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Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 8 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00 n. 9 - settembre 2016 | אלול5776 SHABBAT KI TETZE 17 SETTEMBRE 2016 MILANO 19.03 210.14 | FIRENZE 19.05 20.04| ROMA 18.58 19.59| VENEZIA 19.01 20.02 Due mostre eccezionali, alla Casa dei Tre Oci e al Museo ebraico, raccontano la vita dell'antichissimo quartiere ebraico. A 500 anni dall'istituzione del Ghetto i fotografi Ferdinando Scianna e Graziano Arici leggono il presente. a pagg. 28-29 ----------------------------------- A PAGG. 23-26 ----------------------------------- Ruth Bader Ginsburg rende giustizia al Mercante Il magistrato supremo detta legge anche in Laguna Limpida, autorevole senza mai essere autoritaria, il grande giudice della Corte suprema statunitense è sbarcata a Venezia per partecipare alle manifestazioni culturali di questa estate, ha incontrato i leader ebraici italiani, ha retto un procedimento giudiziario simulato senza precedenti per riabilitare l’ebreo di Shakespeare e ha lasciato le sue impressioni e i suoi consigli ai giornalisti di Pagine Ebraiche. Una visita indimenticabile. pag. 27 OPINIONI A CONFRONTO Sergio Della Pergola/ a pag. 23 Ironia corrosiva e rigore letterario. Howard Jacobson rilegge il Mercante di Shakespeare Mi chiamo Shylock. Spero non vi dispiaccia IMMAGINE DI VENEZIA ARNALDO MOMIGLIANO David Bidussa MEMORIA E DIALOGO Carlo Marroni VENEZIA 500 Dario Calimani VENEZIA 500 Shaul Bassi CONFLITTO E LUOGHI COMUNI David Meghnagi La pluralità dei linguaggi che sono passato e presente dell’ebraismo al centro, il 18 settembre, della diciassettesima edizione della Giornata della cultura ebraica. In ogni regione si aprono le porte dei luoghi ebraici per accogliere i visitatori con centinaia di appuntamenti culturali, incontri, visite guidate, spettacoli, mostre, concerti e degustazioni casher. E per riaffermare il bimillenario percorso degli ebrei italiani come patrimonio dell’intera società. / pagg. 4-5 pagg. 6-7 I simboli, il burkini e il modello di convivenza in Israele FOTOGRAFIA Unione, le Commissioni al lavoro Prende corpo l'agenda delle équipe espresse dal nuovo Consiglio pagg. 2-3 PORTE APERTE IN OLTRE 70 LOCALITÀ ITALIANE, MILANO CITTÀ CAPOFILA La Giornata delle lingue Da Ferrara a Berlino i musei ebraici hanno un ruolo sempre più importante. Non semplici contenitori di oggetti pur preziosi e ricchi di storia, i grandi poli deputati a raccontare le tradizioni e la cultura dell’ebraismo si trasformano in veri e propri luoghi d'incontro e di lavoro comune. / pagg. 15-21 DOSSIER MUSEI Foto: Graziano Arici

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Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 8 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461

euro 3,00

n. 9 - settembre אלול | 2016 5776

SHABBAT KI TETZE 17 SETTEMBRE 2016MILANO 19.03 210.14 | FIRENZE 19.05 20.04| ROMA 18.58 19.59| VENEZIA 19.01 20.02

Due mostre eccezionali, alla Casa dei Tre Oci e al Museoebraico, raccontano la vita dell'antichissimo quartiereebraico. A 500 anni dall'istituzione del Ghetto i fotografi

Ferdinando Scianna e Graziano Arici leggono il presente.

a pagg. 28-29

----------------------------------- A PAGG. 23-26 -----------------------------------

Ruth Bader Ginsburg rende giustizia al Mercante Il magistrato supremo detta legge anche in Laguna

Limpida, autorevole senza mai essere autoritaria, il grande giudicedella Corte suprema statunitense è sbarcata a Venezia per partecipare

alle manifestazioni culturali di questa estate, ha incontrato i leader ebraiciitaliani, ha retto un procedimento giudiziario simulato senza precedentiper riabilitare l’ebreo di Shakespeare e ha lasciato le sue impressioni e isuoi consigli ai giornalisti di Pagine Ebraiche. Una visita indimenticabile.pag. 27

OPINIONI

A CONFRONTO

Sergio Della Pergola/a pag. 23

Ironia corrosiva e rigore letterario. Howard Jacobson rilegge il Mercante di Shakespeare

Mi chiamo Shylock. Spero non vi dispiaccia

IMMAGINE DI VENEZIA

ARNALDO MOMIGLIANODavid Bidussa

MEMORIA E DIALOGOCarlo Marroni

VENEZIA 500Dario Calimani

VENEZIA 500Shaul Bassi

CONFLITTO E LUOGHI COMUNIDavid Meghnagi

La pluralità dei linguaggi che sono passato e presente

dell’ebraismo al centro, il 18 settembre, della diciassettesima

edizione della Giornata della cultura ebraica. In ogni regione si

aprono le porte dei luoghi ebraici per accogliere i visitatori con

centinaia di appuntamenti culturali, incontri, visite guidate, spettacoli,

mostre, concerti e degustazioni casher. E per riaffermare il bimillenario

percorso degli ebrei italiani come patrimonio dell’intera società. / pagg. 4-5

pagg.

6-7

I simboli, il burkini e il modello di convivenza in Israele

FOTOGRAFIA

Unione, le Commissioni al lavoroPrende corpo l'agenda delle équipe espresse dal nuovo Consiglio pagg. 2-3

PORTE APERTE IN OLTRE 70 LOCALITÀ ITALIANE, MILANO CITTÀ CAPOFILA

La Giornata delle lingue

Da Ferrara a Berlino i musei ebraici hanno un ruolosempre più importante. Non semplici contenitori dioggetti pur preziosi e ricchi di storia, i grandi polideputati a raccontare le tradizioni e la culturadell’ebraismo si trasformano in verie propri luoghi d'incontro e di lavoro comune. / pagg. 15-21

DOSSIER

MUSEI

Foto

: Gra

ziano

Aric

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

Prosegue la campagna di solidarietà fat-

tiva alle popolazioni colpite dal terre-

moto lanciata a poche ore dal sisma

dall’Unione delle Comunità Ebraiche Ita-

liane. Per le donazioni è possibile versare

un’offerta su un conto corrente speciale,

intestato all’UCEI. Numerose inoltre le

persone che hanno donato il proprio san-

gue al punto di raccolta subito attivato

dall’Unione e dalla Comunità ebraica di

Roma, in collaborazione con l’Associazio-

ne Medica Ebraica e il Gruppo Ebraico

Donatori, al Centro trasfusionale del-

l’ospedale Fatebenefratelli. “Il pensiero

va alle popolazioni colpite dal sisma e al-

le comunità presenti nei territori colpiti,

cui intendiamo rivolgere non solo la mas-

sima solidarietà di tutta l’Italia ebraica

ma anche la disponibilità ad attivarci in

modo concreto e immediato per affron-

tare l’attuale stato di emergenza” le pa-

role della presidente UCEI Noemi Di Segni

la mattina stessa del terremoto, preludio

alle molte iniziative che sono seguite. Si

compone infatti gradualmente una task

force di Ingegneri, architetti, medici, psi-

cologi, legali, commercialisti: un pool di

professionisti pronti a intervenire per

aiutare le diverse comunità in difficoltà.

Forte anche la mobilitazione nelle comu-

nità territoriali, con la prossima Giornata

della Cultura Ebraica (in programma do-

menica 18 settembre) che si annuncia co-

me un’importante occasione a porte

aperte per sensibilizzare migliaia di ita-

liani sull’importanza di dare una mano.

Virtuoso tra gli altri l’esempio della Co-

Come si mantienee come si appartiene a una comu-nità ebraica oggi? Ruota attorno aquesto interrogativo il gruppo dilavoro varato dal Consiglio del-l’Unione delle Comunità EbraicheItaliane con l’obiettivo di portareall’attenzione dell’assise temi e pro-gettualità concrete per affrontarele diverse sfaccettature di un temaavvertito come tra i più urgenti inagenda. L’avvio di un percorso diapprofondimento che vede sedutiallo stesso tavolo i membri diGiunta rav Giuseppe Momiglianoe David Menasci (ex presidente deirabbini italiani il primo, referenteper le commissioni “Politiche so-ciali e “Supporto alle comunità” ilsecondo) e il Consigliere Cobi Be-natoff, candidatosi alle elezionidell’Unione come capolista di unaformazione - Comunità aperta -che ha portato al centro del pro-prio programma il tema dell’iden-tità. “Siamo davanti a un problema spi-noso - dice Benatoff - che investeleader e rappresentanti delle isti-tuzioni ebraiche a ogni livello. Lacrescente disaffezione che porta gli

iscritti alle Comunità a un distaccosempre più marcato dalle stesse.Un distacco molto significativo inparticolare nella componente laicadel nostro ebraismo, che segue latradizione e ne condivide il sensoprofondo ma che declina la propriaidentità anche su un piano piùstrettamente culturale e con la qua-

le né le Comunità né i rabbini sonostati capaci di comunicare”. L’ideacondivisa è di elaborare alcuneproposte su cui aprire un confrontocon il Consiglio. Un confronto, sot-tolinea Benatoff, che dovrà svol-gersi nel pieno rispetto delle diver-se posizioni. “Sapendo e preso attoche il tema è polarizzato e vi è una

dialettica, il primo obiettivo è quel-lo di creare un luogo di confrontosereno e rispettoso. Un tavolo in-trono al quale mettere a fuoco lediverse questioni e in un certo sen-so condividere con le Comunità, eforse anche con l’esterno, questadialettica. In modo che sia rappre-sentata in maniera più chiara. Se-

condo obiettivo - spiega la presi-dente UCEI Noemi Di Segni - èquello di ragionare su possibili ri-sposte o progetti per affrontare al-cune questioni e condividere tra ‘leparti’ un percorso”. Entra nel vivo il lavoro delle Com-missioni, cuore progettuale dell’in-tera attività del Consiglio. Dieci igruppi, coordinati dal ConsigliereGuido Osimo: “Statuto e regola-menti” (assessore di riferimento laPresidente Di Segni); “Politiche so-ciali” (Giorgio Mortara e DavidMenasci); “Giovani, educazione escuola” (Livia Ottolenghi); “Rap-porti internazionali, rapporti conIsraele e l’Alyah” (Giacomo Mo-scati); “Beni artistico-culturali ecentro bibliografico” (Gianni Asca-relli); “Supporto alle Comunità”(David Menasci e rav GiuseppeMomigliano);”Bilancio e Otto perMille” (Guido Guetta); “Culto, Ka-sherut e Formazione Rabbinica”(Rav Giuseppe Momigliano e Jac-queline Fellus); “Antisemitismo, ne-gazionismo e Memoria” (NoemiDi Segni e Livia Ottolenghi); “Cul-tura e rapporti con le altre mino-ranze” (David Meghnagi).

Unione, il lavoro entra nel vivo Si compone l’agenda delle Commissioni e dei gruppi di approfondimento tematico interni al Consiglio

PER DONARE ALLE POPOLAZIONI TERREMOTATE

UCEI

IBAN: IT42B0200805205000103538743CAUSALE: offerta per emergenza terremoto 240816

Prima Trieste, poi Venezia. Sono

queste le città e Comunità ebrai-

che protagoniste dell'ottava edi-

zione di Redazione aperta, il labo-

ratorio giornalistico di due setti-

mane organizzato dalla redazione

UCEI. A Trieste l'appuntamento è

ormai una tradizione, grazie alla

collaborazione con la realtà ebrai-

ca locale avviata sin dal primo an-

no dell'iniziativa, nata per aprire

una finestra sul lavoro quotidiano

dei giornalisti dell'Unione e al con-

tempo occasione di confronto con

leader ed esperti del mondo ebrai-

co italiano. Dopo Trieste, per la

prima volta, Redazione aperta si è

poi spostata a Venezia, partecipan-

do alle iniziative organizzate in oc-

casione dell'anniversario dei 500

anni del Ghetto: una pagina dolo-

rosa per l'ebraismo lagunare su cui

confrontarsi e riflettere e a cui Pa-

gine Ebraiche ha dedicato due

grandi dossier curati da Ada Tre-

ves e apprezzati dal pubblico in-

ternazionale raccoltosi nella città

veneta. Come ha ricordato il diret-

tore dell'area Comunicazione UCEI

Guido Vitale, ringraziando la Co-

munità ebraica di Venezia per

l'ospitalità e per il lavoro compiu-

to per dare un significato attuale

all'anniversario, “il mondo intero

guarda all’ebraismo italiano, ai

cinque secoli che ci separano dal

Redazione aperta, confronto a tutto campo

Sisma, una solidarietà concreta

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visita alla città con un colloquionella sede municipale di Ca’ Far-setti. Ad attenderla sul Canal Gran-de il sindaco Luigi Brugnaro, cheha valutato con Di Segni e Gni-gnati il grande lavoro intrapresoper offrire da Venezia al mondo ladimensione della storia e della cul-tura degli ebrei della città, testimonidi cinque secoli di storia tormen-tata e appassionante. Lasciati i saloni del palazzo muni-cipale, la presidente Di Segni hasubito incontrato il Consiglio co-munitario e l’assemblea degli iscrit-ti. Numerosi gli interventi che han-no fatto seguito ai discorsi intro-duttivi del presidente Gnignati, delrabbino capo di Venezia ShalomBahbout e del Consigliere UCEIDavide Romanin Jacur, che assie-me alla Consigliera venezianadell’Unione Sandra Levis ha par-tecipato ai lavori. Tante le voci che hanno voluto te-stimoniare amicizia e partecipa-zione alla presidente che assumela guida dell’Unione in una stagio-ne particolarmente difficile perl’ebraismo italiano. E al di là di unsenso di festa e di amicizia, perquesta giornata fuori dal comune,l’incontro è stato attraversato an-che dai tanti interrogativi e dalletante difficoltà che le istituzioniebraiche e gli iscritti sanno di do-ver affrontare.“Non siete – ha affermato la pre-sidente Di Segni nell’occasione –una comunità né piccola, né diver-samente grande, ma siete grandidavvero, nella storia e nella poten-zialità. La comunità non è solo unamisura dell’ampiezza demografica.Per quello che ho potuto conosce-re attraverso il lavoro dei Consi-glieri e di chi lavora per le comu-nità devo dire che il fattore decisivoè la forza e la passione di coltivareun patrimonio di idee e di progettiche è posto a garanzia dell’ebrai-smo italiano. Lo trovo fra voi, nonsempre lo si riscontra altrove”.

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munità ebraica fiorentina, che ha predi-

sposto con successo una raccolta di of-

ferte all’interno del festival “Balagan Ca-

fè”, tradizionale punto di incontro estivo

con la cittadinanza giunto quest’anno al-

la quarta edizione.

Al fianco delle comunità ebraiche, signi-

ficativo l’impegno delle istituzioni e or-

ganizzazioni non governative israeliane.

Come nel caso dei volontari di IsraAid,

arrivati in poche ore ad Amatrice. Imme-

diata anche la mano tesa del governo di

Gerusalemme, che ha messo a disposizio-

ne di Palazzo Chigi, in caso di necessità,

il rodato apparato di risorse umane e

tecnologiche già sperimentato in altri

scenari di crisi. “I nostri pensieri sono

con voi e con il popolo italiano in questo

momento molto difficile, mentre siete

impegnati ad aiutare i feriti, dare rifugio

a coloro che sono senza tetto, e pianifi-

care la ricostruzione” la solidarietà

espressa dal capo dello Stato Reuven Ri-

vlin in una telefonata al suo omologo

Sergio Mattarella. Sulla stessa lunghezza

d’onda il primo ministro Benjamin Neta-

nyahu, che si è invece rivolto al premier

Matteo Renzi.

Apprezata la decisione assunta dall’am-

basciatore uscente dello Stato ebraico a

Roma, Naor Gilon, che nell’ultimo giorno

della sua missione diplomatica in Italia

ha scelto di donare il sangue presso il

punto di raccolta del Fatebenefratelli.

Punto d’arrivo e orizzonte di nuo-va coraggiosa partenza, Veneziaebraica è stata teatro di una stra-ordinaria giornata di lavoro, di in-contro e di cultura segnata dallavisita della presidente dell’Unionedelle Comunità Ebraiche ItalianeNoemi Di Segni, alla sua primauscita in una delle 21 Comunitàebraiche locali dopo la sua recenteelezione. Una lunga giornata con-clusasi nel quadro delle manifesta-zioni culturali di rilievo interna-zionale dedicate ai cinque secolidi storia del Ghetto. L’appassionante mostra “Venezia,gli ebrei e l’Europa” allestita a Pa-lazzo Ducale, il processo figuratoche ha messo a confronto giuristied esperti attorno al personaggioshakespeariano di Shylock, la rap-presentazione sul campo del Ghet-to Nuovo, per la prima volta nellastoria, del Mercante di Venezia:una serie di iniziative su cui, a par-tire da marzo, si sono accesi i ri-flettori del mondo intero. Accoltaal suo arrivo dal presidente dellaComunità ebraica di Venezia PaoloGnignati, che era accompagnatodai Consiglieri Enrico Levis e Giu-seppe Salvadori, la presidentedell’Unione ha cominciato la sua

Venezia, Laguna degli incontri

primo Ghetto, alle prestigiose ini-

ziative culturali, alla stupefacente

mostra di palazzo Ducale, all’ap-

passionante Shakespeare a cielo

aperto in campo di Ghetto, al pre-

stigio delle presenze e degli inter-

venti”. E di politiche culturali le-

gate al futuro dell'ebraismo ita-

liano si è parlato molto in questa

edizione di Redazione aperta,

inaugurata con il dialogo a più vo-

ci organizzato al Museo ebraico di

Trieste e che ha visto protagonisti

Simonetta Della Seta, da alcuni

mesi alla guida del Museo Nazio-

nale dell’Ebraismo Italiano e della

Shoah di Ferrara, e Gadi Luzzatto

Voghera, da settembre direttore

del Centro di Documentazione

Ebraica Contemporanea di Milano,

assieme al consigliere UCEI Mauro

Tabor, assessore alla Cultura della

Comunità di Trieste, e al direttore

del Museo rav Ariel Haddad. Sia

Della Seta sia Luzzatto Voghera

hanno parlato delle sfide del futu-

ro dell'ebraismo italiano, in cui la

cultura e la comunicazione delle

iniziative costruite attorno ad es-

sa avranno un ruolo chiave. La re-

dazione, che quest'anno ha visto

anche la presenza di alcuni studen-

ti del Master in Cultura ebraica e

comunicazione dell'Unione, ha in-

contrato tra gli altri Andrea Bozzi,

tra i maggiori esperti di linguistica

computazionale, per parlare del

Progetto di traduzione del Talmud

in italiano, di cui Bozzi è stato uno

dei punti di riferimento. Alessan-

dro Marzo Magno, giornalista e

scrittore, ha invece raccontato

l'ultimo suo libro, dedicato alla

storia della moda, mentre di at-

tualità e della sua esperienza nel

campo profughi di Idomeni si è

parlato con Francesco Moises Bas-

sano, apprezzato collaboratore di

Pagine Ebraiche. A Venezia poi c'è

stato spazio per riflettere con l'an-

glista e docente della Ca' Foscari

Dario Calimani sul significato del

testo, partendo da Shakespeare e

il suo Mercante, di cui è uscita re-

centemente una nuova traduzione

curata proprio da Calimani.

u Nell’immagine grande la presidente UCEI Noemi Di Segni durante la sua visita nel Ghetto. A sinistra mentre

incontra il sindaco Luigi Brugnaro, a destra assieme ai Consiglieri della Comunità ebraica

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Giulio Busi è tra i maggiori espertie divulgatori di cultura ebraica inItalia. Ha insegnato per anni al-l’Università Ca’ Foscari di Venezia,e attualmente è professore allaFreie Unirsitaet di Berlino, dovedirige l’Istituto di Giudaistica. Hapubblicato diversi libri di argo-mento ebraico, in particolare il suointeresse è rivolto alla misticaebraica. Sul Sole 24 Ore tiene unaseguitissima rubrica di “Judaica”.Sarà tra i principali ospiti dellaprossima Giornata.

Professor Busi, le parole, in partico-

lare le parole scritte, hanno una fon-

damentale importanza per il Popolo

ebraico. Che valenza ha questo

aspetto peculiare dell’ebraismo?

Nella cultura ebraica questa iper-trofia della dimensione scritta saltaagli occhi: anche se in tutte le cul-ture letterate la lingua è uno deglielementi distintivi, il giudaismo hala lingua e il testo quale elementofondativo e di continuità. Un testo

dal quale si irradia tutto il resto,un racconto scritto che è al centrodi un’intera cultura. E che si puòportare con sé nella diaspora, im-parare a memoria, trasmettere digenerazione in generazione.

In occasione della Giornata lei inter-

verrà sia a Milano, città capofila, che

a Roma, in conversazione con il rav

Riccardo Di Segni. Ci può anticipare

qualcosa?

A Roma vorrei focalizzare la miaattenzione in particolare sul SeferYetzirà, che è un libro mistico, unasorta di sistema per la conoscenzadel cosmo, al contempo preciso estringato come un testo scientifico.Potremmo definirlo un testo a me-tà tra poesia e scienza. Un mondoa sé, molto enigmatico, una verae propria finestra sull’universo. AMilano, pensavo di parlare della

ricerca sul simbolismo nel pensie-ro ebraico, partendo da un libro

che ho scritto qualche anno fa(Simboli del pensiero ebraico. Lessico

ragionato in settanta voci. Einaudi,1999 ndr). Visto che nella tradi-zione ebraica, com’è noto, c’è po-ca raffigurazione visiva, si è veri-ficato un grande sviluppo dell’ico-nicità delle parole, con termini diriferimento che vengono visualiz-zati, ripetuti, e che fanno da leitmotiv. Ho cercato di seguire losviluppo di questo fenomeno dallaTorah fino all’800, alla tradizionechassidica polacca, per vedere co-me queste parole diventano puntidi riferimento, e come variano neltempo e nei diversi contesti.

L’ebraico è, ovviamente per gli ebrei,

la lingua sacra: come possiamo spie-

gare questo concetto a qualcuno

che sa poco o nulla di cultura ebrai-

ca?

L’ebraico è la lingua della creazio-ne, è la lingua in cui le parole e le

“Cultura, arma contro il pregiudizio”

Si svolgerà domenica 18 settem-bre, in settantaquattro località inItalia, la Giornata Europea dellacultura Ebraica, la manifestazioneche invita a scoprire storia, luoghie tradizioni degli ebrei attraversocentinaia di eventi tra visite gui-date a sinagoghe, musei e quartieriebraici, spettacoli, mostre, concer-ti, degustazioni casher e altri ap-puntamenti culturali. L’evento,giunto alla diciassettesima edizio-ne, è coordinato e promosso nelnostro Paese dall’Unione delle Co-munità Ebraiche Italiane, parte diun network internazionale al qualeaderiscono quest’anno trentacin-que Paesi europei. “Siamo convintiche in un periodo storico estre-mamente complesso e difficilequale è quello che stiamo vivendo,sia importante continuare a pro-porre iniziative positive, che sti-molino la costruzione di legami eponti all’interno di una società in-clusiva e attenta ai diritti di tutti”,ha scritto nella presentazione del-l'iniziativa la presidente dell’Unio-ne Noemi Di Segni. Un tema co-mune, “Lingue e dialetti ebraici”,unirà idealmente tutti gli appun-tamenti. Oltre all’ebraico, la linguadella Torah, il riferimento è alloyiddish degli ebrei dell’Est Europa,al Judeo-Espanol parlato dalle co-munità ebraiche del bacino medi-terraneo, ma anche ai diversi dia-letti italiani, come il giudaico-ro-manesco, il bagitto livornese, ilgiudaico-veneziano e il giudaico-torinese. L’argomento sarà decli-nato in molti modi, dal teatro aiconcerti, dai laboratori alle con-ferenze, con iniziative aperte e gra-

ú–– Noemi Di Segni,

presidente UCEI

La Giornata Europea della Cultura

Ebraica è nata diciassette anni fa

per favorire una conoscenza di-

retta della cultura e delle tradi-

zioni ebraiche, aprendo le porte

di sinagoghe, musei e altri siti

ebraici sparsi ai quattro angoli

del continente.

Tra appuntamenti artistici, mu-

sicali, enogastronomici e di ap-

profondimento, un’iniziativa che

nasce nella convinzione che il pri-

mo passo per abbattere il pre-

giudizio, qualsiasi pregiudizio, sia

proprio favorire cultura e cono-

scenza. L’edizione 2016 coinvol-

gerà in Italia ben settantaquat-

tro località, da nord a sud alle

isole, a testimoniare la capillare

presenza degli ebrei nella storia

del nostro Paese, da oltre due

millenni minoranza viva, in grado

di portare un positivo contributo

alla società in termini di valori e

di contenuti. Coordinate dal-

l’UCEI, comunità ebraiche, enti

locali, pro-loco e associazioni del

territorio, che ringraziamo per

l’impegno profuso nell’organiz-

zazione di tante iniziative di qua-

lità, daranno vita tutte insieme,

domenica 18 settembre, a un ap-

puntamento di carattere nazio-

nale. Che vede partecipare ogni

anno diverse decine di migliaia

di visitatori, e la presenza di rap-

presentanti delle istituzioni na-

zionali e locali, cui va il nostro

sentito apprezzamento per l’at-

tenzione che ogni anno riservano

all’iniziativa. Quest’anno, il tema

scelto dall’Aepj (l’Associazione

europea per la preservazione e

la promozione del patrimonio

culturale ebraico), che coordina

l’evento a livello europeo, è di

grande interesse: “Le lingue

ebraiche”. Un titolo che sembre-

rebbe una contraddizione in ter-

mini, ma solo apparente. Se gli

ebrei hanno fondato la propria

esistenza sulla Torah, fonte di vi-

ta e sapere per l’ebraismo e rife-

rimento per la cultura mondiale,

scritta nella lingua sacra, l’ebrai-

co, gli ebrei sparsi nel mondo a

seguito delle diaspore hanno svi-

luppato una quantità di altre

parlate e dialetti, che hanno con-

tuite per tutta la cittadinanza e dif-fuse in quattordici regioni. A Mi-lano, prescelta quale capofila dellamanifestazione in Italia, si darà ilvia simbolico agli eventi nel nostroPaese, nell’anno in cui la comunitàebraica milanese, parte viva e in-tegrante del tessuto sociale e cul-turale della città, festeggia i 150anni dalla nascita. La minoranzaebraica è presente in Italia da oltredue millenni, con testimonianze

di vita e cultura diffuse sul territo-rio, dalle grandi città ai piccoli cen-tri, da nord a sud alle isole. Siti epercorsi tra i più belli d'Europa,che rendono l'edizione italiana,con circa 50mila presenze ogni an-no, una delle più seguite, realiz-zando da sola più di un quarto deivisitatori complessivi dell’interocontinente. In Italia la GiornataEuropea della Cultura Ebraica èpatrocinata dal Ministero dei Beni

e delle AttivitàCulturali e delTurismo, dal Mini-stero dell’Istruzione,dell’Università e della Ricer-ca, dal Dipartimento per le Poli-tiche Europee della Presidenza delConsiglio dei Ministri, dall’Anci –Associazione Nazionale ComuniItaliani. La manifestazione è inol-tre riconosciuta dal Consigliod’Europa.

“Insieme per costruire nuovi ponti e legami”

La Giornata delle lingue Torna il 18 settembre il tradizionale momento di incontro nel segno della cultura

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La tragediadi Omran

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Un'immagine, nelle scorse set-timane, ha raccontato più ditante parole l'orrore diAleppo. Ed è quella che raffi-gura il piccolo Omran Daqne-esh, cinque anni, seduto suuna sedia arancione con ilvolto sporco di sangue, la pol-vere su tutto il corpo, losguardo fisso davanti a sé.Fermo, attonito, lo sguardoesterrefatto, devastato dauno dei tanti bombardamentiche hanno interessato la cittàcontesa tra i ribelli e il go-verno di Assad in cui moltemigliaia di persone conti-nuano a morire ogni giorno. Il bimbo e il dittatore, che haun grottesco rimprovero darivolgerli: così il disegnatoreisraeliano Michel Kichka, conamara ironia, racconta ildramma di Omran e dei tantibambini cui è stata rubataper sempre l'infanzia.

cose combaciano. Ha uno statutodi potenza e separatezza che è ca-ratteristico del divino.

Parliamo della Giornata, giunta alla

diciassettesima edizione, una mani-

festazione che ha fatto un po’ da

apripista ai tanti festival culturali

ebraici che si sono tenuti in questi

anni. Ogni anno decine di migliaia

di persone continuano ad affollare

sinagoghe, musei e luoghi ebraici in

tutta Italia, dove si realizza una delle

edizioni più riuscite d’Europa. Cosa

pensa di questo interesse così dif-

fuso, nel nostro Paese, per l’ebrai-

smo? Cosa attrae tante persone?

L’Italia è un posto strano! Quan-tomeno, così appare da Berlino…Io credo che l’interesse per la cul-tura ebraica in Italia nasca dallaconsapevolezza che gli ebrei sonoparte integrante della storia delPaese. Non si può fare la storia diFerrara, di Venezia o di tanti altriposti escludendo la presenza ebrai-ca. Una condizione, quella degli

ebrei italiani, che non è stata idil-liaca nei secoli, ma che non ha lefratture tragiche che hanno altrestorie, almeno fino alla secondaguerra mondiale. Se pensiamo al-l’Inghilterra, nella sua storia ci so-no molti secoli senza ebrei, perchéfurono espulsi a più riprese. InFrancia idem. Invece l’Italia haduemila anni di continuità ebraica,tranne che nel Meridione, ma an-che quello fu un fenomeno gene-rato dagli spagnoli, per così direnon autoctono. La continuitàebraica italiana è molto peculiare,fa profondamente parte dell’iden-tità del Paese. Gli italiani percepi-scono che quella degli ebrei è an-che la loro storia.

Secondo lei, manifestazioni come

la Giornata sono utili per contra-

stare il pregiudizio antiebraico?

Certamente sì, credo siano impor-tanti ed estremamente utili alloscopo.

Marco Di Porto

Nell'anno del suo 150esimo anniversario, la Co-munità ebraica di Milano il 18 settembre saràanche attrice protagonista della Giornata: pro-prio Milano infatti sarà città capofila di questaedizione. Tanti gli ospiti di prestigio che parte-ciperanno alle diverse iniziative organizzate lun-go tutta la giornata e in diversi punti della città.Ad aprire la domenica milanese, l'evento orga-nizzato nella cornice della sinagoga centrale(ore 11.00), con la presenza di figure istituzionalidella società italiana che si confronteranno sultema del “Valore della parola”. A seguire (12.30),sempre all'interno del tempio, sarà inauguratala mostra fotografica “Grand Tour. Viaggio nell’Italia ebraica”: esposta per i 500 anni del Ghetto di Venezia,la mostra, con fotografie di Alberto Jona Falco – ideatore e curatore dell'iniziativa – viene eccezionalmenteallestita a Milano. Dopo l'inaugurazione sarà possibile fare una visita guidata della sinagoga, tra i simbolidella Comunità ebraica cittadina. Prima di proseguire con il programma della Giornata, vi sarà un momento dedicato all'impegno dellaKeillah (Comunità) verso gli anziani, con l'inaugurazione alla residenza Arzaga di “Healing Garden – Ilgiardino della salute”. Incontro a cura dell'Associazione Volontariato Federica Sharon Biazzi Onlus con lacollaborazione della residenza stessa. Nel pomeriggio ci si sposta al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci (via San Vittore21): “Parole tra amore e arte”, il tema che vedrà confrontarsi un rabbino e uno storico dell'arte: da unaparte infatti ci sarà rav Amedeo Spagnoletto, rabbino, sofer e docente al Collegio rabbinico italiano mentredall'altra il volto televisivo di Philippe Daverio, storico dell’arte e scrittore. In una giornata dedicata allelingue non poteva mancare l'yiddish e la sua ironia, che saranno portati in scena dalla Compagnia TeatroAl Settimo con lo spettacolo “Ridere in ebraico” (16.30). Grande attesa poi per l'incontro delle 17.30 incui nello spazio del Museo da Vinci si parlerà con ospiti di primo piano de “Le parole ebraiche nell’arte,nella letteratura e nella Bibbia”. A discuterne sotto diversi profili, Giulio Busi, filologo, professore di Culturaebraica alla Freie Universität di Berlino nonché editorialista del Sole 24 Ore; rav Roberto Della Rocca,rabbino e direttore dell’area Cultura e formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e SaraFerrari, traduttrice e docente di Lingua e cultura ebraica all’Università degli Studi di Milano. A moderarel'incontro il gallerista Jean Blanchaert, illustratore e maestro calligrafo. Anche la musica è un tipo di linguaggio, come racconta l'appuntamento serale con il “Viaggio musicalesemiserio fra i compositori ebrei del Musical del Novecento”, curato da Alberto Milazzo e Eleonora Zullo(18.30). A seguire, protagonista sul palco sarà la lingua ebraica grazie allo studioso Haim Baharier, maestrodi ermeneutica biblica e del pensiero ebraico che alle 20.30, che sempre nella cornice del Museo parleràal pubblico de “La parola ebraica come potenziale di alleanza”. Ultimo appuntamento dell'intensa giornata alle 21.15, con un viaggio tra tempi e luoghi diversi perscoprire l’intreccio tra musica e identità ebraica grazie allo spettacolo Caffè Odessa, portato in scena daMiriam Camerini, Manuel Buda e Bruna Di Virgilio. Dall'ebraico, all'yiddish al ladino, le note accompagnerannoil pubblico nei diversi angoli del mondo della diaspora ebraica.

