al suo valore

– ci sarebbe molto da dire. Poeta, romanziere, autore di libretti d’opera, pittore, espressione della migliore

operosità ambrosiana, eppure schivo e appartato come Gadda, Somalvico nasconde nel ritmo

dell’endecasillabo tutti i segreti artigianali del suo sapere teatrale e musicale.

Grazie all’invenzione del personaggio di Piero Pastoso («Detto Rana – e nun Pecora né Biscia / comm’ a tutti

voantri ’n malafede / – ve pozzino cecà! – ve piasce crede...»), il testo dello spettacolo è in grado di operare

uno scarto semantico imprevedibile, trovando nei versi di Somalvico l’indispensabile anticlimax alle parole

di Pasolini.

E così il «teorema pasoliniano» – genocidio culturale, imbarbarimento consumistico, uso strumentale dei

media da parte del Nuovo Fascismo – si dispiega inesorabilmente in tutta la sua lucida disperazione,

delineando – attimo dopo attimo – i connotati dell’assassino. Generandone i tratti identitari, le de-

motivazioni profonde, «pensandolo», quell’assassino, prima ancora di incontrarlo, in un vertiginoso (quanto

involontario?) processo di invenzione. Una sorta di agone tragico (inteso come «scontro», ma anche come

«agonia») tra un Padre e un Figlio, vissuto in scena da un solo corpo e una sola voce, che de-genera, senza

soluzione di continuità, da vittima a carnefice, da dottor Jekyll a mister Hyde, in una reazione a catena

culturale e linguistica tutta da sperimentare. (..)”

Da “Gadda, Pasolini e il teatro, un atto sacrale di conoscenza” di Fabrizio Gifuni in “Gadda e Pasolini :

antibiografia di una nazione” (Minimum Fax, 2012)

"Per Eraclito il mondo non è altro che un tessuto illusorio di contrari. Ogni coppia di contrari è un enigma, il

cui scioglimento è l`unità, il Dio che vi sta dietro".

Continuo a trovare in queste parole qualcosa che si avvicina moltissimo a quel profondo senso di mistero che

accoglie la vita, l`opera e la morte di Pier Paolo Pasolini.

Quando alcuni anni fa iniziavo a pensare all`idea di uno spettacolo su Pasolini, è proprio in termini di

opposizione che il mio istinto si muoveva : padre e figlio, natura e opera d`arte, vittima e carnefice, erano

solo alcune delle antinomie che continuamente si affacciavano sul mio cammino. Ma anche il buio e la luce,

la violenza e la mitezza, Dottor Jekyll e Mister Hyde.

Certo, l`urgenza politica era altrettanto forte: Così forte - in questi tempi bui - da rischiare di travolgere tutto.

Il fiume si ingrossa pericolosamente e gli argini rischiano di rompersi. Ogni giorno che passa. C`era il

desiderio di raccontare la tragedia pubblica e privata di un poeta che aveva visto scomparire in soli tre lustri

il solo mondo in cui voleva riconoscersi. Il grido lacerante e disperato di un uomo che urlava nel deserto

contro l`immoralità e la cecità del vecchio Potere che stava aprendo la strada all`avvento di un Nuovo Potere

- di un nuovo fascismo - "il più potente e totalitario che ci sia mai stato." Ma anche la privatissima tragedia di

chi, in virtù di quella stessa catastrofe politica e antropologica che vedeva abbattersi sull`Italia, non

riconosceva più i "corpi" dei suoi amati ragazzi, che sembravano trasformarsi - sotto i suoi occhi - da

"simpatici malandrini" in "spettrali assassini". I suoi amati "riccetti" stavano cambiando maschera:

dall`innocenza al crimine.

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Ma quella frase, scritta da Giorgio Colli, nella sua Nascita della filosofia, proprio nel 1975, anno della morte

del poeta di Casarsa, ma riferita al grande sapiente di Efeso, continuava come un ragno invisibile a tessere la

sua tela.

E la lettura di Petrolio - un viaggio spericolato nell`ultimo dei labirinti - mi riportava ancora a quella linea

d`ombra: Carlo di Polis e Carlo di Tetis, protagonisti nella scissione del romanzo incompiuto, tornavano a

spaccare l`io. Come Paolo di Tarso. Come Paolo di Casarsa. Al centro del labirinto stava la bestia immonda.

Ma non era che l`immagine dell`eroe riflessa allo specchio. Passato a una Nuova gioventù, Narciso, al

termine di infinite danze, si inabissava nel suo specchio d`acqua.

"Io sono una viola e un ontano, lo scuro e il pallido della carne...", "io sono nero di amore, né Santo né

Diavolo...", "io sono un prete e un uomo libero, due scuse per non vivere...".

La frantumazione e l`ossessione dell`identità tornavano a commuovermi.

"Noi siamo perciò una persona sola (la Dissociazione è la struttura delle

strutture: / lo sdoppiamento del personaggio in due personaggi / è la più grande delle invenzioni

letterarie)"dice il poeta in Bestia da stile.

"Il Dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame", dice Eraclito in uno dei suoi frammenti.

Non mi restava che seguire il corso dell`acqua.”

