Pass Ni uovi - Santissimatrinita · 2021. 4. 3. · Santissima Trinità - Santa Croce - Piane...

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Santissima Trinità - Santa Croce - Piane Periodico dell’Unità Pastorale Schio Est Marzo 2021, numero 13 Passi Nuovi “Il Risorto è il Crocifisso, non un altro. Nel suo corpo glorioso porta indelebili le piaghe: ferite diventate feritoie di speranza. A Lui volgiamo il nostro sguardo perché sani le ferite dell’umanità afflitta”. (Papa Francesco) Buona Pasqua

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Santissima Trinità - Santa Croce - Piane

Periodico dell’Unità Pastorale Schio Est Marzo 2021, numero 13

Passi Nuovi“Il Risorto è il Crocifisso, non un altro.

Nel suo corpo glorioso porta indelebili le piaghe:

ferite diventate feritoie di speranza. A Lui volgiamo il nostro sguardo

perché sani le ferite dell’umanità afflitta”.

(Papa Francesco)

Buona Pasqua

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1Editoriale

{ Stefano Tomasoni }

Mi ricordo

Ricordo il centro di Schio durante le ultime edizio-ni del “British Day” o della “Montagna in città” o di “Tante piazze per giocare”. Migliaia di persone

che riempivano le vie tra bande di cornamuse, concertini e chioschi di birra. Oppure banchetti di specialità regio-nali di tutti i tipi, formaggi-salami-miele-eviadicendo. O ancora frotte di bambini indaffarati a correre e a divertir-si. Scene da mettere nella “solàsa” della memoria per ti-rarle fuori un po’ alla volta nei tempi di magra autunnali e grigi, quando il centro città appare più vuoto della testa di un negazionista.

Ricordo centinaia di biciclette in fila sui sentieri di “Sco-priamo l’autunno nei campi”: giovani famiglie con i pargo-li impegnati a darci dentro sui pedali delle loro bicicletti-ne; coppie affiancate intente a godersi il paesaggio a velo-cità di crociera; gruppetti di amici su tecnologiche moun-tain bike. E soprattutto gli assembramenti festosi ai punti di ristoro per lo spuntino di turno: la polenta con la fettina di sopressa e un “rosso”, lo yogurt, la mela, il miele. Felicità è un bicchiere di vino con un crostino. È tenersi per mano e andare lontano. In bicicletta, of course.

Ricordo il trenino Schio-Vicenza in partenza la mattina da Schio e ancora di più quello del ritorno alla stazione di Vicenza, con la carica dei pendolari trafelati pronti a cata-pultarsi dentro appena le porte del Minuetto si aprivano, per arrivare prima del Resto del Mondo, così che quando il siluretto bianco si smuoveva dal binario il viaggio po-

tesse essere sopportato da seduto e non in piedi accalcati nei corridoi, tenendosi in equilibrio grazie alle spinte re-ciproche degli altri sfortunati viaggiatori in modalità sar-dine in scatola.

Ricordo le messe della Domenica delle Palme, di Pasqua e di Natale, sempre le più affollate dell’anno. La gente in piedi perfino in Duomo, la difficoltà ad aprire le porte in chiesa a SS. Trinità se arrivavi a funzione iniziata perché le ante sbattevano sulle schiene delle persone all’interno e non si aprivano. Il segno della pace che durava un minuto e mezzo perché non si finiva di dare la mano ai vicini di ban-co, davanti, dietro, a lato. E lo sciamare lento a fine mes-sa, con le chiacchiere all’esterno tra conoscenti e amici.

Ricordo i tempi in cui ci si incontrava e si parlava e si pren-deva un cappuccino insieme e si entrava in un bar o in un negozio senza fare la coda fuori come a Mosca ai tempi dell’Unione Sovietica. E mi ricorderò di ricordare questo tempo diverso e straniero, dove anche la persona che ar-riva in senso inverso sul marciapiede va guardata e tenuta distante, che non si sa mai.

Ricordo Marcello Mastroianni, che nell’ultimo film inter-pretato – “Mi ricordo, sì, io mi ricordo” - cita la frase di un canto navajo: “Tutto quello che hai visto ricordalo, per-ché tutto quello che dimentichi ritorna a volare nel vento”.Sarà utile ricordare tutto, di prima e di adesso, quando torneranno i prati.