MILANO - 150 ANNI DI VITA, IL GRANDE RACCONTO

u In alto a sinistra il critico d’arte Philippe Daverio; a destra

Haim Baharier, noto divulgatore di cultura ebraica.

tribuito alla trasmissione della

nostra cultura di generazione in

generazione. Dallo Yiddish degli

ebrei dell’Est Europa al Judeo

Espanol degli abitanti e degli

esuli da “Sefarad”, la Spagna, ai

linguaggi delle comunità ebrai-

che dei Paesi arabi, per continua-

re, in Italia, con gli antichi e co-

loriti dialetti: il giudaico-roma-

nesco, il “bagitto” livornese, il

giudaico-veneziano e il giudaico-

piemontese, solo per citare quelli

ancora in uso. Ma lo stesso ebrai-

co, come noto, è protagonista,

caso unico nella storia, di una ve-

ra e propria rinascita, lingua an-

tica che diventa idioma nazionale

di uno Stato moderno, Israele,

grazie all’opera di Eliezer Ben Ye-

huda e dei primi pionieri che eb-

bero l’intuizione di far rivivere

lo spirito della Nazione anche at-

traverso la lingua utilizzata dai

propri abitanti. Temi e spunti di

riflessione e approfondimento,

che daranno il “la” a un gran

numero di iniziative

e proposte inte-

ressanti, che ci

auguriamo po-

tranno essere se-

guite come tutti

gli anni da un

folto pubblico. La

Giornata si inaugure-

rà quest’anno a Milano,

designata quale capofila

dell’iniziativa, nell’anno in cui si

celebrano i centocinquant’anni

anni della Comunità e anche un

altro importante anniversario: i

sessant’anni del Centro di Docu-

mentazione Ebraica Contempo-

ranea, punto di riferimento per

tutti gli studiosi di storia ebraica

in Italia, il cui apporto culturale

è stato e continua ad essere di

grande rilievo.

Siamo convinti che in un periodo

storico estremamente complesso

e difficile quale è quello che stia-

mo vivendo, sia importante con-

tinuare a proporre iniziative po-

sitive, che stimolino la costruzio-

ne di legami e ponti all’interno

di una società inclusiva e attenta

ai diritti di tutti, nel segno del

rispetto di ogni componente del

caleidoscopio culturale del no-

stro tempo. La Giornata Europea

della Cultura Ebraica è una occa-

sione per condividere tale idea

di mondo, in cui si possa convi-

vere serenamente nelle pur indi-

spensabili e anzi feconde diver-

sità, portatrici di un valore ag-

giunto per tutti.

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ú–– Ada Treves

Alla definizione che lo indichereb-be come "il Philip Roth inglese"preferisce "una Jane Austen ebrea”.E aggiunge: "Gli ebrei americanihanno una loro identità ben defi-nita. Io invece se faccio troppol’ebreo vengo considerato non ab-bastanza inglese, se faccio troppol’inglese, non abbastanza ebreo. Ècomplicato". Lo sguardo illuminato da una lucegentilmente ironica, Howard Ja-cobson è sorridente e disponibile.Ma anche caustico. L'eloquio passadal sardonico all'apertamente di-vertito, senza mai smettere di es-sere mordace. E tagliente. Roman-ziere e umorista nato a Manchesternel 1942, noto per i ritratti impie-tosi, con humour, dell'ebraismobritannico, è autore prolifico, edi-torialista, con un passato da acca-demico e da accanito giocatore diping pong. Ha vinto il Man BookerPrize nel 2010, con L'enigma di Fin-kler, edito da Cargo. Il mio nome èShylock, da poco uscito per i tipi diRizzoli, è parte di una serie di ope-re shakespeariane reinterpretate dagrandi autori contemporanei, fracui Margaret Atwood, Tracy Che-valier, Jo Nesbo, Anne Tyler e Jea-nette Winterson. Jacobson spiega che "ovviamente"gli è stato affidato Il mercante di Ve-nezia. E ha dichiarato che "il lin-guaggio è sempre al servizio del-l'intelligenza", ma a sentirselo ri-cordare risponde: "Sì, è una diquelle frasi che si dicono. Suonabene, vero? Non mi ricordo asso-lutamente cosa volevo dire, però".Ha già praticamente completato ilprossimo libro, ma è a Venezia perla “settimana del Mercante”, di cuiè uno dei protagonisti.

Lei ha anche un passato di accade-

mico, e sul Bardo ha scritto un volu-

me insieme a Wilbur Sanders, cui è

dedicato il libro. Shylock è un inte-

resse antico?

Assolutamente no. Anzi. A scuolaavevamo letto il testo, ovviamente,e l'avevamo pure rappresentato - ioovviamente avevo ricevuto la partedi Shylock... e non ero neppurel'unico ebreo in classe - ma proprionon lo sopportavo. Neppure il fa-moso monologo mi aveva colpito.Mi pareva dicesse cose del tuttoscontate. Ovvio che un ebreo ha gliocchi, ovvio che sanguina se lo fe-riscono! Non ne capivo il senso.

Avrà cambiato presto idea, però?

No, in realtà non l'avevo riletto.Anche con Sanders, purtroppo,non ne abbiamo mai parlato. L'hoanche scritto nella dedica al libro:abbiamo tenuto numerosi corsi in-sieme, ma il Mercante non è maistato un argomento di confronto.E lo rimpiango moltissimo.

Quindi non ha scelto lei di riscrivere

il Mercante?

Assolutamente no. Per la verità hocercato in tutti i modi di evitarlo.È stata la prima volta che ho scrit-to un romanzo su commissione, eil mio agente mi ha riferito soloche avrei dovuto riscrivere un'ope-ra di Shakespeare. Ho subito pro-posto l'Amleto, che amo molto.Dall'altra parte... silenzio. Mi ha

detto che mi avrebbe fatto sapere.Ma all'editore non andava bene lamia scelta. Ho proposto l'Otello.E siamo andati avanti così. È statouno strano balletto, che è duratodiversi giorni. A un certo punto misono arreso, era chiaro che vole-vano qualcosa di preciso da me.

Il Mercante.

Già. Del resto non posso lamen-tarmi, i miei libri parlano di ebreie di ebraismo. Tutti. Per la veritàogni volta che ne finisco uno dicoche la pianto. Che basta, non scri-verò più di ebrei.

E poi?

Poi ci ricasco. Quindi a questopunto l'ho detto già quattordicivolte. Anche quest'ultima volta,dopo Il mio nome è Shylock: no more

Jews.E sta già lavorando al prossimo libro.

Non ci sono ebrei?

Ma ho già scritto un libro in cuinon ci sono ebrei! In J non com-pare mai la parola Jew, ebreo.

No, in J non ci sono ebrei. O non ci

sono più. Così sono paradossalmente

ancora più presenti. E lei lo sa. Il

prossimo libro quindi...

Non riesco a decidermi. Non sonoancora sicuro, non so se dare alprotagonista un nome ebraico. For-se no. Non lo faccio. Se riesco atrattenermi. Però i nomi sono im-portanti... Non voglio dire altro.

È noto che i nomi dei suoi personag-

gi sono importanti, da tempo, e Il

mio nome è Shylock si apre con un

"filantropo ricco, uomo furioso, fa-

cile all'offesa, dagli entusiasmi volu-

bili" che oltre a una collezione di

opere d'arte angloebraica ha anche

una passione per Shakespeare.

Sì, Simon Strulovich. È un nomeche suona bene, vero? In effetti èil nome di una persona che esistedavvero: giocavamo a ping ponginsieme. Io giocavo abbastanza sulserio.

Sia l'uso del linguaggio che le vicen-

de raccontate nei suoi libri sono ve-

loci, sorprendenti ed emozionanti.

Come una partita di ping pong? Ci

sono similitudini?

Nessuno mi ha mai detto una cosadel genere. Non ci avevo mai pen-sato. In effetti è possibile: il pingpong non è solo al centro di unodei miei libri, L'imbattibile Walzer,ma è stato davvero importante per

Tagliente scrittore, irriverente romanziere, corrosivo umorista, Howard Jacobson, che

è nato nel 1942, è anche uno dei più affermati opinionisti britannici. Sulle colonne di

"The Independent" (che dopo aver interrotto l’edizione a stampa è rimasta come pubbli-

cazione online, e continua a contare parecchio), sulla rete televisiva "Channel 4" Jacobson

continua a ricordare agli inglesi che essere ebrei significa non aver paura di porsi delle

domande. E grazie alla sua lunga militanza sui media, resta uno degli scrittori inglesi più

amati in patria anche dalle grandi masse popolari che non leggerebbero facilmente

un suo libro. Con L'enigma di Finkler, da molti considerato la sua prova letteraria

più alta, Jacobson fustiga impietosamente l’ebraismo manierato, la tifoseria vacua

che si agita attorno all’esistenza dello Stato di Israele e l’antisemitismo occulto che

pervade la società britannica benpensante. Quelle pagine gli sono valse il maggior

riconoscimento cui un autore in lingua inglese possa aspirare, il Man Booker Prize

nell’edizione 2010. Altri suoi titoli pubblicati in Italia sono Kalooki Nights (Cargo,

2008), L'imbattibile Walzer (Cargo, 2009), Un amore perfetto (Cargo, 2010), Prendete

mia suocera (Bompiani, 2014) e Il mio nome è Shylock (Rizzoli, 2016).

Pollice alzato, pollice verso. Ritrovi Howard Jacobson dove meno te

l’immagini, sull’isola di San Giorgio, un soffio fuori dalla calca sudaticcia

del turismo veneziano, e prima ancora di salutarti ti accoglie con una

battuta. Fa il verso ai social network, a quell’oscena simbologia che

abbatte ogni idea e ogni sentimento per tradurre tutto in adesione

o in rigetto, e mostra le mani nella posizione in cui l’icona dell’osse-

quienza di Facebook martella per miliardi di volte le giornate dei per-

ditempo. “Lo sai che cos’è la letteratura?”, chiede mentre continua a

tenere rigidi i suoi pollici verso l’alto e verso il basso. “La letteratura

è tutto quello che sta in mezzo”, conclude prima di rimettere le mani

in libertà. Difficile dargli torto. La letteratura è un gioco di sfumature,

di contraddizioni. E chi si è ridotto a esprimere solo gli scatti del mi-

piace e nonmipiace molto difficilmente potrà capirlo.

Con un solo gesto Jacobson fa più di una lezione accademica sulla de-

menza digitale. Ma la sua strenua resistenza agli imbecilli va molto

al di là della missione dello scrittore. Si fa impegno ebraico e impegno

civile. Si fa orgoglio di essere cittadino consapevole del nostro tempo.

Certo ci vuole una bella impertinenza, per affermare ad alta voce

quello che tutti sanno, ma nessuno ha più il coraggio di dire.

Denunciare l’imbecillità che ingrossa i condotti del social network e

le tasche dei farabutti che si ingrassano approfittando della pochezza

diffusa non è né difficile né originale, anche se Jacobson è capace di

La demenza digitale aiuta i terroristi

HowardJacobsonIL MIO NOME È SHYLOCK Rizzoli

HowardJacobsonPRENDETE MIASUOCERA Bompiani

Mi chiamo Shylock. C’è qualcosa che non va?La coerenza di Howard Jacobson è alterità irriducibile e rifiuto di ogni banalizzazione. Il suo Mercante non perdona

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INTERVISTA / P7

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me. Pochi sanno tra l'altro che erapopolarissimo tra gli ebrei, eranoi giocatori più forti.

E poi?

Poi sono state introdotte le rac-chette con il rivestimento a san-dwich. Il gioco è diventato più atle-tico. I giocatori sono cambiati.

Sembra una barzelletta, con lo ste-reotipo degli ebrei dediti ai libri eincapaci di gesti atletici, lo so. Maè andata davvero così.

I pregiudizi hanno solide radici cul-

turali...

Sono stato a Shangai, e lì è tuttodiverso. L'immagine che hanno del

Mercante, per esempio, è lontanis-sima da quella europea. In Cinaadorano gli ebrei esattamente perle stesse motivazioni che in occi-dente sono diventate pregiudizi ne-gativi. E la spiegazione è semplice:non danno nessuna implicazionenegativa al commercio. Anzi. InCina vanno fortissimo libri e corsicome "Trade tips from the Tal-mud", Principi commerciali trattidal Talmud. Dico sul serio!

Solo in Cina esiste un rovesciamento

simile?

Non credo proprio. Posso solo ri-ferirne, e da lettore: Karen Blixen,per esempio, in Out of Africa rac-conta di un villaggio in cui dopola narrazione della storia tutti i pre-senti, senza alcuna esitazione, sischierano dalla parte di Shylock.Non ricordo i dettagli ma risultavaloro inaccettabile che un contrattonon venisse onorato. Se era statapattuita una libbra di carne, unalibbra di carne doveva essere. Eraper loro inconcepibile che potesseandare diversamente.

Tornando a Shylock, è stato difficile

farlo tornare?

Shylock non se ne è mai andato.Lo sappiamo bene. Possiamo di-scutere per ore e non decidere seè davvero un'opera sull'antisemi-tismo o un'opera antisemita. Sitratta di un personaggio che ha pe-sato sull'immaginario collettivo inmaniera enorme.

Rendendo tutto più difficile, quindi?

Ho dovuto risolvere due problemi,prima ancora di dedicarmi allascrittura vera e propria: non volevo"rubare" troppo da Shakespeare.E io non scrivo fantasy. La primaquestione l'ha risolta in realtà miamoglie, che in pratica mi ha dettobrutalmente di smettere di preoc-cuparmi: in fondo lo stesso Sha-kespeare ruba tutto il tempo... po-tevo non darle retta?

E Shylock?

Questa è stata la parte difficile an-che perché volevo raccontare siail suo essere padre che marito fe-dele, che continua a piangere lamoglie. Non volevo un fantasma.Proprio perché non credo lo me-ritasse, e perché Shylock non si èmai allontanato dalle nostre mentiné dalla coscienza occidentale. Vo-levo fare una distinzione chiara,che è poi l'atto creativo in sé. Sen-za fare confronti, ovviamente, mase ci pensiamo è poi questo l'attodivino. Dio è creatore perché di-vide, perché fa una distinzione, se-para. Separa la luce dal buio, la ter-ra dalle acque. La separazione èsicurezza. In fondo se Jessica fosse

stata in ghetto forse sarebbe stataal sicuro. Forse non sarebbe stataportata via a Shylock.

Questo lo dice Shakespeare? Shy-

lock? O Jacobson?

No, no lo dice nessuno. Era soloun pensiero. E non voglio assolu-tamente attribuire un valore posi-tivo al ghetto. A nessun ghetto,che sia chiaro. Le polemiche inproposito sono assurde. Ciò che ècerto è che Shylock è ancora a Ve-nezia, non se ne è mai andato. Enon mi bastava un suo simulacroproprio perché non è un fantasmae perché io non sono un autore difantasy. Dovevo assumere il rischiodi farlo comparire. Così. Senza nes-suna spiegazione. La cosa pazzescaè che funziona: l'ho messo in uncimitero, Strulovich lo vede. Nonha neppure bisogno di riconoscer-lo, sa che è lui. Fine del problema.

Sorpreso?

I lettori sono molto più audaci efantasiosi di quanto osassi esserloio. Poi è anche vero che alcune co-se sono più semplici di come ven-gono raccontate. Nel Mercante ipersonaggi che esprimono senti-menti antiebraici, per esempio, so-no assolutamente orribili. E sonoorribili in una maniera evidente ericonoscibile. Già dal linguaggio.

Quindi quella linguistica è stata una

delle scelte difficili?

Meno di quanto temessi. Una voltadeciso che potevo prendere a pre-stito senza problemi dalla storiaoriginale non mi interessava piùtanto ragionare su cosa pensavaShakespeare. Mi sono concentratosu quello che mi premeva di più,ossia il suo modo di lavorare, discrivere.

Tornando così al linguaggio.

È sempre più importante in unepoca in cui dominano i social net-work. Sono un abominio. Sono lafine della creatività nel linguaggio.Sono violenza e volgarità che sifingono discussione e dialogo. Unequivoco terribile. Una falsa de-mocratizzazione. Io credo nella ter-ribile e seducente bellezza dellastampa.

Come ai tempi di Shakespeare?

Senza esagerare... ma non si puòessere inglesi e non fare riferimentoa Shakespeare, non averlo in testa.E io non so scrivere senza qualcheelemento di commedia. Da Shake-speare ho preso dei pezzi. Ma nonproprio. Per esempio nulla nell'ori-ginale lascia intendere che Shylocksia un ebreo ortodosso. Ma lo è.Non gli interessa essere altro. Lasua alterità è la sua forza.

ú– DONNE DA VICINO

FrancescaFrancesca Duscià, quarantenne ro-mana, è un’artista che scegliel’ebraismo come soggetto di granparte delle sue opere. La mamma,pittrice, designer e architetto, letrasmette fin da piccola l’amore peril disegno. Con entusiasmo e senzatante incertezze s’iscrive al liceo ar-tistico. Negli anni del boom dei lin-guaggi audiovisivi e multimedialifrequenta corsi di recitazione al-l’Actor Studio di New York, le le-zioni di Susan Batson, docente diattori di tutto il mondo pronti ascoprire e sviluppare i segreti dellinguaggio universale dell’arte,sono un’ottima esperienza forma-tiva. Dalla teoria alla pratica perchi ha determinazione e voglia dimettersi in gioco il passo è breve:Francesca ha talento e ottiene laparte di protagonista del film L’offi-

cina dei miracoli di Vincenzo At-tingenti. Da Manhattan a Romaritorna all’antico amore: si laureain storia dell’arte moderna con in-dirizzo religioso e antropologico.Parte dallo studio del cristianesimoper giungere a Maimonide: Laguida dei perplessi, dice, “in qual-che modo racchiude in sé la dicoto-mia, che anche come artista devoaffrontare, del rapporto tra la cul-tura figurativa di ascendenzagreco-romana di cui l’arte figura-tiva è espressione e l’aniconismo ditradizione orientale. L’ebraismo,come noto, nega la raffigurazionedelle divinità e io cerco il più possi-bile di rispettarne i precetti e gli as-sunti, relegando la presenza delsacro ai soli oggetti liturgici e ad al-cune figure simboliche.” Gli episodinarrati nella Bibbia e le festivitàpermettono di esprimere su tela ilsuo pensiero: “L’aspetto che più micolpisce dell’ebraismo è la forzaespressa nel continuo ribollire di ununiverso simbolico illimitato e mul-tiforme dal quale attingo per trovareforme inedite”. Le opere si arricchi-scono di metafore e ispirazioni ma-ture, le mostre si succedono, icataloghi propongono saggi di rab-bini. “La concezione monoteistica èdirompente, immutabile percorre lastoria come una lingua di fuoco cheillumina i secoli a venire.”

ú–– Claudia De BenedettiProbiviro dell’Unionedelle ComunitàEbraiche Italiane

vette d’ironia difficilmente eguagliabili e le sue frecce fanno molto

male. Molto più arrischiato potrebbe essere giocare a carte scoperte

con la paccottiglia subculturale del terrorismo. Chi semina odio e

morte, spiega Jacobson, non è necessariamente una bestia infuriata

o un rozzo analfabeta. È molto spesso qualcuno che ha approfittato

dell’occasione di studiare. In alcuni casi anche a livello universitario.

E soprattutto, ma questo nei corridoi delle università europee dav-

vero non sta bene dirlo, i loro studi sono di solito saldamente orien-

tati in campo tecnico scientifico. “Devo ancora vedere una volta –

attacca Jacobson – un terrorista che tenga in tasca una copia della

Middelmarch di Eliot. E questo perché l’enorme maggioranza dei lau-

reati reclutati dall’Isis ha studiato informatica, non letteratura”.

Quello che disturba di più non è tanto l’evidenza dell’intolleranza e

della disumanità che facilmente si annida nei meandri della tecno-

crazia. Quello che imbarazza, nella denuncia del polemista, è la misura

di quanto noi stessi ci siamo allontanati da una reale comprensione

del mondo letterario e dell’arte. Quanto abbiamo deprivato i nostri

figli degli strumenti di comprensione e di orientamento nei territori

incerti che stanno fra il pollice dritto e il pollice verso. Gli unici in

cui possiamo dirci veramente umani e gli unici dove gli ebrei possono

infine piantare le tende delle loro speranze.

g.v.

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autorità egiziane hanno gettato piùombre che luci – nuovamente alcentro dello scacchiere mediorien-tale. Per Israele invece la norma-

lizzazione dei rapporti con i viciniegiziani vuol dire un passo in piùper la sicurezza del paese, che viveaccerchiato da nazioni più o meno

ostili. Come ricordava a PagineEbraiche Eytan Haber, consiglieree braccio destro dello statista e pre-mio Nobel per la pace israeliano

Yitzhak Rabin, “Israele dalla firmadegli accordi di pace quasi qua-rant’anni fa tra Begin (allora pre-mier israeliano) e Sadat (presidenteegiziano) ha capito l’importanzadella diplomazia”. Un percorso,spiegava Haber, da portare avantinonostante le avversità, “come di-mostra quanto ci ha insegnato Ra-bin, che pagò con il sangue questascelta (fu ucciso da un estremistaisraeliano durante le trattative dipace con i palestinesi nel 1995)”.Il riavvicinamento attuale può dun-que essere un segnale positivo perIsraele, seppur gli egiziani vivanoancora nel pregiudizio e siano im-pregnati di propaganda antisionista.Però “abbiamo nemici comuni, ov-vero il terrorismo, o se si vuole, ilterrorismo islamico radicale, uscitotutto dalla stessa radice - spiegaval’ambasciatore israeliano in EgittoHaim Koren - non importa se difronte hai Hamas o la FratellanzaMusulmana, l’Isis, Jabhat al-Nusra

/ P8 ERETZ

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

IL COMMENTO PROBLEMI COL BURKINI? FATE UN SALTO A TEL AVIV

Il governo israeliano e le varie realtàdella società civile che lo sostengonoorganizzano già molte visite guidate

al Paese. Studenti, politici, ricerca-tori e persone comuni vengono por-tate a visitare musei, kibbutz, scuolee basi militari. Benissimo per carità,però mi sento di avanzare una mo-

desta proposta: perché non aggiun-gere anche qualche visita allespiagge? A scopo anche istruttivo,s’intende, e non soltanto balneare.Facendo un giro sulle spiagge israe-

liane, il visitatore europeo potrà tro-vare bellezze in bikini o in costumeintero che si godono un bel pomerig-gio di sole (solo i cani pazzi e gli in-glesi vanno al mare in Israele prima

delle cinque), a fianco di donne co-perte dalla testa ai piedi, che si trattidi ebree ortodosse, di “modern or-thodox” o di musulmane osservanti.Ora, lungi da me da presentare

ANNA MOMIGLIANO

Nel vergognoso gesto del judokaegiziano Islam El Shehaby alleOlimpiadi di Rio che davanti alletelecamere di tutto il mondo hadeciso di non stringere la manoall’avversario, l’israeliano Or Sas-son, che lo aveva appena battutosi ritrovano molte delle contraddi-zioni del rapporto tra Egitto eIsraele. La scelta di El Shehaby, fi-schiato dal pubblico brasiliano da-vanti a un incredulo Sasson (chepoi vincerà il bronzo), rappresentaun sentimento di ostilità controIsraele diffuso in Egitto e al con-tempo stride con la recente dire-zione intrapresa dalla diplomaziadello stato africano: se il gesto deljudoka – che, riportava Cnn, è statocondannato anche dal ComitatoOlimpico egiziano – ben interpretail sondaggio pubblicato lo scorsoottobre dal Centro di statistica delCairo in cui gli egiziani identifica-vano lo Stato ebraico come il paesepiù ostile, dall’altra parte non coin-cide con la vigorosa stretta di ma-no – questa sì data – tra il ministrodegli Esteri egiziano Sameh Shou-kry e il Primo ministro israelianoBenjamin Netanyahu lo scorso 10luglio a Gerusalemme. “Una visitache rappresenta un messaggio im-portante inviato dall’Egitto ai pa-lestinesi e al Medio Oriente: Ge-rusalemme e il Cairo sono di nuo-vo vicine, dopo un lungo periododi lontananza”, il commento dell’exambasciatore israeliano in EgittoZvi Mazel, che ha sottolineato co-me la leadership del paese guidatoda Al Sisi veda in Israele un partnerstrategico nella lotta al terrorismoma anche come una possibile stra-da per riaffermare il suo peso in-ternazionale. Il Cairo infatti ha proposto di ria-prire i negoziati di pace tra israe-liani e palestinesi, dichiarando diessere disponibile ad organizzareun summit tra le due parti all’om-bra delle piramidi. Un possibilesuccesso in questo senso potrebbeportare l’Egitto – su cui ancora pe-sa il caso di Giulio Regeni, ricer-catore italiano torturato e uccisoal Cairo sette mesi fa e su cui le

La palma cresciuta dai noccioli

dei datteri che aveva in tasca

quando è morto nel mezzo della

penisola del Sinai non si trova

più nel suo luogo originario, ma

sorge ancora nel cimitero del

monte Herzl. Anche l’insediamen-

to realizzato nel Sinai nel suo no-

me per ricordarne le imprese

non esiste più, ma un altro è na-

to in Israele dopo l’abbandono in

seguito agli accordi di Camp Da-

vid. La casa di Avshalom Fein-

berg, agente segreto ottomano

tra i leader di Nili, la rete di spie

ebraiche che lavorava per la co-

rona britannica, operativa nella

Palestina ottomana durante la

prima guerra mondiale, invece

non esiste più. Si trovava nella

città di Gedera, al centro di Israe-

le, oggi oggetto di una forte mo-

dernizzazione con la riqualifica-

zione di interi quartieri. Per fare

questo, sono stati però buttati

giù alcuni edifici che apparten-

gono alla storia non solo della

città ma dell’intero paese, scate-

nando lo sdegno di alcuni. E così

la palazzina al numero 24 di re-

chov Ha-Biluyim dove Feinberg

diventò uno degli uomini decisivi

per la storia del sionismo non c’è

più, così anche quella di una sua

celebre vicina, la poetessa Rachel

Bluwstein, che sarà presto ricon-

vertita in un hotel. “Questa è una

delle vie più importanti per il

paese da un punto di vista stori-

co”, ha dichiarato un residente

al giornale Yediot Ahronot. “Nes-

suno si cura dell’immenso valore

storico che questi palazzi rappre-

sentano per Israele”. Gedera fu

fondata nel 1884 dal gruppo dei

Bilu, un movimento di sionisti il

cui scopo era creare insediamen-

ti agricoli nella Terra di Israele.

Alla via di Feinberg fu dato pro-

prio il loro nome, a significare la

sua importanza. La strada però

non cambierà totalmente fisio-

nomia, in quanto Tal Ben Nun,

manager della Società per la pre-

servazione dei siti culturali israe-

liani, ha spiegato che il nuovo

piano di costruzioni non prevede

di cambiare l’aspetto esteriore

dei palazzi di rechov Ha-Biluyim.

Questi rimarranno infatti nelle

loro forme originarie, ma per

quanto riguarda l’interno delle

case, come quella di Feinberg,

non era necessario preservarle.

“Quando le autorità cittadine

hanno messo a punto il piano –

ha osservato – non hanno inve-

stigato su quale fosse la valenza

storica di ogni palazzo, e ora è

troppo tardi”. E infatti Danny

Shem-Tov, uno degli sviluppatori

a capo del progetto di rechov Ha-

biluyim, ha detto che non era al

corrente del fatto che il numero

24 fosse casa di Avshalom Fein-

berg. “Il mio errore è frutto di

A casa della spia che cambiò Eretz Israel

u A sinistra l’agente segreto

Avshalom Feinberg e compagna.

In alto, la sua casa nella città di

Gedera, ora distrutta per errore

L’Egitto che stringe la mano a Israele

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016 ERETZ

Cisgiordania, guerra al traffico di armiDopo un periodo in cui la violenzadel terrorismo palestinese era tor-nata a colpire in modo significativoIsraele, l’azione congiunta delle au-torità anti-terrorismo israeliane haportato a un nuova diminuzionedella minaccia. Diverse le direttriciseguite da esercito, polizia di fron-tiera e intelligence per arrivare aquesto risultato: secondo gli esper-ti, hanno pesato in particolare lavera e propria guerra al traffico diarmi in Cisgiordania dichiarato daGerusalemme, con una stretta divite notevole sulla possibilità di ot-tenere pistole al di là del confine,il miglioramento nel monitoraggiodei social media palestinesi (checonsente di prevenire in una certamisura gli attacchi di eventuali lupisolitari prima che possano colpire),e un maggior coordinamento sulfronte della sicurezza con l’Autoritàpalestinese. Quest’ultimo punto sirichiama peraltro al primo, il traf-fico di armi: anche l’Anp infatti hatutto l’interesse a bloccare il mer-cato nero delle armi fatte in casa

che minaccia la stessa autorità del-le forze di sicurezza sotto il co-mando del presidente MahmoudAbbas. A metà agosto, per esem-pio, a Nablus due poliziotti pale-stinesi sono rimasti uccisi in unoscontro a fuoco con presunti traf-ficanti. L’incidente, infatti, è natocome conseguenza di un’operazio-ne dell’Anp diretta al sequestro del-le armi illegali. La violenza armata

dilaga in Cisgiordania, ammettevail portavoce della polizia locale Lo-aie Izrekat lo scorso giugno. Di re-cente anche la casa del sindaco diNablus Ghassan Shakeh è statapresa di mira, con colpi sparaticontro la sua abitazione. Anche Israele ora ha messo in pie-di operazioni contro la produzionedi armi fatte in casa in Cisgiorda-nia, facili da reperire e a costi con-

tenuti (tra i 600 e i 1000 euro perun fucile mitragliatore Carl Gu-stav): lo scorso mese, forze di si-curezza hanno fatto irruzione insette fabbriche attorno a Betlemmee Hebron, arrestando decine dipersone sospettate di produrre etrafficare armi. L’obiettivo è quellodi abbattere gradualmente l’interafiliera - produttori, venditori, in-termediari e acquirenti.

“Nel cuore, una felicità quieta”.L’ha descritta in uno dei suoicomponimenti più celebri RachelBluwstein, meglio conosciutaforse solo come ‘Rachel, la poe-tessa’, la cui storia è forse nelcomplesso triste ma le cui poesiecontengono tutta la gamma disentimenti umani. Il suo voltooggi è conosciuto a tutti gliisraeliani perché compare sullebanconote dei nuovi Shekel, e lesue parole fanno ormai parte delrepertorio musicale del paese.Nata nel 1890 in Russia e poiemigrata a più riprese nella Terradi Israele, Rachel è stata una pio-niera in tutto. Del sionismo, sta-bilendosi ventenne con la sorellaprima a Rehovot, dove lavoraro-no in un asilo imparando l’ebrai-co ascoltando le conversazionidei bambini, e poi sul lago di Ti-beriade, seguendo il suo deside-rio di lavorare nel campo del-l’agricoltura, frequentando lascuola agricola femminile. Della

poesia in ebraico, dal momentoche fu uno dei primi autori a scri-vere in ebraico, lingua di cui pa-droneggiò sia i registri più collo-quiali, sia le più complesse sfac-cettature del linguaggio biblico.Della poesia femminile, poiché èstata la prima poetessa di linguaebraica a ricevere un pubblico ri-conoscimento e apprezzamentoin un campo, fino ad allora, oc-cupato da soli uomini. Dopo unritorno in Russia e un passaggiodi studi in Francia, Rachel tornò

in Israele nel 1919 sulla “Ruslan”,la prima nave russa a lasciarel’Impero dopo la guerra alla voltadella Palestina. Non poté peròproseguire a lavorare con i bam-bini per via della tubercolosi chela affliggeva, e che la portò a vi-vere per qualche tempo a Geru-salemme e poi a Gedera, dovepassò i suoi ultimi giorni, nellacasa che fu della spia AvshalomFeinberg. Un luogo simbolo, og-gi però distrutto dall’imperiziadelle autorità. Rachel morì il 16 aprile 1931, a40 anni. La maggior parte dellasue poesie è stata prodotta negliultimi sei anni della sua vita, an-notate su pezzetti di carta. Com-ponimenti brevi, elegiaci e no-stalgici, che riflettono il pessimi-smo di una donna costantemen-te in rapporto con il dolore e lamorte, con parole dedicate aldesiderio, al perdita, al destino.Ma anche, qualche volta, di “unafelicità quieta”.

SE LA CITTÀ DI GEDERA DIMENTICA LA POETESSA RACHEL

o al-Qaeda”. “Al Sisi ha capito infretta che siamo tutti nella stessabarca”, ha sottolineato Koren. Tan-to nella stessa barca che Israele hapermesso di recente all’Egitto dispostare armi pesanti come carriarmati, artiglieria ed elicotteri d’at-tacco nella irrequieta penisola delSinai per combattere gli estremisti,tra cui gruppi affiliati allo Statoislamico, derogando così ai divietiprevisti nel citato trattato di pacedel 1979. Se i vertici e l’intelligencedi Gerusalemme e del Cairo sistringono dunque le mani, il po-polo egiziano continua a covaresentimenti antisemiti e anti-israe-liani come dimostra il gesto del ju-doka. “La nostra aspirazione è quella diavvicinarsi al popolo egiziano, at-traverso una politica culturale esociale portata avanti sui media –dichiarava di recente l’ambascia-tore Koren - Ma abbiamo capitoche si tratta di un processo lungo,c’è una lunga strada da percorrere.È per questo che la stabilità del-l’Egitto è importante”.