Da “Appunti per uno spettacolo” – Fabrizio Gifuni - 2003

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4 febbraio Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti

UN'AMICIZIA IN VERSI

ATTILIO BERTOLUCCI PIER PAOLO PASOLINI

un’idea di Fabrizio Gifuni con Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni Il fiore profondo che si manifesta nel dialogo umano e poetico tra Attilio Bertolucci e Pier Paolo

Pasolini è il riconoscimento vicendevole dell’altro come diverso e assoluto. Il rispetto amoroso

dell’altro – così vicino, così distante.

A Roma, nel quartiere di Monteverde, nello stesso palazzo, vivono i due poeti – entrambi

“approdati” in quella città – e approfondiscono negli anni e nella consuetudine della familiarità un

rapporto destinato anche a dare testimonianza di sé nella forma della parola poetica.

In questa lettura, le voci di Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni si alternano per esplorare attraverso

il suono della parola il mistero luminoso di una amicizia.

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5-6 febbraio Teatro Franco Parenti e Sonia Bergamasco

in collaborazione con Centro Culturale Il Funaro

KARÉNINA – Prove aperte di infelicità di Emanuele Trevi e Sonia Bergamasco

da Lev Tolstoj

Con Sonia Bergamasco Regia di Giuseppe Bertolucci disegno luci Cesare Accetta

abito di scena Metka Kosak

tecnico luci Domenico Ferrari

Anna prima di diventare Karénina. Karénina prima di incontrare Tolstoj. Lo spettacolo – concepito

e scritto da Emanuele Trevi e Sonia Bergamasco - non è né un adattamento teatrale, né una rilettura

del grande capolavoro russo. Ma un’esplorazione. Un viaggio avvincente e curioso, stimolante e

sorprendente, alla scoperta di una Anna Karénina primigenia, personaggio alla ricerca del suo

autore, dagli appunti iniziali alla prima pubblicazione di quest’opera, avvenuta nel 1877.

Il talento di Sonia Bergamasco, capace di farsi vero e proprio strumento narrativo, conduce il

pubblico - con l’acuta e preziosa complicità di Giuseppe Bertolucci – nell’esperienza di un mistero

creativo.

Un pianoforte, un’attrice, le note di Čajkovskij , le parole di Tolstoj. Emanuele Trevi e Sonia

Bergamasco si sono messi a giocare attorno a questi elementi primari con la leggerezza e

l’innocenza (e la sapienza) di due bambini sulla spiaggia e hanno costruito un bellissimo castello di

sabbia, fragile e intenso, al quale mi sono avvicinato facendo attenzione a non rovinare quella

piccola meraviglia. La marea della messa in scena è salita, le onde hanno coperto tutto, ma

miracolosamente il castello è rimasto in piedi: la voce e il corpo di Sonia hanno costruito

fondamenta e mura impalpabili e indistruttibili, cementate da un talento raro, verso il quale mi

sento di provare prima ancora che ammirazione una sorta di stupore, venato di riconoscenza e di

gratitudine, come avviene quando ricevi un dono.

Giuseppe Bertolucci

…Karénina è un congegno sofisticatissimo: si svolge in un buio intimo, intorno e su un pianoforte a

coda, e vive sulla fisicità morbida di Sonia Bergamasco. A piedi nudi, un esile abitino, si dà con

leggerezza, innocenza, forte di una sapiente tecnica vocale e musicale (suona anche il piano),

guidata dal regista Giuseppe Bertolucci con la delicatezza di un cerimoniale. Un gioiellino: che

restituisce allo spettatore sentimenti che si ripresentano a noi intatti…

Anna Bandettini

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8-9-10 febbraio Teatro Franco Parenti e Sonia Bergamasco - Fabrizio Gifuni IL PICCOLO PRINCIPE di Antoine de Saint-Exupéry

Una lettura di Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni un’idea di Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco suoni di scena Rodolfo Rossi

disegno luci Cesare Accetta

datore luci Domenico Ferrari

fonico Matteo Simonetta

Due grandi interpreti della scena italiana - Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni - accompagnati

dal talento musicale di Rodolfo Rossi, restituiscono voci e suoni al capolavoro senza tempo di

Antoine de Saint-Exupéry.

Misterioso e lunare, il Piccolo Principe è un affascinante rompicapo che ipnotizza da quasi

settant'anni adulti e bambini di ogni latitudine.

Poniamoci in ascolto del suo mistero, consapevoli che solo l'infanzia è in grado di svelare e rivelare

"ciò che è invisibile agli occhi".

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11-12-13 febbraio

Libero Opificio Teatrale Occidentale TSI del Molise – Ferrazzano

TAMBURI DI GUERRA nine/eleven

ideato e diretto da Stefano Sabelli con

Percussioni Ketoniche

Graziano Carbone, Giulio Costanzo, Tony Conte Salvador,

Roberto Napoletano, Oreste Sbarra, Marco Tamburri

Stefano Sabelli, Diego Florio, Chiara Cavalieri, Aldo Gioia, Barbara Petti, Simone Vaio,

Mauro d'Amico, Giulio Marroncelli, Fabrizio Nocera, Massimiliano Vitolo

Ensemble Vocale Loto

Rocco Cavalluzzi, Florinda Ciccotelli, Ivana De Luca, Franco Di Rienzo,

musiche e direzione orchestrale di Giulio Costanzo

direzione del coro Ivana De Luca

regia, drammaturgia e scene di Stefano Sabelli

Liberamente tratto da opere di: Vyasa, Omero, Alce Nero, Alessandro Manzoni, Anonimo africano,

Ludovico Ariosto, Anonimi provenzali, Vittorio Alfieri, William Shakespeare, Torquato Tasso,

Manuel Cervantes, Nicola Jacobacci, Rafael Alberti, Neruda, F. De Gregori, D. Ciruzzi, Francis F.