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2La parola dei don

{ don Domenico }

In cammino, insieme

La persona che ha rivolto questa lettera a don Guido, a don Loris e a me, esprime la bontà e la vicinanza personale e della comunità, manifestate concreta-

mente in più occasioni e specialmente durante la nostra assenza. A me ha dato tanta gioia e riconoscenza. Il Signo-re continua a stupirci e ci invita ad alimentare la fiducia che ogni ostacolo è dato per trasformarlo in opportunità di crescita. Esiste un potenziale di bene nel popolo fedele di Dio che avanza tra la fatica imposta dalle circostanze e la fiducia nel Signore che condivide il cammino. È un in-vito a non cedere alle preoccupazioni come se dipendesse solo da noi superarle, dimenticando che Lui tutto può e ci dice: “non temete, sono io”.

Desidero riprendere qualche bella espressione della lettera per cercare di esplorare la ricchezza che contiene:“tutti ci siamo resi consapevoli di una responsabilità che era soprattutto nostra”.È la frase che rivela il passaggio di un’epoca nella Chiesa. Fino ad un tempo non lontano, l’unico referente e respon-sabile in tutto nella comunità cristiana era il parroco. Lui aveva una visione su tutti gli ambiti e sulle scelte da fare e affidava ad alcuni esecutori le attività da svolgere. Con il “soffio” di novità immesso dallo Spirito Santo nei pa-dri conciliari riuniti in concilio nella basilica di san Pietro in Vaticano attorno al successore di Pietro, dall’11 ottobre 1962 all’8 dicembre 1965, la Chiesa si è riscoperta “popolo

Ci siete mancati. Eccome!Pensavamo che, per chissà quale privilegio, foste immuni. E, invece, ecco che proprio in prossimità del Natale ci è giunta la notizia: tutti e tre positivi al Covid 19! E, qualche giorno dopo, don Guido all’ospedale…Ci siamo sentiti come orfani. È vero che l’amore del Padre non ci abbandona mai, ma è anche vero che di quell’amore gli annunciatori e i testimoni, per noi, siete voi. Voi ci conoscete, voi ci volete bene, voi ci aiutate a diventare come vorrem-mo essere.Abbiamo pregato, ci siamo tenuti costantemente informati, alcuni di noi si sono prodigati in presenze e aiuti concreti: tutti ci siamo resi consapevoli di una responsabilità che era soprattutto nostra. L’apertura delle chiese, la preparazio-ne delle liturgie con sacerdoti sconosciuti, la pubblicazione regolare del foglietto settimanale, i turni di presenza per la sicurezza sanitaria delle celebrazioni, l’accompagnamento corale delle cerimonie funebri, la catechesi a distanza… in-somma, tutta la normale vita delle parrocchie è diventata la nostra vita. Sempre con il pensiero alla vostra situazione di infermità e alla sua evoluzione, per la quale trepidavamo.Mai ci siamo così presi cura delle parrocchie come di una cosa nostra, cercando di comportarci nel modo in cui voi ci ave-te insegnato e avreste desiderato.Mai applauso è stato più spontaneo e fragoroso di quello con il quale vi abbiamo accolto quando siete tornati a celebrare l’Eucarestia (vero, don Loris: ti sei perfino commosso!).La famiglia si è ricomposta. Sia lode a Dio! E, ora, in cammino, insieme, per lenire le pene di tanti che ancora soffrono.