Daniel Reichel

un fraintendimento, pensavo che

casa sua fosse nel palazzo di

fronte”, ha dichiarato alla stam-

pa. “Era compito dello Stato dir-

melo prima – ha aggiunto – tutto

è stato fatto nella legalità e con

tutti i permessi”. Sulla difensiva

anche il capo dell’autorità muni-

cipale di Gedera Yoel Gamliel:

“Quello portato avanti ora è in

realtà un piano di costruzione

municipale vecchio che non ab-

biamo la possibilità di alterare.

Abbiamo le mani legate”, ha det-

to, sottolineando come l’inten-

zione sia quella di portare un mi-

glioramento nella via.

All’epoca della nascita di Fein-

berg, nel 1889, Gedera faceva an-

cora parte dell’Impero ottoma-

no. Dopo averla lasciata per stu-

diare in Francia, Avshalom vi ri-

tornò per lavorare con Aaron Aa-

ronsohn alla stazione di ricerca

agronoma di Atlit. Con lui e sua

sorella Sarah, Feinberg, subito

dopo l’inizio della prima guerra

mondiale, fonderà il Nili – le cui

lettere in ebraico stanno per

“Netzakh Yisrael Lo Yishaker”, “La

Gloria di Israele non cadrà”, una

citazione dai Salmi – un’organiz-

zazione spionistica che lavorava

per la Gran Bretagna nei combat-

timenti in Palestina contro l’Im-

pero ottomano. Nel 1915 Avsha-

lom viaggiò spesso in Egitto e

aprì i contatti con l’intelligence

della marina britannica per con-

to del Nili. La sua attività fu de-

finita fondamentale dai vertici

dell’esercito britannico. Con l’al-

tra sorella di Aaron, Rivka, era fi-

danzato, ma non si sposarono

mai. Nel 1917 partì di nuovo per

l’Egitto, questa volta a piedi, ma

fu ucciso dai beduini nelle vici-

nanze del fronte inglese nella pe-

nisola del Sinai nei pressi di Ra-

fah. Il suo destino è rimasto na-

scosto fin dopo la fine della guer-

ra dei Sei Giorni, quando i suoi

resti furono ritrovati sotto una

palma nata dai semi che aveva in

tasca – che oggi diventa ancora

di più il punto di riferimento per

la storia di un personaggio fon-

damentale.

Israele come un Paese perfetto, unmodello infallibile di convivenza trapersone con diversi stili di vita econfessioni religiose. Non c’è biso-gno di leggere la stampa israeliana

tutti i giorni per sapere che la ten-sione tra connazionali ebrei e mu-sulmani è più alta che in passato. E,come i lettori di queste pagine bensapranno, neppure tra laici e reli-

giosi è sempre rose e fiori. Eppure levarie difficoltà non cambiano il fattoche la libertà – di religione, certo,ma di andarsene in giro vestiti comemeglio si crede – è un valore consi-

derato inalienabile. Dunque, datal’aria che tira in Europa – partico-larmente in Francia e, come spessoavviene, di riflesso qui in Italia – po-trebbe essere un’esperienza utile

passare una giornata in una spiag-gia israeliana. Non fosse altro perrendersi conto che la lotta al terrori-smo non passa dal mettere all’indiceil burkini.

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/ P10 ECONOMIA

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

Sono 76 i paesi verso cui, nel corsodel 2014, Israele ha fatto delle do-nazioni per sostenere l'economia lo-cale. A indicarne il numero e le cifrestanziate, una chiara infografica pro-dotta dalla rivista Economist, in cuisi evidenziano gli aiuti distribuiti ericevuti dai vari paesi del mondo.Una lista che non è esaustiva, spiegala stessa testata perché ad esempiomanca la Cina a causa dell'assenzadi dati forniti da Pechino, ma chedà un quadro dell'impegno interna-zionale dei vari Paesi e di quantosostegno economico ricevano alcu-ne realtà da altre nazioni, stando aidati dell'Organizzazione per la coo-perazione e lo sviluppo economico.L'Italia, per esempio, ha inviato do-nazioni a 98 paesi. I maggiori be-neficiari dell'aiuto di Roma nel 2014sono stati tre paesi africani, l'Etiopia,il Mozambico e la Tunisia (in media24 milioni di dollari), e uno medio-rientale, l'Afghanistan (30 milioni didollari). Il paese che sul mappamon-do degli aiuti colleziona più stati èil Giappone, con 142 realtà finan-ziate (impressionante il dato sull'In-dia, a cui Tokyo ha versato oltre1miliardo di dollari di aiuti; ingentianche le cifre stanziate per Iraq, 342milioni, e Indonesia, 555 milioni didollari); secondi gli Stati Uniti (chetra Pakistan e Afghanistan nel 2014ha stanziato circa 2 miliardi e mezzodi dollari di aiuti, oltre 600 per ilprimo, quasi 1.8 per il secondo).

Tra i paesi e le realtà invece più po-polari tra quelli che ricevono con-tributi economici, i territori palesti-nesi, assieme ad Afghanistan, Cinae Uganda: ciascuno di queste entitàriceve aiuti da 35 paesi diversi. WestBank e Gaza, stando ai dati raccoltidall'Ocse, risultano essere anche trai maggiori beneficiari dei progettidi cooperazione e sviluppo avviati– sempre nel 2014 – da Israele, as-sieme alla Giordania e alla Siria. Isettori su cui si concentra l'aiuto diGerusalemme, sottolinea l'Agenziaisraeliana per lo sviluppo e la coo-perazione internazionale (nota conl'acronimo di Mashav), sono sonola gestione delle risorse idriche,l'agricoltura nel deserto e al con-tempo la lotta contro la desertifica-zione, l'educazione della prima in-fanzia, lo sviluppo rurale e delle co-munità, l'aiuto ai paesi in statod'emergenza o dopo catastrofi na-turali – tra cui, attraverso l'organiz-zazione IsraAid, alle popolazioni vit-tima del terremoto nel centro Italia- la salute pubblica e il miglioramen-to della condizione delle donne.Israele, specifica l'Agenzia nata apochi anni dalla fondazione delloStato ebraico (1957), offre la suacooperazione bilaterale allo sviluppoper lo più in forma di progetti dicooperazione tecnica e di sviluppodi capacità sul territorio. Seguendol'ideale di essere luce delle nazioni,Israele ha cercato di costruire un ar-

La mappa di chi dona agli altri

IL COMMENTO IL REGIME DELLA DISEGUAGLIANZA

A fronte dei disastri provocati dalleguerre civili in corso nella macrore-gione che comprende il Mediterraneoe il Medio Oriente, le economie dimolti di quei paesi hanno mantenutonel corso del tempo caratteristiche

relativamente unitarie. Ne derivaancora una volta, quindi, la centra-lità della produzione di energia perl’esportazione così come delle attivitàcommerciali e di servizi. Mentre ilturismo, voce che era divenuta im-portante in questi ultimi venti e piùanni, ha subito invece un secco e re-

pentino ridimensionamento. Il mag-giore grado di integrazione originatodalla globalizzazione se da un lato harafforzato i legami già esistenti con ipaesi a sviluppo avanzato dell’Occi-dente e dell’Oriente, grazie all’inter-scambio, dall’altro ha reso ancorapiù vulnerabili le società maghrebine

e mediorientali alle scosse prove-nienti dall’esterno. Rimane, al mo-mento ancora indiscussa, laleadership delle monarchie del Golfosu buona parte della macroregione.Tuttavia, l’insoddisfazione dellacomponente più giovane (edistruita), in nazioni abitate da una

popolazione la cui età media ruotaintorno ai vent’anni (in Europa èpiù del doppio), è divenuta una co-stante nelle loro dinamiche intestine.Un fatto, quest’ultimo, che derivadai fortissimi disequilibri che attra-versano società da molto tempo mar-catamente diseguali. Pochi ricchi,

CLAUDIO VERCELLI

L'autorità israeliana che vigila

sui mercati finanziari e sugli

strumenti di risparmio (l'equi-

valente della Consob italiana) ha

annunciato forti restrizioni e, in

alcuni casi la chiusura, per le cir-

ca cento società israeliane che

offrono servizi di trading online

sulle valute ("forex") e su altri

strumenti finanziari. Cosa ha

spinto la Consob israeliana a un

provvedimento così drastico,

che mette a repentaglio migliaia

di posti di lavoro (fra questi ci

sono decine di giovani immigrati

dall'Italia)?

Innanzitutto occorre ricordare

che da diversi anni uno dei set-

tori in cui primeggiano le socie-

tà di high tech israeliane è quel-

lo dei software per le scommes-

se online: molti dei principali

operatori (tra questi i colossi

britannici delle scommesse cal-

cistiche, come William Hill) uti-

lizzano sofisticati software

israeliani, capaci di elaborare in

frazioni di secondo milioni di da-

ti ("big data"). Dal matrimonio

tra i siti per le scommesse online

e i siti di trading finanziario in

rete, questi ultimi molto diffusi

anche in Italia, si sono sviluppati

negli ultimi anni alcuni siti israe-

liani (cosiddetti siti di "binary

options") che propongono ai

clienti investimenti finanziari ad

altissimo rischio e ad elevato in-

debitamento, che spesso offro-

no al cliente, mediante i call cen-

ter, consigli ingannevoli e fuor-

vianti per spingerli ad effettuare

quelli che in buona sostanza non

sono più investimenti finanziari

bensì l'equivalente di scommes-

se sui cavalli o alla roulette del

casinò. Alcune di queste società

israeliane di trading in "opzioni

binarie" hanno compiuto nell'ul-

timo anno vere e proprie truffe

ai danni dei clienti di tutto il

mondo e hanno accumulato mi-

gliaia di denunce da parte di ri-

sparmiatori. L'importo comples-

sivo delle truffe è molto elevato,

dell'ordine di miliardi di dollari.

ú–– Aviram Levyeconomista

Consob d’Israele, la stretta sul trading online

Aiuti dati (mln di dollari)

Dare e ricevere Aiuti internazionali per stato, 2014 (dati Ocse)

Aiuti ricevuti (mln di dollari)

<1 1-1,9 2-4,9 5-10 >10

<1 1-1,9 10-49 50-99 >100

140

120

100

80

60

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Come in Italia la Comunità ebrai-

ca si è subito mobilitata per dare

il proprio contributo nell'aiuto

alle popolazioni colpite dal ter-

remoto che a fine agosto ha de-

vastato alcuni comuni del Centro

Italia, così poche settimane pri-

ma a rimboccarsi le maniche per

rispondere a un'altra tragica ca-

lamità naturale sono stati gli

ebrei americani. In Louisiana, nel

Sud degli Stati Uniti, infatti lo

scorso mese si è abbattuta una

pesante alluvione: una settimana

di forti piogge ha provocato la

morte di 13 persone mentre ol-

tre 60mila sono stata danneggia-

te e più di 7mila persone sono

state trasferite in centri provvi-

sori allestiti in diversi punti dello

stato. “Il peggior disastro che

abbia colpito gli Stati Uniti

dall’uragano Sandy”, la va-

lutazione della Croce Rossa

che dà un quadro della gra-

vità della situazione di uno

Stato, la Louisiana, che nel

2006 fu messo in ginocchio

dall'uragano Katrina.

Tra le iniziative avviate per

sostenere le zone colpite

dall'alluvione, la Federazio-

ne ebraica del Nord Ameri-

ca ha dato il via a una rac-

colta fondi per aiutare i cittadini

della Louisiana meridionale – zo-

na interessata dall'alluvione -

con la costituzione del Baton

Rouge Flood Relief Fund. La Co-

munità ebraica di New Orleans

invece ha mandato diversi volon-

tari sul campo per prestare soc-

corso agli sfollati e ripulire le

abitazioni dai danni provocati

dalle piogge. Parlando alla stam-

pa israeliana, Tana Velen, tra le

promotrici dell'iniziativa portata

avanti dagli ebrei di New Orle-

ans, ha spiegato che l'organizza-

zione si sentiva in dovere di aiu-

tare la comunità di Baton Rouge.

“Non appena abbiamo sentito

parlare delle inondazioni, ci sia-

mo riuniti per decidere come

agire”. Assieme al gruppo di vo-

lontari di Nechama, associazione

ebraica con base in Minnesota

che da anni porta assistenza nel-

le zone colpite dai disastri am-

bientali (“Il lavoro di Nechama –

si legge sul sito - è radicato nel

valore ebraico del Tikkun Olam,

riparare il mondo attraverso atti

di altruismo), è stato così possi-

bile aiutare diverse famiglie a ri-

muovere mobili, abbigliamento,

cibo dalle case e iniziare a siste-

mare le abitazioni danneggiate.

“I proprietari erano in una si-

tuazione emotiva complicata

– ha raccontato Velen – da

una parte segnati dal dolore

per aver perso tutta la loro

vita, e dall'altra la gratitudi-

ne per avere i volontari al

proprio fianco”. Michael J.

Weil, direttore esecutivo del-

la Federazione ebraica di

Greater New Orleans, ha sot-

tolineato come l'alluvione

inizialmente sia stata trascu-

rata dai media: “Qui a New Orle-

ans, sappiamo fin troppo bene

che cosa significa il trauma di

perdere tutto, e di essere fuori

della propria casa per molti me-

si", ha sottolineato Weil, riba-

dendo l'impegno della Comunità

ebraica al fianco della popolazio-

ne colpita.

ECONOMIA / P11

www.moked.it

pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

Le autorità israeliane erano cor-

se ai ripari qualche anno fa vie-

tando a questi siti di fornire i

propri servizi a clienti residenti

in Israele (dove il gioco d’azzar-

do è vietato e non vi sono casi-

nò). Ma queste società hanno ri-

volto i loro sforzi ai mercati di

altri paesi (reclutando a tal fine

uno stuolo multilingue di ope-

ratori di call center). La svolta

è arrivata quando un anno fa le

autorità americane, subissate da

denunce di cittadini statunitensi

vittime di queste "truffe", hanno

chiesto e ottenuto da Israele di

vietare a queste società di ope-

rare con clienti americani. Ades-

so, dice la Consob israeliana, il

danno reputazionale per il siste-

ma finanziario israeliano e per

l'industria high tech è così ele-

vato che occorre un divieto as-

soluto per questi siti; nei mesi

scorsi sono state ritirate le li-

cenze a cinque importanti socie-

tà del settore (iTrader, Capital

Markets 24, Trader Marker, Etra-

der, iMarket) e altri provvedi-

menti sono in arrivo.

ticolato sistema di aiuti, in partico-lare a paesi del Terzo mondo o invia di sviluppo: dalla sua istituzione,il Mashav – si legge nel sito dell'ente- ha preparato in diversi campi circa270.000 partecipanti ai progetti, pro-venienti da 132 paesi, sviluppandodecine di progetti in tutto il mon-do.Esempio concreti di questo tipo dicollaborazioni, quello dl lago lagoVittoria, in Uganda. Qui la carpa èstata da sempre una parte impor-tante della dieta degli abitanti deivillaggi vicini al lago. L'introdu-zione però nelle sue acque del pe-sce persico del Nilo nel corso deglianni decimò la popolazione dellecarpe. Il problema per gli abitantidei villaggi – centinaia di persone– era che non erano in grado, sen-za attrezzature né esperienza, dicatturare l'enorme pesce persico,non riuscendo così a provvedereal proprio sostentamento e a quel-lo dei propri figli. Berta Sivan, do-cente della Hebrew University diGerusalemme è riuscita, con unprogetto appoggiato dall'agenziagovernativa, ad aiutare queste fa-miglie africane. Utilizzando com-petenze sviluppate in Israele, il suoprogetto ha riportato con successola carpa negli allevamenti itticiugandesi, ma è stato anche unmodo per fornire corsi di forma-zione su come scavare e riempiregli stagni e aumentare il pesce pic-colo. Ora, raccontano i promotoridel progetto, i bambini locali han-no un abbondante approvvigio-namento di proteine.

Il Tikkun Olam arriva in Louisiana

“Quello che ci colpisce è la man-

canza di una infrastruttura cul-

turale. Come si fa a mettere su

di nuovo? Una volta avevamo le

scuole ebraiche, ospedali, case

di riposo, negozi. La comunità di

oggi è troppo piccola per soste-

nere il sistema”. È il preoccupato

segnale lanciato da Michel Wa-

terman, direttore dell'istituto

olandese Crescas, ente attivo

nella promozione dell'educazio-

ne e della cultura ebraica. In

un'intervista rilasciata a un quo-

tidiano locale, Waterman, che a

fine anno andrà in pensione e la-

scerà la direzione dell'istituto,

ha espresso la sua preoccupazio-

ne per il futuro dell'ebraismo

olandese. La tradizione ebraica,

l'opinione di Waterman, in Olan-

da non viene trasmessa di gene-

razione in generazione come una

volta. “Sta accadendo molto me-

no rispetto al passato. Molte fa-

miglie hanno lasciato. I nazisti –

l'amara e un po' provocatoria ri-

flessione del direttore – sono

quasi riusciti a sradicare il po-

polo ebraico dai Paesi Bassi”. Il

centro Crescas – dedicato al rab-

bino e filosofo Chasdai Crescas,

vissuto nel 1300 – è nato nel

1999 per colmare quel vuoto

educativo ma secondo Water-

man i numeri dell'ebraismo

olandese non permetterebbero

più di sostenere economicamen-

te le strutture ebraiche presenti

nel paese. La sua lettura pessi-

mistica della situazione è stata

però contestata da altri leader

ebraici olandesi tra cui il Presi-

dente del Fondo Umanitario Ron-

ny Naftaniel, che ha citato una

crescita del 20 per cento negli ul-

timi 20 anni nella dimensione

della popolazione ebraica olan-

dese, passata da 40.000 membri

a circa 50.000, in parte grazie a

famiglie israeliane trasferitesi

nei pressi di Amsterdam. Il pro-

blema, ha spiegato Waterman, è

l'assenza di un infrastruttura cul-

turale incentrata sull'insegna-

mento della tradizione ebraica:

“Come la ricostituiamo? Dove

prendiamo gli insegnanti?”, i suoi

interrogativi che rappresentano

una sfida per chi gli succederà al-

la guida del centro Crescas e per

tutta la Comunità.

Olanda, educazione ebraica sostenibile

troppi poveri. Una condizione sullaquale volutamente ci si è astenutidall’intervenire. L’integrazione nelmercato mondiale, infatti, ha ulte-riormente rafforzato le fortune delleélite possidenti e proprietarie. Leclassi dirigenti, che siano “laiche”(ovvero legate perlopiù all’esercito) o

islamiste, sono quindi accomunateda un’identica intenzione, quella dimantenere gli attuali assetti di po-tere istituzionali quando essi giocanoa loro favore costituendo e raffor-zando, di fatto, delle rendite di posi-zione. Una condotta che esclude apriori che i benefici di economie che

potrebbero aprirsi ulteriormente aiprocessi globali possano diventaresocialmente condivisi. Il primo de-cennio del XXI secolo ha promosso eincentivato le condizioni per un’ac-cumulazione di capitali e una con-centrazione di ricchezze cospicue.Ma ha anche rinnovato e rafforzato

le condizioni materiali e istituzionaliin cui sono cresciuti, per poi esplo-dere, i soggetti politici e sociali dellaprotesta, che hanno dato corpo le ri-volte dalla fine del 2010 in poi. Il fe-nomeno migratorio si inserisce anchedentro queste dinamiche. E conti-nuerà ad alimentarsi grazie ad esse.

La mancanza di democrazia socialein paesi che ci paiono malgrado tuttodistanti è quindi destinata a chia-marci in causa, che ci piaccia omeno. Poiché tutto circola, a partiredal disagio e dal malcontento, e nes-suno può pensare di esserne esente, asuo piacimento.

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

A inizio agosto quaranta persona-lità del mondo musulmano fran-cese hanno pubblicato sul settima-nale Journal du Dimanche un’ac-corata lettera in cui denunciavanoil fondamentalismo islamista e ilterrorismo. Parole arrivate dopola brutale uccisione nella chiesa diSaint-Etienne-du-Rouvray di unparroco da parte di due musulma-ni, ritenuti legati all’Isis. Nel testo

della lettera if i r m a t a r icondannava-no i vari at-tentati distampo isla-mista chehanno insan-guinato laFrancia nel

recente passato, dimenticandosiperò di citare la strage alla scuolaebraica di Tolosa e al market ca-sher di Parigi. “La memoria selet-tiva impedisce di comprendere tut-te le dimensioni del terrorismoislamista con quali la Francia deveconfrontarsi oggi”, ha denunciatoil presidente del Conseil Repré-sentatif des Intitution Juives FrancisKhalifat. “Non dubito delle buoneintenzioni degli autori di questoappello, ma non mi spiego la loroindifferenza nei confronti dell’an-tisemitismo, che invece è una com-ponente essenziale dell’Islam ra-dicale”, sottolineava il presidentedell’Union des Étudiants Juifs de

France, l’unione giovanile ebraicafrancese, Sacha Reingewirtz. Al-cuni dei firmatari si sono scusatiper la dimenticanza ma, come harilevato il rabbino capo di Franciarav Haim Korsia, stupisce che inquaranta nessuno l’abbia notata eper questo “rimane grave e dolo-rosa”. Un caso dunque di un’enne-sima incomprensione tra le varieanime della Francia, sempre piùdivisa e sospettosa al suo interno.

Se pure le élite si “dimenticano”dell’odio antisemita, cosa può suc-cedere nelle periferie più emargi-nate a maggioranza musulmanadove le prediche dell’Isis riesconoad attecchire con una certa facilità?Lo racconta il giornalista Ben Ju-dah, ebreo francese che sulla rivistaStand Point scrive di come i valoridella République stiano vacillandonelle banlieu d’oltralpe, sempre piùradicalizzate e segregate. In un lun-

go articolo, Judah prende comeesempio il quartiere di Seine-Saint-Denis, considerato una zona amaggioranza musulmana (in Fran-cia le indagini statistiche su baseetnico-religiosa sono vietate percui non vi sono dati ufficiali). Qui,racconta il giornalista, “si sente piùparlare in arabo che in francese, esi vedono islamisti, con il dominiodel quartiere, scuotere tintinnantisacchetti di plastica, gridando in

arabo ‘carità - zakat, zakat, za-kat! - per raccogliere soldi per lamoschea”. Entrando in una scuoladella zona, Judah racconta di comegli studenti, per la maggior partemusulmani figli di immigrati dalNord Africa, non si sentano fran-cesi. “‘I francesi, sono loro’, diceun ragazzo di colore che punta auno bianco. ‘I francesi... loro nonsono noi’, dice una ragazza araba.‘Per essere francese’, dice un ra-gazzo arabo, ‘bisogna avere tuttala famiglia francese’”. Tutti questiragazzi, spiega il giornalista, sononati nella banlieu, nella periferia diParigi, in Francia, ma non se nesentono parte tanto da volernecombattere i simboli e il jihadismosi presta perfettamente a questogioco come testimoniano le cro-nache più recenti. Il campanello d’allarme però, con-tinua Judah, era già suonato e adessere “i canarini nella miniera”erano stati gli ebrei: “Le statistichedimostrano – spiega Jérôme Four-quet, famoso sondaggista francese– come la percezione di insicurez-za dovuto all’antisemitismo abbiariconfigurato i luoghi a presenzaebraica”. Gli ebrei si sono spostatidi banlieu in banlieu, in quella cheJudah definisce una aliyah (l’emi-grazione ebraica verso Israele) in-terna alla Francia. “Abbiamo sco-perto – afferma Fourquet - che ilnumero degli ebrei nei quartieri

Molte organizzazioni ebraiche

americane hanno appoggiato le

istanze del movimento Black li-

ves matter, che, dopo i casi di

violenza registrati contro citta-

dini afroamericani e compiuti

dalla polizia, chiedono parità di

diritti e di trattamento. Un ap-

pello alla giustizia sociale che re-

altà come l’Antidefamation Lea-

gue – organizzazione impegnata

nella lotta all’antisemitismo – ha

fatto inizialmente sue. Fino ai

primi d’agosto, quando la piat-

taforma per i diritti degli afroa-

mericani ha rilasciato un lungo

comunicato in cui, tra richieste

legittime come la lotta concreta

alle diseguaglianze, invocava la

“fine dell’aiuto del governo fede-

rale Usa a Israele”, altrimenti

“complice del genocidio in atto

contro il popolo palestinese”. Ac-

cusa velenosa e infondata che ha

portato l’ebraismo americano, di

destra quanto di sinistra, a criti-

care duramente le parole di

Black lives matter.

“Avete ogni diritto di criticare

Israele. – il tweet del giornalista

dell’Atlantic ed editorialista di

Haaretz Peter Beinart – Ma ‘ge-

nocidio’? Portate solidarietà, non

stupidità”.

Sul quotidiano ebraico america-

no Forward Ari Hart, fondatore

dell’organizzazione Uri L’Tzedek:

Orthodox Social Justice e rabbino

della Hebrew Institute di River-

dale, scrive “è un bene che la di-

rigenza (di Black Lives Matter) si

stia spostando dalle parole e dal-

le manifestazioni alla politica

tangibile, e ci sono molte buone

idee in ciò che è stato pubblica-

to. Ma sono costernato e sfidu-

ciato nel vedere adottare dalla

più importante voce negli Stati

Uniti per la giustizia razziale una

posizione odiosa, di parte e to-

talmente estranea a Israele, in

cui la si definisce autrice di ‘ge-

nocidio’ e ‘stato di apartheid’”.

Oltre a tutta la sua amarezza,

Hart poi pone un interrogativo

legittimo: “Anche se i leader (del

movimento) ritengono nella pro-

paganda che definisce Israele

uno stato di apartheid (cosa che

non è), o credono che Israele stia

perpetrando un genocidio (cosa

che non è), perché metterlo al-

l’interno di una piattaforma che

chiede di porre fine al razzismo

sistemico in America? Perché in-

dividuare e condannare Israele e

nessun altro paese?”. Nel riven-

dicare il suo ruolo in difesa dei

diritti sociali, anche l’Antidefa-

mation League sottolinea come

Black lives matter abbia varcato

un confine insuperabile con le ac-

cuse a Israele. E ad affermarlo è

anche il Consiglio ecumenico del

Missouri, ente che rappresenta

centinaia di chiese afroamerica-

ne, che ha condannato la dele-

gittimazione dello stato ebraico.

“Rigettiamo senza esitazione

qualsiasi affermazioni che defi-

nisce Israele uno stato di apar-

theid”, scrive il cardinale Lawren-

ce M. Wooten, alla guida del Con-

siglio ecumenico.

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La République perde pezziGli ebrei lasciano le periferie radicalizzate, simbolo di una Francia arrabiata e divisa

Black lives matter, le voci a favore d’Israele

© K

ichk

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

Trent’anni fa la maggior parte degliebrei francesi iscriveva i figli inscuole pubbliche, oggi invece sonosolo un terzo i genitori che com-piono questa scelta. I restanti dueterzi degli studenti sono divisiequamente tra scuole ebraiche escuole private non ebraiche, tra cuiprotestanti e cattoliche. Sono que-sti i dati forniti alla Jewish Tele-graphic Agency da Francis Kalifat,il presidente del Conseil Repré-sentatif des Institutions Juives, lamassima rappresentanza ebraicad’Oltralpe, alla vigilia della sempretemuta rentrée, il ritorno a scuola.Non molto diversa, se non peg-giore, la situazione nel confinanteBelgio, dove la Lega belga control’antisemitismo ha documentatovari episodi che starebbero “svuo-tando” le scuole ebraiche del paesedegli studenti ebrei, anche a causadi una mancata reazione da partedegli istituti stessi, cosa che invecenon avverrebbe in Francia, dovegli atti antisemiti sono severamentepuniti.A preoccupare in entrambi i paesiè inoltre un aumento degli episodidi antisemitismo commessi o ri-volti contro gli insegnanti, oltreche contro gli studenti. Un esem-pio del primo caso è quello di uninsegnante di un liceo francesecontro cui il ministero dell’Istru-zione ha avviato un’indagine perla condivisione di teorie cospira-torie antiebraiche sui social net-work. Allo stesso tempo, nel 2012due teenager sono stati arrestati a

Marsiglia per aver tentato di col-pire un insegnante ebreo già pre-cedentemente minacciato.Kalifat attribuisce la massiccia as-senza degli studenti francesi dallescuole pubbliche a “una cattiva at-mosfera dovuta a molestie, insultie aggressioni, ma anche a una si-multanea crescita nel sistema del-l’istruzione ebraica”. Un miglioramento cominciatomolto prima che l’antisemitismodiventasse in Francia una minacciaquotidiana, in particolare per im-pulso dei molti ebrei immigrati dalNord Africa negli anni ‘50 e ‘60.Arrivando in una comunità ebraica

decimata dalla Shoah, ha infatti ri-cordato Kalifat, lui stesso nato inAlgeria, gli ebrei magrebini, piùtradizionalisti e religiosi, contribui-rono alla sua rinascita anche graziealla fondazione di decine di istitu-zioni scolastiche e in generale edu-cative. “Essi hanno sviluppato tutti i set-tori della vita ebraica – le sue pa-role – ma più di tutto le scuole”.Uno sforzo che dato i suoi frutti,tanto che l’anno scorso ben duescuole ebraiche sono state posteai vertici di una classifica francesecon 4.300 istituti.L’aumento negli episodi di antise-

mitismo nelle scuole francesi coin-cide, secondo quanto rilevato inun rapporto del 2004 a cura delministero dell’Istruzione, con ungenerico aumento degli episodi diantisemitismo nel paese. Molti deiquali sarebbero legati a un senti-mento antiebraico particolarmenteradicato nei cittadini musulmani elegato profondamente all’antisio-nismo. Una corrente che ha por-tato nel 2012 all’attentato di To-losa: da quel momento in poi da-vanti alle scuole e agli edifici ebrai-ci di tutta la Francia non è piùmancata la protezione di militariarmati.

Difendere Israele dal Bds (Boicottaggio,

disinvestimento e sanzioni) è un impegno

“coerente con i valori progressisti”. A di-

chiararlo, il sindaco di New York Bill De

Blasio, che ha ribadito pubblicamente la

necessità di combattere il movimento fi-

lopalestinese che sostiene il boicottaggio

di Israele. Parlando a un incontro organiz-

zato nella sinagoga degli Hamptons, a

Long Island, De Blasio, sindaco democra-

tico della Grande Mela, ha sottolineato che

il Bds “cerca di minare l’economia dello

Stato di Israele e rendere l’esistenza stessa

del paese più difficile, cancellando quindi

il concetto che il popolo ebraico hanno di-

ritto a una patria in un mondo ancora pe-

ricoloso e instabile”. “Parecchie persone

che sostengono il Bds si definiscono pro-

gressiste – ha continuato il sindaco – Le

sfido a dimostrarlo. La loro posizione è

antistorica”.

De Blasio si è autodefinito uno “strenuo

difensore di Israele” (diverse le foto che

circolano online mentre partecipa alle fe-

ste organizzate per Yom HaAtzamaut, il

giorno dell’indipendenza di Israele). Impe-

gnandosi contro il boicottaggio ancora

prima di diventare primo cittadino e, tra

le altre cose, stilando una lista delle im-

prese americane che operano in Iran, pae-

se considerato un minaccia vitale per lo

Stato ebraico.

“Qui negli Stati Uniti, come in qualsiasi na-

zione, si può non essere d’accordo con la

politica di un particolare governo in quel

dato periodo, ma questo non significa non

credere in quella nazione, nel suo diritto

di esistere, o nei suoi ideali fondanti”, le

parole di De Blasio. “Israele, nel bene e nel

male, nei momenti difficili e in quelli più

facili, è sempre stato un faro” per il mon-

do. Il primo cittadino ha poi ricordato l’im-

pegno del paese nelle situazioni di emer-

genza: “quando ci sono disastri in tutto il

mondo, Israele è uno dei primi ad essere

lì in difesa di chi ne ha bisogno, indipen-

dentemente dalk background culturale,

indipendentemente dalla fede”.

Non tutti all’interno del partito democra-

tico condividono le posizioni del sindaco

di New York. Un recente sondaggio Pew

ha mostrato inoltre che la percentuale dei

democratici liberali che si dicono maggior-

mente dalla parte dei palestinesi rispetto

a Israele è quasi raddoppiato dal 2014, sa-

lendo dal 21 per cento al 40 per cento. È

il punto più alto, spiega l’ente di ricerca,

mai toccato dal 2001 a oggi.

Scuola pubblica? No grazie

Il sindaco di New York e i boicottatori antistorici

del distretto di Seine-Saint-Denisè precipitato di dieci volte negliultimi 15 anni”. “Stanno cercandodi fuggire da aree musulmane?” sichiede il giornalista. “Sì, è evidente,molto evidente – la risposta diFourquet - Quello che abbiamoscoperto è che quando gli ebrei sitrasferivano, eravamo davanti alcanarino nella miniera di carbone.Ora infatti, da quelle stesse aree,vi è una fuga massiccia di popola-zione non-immigrata. Le cose chein precedenza erano percepite dal-la comunità ebraica ora le sente lapopolazione in generale”.Forquet e il suo team hanno svoltodiverse intervista con la comunitàebraica. “Sempre più ebrei dicono‘ci siamo noi, loro e voi – l’etniafrancese. ‘Vedrete cosa succederà’,ci dicevano, ‘quando scomparire-mo e vi lasceremo con loro – lesArabes’. Queste parole – concludeil sondaggista – sono drammati-che. Il senso di un destino francesecomune sta scomparendo dallenostre indagini”. C’è sempre piùun “noi, voi, loro”, usato nella re-torica jihadista per dividere la so-cietà francese e attirare gli emar-ginati delle banlieu nella rete delterrorismo. Ma un meccanismo si-mile, avverte Judah, viene usatodagli xenofobi d’oltralpe alla Ma-rine Le Pen che con slogan comela “Francia ai francesi” cerca diconvogliare la rabbia dei ceti me-dio bassi, colpiti dalla crisi, e indi-rizzarla verso i migranti. E così ilpaese si strappa e si divide semprepiù con quei valori unificanti di Li-berté, egalité e fraternité che, comeillustra Michel Kichka, perdono disignificato.

d.r.