Coppola, John.Millus, Bob Diylan, Fabrizio De André, Elsa Morante, Monicelli, Age e Scarpelli.

RITMI D'ARME, D'AMOR, D'AUDACI IMPRESE PER...

UN'IPNOTICA FAVOLA DI RUMORE e FURORE

Ideato e diretto da Stefano Sabelli, con musiche a cura di Giulio Costanzo, andato in scena la

prima volta ad Asti Teatro 2000, già ripreso e sempre con grande con successo nel 2003, la

nuova edizione di TAMBURI DI GUERRA rappresenta una rilettura antropologica della

Guerra alla luce di quanto accaduto dopo l'11 settembre, cui lo spettacolo è oggi dedicato.

Un viaggio poetico e musicale che intreccia, in scena, senza tempo e consecutio, ma per

assonanza e onomatopee, i versi dei molti autori che, dall’antichità ad oggi, hanno eletto “la

guerra” ad oggetto delle loro opere: Vyasa, Omero, Shakespeare, Cervantes, Ariosto, Tasso,

Monicelli, Morante, De Andrè, Bob Dylan, solo per citarne alcuni. Versi, che raccontano la guerra

in tutte le sue forme poetiche - siano esse tragiche, comiche, epiche, drammatiche o paradossali

- e che fanno da libretto ad una partitura atonale, sostenuta dal ritmo forsennato e spettacolare

dettato da Percussioni Ketoniche, ensemble di formidabili percussionisti cresciuti nel

Conservatorio “L. Perosi” di Campobasso, che più di un critico ha definito gli Stomp italiani.

Nell'ambito di una messinscena che avvolge e toglie il respiro, tutta intrisa com'è di “carne, sudore

e cuore”, l'unico contrappunto melodico, che svolge una funzione di riflessione distaccata e

catartica, è rappresentato dal suggestivo canto di Ensemble vocale Loto, quartetto che intona

antichi e nuovi inni di guerra. Un musical atipico e coinvolgente, dunque, ritmico e poco

melodico, con spettacolari coreografie e una coralità interpretativa degli attori (tutti i migliori della

nuova generazione molisana) che nel connubio con l’imponenza sonora delle percussioni trova il

suo punto di forza e suggestione. I ritmi e le spettacolari coreografie, aprono e chiudono quadri

scenici avvincenti e complessi in un apocalittico campo di battaglia dove percussionisti, attori e

cantanti, si muovono come un manipolo di guerrieri senza tempo. In particolare, questa nuova

versione dello spettacolo diventa una riflessione sul'11 settembre 2001, a dieci anni

dall'attentato alle Twin Towers. Infatti, oltre ad immagini e scene che riconducono

inequivocabilmente all'attentato al Trade World Center, messo in relazione con l'abbattimento dei

Budda di Bamyan in Afghanistan, che ha preceduto come un sinistro avvertimento la strage

perpetrata dal terrorismo islamico nel cuore di New York, sono stati inseriti, fra versi classici e

moderni ma comunque d'invenzione, anche brani tratti da discorsi pronunciati da Bin Laden, Bush,

Blair, Saddam Hussein ed altri protagonisti, volontari o inconsapevoli, di tutte le guerre che nel

mondo si sono generate a partire da quella fatidica data che ha cambiato il corso della nostra

storia.

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Dal 14 al 24 febbraio

LA BELLE JOYEUSE - Cristina Trivulzio Principessa di Belgiojoso

Di Gianfranco Fiore

con Anna Bonaiuto

regia Gianfranco Fiore

“Sanguinaria assassina” per il governo austriaco, “sfacciata meretrice” per papa Pio IX, “Bellezza

affamata di verità” per Heine, “Prima donna d’Italia” per Cattaneo; la figura di Cristina Trivulzio

principessa di Belgioioso suscitava tra i suoi contemporanei (e probabilmente susciterebbe anche tra

i nostri) giudizi estremi, definitivi e inconciliabili. Figlia del Rinascimento e dell’Illuminismo,

Musa del Romanticismo, cultrice delle storie passate e febbrile anticipatrice del nostro presente,

intellettuale, brillante, orgogliosa, stravagante, autoritaria, trovò principalmente nell’arte della

seduzione la forza di attraversare da grande protagonista l’epopea del Risorgimento italiano.

Seduzione intellettuale e sentimentale verso i maggiori artisti dell’epoca da Listz a Chopin a

Delacroix), seduzione ideale e politica verso elites patriottiche e donne e uomini del popolo. Con un

grandissimo senso della “messa in scena”, gli eccentrici arredi della casa parigina, i suoi

travestimenti, da damina di salotto a eroina guerriera, Cristina interpretò tutti i ruoli possibili nella

società dell’epoca, e sempre da grande, autentica attrice, con distacco critico, spesso ironico (“La

mia condizione di principessa e di esiliata servita a puntino a darmi aria da eroina da

commedia…”) E come ogni vera protagonista, lacerata da pulsioni diverse; frenetica, onnipresente

attivista fiduciosa in un futuro più libero, e insieme preda di profonde inquietudini personali, di

senso di inutilità, di sconfitta (“se è infelice chi vive un’esistenza mancata, è sventurato chi ne vive

molte…”). Così la definizione di “comedienne” affibbiatole per disprezzo dai suoi denigratori

riacquista oggi in lei tutta la sua profondità e il suo splendore. Seduttiva e opportunista con i geni e i

potenti, impudente e sarcastica con le massime autorità della Chiesa, dolce e materna coi ragazzini

del suo falansterio, dura con le debolezza dei patrioti, enfatica e trascinante nelle adunate popolari,

Cristina di Belgioioso sembra aver vissuto da eroina dei più diversi generi letterari, dal feuilleton al

romanzo d’avventura, dall’epopea alla tragedia, nascondendo costantemente il suo vero volto dietro

innumerevoli maschere.