UN PARROCCHIANO

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di Dio” generato e consacrato dal battesimo che conferi-sce a tutti la stessa dignità sacerdotale, regale e profetica. Nella Chiesa siamo tutti sacerdoti perché eleviamo a Dio, giorno dopo giorno, un’esistenza che sorprende per la bel-lezza attinta dal Vangelo vissuto e culminante nella cele-brazione liturgica dove come comunità riunita nel nome della Santissima Trinità ci affidiamo con Gesù al Padre. Siamo tutti insigniti della dignità regale perché facciamo di ogni azione un’occasione di servizio ai fratelli e sorel-le a imitazione di Gesù che “non è venuto per essere servito ma per servire e dare la vita”. Siamo popolo profetico che anticipa e indica la direzione verso la quale l’umanità è in marcia. Per un dono ricevuto viviamo “già” un anticipo del compimento del disegno di Dio.L’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” manifesta l’ammirabile disegno di Dio che conduce la storia. Siamo il popolo che indica la mèta e già esulta per la gioia che sarà in pienezza quando “Gesù Cristo sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,20)Dalla riscoperta della dignità del popolo di Dio consegue il passaggio dall’esercizio del ministero ordinato (diaconi presbiteri e vescovi) come sintesi dei ministeri che accen-tra tutto in sé, alla ministerialità estesa a tutti i battezza-ti (la parola ministero deriva da minor che vuol dire mino-re oppure più piccolo). Ne scorgiamo i frutti dalla nascita degli organismi di partecipazione ecclesiale (consigli pa-storali e amministrativi), dalla istituzione del ministero straordinario della Comunione e della Consolazione, dei gruppi caritas, missionari, catechisti e altri ancora come quelli degli sposi, dei papà e delle mamme. Al di là di que-ste forme di corresponsabilità, tutti siamo Chiesa, quindi chiamati a dare l’apporto alla sua crescita, consapevoli che prima del fare c’è l’essere testimoni dell’incontro con il Si-gnore che ha trasformato ed elevato il modo di vivere dan-dogli un nuovo orientamento. La Chiesa vive e opera per trasformare il mondo orientando al compimento secondo il disegno di Dio. Il servizio affidato dal vescovo al parroco consiste nel far convergere verso l’unità i ministeri della comunità cristiana che vive in ascolto della parola di Dio, la traduce in amore al prossimo e la celebra nella liturgia. Come nel corpo è il sangue a vivificarlo, così nella comuni-tà cristiana è l’amore che le dona il volto luminoso di Cri-sto. È l’unità tra tutti che dà più valore al servizio svolto da ciascuno e particolarmente a quello di guida del parroco.Nel corso degli anni ho visto il passaggio dei cristiani laici dal ruolo passivo di esecutori a quello attivo di correspon-sabili. Quello che antecedentemente era riservato esclu-sivamente al parroco è stato riconsegnato alla comunità guidata dal pastore che garantisce l’unità dei suoi membri tra loro e con il vescovo.

A proposito di corresponsabilità, è preferita questa paro-la a quella di collaborazione perché essere corresponsabili esprime meglio l’identità di parrocchia in cui tutti rispon-dono alla vocazione battesimale per essere soggetti attivi e testimoni con la guida pastorale del presbitero.Qualcuno attribuisce l’impegno attivo dei laici alla dimi-nuzione del numero dei presbiteri. Poiché loro non posso-no arrivare dappertutto, come facevano precedentemen-te, sono dovuti subentrare i fedeli laici. Invece, ad aprire la porta e assegnare loro la dignità e la responsabilità fon-date nel battesimo è stato lo Spirito Santo che ha agito nel concilio ancor prima che si verificasse, a cominciare dal 1970, la riduzione dei ministri ordinati. D’altro canto, già a partire dalle comunità riunite attorno agli apostoli esi-steva la corresponsabilità fra tutti, continuata nei secoli fino a quando per cause ecclesiali e sociali tutto è stato de-mandato ai presbiteri.La lettera del parrocchiano che offre l’avvio a questa ri-flessione conferma magistralmente quanto è avvenuto e sta avvenendo nella chiesa. Sono eloquenti due frasi, delle quali una conferma l’altra, per constatare la svolta in atto:“tutta la normale vita delle parrocchie è diventata la nostra vita”.“Mai ci siamo così presi cura delle parrocchie come di una cosa nostra...”.Con una precisazione: questo “siamo tutti chiesa” con la guida dei pastori, è auspicabile indipendentemente dalla loro presenza fisica anche se l’assenza, come è avvenuto durante i giorni di malattia, ne amplifica l’evidenza.La lettera citata, nel suo insieme e nel definire la parroc-chia “famiglia” pone in risalto l’identità che ci è stata affi-data da Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei disce-poli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35) Se c’è questo tutto ha valore; se invece manca perdiamo tempo ed energie. Se c’è questo “la chiesa cresce per attrazione”.La lettera termina con l’invito:“E, ora, in cammino, insieme, per lenire le pene di tanti che ancora soffrono”.Gesù continua la sua passione nelle sofferenze dell’uma-nità. Chi asciuga una lacrima, chi ascolta un racconto di angoscia, chi rimane un po’ di tempo accanto ad un am-malato, coloro che lo curano notte e giorno, chi compie un’opera di misericordia è un nuovo angelo che annuncia la Pasqua. Gesù Cristo risorto è presente ovunque nell’u-niverso, lo ha riempito di sé: quando guardiamo persone e cose con i suoi occhi e le amiamo con il suo cuore facciamo emergere la sua luce e trasfiguriamo il mondo.Buona Pasqua!