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraicheCULTURA EBRAICA

u אסא דקאי ביני חילפי אסא שמיה, ואסא קרו ליהIL MIRTO, SEBBENE CRESCA IN MEZZO AI ROVI,RIMANE MIRTO E VA CHIAMATO MIRTO

Un insegnamento che ho imparato dal mio amico Roberto Della Rocca mi aiutaa comprendere un passo del Talmud di Sanhedrin a cui si riferisce il nostro pro-verbio. Egli fa notare come mentre nella letteratura esiste l’espressione barmizvà (figlio del precetto) , non si trovano dei vocaboli equivalenti rispetto alpeccato. Nessuno infatti è mai definito bar averà. Da qui l’idea interessante cheil rapporto con la mizvà, anche se mutevole nell’intensità durante la vita di cia-scuno, è paragonabile a quello che intercorre tra genitore e figlio, un legameche nessuna cosa al mondo può modificare. Al contrario, benché una personasia lontanissima dalla tradizione non si configurerà mai una relazione indissolubiletra lui e la trasgressione. Un sincero ravvedimento ha la forza di cancellare il pas-sato e fargli “cambiare pagina”. Qualche giorno fa sul gruppo FB rabbanet, incui si rivolgono domande ai maestri su questioni di alachà e di ebraismo ingenere, veniva formulato il quesito se, ad un ebreo apostata che decideva di ri-tornare alla propria fede, era richiesta una procedura formale di conversione.In linea teorica, rispondeva il mio amico Elia Richetti, a parte una conferma pienadel proprio credo, non gli è richiesto altro, secondo il principio: Israele benchéha peccato, rimane Israele! Questa espressione in effetti è contenuta nel passaggiotalmudico sopra ricordato a nome di Rabbi Abbà bar Zavdà che dalle primeparole, “ha peccato Israele”, con cui Iddio, in modo generico informa Giosuè delfurto di oggetti dall’interdetto dopo la conquista di Gerico, impara come nonviene meno il nome-qualità del popolo quantunque abbia commesso un graveerrore. Un concetto, secondo il talmud corroborato da quanto usa dire la gente:una pianta di mirto sebbene cresca mischiata ai rovi, mirto è, e mirto va chiamata.Niente può far perdere la lucentezza e il profumo che caratterizzano questapianta, ovunque e a qualsiasi altra meno nobile condizione si aggreghi tempo-raneamente. Un orgoglio che è utile ribadire alla vigilia dei Yamim noraim. Unperiodo speciale che deve svegliare le coscienze e disporle a quell’atteggiamentostraordinariamente civile e responsabile che delinea Rambam: Ciascuno deve ri-tenere se stesso e ciò che lo circonda per metà meritevole e per metà colpevole,la sua teshuvà può salvarlo, può salvare la sua città, può salvare il mondo intero.

Amedeo Spagnolettosofer

ú– COSÌ DICE LA GENTE… כדאמרי אינשי

Cosa ci insegna la Brexit

ú– STORIE DAL TALMUDu DISERTARE LE LEZIONIHanno insegnato i nostri Maestri: Avvenne una volta, in un giorno di festa, cherabbì Elièzer tenne una lezione sulle regole delle feste per tutto il giorno. Ametà lezione, se ne andò un primo gruppo per consumare il pasto festivo. Ilrabbino disse: Evidentemente costoro hanno delle grandi giare piene di vinoche li aspettano. Dopo un pò, un secondo gruppo andò via dalla lezione e il rab-bino disse: Questi hanno solo delle piccole botti. All’uscita del terzo gruppo,disse: Costoro devono avere delle anfore. Al quarto gruppo, disse: Questi altriavranno delle bottiglie. Sul quinto gruppo disse: Questi invece hanno solo deibicchieri. Iniziò un sesto gruppo a uscire dalla lezione, e il rabbino disse: Questisono dei disgraziati che non hanno niente a casa. Pose gli occhi sugli allievi equelli provarono vergogna. Disse loro il rabbino: Figli miei, non è a voi che in-tendevo rivolgermi ma a quelli che sono già usciti, che lasciano la vita eternaper un’ora di vita. Quando alla fine della lezione si separò dagli allievi, disse loro:“Andate, mangiate cibi grassi e bevete vini dolci. Inviate doni a chi non ha nientedi pronto, perché questo è un giorno santo per il nostro Signore. Non rattristatevi,perché la gioia del nostro Signore è la vostra forza” (Nechemià 8:10). Ha detto ilMaestro: “Lasciano la vita eterna per un’ora di vita”. Ma festeggiare un giornodi festa è un precetto! Rabbì Elièzer però riteneva che la gioia nel giorno di festafosse facoltativa, come è stato insegnato: Rabbì Elièzer dice che una persona,nel giorno festivo, o mangia e beve o siede e studia; rabbì Yehoshùa invece diceche si deve dividere la giornata, metà per il Signore metà per sé stessi.(Adattato dal Talmud bavlì, Betzà 15b, con i commenti)

Gianfranco Di SegniCollegio rabbinico italiano

ú– LUNARIOu ROSH CHODESH ELULLa mattina del Primo di Elul 2448, Moshe salì sul Monte Sinai portando con sé letavole di pietra che aveva scolpito secondo il comando divino, affinchè D-o vi incidessedi nuovo i Dieci Comandamenti. Moshe rimase sul monte per quaranta giorni finoal 10 di Tishrei (Yom Kippùr).

ú–– Rav Alberto Moshe Somekh

Credo che il referendum britannico del 23 giu-gno, lungi dal rafforzare gli euroscettici neglialtri paesi, avrà piuttosto l’effetto di dimostrarequanto sia inopportuno abbandonare l’Unioneeuropea, pur comportando sacrifici. Un discorsoanalogo vale anche per il mondo ebraico e lesue problematiche, a patto di collocare al centrodi questo mondo non l’Europa, bensì Israele.Su “Pagine Ebraiche” di luglio ho affrontato iltema del rapporto fra Rabbinato italiano e israe-liano sotto il profilo intellettuale. Ora intendoriprendere l’argomento da altri punti di vista.Quello politico, anzitutto. Scegliere la via del-l’autonomia significherebbe rinunciare al rico-noscimento di molti nostri atti da parte dellaRabbanut, un lusso che difficilmente potremopermetterci senza gravi conseguenze. Il ghiyurqetannim è a tutti gli ef-fetti fra le prassi non piùavallate almeno comeprincipio. Essa prevedevala conversione dei minori,riferita in genere ai figli dipadre ebreo e madre nonebrea che la Halakhahnon riconosce comeebrei. Questi ultimi, datala loro tenera età, non so-no in grado di impegnarsiall’osservanza delle Mitz-wòt come invece si richie-de a un gher adulto. Per-tanto oggi si preferiscerinviare il ghiyur a età piùmatura. Ma c’è anche l’aspetto morale. Il ghiyurqetannim ha distrutto l’Ebraismo italiano. Unodei fattori che determinavano la frequenza deiragazzi alle attività ebraiche, fino a non moltotempo fa, era infatti il proposito di cercarsi l’ani-ma gemella fra le correligionarie. Aver inveceabituato i giovani all’idea che è sempre possibileperpetuare il proprio Ebraismo qualunque siala partner ha di fatto notevolmente contribuitoa svuotare di significato qualsiasi impegno ebrai-co. Le ragazze non ebree sono disponibili ingran numero senza sforzo. Nessuno si dedicheràpiù a vivere la Comunità se può limitarsi a pre-sentare la propria compagna al Rabbino perun ghiyur riparatore, dietro l’impegno formaleda parte di lei a non ostacolare l’“inserimento”dei figli nella religione ebraica. E se il Rabbino,come è suo dovere, fa difficoltà lo si deferisceal Presidente di turno della Comunità che lomanda via con l’accusa infamante di aver al-lontanato… non ebrei! Tanto più se alle spallec’è un patrimonio ingente da tassare o un nomeinfluente da tutelare. La ricaduta negativa di questo abuso è sottogli occhi di tutti. Pochissimi sono fra questibambini quelli che, una volta cresciuti, man-tengono un legame con la vita ebraica. E ciòè ovvio. Figli di genitori senza vincoli ebraici,è difficile aspettarsi da essi un atteggiamentopiù serio. Finiranno nel migliore dei casi perripetere alla generazione successiva con i lorofigli ciò che a suo tempo avevano fatto i lorogenitori. Insomma, la vita ebraica delle nostreComunità non ne guadagna. Al contrario, si

contribuisce a stabilire un principio sbagliatoe ciò costituisce una grave perdita. C’è tuttaviaun punto sensibile. Non è umanamente possi-bile dire a un padre: “Tuo figlio non può esserecome te”. Ma questo non può significare far ca-dere ogni barriera. Occorre porre delle condi-zioni su base sia individuale che collettiva. L’ideasecondo cui per questi gherim, essendo figli dipadre ebreo (Zera’ Israel, lett. “di stirpe ebraica”e non “di razza ebraica” come qualcuno po-trebbe erroneamente tradurre), si potrebbe es-sere meno rigorosi nell’esigere l’osservanza delleMitzwòt si trova accennata per la prima voltain un responso del Gran Rabbino sefardita Ben-zion Chay Uzziel negli anni ‘40. La sua fonteè in un testo medioevale che adopera l’argo-mentazione a tutt’altro proposito. Per il mo-mento solo una minoranza dei Decisori l’hafatta propria, al punto che in una recente ri-

stampa dei Mishpetè‘Uzziel il responso citatonon è stato addirittura ri-prodotto. Va ancora ag-giunto che anche i suoisostenitori ritengono chesi possa essere facilitantisolo in Eretz Israel, dovel’impostazione ebraicadella società assorbe co-munque anche i gherimmeno osservanti, mentreammettono che una suaapplicazione nella Dia-spora potrebbe recare se-ri danni alla vita delleComunità. In determinati

casi esiste nel diritto ebraico una differenza frala normativa da seguire in una data situazionea priori (le-kha-ttechillah) più rigorosa e la con-valida solo a posteriori (be-di-‘avad) di unalinea più facilitante che nel frattempo sia giàstata adottata. È peraltro evidente che chi adot-ta quest’ultima soluzione a priori, chi fa diven-tare il be-di-‘avad un le-kha-ttechillah uccidela Torah! Anche nel nostro caso chi sostieneche il ghiyur sia valido ancorché non accom-pagnato da un impegno concreto alla shemiratMitzwòt converrà che si tratta di una situazioneaccettabile solo a cose fatte, mentre a priori laconversione può essere compiuta solo se si ve-rificano tutti i requisiti previsti dalla Halakhah.La domanda che si pone a questo punto è qualirequisiti ci si può aspettare che vengano sod-disfatti in un contesto famigliare che si presup-pone lontano da ogni osservanza, quale il ma-trimonio misto. La risposta non può che veniredalla Comunità. All’interno della Comunità de-ve essere creata un’adeguata atmosfera di studiodi Torah. I dirigenti a tutti i livelli devono dareassoluta priorità all’apprendimento delle Mitz-wòt. Le lezioni di Qòdesh devono essere fre-quentate seriamente da tutti, con programmiadeguati che riflettano l’insegnamento dei nostriMaestri. L’ignoranza non è mai un diritto. Ilmese di Elul è tradizionalmente dedicato allaTeshuvah e all’introspezione. Non mi resta cheaugurare che tutto il Klal Israel ritrovi la suaunità in vista degli Yamim Noraim e del nuovoanno ebraico.

u Il simbolo della London Jewish Bakers'

Union, inizio XX secolo

Jewish Museum, Londra

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

DOSSIER /Musei

Da Berlino verso il futuro pagg. 16-17 Il cantiere aperto a Ferrara pag. 18-19 Padova, comunità al lavoro pag. 20-21

ú–– Guido Vitale

C’è stato un giorno, nella nostrastoria recente, in cui le vicende de-gli ebrei italiani sono tornate in mo-vimento, le nostre responsabilitàsono tornate in gioco. Il giorno incui si è cominciato a parlare di cul-tura, di storia e di Memoria in unmodo nuovo. Quando siamo statichiamati da Roma, da Ferrara e dal-le mille voci della società civile apensare a un museo dell’ebraismoitaliano.Era davvero un museo, quello cheattendevamo, ciò di cui abbiamobisogno? E che cosa si intende, indefinitiva, quando si parla di unmuseo. In particolare quando pen-siamo a un museo delle idee e dellecose ebraiche e in particolare quan-do parliamo di un ebraismo comequello italiano, che è ancora incammino, ma ha alle spalle oltredue millenni di storia italiana da te-stimoniare?Tutti sappiamo che nel dizionarioebraico il termine “museo” non esi-ste. Che il concetto può essereespresso solo ricorrendo a radicistraniere o, peggio ancora, a goffigiri di parole. Per noi valgono altriitinerari, contano le idee vive, piùche i reperti. Eppure contano, ec-come, anche la Storia, le idee, laMemoria, le testimonianze, i libri.Contano ovviamente gli strumentie i luoghi di preghiera. E sempredi più conta l’architettura, intesacome progetto per vivere assieme.Costruire nuovi musei, ma soprat-tutto, con il sostegno del Governo

italiano e dell’opinione pubblica,costruire a Ferrara il catalizzatoredi tutti i musei ebraici italiani, conta.Anche se probabilmente non siamocapaci di pensare ai musei esatta-mente negli stessi termini di quelliproposti dalla cultura dominante.Non riusciamo a costruire ermeticiforzieri dove allineare i tesori delpassato. Celebrare un passato cheha perduto i suoi legami con il pre-sente è un esercizio che non ci ap-partiene e non ci auguriamo. Unmuseo dell’ebraismo in questi ter-mini lo voleva costruire a Praga,nemmeno tanti anni fa, una mario-netta isterica e sanguinaria, cullan-dosi nell’illusione di cancellare conil genocidio ogni presenza ebraicaviva in Europa.

No, non può assomigliare a questo,il museo di cui sentiamo il bisogno.Si rende quindi necessaria, per gliebrei italiani, una riflessione seria. Gli ingredienti per Ferrara e per lafitta rete di musei ebraici locali chehanno nel frattempo messo felice-mente radici, spesso grazie all’eroi-co lavoro delle comunità e dei vo-lontari locali, sono un’alchimia mol-to più complicata. I reperti e le te-stimonianze devono uscire dallevetrine e tramutarsi in esperienzeda vivere. I libri devono tornare og-getto di studio. Le sale conferenzedevono essere luoghi di conoscen-za, non d’accademia. Le porte d’in-gresso devono aprirsi e accogliereuna community di visitatori ricor-renti, italiani che assieme agli ebrei

italiani si sentano a casa, non stac-care biglietti ad anonimi visitatorisporadici. Se sarà così, se potrannorealizzarsi i sogni di tutti coloro checon dedizione e professionalità la-vorano oggi per i musei ebraici vivi,se i musei non saranno solo le isti-tuzioni dove si contano le presenzee le visite guidate, ma i luoghi del-l’incontro fra gli ebrei italiani e icittadini di tutto il mondo, perl’ebraismo italiano potrà aprirsi uncapitolo nuovo. E non solo perchécostruire i luoghi dell’incontro èuna sfida sempre appassionante.Ma perché da questi incontri, seben impostati, se concepiti nel piùrigoroso rispetto dell’identità e dellareligione ebraica, che gli ebrei ita-liani hanno la responsabilità di pre-

servare prima di ogni altra cosa,può dipendere quella sicurezza equel benessere di cui ogni mino-ranza ha bisogno per vivere sere-namente in una società enorme-mente più grande, complessa econtrastata. Per raccogliere la sfidadei musei, gli ebrei italiani dovran-no mettere da parte ogni tentazionedi protagonismo, ogni sentimentodi gelosia, ogni cedimento allamancanza di professionalità. E po-tranno contare, se vorranno dareascolto, su alleati preziosi. Le com-ponenti, nazionali e locali, degliEsecutivi interessati. Il coinvolgi-mento delle popolazioni locali.L’esempio dei laboratori che il mi-nistro della Cultura Dario France-schini ha voluto aprire in tutti imaggiori musei italiani con la re-cente nomina di dirigenti preparatie ambiziosi, spesso chiamati dal-l’estero a proteggere e svilupparela sola industria capace di salvarei destini italiani: quella della culturae del turismo. Vincere questa scom-messa non consentirà solo di aprirenuovi musei, ma sarà un modo perriprendere in mano il nostro desti-no segnato dalle mille ferite dellastoria. E il biglietto d’invito che po-tremo offrire a tutti i cittadini staràa significare che nei musei, nei no-stri musei, potremo incontrarci etornare ogni giorno per riscoprirein ogni stagione come l’Italia cheamiamo, quella che appartiene anoi tutti, cittadini italiani e cittadinidel mondo, non sarebbe la stessase tralasciasse i destini degli ebreiitaliani.

a cura di Ada Treves

La nuova cultura è un luogo d’incontro

Ambasciatori di cultura, luoghi di formazione, apertura e incontro, i musei ebraici hanno un ruolo sempre più importante in una società che si confronta con le minoranze con

fatica sempre maggiore. Non più contenitori di oggetti pur preziosi e ricchi di storia, i grandi luoghi deputati a raccontare le tradizioni e la cultura dell’ebraismo si trasformano

in vere e proprie istituzioni dedite alla formazione. Forti di principi didattici e pedagogici, capaci di grandi investimenti sul futuro, puntano sui giovani e soprattutto sui

giovanissimi. A Berlino il grande museo ebraico reso famoso dalla struttura progettata da Liebeskind sta portando avanti con determinazione il progetto di un intero nuovo

padiglione dedicato ai bambini, mentre a Varsavia la riflessione sui principi didattici che fanno grande un museo è costante, diventando uno dei motori del successo di Polin, e ad

Amsterdam un programma specifico insegna alle guide come incoraggiare i visitatori ad aprirsi a cose non familiari o in conflitto con le proprie idee. Procede intanto il grande

cantiere del Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, e l’esempio virtuoso di Padova mostra come un’esperienza sociale collettiva possa dare slancio a tutta la comunità.

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per i tanti diversi campi del pen-siero umano e per i risultati rag-giunti non è solo compito di ge-nitori, nonni e insegnanti. Anchele istituzioni culturali sono impor-

tanti centri di educazione alla cul-tura per i giovani, perché possonoaccendere la scintilla dell’interesseper la storia, la religione, la scienzae l’arte in maniera più vivida di

qualsiasi libro di testo”. A fine lu-glio è stato annunciato il nomedello studio vincitore del concorsointernazionale lanciato a inizio an-no: dei 59 candidati iniziali ne era-

no stati già scelti a gennaio dodici,ridottisi poi a sei per il round finale.Studi di design e di architettura dialtissimo livello, che in tutto ilmondo hanno deciso di confron-

La struttura minimalista di Polin, ilMuseo della storia degli ebrei polac-chi aperto a Varsavia nel 2013 doveuna volta si trovava il ghetto, operadei finlandesi Rainer Mahlamäki eIlmari Lahdelma, è di grandissimoeffetto e ha un ruolo non marginalenell’attrarre il flusso costante di visi-tatori che ne ha rapidamente decre-tato il successo. Con la sua entratache ricorda una grande caverna, mu-ra ondulate di vetro e cemento, spazivuoti a simboleggiare il de-stino degli ebrei polacchi euna gola a ricordare l’attra-versamento del Mar Rosso,Polin ha vinto premi inter-nazionali di architettura,ma sono la competenza el’energia di direttore e cu-ratori a farne un museospeciale. Dal direttore, lo storico Da-riusz Stola - invitato a Ferrara per ilconvegno “Una memoria per il fu-turo: la missione dei musei ebraici”organizzato dal Meis - che ha pub-blicato una decina di volumi e nu-

merosi articoli sulla storia degli ebreipolacchi e insegna all’Università diVarsavia, a tutto il board, le energiee l’entusiasmo di tutti, che si aggiun-gono a preparazione e competenzainvidiabili, sono evidenti. Barbara

Kirshenblatt Gimblett,per molti anni docentedi Cultura ebraica del-l’Europa dell’Est allaNew York University,che oggi affianca il di-rettore ed è responsabiledella collezione princi-pale del museo, spiega

che “La Polonia di oggi è una totaleanomalia. Il Paese non è mai statocosì omogeneo, sia dal punto di vistalinguistico che etnico”. La storia po-lacca è di grandissima diversificazio-ne, forse più che in qualsiasi altro

paese europeo: come ricordato dalregista Andrzej Wajda in occasionedell’inaugurazione “La Polonia eraun paese multinazionale. Ora conPolin quel mondo antico è nuova-mente davanti a noi. E in questo mo-mento è più necessario che mai”.

Non si trattava solo di popolazioneebraica, ma non va dimenticato chenel 1939 gli ebrei polacchi erano tremilioni e mezzo. A Varsavia si trat-tava del trenta per cento della po-polazione. Ora i pochissimi rimastisono prevalentemente assimilati e

proprio per questo, spiega il presi-dente dell’Association of the JewishHistorical Institute of Poland PiotrWislicki, l’ebraismo non è parte dellavita quotidiana per la maggior partedei polacchi. Il Museo, nato daun’iniziativa congiunta del Ministerodella Cultura, della Città di Varsaviae dell’associazione presieduta da Wi-slicki, racconta la storia di un Paeseintero, quasi a confermare la rispostadi Marek Edelman a chi gli chiedevaperché considerava necessaria e im-portante la progettazione e poil’apertura di Polin: “Perché è neces-sario? Perché è storia della Polonia”.Fortissimo nella sua impostazionepedagogica ed educativa, soprattuttoper quanto riguarda il percorso dellacollezione permanente, suddiviso insette sezioni che corrispondono adaltrettanti periodi storici, il museoha ricevuto apprezzamenti da stu-diosi ed esperti di tutto il mondo. Esono sette, come le sezioni della per-manente, i principi pedagogici cheBarbara Kirshenblatt Gimblett ritiene

Sono di Anton Bruckner, compo-sitore e musicista austriaco, le pa-role che il ministro tedesco per laCultura e per i Media MonikaGrütters ha scelto lo scorso gen-naio per salutare e sostenere il ban-do per la progettazione del nuovopadiglione del Museo ebraico diBerlino, il Jüdisches Museum Ber-

lin, noto comeJMB. Un’avventuracoraggiosa e voltaal futuro, che por-terà nel 2019 al-l’apertura di ungrande Museo deibambini. “Chiun-

que voglia costruire alte torri devededicare molto tempo alle lorofondamenta”, erano le parole diBruckner, e Grütters ha spiegato:“Sappiamo bene che si riferiva allefondamenta dell’educazione allacultura, che ha un effetto profondosulla crescita personale. Instillarenei giovani un sincero entusiasmo

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DOSSIER /Musei

Polin getta le basi della didatticaIl Museo dell’ebraismo polacco a Varsavia affronta la Storia

Costruire cultura ripartendo dai bambiniMuseo Ebraico di Berlino: il concorso per il nuovo Kindermuseum è chiuso. Iniziano i lavori. Apertura prevista nel 2019

Sono molti i musei ebraici che con determinazione e coraggio raccontano ogni giorno storia, cultura e pensiero di una minoranza che in parte dell’Europa è stata spazzata via.

Alcuni offrono collezioni impareggiabili, altri conducono i visitatori in percorsi imprevisti, capaci di lasciare traccia, tutti fanno i conti con le mille difficoltà che affronta chiunque

lavori in quelle istituzioni culturali che hanno il fondamentale compito di ricordarci l’importanza e la bellezza della conoscenza, e di riaccendere la scintilla della curiosità umana.

Fra i tanti esempi virtuosi il Museo Ebraico di Berlino sta facendo in questi mesi la scelta più coraggiosa: investire, in un Paese il cui passato non potremo mai dimenticare, per

coloro che rappresentano il futuro. L’apertura del Kindermuseum, dedicato a visitatori tre i 5 e i 12 anni, è prevista per il 2019. A Varsavia, intanto, Polin da museo della storia

ebraica si sta trasformando nel museo che racconta la storia del Paese. Per non dimenticare.

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fondamentali per la buona riuscitadi un progetto museale, che ha in-dividuato confrontandosi con i col-leghi. “Innanzitutto va ricordato chela struttura stessa di un museo hauna valenza pedagogica forte: l’ar-chitettura parla, è fondamentale. Ilvisitatore vive un’esperienza in uncerto senso opposta a quella che siesperisce al cinema, dove si sta fermie la storia si svolge davanti a noi: inun museo è il nostro movimento nel-lo spazio che ci porta a scoprire la

storia che vi è narrata, sono le nostrescelte di avanzare o soffermarci inun luogo oppure in un altro che con-dizionano quello che porteremo acasa a fine visita. Il rapporto del cor-po con lo spazio, che è poi l’essenzadell’architettura, è fondamentale. Ein Polin ne abbiamo un esempio stra-ordinario. Come penso sia straordi-nario il fatto che la visita si concludain uno spazio dedicato al silenzio, equesto è il secondo principio: la vi-sita, e la storia stessa portano a ri-

flettere, a confrontarsi con quello chesi è visto, appreso, scoperto. Il per-corso deve creare una tensione co-stante fra la soggettività e l’oggetti-vità, fra l’esperienza di chi c’è statoe la ricerca degli storici, perché il la-voro degli studiosi deve comunquepermettere un ancoraggio emozio-nale”. Proprio per questo, continua,la collezione comprende oggetti reali,veri, che permettono una esperienzaconcreta e tattile, fondamentale peril percorso educativo. “La materialità

prova immediatamente che si trattadi vite reali, oltre a dare oggettivitàalle prove storiche concretizza la sto-ria, porta a un approccio immediatoalla realtà. Così come di grande im-patto è l’installazione che ha più suc-cesso: abbiamo creato una sorta ditorre di fotografie, che ritrae centi-naia di persone poi morte per manonazista. Ma quando sono state scat-tate le immagini non sapevano cosasarebbe successo. Nessuno di loro èun numero, nessuno sa che sta permorire, questa consapevolezza l’ab-biamo lasciata a chi guarda. E nonabbiamo mai accettato l’idea di ade-rire al racconto della Shoah comeeroismo, come invece succede a vol-te in Polonia”. Un lungo silenzio. Poiaggiunge, secca: “Chi visita il museoe di fronte alla storia che vi è narratae davanti alle immagini di coloro chesono morti non riesce a trascenderela connotazione ebraica delle vittimeper estendere la propria emozioneal genere umano io credo abbia unserio problema morale”.

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A Berlino ritorna il GolemNato nell’ambito della mistica ebraica, il Golem è diventato mito e leg-genda, capace di ispirare scrittori ed artisti, ebrei e non ebrei. La mostraallestita al Museo ebraico di Berlino racconta la storia di una figura natadalla terra e dalla polvere che prende vita grazie a un rito, o forse a unincantesimo, e a una sequenza di lettere ebraiche. L’atto stesso della suacreazione, nato dalla volontà di imitare Dio, nel tempo perde centralitàlasciando spazio alle azioni e ai compiti affidatigli. Aiuto, compagno,

difesa della comunità, del Golem si parla già nel Salmo 139, poi nelTalmud, per passare dai mano-

scritti medievali, fino a influen-zare gli autori del Romantici-smo tedesco e poi Mary Shelley.Riflesso di timori e paure, il mi-to del Golem cambia significatoa seconda di luoghi ed epochedella narrazione, senza mai per-dere fascino e forza.

L’investimento massiccio nella for-

mazione e nell’educazione che da

anni è uno dei punti forti del Joods

Historisch Museum, il museo ebrai-

co di Amsterdam, è evidente a

chiunque ne varchi le porte. Fon-

dato nel 1930 “per raccogliere e

presentare tutto ciò che compone

un ritratto della vita ebraica in ge-

nerale e della vita ebraica olandese

in particolare”, ospita una grande

collezione di oggetti e un centro

informazioni dotato di più di 40 mi-

la volumi, documenti, immagini e

audiovisivi. La permanente, dedi-

cata alla storia degli ebrei nei Paesi

Bassi, è affiancata da

mostre che spaziano da

“Amy Winehouse: un ri-

tratto di famiglia” a “Il

potere delle immagini”,

dedicato ai primi film e

alle prime fotografie

dell’era sovietica. Per ognuna è

previsto un percorso specifico per

bambini in cui Max, il personaggio

dalla testa di azzima è

guida esperta e ami-

chevole. Il museo ha

curato anche Io chie-

do, di Petra

Katzenstein e

Irith Koster,

una guida che vuole

spiegare “come può

un museo trovare

una maniera ri-

spettosa di incoraggiare i visitatori

ad aprirsi a cose che non sono per

loro familiari e che potrebbero ad-

dirittura essere in conflitto con le

loro idee”. I ASK (questo il titolo

originale del volume) è anche un

programma di formazione sull’in-

fluenza che un museo può avere

nel promuovere l’apertura nei con-

fronti della diversità, investendo

in coloro che conducono le visite

guidate, o che hanno qualsiasi in-

terazione con i visitatori.

23 settembre 2016 29 gennaio 2017

GOLEMMuseo Ebraico di Berlinoinfo: www.jmberlin.de

tarsi con un progetto che si inse-risce in un’idea ampia di riqualifi-cazione. Il padiglione più noto delMuseo Ebraico di Berlino, chedall’apertura ha accolto più di diecimilioni di visitatori, è stato pro-gettato da una grande archistar,ma vicino alla struttura di DanielLibeskind che con le sue caratte-ristiche linee spezzate è diventatail simbolo del museo, sorge l’EricF. Ross Building. Rispettandone lastruttura, al suo interno i parteci-panti al concorso hanno dovutoimmaginare e progettare un con-tenitore e l’allestimento del Museodei bambini, a partire dal temadell’arca di Noè. Il direttore del Jü-disches Museum Berlin, Peter

Schäfer, ha ricordato durante lapresentazione dei progetti finalistiche la scelta di rivolgersi a un pub-blico di giovanissimi - il Kinder-museum è pensato per visitatoridai 5 ai 12 anni - era parsa super-flua a molti. Il museoprevede già dei per-corsi speciali, e oltread archivi, biblioteca esala conferenza ha unaampia e frequentataaula didattica in cui unteam specializzatopropone laboratori pertutto l’anno. Ad essi si aggiunge ilprogramma estivo, che offre ai gio-vani frequentatori tre percorsi dif-ferenziati, dedicati a musica, cibo

e natura. Schäfer ha spiegato chepraticamente tutta la programma-zione del JMB è rivolta ai giovaniadulti, ma il Kindermuseum vuoleessere un allargamento degli obiet-tivi pensato specificamente per i

bambini e per le lorofamiglie. La scelta dilavorare sulle storiedella Torah, di incen-trare tutto il progettosu un tema biblico,poi, porta alle fonda-menta della culturareligiosa, per la prima

volta. La vittoria dello studio diarchitettura americano Olson Kun-dig Architecture, in associazionecon Exhibit Design di Seattle, è

stata motivata dalla giuria con unforte apprezzamento della sceno-grafia, considerata attraente e pro-fessionale in termini di museo pe-dagogico. “Il suo uso del temadell’Arca di Noè riprende in ma-niera giocosa principi attuali e ri-levanti, come diversità, migrazioni,creazione, seconde possibilità enuovi inizi. Il visitatore è Noè, epuò sperimentare le molteplicisfaccettature di questi argomentisia autonomamente che interagen-do con altri”. La narrazione del Di-luvio ha radici profonde che por-tano a riflettere anche sul rapportotra natura e civilizzazione, e anchesull’idea di un nuovo inizio. Chea Berlino partirà dai bambini.

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DOSSIER /Musei

Erano celle e inferriate, ora circolano le ideeVisita al grande cantiere del Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah, che sta donando nuovo senso ad antiche mura

Musei, una memoria al futuro Centro focale della Festa del libro ebraico la tavola rotonda ospita un confronto tra i direttori

ú–– Nunzia Bonifati

C’è polvere, all’ingresso di viaRampari di San Paolo, a Ferrara,davanti al massiccio complesso ar-chitettonico di primo Novecentoche fu il carcere della città fino al‘92 e dal 2007 è sede del Meis, ilmuseo nazionale dell’Ebraismo ita-liano e della Shoah. L’architettoCarla Di Francesco è responsabileunico del procedimento dei lavoridi realizzazione del nuovo Meis ecomponente del Cda dell’omonimafondazione, presieduta da DarioDisegni e diretta da Simonetta Del-la Seta. Prima di entrare nel can-tiere del museo la mia guida mi ag-giorna sullo sviluppo dei lavori neiprossimi anni, mostrando la gigan-tografia del prospetto progettuale,affissa sul muro dell’ex carcere. Nel cantiere ora si vedono solomattoni, ma ci saranno trasparenzed’acqua e di vetro, la luce riflessadall’acciaio e alte mura con le pa-role della Torah, ben visibili daogni angolazione dell’ex recintocarcerario e a loro volta generatricidi luce. Qui c’era il carcere di Fer-rara e a ricordarcelo è la facciatadel museo in via Piangipane, rima-sta originale a tutela del bene ar-chitettonico.Al primo piano dell’edificio c’eral’ex braccio maschile, con la clas-sica struttura a ballatoio adatta amantenere tutto sotto controllo.Qui i lavori sono a buon punto, etra ponteggi, tramezzi, rumore diattrezzi, prove di colore sui muri

Arrivano da Parigi, Tel Aviv, Am-

sterdam e Varsavia e si ritrova-

no a Ferrara, al Ridotto del Tea-

tro Comunale, per la tavola ro-

tonda intorno a cui gira tutta

la programmazione dell’edizio-

ne 2016 della Festa del Libro

Ebraico. La nuova edizione del

festival che da diversi anni ani-

ma la cittadina estense si con-

fronta per la prima volta con

l’autunno, dopo le numerose

edizioni in cui si era tenuta a ca-

vallo fra gli ultimi giorni di apri-

le e i primi di maggio. E ospita,

all’inizio di settembre, un incon-

tro d’eccezione per il quale è ar-

rivato anche il patrocinio del

ministero dei Beni e delle Atti-

vità culturali e del Turismo. La

tavola rotonda, organizzata in

inglese, risponde al titolo “Una

memoria per il futuro: la mis-

sione dei musei ebraici” è occa-

sione particolare di confronto

e di scoperta. Introdotta dal

presidente della Fondazione del

museo nazionale dell’Ebraismo

italiano e della Shoah Dario Di-

segni, l’occasione d’incontro ve-

de al tavolo dei relatori, mode-

rati dal direttore del quotidiano

La Stampa, Maurizio Molinari, i

direttori di alcuni tra i maggiori

musei ebraici. Alla regia Simo-

netta Della Seta, che grazie al

bando internazionale del Meis

ha assunto l’incarico di direttri-

ce del MEIS, e nei prossimi quat-

tro anni dovrà gestire il nascen-

te museo, avanzare proposte e

dare impulso a obiettivi e pro-

grammi. E che ha puntato subi-

to su questa occasione di incon-

tro e scambio cui aveva già ini-

ziato a lavorare il presiden-

te della Fondazione Meis,

Disegni, prima della sua nomina.