“La belle joyeuse”, il monologo che proponiamo, vuol tentare di suggerire che proprio in tutte

queste maschere è la sua verità, perché ciascuna è stata vissuta, “incarnata” in modo così estremo,

generoso e totale, da divenire parte di un unico volto di donna problematica, contraddittoria,

egocentrica, ma assolutamente affascinante. Nessun intento agiografico, nessuna preoccupazione di

risarcimento storico alla sua figura dimenticata (basterebbero poche sue frasi, pochi suoi scritti a

riconsegnarla alla nostra più scottante attualità) ma solo un flusso di frammenti di ricordi, di visioni,

di emozioni, nostalgie, frustrazioni, filtrati dalla tenerezza, l’ironia, e l’orgoglio di una Primadonna

che al termine di una vita vissuta sotto il segno del coraggio, teme ora solo l’ultimo nemico: l’oblio,

“una morte più orribile della morte…”

Cercheremo di dare un profilo vivo, reale, alla donna che Balzac definì “più impenetrabile della

Gioconda”. E lo spettacolo riconsegnerà l’ultimo palcoscenico ad una voce dissonante, aspra,

appassionata, a tratti necessaria e illuminante anche per i nostri giorni. Restituendo così Cristina di

Belgioioso non al suo tempo, ma al nostro Gianfranco Fiore

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Dal 27 febbraio al 17 marzo

TSI La fabbrica dell’Attore – Odin Teatret

in collaborazione Fondazione Musica per Roma

LA VITA CRONICA

di Ursula Andkjær Olsen e Odin Teatret con Kai Bredholt, Roberta Carreri, Jan Ferslev, Elena Floris, Donald Kitt, Tage Larsen, Sofia Monsalve, Iben Nagel

Rasmussen, Fausto Pro, Julia Varley

regia Eugenio Barba

Dedicato a Anna Politkovskaya e Natalia Estemirova scrittrici russe in difesa dei diritti umani, assassinate da

sicari nel 2006 e 2009 per la loro opposizione al conflitto ceceno.

Personaggi: una Madonna Nera, la vedova di un combattente basco, una rifugiata cecena, una

casalinga rumena, un avvocato danese, un musicista rock delle isole Faroe, un ragazzo colombiano

che cerca suo padre scomparso in Europa, una violinista di strada italiana, due mercenari.

La vita cronica si svolge contemporaneamente in Danimarca e in altri paesi d'Europa nel 2031,

dopo la terza guerra civile. Individui e gruppi con retroterra diversi si ritrovano insieme e si

scontrano pressati da guerre, disoccupazione, emigrazione. Un ragazzo approda dall'America Latina

in cerca di suo padre scomparso. "Smettila di cercare tuo padre", gli sussurrano mentre lo

accompagnano di porta in porta.

Non è l'innocenza né la conoscenza a salvare il ragazzo. Sarà l'ignoranza a fargli scoprire la sua

porta. Tra lo sconcerto di noi tutti che non crediamo all'incredibile: che una vittima valga, da sola,

più di ogni valore. Più di Dio.

Testi: Ursula Andkjær Olsen e Odin Teatret Attori: Kai Bredholt, Roberta Carreri, Jan Ferslev,

Elena Floris, Donald Kitt, Tage Larsen, Sofia Monsalve, Iben Nagel Rasmussen, Fausto Pro, Julia

Varley Dramaturg: Thomas Bredsdorff Consigliere letterario: Nando Taviani Disegno luci:

Odin Teatret Consulente luci: Jesper Kongshaug Spazio scenico: Odin Teatret Consulenti

spazio scenico: Jan de Neergaard, Antonella Diana Musica: melodie tradizionali e moderne

Costumi: Odin Teatret, Jan de Neergaard Direttore tecnico: Fausto Pro Assistenti alla regia: Raúl

Iaiza, Pierangelo Pompa e Ana Woolf Regia e drammaturgia: Eugenio Barba

Una produzione Nordisk Teaterlaboratorium (Holstebro), Teatro de La Abadía (Madrid), The

Grotowski Institute (Wroclaw).

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dal 6 al 24 marzo SALA STUDIO TSI La Fabbrica dell'Attore

LA PORTA riduzione per la scena di Stefano Massini

dal romanzo di Magda Szabò

con Alvia Reale e Barbara Valmorin

La porta è un’indagine spietata sul legame che si crea fra due donne diversissime, all’apparenza

quasi opposte. Da un lato c’è la scrittrice Magda, agiata e sola, piena di dubbi e sussulti emotivi.