3La parola dei don

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4La riflessione

L’attenzione del nostro Paese per i prossimi anni sembra finalmente concentrarsi su formazione, innovazione e ricerca come chiavi di accesso al

futuro. Almeno, secondo le intenzioni espresse dal Gover-no. L’investimento nella formazione delle nuove genera-zioni, dopo anni di negligenza e di tagli, è ormai univer-salmente ritenuto indispensabile per valorizzare il capitale umano e per creare i presupposti di un modello di sviluppo, che rompendo col passato, sappia coniugare crescita eco-nomica, sociale e culturale con una più equa distribuzione delle risorse, soprattutto a partire dalle situazioni di mag-giore povertà. Tra queste, la povertà educativa costituisce uno dei problemi più urgenti, perché rappresenta una frat-tura nella società che può compromettere non solo la re-alizzazione personale, ma anche il futuro della comunità.

La formazione, vero motore di sviluppoIn un significativo passaggio del discorso programmatico, a proposito di giovani, scuola e formazione, il presidente Draghi ha espresso un’esplicita ammissione di colpa “ge-nerazionale”: «Spesso mi sono chiesto se noi, e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione, abbiamo fatto e stiamo facendo per loro tutto quello che i nostri nonni e padri fece-ro per noi, sacrificandosi oltre misura. È una domanda che ci dobbiamo porre quando non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione,

la scuola, l’università e la cultura. Una domanda alla quale dobbiamo dare risposte concrete e urgenti quando deludiamo i nostri giovani costringendoli ad emigrare da un paese che troppo spesso non sa valutare il merito e non ha ancora rea-lizzato una effettiva parità di genere».Questo invito ad un rigoroso esame di coscienza non può cadere nel vuoto, soprattutto in questo tempo di pande-mia che, oltre alle sofferenze quotidiane e alla paura per un avvenire incerto, ha provocato danni incalcolabili a li-vello economico e produttivo e un vero collasso nei sistemi educativi di istruzione e formazione. Per questo, non ba-stano più le parole. Occorre prendere sul serio i rischi che si possono correre in assenza di un’efficace assunzione di responsabilità nel fornire risposte adeguate e concrete da cui dipendono la qualità della vita e il domani dei nostri figli e nipoti. Si tratta di mettere in moto le migliori ener-gie per costruire una convivenza più giusta e inclusiva, assicurando a tutti la possibilità di accedere a beni, servi-zi e opportunità essenziali al pieno sviluppo di ciascuno e dell’intera società.

Senza relazione non c’è educazioneIn questi mesi, l’esperienza della didattica a distanza, vis-suta a tutti i livelli, dalla primaria all’università, come unica alternativa praticabile a seguito della chiusura dei luoghi di formazione e di socialità, ha generato problemi

Nelle intenzioni espresse dal nuovo Governo, l’attenzione del nostro Paese per i prossimi anni sembra finalmente concentrarsi su formazione, innovazione e ricerca come chiavi di accesso al futuro.

Ripartire dall’educazione

{ Franco Venturella }

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5La riflessione

psicologici e ritardi nell’apprendimento, facendo esplo-dere carenze strutturali già esistenti. In più, ha accentua-to il divario e le disuguaglianze, tanto che molti bambini e adolescenti sono rimasti indietro nel naturale processo di crescita personale. Papa Francesco ha parlato di « una vera e propria catastrofe educativa, che impone un cam-biamento di paradigma e la necessità di un nuovo model-lo di sviluppo».Ma una cosa è certa: il processo formativo avviene in un contesto relazionale e comunitario, dove insieme si ela-bora la cultura, si confrontano punti di vista diversi, si vi-vono esperienze significative a livello sociale, si accresce la propria umanità e si acquisiscono le competenze ne-cessarie per comprendere la realtà e partecipare con in-telligenza ai processi di cambiamento. Le tecnologie e gli strumenti digitali, pur offrendo certamente straordina-rie opportunità, non potranno mai sostituire la relazione educativa che è alla base della crescita personale e si po-tenzia nel dialogo e nell’interazione con gli altri. La comu-nità educante è il luogo dove si sperimentano quei valori che, condivisi e interiorizzati, fanno maturare la coscien-za civile e morale, assieme al senso di responsabilità verso se stessi e gli altri.