Con lei al tavolo dei relatori

Paul Salmona, dal 2013 Diretto-

re del Museo d’arte e di storia

dell’Ebraismo di Parigi dopo es-

sere stato direttore della pro-

grammazione culturale e della

comunicazione dell’Institut na-

tional de recherches archéolo-

giques préventives e diretto-

re dell’auditorium del Lou-

vre nonché responsabile

della comunicazione della

direzione dei musei di Francia.

Responsabile di una collezione

che definisce “enciclopedica”, a

differenza di quelle di molti al-

tri musei ebraici che si concen-

trano su un periodo specifico o

sulla storia nazionale, Salmona

si confronta con Emile Schrijver,

il direttore di quello che consi-

dera uno dei suoi musei ebraici

preferiti, ad Amsterdam. “Mi af-

e l’odore dei materiali da costru-zione, tutti sono impegnati a tra-sformare il brutto in bello e il ma-levolo in buono. Brutta è l’esteticaclaustrofobica e severa dell’archi-tettura carceraria. Malevolo è ilsuo fine segregante. Bello e buonoè il museo in costruzione. Serveuna visione etica dell’esistenza,l’idea che il mondo si possa mi-gliorare, per trasformare ciò chefu prigione in spazio espositivo,senza insultare la memoria di chi

vi ha scontato una pena tante volteingiusta. Negli ultimi anni del fa-scismo qui furono internati tuttigli ebrei di Ferrara poi deportatinei campi di sterminio ecolpevoli solo di essereebrei. Ora, le pareti trauna cella e l’altra sonostate abbattute, le infer-riate eliminate, e giocando con laluce e i volumi delle alte volte ilricordo del carcere resta, ma è ri-scattato. Una liberazione che porta

verso il concetto di redenzione,anch’esso fondamentale nella cul-tura ebraica. Due donne, un ingegnere e un ar-

chitetto, della direzionetecnica e artistica delcantiere, fanno da gui-da. Sarà di sicuro fruttodel caso se il Meis e il

suo cantiere sono molto al fem-minile. Ma la circostanza porta allacelebrazione della creazione e al-l’accensione del lume sabbatico af-

fidata alla donna, nella tradizioneebraica. Al secondo piano dell’edificio l’am-biente è ampio e senza ballatoio,c’è più aria e la memoria del car-cere quasi svanisce. Qui forse cisaranno i laboratori dei bambini.A un’estremità del corridoio c’è ungrande affaccio luminoso sul com-plesso architettonico. Da qui si ve-dono le mura perimetrali, la spia-nata di terra grigia lasciata dallademolizione di un fabbricato di

4 settembre - 16.30 UNA MEMORIA PER ILFUTURO: LA MISSIONEDEI MUSEI EBRAICIFesta del Libroebraico - Ferrara

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

Sono inarrestabili, i lavori nel grande cantiere del Meis, il Museo del-l’ebraismo italiano e della Shoah che sta vedendo la luce a Ferrara nell’excarcere di via Piangipane. Il primo intervento aveva portato alla riaperturadella struttura, mentre ora, dopo la demolizione di una parte dei fab-bricati costruiti a inizio Novecento, sono in corso i lavori che trasfor-meranno completamente il vecchio carcere cittadino. Terminato nel1912, costruito a spese dello Stato su progetto dagli ingegneri Bertottie Facchini dell’Ufficio del Genio Civile, in base alle indicazioni del Ministero

dell’Interno. Le opere, dirette dagli ingegneri Ponti e Fabbri dello stesso ufficio ed eseguite dall’impresaLuigi Brandani, avevano portato a un edificio che per ottanta anni è stato la sede delle prigioni della cittàsino a quando, nel marzo 1992, i detenuti vennero trasferiti in una più moderna casa circondariale.Prosegue in questi mesi la trasformazione di un luogo che è stato per lunghi anni abbandonato, el’apertura verso la cittadinanza del capoluogo estense è già iniziata con le visite guidate al cantiere, or-ganizzate dal segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per l’Emi-lia-Romagna e dalla Fondazione Meis. La volontà di trasformare l’uso dello spazio in cui sono stati reclusianche antifascisti ebrei come Matilde e Giorgio Bassani a spazio di confronto, dibattito, conservazione ecreazione di cultura, ha portato a un progetto che conserva il corpo centrale, a cui si affiancano 5 nuoviedifici-libro, in una sorta di “osmosi fra interno ed esterno”, come l’ha definita l’architetto Carla DiFrancesco, dirigente generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. L’ex perimetrocarcerario diventerà parco, e nella primavera del 2017, quando i lavori del lotto attualmente in costruzionesaranno terminati, oltre alle aree espositive saranno aperti il centro di documentazione, la biblioteca e leaule didattiche. Per ora però i lavori sono in corso, e si entra solo con scarpe chiuse, basse e comode.

Sarà il Salone d’onore di Palazzo Roverella ad

ospitare il 5 settembre il “tavolo culturale”,

iniziativa fortemente voluta da Simonetta Del-

la Seta, recente vincitrice del bando interna-

zionale con cui il Museo dell’Ebraismo Italiano

e della Shoah ha cercato il nuovo direttore. Il

suo primo interesse, come racconta sul noti-

ziario online Pagine ebraiche 24, è ascoltare,

conoscere. Incontrare e capire. E, instancabile,

dalla nomina si divide fra le mille incombenze

a Ferrara - dove ha già trovato casa - e i viaggi

per le tante realtà museali dell’Italia ebraica.

Il nome che ha voluto dare alla sua rubrica,

RiMEIScolando, racconta bene i suoi progetti

e le sue intenzioni. Descritta come “Instanca-

bile, una vera e impressionante macchina da

lavoro” dal presidente del Meis Dario Disegni,

in effetti non pare fermarsi mai, e in queste

poche settimane ha già visitato numerose isti-

tuzioni culturali ebraiche. Incontrando i diret-

tori dei musei, gli assessori alla cultura delle

comunità, i responsabili delle iniziative e dei

progetti culturali degli ebrei italiani, Simo-

netta Dalla Seta costruisce reti. Con tenacia,

con calma, con pazienza apre porte di ascolto

e di dialogo, chiede, si fa raccontare, e prende

appunti. Dalle frustrazioni di un curatore alla

soddisfazione di un consigliere, da un nuovo

allestimento alle difficoltà delle comunità,

ogni informazione diventa rilevante. “Tengo

a incontrare tutti coloro che possono colla-

borare in questa fase di transizione in cui stia-

mo reinventando un museo che in pratica an-

cora non esiste. Voglio raccogliere spunti, idee

suggerimenti, e soprattutto voglia di lavorare

insieme, ed energie positive”. Perché è questo

che chiarisce subito: il Meis non solo non è il

nemico, il nuovo concorrente venuto a sot-

trarre pubblico e risorse a istituzioni che da

sempre lottano per mantenere alto il livello

della propria offerta senza troppo pesare sulle

rispettive comunità, ma il nuovo grande mu-

seo dell’ebraismo italiano vuole porsi come

una risorsa su cui contare. Per lavorare insie-

me. Sono molti allora gli inviti a partecipare

a questo primo momento comune di confron-

to, che a Ferrara si tiene il giorno successivo

all’edizione 2016 della Festa del Libro ebraico

e vuole essere operativo, lavorativo. Perché

le parole non sono mai chiacchiere inutili, finta

diplomazia: al tavolo culturale di Ferrara si

viene per raccontarsi, ascoltarsi e lavorare in-

sieme, mettendo le basi per una rete che deve

necessariamente essere ampia e forte. Per

l’ebraismo italiano.

fascina sempre il fatto che sia

collocato in quella che una volta

era una sinagoga, il che significa

che mentre sto visitando la col-

lezione permanente o la mostra

che vi è stata allestita, sempre

notevole, posso anche godermi

l’architettura e l’arredamento

di un’antica sinagoga. Mi pare

che possa avere un valore emo-

tivo grande”. Dariusz Stola, è di-

rettore di Polin, il Museo di sto-

ria degli Ebrei Polacchi di Var-

savia (cui dedichiamo ampio

spazio in questo dossier) dal

2014. Storico, docente dell’Isti-

tuto di studi politici e dell’Ac-

cademia polacca delle scienze,

è membro del team di ricerca

sulle migrazioni dell’Università

di Varsavia. Al tavolo dei rela-

tori anche Orit Shaham Gover,

Direttore del Museo delle Dia-

spore di Tel Aviv che racconta

l’esperienza del popolo ebraico

in esilio, 2600 anni di storia.

poco valore che sarà ricostruito,si vede l’edificio di via Piangipanecon le sue garitte e, a destra, lastruttura temporanea che è quar-tier generale del cantiere. Sembrache tutto sia destinato al perpetuorinnovamento, che ogni cosa possacambiare all’improvviso di posi-zione o destinazione d’uso.Ricapitolando, il complesso mu-seale si compone di tre fabbricatiprincipali. L’edificio A, dove orac’è il Meis di via Piangipane, eral’ex foresteria e ingresso del vec-chio carcere. Nell’edificio C, il mas-siccio ex braccio maschile sarannoinaugurati l’anno prossimo spaziespositivi, laboratori, biblioteca emolto altro ancora. Avrà l’affacciosu un accogliente struttura moder-

na che diventerà il nuovo ingressodel museo, in via Rampari di SanPaolo, dalla parte opposta di viaPiangipane. Tra i due fabbricatiprincipali è previsto l’edifico B, cheoccuperà l’unica struttura del car-cere demolita del tutto (ospitavail reparto femminile e altri ambien-ti, come la cucina e i magazzini).Di volume ridotto rispetto all’edi-ficio C quest’ala del museo prevedesale multiuso e si pensa di termi-narlo nel 2020. Ora al suo postoc’è l’ampia spianata di terra cheintanto ospiterà un giardino. Ilcomplesso museale sarà arricchitoinoltre da specchi d’acqua, alte la-stre che rimandano alla forma dellibro, arredi urbani, piante e infinenumerose brecce aperte nelle vec-

chie mura perimetrali, a simboleg-giare la disponibilità al dialogo. A visita terminata va ringraziatol’architetto Carla Di Francesco chemi ha guidata in questa singolareesperienza e che mi ha permessodi anteporre il pensiero della di-namicità del museo a quello di im-mobilità forzata della prigione.Due cose restano, importanti, so-pra tutto: il Meis di via Piangipanee il suo cantiere sono la stessa cosa,

un’individualità in via di sviluppo,come ogni forma di vita. Fermo restando che il brulichiodel cantiere riflette esattamente ilfermento crescente dell’offerta cul-turale di altissimo valore del mu-seo, della direzione e organizza-zione e finanche del via vai di ognisua singola giornata di lavoro. La seconda è che trasformare unex carcere in un museo ebraico vi-vo, che non sia cioè solo luogo di

esposizione di oggetti di valore omemoriale della Shoah, è la cosagiusta da farsi. È giusto perché sitrasformano alcuni valori negativinel loro opposto: la segregazionein comunicazione e il luogo di iso-lamento in luogo di incontro escambio di idee. Non è da tutti riu-scire in questa impresa. C’è da esserne orgogliosi, per ciòche il Meis è adesso e per ciò chesarà.

Trasformazione di un carcereLavori in corso

La cultura come incontro, ascolto, rete

u Il Consiglio d’amministrazione del museo

dell’Ebraismo italiano e della Shoah, a pochi

giorni dalla nomina del direttore Simonetta

Della Seta. Anche l’ex presidente UCEI Renzo

Gattegna è componente dell’organismo.

Page 20: PE 09 2016 Layout 1 - Moked · porti internazionali, rapporti con Israele e l’Alyah” (Giacomo Mo-scati); “Beni artistico-culturali e centro bibliografico” (Gianni Asca-relli);

Padova, 8 gennaio 2015: il consi-glio della Comunità Ebraica deli-bera di dedicare gli spazi dell’exsinagoga tedesca al nuovo Museodella Padova Ebraica. Otto giugnodello stesso anno: il nuovo museoviene inaugurato alla presenza del-le autorità cittadine, e oggi, a di-stanza di poco più di un anno sicontano già più di seimila e cin-quecento visitatori. Ne ride, DavidRomanin Jacur, presidente dellaComunità e principale artefice delprogetto: “Gadi Luzzatto Voghera,con cui abbiamo voluto, pensatoe progettato il museo sin dall’ini-zio, aveva una fretta indiavolata,voleva assolutamente aprire primadell’Expo perché era convinto chel’occasione ci avrebbe portato unnotevole afflusso di visitatori”. Nonè stato così ma, come raccontanoentrambi, l’esperienza è del tuttopositiva, e la soddisfazione forse

ancora maggiore: il museo, dopoun avvio più lento nella prima esta-te di visite, conta ora su un afflussoregolare di turisti. L’apertura in solicinque mesi è un successo non ca-suale: “L’idea è nata durante uno

dei viaggi di scoperta dell’Europaebraica che organizziamo regolar-mente: a Vilnius e Riga, dove cisono due musei ebraici noti e mol-to pubblicizzati, durante la visitain molti abbiamo pensato la stessa

cosa: non c’era praticamente nulla.Qualche immagine appena, allepareti, qualche documento, e lì ab-biamo realizzato che le potenzia-lità per realizzare un museo dellaPadova ebraica c’erano. Sapevamo

di avere non solo oggetti di pregio,che pure sono molti e sono note-voli, ma soprattutto una storia ric-ca di personaggi che sarebbe statosicuramente interessante raccon-tare”. Gli fa eco Luzzatto Voghera:

/ P20

www.moked.it

n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

DOSSIER /Musei

Padova: la Comunità apre, l’esperienza è collettivaDavide Romanin Jacur e Gadi Luzzatto Voghera raccontano il successo di un progetto, da un viaggio alla nascita di un museo di successo

Il lavoro della guide, una risposta alla voltaTre operatori nei musei ebraici e sinagoghe raccontano il rapporto quotidiano con chi viene a chiedere cultura

Cosa cerca un visitatore in un

museo ebraico o in una sinago-

ga? Quali sono le curiosità e le

domande del pubblico ebraico e

di quello non ebraico? E quale

grado di consapevolezza ha un

cittadino italiano della presenza

ebraica nel Bel Paese? Sono alcu-

ne delle domande che Pagine

Ebraiche ha posto a chi vive e la-

vora quotidianamente a stretto

contatto con il pubblico e si con-

fronta ogni giorno proprio su

questi temi: le guide che per pro-

fessione e passione lavorano da

Roma a Torino, da Firenze a Ve-

nezia, raccontando a decine di

migliaia di turisti l’anno la storia

delle diverse realtà ebraiche ita-

liane e le loro peculiarità. “In po-

chi sanno che la Comunità ebrai-

ca romana è la più antica della

Diaspora con la sua presenza che

risale al 161 e.v. - spiega Sara Pa-

voncello, guida del Museo ebrai-

co di Roma da sei anni (nell’im-

magine a destra assieme a Wal-

ter Kohn, premio Nobel per la

chimica nel 1998, ebreo austriaco

sopravvissuto alla Shoah grazie

all’operazione Kindertransport)

– Il fatto che sia così antica stu-

pisce sia il pubblico italiano sia

quello internazionale, che a Ro-

ma è molto presente”. Il museo

ebraico della Capitale attira in-

fatti migliaia di turisti, molti

americani e israeliani, così come

accade a Firenze per il Tempio

maggiore e museo. “Dal 2002 –

racconta Matteo Comincini (al

centro), cui è affidato il coordi-

namento delle guide di Coopcul-

ture per quanto riguarda le visi-

te alla Firenze ebraica – il nume-

ro dei visitatori è in constante

crescita. Questo nonostante at-

tentati e momenti di tensione”.

Una crescita di interesse che toc-

ca anche altre aree geografiche

dell’Italia ebraica, come il Pie-

monte e Torino nello specifico.

“Da quando ho iniziato a fare il

volontario – racconta Baruch

Lampronti (a sinistra), architet-

to, iscritto alla Comunità ebraica

torinese e da tempo coinvolto

nelle attività culturali di que-

st’ultima – sono passati 10 anni.

All’inizio avevamo per lo più sco-

laresche e pochi adulti. Poi pro-

gressivamente sono arrivati an-

che gruppi organizzati di adulti,

ad esempio legati ad altre con-

fessioni religiose, curiosi di co-

noscere l’impronta ebraica sulla

città e avere nozioni generali sul-

l’ebraismo”. Tutti e tre spiegano

come inevitabilmente le guide

siano modulate rispetto al pub-

blico: con i più piccoli si cerca di

raccontare in modo semplice e

diretto gli elementi cardine del-

l’ebraismo, con gli adulti si ap-

profondiscono invece tematiche

diverse su aspetti di vita come

ad esempio lo Shabbat: “molti mi

chiedono – racconta Baruch – co-

me facciamo noi ebrei a coniu-

gare il rispetto del sabato con i

ritmi di oggi o altre domande si-

mili. Io sono abituato a spiegare

queste cose perché sin da picco-

lo, visto che il mio nome non la-

scia spazio a dubbi, le persone in-

curiosite mi chiedevano informa-

zioni”. E tanta la curiosità del

pubblico non ebraico, che si pre-

Cinque mesi sono pochi, pochissimi, ma laddove la storia e le tradizioni di una comunità si appoggiano su un gruppo di persone determinate e con le idee chiare cinque mesi possono

essere sufficienti per far nascere dal nulla un museo. Davide Romanin Jacur, presidente della Comunità ebraica di Padova e Consigliere UCEI e lo storico Gadi Luzzatto Voghera, da

pochissimo insediatosi nel suo nuovo ruolo di direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, con l’appoggio di tutta la comunità e l’aiuto del rabbino

capo rav Adolfo Locci sono riusciti a far nascere in breve tempo il Museo della Padova Ebraica. Sono tante le istituzioni che in tutta Italia ogni giorno aprono le porte ai tanti che

chiedono di capire e conoscere la storia, gli usi, le tradizioni e la cultura della bimillenaria minoranza ebraica, affrontando ogni genere di difficoltà, sia organizzativa che economica.

Il successo del museo di Padova, spiega Luzzatto Voghera, dipende però soprattutto dalla forza di un’esperienza sociale collettiva che ha dato slancio a tutta la comunità.

Page 21: PE 09 2016 Layout 1 - Moked · porti internazionali, rapporti con Israele e l’Alyah” (Giacomo Mo-scati); “Beni artistico-culturali e centro bibliografico” (Gianni Asca-relli);

MUSEO EBRAICO DI FERRARA Il Museo nazionale dell’Ebraismo Italianoe della Shoah (MEIS) è in via di realizza-zione e sorge nell’ampio complesso delleex carceri cittadine.www.meisweb.it

Al momento il museo della Comunità èchiuso a causa del terremoto del 2012.Si trova nel cuore della città medievale,dove una volta sorgeva il [email protected]

MUSEO EBRAICO DI FIRENZE Fondato nel 1981 all’interno della Sina-goga maggiore, ospita una ricca collezio-ne di oggetti cerimoniali d’arte ebraicawww.moked.it/firenzebraica/orari-mu-seo/

MUSEO EBRAICO “Y. MARINI” LIVORNO Situato nell’oratorio Marini, espone al-cuni degli arredi un tempo custoditi nel-la Monumentale Sinagoga, eretta a par-tire dal 1593www.moked.it/livornoebraica/servizi/museo/

MUSEO EBRAICO DI PITIGLIANO Del complesso sono visitabili la sinagogadel 1598, il bagno rituale, la cantina e ilmacello, l’antica tintoria, il forno delle

azzime e la mostra di cultura ebraicawww.lapiccolagerusalemme.it

MUSEO EBRAICO DI GORIZIAEspone oggetti rituali, manufatti, li-

bri, fotografie, documenti e stampeche raccontano la storia dell’ebraismoa Gorizia; una sezione è dedicata ai di-pinti del filosofo Carlo Michelstaedter. http://www.amicidisraelegorizia.it/wp/museo/

MUSEO EBRAICO DI MERANONel museo allestito nell’edificio della

sinagoga, documenti e oggetti of-frono testimonianze della comu-

/ P21

www.moked.it

pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

Da Casale Monferrato a Leccecresce la rete della cultura

“Ritornando ci siamo detti cheavendo a Padova molto di più diquel che avevamo appena visto...se c’erano riusciti loro praticamen-te con nulla per noi non sarebbestato un problema. Sono molti gliebrei patavini che hanno dato lu-stro all’ebraismo italiano, da MeirKatzenellenbogen, il Maharam diPadova, a Isaac Abra-vanel, dal SHaDaL,Samuel David Luz-zatto, a Moshè Cha-yyim Luzzatto, notocome RaMHaL. Alpunto che esiste unturismo religioso che porta moltiebrei ortodossi a Padova, alle lorotombe, ed è un caso credo unicoin Italia. Ora oltre a chiederci diaprire le porte degli antichi cimiteriebraici - ce ne sono ben quattroin città - vengono a visitare il mu-seo”. La difficoltà di raccontare unastoria così ricca ma difficilmente

rappresentabile è stata risolta, co-me ricorda Romanin Jacur, anchegrazie ai consigli dell’architetto fio-rentino David Palterer, che ha sug-gerito di non puntare sugli oggettima su qualcosa di più vivo. È natacosì l’idea dell’installazione prin-cipale del museo, un filmato diquasi un’ora intitolato “Generazio-

ne va, generazioneviene” che è stato pos-sibile produrre graziea una collaborazionecon il corso di laureain Discipline delle arti,della musica e dello

spettacolo dell’Università di Pado-va. “Sono andato da un giovaneregista, Denis Brotto, che ha ascol-tato pazientemente tutte le mieidee e il racconto di cosa sia statae abbia rappresentato per l’ebrai-smo italiano la comunità di Pado-va. Alla fine mi ha detto che si po-teva fare, certo, ma aveva bisogno

di un po’ di tempo per capire co-me”. Alla fine sono dieci attori ainterpretare altrettante personalità,dal Quattrocento ad oggi. Oltre aiquattro già citati vi compaiono Jeu-dah Minz, Moshè David Valle,Leone Romanin Jacur, GiacomoLevi Civita, Leone Wollemborg eVittorio Polacco. Un racconto chevuole essere anche la storia di unacomunità e di tutti coloro che nehanno fatto parte, passando il te-stimone da una generazione all’al-tra. Ogni racconto è in un luogodifferente, dalla sinagoga italianaai sotterranei dell’ex sinagoga dirito tedesco che ora ospita ilmuseo, dalle corti del ghettoai cimiteri ebraici, all’exConvitto rabbinico, all’Uni-versità, luogo di integrazio-ne tra differenti culture.Gestito da Coop Culture,che ne garantisce l’aperturaper tre giorni alla settimana, ilmuseo è, racconta Gadi LuzzattoVoghera, soprattutto l’esempio vir-tuoso di un’esperienza sociale cheha raccolto intorno al progetto pri-ma e nei locali dell’ex sinagoganon solo idee e finanziamenti, masoprattutto persone. “Si tratta diuna esperienza sociale collettivache ha dato un grande slancio auna comunità che conta meno diduecento iscritti, che è ora coin-volta attivamente, e in cui almenouna ventina di persone sono diret-tamente e concretamente impe-gnate sin dall’inizio a far funzionareun museo che è veramente dellacomunità tutta”. E talmente si tratta di un museodi tutti che per ora la scelta, di cuiRomanin Jacur è convinto, è dinon avere un curatore: “Se ne oc-cupa molto anche il nostro rabbi-no capo, rav Locci, ma l’unico cheavrebbe potuto fare il curatore èGadi”. E aggiunge sorridendo sor-nione: “Per lui avevamo altre spe-ranze... siamo molto fieri della suanomina a direttore del Cdec. Avràmeno tempo ma so che continueràad occuparsi del museo. Come tut-ti noi”.

nità ebraica for-matasi a Mera-no tra fine ‘800

e inizio ‘900http://www.juedi-

schegemeindemeran.com/

MUSEO SINAGOGA S. ANNA TRANIOspita i reperti della storia ebraica cit-tadina posseduti dall’Arcidiocesi e nu-merosi documenti archivistici legati allefamiglie ebraichewww.sinagogatrani.sistemab.it

LECCE EBRAICA MEDIEVALE “PALAZZO TAURINO”Il sito su cui sorge è il fulcro dell’anticoquartiere ebraico cittadino e vi si trovaval’antica sinagoga della giudecca leccesewww.palazzotaurino.com

senta sempre ben disposto anche

quando porta con sé alcuni pre-

giudizi dovuti al retaggio cultu-

rale: “Ti capita di sentire affer-

mazioni al limite dell’antisemiti-

smo ma il percorso all’interno

del museo e della sinagoga serve

anche a rompere questi pregiu-

dizi”, sottolinea Sara. Tra il pub-

blico, anche visitatori dai Paesi

musulmani: “abbiamo avuto di-

verse persone dalla Turchia, dal

Libano, dall’Egitto, qualcuno

dall’Arabia Saudita – afferma

Matteo – Tra altro ora nelle classi

fiorentine ci sono bambini mu-

sulmani che vengono in visita e

in genere danno l’impressione di

avere più consapevolezza della

cultura ebraica dei coetanei”. Di-

verso invece l’approccio con il

pubblico ebraico. Tutti sottoli-

neano come gli israeliani siano

inizialmente più indisciplinati ri-

spetto agli altri: “il loro approc-

cio, comprensibile, è sono ebreo

e la sinagoga è casa mia”. “Sono

dei caciaroni – conferma Sara –

quando arrivano loro c’è sempre

un po’ di balagan (confusione)

ma sono molto divertenti”. Le lo-

ro domande (come quelle degli

ebrei americani), spiega Baruch,

si concentrano molto sul rappor-

to tra comunità come minoranza

e società esterna, sul significato

culturale dei ghetti, le differenze

tra le sinagoghe pre e post

emancipazione come quelle di

Roma, Firenze e Torino. “Vogliono

sapere come vive la Comunità”,

sottolinea Baruch. Molti, aggiun-

gono sia Sara che Matteo, sono

interessati a sapere a quale cor-

rente appartenga l’ebraismo ita-

liano (se ortodosso, conservative

o reform). “Il fatto di trovarsi

una guida ebrea poi pone la visi-

ta in una dimensione diversa, di

condivisione di un passato col-

lettivo”, aggiunge Baruch mentre

da Firenze Matteo sottolinea co-

me “L’essere cristiano non è as-

solutamente un problema anzi

da parte ebraica c’è una sensa-

zione positiva di costruzione di

ponti con altre culture”.

Daniel Reichel

tellate con l’inaugurazione del Tem-pio maggiore nel 1912www.triestebraica.it/museoebraicotrie-ste

MUSEO EBRAICO DI GENOVA Inaugurato nel 2004, si trova all'ultimopiano della Sinagoga. Conserva la colle-zione "viaggio nel mondo ebraico" diEmanuele Luzzati, donata dall'artista allaComunità ebraica della città[email protected]

MUSEO DELLA PADOVA EBRAICA Si trova nell’edificio che un tempoospitava la Sinagoga Tedesca. Al suo in-terno, un’installazione audiovisiva e og-getti della vita ebraica padovanawww.moked.it/padovaebraica/museo-della-padova-ebraica/

MEB MUSEO EBRAICO DI BOLOGNA Nella zona dell’ex-ghetto ebraico, si tro-va nel cinquecentesco palazzo Pannolini.La sezione permanente è incentrata sultema dell’identità ebraicawww.museoebraicobo.it/

MUSEO EBRAICO “F. LEVI” SORAGNA - PARMA Dedicato alla memoria di Fausto Levi chelo inaugurò nel 1981, espone le testimo-nianze della presenza ebraica in città dalSeicentowww.museoebraicosoragna.net/

Roma

Lecce

Ferrara

Parma

LivornoPitigliano

Firenze

Bologna

Padova

Trieste

Trani

Merano

CasaleMonferrato

Asti

Venezia

Gorizia

Genova

MUSEO EBRAICO DI ROMA All’interno del complesso del TempioMaggiore, offre una preziosa raccolta ri-salente ai secoli del ghetto (1555-1870)www.museoebraico.roma.it

MUSEO EBRAICO DI ASTI Nei locali dell’antico tempio della città,espone oggetti liturgici e testimonianzedella presenza ebraica ad [email protected]

COMPLESSO MUSEALE EBRAICO DI CASALE MONFERRATOÈ formato dal Museo degli Argenti, con lasua grande collezione di arte ebraica, dalMuseo dei Lumi, che ospita Chanukkiotd’arte contemporanea, e dall'antica sina-goga.www.casalebraica.info

MUSEO EBRAICO DI VENEZIA Nel campo del Ghetto Novo, tra le duepiù antiche sinagoghe veneziane, dal1954 espone esempi di manifattura orafae tessile databili tra il XVI e il XIX www.museoebraico.it

MUSEO EBRAICO “C. E V. WAGNER” DI TRIESTE Espone oggetti delle tre sinagoghe sor-te in città tra il 1748 e il 1825 e sman-

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על שלשה דברים העולם עומד על התורה ועל העבודה ועל גמילות חסדים

Su tre cose poggia il mondo, sulla Torah, sul Lavoro e sulla Beneficenza (Pirkei Avot 1;2)

Progetto “Tsunami” intervento a sostegno dei bambini nel sud est asiatico colpito dalmaremoto. I fondi sono stati versati alla Protezione Civile che li ha utilizzati per laricostruzione di 6 centri materno-infantili, dedicati all’assistenza alle partorienti e ai neonatinell’area di Matara (Sri Lanka del sud).

Progetto “Ospedale” Contributo per la realizzazione di una nuova camera operatorianell’Ospedale Israelitico Di Roma.

Progetto Radici Assistenza domiciliare ad anziani soli, finalizzata al miglioramento dellaqualità di vita dell’anziano e alla permanenza nella propria abitazione.

Festival Oyoyoy Realizzazione della sesta edizione del Festival internazionale di culturaebraica OyOyOy!, nel territorio allargato del Monferrato.

Indagine e catalogazione Beni culturali rituali e sinagogali di area emiliano-romagnola

CSA Attività di valutazione e terapia per bambini e ragazzi che presentano problematichelegate allo sviluppo, al linguaggio e alle capacità di apprendimento.

Progetto Cab.s Progetto sociale di recupero di tossicodipendenti.

Una cultura in tante culture Corso di formazione per insegnanti delle scuole statali di ogniordine e grado e classi di alunni per la sperimentazione.

Kolnoa Festival Nuova edizione per il cinema proposto dal Pitigliani. Suddiviso in sezionitematiche, il Pitigliani Kolno’a Festival porta in Italia film israeliani con sottotitoli e film diargomento ebraico aggregati secondo percorsi tematici specifici.

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cietà. Cultura, arte, lingua, tradizioni e assistenza alle fasce più deboli ed emarginate.

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cora in tempo per fare la tua scelta!