Dall’altro lato c’è lei, la cosiddetta “vecchia”: Emerenc, assunta come donna delle pulizie. Emerenc

rivelerà fin da subito una personalità singolare, fuori dagli schemi, sarà lei a stabilire le regole, le

ore di lavoro e la paga. Grande lavoratrice, silenziosa, emblema dell’ombrosità, eppure impeccabile

in tutto quello che fa. Ma soprattutto Emerenc non accetta di condividere niente con nessuno al

mondo: mantiene una distanza di sicurezza fra sé e gli altri e non permette ad anima viva di varcare

la porta della sua casa. La porta, appunto: un bastione sbarrato perfino agli affetti più cari.

Nascondendo cosa?

La porta è un romanzo che ci riguarda, senza eccezioni. Non solo perché nelle sue pagine scorre

tutta la storia europea del ‘900, ma soprattutto per quel dire senza mezzi termini – e talvolta con

verità insopportabile – quanto sia drammatico cercare un equilibrio fra affetto e premura, fra amare

qualcuno e consentirgli di essere se stesso, senza doverlo a tutti i costi “controllare”.

Magda Szabò unanimemente considerata la più importante autrice ungherese contemporanea, è

scomparsa nel 2007.

La porta, suo capolavoro, libro straziante e bellissimo trova finalmente un approdo scenico anche in

Italia, dopo i successi che l’hanno caratterizzato all’estero. Motore di questa appassionata iniziativa

è Barbara Valmorin, che proprio dalla Szabò ha ricevuto l’investitura – umana e artistica – per

portare in scena il testo: ne nasce un’inedita alchimia fra due attrici (Alvia Reale nel ruolo della

scrittrice) e il drammaturgo Stefano Massini a cui è stata affidata la versione teatrale.

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18-19-20 marzo

Lafabbrica

HANSEL e GRETEL. Il giorno dopo

3°capitolo della Trilogia dell’attesa

drammaturgia scenica di gruppo

da un’idea di Fabiana Iacozzilli con: Elisa Bongiovanni, Marta Meneghetti e Giada Parlanti

regia: Fabiana Iacozzilli

elementi e costumi di scena:Riccardo Morucci e Cristina Gaetano

Il progetto parte dal desiderio di reinterpretare alcune delle più importanti favole di tutti i tempi

mettendo al centro dell’analisi il mondo infantile come luogo di solitudine e di mancanza di

risposte.

Il punto di partenza del lavoro è la mia infanzia, il modo in cui da bambina ho vissuto l’incontro

con il mondo fiabesco e con la potenza dei suoi simboli. Ricordo la mia incredibile paura di fronte

alle immagini visive che le favole suscitavano in me e il mio totale smarrimento di fronte agli

interrogativi che mi ponevo. Interrogativi ai quali nella solitudine della mia stanzetta non riuscivo

a dare alcuna risposta: “ma perché un padre e una madre abbandonano dei figli al freddo e al

gelo? E perché preferiscono farli morire piuttosto che sacrificare la loro vita? Dunque bisogna

uccidere le vecchie donne per salvarsi?”.

L’unico insegnamento che avevo appreso e che mi tranquillizzava alquanto era che si dovevano

sempre avere dei sassolini in tasca per ritrovare la strada di casa e mai delle briciole di pane. E

così ho trascorso la mia infanzia con le tasche piene di sassi!

Oggi, grazie al saggio “Il mondo incantato” di B. Bettelheim, so che le favole sono fondamentali

per il bambino perchè trasportano nella realtà dei significati nascosti e lo aiutano ad elaborare le

proprie paure.

Nonostante questa certezza continuo a nascondere qualche sassolino nella borsa.

Fabiana Iacozzilli

TRILOGIA DELL’ATTESA:

Aspettando Nil - Quando saremo GRANDI! - Hansel e Gretel. il giorno dopo

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25 marzo

“CARISSIMO PIERPAOLO...”

di e con Maurizio Donadoni

Collage di testi su e di Pier Paolo Pasolini: un percorso nella vita e nelle sue opere dello scrittore,

in un gioco di rimandi che avvicina e mette a fuoco l'uomo, l'intellettuale, il poeta , il cineasta, il

romanziere, il viaggiatore, il tifoso del Bologna nonché calciatore in proprio: alcune insomma tra

le tante sfaccettature di cui la gemma “Pasolini” si componeva. Un avvicinamento per vie laterali

che sfiora e utilizza materiali in prosa e poesie, documenti visivi, scritti poco noti, curiosità

biografiche, lettere e testimonianze di amici, brevi di cronaca, referti di polizia, recensioni, risposte

ai lettori, reportage, sopralluoghi, perizie psichiatriche. In modo da comporre un ritratto trasversale,

più libero e meno “ufficiale”. Un' immersione nel ricco tormentato “corpus” Pasoliniano, diviso in

cinque capitoli, dalle prime esperienze friulane, all'impatto con Roma, dal cinema , al teatro, dal

viaggio in India con Moravia agli ultimi scritti profetici di “Petrolio”, passando per gli infiniti

processi, gli attacchi d'ulcera, le lettere a Silvana Mangano, Anna Magnani, Maria Callas, le

interviste a Ezra Pound e, perchè no, le amate partitelle di pallone dove, mezzala col soprannome

di “ Stukas”, Pasolini, come nell'arte, si buttava anima e corpo: nella vita.

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Dal 3 al 14 aprile

Emilia Romagna Teatro Fondazione

CLÔTURE DE L'AMOUR di Pascal Rambert

Traduzione Bruna Filippi

con Anna Della Rosa, Luca Lazzareschi regia Pascal Rambert

Un lavoro sulla crisi di una coppia, un lavoro sulla fine della loro storia d’amore.