Insieme, per una credibile speranza di futuroAd una crisi di tale portata non si può rispondere con pro-getti parziali, ma con interventi globali e di lungo respiro, mettendo in sinergia famiglie, scuole, istituzioni, terzo settore, associazionismo, luoghi della ricerca, in particola-re le università, per studiare ed elaborare altri modi di in-tendere l’economia, la politica, il progresso nella prospet-tiva del bene comune e dell’ecologia integrale: solo così la formazione può diventare vero motore del cambiamento. È necessario socializzare le co-noscenze, mettere in comune le competenze acquisite, inserirsi in un processo di interscambio in modo da concorrere al bene di tutti. Perché il sapere, come il pane, va condiviso affinché nessuno resti indietro. Se la nostra è una “società del-la conoscenza”, ogni essere umano ha diritto ad accedere ad essa per essere in grado di scegliere e decidere con liber-tà, autonomia, responsabilità,

contribuendo alla vita civile e sociale. Perché senza forma-zione non ci può essere una democrazia veramente com-piuta: la partecipazione attiva dei cittadini richiede capa-cità di comprendere i fenomeni politici, sociali, culturali, economici senza abdicare all’esercizio del discernimento critico, soprattutto di fronte a decisioni difficili e com-plesse: oggi, bisogna saper scegliere tra sistemi di pensie-ro egoistici, indifferenti ai diritti della persona e alla tu-tela dell’ambiente, e un’economia di fraternità finalizzata all’inclusione di tutti. Solo con intelligenza, competenza e umanità, si possono rimuovere le cause strutturali del-le disuguaglianze e del sottosviluppo, promuovendo pro-cessi virtuosi di crescita perché ad ognuno sia restituita dignità e assicurati i servizi essenziali: istruzione, lavoro, salute, ambiente.Tutti ormai sappiamo che l’attuale modello neoliberista risulta inadeguato e, per certi versi, distorto e iniquo, per la sua intrinseca incapacità ad affrontare e risolvere le in-giustizie, le vecchie e nuove povertà; mentre una nuova

cultura umanistica e scientifi-ca, attenta alla trasformazione digitale e alla transizione eco-logica, potrà trovare vie e for-me inedite, ma praticabili, per assicurare una vera economia sociale compatibile con la sal-vaguardia dell’ecosistema e con il rispetto dei diritti umani.Per questo, un cambio di para-digma è urgente: ed è indispen-sabile ripartire insieme, se vo-gliamo rendere credibile que-sta speranza di futuro.

Le tecnologie e gli strumenti digitali, pur offrendo straor-dinarie opportunità, non po-tranno mai sostituire la re-lazione educativa che è alla base della crescita persona-le e si potenzia nel dialogo e nell’interazione con gli altri.

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Beira, Moçambique – 25 de Fevereiro de 2021

Cari amici dell’UP Schio Est, vi mando un saluto sempre caldo dal Mozambico.La situazione qui è diventata “complicata” dal

punto di vista climatico anzitutto, dal punto di vista poli-tico e sociale e infine riguardo al contrasto alla pandemia.In questi ultimi due mesi abbiamo nuovamente sperimen-tato la realtà dei cambiamenti climatici. A Beira, dove il clima è tropicale-umido, siamo in piena stagione delle piogge. Al di là di queste, ci siamo accorti che siamo in una zona perfetta per la formazione e il passaggio di tem-peste e cicloni tropicali. A fine dicembre siamo stati colpiti da una tempesta tropicale severa (Chalane); a fine gennaio dal ciclone Eloise (di categoria 3 con venti a 160 km/h) che, pur non avendo la forza di Idai (il ciclone del 2019), ha fat-to comunque parecchi danni, strappando tra l’altro il tetto alla casa del vescovo; la settimana scorsa si è formato in mare un altro ciclone (Guambe), che per fortuna ha preso la nostra costa solo di striscio. Quelli che nei decenni pas-sati erano fenomeni occasionali e non particolarmente in-tensi ora sono diventati ordinari e distruttori. Ora la gente ha capito che deve difendersi in modo costante, lasciando sui tetti sacchi di sabbia per tenere ferme le lamiere. I ven-ti di queste ultime calamità non hanno avuto la forza del

ciclone di due anni fa, ma non è mancata l’acqua torrenzia-le. Speriamo che aiuti almeno nella coltivazione del riso!