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Una decina o più di anni fa, uncollega dell’Università di Gerusa-lemme si trovava in visita a Parigiall’Istituto Nazionale di Studi De-mografici (INED), la mecca fran-cese dei demografi. L’INED è unente pubblico sostenuto da fondidello Stato. Appena entrato nelgrande e prestigioso istituto, il col-lega – un ebreo di lingua madrerussa moderatamente tradizionali-sta che all’epoca era solito tenerein capo la kippah – fu avvicinatodal suo ospitante – uno dei più no-ti demografi francesi – che gli or-dinò di togliersi immediatamenteil piccolo copricapo fatto all’unci-netto. Spiegazione: qui siamo neilocali di un’istituzione statalefrancese, e lo Stato francese laiconon tollera l’esibizione in pubblicodi simboli religiosi. Inutile ag-giungere che lo zelante dirigentedell’INED era di origini ebraiche,come oggi si dice in tono semi-co-spiratorio, o in parole più sempli-ci, era un ebreo tale quale il miocollega gerosolimitano. Tutto que-sto avveniva diversi anni primache in Francia e in altri paesi eu-ropei si cominciasse perfino a in-tuire la possibilità di tensioni fra igusti e le norme di vasti settoridella popolazione immigrata negliultimi anni o figlia di precedentiondate immigratorie, e ancor me-no la possibilità di atti di terrori-smo compiuti da gruppi estremistidi matrice islamica sul suolo delcontinente. Il mio collega tornòscioccato da Parigi e mi giurò chemai più avrebbe messo piede al-l’INED. L’episodio della kippahparigina torna di attualità in que-sti giorni in cui si discute dell’am-missibilità del Burkini (un capo diabbigliamento inventato dieci annifa) sulle spiagge francesi e italiane.Suscita interesse la trasversalitàdelle prese di posizione in un sen-so o nell’altro rispetto ai conven-zionali schieramenti politici e reli-giosi. Personalmente, su questaquestione, ho provato affinità conle parole di monsignor NunzioGalantino, vescovo e segretariodella Conferenza episcopale italia-na. Alla domanda di Luigi Accat-toli sul Corriere della Sera: “[Pa-

pa] Francesco [ha detto] che se undonna musulmana vuole portare ilvelo deve poterlo fare”, MonsignorGalantino risponde: “Lo dico an-ch’io e penso alle nostre suore,penso alle nostre mamme contadi-ne che lo portavano fino a ieri e al-cune lo portano ancora oggi. Lostesso, si capisce, deve valere perun cattolico che voglia portare unacroce, o per un ebreo cheindossi una kippah”.Torniamo al punto dipartenza e rileviamodunque due posizioni,una uniformante e quin-di autoritaria, e una fles-sibile e quindi pluralista.È avvilente constatarecome su queste questionisi siano mescolati due fi-loni di discorso solo par-zialmente connessi: unopiù specifico riguardante la posi-zione della donna, l’altro più am-pio sulle libertà e le regole dellaconvivenza nelle società occidenta-li ormai irreversibilmente multi-cuturali in seguito ai rivolgimentidemografici degli ultimi anni. Èincrescioso che il dibattito in corsosulle più ampie e complesse que-stioni di ordine filosofico, giuridi-

co e politico sia precipitato al temariduttivista del modo di presentareil corpo umano o anche del rappor-to interpersonale fra i sessi. La di-scussione sul Burkini si trovachiaramente in un vicolo cieco. Difronte all’infinita gamma di opzio-ni di abbigliamento osservabili sututte le spiagge e che coinvolgonoequamente – ricordando Cecco

Angiolieri – donne giovani e leg-giadre e vecchie e laide, vi è chi af-ferma che il Burkini, la quasi tota-le copertura del corpo femminile, èun’imposizione maschilista. Masecondo la consolidata tesi femmi-nista, anche la sua scopertura èuno sfruttamento maschilista. Co-me dimostrare allora che non losiano anche le sobrie opzioni inter-

medie? Il tentativo di misurarecon il centimetro il rispetto delleleggi sul comune senso del pudorefu in realtà attuato nei primi anni‘50 dal ministro degli interni Ma-rio Scelba che sguinzagliava sullespiagge italiane poliziotti i quali,dopo attenta misurazione della su-perficie tessile sul corpo delle ba-gnanti, rilasciavano a volte regola-

re contravvenzione. Lagrottesca disposizione diispirazione democristiananon durò a lungo. La solaconclusione possibile èche le donne (e gli uomi-ni) si vestano come me-glio credono purché lofacciano liberamente.L’imposizione da parte dialtri non è facile da dimo-strare.Non è invece mai stato af-

frontato seriamente in Europa ilproblema fondamentale di quale equanta sia la diversità tollerabilein una società democratica e sem-pre più eterogenea – che in paesicome gli Stati Uniti o Israele hatrovato soluzioni, sia pure parzialie non del tutto soddisfacenti. InEuropa diversi passati test delladifferenza accettabile hanno coin-

volto anche gli usi e i costumi tra-dizionali delle comunità ebraiche.È stata messa in discussione la le-gittimità della macellazione ritua-le di animali, che in alcune nazio-ni è oggi illegale, e vi è chi ha cer-cato, per ora senza successo, direndere illegale la circoncisione.Evidentemente ciò che per gli uniè sacrale, per gli altri è barbarie,ma da questo conflitto di principinon è mai maturata una filosofiagiuridica che compiutamente am-metta la pluralità delle ipotesi.L’Unione Europea è una confede-razione imperfetta di Stati nazio-nali i quali, ognuno a modo suo, siilludono di poter preservare l’omo-geneità socio-culturale dell’etnia odella cultura fondante. In un paesecome il Belgio le culture fondantisono addirittura due o tre. Ma, aldi là di istituzioni pan-europee chespesso con successo hanno creatoflussi e processi transnazionali, unconcetto unificato di che cosa siaveramente l’identità europea non èmai emerso o maturato. Di conse-guenza le norme su ciò che è con-sentito o meno, e soprattutto, suchi abbia o meno il pieno diritto diappartenere alla società civile si ri-ducono a un’inter-

Il ritorno in libreria, dopo trent’anni diPagine ebraiche (ora per le Edizionidi Storia e Letteratura, nel 1987 il vo-lume era stato edito da Einaudi) la rac-colta degli scritti di Arnaldo Momiglia-no, magistralmente “creata” (più cheredazionalmente curata) da Silvia Ber-ti, per certi aspetti è di nuovo un even-to (come trenta anni fa); per altri, ha lacaratteristica di un contro evento. Sonopiù per la seconda ipotesi, perché il mo-dello storiografico che dà significato al-la ricerca di Momigliano corrisponde aun senso storico che oggi mi sembra la-titare o procedere con circospezione.Prima di tutto il libro.Pagine ebraiche è la raccolta di saggio anche di recensioni che hanno per te-ma la storia degli ebrei e il modo di di-scuterne o di scavarci intorno. Nel casodi Momigliano significa piccole “perle”- per esempio la recensione a Cecil

Roth, Gli ebrei in Venezia, testo che at-trae l’attenzione di Antonio Gramsciche ne scrive nei suoi Quaderni del car-cere e qui riproposti a pp. 163-167. PerMomigliano si può ripetere ciò Scholemscriveva di Benjamin - come ricordaSilvia Berti: anche nell’accenno margi-nale, apparentemente eccentrico, s’in-travede un tesoro di informazioni, maanche di visioni. “Nel minimo si rivelail massimo”. Elemento che corrispondea un metodo e che consiste nel guardarealle culture co-me macchine,come costru-zione nel tem-po e soprattut-to come dialogocon altre cultu-re con cui ci simisura, ma so-prattutto da cui si assorbe, si ri-formula. L’idea di partenza è che nes-suna cultura è un mondo a sé e dunquela storia della propria cultura non èmai la storia dello sviluppo naturale,del proprio codice interno. I frutti puriimpazziscono. Un tema che nella ricer-ca appassionata di Momigliano è costi-

tuito dalle ricerche dedicate al tema del-l’ellenismo e che significativamenteraccoglie e propone in un libro dal tito-lo provocatorio, Saggezza straniera(che Einaudi pubblica nel 1980 e poimai più riedito). Testo dedicato al rap-porto tra l’ellenismo e le altre cultureantiche: ovvero di come la Grecia e lasua espansione culturale (non disgiun-ta da quella politico-militare) fosse re-cepita dalle altre culture dell’area medi-terranea; ma anche il problema contra-rio: come la Grecia recepisse le altre.Una storia di fraintendimenti, idealiz-

zazioni, osmosireciproche, con-trasti e fascina-zioni, tipiche diquella primagrande “globa-

lizzazione” euro-peo-asiatica che fu l’ellenismo. Provia-mo a uscire da quella lunga congiuntu-ra storica.Dice niente a noi così immersi nello“scontro di civiltà” o convinti dell’au-tonomia - meglio dell’autosufficienza -di ogni singola cultura identitaria? èl’identità la riproduzione di un solo co-

dice culturale, quello della propria ap-partenenza, codice impermeabile, “sen-za porte né finestre” e quand’anche ca-pace di assorbire servendosi solo deipropri strumenti interni? Non è soloun problema di ibridazione di codiciculturali, ma anche di rilevanza di me-todi di analisi e dunque di modi di leg-gere e studiare i testi. Proviamo a ri-prendere in mano un testo dal titolo“Studi biblici e studi classici” (scrittooriginariamente nel 1980). È il testoche apre Pagine ebraiche. Otto paginein tutto che valgono il libro. A un certopunto scrive Momigliano: “Io non honulla da obiettare, in linea di principio,all’attuale moltiplicazione di metodid’analisi retorica di testi storici. Si puòfare tutta l’analisi retorica che si ritienenecessaria, purché essa porti all’accer-tamento della verità – o all’ammissioneche la verità, in un dato caso, è pur-troppo fuori portata. Ma dev’esserechiaro una volta per tutte che I Giudicie Gli Atti degli Apostoli, Erodoto e Ta-cito sono testi storici e devono essereesaminati allo scopo di recuperare le ve-rità del passato”. Si può dire meglio?Forse. In ogni caso vale ripeterlo.

Pagine Ebraiche, la grande lezione di Momigliano

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

Il Burkini e la crisi d’Europa. Israele è un modello possibileOPINIONI A CONFRONTO

ú–– Sergio Della PergolaUniversitàEbraica di Gerusalemme

ú–– David BidussaStorico sociale delle idee

/ segue a P24

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ORAD

ArnaldoMomiglianoPAGINE EBRAICHEEdizioni Storia e Letteratura

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/ P24 OPINIONI A CONFRONTO

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

ú– LETTEREMolto si è parlato nelle scorse settimane della visita di Bergoglio ad Auschwitz-Birkenau e della sua scelta

di restare in silenzio. QUali le impressioni di chi ha avuto la possibilità di essere là in quel momento?

Lucia Rivelli, Aosta

Pagine Ebraiche – il giornale dell’ebraismo italianoPubblicazione mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ebraiche ItalianeRegistrazione al Tribunale di Roma numero 218/2009 – Codice ISSN 2037-1543

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Burkini, polemica senza vie d’uscita

Questa polemica sull'accettazione o meno sulle spiagge europee delcosiddetto burkini mi pare sterile e fin troppo strumentalizzata. Oltread essere questo indumento nient'altro che il corrispettivo balnearedello hijab, sembra che ciò che desta più scalpore non sia tanto ilburkini in sé ma vedere al mare una donna vestita da capo a piedi enon con un normale due pezzi, senza dimenticare poi che anche inIndia le donne si immergono nel Gange prevalentemente vestite, e chein Israele nel mondo haredi esiste un quasi analogo “modest swimwear”.Mi viene da pensare allora che alla radice di tutto ciò vi sia sempreuna sorta di conformismo o di difficile accettazione delle differenzeculturali e religiose, o forse identitarie. Perché in fondo anche l'uso delvelo islamico, su cui si dovrebbe tornare per affrontare il burkini, è piùuna questione identitaria che prettamente religiosa. A questo proposito,è bene rileggere un illuminante articolo che scrisse Khaled Fouad Allamnel 2004 per Repubblica dove in sintesi spiegava che “Lo hijab è un'in-venzione del XIV secolo e non ha un effettivo fondamento nel testocoranico. […] La umma, la comunità dei credenti, dovette confrontarsie scontrarsi con ciò che ora chiamiamo un principio d'alterità; essa sipone il problema di come essere musulmani in una società dominatada non musulmani. […] Il velo assume oggi il significato di un'identitàin crisi: oltre a esprimere un malessere generalizzato nelle società isla-miche, esso occulta il loro cambiamento e ne esacerba le paure. Chilo indossa, soprattutto in occidente, lo fa per coercizione, per condi-zionamento, per rivendicazione o per libera scelta.”Questo certo dovrebbe essere una riflessione interna al mondo mu-sulmano, ma è utile per comprendere ancora una volta come talunicostumi religiosi siano, più che un rispetto delle regole desunte dallescritture, un prodotto del contrasto con l'alterità e con la modernitàoccidentale.

ú–– Francesco Moises Bassano

Quando ha superato il cancellod’improvviso attorno a lui si è fat-to il vuoto. Era solo, circondato dasilenzio. E in silenzio è avvenutala visita, rotta solo dalle parole egli abbracci con i sopravvissuti,dieci, che Francesco ha abbracciato(e in un caso, su richiesta, ha be-nedetto). Solo due righe nel librod’oro del campo dopo le preghieredavanti al muro della Morte nelpiazzale dell’appello e dentro lacella di morte per fame di Massi-miliano Kolbe nel blocco 11:un’invocazione a Dio di perdonoper le atrocità commesse dall’uomosull’uomo, e tanta commozione:“Signore abbi pietà del tuo popolo,Signore perdona per tanta crudel-tà”. Francesco ad Auschwitz eBirkenau, sulle orme dei due pre-decessori, che sulle loro spalle han-no portato un vissuto di storia inqualche modo “personale” verso laShoah: un polacco vissuto a pochichilometri dall’indicibile del male,e un tedesco, figlio di un popoloche aveva prodotto e in buon partecondiviso lo stesso infinito male.L’emozione, vista a pochi metri, èstata palpabile. Bergoglio conoscea fondo la storia ebraica, nei suoi

anni a Buenos Aires ha condivisole feste e la Memoria, da Papa èstato al Muro Occidentale a Geru-salemme e sul Monte Herzl, a YadVashem ha baciato le mani a seisopravvissuti, ha ricevuto e dialo-gato con rabbini, ha visitato ilTempio Maggiore di Roma. E aBirkenau ha ascoltato in silenzio econ le mani incrociate al petto difronte al Monumento alle Vittimedelle Nazioni il canto del salmo130 intonato dal rabbino capo diPolonia, Michael Schudrich, ripe-tuto poi in polacco dal parroco diMarkova, don Stanislaw Ruszala,la stessa città della famiglia che fusterminata dai nazisti per averospitato alcuni ebrei, e riconosciu-ta tra i Giusti delle Nazioni. La Giornata Mondiale dei Giova-ni. L’appuntamento-simbolo delpontificato di Karol Wojtyla - lecreò nel 1986, il culmine fu a Ro-ma nel 2000 dell’Anno Santo aTor Vergata - è tornato in Poloniadopo 25 anni, a Cracovia, nellacittà del papa santo, ma anchedentro il cuore dell’Olocausto, eanche della storia di Oskar Schin-dler. La sua fabbrica di oggettismaltati, appena di là dalla Vistolarispetto al quartiere ebraico di Ka-zimerz, è un museo sulla storiadell’occupazione nazista della Po-lonia, sui campi, e sulla storia del-la Lista, riprodotta nome per nomedentro un’installazione interna alvecchio studio dell’industriale, la

cui copertura esterna è un ammas-so di pentole, le stesse prodotte daiprigionieri. Nei giorni della Gmgil museo è stato invaso anche daragazzi della Generazione-France-sco, zaino in spalla e un’infinitacuriosità di sapere cosa accadde làpiù di 70 anni fa, di crearsi unapropria Memoria. La cantanteisraeliana Noa - incontrata giorniprima dal papa in Vaticano - cantasul palco dell’immenso CampusMisericordiae la sera della veglia.Sventolano le bandiere di duecentopaesi all’arrivo di Bergoglio soprala papamobile, tre sono israeliane -forse quelle meno numerose dellealtre - ma si vedono, sono propriodavanti al palco. Il papa parla, echiede “Dov’è Dio se ci sono fame,terrorismo e profughi....” nel gior-no della visita ad Auschwitz e Bir-kenau, ma non al campo. Sono co-me parole non dette là, ma rimastedentro ed espresso poche ore dopo,che rievocano quelle di BenedettoXVI nel 2006 (“Signore, perchéhai taciuto?”). Però, di quella visi-ta in silenzio, Francesco ne parlaqualche giorno dopo, all’udienzain piazza San Pietro: ho pregato insilenzio, dice, per le vittime di al-lora. E ha pensato “alle crudeltà dioggi, che assomigliano a quelle diieri, non così concentrate come inquel posto ma presenti dappertuttonel mondo”. Un mondo “malato dicrudeltà, di dolore, di guerra, diodio, di tristezza”.

ú–– Carlo Marronivaticanista

pretazione riduttiva di quantoesteticamente o normativamentesia consuetudinario in ciascunanazione. La norma suppostamenteuniversale non è altro che la nor-ma particolare del gruppo egemo-ne. Negli Stati Uniti, sia pure inmaniera imperfetta, il codice di ba-se è costituito dal rispetto per laCostituzione che tutti i cittadinisono supposti conoscere e seguire.Ma in Europa la Costituzione èun gigantesco documento che nes-suno conosce e che più che stabili-re dei superiori principi morali, sidilunga in molte disposizioni ope-rative. È interessante, in questocaso guardare al caso di Israele.Qui, attraverso innumerevoli pro-blemi perfino in aumento negli ul-timi anni, la prassi sta nel ricono-scimento dell’esistenza simultaneadi quattro maggiori tribù (nelle

parole del presidente della Repub-blica Ruvi Rivlin). Ognuna diqueste gode di una tacitamente ri-conosciuta autonomia, epitomizza-ta dai quattro sistemi separati dipubblica istruzione, tre ebraici –ortodosso religioso, religioso na-zionale, nazionale secolare – e unoarabo. Non mancano all’internodella società israeliana pregiudizi,tensioni e momenti di violenza ci-vile. Il pregiudizio, riconosciamolo,colpisce primariamente chi, rispet-to alla maggioranza, si veste diver-samente, o ha un colore di pelle di-verso, o un accento diverso. Ma,oltre alla sanzione legale contro ladiscriminazione, esiste anche iltentativo di trovare soluzioni chediano a ciascuno la possibilità diavere il suo, senza infrangere i di-ritti di tutti. Un esempio minimosono le piscine pubbliche dove incerte limitate ore durante la setti-

mana è consentito l’accesso ai soliuomini o alle sole donne. Le uni-versità israeliane hanno introdottoprogrammi di studio finalizzati al-la popolazione molto ortodossa oaraba, perfino con classi separate. L’obiettivo è di facilitare l’inseri-mento di questi gruppi altrimentimarginali nel filone centrale dellasocietà. La progettualità deve ne-cessariamente essere integrazioni-sta ed egualitaria, ma per raggiun-gere lo scopo sono possibili diversevie: quella di consentire la diversi-tà o quella di pretendere di abolir-la. L’essenziale è il progetto. Main Europa il progetto veramenteintegrazionista non è mai nato onon è cresciuto abbastanza. La“crisi del Burkini”, fatta salva lanecessità di lottare con ogni mezzoper prevenire e combattere il terro-rismo, è in realtà la crisi dell’iden-tità europea.

DELLA PERGOLA da P23 /

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OPINIONI A CONFRONTO / P25

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

si sono state certe scelte della re-gia. Un Antonio, ad esempio, ci-nico e sprezzante sin dall’inizio(per rendercelo antipatico?), dicui è rimasto peraltro annullato ilriferimento all’ambiguo rapportoomoerotico con l’amico Bassanio(omesso dalla messinscena un pa-tetico addio fra i due). Ma omessaanche una battuta chiave dell’infe-dele figlia Jessica che, mentre fug-ge con i preziosi rubati al padre, siattarda a rifornirsi di altri ducati

con cui ‘agghindarè il suo tradi-mento, oltre che il suo senso dicolpa. Semplificazioni che nonhanno fatto bene al dramma nelsuo insieme, mentre, per una suanecessaria riduzione a tempi sop-portabili, si potevano sacrificarealtre scene di minor rilievo signi-ficante. È sempre questione discelte, ma ogni scelta ha il suomotivo e propone una sua ideolo-gia. Originale l’idea di frammen-tare il personaggio di Shylock fa-

cendolo impersonare da cinque di-versi attori, per metterne in risal-to la complessità, secondo quantoriferisce la stampa. Se però un miostudente mi interrogasse su qualisiano i cinque diversi aspetti delcarattere di Shylock, devo confes-sare che non saprei che cosa ri-spondere. Nella mia non breve fre-quentazione del testo ne ho rico-nosciuti con certezza due, lo Shy-lock rancoroso e vendicativo e loShylock che, dopo aver rivendicato

la sua umanità, viene disumana-mente sconfitto e cancellato, con-vertito. Una scelta di sicuro effet-to quella dei cinque Shylock sottol’albero del Ghetto, ma di ben ar-dua ricezione da parte di un pub-blico quanto meno ‘generalista’. Enon si può dimenticare che il do-vere di una regia, pur nella suarelativa libertà interpretativa, èquello di rendere il dramma frui-bile in modo immediato e diretto.Che la figura di Shylock costitui-sca un dilemma testuale è risulta-to chiaro anche dall’imbarazzocon cui è stata risolta la sua resa‘corporea’: da un lato la ‘r’ calcatae rotolante, una caricatura del-l’ebreo ashkenazita, dall’altrol’elegante veste con fasciatura do-rata ai fianchi, e la conseguente ri-nuncia all’ovvia e testuale ‘gabba-na d’ebreò nera. Solo di fronte aquesta evidente differenza d’abitosi sarebbe colta tutta l’ironia diuna Porzia che chiede ‘Chi è ilmercante qui? E chi l’ebreo?’, fin-gendo un’equidistanza fra mer-cante cristiano e usuraio ebreo cheavrebbe offerto un assaggio dellasua strategia di simulazione. Concinque Shylock eleganti, invece,l’ironia svanisce, e con essa svani-sce per il pubblico ogni possibilitàdi cogliere una Porzia la cui pale-se essenza è quella del travesti-mento, della mime-

“Shylock in Laguna. Realtà deformata ad arte”

Mettere in scena Il mercante diVenezia nel Ghetto è stata un’im-presa difficile, irta di incognite eimprevisti sul piano artistico, or-ganizzativo, finanziario, dellameteorologia e della sicurezza.Ma tra mille incertezze, di unacosa eravamo sicuri: non avrem-mo mai fatto contento chi per for-za non voleva essere contento.Tra le ripetute e spesso astioseprese di posizione contro questoprogetto (così tante da aver con-vinto qualcuno che ci fosse unmovimento di popolo piuttostoche una voce isolata), Dario Cali-mani ha commentato così la coin-cidenza tra il Quattrocentenariodella morte di Shakespeare e ilCinquecentenario della fondazio-ne del Ghetto: “Si tratta di due

anniversari di carattere ben di-verso, e sarebbe bene che nessunoin città li confondesse o semplice-mente li fondesse.”Consideriamo quindi un bel tra-guardo che sia venuto a vedere lospettacolo e che abbia perfino spe-so qualche bella parola nei suoiconfronti (e chissà cosa avrà pen-sato quando l’editore ha piazzatosulla nuova pregevole edizionedel Mercante da lui curata unafascetta che dice “Nel cinquecen-tenario del Ghetto di Venezia e a400 anni dalla morte di Shake-speare una nuova edizione che ri-legge la modernità del testo”).Non sono d’accordo con moltedelle sue interpretazioni, ma noncredo che questo possa interessaremolto i lettori di questo giornale.Ma per rispetto nei loro confrontie di chi ha lavorato per organiz-zare gli eventi in questione di cuiparli, sento il bisogno di com-mentare una affermazione ri-guardante il processo simulatopresieduto da Ruth Bader Gin-

sburg, una delle più importantigiuriste e personalità ebraiche delmondo, nonché grande appassio-nata di Shakespeare. Si parla di“spettacolarizzazione turistica al-lo stato puro, che lascia l’amaroin bocca, non solo per il cultoredel testo shakespeariano, che vedein queste pseudo-scoperte giuridi-che delle travisanti banalità, checon la finzione del testo non han-no nulla a che fare, ma anche perl’ebreo veneziano, che vorrebbeforse che la sua storia e la suacultura non fossero trattate comeuna farsa da baraccone, da defor-mare e stazzonare a volontà”. Credo che i lettori meritino di sa-pere almeno tre cose. La prima èche i processi simulati ai perso-naggi di Shakespeare sono unesercizio intellettuale molto invoga, capaci di far discutere deitemi e significati delle opere sen-za pretese di rigore scientifico e dicoinvolgere un pubblico non spe-cialistico. Che a questo processoabbiano partecipato con entusia-

smo anche Stephen Greenblatt eJames Shapiro, due dei più grandistudiosi di Shakespeare, dimostraanche che, per fortuna, non tuttigli accademici pensano che questasia stata “una farsa da baracco-ne”. La seconda cosa, nella suastraordinaria banalità, è che aquesta “farsa” chi fa queste affer-mazioni non era presente, quindiè giusto che si sappia che scrivedi qualcosa che non ha visto. Laterza cosa, e la più fondamentale,è che ‘l’amaro in bocca’ non è ri-masto all’ebreo veneziano ma aun ebreo veneziano. Ci sono tantiebrei veneziani. Alcuni la pense-ranno legittimamente come DarioCalimani. Ma molti altri, che era-no sia allo spettacolo sia al pro-cesso, hanno apprezzato entram-bi, hanno compreso lo spiritodell’iniziativa, e persino il benefi-cio potenziale che potrà avere peril futuro del Ghetto e della nostracomunità, della nostra storia ecultura. Ma questa, forse, è la co-sa più difficile da accettare.

“Ghetto 500, successo per chi ha voglia di futuro”ú–– Shaul Bassi

Università Ca’Foscari Venezia

/ segue a P26

ú–– Dario Calimanianglista

Ne ha parlato il mondo intero diquesto Mercante di Venezia inscena nel Ghetto della città lagu-nare. L’attesa è stata vibrante. Adassistere alla sua rappresentazionesono venuti da ogni dove, e lospettacolo non ha certo deluso.Vedere Shylock calcare i ‘masegni’del Campo di Ghetto è stato uncolpo d’occhio, e un’emozione cheresterà dentro nel tempo, al di làdi qualsiasi effetto la messa in sce-na abbia prodotto o abbia mancatodi produrre. Ad accompagnare lospettacolo, il frinire assordante esuperfluo delle cicale, ma anche ilcomplesso di concertisti che benerichiamavano le sinergie artistichedel teatro elisabettiano. Certo, Shakespeare non dà segnodi aver saputo che il Ghetto esi-stesse, né che i prestatori ebreioperassero lì e non a Rialto, e nonsapeva del resto che il Doge nonsvolgeva attività di giudice e cheun imputato o un avvocato nonpotevano assumere il ruolo dipubblici accusatori e giudici a lorovolta. Il Mercante è una finzione,ed è bene continuare a ricordarlo,ma è una finzione che qualche re-condito messaggio vuole veicolar-lo, per quanto ambiguo, per quan-to contraddittorio, per quantoenigmatico. E la messa in scena diKarin Coonrod, puntata sullospettacolo, sulla commedia, sui co-stumi sobri ma eleganti, forsequalche cosa ha mancato di tra-smetterlo. Una splendida occasio-ne in fondo, ma un’occasionemancata. Il pubblico si è certa-mente divertito alle molte opcca-sioni esteriori, alla vivace inter-pretazione del buffone, LancillottoGobbo; il critico, per parte sua, hasofferto non poco per la mancatamessa a fuoco degli interrogativicentrali. Ma, si sa, la critica è no-iosa e il suo mestiere è di esserepedante. Che il colpo d’occhio e l’effettospettacolare della location potesse-ro far passare in secondo piano icontenuti sottesi del testo era unrischio che si poteva immaginaredi dover affrontare. Il fascino delGhetto ha infatti condizionato larappresentazione sin dal ridon-dante esordio ruzantiano, utile adaccentuare il contesto, ma decisa-mente deviante in relazione al te-sto. Molti degli effetti ricercati so-no sembrati ad uso del turista piùche tesi a scandagliare le profondi-tà del dramma. A lasciare perples-

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

Viviamo tempi difficili, pienid’incognite e grandi sfide. Nel2017 ci saranno tre importanti ri-correnze che saranno ampiamenteutilizzate dalla narrazione terzo-mondista per portare avanti/ali-mentare una narrazione falsa, fat-ta di luoghi comuni di arbitrariericostruzioni dlla storia più re-cente e passata del Vicino Orientee del conflitto arabo israeliano.L’offensiva è in atto. Sulle ormedell’Assise internazionale delleNazioni Unite sul razzismo aDurban, che si trasformò inun’orgia dell’antisemitismo, alcu-ne ong sono all’opera per utilizza-re allo scopo l’anniversario delcentenario della DichiarazioneBalfour. In questa perversa logica, ciò cheè accaduto dopo nel Vicino Orien-te, sarebbe il risultato di un“complotto” ai danni dei popoli

arabi e dell’umma islamica, chedopo avere subito il colonialismo,pagherebbe per colpe non sue leatrocità del nazismo. Una costru-zione falsa che secondo un dispo-sitivo storicamente collaudatotrasforma Israele nel capro espia-torio di ogni male nella regione eche ha tra i suoi riferimenti osses-sivi la messa in discussione dellalegittimità morale e giuridica del-la sua esistenza. Non è qui in discussione il dirit-to a dissentire da questa o quellascelta del governo israeliano. Ildiritto alla critica e al dissenso è ilsale della democrazia e la stampaisraeliana se ne avvale in modiche farebbero invidia alle più con-solidate democrazie occidentale. Èqui in discussione la negazionedei valori morali e giuridici checirconda molti dei luoghi comunidel dibattito sul conflitto araboisraeliano e che portano a giudica-re con standard diversi i pericolirappresentati dal terrorismo isla-mista, secondo i luoghi colpiti.Per non parlare della falsificazio-ne dei fatti, e dei processi di de-monizzazione, che fanno da sfon-

do a un nuovo antisemitismo. Per smontare molti dei luoghi co-muni che avvelenano il dibattitosulle origini del conflitto araboisraeliano, basterebbe ricordareche se il mondo arabo avesse ac-cettato la dichiarazione di sparti-zione delle Nazioni Unite (di cuiricorre tra poco il settantesimoanniversario) e non avesse scate-nato, per impedirne l’attuazione,una sanguinosa guerra di distru-zione, occupando (Egitto) e an-nettendo (regno di Giordania) iterritori su cui doveva nascere loStato palestinese, forse la storiadel Vicino Oriente avrebbe presouna piega diversa. Forse si festeg-gerebbe oggi e negli stessi giorni,la nascita di due Stati. Nel corso della guerra di aggres-sione, scatenata dagli eserciti ara-bi all’indomani della nascita diIsraele, lo Stato ebraico persel’uno per cento della sua popola-zione. Una cifra pari al numero diebrei assassinati quotidianamentedai nazisti. In termini percentua-li, è un numero pari ai caduti ita-liani della prima guerra mondiale. Pochi anni prima c’era stata l’eca-

tombe dell’ebraismo europeo. Segli eserciti dell’Asse non fosserostati fermati a El Alamein,l’ebraismo del mondo arabo sareb-be stato interamente sterminato, eil sogno dell’Yshuv spazzato. Pur avendo vinto la guerra, l’Ita-lia sprofondò nel fascismo, mentreIsraele costruì e sviluppò, in unasituazione di guerra, e di pericolopermanente, una democrazia par-lamentare, passando in appenadieci anni da una popolazione diseicentomila abitanti a un milionee ottocentomila. Come se all’indo-mani della Seconda guerra mon-diale, l’Italia avesse accolto in die-ci anni cento milioni e gli StatiUniti, che avevano chiuso le porteprima che la guerra scoppiasse,avessero accolto quattrocento mi-lioni di profughi. La società israeliana ha accolto isuoi esuli con una tensione mora-le incomparabilmente alta. L’arri-vo degli immigrati fu consideratoun valore in sé oltre che una ne-cessità per non soccombere allasfida demografica. Pur con le dif-ficoltà dei primi anni, la vita nellebaracche e un senso d’insoddisfa-

zione e di alienazione venuto agalla nei decenni successivi, gliebrei di origine afroasiatica furo-no considerati ed erano parte diun processo di rinascita nazionalee di riscatto dopo secoli di umilia-zioni. Diversa è la situazione allaquale andarono purtroppo incon-tro i palestinesi. Per scelta degliStati arabi, la loro condizione diprofughi divenne ontologica. An-che se il mondo arabo era immen-so e lo spostamento era stato diqualche chilometro, l’idea di unaloro integrazione nei paesi arabicircostanti o lontani fu violente-mente osteggiata. La creazione di una patria ebrai-ca nel cuore della nazione araba edell’umma islamica era una viola-zione degli ordinamenti divini eterreni. Chi avesse tentato un ac-cordo, era un traditore da elimi-nare. Aver considerato l’esistenzadi Israele un’onta che poteva esse-re lavata solo tornando allo statusquo ante, è stata la grande colpamorale e politica del nazionalismoarabo, il segno di un’immaturitàpolitica, l’origine di un fallimentopiù generale.