Soli in scena in un grande stanza bianca, vuota, quasi asettica, un uomo e una donna si affrontano in

due monologhi taglienti che non arriveranno mai a farsi dialogo. È lui che inizia la conversazione

recitando un lungo e denso monologo che introduce il pubblico nei meandri della sua mente, alla

ricerca delle ragioni della fine del suo amore. I pensieri e le parole si fanno lame taglienti e

scintillanti, ordinate e pronte all’uso. Saranno solo alcuni impercettibili movimenti delle mani

e del corpo a tradire la lucidità apparente del suo ragionare, mentre vengono messe in fila le ragioni

primarie e secondarie del suo disamore. È il corpo che parla, che tiene le fila di questo lungo

monologo mentre le mani, la bocca, le gambe si spingono oltre lo spazio scenico.

Lei ascolta a lungo e attentamente, mentre il suo corpo sottile e delicato respira, arriva a toccare

acuti picchi di tensione emotiva per poi scivolare di nuovo nel più completo silenzio. Il corpo. Le

sue posture, sanno come creare silenzio, come chiedere silenziosamente. È come se dicesse: “E

allora? Sono qui. Sono qui (nonostante il mio silenzio) per riempire il tuo spazio. Sto aspettando. E

continuo a farlo”. Dopo un lungo e profondo respiro inizia anche lei la sua replica, per poi chiudere

il tutto con una tagliente frase assassina.

Pascal Rambert, drammaturgo e regista nonché direttore del parigino Théâtre de Gennevilliers,

introduce il pubblico in una vera e propria maratona tra paura e liberazione, tra domande e risposte

che si concatenano. È nella brutalità di una parola onnipresente, nell’incredibile rigore di una

scrittura fredda e aguzza che si esprime la forza universale di una pièce come Clôture de l’amour.

C’è il maschile e il femminile. Ci sono due sguardi, due silenzi, due dialoghi che esprimono con le

loro parole la potenziale violenza di un amore che muore.

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8 aprile TSI La Fabbrica dell'Attore – Centro Culturale Antinoo

FUOCHI

di Marguerite Yourcenar

con Manuela Kustermann

Fuochi si presenta come una raccolta di prose liriche, appunti di diario e racconti tratti dalla

leggenda e dalla storia. E' forse la più rarefatta e insieme autobiografica tra le opere della Yourcenar.

“Ho scelto Fuochi perché permette un avvicinamento alla lirica della grande scrittrice con uno stile

che definirei 'visionario'. Essendo costruito come un testo di frammenti di prosa e poesia, invita ad

un uso teatrale che non segue le regole tradizionali, ma si basa su suggestioni visive che ne fanno

una perfetta tavolozza da usare come un puzzle.”

Manuela Kustermann

“Non c'è nulla da temere. Ho toccato il fondo. Non posso cadere più in basso del tuo cuore.”

Marguerite Yourcenar

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Dal 16 al 21 aprile

in collaborazione con la Triennale di Milano ed Expo 2015

DONNA NUMERO 4 Tell the food, tell the life

Di e con Eleonora Danco e da cast da definire

scritto per la Triennale di Milano ed Expo 2015.

Monologo scritto su commissione della Triennale di Milano ed EXPO 2015, progetto di Davide

Rampello con al centro il tema dell’Esposizione universale di Milano 2015 ‘Nutrire il pianeta –

energia per la vita'. Donna numero 4, è stato recentemente pubblicato nel volume "Storie di cibo-

Racconti di vita', edito da SKIRA ed EXPO 2015.

'Quello che vedo, o quello che provo? Il ritmo che crea la storia, o la trama che rende il ritmo?... Ho

lavorato su una figura femminile, simile ad una sogliola, appena sommersa dalla sabbia, una che

passa inosservata all'esterno, ma con un mondo interiore deformato, che palpita. Donna numero 4, a

differenza di altri miei personaggi, sa che ci deve stare con gli altri, quasi rassegnata al suo destino.

Perché è all'esterno che la vita prende forma, nei bar, mense, librerie, aperitivi, ovunque sappi, che

se vuoi puoi mangiare: 'è molto chiaro che qui si muore, ma non di fame.' Donna numero 4 è

un'adulta, adulto dal latino: cresco (ond'anche, Adolescente) A'ltus:...nutrire, cresciuto negli anni e

nella persona, quanto basta per avere intelletto e discernimento.'

> Eleonora Danco

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Dal 30 aprile al 12 maggio

TSI La fabbrica dell’Attore – La Casa dei Racconti

HOW LONG IS NOW Finalista 50° Premio Riccione per il teatro

di Duccio Camerini

con Giorgio Colangeli Regia di Aureliano Amadei

HOW LONG IS NOW è un montaggio di primi piani che si muovono nel tempo e nello spazio.