Il secondo punto che in questi mesi ha destato molta pre-occupazione è l’inasprimento delle misure autoritarie da parte del regime, con una stretta in particolare sulla li-bertà di stampa e di opinione. Purtroppo in Africa molti Governi hanno sfruttato la pandemia per dare un “giro di vite” nel controllo delle popolazioni. In Mozambico il par-tito Frelimo, al potere dal tempo dell’acquisizione dell’in-dipendenza, lascia una apparente libertà a livello di gior-nali e social network. Ma ultimamente ci sono stati feno-meni inquietanti, come l’incendio della sede di un giorna-le di opposizione e la sparizione o l’arresto di vari giorna-listi. La questione di fondo è la guerra nella provincia di Cabo Delgado, nell’estremo nord, al confine con la Tanza-nia. Dall’ottobre 2017 si susseguono attacchi sempre più penetranti e letali da parte di “insorgenti”, terroristi che si dicono legati agli Al-shabaab somali e allo Stato Isla-mico. Gli attacchi hanno provocato più di 2000 vittime e oltre 650.000 rifugiati. Le truppe regolari mozambicane sembrano non riuscire a fermare questa ribellione, che nella povertà e nell’abbandono di quella provincia recluta molti giovani. C’è pure il sospetto che al regime non dispiaccia il fatto

Una preziosa testimonianza dai missionari presenti a Beira, che raccontano le difficoltà attraversate in questo periodo nel paese africano, tra un clima che preoccupa, un regime che restringe le libertà e il dramma della pandemia che va aggravandosi.

don Davide Vivian, con don Maurizio Bolzon e don Giuseppe Mazzocco{ }

Lettera dal Mozambico

6Missione

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7Missione

che, per la fuga della popolazione, si sia creata un’immen-sa zona franca, dove poter meglio sfruttare le ricchezze del sottosuolo (rubini e gas) e dove non mancano i traffici il-leciti. Vari giornalisti che hanno provato ad indagare sono stati intimiditi o fatti sparire. Il presidente stesso ha chie-sto di perseguire i reporter come «minaccia alla sicurezza dello stato». Ma nelle ultime settimane ci sono stati due fatti eclatanti: l’espulsione di un giornalista inglese (ban-dito dal paese per dieci anni) e la rimozione del vescovo di Pemba (capitale di quella provincia), critico verso il re-gime. Il vescovo - dom Luiz Fernando Lisboa - ha annun-ciato e testimoniato il Vangelo, ha amato e protetto il suo popolo, ha accolto e ascoltato i profughi, ha lavorato con tenacia per la giustizia e per la pace. Accusato apertamente di sedizione dagli sgherri del regime, non si è lasciato in-timorire. In modo improvviso il papa lo ha promosso ar-civescovo e spostato in una dioce-si brasiliana. Probabilmente per salvargli la vita.

In questi ultimi mesi, tuttavia, la situazione che sembra più com-plicata è la lotta alla pandemia. È entrata in Mozambico la variante sudafricana del virus, che in po-che settimane ha cambiato com-pletamente le cose. Ci sono stati più infettati e morti nel gennaio scorso che in tutto il 2020! Il sistema sanitario mozambicano è fragile, sprovvisto di mezzi e di personale, e rischia di essere travolto da nu-meri sempre in crescita. C’è solo qualche decina di posti nelle terapie intensive di tutto il Paese e le varie cliniche straniere non accettano malati Covid. Nei Centri di salute danno alle persone antibiotico e vitamine e ciascuno cer-ca di curarsi in casa. Purtroppo ci sono stati i primi morti “eccellenti”, in primis il sindaco della nostra città di Beira

che, per complicazioni dovute al Covid, è morto all’età di 57 anni. Sono cominciati a cadere anche i primi missio-nari: una suora filippina, un padre dehoniano e un padre somasco, entrambi italiani. Non possiamo nascondere il nostro timore. Sappiamo che non possiamo contare molto sul sistema sanitario. La no-stra speranza è di non infettarci, o di prendere il virus in forma lieve. La prevenzione, quindi, è tutto! Forse questa è la prima volta che noi missionari condividiamo davvero la condizione della nostra gente. A noi occidentali i beni non mancano e anche dopo i cicloni non ci è mai manca-to niente, a differenza di molta gente che ha perso tutto. Ma ora, minacciati da questa pandemia, la nostra condi-zione è la stessa dei nostri fratelli. Il vaccino non si sa se e quando arriverà. Di sicuro i poveri saranno gli ultimi a riceverlo. E noi con loro.