ú–– David MeghnagiConsigliere Ucei

tizzazione, della dissimulazione edel raggiro.Si ha la sensazione, nel complesso,che il testo sia stato vagamenteeufemizzato, forse anche un pò de-ebraizzato, certi significati passatisotto silenzio. Non emerge l’inte-resse fortemente economico dellasocietà veneziana e cristiana che,ben più di Shylock, non riesce adissociare l’amore dal denaro.Non si coglie il fatto che Antonio,nel prestare denaro a Bassanio, stadi fatto esercitando un’usura emo-tiva, perché lega così a sé l’ami-co/amato con un debito materialee morale insieme. Sottigliezze, frale molte, che costruiscono peròtutto il senso complesso e multi-valente di questo problematicissi-mo dramma shakespeariano. De-viante e blasfema, sul piano cultu-rale, è poi la scritta che si proiettasulle case del Ghetto alla fine dellarappresentazione: “Misericordia”,come se questo fosse il significatoe l’invito che il pubblico deve por-tare a casa con sé. E si giunge in-vece, così, alla deformazione deltesto, perché la misericordia è, perla società cristiana di Venezia, unideale mancato. Tanto mancatoquanto lo è la giustizia che la so-cietà nega a Shylock. È inconte-stabile, infatti, che la misericordiaproclamata solennemente da Por-

zia in uno splendido monologo èsolo ciò che si pretende da Shy-lock: la pietà che lo costringa a ri-nunciare ala sua giustizia e al de-naro che ha prestato al cristiano.Ma quando toccherà a Porzia (ead Antonio) dimostrare quantosia spontanea la sua misericordia,Porzia dimentica le belle paroleche ha pronunciato e dimentica lasua stessa fede, e infierisce suShylock facendogli pagare il suoinflessibile rancore con l’espro-priazione: denaro, come sempre,che passa dall’ebreo al cristiano.La misericordia cristiana, nel te-sto, non esiste. Esiste invece lavendetta, come aveva lamentato epredetto l’ebreo Shylock. Buffacoincidenza, poi, che sulla miseri-cordia cristiana stia insistendo inquesto periodo anche il cardinaleRavasi, per opporla all’inflessibili-tà della legge ebraica. Un curiosomalinteso, naturalmente, visto chel’ebraismo conosce bene la ‘Mid-dat haRachamim’, l’attributo dellamisericordia divina. Non sia maiallora che, nel suo monologo sullamisericordia, Porzia stia citandola Torah? E se Porzia fosse unamarrana? Ma questa è davveroun’altra incredibile storia.Perché, dunque, proiettare ‘Mise-ricordia’ sulle pareti del Ghetto?Forse per dire che questo è il mes-saggio finale da ricavare e il senti-

mento da riprodurre nell’oggi,amando il diverso, comunque sichiami, dovunque si trovi. Unmessaggio universale che trascen-de l’ebraicità del personaggio Shy-lock e vede in lui, più che l’ebreo,il diverso tout court. A cui si puòrispondere: diverso, certo, maebreo, e proprio in quanto ebreooggetto per secoli del trattamentoche ben si conosce, un trattamentoriservato a lui in particolare. Sha-kespeare è sì un animo aperto, maè nella figura dell’ebreo che mettea fuoco l’accanimento, le vessazio-ni e le manipolazioni della societàcontro l’estraneo. Trascendere la lettera alla ricercadi metafore e di simboli e di estra-polazioni universalizzanti non si-gnifica sminuire, eufemizzare oannullare i significati di partenza,quelli intrinsici e ineludibili deltesto. E, soprattutto, visto che neldramma la società ha la meglio el’ebreo ne esce sconfitto, il mes-saggio della misericordia finisceper ridurre ai minimi termini lacomplessità del testo e dei suoi si-gnificati, per segnare il trionfo diquella società e dei suoi valori. Lamisericordia (cristiana) prevale apatto che l’estraneo venga cancel-lato e omologato alla società domi-nante; da questa conseguenza ne-cessaria qualche significato biso-gnerà pur ricavarlo. Che la mise-

ricordia prevalga è, in effetti, soloun significato apparente e ingan-nevole del dramma. Ma con unmessaggio così l’ebreo – quellofuori scena – un risultato lo ottie-ne, perché si accattiva la simpatiadel mondo, universalizzando lapropria esistenza, rappresentandogli altri anziché se stesso, fonden-dosi con gli altri, annullando (su-perando?) i valori della propriaidentità. E dalla rappresentazionesi esce allora pacificati, soddisfatti,per nulla disorientati e scombus-solati. Come, cioè, se il testo nonfosse quel contrasto di significatiirreconciliabili che è. La regia diKarin Coonrod ha cercato inveceuna soluzione univoca, e l’ha tro-vata in un finale corale, facendoripetere, a più voci da tutti gli at-tori, il monologo più fastidioso,indispettito e indispettente diShylock. Tanto il pubblico non hacapito, o forse neppure se n’è ac-corto. Scenografia allo stato puro.La regia ha il diritto di essere libe-ra, ma ha il dovere di rispettare lascrittura. Un compromesso diffici-le da realizzare, e tuttavia ci si po-teva provare. Ma è ormai una mo-da che la rappresentazione stessadel Ghetto sia solo metafora, chetrascende la realtà e la presentaper quello che non è stata. Il futu-ro ha sostituito il passato e ne stadeformando terribilmente la sto-

ria. Allo stesso modo, con i giustitagli e le opportune aggiunte, altesto si sostituisce l’interpretazio-ne facendogli dire ciò che più con-viene. Questa è la strada scelta daquanto si sta svolgendo nel Ghettodi Venezia. Così lo spirito dellospettacolo globale si è impadronitoanche del Mercante di Venezia. Civoleva poi la riproposizione di unprocesso fittizio, con grandi perso-nalità del diritto convocate all’uo-po, per spettacolarizzare anche inon significati del Mercante, ciòche il testo, cioè, non ha mai volu-to dire. E così si scopre che il con-tratto fra Antonio e Shylock non èvalido, e che non è valida la suaconversione e via dicendo. Anchequi, spettacolarizzazione turisticaallo stato puro, che lascia l’amaroin bocca, non solo per il cultoredel testo shakespeariano, che vedein queste pseudo-scoperte giuridi-che delle travisanti banalità, checon la finzione del testo non han-no nulla a che fare, ma anche perl’ebreo veneziano, che vorrebbeforse che la sua storia e la sua cul-tura non fossero trattate come unafarsa da baraccone, da deformare estazzonare a volontà. A deformarela realtà storica basta Shakespeare,che almeno stava cercando di direqualcosa di serio agli uomini delsuo tempo, dall’alto della sua in-consapevole grandezza.

CALIMANI da P25 /

Il conflitto arabo-israeliano e i luoghi comuni da ribaltare

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016 / P27

“In piedi, entra la corte!” Con unmisto di timore e divertimento ilpubblico del processo simulato in-tentato da Shylock contro Antonioe la Repubblica di Venezia, e con-tro Porzia, ha ubbidito alle paroledi Jennifer Harrison Newman, ma-nager della Compagnia de’ Co-lombari che a Venezia, al culminedelle manifestazioni per i cinquesecoli del ghetto, alla Scuola Gran-de di San Rocco, era maestro ce-rimoniere. Curiosità, mondanità,ma soprattutto la voglia di vedereall’opera il magistrato più temutoe rispettato al mondo, il giudicedella Corte suprema statunitenseRuth Bader Ginsburg. Un appun-tamento unico che è riuscito a sor-prendere ed emozionare. A co-minciare dalla sentenza. Ribalta-mento di prospettiva, l’appello diShylock è stato accolto, anche sesolo in parte: dopo venti minuti diCamera di consiglio, che hannochiuso due ore di discussione ap-passionata e appassionante, il giu-dice Bader ha annunciato che laCorte, all’unanimità, era arrivata auna decisione. Annullata la richie-sta della libbra di carne, definita “amerry sport”, ma soprattutto nullal’istanza di conversione dell’ebreo.Dovranno essere resi i tremila du-cati a Shylock, che rientra anchenelle sue proprietà, e dovrà scon-tare una pena Porzia, colpevole diessersi camuffata sotto la toga inun processo in cui era chiaramenteparte in causa, e considerata – pa-role del giudice Bader – ipocrita etruffatrice. Due ore di discussioniappassionate, per nulla scontate,emozionanti, che hanno seguito ilbenvenuto del Guardian Grandodella Scuola Grande di San Roccoe le parole del Rettore di Ca’ Fo-scari, Michele Bugliesi, che nel suodiscorso ha voluto ringraziareShaul Bassi, artefice della “settima-na del Mercante”, salutato da unlungo e caloroso applauso. E pri-ma di entrare nel vivo del processoFabrizio Marrella, di Ca’ Foscari,ha offerto una lezione sulla praticadell’arbitrato nella Repubblica diVenezia ai tempi di Shakespeare.

Aprendo uno dei problemi dibat-tuti nelle ore successive: perchéquello che poteva essere un pro-cesso civile, gestibile con un arbi-trato, è stato trasformato in unprocesso penale, se non per la vo-lontà di accanirsi contro Shylock?Entra Shylock. E ha il volto diMurray Abraham, grande attoreamericano, che ha attraversatol’ampia sala fra gli applausi per im-personare l’ebreo, ed è proprioShylock a duettare con Ruth Ba-der Ginsburg, che ha immediata-mente dimostrato di avere un’ener-

gia e una grinta molto maggiori diquel che la sua fragile figura mo-strerebbe. È bastato lo scambiocon Murray Abraham – che ha of-ferto al pubblico il notissimo mo-nologo “Hath not a Jew eyes?Hath not a Jew hands, organs, di-mensions, senses, affections, pas-sions?…” per far capire che nullaera “per finta” e che il prosieguosarebbe stato decisamente emo-zionante. Gli avvocati che rappre-sentavano Shylock, Manfredi Bur-gio, Antonio e la Repubblica diVenezia – Mario Siragusa – e Por-

zia, Jonathan Geballe, avevanopresentato alla corte abbondantedocumentazione, ma il primo a di-fendere la posizione del propriocliente ha dovuto subito fare i con-ti col presidente della giuria. Appassionante la discussione pro-vocata dall’arringa dell’avvocatoMario Siragusa, difensore di An-tonio e della Repubblica di Vene-zia, che ha portato i giudici – oltrea Ruth Bader erano la giurista in-ternazionalista Laura Picchio For-lati (Università di Padova), JohnR. Philips, Ambasciatore america-

no in Italia, RichardSchneider (Wake Forest Universi-ty), e l’avvocato Fabio Moretti – ainterrogarsi su quale dovesse esserela consapevolezza e la cultura diShylock, e quale quella del Mer-cante, Antonio. Nulla è detto nel-l’opera di Shakespeare, ma è indi-scutibile che si trattasse di mercantidi successo, che dovevano forza-tamente avere una notevole cul-tura. E al di là delle valutazioni pretta-mente legali, che non sono man-cate, molte osservazioni discussenel dibattimento hanno colpito unpubblico sempre più partecipe, cheha man mano sostituito le francherisate ai mormorii: “È evidente cheper Shylock la libbra di carne rap-presentava il ghetto: non si puòtogliere una libbra di carne da uncorpo, così come non è possibilecancellare una parte della città”. Ela libertà di contrattare, e il dirittodi fare accordi commerciali edeconomici sono estremamente im-portanti per una società mercan-tile. “Ma non si tratta di strumentiadatti a ogni argomento. Di alcunecose non è possibile fare commer-cio”. L’argomentazione che Shy-lock fosse considerato “altro”, eche quindi fosse sottoposto a unmetro di giudizio differente ha te-nuto lungamente impegnata la giu-ria, che ha anche scelto di verifi-care con i due esperti – gli studiosiStephen Greenblatt e James Sha-piro, rispettivamente della Harvarde della Columbia University –quante altre volte la parola “alien”compaia in Shakespeare. Tre volte, in tutto. E Shylock è sta-to punito in quanto ebreo. Forzatoa convertirsi. Altrettanto intensa èstata la discussione tra Greenblatte Shapiro, che mentre la Corte siera ritirata per arrivare al verdettohanno affrontato la complessitàdegli argomenti sollevati dal Mer-cante in un dialogo appassionatoincentrato su antisemitismo e pre-giudizio, temi centrali intorno acui è costruito tutto il testo. Un te-sto capace di appassionare ancora,e di far discutere, sempre. (a.t.)

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u /P32-33LINGUAGGI

u /P28-29IMMAGINE

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“Fate un grande lavoro. Ora dovete collaborare oltre le lingue e le frontiere” (Ruth Bader Ginsburg, sfogliando Pagine Ebraiche - Venezia, luglio 2016)

Shylock chiede appello. A Venezia giustizia è fatta

u Alta voce della Giustizia costituzionale, ebrea impegnata nella società contemporanea, donna consapevole di

quanto la conquista dei diritti delle minoranze e delle componenti sociali oppresse sia il motore delle società

civili. Ruth Bader Ginsburg non ha perso l’occasione di lasciare il segno anche durante la sua permanenza a

Venezia. Attentissima visitatrice della città e del suo quartiere ebraico, appassionata spettatrice delle

rappresentazioni del Mercante di Venezia, protagonista del processo d’appello intentato da Shylock contro

Antonio, la Repubblica di Venezia e Porzia, il giudice ha trovato il tempo per intrattenersi con la presidente

dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, per analizzare attentamente l’ultimo numero del

giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche assieme ad Ada Treves della redazione giornalistica dell’Unione

e per visitare la grande mostra “Venezia, gli ebrei e l’Europa” assieme alla curatrice Donatella Calabi.

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ú–– Marco Belpoliti

Come poteva fotografare il Ghettodi Venezia l’autore di quel libro fon-dativo che è stato negli anni SessantaFeste religiose in Sicilia? Ricorrendo allaforma teatrale. Questo libro di Ferdi-nando Scianna è costruito così. Vadal giorno alla notte, in un susseguirsidi scene e di spazi; anche là dove lo

scatto comprende figure singole, c’èsempre il gran teatro del mondo. Inquesto caso va in scena il mondoebraico sul palcoscenico del campielloveneziano, in quel luogo che è statoprigione, rifugio, casa e vita per la co-munità ebraica lungo cinque secoli.Non si è preoccupato troppo dellaStoria Scianna, o almeno non l’haeretta a strumento di comprensione,

terviste a Iosif Brodskij, tra i poeti

contemporanei che più ho amato,

ebreo anche lui, anche se non aveva

l’aria di tenerci molto a questa eti-

chetta, come alle altre. Un rimpian-

to, anche, per me, per un incontro

mancato, programmato, poco tempo

prima che morisse, con il suo amico

Michail Baryšnikov. Libro illuminante

e irritante, come tutte le interviste

di Brodskji. Vi ho trovato questa fra-

se: “D’altra parte, quanto maggiore

è la difficoltà, tanto maggiore è la

gloria in caso di successo. Spesso non

funziona, e l’afflizione è grande. Ma

il disagio fa parte dell’impresa, cui,

a dire il vero, non ci si accinge mai

per divertimento. Il divertimento

viene alla fine, quando riusciamo nel

compito”.

/ P28 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

Un reportage nel Ghetto ebraico di

Venezia per l’occasione dei cinque-

cento anni dalla sua istituzione. Trop-

po grande la suggestione, troppo pe-

ricolosa la tentazione. Ho persino

cercato alibi per accettare. A Venezia,

un posto piccolo, circoscritto: magari

le mie gambe ce la possono fare. La

verità è che era scattata la curiosità,

la passione che sempre mi hanno

spinto in questo mestiere. Non so

niente del mondo ebraico, dal quale

sempre sono stato attratto. Per i

molti amici, tutti affascinanti e com-

plicati. I grandi scrittori, i meravi-

gliosi musicisti, i tanti fantastici fo-

tografi. E poi, negli ultimi anni non

ho fotografato molto, ho soprattutto

scritto accanto alle mie fotografie.

Ne ho ricavato piacere e soddisfazio-

ni. Ma sono fotografo, so che il mio

piccolo sentiero per tentare di essere

felice passa soprattutto per quella

tensione del corpo, degli occhi, della

mente e del cuore che ha bisogno del

deambulare con una macchina foto-

grafica in mano, cercando, aspettan-

do gli istanti di senso e di forma che

qualche rarissima volta rivelano il

mondo e me stesso. Ma avevo appena

accettato e subito è scattata l’ango-

scia che dopo cinquant’anni di me-

stiere conosco così bene e non è mai

scomparsa. E se non ce la faccio? Quel

posto è un teatro nel quale da mezzo

millennio si sono svolte vicende stra-

ordinarie e terribili. So che i luoghi

non smettono mai di raccontare, an-

che a distanza di secoli. Ma se io non

riuscissi a sentire quelle voci, a ve-

dere nella casuale complessità e con-

traddittorietà dell’oggi le immagini

che contengono una qualche traccia

di quella storia così densa? Da un

pezzo ho però imparato che l’unica

risposta all’angoscia dell’inadegua-

tezza è l’umiltà del lavoro, la tenacia,

l’attenzione costante. Confonderti

col luogo, con le persone e continua-

re, ora dopo ora, giorno dopo giorno,

a raccogliere sassolini con cui co-

struire la tua casa. Invocando la for-

tuna. Mentre mi ponevo il problema

se scrivere o meno questa breve po-

stilla stavo leggendo un libro di in-

ú– IMMAGINE Continuano a Venezia gli appuntamenti dedicati al cinquecentenario dall’istituzione del ghetto, con l’apertura di due grandi mostre fotografi-che. La Fondazione di Venezia ha invitato Ferdinando Scianna a ritrarre oggi un luogo carico di storie e di Storia e nella sua sede dei Tre Ociespone il risultato di un lavoro nuovo, raccolto in volume da Marsilio. Di segno opposto la mostra di immagini di Graziano Arici, il fotografoveneziano che è la memoria storica della città. Le sue immagini, scattate nel corso di trent’anni, sono esposte al Museo Ebraico. a.t.

La mostra “Il Ghetto di Venezia: Passato Pros-

simo - Fotografie 1986-2016 di Graziano Arici”

allestita al Museo Ebraico di Venezia in occa-

sione del Cinquecentenario del Ghetto si apre

in occasione della Giornata Europea della Cul-

tura Ebraica, il 18 settembre, e fino all’8 gen-

naio 2017 presenta una selezione di immagini

realizzate dal fotografo che è la memoria sto-

rica della città. In oltre cinquanta straordina-

rie fotografie si snoda la memoria degli anni

più recenti della vita del Ghetto. La mostra

vuole anche rappresentare un pensiero affet-

tuoso a quanti rimangono nel ricordo: perché

sono le persone, più che i luoghi, le vere pro-

tagoniste della mostra. Il volume trilingue di

Campanotto Editore che porta lo stesso titolo

della mostra riporta brani da una conversa-

zione con il rabbino capo di Venezia, rav Scia-

lom Bahbout, che si focalizza sull’importanza

della presenza umana in una fotografia. Com-

menta infatti rav Bahbout: “La presenza di una

persona in una fotografia colloca lo spazio nel

tempo. (...) Guardare una foto è entrare in col-

legamento con il passato. Nel nostro caso, con

il passato prossimo degli scatti di Graziano

Arici. Ed è bello in queste foto ritrovare un

po’ della storia delle persone che sono vissute

qui non molto tempo fa. Alcune di loro sono

ancora con noi, altre rimangono grazie anche

a questi momenti trasformati in immagini. (...)

Le foto qui presentate sono già indubbiamente

anche storiche, mostrano alcuni dei cambia-

menti accaduti in questi ultimi anni. Ad esem-

pio, un tempo il Campo del Ghetto Novo era

molto frequentato

dai bambini per

giocare: ancora oggi

lo è, anche se in misura

minore. Nel corso degli an-

ni è diventato una delle

parti più frequentate dai

turisti, a maggior ragione

in occasione del Cinque-

centenario. E noi amiamo

quel turismo che desidera conoscere e comu-

nicare. La forza di una comunità sta nella sua

capacità di mettere insieme le persone per

condividere momenti significativi, ecco perché

le feste sono importanti. A Venezia arrivano

fiumi di persone ed è difficile accoglierle. Il

Ghetto – in totale contrasto con la segrega-

zione che gli ha dato origine - è aperto alle

culture”.

L’imponente archivio di immagini di Graziano

Arici, da cui questa selezione fotografica è

tratta, ha permesso di riaprire una finestra

18 settembre 20168 gennaio 2017 GRAZIANO ARICI, IL GHETTO DI VENEZIA1986-2016Venezia - Museo Ebraico

Trent’anni di immagini. Una storia

ll Ghetto vivo nello specchio del fotografo

fino all’8 gennaio 2017 FERDINANDO SCIANNA,IL GHETTO DI VENEZIA 500 ANNI DOPOVenezia - Tre Oci

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ú–– FredinandoSciannaFotografo

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anche se c’è sempre – qui nella formadella stele, della memoria di pietra emetallo, una simmetrica all’altra. Hapreferito guardare quello che accadesu quell’assito di pietra che sono icampielli e le case, le facciate degliedifici come quinte ad aprire e a chiu-dere, a punteggiare la scenografia,sempre per ricordare allo spettatoreche questo è lo spazio dove si è mos-so anche il fotografo, stando un passoindietro, per non interferire con lacommedia che vi si recita da tempoimmemorabile: gli attori cambiano,ma la rappresentazione è semprequella, allegra e tragica, grave e leg-gera, quotidiana ed eccezionale. Qui,ora, a Venezia si recita a soggetto, co-me là nella Sicilia delle ritualità reli-giose degli anni Cinquanta e Sessanta(la religione, anche la più spirituale,richiede sempre un elemento rituale,e l’ebraismo è scenografico ed alta-mente rituale in modo meraviglioso).Ci accompagna all’ingresso un uomodi schiena, il gran cappello nero, ilcorpo tagliato all’altezza delle spalleperché è lui che ci porta dentro, checi fa guardare, e noi lo possiamo solovedere così. E all’inizio è posta ancheZiva Kraus, sua accompagnatrice nel-la visita veneziana del fotografo. Chesia costruita come commedia questasequenza di scatti lo dice il modo concui Ferdinando Scianna fotografa. Co-glie al volo persone e luoghi, conquell’accidentalità e casualità checomporta il reportage, ma che nonimpedisce nella inquadratura, e poinella successione delle fotografie, checi sia una “costruzione”: una succes-

sione d’immagini ben pensate e po-sizionate. Non bisogna mai dimenticare cheScianna non è solo un fotografo, maanche uno che scrive, e soprattuttoche costruisce libri (ne ha fatti nelcorso della sua vita tantissimi). Si puòbenissimo immaginare che mentrescatta pensa già alla foto nel libro, do-ve porla, in che sequenza. I suoi sono

perciò sguardi tripli: guarda in mac-china e scatta, scrive e dispone. Quil’angoscia del confronto, come dicenel testo che accompagna le imma-gini, l’ha portato a pensare da subitola scena teatrale. Venezia è tutta unasequenza di palcoscenici, di fondali equinte; e il Ghetto è una scena nellascena, con la sua storia e tradizione,mai disgiunta da Venezia, come sot-

tolineano gli scatti finali, dove il teatrodel Ghetto è mostrato da fuori con isuoi muraglioni verticali un po’ incli-nati (forse per dire che qui niente èdavvero dritto). S’inizia dunque conil luogo dall’alto, come un regista cheguarda il palco prima di far entraregli attori, poi s’assegnano le parti. Co-sa altro sono se non donne di unacommedia che si sta recitando, le si-gnore vestite a festa per Shabbat? Simuovono in direzioni opposte, eppu-re sono ferme: hanno una parte. E icopricapi, oggetto scenico dominantedi questa recita religiosa, cos’altro so-no se non oggetti di scena apprestatida attori inconsapevoli piuttosto cheda abili trovarobe? Che tutto il repor-tage sia pensato come un teatro, luo-go per eccellenza del vedere e delguardare, lo confermano i tanti spec-chi che sono disseminati nelle foto-grafie. Quelli nelle botteghe degli ar-tigiani – Piasentini, il corniciaio, poiè visto dentro una cornice –, ma an-che la più bella foto del libro, quellache ritrae l’anziana donna, descrittacon affetto nella didascalia, sta nellospecchio rettangolare in alto, e sottoil tavolo in basso, suo simmetricoopaco. I tavoli sono un altro oggetto:storico, come quelli dei Banchi, oquelli della preghiera, o quelli dellecene rituali. Anche le persone ritrattesono in posa. Posa teatrale, anche làdove parla il linguaggio dei singolicorpi, che ci fa arrivare, attraverso loscatto, qualcosa del loro carattere (Zi-va Kraus, Aldo Izzo, Marcella Ansal-di). Scianna è sempre un fotografo dimaschere, dove la maschera, come

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P29

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

temporale che rispetto al lungo arco dei 500

anni possiamo sentire più vicina a noi, in molti

sensi, e nella quale possiamo riconoscere i se-

gni del cambiamenti avvenuti nel Ghetto, per

quanto più lentamente e in modo certamente

più rispettoso rispetto ad altri luoghi vene-

ziani. Alla vita culturale ed artistica della Se-

renissima, Arici, vera e propria istituzione nel-

la storia della fotografia veneziana da quasi

un quarantennio, ha dedicato numerosi repor-

tage e pubblicazioni, così come ha documen-

tato in un importante libro fotografico degli

anni Novanta la vita del Ghetto, dove ha abi-

tato per decenni prima di trasferirsi in Francia.

Il suo lavoro è raccolto in un incredibile ar-

chivio che comprende in più di 850 mila im-

magini la storia della città con i suoi abitanti,

gli scrittori, gli artisti e i tanti personaggi del-

lo spettacolo che l’hanno frequentata. Dell’ar-

chivio è parte importantissima, oltre alla se-

zione dedicata al Ghetto e alle sue sinagoghe,

il Teatro La Fenice di cui Arici è stato fotografo

ufficiale per oltre vent’anni. Non mancano ov-

viamente la Biennale e gli innumerevoli eventi

culturali ospitati in Laguna dagli anni Settanta

a oggi, ma nell’archivio di Arici sono contenute

anche tutte le immagini che ha acquistato ne-

gli anni. Dai ritratti d’artista, ne è il più grande

archivio privato d’Europa, alle immagini di Ve-

nezia scattate dal 1854 alla fine del secolo. E

la memoria, di cui è eccellente conservatore,

entra anche nelle tre sale del museo che cor-

rispondono ai tre temi in cui è suddivisa la

mostra. Grazie al lavoro della ThaumArt Gal-

lery e della curatrice Rosalba Giorcelli gli ul-

timi trenta anni del ghetto di Venezia raccon-

tano anche una città che non c’è più, in una

vera e propria storia degli ultimi trent’anni,

vista attraverso il ghetto, i suoi personaggi, i

riti, e il suo rapporto strettissimo con l’acqua.

ha scritto un filosofo, è sempre l’ele-mento che rivela e non quello chenasconde – maschera è anche il suoautoritratto finale, con la kippà di co-tone in capo e lo sguardo basso, quasischivo: maschera tra le maschere delsuo libro-commedia. Teatrali appaio-no le steli del cimitero del Lido, fo-tografate una ad una, come elementidi una presenza scenica post mortem.La Storia compare qui, ma in formaanonima. In modo simmetrico le “pie-tre d’inciampo” dichiarano invece no-mi e cognomi di una storia che sulpalcoscenico veneziano del Ghettosi mantiene quasi sempre anonima.Tra le foto di questa recitazione nespicca una per un dettaglio – Sciannaè fotografo di dettagli, sempre bennascosti dentro l’insieme dominantedella scena –, quella della visita deiragazzini al Museo Ebraico: stannotutti seduti per terra; l’insegnante stadicendo qualcosa a proposito del luo-go e degli oggetti esposti; al centro,una teca con un prezioso reperto delpassato. I ragazzini sono uno dei sog-getti preferiti di Scianna, in cui si spec-chia, in cui ritrova, evidentemente,qualcosa del ragazzino che è stato eche forse è ancora – o almeno cosìdesidera. Li fotografa con uno sguar-do che sembra congelato nel tempo:sembrano nelle immagini usciti da unfilm neorealista appena finito di girare,l’altro ieri; sono creature del passato,un eterno passato che non passa mai.Qui alcuni bambini tradiscono unmomento di noia, o di distrazione;uno si copre la faccia in un gesto bel-lissimo; un altro è invece attento. Sullato sinistro dell’immagine, c’è un ra-gazzino che sbircia. Guarda in mac-china, come si dice, rompendo perun attimo la scena, la sua costruzione.L’attore guarda il fotografo, e dunqueanche noi che guardiamo: due occhistupendamente interrogativi. Buca lospettacolo, lo azzera in una certa mi-sura, ma anche lo conferma. Uno de-gli attori ha smesso di recitare, ma glialtri lo fanno sempre. Come poteva intitolarsi questo libro?Forse: “Festa religiosa nel Ghetto diVenezia”. La festa è il culmine del granteatro del mondo, e la religione – qua-lunque essa sia – il modo con cui sirivela quell’insopprimibile vocazionealla rappresentazione che alligna inciascuno di noi. La fede ha bisognodi festa, di rito, di commemorazione,di preghiere e di cibo. Gli ebrei reli-giosi, che mangiano, parlano, discu-tono, negli ultimi scatti, ci mostranoquesta insopprimibile umanità, che èpoi quello che Ferdinando Sciannacerca di rappresentare ogni volta inquel piccolo teatro del mondo chesono i suoi bellissimi libri.

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I rapporti tra il cattolicesimo el’ebraismo, nelle loro diverse arti-colazioni, hanno subito una grandeevoluzione nel cinquantennio com-preso tra il 1965 e il 2015. La De-claratio Nostra Aetate, promulgataal termine del Concilio Vaticano Se-condo, poneva fine all’accusa di dei-cidio rivolta da secoli agli ebrei edeplorava l’antisemitismo. Dopoche difficolta e ostacoli rallentavanol’avvio del colloquio interreligioso,il cambiamento si accentuava daglianni Ottanta: la visita di GiovanniPaolo II alla sinagoga di Roma nel1986, le dichiarazioni pubbliche deipontefici sui rapporti con l’ebraismo,l’elaborazione di documenti storicie dottrinali e il riconoscimento delloStato d’Israele nel 1993, segnavanoun quadro nuovo di relazioni. Nelcorso dei pellegrinaggi papali in Ter-ra Santa, veniva prestata attenzioneanche ai luoghi simbolici della storiadell’ebraismo e di Israele, con la vi-sita al Muro occidentale del Tempiodi Gerusalemme e l’omaggio a YadVashem.Nonostante questo nuovo e positivoquadro di rapporti, le relazioni trai due mondi non sono prive di dif-ficolta e ostacoli, per il complicatointreccio di aspetti teologici e que-

stioni politiche che le governa e peril peso esercitato da una storia plu-risecolare sugli importanti cambia-menti degli ultimi decenni, resi piu clamorosi dalla spettacolarizzazionedata dai media alle novita piu vi-stose. Ripercorrere rapidamente letappe e i nodi di questo travagliatorapporto aiuta ad illuminare il si-gnificato delle relazioni politiche ereligiose delineatesi nei decenni suc-cessivi alla seconda guerra mondialee a dare un contesto agli studi, alleanalisi e alle cronache elaborate nelcorso degli anni da Sergio Minerbi,qui raccolte. La sua attenzione e rivolta a questioni e momenti chehanno caratterizzato gli ultimi cen-tocinquant’anni di storia, profon-damente influenzati dalle partico-lari vicende teologiche e politicheche hanno modellato i rapportidella Chiesa cattolica con l’ebrai-smo dall’antichita all’eta contempo-ranea. In questa sede appare necessario ri-cordare soprattutto che, a partiredalla rivoluzione francese, gli ste-reotipi dell’antigiudaismo religioso(il popolo deicida, la teologia dellasostituzione, il mito dell’ebreo er-rante, la condanna del Talmud, lafunzione testimoniale del popoloebraico, la rappresentazione mate-rialistica dell’ebraismo, etc.) si sono

intrecciati con i complessi processidi trasformazione attraversati dallesocieta europee nell’eta contempo-ranea e con il difficile processo diadattamento ad essi vissuto dallaChiesa cattolica: la secolarizzazione,l’affermazione dei valori liberali edel principio della liberta religiosa,l’emancipazione giuridica e civiledegli ebrei ad essi connessa, la mo-dernizzazione e la crisi dei sistemiprescrittivi, la diffusione della de-mocrazia laica, gli sviluppi dell’eco-nomia industriale e la nascita del

capitalismo finanziario, le af-fermazioni del so-

cialismo e l’avventodel bolscevismo “ateo e scristianiz-zatore”, l’esplosione del nazionali-smo e le sue degenerazioni totali-tarie, con l’avvento delle “religionipolitiche”, segnate dai culti idolatricidella razza e della nazione. Il pro-lungato rifiuto della modernita hacondotto la Chiesa per un lungo ar-co di tempo ad assumere una po-sizione difensiva e a coltivare il di-segno di una riconquista cristiana

della societa, individuando negliebrei i portatori di una modernitaostile e minacciosa per il ruolo e ivalori del cattolicesimo; l’avventodella politica di massa ha rinnovatole forme dell’antisemitismo e ha fa-vorito una laicizzazione degli ste-reotipi di matrice religiosa, senzache la Chiesa riuscisse ad arginareadeguatamente il peso e le conse-guenze del suo antico patrimonioantigiudaico nel nuovo antisemiti-smo politico, mentre la nascita delsionismo assumeva una valenza re-ligiosa e politica, che metteva in di-scussione la visione del popolo con-dannato ad errare e veniva consi-derata una minaccia per gli interessicattolici nei luoghi santi. Ancora agli inizi del Novecento, no-nostante l’esistenza di rapporti per-sonali di alcuni pontefici con espo-nenti dell’ebraismo e del rabbinatoitaliano, questa tradizione ostile per-maneva; al di la di alcune apertureoccasionali, la Chiesa cattolica giun-geva ai drammatici appuntamentidegli anni Trenta gravata da un far-dello di pregiudizi e di tradizioniostili che ne avrebbero ostacolatola capacita di analisi e di interventodi fronte alla diffusione delle poli-tiche antisemite nell’Europa deltempo. Nel corso dell’ultimo quin-dicennio il dibattito della piu seria

storiografia italiana e internazionalesugli atteggiamenti di Pio XI e PioXII di fronte al razzismo montante,alle legislazioni antisemite e, poi, al-lo scatenamento delle politiche disterminio e stato intenso e, sebbenela discussione sia ancor lungi dal-l’essere conclusa, sembra possibiletrarne alcune indicazioni importanti,ben distinte da quegli approcci urlatie unilaterali che proclamano pre-sunte verita assolute in contrastocon la complesso realta della storia. Gli studi dedicati a Pio XI hannomesso a fuoco l’evoluzione del suoatteggiamento nei confronti del fa-scismo, dalle suggestioni iniziali sullasua possibile funzione nella ricristia-nizzazione dell’Italia dopo la “pa-rentesi” liberale, ai travagli degli ul-timi anni della sua esistenza davantial nazionalismo esagerato del regi-me, alla sua statolatria, all’avvicina-mento al nazismo. La sua avversio-ne al razzismo, colto nella sua va-lenza neopagana e anticristiana, fuespressa nell’enciclica Mit brennen-der Sorge. Nei confronti della con-danna dell’antisemitismo fece alcunipassi innanzi, ordinando la prepa-razione di un’enciclica che non videmai la luce e pronunciando delledichiarazioni – in particolare il 6settembre 1938 – che ricordavanoil legame del cristianesimo con

/ P30 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

ú–– Dario Annunziata

Recentemente è apparso, sul

portale dell’ebraismo italiano,

un interessante articolo dedica-

to alla presentazione di due pic-

coli libretti (recentemente editi,

entrambi, per i tipi della Giappi-

chelli) di Francesco Lucrezi, pro-

fessore ordinario di Diritto ro-

mano, Diritti dell’Antico Oriente

mediterraneo e Storia del-

l’Oriente mediterraneo presso

l’Università degli studi di Saler-

no nonché da tempo assiduo col-

laboratore di Pagine Ebraiche.