Ognuno dei tre personaggi compie un viaggio di andata e ritorno nelle proprie illusioni,

mostrandoci esclusivamente un punto di vista privato, un tassello, un sottoquadro, un fotogramma:

un primo piano. L'esigenza di stabilire un piano, un'inquadratura, deriva, forse, dal duplice impegno

teatrale/cinematografico che il progetto prevede nella sua dimensione più ampia. Infatti,

immediatamente dopo la rappresentazione teatrale, lo stesso cast sarà impiegato nell'adattamento

cinematografico del testo. In questo modo si intende inquinare i due media, cercando di sfruttare

reciprocamente i vantaggi di uno, nell'altro. E' per questo che la messa in scena avrà dunque degli

aspetti cinematografici. Lo spazio vitale dei personaggi, è sempre impenetrabile, limitato e

claustrofobico. Anche quando, dalla cima di una montagna, a turno, i personaggi credono di

dominare il mondo, non percepiscono la bolla di vetro che li rinchiude. Si illudono segretamente

che la bolla di qualcun altro possa essere più ricca, ma hanno paura di riconoscere che l'unico modo

di arricchire la propria bolla è di invitare qualcun altro a farne parte.

Aureliano Amadei

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14-15 maggio

TeatroPersona

A U R E Con Valentina Salerno, Francesco Pennacchia, Chiara Michelini

regia di Alessandro Serra

A U R E chiude una trilogia del silenzio e della memoria. Lo spettacolo si ispira all’opera di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto”, un fiume placido e solenne di parole, ma soprattutto, un capolavoro pittorico, sinfonia perfetta di suoni e rumori. In Proust tutto trasfigura, si agita, fluttua, deambula con una qualità sonnambolica in un mondo che è quello reale, ma è spinto come da un afflato che appartiene all’altra sfera. Così come il sogno si compie in una dimensione che non è la realtà ma che dalla realtà trae nutrimento, rubandone le immagini. Nel suo quieto incedere la recherche si sfalda, il naturalismo si rompe, tutto evapora, rendendo indistinti oggetti e paesaggi. L’anima stessa è rivestita da un involucro corporeo. Aure, indicibili aloni di vita che ammantano ogni cosa, dice Elemire Zolla. Non c’è storia né personaggi, solo figure e un luogo, la stanza della memoria, più volte descritta da Proust come una specie di secondo appartamento, quello del sonno. Come in un teatro di marionette “così riposante per chi ha preso in disgusto la lingua parlata. Terra quasi edenica dove il suono non è stato ancora creato”. Autore dello spazio e delle figure Vilhelm Hammershøi, pittore danese del silenzio, capace di permeare la scena di tempo. Nei suoi interni, cui lo spettacolo si ispira, il tempo fluisce come fatto luminoso, tutto è al contempo immobile e vibrante: i tavoli e le sedie sembrano pronti a piroettare, gli oggetti a librarsi in volo, le numerose porte sempre sul punto di schiudersi, rivelando presenze taciute e stanze della memoria involontaria. Nella camera oscura interiore si accende una speciale luce: il corpo dell’attore che, come la luce, non si vede, ma fa vedere. Ecco allora che un piccolo gesto si ripercuote in noi ed echeggia, risvegliando un fatto dimenticato, che ci sembrava misero e non degno di nota. La vita vivente di contro la vita vissuta. In modo tale che ciò che si vede incorniciato nell’arcoscenico non sia altro che un fondale dipinto, cioè la vita. E se questo fondale un giorno crollasse, “cadrà nell’universo magico, senza che la caduta delle sue pesanti pietre offuschi con la volgarità d’un solo rumore la castità del silenzio»”.

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17-18-19 maggio TSI La Fabbrica dell’Attore – Dynamis Teatro Indipendente

LIGHTBLACK° drammaturgia Andrea De Magistris, Giovanna Vicari

con 8 Performers

costumi e scene Dynamis Teatro

luci e live Paride Donatelli

video makers Francesco Grassellino Paride Donatelli

organizzazione e promozione Irene Mursia

aiuto regia Giovanna Vicari

regia Andrea De Magistris

Quando molte persone corrono tutte insieme nella stessa direzione, occorre porsi due domande: dietro a

cosa stanno correndo e da che cosa stanno scappando.

Paure e desideri della contemporaneità, degli abitanti/atomi della nostra società molecolare, sono il focus

della ricerca del nostro nuovo progetto. Le azioni urbane che stiamo già sperimentando in alcune grandi città

come Torino, Milano, Roma (e rispettive province) diventano fonti del lavoro e archivio di materiale

autoriale prodotto dai cittadini che incontrano la nostra marcia. il materiale raccolto confluirà ad arricchire la

sintesi scenica dei performers, nella ricerca utilizzeremo tablet, iphone, smartphone per testimoniare la

partecipazione di un pubblico così più vasto.

Se oggi da un lato vediamo venire meno i rischi sociali rispetto al passato (almeno nel mondo

occidentale) dall’altro lato crescono le nostre angosce. L’uomo contemporaneo sembra in effetti avere

rimosso le grandi paure collettive – la guerra, le carestie, le epidemie – in grado di colpire indistintamente

all’interno del corpo sociale, ma ad angosciare sono soprattutto le paure personali, derivanti da minacce che

colpiscono individualmente e che mettono a rischio la propria incolumità fisica e psichica. Una società

frammentata e atomizzata, tende ad escludere piuttosto che includere, determinando quale minaccia

collettiva più grande il restarne fuori, ai margini, isolati.

Sono le paure di una società che corre, in perenne metamorfosi, cui è sempre più difficile per il singolo stare

dietro, ed in cui è sempre più ostico conservare le posizioni acquisite.(dati World Social Summit) Tutti noi

diventiamo sempre più individui e meno cittadini, sempre meno cerchiamo il nostro benessere attraverso il

benessere della città. Preoccupati di affermare la nostra identità, non più cosa data ma compito le cui

responsabilità sono accollate ai singoli attori, ci facciamo via via più egoisti e sempre più spaventati del

nostro vicino di casa.