In questi ultimi mesi un de-creto presidenziale ha im-posto - come prima misura di prevenzione - la chiusura di tutti i luoghi di culto. Ma in tutte queste tribolazioni non possiamo forse alzare gli occhi al cielo? Per quan-to angustiati e preoccupa-ti, non possiamo agire come se Dio non ci fosse! Questo è un tempo opportuno per pu-rificare e rinnovare la nostra

fede, per aumentare il nostro abbandono alla Provviden-za. Certo, non restando passivi ad attendere le Grazie di-vine con le braccia incrociate, ma impegnandoci nel vi-vere in profondità la comunione, l’ascolto reciproco, la carità fraterna.Ci auguriamo un buon tempo di Quaresima, tempo di lot-ta e di contemplazione, per essere pronti a celebrare nella Pasqua il trionfo della Luce sulle tenebre. Buon cammino!

In questi ultimi mesi la situazio-ne che sembra più complicata è la lotta alla pandemia. È en-trata in Mozambico la varian-te sudafricana del virus, che in poche settimane ha cambiato completamente le cose.

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8Momenti di vita pastorale

ACR, si torna a incontrarsi e a vivere lo spirito di sempre

Pronti, partenza...via!Dopo un lungo silenzio, noi animatori ACR, incoraggia-ti, sostenuti e guidati da don Loris, siamo pronti a ridare voce e colore ai nostri Oratori: l’attività ACR ritorna il sa-bato pomeriggio dalle 14.30 alle 16.30 presso l’Oratorio di Santa Croce per le elementari, mentre per le medie dalle 14.45 alle 16.30 presso il teatro di SS. Trinità.“Tutto è partito da una sfida, accettata con entusiasmo, che ci ha permesso di comprendere il valore del tempo trascorso in compagnia con gli amici. Abbandonate le vi-deo-chiamate per ritrovarsi a fare attività in presenza, no-nostante il mantenimento delle dovute precauzioni, è ri-tornata la gioia e l’euforia dei ragazzi”. (Martina, Giovanni, Iulian, Elena e Benedetta: animatori delle medie).“Sognavamo da tempo, di poterci finalmente rivedere e ri-

cominciare a divertirci assieme ai nostri ragazzi, ma non ci aspettavamo una risposta così numerosa, entusiasta e vivace: ne avevamo tutti bisogno per tornare a sorridere alla vita attraverso gli occhi innocenti e sinceri dei nostri animati”. (Cristian, Marta, Michele, Giorgia e Anna: ani-matori delle elementari).Siamo entusiasti di poter tornare a vivere lo spirito ACR e “Seguire la Notizia”, assieme ai nostri ragazzi come l’inno di quest’anno ci chiede di fare; cioè metterci al servizio per “scoprire la verità” trasformandola in realtà e dedicare ad ogni avventura, una “pagina” dove mettere in gioco ogni nostra capacità. Insomma creare e vivere un “gruppo per raccontare” e divertirci assieme.

Gli animatori e Don Loris

ACG, i gruppi giovanissimi tornano “in presenza”Il 2020 è stato un anno che resterà impresso nelle nostre menti. Molti, chi più chi meno, non lo ricorderanno come un anno felice ma pieno di dubbi e incertezze e magari purtroppo di sofferenza, in questo articolo però parlere-mo dell’esperienza vissuta dalla realtà dei giovani in que-sta parrocchia: l’ACG.L’anno scorso le attività serali dei giovanissimi si sono interrotte bruscamente all’inizio della pandemia, e dopo qualche settimana dall’inizio del lockdown di marzo ab-biamo deciso di riprendere a fare gruppo sotto forma di incontri serali “virtuali”. I ragazzi hanno risposto subito alla nostra proposta e siamo riusciti a concludere l’anno pastorale 2019-2020 e ad iniziare dallo scorso novembre quello 2020-2021. Da qualche giorno, dopo aver raccolto tutti i documenti necessari, è arrivata fi-nalmente la possibilità di trovarsi in presenza con i ragaz-

zi. Questi hanno accolto questa notizia con grande entusia-smo e per noi animatori è un grande piacere poter rivedere i nostri animati, visto che è da un anno che non ci vediamo.