Si tratta di due pubblicazioni ap-

parentemente dal sapore mera-

mente scientifico e quindi dedi-

cate ai soli addetti ai lavori, ma

che in realtà possono con-

siderarsi rivolte a un pub-

blico ben più ampio. Co-

me sottolineato su queste

stesse pagine, Francesco

Lucrezi riesce, infatti, ad

entusiasmare anche il let-

tore più disattento, coin-

volgendolo in un’analisi

profonda e radicata di un setto-

re affascinante dei diritti anti-

chi. Il primo volume di cui stia-

mo parlando porta un titolo

suggestivo: semplicemente: 613

(sottotitolo: Appunti di

diritto ebraico) con un ovvio ri-

mando alla numerazione delle

mitzvòt ebraiche fornita da Mai-

monide. La monografia offre un

interessante scorcio

delle princi-

pali questioni del diritto hala-

chico, con uno stile di scrittura

semplice, chiaro e appassionan-

te, mai superficiale nell’analisi

esegetica e allo stesso tempo ar-

guto e scorrevole. La lettura del-

le poche pagine di cui si

compone il libro suscita

nel lettore una fame di

sapere che lo spinge a

cercare il significato,

nemmeno tanto nasco-

sto, sotteso alle parole

Francesco LucreziIL FURTO DI TERRA E DI ANIMALI IN DIRITTO EBRAICO E ROMANO Giappichelli Editore

Francesco Lucrezi613. APPUNTI DI DIRITTOEBRAICOGiappichelli Editore

Alle radici del diritto, con un orizzonte ampio

ú– DIALOGO

Due apprezzate firme di Pagine Ebraiche e del portale dell’ebraismo italiano www.moked.it, Sergio Minerbi e Fran-cesco Lucrezi, danno appuntamento ai loro lettori anche in libreria. Da una parte con una densa e appassionata ana-lisi dei tortuosi rapporti tra ebraismo e i vertici della Chiesa raccontati da chi ha avuto modo di testimoniare inprima persona le molte complessità di questa relazione. Dall’altra con due qualificati studi sul tema del dirittoebraico, opera di chi queste tematiche le affronta ogni giorno anche nelle aule universitarie. Una linea rigorosa,quella di Minerbi, dietro cui emerge l’impegno “per una maggiore e costruttiva conoscenza reciproca”, come scrivenell’introduzione Mario Toscano. Merito di Lucrezi, osserva Dario Annunziata, è invece quello di avvicinare ampie efolte compagini di giovani studenti ad argomenti “che meriterebbero ben altra considerazione” nelle facoltà.

Noi e la Chiesa, una strada in salita

Sergio MinerbiUNA RELAZIONEDIFFICILE BonannoEditore

ú–– Mario ToscanoStorico

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l’ebraismo, ma la condanna dell’an-tisemitismo razziale non si allargoalla revisione critica di quel patri-monio di pregiudizi di matrice re-ligiosa che avevano alimentato persecoli l’avversione nei confronti de-gli ebrei. Dopo queste novita affio-ranti nell’ultimo scorcio del ponti-ficato di Pio XI, con il suo succes-sore si registro un cambiamento dimodi, di toni e di atteggiamento. Ipiu seri contributi della storiografiahanno rigettato le interpretazioniunilaterali, rifiutando l’agiografia ela denigrazione, mettendo piuttostoin evidenza le ragioni culturali e di-plomatiche della scelta di Pio XIIdi rimanere in silenzio di fronte allosterminio degli ebrei d’Europa. Non e questa introduzione la sedeidonea per ripercorrere nei dettaglile polemiche e i confronti sul tema,che vanno visti nella drammaticitadei tempi, nella complessita e va-rieta delle situazioni, nella consape-volezza di tutte le connessioni. Maun’accurata contestualizzazione, seaiuta a definire i caratteri complessidella vicenda, non cancella il signi-ficato storico e le implicazioni mo-rali della scelta del silenzio. In que-sto ambito, di particolare rilievo ap-pare la vicenda degli ebrei di Roma,ripercorsa da Minerbi in un saggioqui riproposto, e oggetto di altre ri-costruzioni anche recenti. D’altron-de la vicenda non si chiude con lafine del conflitto, ma si dilata e siarricchisce di spunti nel corso deglianni successivi. La Chiesa di PioXII rimase ferma sulle sue posizionianche dopo la guerra. Mentre i par-tecipanti alla conferenza di Seeli-sberg nel 1947 cominciavano a por-re il problema di un rinnovamentodell’atteggiamento cristiano nei con-fronti degli ebrei, la Chiesa di Romamanteneva il suo atteggiamento, ap-poggiandosi alla gratitudine mani-festata da alcuni di coloro che eranostati sottratti allo sterminio, e non

mancavano in ambito cattolico ri-serve e diffidenze nei confronti delprocesso che portava alla costitu-

zione dello Stato d’Israele.Il catto-licesimo italiano affrontava con gra-ve ritardo la questione dell’antise-

mitismo e dello sterminio avvenutonella seconda guerra mondiale. Sololentamente, l’azione di Jules Isaac

conseguiva i primi risultati, conl’abolizione della preghiera pro per-fidis Judaeis, decretata da GiovanniXXIII nel 1959, cui avrebbe fattoseguito il lento avvio di una nuovafase dopo la conclusione del Con-cilio Vaticano II.E in questo ambito di problemi edi riferimenti che vanno collocatigli scritti di Sergio I. Minerbi raccoltiin questo volume, scritti di diversotaglio e respiro, che spaziano da verie propri saggi storici ad interventidiretti e commenti sulle vicende dicronaca, concentrati su momenti eproblemi essenziali: i rapporti tra laChiesa e il sionismo nella prima fasedella sua esistenza, la questione diPio XII, le relazioni con il mondoebraico e lo Stato di Israele dalla fi-ne degli anni Settanta in avanti, af-frontati con un piglio deciso e conuna schiettezza che rischiano tal-volta di spiazzare il lettore. Ma eproprio in questo approccio che sipuo cogliere l’autenticita del perso-naggio Minerbi, come conferma labreve nota autobiografica posta allafine del volume, scabra ed essenzia-le, che sottrae spazio alla ricchezzae alla complessita del suo profilo,ma che ne restituisce il modo, de-ciso, semplice e diretto, come quan-do racconta di aver dato le dimis-sioni dal ministero degli Esteri «peruna differenza di opinioni» (p. 224).Analogamente, esplicita con fran-chezza il proprio punto di vista,«quello del Sionismo» (p. 15), checaratterizza tutto il volume e rac-conta senza ipocrisie le proprieesperienze personali. Dietro alla sua linea rigorosa e tra-sparente l’impegno per una mag-giore e costruttiva conoscenza re-ciproca, sul piano politico, culturalee religioso. Quella di Minerbi e unaposizione franca e senza infingimen-ti, tanto piu apprezzabile in quantosostenuta da un sincero desideriodi dialogo.

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P31

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

Gior

gio

Albe

rtini

scientemente scelte dall’autore,

oltre a solleticarne la coscienza

e la curiosità. Punto di partenza

di tale studio è la consapevolez-

za dell’utilità formativa di tutti

i diritti antichi, non solo il dirit-

to romano, soprattutto alla luce

delle recenti trasformazioni del-

lo scenario geopolitico ed eco-

nomico. Emblematiche, in que-

sto senso, le parole dello stesso

autore: “...l’esigenza di uno stu-

dio dei diritti antichi diversi da

quello romano e greco si presen-

ta, ai nostri giorni come inelu-

dibile, più di quanto non fosse

in passato, dal momento che di-

versi fattori mostrano ormai

l’inadeguatezza della scienza ro-

manistica a rispondere, da sola,

alla complessiva domanda di

formazione storico-giuridica” (p.

6).

La seconda monografia, invece,

intitolata Il furto di terra e di

animali in diritto ebraico e ro-

mano, rappresenta il settimo

volume che Lucrezi dedica alla

Collatio Legum Mosaicarum et

Romanarum, ossia una singolare

raccolta di testi, dall’imposta-

zione religiosa e giuridica, di

ignoto autore e di incerta data-

zione, che pare offrire, per mo-

tivi non chiari, una sorta di sin-

golare e approssimativa forma

di comparazione tra diritto

ebraico e diritto romano. Anche

questa pubblicazione, oltre a ge-

nerare un forte interesse tra gli

storici del diritto, presenta si-

gnificativi spunti di riflessione,

atti a scandagliare tematiche

spesso rimaste in ombra, oppure

non adeguatamente sviscerate,

e che accendono l’interesse e la

curiosità del lettore, studente,

studioso o semplice persona in-

teressata alla storia, la religione

e il diritto. Ancora una volta, il

leit motiv del lavoro sembra es-

sere la volontà di promuovere

una più ampia conoscenza dei

diritti antichi diversi da quello

romano, nella crescente consa-

pevolezza che solo un’attenta

analisi di quella che fu comples-

sivamente la cultura giuridica in

epoca antica potrà aiutare i mo-

derni a comprendere determi-

nate dinamiche. Merito dell’au-

tore, che dedica ampia parte

della sua vita professionale al-

l’insegnamento universitario, è

anche quello di avvicinare ampie

e folte compagini di giovani di-

scenti a tematiche di diritto

ebraico e di altri diritti antichi,

che meriterebbero ben altra

considerazione all’interno delle

facoltà di diritto. Insomma, en-

trambe le monografie, nate co-

me una sorta di “parto gemella-

re”, dovrebbero risiedere nelle

biblioteche non solo dei giuristi,

ma di tutti coloro che si interes-

sano, a diverso titolo e per qual-

siasi ragione, dei fondamenti

storici di un’attualità giuridica

in profonda crisi.

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ú–– Anna Linda Callow,Cosimo Nicolini Coen

Lo scorso Novembre il CentrePompidou le ha dedicato una re-trospettiva e Marc-Alain Ouaknin,già suo maestro di Talmud, nonesita a parlare del suo cinema co-me «midrachique». Nurith Aviv,come lei stessa dice, vive entre Pa-rigi e Tel Aviv ed è personaggionoto nella scena culturale franceseper aver portato lingua e temiebraici nel cinema d’oltralpe e aversviluppato una personale ricercasul tema dell’immagine nella cul-tura ebraica nonché, più in gene-rale, sul rapporto tra immagine eascolto, tra sensibilità estetica e ri-cerca intellettuale. La domandache attraversa tutta la sua produ-zione, così si esprime in un’inter-vista su France Culture la regista,è infatti «come filmare le parole».Il titolo della retrospettiva al Cen-tre Pompidou – Filiations, Lan-gues, Lieux – rimanda ad alcunidei temi portanti dell’opera diAviv: le dinamiche di trasmissionee perdita che la regista ha indagatoa partire da Milah – Circoncision(2000); il multilinguismo, cui hadedicato la trilogia D’une langueà l’autre – Misafah lesafah (2004),Langue sacrée, langue parlée – Le-shon kodesh, sfat hol (2008), Tra-duire – Safah ahat udvarim ahadim(2011) e che rimane centrale anchenell’ultimo Poétique du cerveau –Poetika shel hamoah (2015) e in-fine i luoghi, concreto terreno incui i temi di lingua e trasmissionesi declinano e di cui l’autrice sot-tolinea soprattutto la precarietà.Dal deserto protagonista di An-nonces – Besorot (2013) allo sce-nario urbano di Perte – Vatersland(2002), il contesto geografico espaziale nel quale siamo soliti in-corniciare una storia e una perso-na, si rivela fragile, aperto a un au-delà che Aviv rimette al centro del-l’obbiettivo: vuoi attraverso la ri-

correnza dell’immagine del treno,vuoi attraverso l’inserimento, co-stante e ricercato, nelle molte sce-ne di interni, di finestre che per-mettono, come si esprime Nurithsfruttando una omofonia tra la pa-rola fenêtre e “fait naître”, di darealla luce, cioè a dire, di evitare chelo studio ove ciascun protagonistaparla, si chiuda su di sé, impeden-do quello sviluppo del significatoche solo nel rimando tra una con-versazione e l’altra, tra una linguae l’altra, può costruirsi. Quelle diAviv, infatti, non sono interviste,ma testi frutto di un lavoro comu-ne tra la regista e il suo interlocu-tore, che vengono poi interpretatisecondo tempi e ritmi precisi (co-me può testimoniare per esperien-za personale la coautrice di questoarticolo). Ma il rimando, l’apertura,è anche, e primariamente, aperturaall’interno di ciascuno. Così la fi-nestra dell’appartamento di TelAviv in cui la regista è cresciuta siapre sulla Germania da cui prove-niva il padre. Il luogo dell’infanziae dell’Io, in cui spesso vorremo rin-

tracciare un’identità certa e com-pleta, diviene per Nurith territorioaperto. Aperto alle ferite del pas-sato (la Germania è inevitabile ri-chiamo alla Shoah cui la nonnamaterna non sopravvisse) e apertoalle possibilità di un futuro da nonattendere: la finestra rimanda a unbilinguismo, quello di Nurith bam-bina, che può essere condizione aun plurilinguismo inteso dalla re-gista come necessario per non la-sciarsi inaridire da tentazioni scio-viniste, permettendo così al ‘signi-ficantè, in questo caso i singoli fo-togrammi, di non esaurire il ‘signi-ficatò di cui il cinema di Aviv sivuole, strumento, e non fine. Sipuò così cogliere cosa Ouaknin in-tenda parlando di cinema «midra-chique». Ma più delle parole valequi la visione, basta aprire il sitonurithaviv.free.fr per rendersi contodella sua impresa: restituire il for-mato grafico della pagina talmu-dica, e la forma mentis potenzial-mente sottesa ad essa, nella dimen-sione cinematografica. Ogni sin-golo film costituirebbe una mi-

shnah cir-condata daun’ampia va-rietà di linkalle diverseconferenzetenutesi con-testualmentealle proiezio-ni delle ope-re, a formareuna sorta digemara. Sepuò parereun accosta-mento audace è peròcerto che l’opera di Aviv permettea ciascuno di restituire nuovo si-gnificato al proprio rapporto allefonti rendendo così il proprioebraismo, come ama dire Ouaknin,occasione di hidush.

Nel tuo film Milah – Circoncision è

centrale il tema della trasmissione.

Per me la circoncisione è come laparola – milah come millah – ov-vero rappresenta ciò che si tra-smette oppure no da una genera-

zione all’altra, in modo particolarenelle coppie miste, ed è un temache ritorna anche nel mio film suc-cessivo, dedicato non a caso allalingua. Il problema della trasmis-sione è centrale per l’ebraismo lai-co nella Diaspora. In Germania gliebrei erano i più ebrei del mondoanche senza religione, ma non èdurato a lungo. Per una breve ge-nerazione la cultura laica ha creatoalcuni dei momenti più stupefa-centi del XX secolo. Una genera-zione i cui nonni conoscevanol’ebraismo religioso, i genitori in-vece si erano già laicizzati e nonl’hanno trasmesso ai figli, non han-no trasmesso loro il significato, ilcontenuto, ma hanno trasmesso ilsignificante, anche se non in modo

conscio. Il signi-ficante sono igiochi di parole,per esempio.Freud parla delWitz, e i giochidi parole sonosempre presentinella Bibbia.Freud e Kafka sisono serviti dielementi chep r o v e n i v a n odall’ebraismo apartire dal signi-ficante, non dalsignificato, dalcontenuto, dal

quale ormai erano lonta-ni. Tuttavia non si può non pren-dere atto che la laicità non ha nullada trasmettere. Ai miei amici dico:i vostri nipoti non saranno ebrei,che cosa gli avete tramandatodell’ebraismo, che cosa gli avetedetto? Loro protestano, mi rispon-dono che hanno «un modo diver-so di essere ebrei». Così diversoche i loro nipoti non lo sarannopiù. Come del resto è accaduto inGermania. Questo è l’ebraismo lai-co, per definizione. Ha cose splen-dide, in cui mi riconosco profon-

ú– LINGUAGGIRegista e prima donna direttrice della foto-grafia al Centro nazionale della cinematogra-fia di Francia, Nurith Aviv nasce nel 1945 a TelAviv e, tra la Città bianca e Parigi, continua afar parlare di sé per il singolare e trasversaleapproccio al mondo dell'arte, dell'immagine edel linguaggio che caratterizza i suoi lavori.Un approccio, fortemente intrecciato ai temiebraici, che l'ha portata a collaborare con re-gisti del calibro di Agnès Varda, Amos Gitai,

René Allio e Jacques Doillon. Un centinaio idocumentari all'attivo, dodici i film direttinel corso di una carriera segnata da vari rico-noscimenti. Ultimo dei quali, lo scorso au-tunno, una retrospettiva allestita presso ilprestigioso Centre Pompidou. Racconta Avivin questa intervista con il giornale dell'ebrai-smo italiano Pagine Ebraiche: "Le idee ven-gono. Oppure non vengono. Finora l’idea peril film successivo mi è venuta da quello che lo

precedeva. Ogni film milascia qualcosa su cui co-struisco quello dopo. Perognuno raccolgo moltissimomateriale, leggo un’infinità di libri, e poi mirendo conto che non ci sta in un film solo, equesto porta a girarne uno nuovo". Lettere,immagini, memoria. Questo, dice Aviv, “è ciòche mi interessa del cervello, ed è il mate-riale con cui si costruiscono le poesie”.

Nurith Aviv: “Le parole? Le metto in scena”

/ P32 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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n. 9 | settembre 2016 pagine ebraiche

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damente, ma penso che nel girodi tre o quattro generazioni, nonso dire, per essere ebreo o uno saràisraeliano o sarà religioso.

Si può dire quindi che i tuoi film sono

incentrati sull’identità?

Vi confesserò una cosa: non so checosa sia «identità», seriamente. èuna parola che non mi dice nulla,che non uso mai, e sono stata mol-to contenta di sentire una voltaCarlo Ginzburg dire lo stesso. Neimiei film parlo di lingua, è questal’identità? Identità è una parola chenon solo non uso, ma che non sonemmeno definire, è una parolache non mi aiuta a pensare. Nonesiste un’identità uniforme, e infattimi occupo di bilinguismo, trilin-guismo. Due lingue, due naziona-lità, non bastano. Per me è impor-tante che ci sia sempre l’opportu-nità di un terzo momento, che per-mette l’infinito. Questo è ciò checerco.

E allora come ti senti quando sei in

Israele? Infatti vivi anche in Israele,

o no?

Vivo anche in Israele, e quandosono là mi sento benissimo, pensoche non ci sia un luogo che io amidi più dal punto di vista sensuale,è il luogo che mi ha costruita e acui appartengono tutti i miei ri-cordi. Quando cammino per lestrade ci sono cose che non trovoda nessun’altra parte. Amo anchela bruttezza di Israele, le case po-polari, amo sia Tel Aviv, sia Geru-salemme sia il Negev, fisicamente.Tuttavia il pensiero di quello cheavviene a pochi chilometri da lì èper me un problema difficile da af-frontare. Ovviamente ci sono coseche la Francia non mi potrà daremai, perché in Francia è come semi mancasse la base, non ho unpassato, né una lingua, ho iniziatoa parlare il francese a vent’anni.Ma al tempo stesso in tutto ciò c’èanche qualcosa di liberatorio.

Che cosa ti dà la Francia?

È il minore dei mali in questo mo-mento. Mi offre la possibilità dipensare alle cose da una certa di-stanza. Non avrei potuto girarequei film sull’ebraico se vivessi inIsraele. Là la questione della linguaè così ovvia, uno non passa la gior-nata a pensare «sto parlando». Soloda qui ho potuto riflettere su questitemi. E la Francia mi ha anche da-to la possibilità di seguire un ritmopiù lento. In Israele senti semprecome una voce da dietro le spalleche ti spinge a fare, fare a un ritmo

così frenetico che non permette iltipo di lavoro che ho realizzatonei miei film. Anche se parlano delmio amore per i luoghi, la lingua,le lettere dell’alfabeto. Il mio lega-me con Israele, con ciò che vi ac-cade è profondo, pur essendo statauna bambina che a casa parlavatedesco, non ebraico. Si può direche quando uno parla ebraico par-la «sionista», e io sono critica neiconfronti del sionismo, ma allostesso tempo è per me una linguameravigliosa in cui si possono farecose impossibili in ogni altra lin-gua. Basta la vista delle lettere, laloro forma, a emozionarmi. Comedico nel mio ultimo film, le letterequadrate sono «piccole finestreaperte su tempi lontani».

Questo è dovuto anche agli studi

fatti con Ouaknin? Perché non sei

nata in una famiglia religiosa.

Mio padre non sapeva né parlarené leggere l’ebraico, non sapevafare Pesach né Kippur. Penso peròche qualcosa di tutto ciò fosse giàin me e che lo studio con Ouakninl’abbia potenziato, approfondito. Igiochi di parole, per esempio, neimiei sogni erano presenti fin daprima. La fine del mio ultimo film,Poétique du cerveau, è costruitasul sogno e sui giochi di parole ela lingua ebraica ritorna in tutta lamia opera. Studiare con Ouakninmi ha aiutata a recuperare un rap-

porto con l’ebraico che in Israeleè quasi andato perduto, quello ti-pico del midrash. Gli israelianipensano alla grammatica, la cono-scono a meraviglia, ma hanno di-menticato che per generazioni gliebrei sono stati capaci di giocarecon parole e radici senza curarseneaffatto. Per esempio mi piace poterstabilire un nesso tra millah e mi-lah, parola e circoncisione o traPesach e pe sach, «una bocca cheparla». Non è la stessa radice, be-nissimo, ma non esiste unicamenteil punto di vista filologico.

Prima di essere regista sei stata di-

rettrice della fotografia, la prima

donna in Francia presso il Centre Na-

tional de la Cinématographie. Le im-

magini sono state sempre il tuo

campo. Allo stesso tempo anche i ri-

ferimenti ad alcuni aspetti della tra-

dizione ebraica costituiscono parte

integrante della tua produzione ci-

nematografica. Come concili questa

centralità dell’immagine con le riser-

ve che la tradizione ebraica ha a

questo riguardo?

La risposta è il mio film Annonces– Besorot, che di fatto è un filmsul cinema, è una sorta di metaci-nema perché mette a tema voce,immagine e poetica attraverso treprotagoniste, Sara, Hagar e Maria,e un luogo, il deserto. Al centrodel film c’è l’immagine nel mondocristiano. Ho fatto questo film co-

me gesto per riconoscere il miodebito con quel mondo. Il permes-so di rappresentare la divinità de-riva da una interpretazione cristia-na dell’annunciazione, è l’annun-ciazione a Maria che rende possi-bile l’immagine; per i suoi soste-nitori rappresentare Gesù equiva-leva a proclamare il dogma del-l’incarnazione, prima c’erano statele dispute tra iconofili e iconoclasti,ma alla fine l’immagine ha vinto.La divinità cristiana ha deciso ungiorno di rendersi visibile e perciòha permesso la raffigurazione. El’annunciazione a Maria dipendeda quella a Sara e Hagar, c’è un’in-tertestualità. Sono dunque grata aquesta interpretazione, che ha datoil diritto di rappresentare la divinitàsotto la forma del figlio, senza diessa nel mondo monoteista occi-dentale non ci sarebbero state im-magini.

In Annonces – Besorot Barbara Cas-

sin contrappone quello che reputa

il pluralismo e la libertà dei pagani,

da una parte, e il monoteismo, che

descrive come portatore di violenza,

dall’altra. La tua risposta all’interno

del film è l’interpretazione infinita

dei testi della tradizione ebraica. Il

midrash come metodo di intelligen-

za critica e di libertà può essere dun-

que una risposta alle critiche che

vengono mosse sempre più spesso

al monoteismo?

Cassin dice che nel mondo poli-teista, siccome non c’è un unicadivinità non c’è un’unica verità,quindi c’è pluralismo. Ma di fattoogni filosofo greco afferma e vuoleimporre una sua versione della ve-rità, mentre se si guarda al Talmudo al midrash, è vero che c’è un so-lo Dio, tuttavia i maestri non si oc-cupano solo di quello, si occupanodel testo e il testo rimane aperto.Un maestro dice una cosa e un al-tro ne dice un’altra, non è propostauna sintesi finale. C’è un solo Dioma ci sono molti testi a cui si pos-sono dare interpretazioni diverse,e non sono sicura che la filosofiagreca sia ugualmente aperta, ven-gono proposte tesi definitive, cosache nell’ebraismo non avviene. Laverità è nel Dio o nel testo? L’in-terpretazione consente di produrretesti nuovi e immagini nuove.

Nel tuo ultimo film, Poétique du cer-

veau, i protagonisti sono perlopiù ri-

cercatori nel campo delle neuro-

scienze, ma nel titolo troviamo la

parola «poetica», che ci riporta alle

tue opere precedenti, al tema del

linguaggio e ai numerosi poeti che

vi compaiono. Qual è il legame tra

neuroscienze e poesia?

Il film si apre con la citazione diuna poesia di Dan Pagis, perchéciò che mi interessa è il lato poe-tico del cervello. Non parlo di me-dicina, di patologie, ma della di-mensione poetica di questo orga-no: la memoria come processo di-namico e creativo, la lettura, il bi-linguismo, la connessione tra la di-mensione fisica e quella dello spi-rito che emerge dagli studi sui neu-roni specchio. O il fatto che me-moria e immaginazione attivinogli stessi circuiti cerebrali, o chenel cervello di ognuno di noi,quando impariamo a leggere, sicrei un’area specifica che percepi-sce le lettere dell’alfabeto, accantoa quella deputata a percepire leimmagini. Lettere, immagini, me-moria, questo è ciò che mi inte-ressa del cervello, ed è il materialecon cui si costruiscono le poesie.

Come cerchi le idee per nuovi pro-

getti?

Le idee vengono. Oppure nonvengono. Finora l’idea per il filmsuccessivo mi è venuta da quelloche lo precedeva. Ogni film mi la-scia qualcosa su cui costruiscoquello dopo. Per ognuno raccolgomoltissimo materiale, leggo un’in-finità di libri, e poi mi rendo contoche non ci sta in un film solo, equesto porta a girarne uno nuovo.

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016

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pagine ebraiche n. 9 | settembre 2016 SPORT

ú–– Adam Smulevich

Insegna l’adagio (e lo ricorda unacelebre canzone dei Morcheeba)che Roma non è stata costruita inun solo giorno. E quindi che se sipunta in alto servono pazienza, ab-negazione e lavoro duro. “Don’tyou know that Rome wasn’t builtin a day” dice Skye Edwards neltormentone musicale che ha se-gnato i primi Anni Duemila. Lastessa domanda che Simone Pia-nigiani, uno dei più grandi allena-tori di basket d’Europa, ha postoalla stampa israeliana nelle scorsesettimane. Il 47enne coach senese,alla guida per un lungo corso dellanazionale azzurra, oltre che dellagloria locale Mens Sana, con luidominatrice assoluta, torna a met-tersi in gioco su una panchina diclub a tre anni dall’ultima volta(con in turchi del Fenerbahce). Lasfida è bella e ambiziosa, ancheperché tutto attorno l’entusiasmosi fa sempre più travolgente, ri-schiando di sfumare ostacoli cheproprio irrilevanti non sono. L’obiettivo è quello di portare l’-Hapoel Gerusalemme, realtà dapoco ai vertici del basket israeliano,in vetta. Regalare quindi un secon-do trofeo nazionale dopo quelloconquistato nel 2015, che avevatolto lo scettro alla leggenda Mac-cabi Tel Aviv (51 trofei in bachecasu un totale di 62 stagioni di LigatHa’Al, la prima serie professioni-stica). E col tempo allargare sem-pre di più lo sguardo e rafforzareuna dimensione continentale diprestigio per quello che è non soloun consorzio sportivo di tutto ri-spetto, ma anche un “brand” (ter-

mine usato dallo stesso Pianigianiin conferenza stampa) i cui destinisono strettamente intrecciati conquelli della città, Gerusalemme, dacui (prima o poi, perché per il mo-mento l’Eurolega è una utopia)partirà la rincorsa. A catalizzaregli entusiasmi l’attrazione numerouno di questa Ligat Ha’Al, il 34en-ne Amar’e Stoudemire. Quindici

anni da fenomeno nella Nba; 846partite (18.9 punti e 7.8 rimbalzi dimedia) con Phoenix, New York,Dallas e Miami; una folgorazioneper l’ebraismo che qualche annofa l’ha portato ad avvicinarsi in mo-do significativo alle sinagoghe e aIsraele. Era da tempo che si parlavadi un suo possibile (e comunqueclamoroso) trasferimento in Ligat

Ha’Al. Nel 2011 era sfumato di unsoffio il passaggio al Maccabi, du-rante il lockout della Nba. Non sene era fatto più niente, ma la vogliadi riprovarci – come si vede – nongli è passata. Dell’Hapoel d’altron-de è già azionista di riferimentodopo il suo ingresso in società co-me co-proprietario attraverso lacordata che ha rilevato il team nel

2013. Il contratto, in pratica se l’èscritto e firmato da solo. “Vincere è l’obiettivo di qualsiasiallenatore e qualsiasi club, ma èancora più importante sentire iproprietari che parlano di qualitàdel lavoro e di visione del futuro”dice Pianigiani. E c’è molto di ‘ita-liano’ in questo sodalizio. Hannofrequentato parquet nostrani, in-fatti, i cestisti Curtis Jerrels, JeromeDyson e Tarence Kinsey. Dyson èstato campione d’Italia con la Di-namo Sassari nel 2015, Jerrels conl’Olimpia Milano l’anno preceden-te. Tutti e tre sicuri protagonistiinsieme ad alcuni israeliani nientemale come Yotam Halperin e LiorEliyahu. Pur predicando calma,Pianigiani ha comunque in menteil top. “Tutti in Europa – dice –sanno che la squadra di Gerusa-lemme crescerà. Vogliamo farci ri-spettare”. Certamente le doti dimotivatore non gli mancano e so-no ancora oggetto di venerazionetra gli appassionati. Pochi infattihanno dimenticato il vibrante sfo-go durante un incontro che – iro-nia della sorte – nel 2011 vedevaopposta la nazionale italiana aquella israeliana, ultimo match delgirone eliminatorio degli Europeidi Lituania. Gli azzurri, già elimi-nati (come i loro rivali), in totalebalia dell’avversario. Ma ad arren-dersi Pianigiani non pensa proprio.E durante il time out tira fuori ilmeglio di sé. “Occorre un po’ didignità, nessuno fa un salto” urlaindemoniato ai suoi uomini. Da -21, in pochi minuti, gli azzurri ri-prendono in mano l’incontro. Al-l’overtime sarà sconfitta, ma alme-no con dignità.

Hapoel, la grande sfida parla italiano

Non proprio la classica dichiarazione che ti aspetteresti

da uno sportivo di successo, che annuncia la prossima de-

stinazione della sua carriere. “Le Scritture parlano di Ge-

rusalemme come di un luogo santo, e io questa santità

riesco a percepirla ovunque nella città. Nella mia vita c’è

adesso la possibilità di essere un migliore marito e un mi-

glior padre e di guidare la mia famiglia verso un cammino

di giustizia. Giocare qua, e crescere allo stesso tempo sia

come atleta che come persona, è una autentica benedi-

zione”. Si è presentato così ai suoi nuovi tifosi Amar’e

Stoudemire, l’ex campione della Nba che ha scelto di la-

sciare la più importante lega professionistica al mondo

per tentare una nuova incredibile sfida con l’Hapoel Ge-

rusalemme (club di cui, dal 2013, è co-proprietario).

Quattordici stagioni nella Nba, 846 partite con una media

di 18.9 e 7.8 rimbalzi a incontro con le maglie di Phoenix,

New York, Dallas e Miami. Per i tifosi americani Stoude-

mire è Stat, acronimo che sta per “Standing Tall And Ta-

lented”.

È il 2010 quando Amar’e entra in una nuova fase spirituale,

avvicinandosi all’ebraismo. Il colpo di fulmine con Israele,

che visita in estate, è travolgente. Gerusalemme, Tel Aviv,

Masada: in ogni visita, una folla di curiosi che lo circonda.

E lui che, emozionato, promette: “Un giorno tornerò qua

da atleta”. Lo dice anche a Shimon Peres, l’ex presidente

israeliano che si fa ritratte in una simpatica foto con Ama-

r’e che fa il giro della rete. Sembra una delle tante pro-

messe che si fanno in queste circostanze, quando l’entu-

siasmo ti porta a spingerti un po’ più in là del dovuto. E

invece Stoudemire è stato di parola. Per la gioia dei tifosi

dell’Hapoel, che non stanno più nella pelle aspettando il

suo esordio agli ordini di Pianigiani.

Amar’e Stoudemire: “Qua per amore di Israele”LA LEGGENDA DELLA NBA SBARCA A GERUSALEMME PER AIUTARE PIANIGIANI A VINCERE

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