Essere acquirenti abili e infaticabili è la capacità che più ci viene richiesta nel nostro mondo, qualsiasi cosa

facciamo è un'attività modellata su quella dello shopping. L'avida, infinita ricerca di nuovi e migliori esempi

di vita è un tipo di shopping (fonte Modernità Liquida Z.Bauman) Facciamo shopping per cercare il tipo di

immagine che ci piacerebbe avere e per far credere agli altri che siamo ciò che appariamo, per attirare

l'attenzione e per sfuggire all'occhio indagatore, per trovare le risorse che ci permettano di far più

velocemente ciò che va fatto e nuove cose da fare per impiegare il tempo che ci avanza. La lista della spesa

non finisce mai. Ma, in questo nostro ultimo consumismo, quelli che una volta erano I bisogni sono ormai

sostituiti dal desiderio entità ben più volatile e effimera destinata a restare insaziabile. Solo il desiderio è

desiderabile, quasi mai il suo soddisfacimento: la società dei consumi riesce a rendere permanente la non-

soddisfazione.

La nostra principale preoccupazione diventa in quest'ottica quella dell'adeguatezza, dobbiamo essere sempre

pronti, darci dentro più di prima. Ecco cosa ci viene agitato davanti: l'ideale del fitness , della forma fisica.

Nell'interminabile perseguimento della forma fisica non c'è mai tempo per riposare, la vita organizzata

intorno all'obiettivo della forma fisica promette un mucchio di schermaglie vittoriose, ma mai un trionfo

finale. Scopo del fitness è una condizione di continuo autoscrutinio, autoriprovazione e autodeprecazione, e

dunque anche di ansia perenne.

Sembra così che “essere in movimento” abbia finito nell'odierna società consumistica col significare

libertà. Noi torniamo sulla domanda che apre il nostro studio con le parole della Regina di Cuori ad Alice

“Qui, invece, vedi, devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra

parte devi correre almeno il doppio.”

Andrea De Magistris

Dynamis Teatro

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Biglietteria Teatro Vascello stagione Prosa

Intero € 20,00

Ridotto € 15,00

Orari spettacoli: dal martedì al sabato ore 21 domenica ore 18

ABBONAMENTI

Abbonamento fisso (*): 8 spettacoli € 80,00

Abbonamento libero: 5 spettacoli a scelta € 60,00

(*)

Fratto_X Rezza - Mastrella

Wordstar(S) Pagliai - Gassman

‘Na specie de cadavere lunghissimo Fabrizio Gifuni

La belle joyeuse Anna Bonaiuto

La vita cronica Odin Teatret

Clôture de l'amour Lazzareschi – Della Rosa

Donna numero 4 tell the food, tell the life Eleonora Danco

How long is now Giorgio Colangeli

Abbonamento danza € 81,00

a 9 spettacoli + accompagnatore a 1,00 €

Il Vascello dei Piccoli (sabato ore 17 e domenica ore 15)

Biglietteria Vascello dei piccoli

Orari spettacoli: sabato ore 17 domenica ore 15 Prezzi: Adulti € 10,00 bambini € 8,00

Dal 6 al 14 ottobre 2012

TeatroPersona

IL PRINCIPE MEZZANOTTE

con Valentina Salerno, Andrea Castellano, Massimiliano Donato

regia, drammaturgia, scena, luci, suoni Alessandro Serra

17- 18 novembre

BUBBLES Un salto nel magico mondo delle Bolle di Sapone

di e con Marco Zoppi

Genere: teatro visuale, mimo, magia.

dal 28 novembre al 2 dicembre

Compagnia Sosta Palmizi SCARPE

da un idea di Giorgio Rossi con: Giorgio Rossi, Elena Buani, Fabio Nicolini, Francesco Sgrò

Dall’8 al 16 dicembre

Compagnia Nomen Omen

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I VESTITI NUOVI DELL'IMPERATORE Tratto dalla fiaba di Hans Christian Andersen

Adattamento: Annette Muggianu

Regia: Danilo Zuliani

Dall’22 al 30 dicembre

Compagnia Il sentiero di Oz

IL GRINCH che rubò il Natale Genere: teatro ragazzi / per tutta la famiglia

Dal 5 al 20 gennaio 2013

TSI La Fabbrica dell'Attore

LA GABBIANELLA E IL GATTO di Luis Sepùlveda

Traduzione, adattamento Manuela Kustermann

Con Giovanna Vassallo, Piefrancesco Scannavino, Camilla Dania, Valerio Russo, Marco Ferrari, Valentina Bonci,

Marco Celli, Isabella Carle

Canzoni: Maurizio Lombardi, Claudio Corona

Regia: Maurizio Lombardi

Dal 26 gennaio al 24 febbraio

TSI La Fabbrica dell'Attore

IL GOBBO DI NOTRE DAME di Victor Hugo

Traduzione, adattamento Manuela Kustermann

Con Giovanna Vassallo, Piefrancesco Scannavino, Camilla Dania, Valerio Russo, Marco Ferrari, Valentina Bonci,

Marco Celli, Isabella Carle

Canzoni: Maurizio Lombardi, Claudio Corona

Regia: Maurizio Lombardi