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9Momenti di vita pastorale

Giovedì 25 febbraio la terza tappa ha fatto la prima attività in presenza e il 5 marzo sarà la volta della seconda tappa ri-prendere gli incontri dal vivo. Intanto il gruppo animatori di terza tappa è cambiato: al posto di Nadia sono entrati Giulia e Riccardo a dare man forte a Luca, mentre gli animatori di seconda tappa rimangono gli stessi: Marco, Alex e Giorgia.

Noi animatori speriamo di poter continuare a trovarci con i ragazzi, rimanendo pronti ad affrontare le prossi-me sfide come parte fondamentale della nostra comu-nità.

Marco e Luca

Catechesi, uno sguardo in avantiQuaresima 2020: all’improvviso il mondo cambia volto, le attività si fer-mano, le porte delle case si chiudono. Anche i catechisti si bloccano, ma poi, come tante persone spronate dalle nuove condizioni di vita, an-ch’essi si inventano nuovi linguaggi e osano nuove strade per raggiungere i ragazzi chiusi in casa: contatti onli-ne o telefonici con le famiglie, pro-poste di attività domestiche, inviti a pregare in famiglia.Non avevamo pensato di trovarci ancora “bloccati” an-che quest’anno e invece… Abbiamo riproposto allora al-cune attività come «Far rifiorire la vita» (la croce rifiorita in chiesa), iniziative specifiche per le varie fasce d’età e la preghiera settimanale in famiglia.Ci siamo però posti anche una domanda: «Che cosa vuoi dirci in questo tempo, Signore?».Stiamo allora cercando di cogliere l’occasione di chiederci come ricavare da questa esperienza le basi per un rinno-vamento della catechesi.Analizzando la situazione attuale di distacco di tanti ge-

nitori dalla vita di fede e riconoscen-do però il ruolo fondamentale della famiglia nell’accompagnamento dei figli alla fede, sarà importante aiu-tare i genitori a riscoprire la bellez-za della vita cristiana tra loro e con i loro figli e a scoprire che è impor-tante “camminare” con i catechisti accanto ai ragazzi.È un invito a far diventare la famiglia - la nostra casa - un luogo dove Cristo è presente e agisce. Luogo in cui c’è il

perdono, l’accoglienza, il volersi bene, l’attenzione alle per-sone. È la Chiesa diffusa nelle case, la Chiesa di tutte le ore della settimana, della quotidianità, della vita ordinaria.I genitori non devono perdere quello che in questo tempo hanno riscoperto, magari ritrovando una Chiesa ben di-versa da quella che avevano conosciuto oppure aprendo-si a domande sulla fede che non si ponevano più da mol-to tempo.Non lasceremo morire questi semi che il Seminatore ha lasciato cadere anche in questo tempo.

Linda Zannoni

«Un pane per amor di Dio» aiuterà i bambini in Repubblica Centrafricana

La nostra Unità Pastorale ha aderito anche quest’anno alla campagna «Un pane per amor di Dio», l’iniziativa dell’Uf-ficio missionario diocesano che ogni anno invita ad espri-mere la propria carità cristiana con un’offerta concreta a favore di una realtà in terra di missione.Abbiamo scelto un progetto presentato da suor Mariange-la Piazza, che opera in Repubblica Centrafricana, un pae-se lacerato da sofferenza e povertà. Chi ne porta le conse-guenze più pesanti sono i bambini, i giovani e le donne per la loro vulnerabilità e per la mancanza di una prospettiva di futuro.

Il progetto che contribuiremo a realizzare è una sala po-livalente per bambini orfani e “di strada” dove, oltre alle attività ricreative, si vorrebbero programmare laboratori manuali per ricavare cappelli, borse, stuoie, ventagli e per attività di cucito, ricamo, lavoro a ferri e uncinetto. Sono tutte attività che si spera possano aiutarli a rendere il loro futuro più bello e più felice della loro prima infanzia.Chi desidera partecipare può riporre le proprie offerte nel-le apposite scatoline che si trovano alle porte delle chiese oppure in semplici buste (con l’indicazione della motiva-zione), da consegnare alla fine della Quaresima.

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10Momenti di vita pastorale

Buon cammino, parrocchia di SS.Trinità

Domenica 6 dicembre 2020 è stata una giornata di festa particolare a motivo della ricorrenza del cinquantesimo anniversario della fondazione della parrocchia. Purtrop-po le limitazioni sanitarie dovute al Covid 19 hanno co-stretto a modificare i programmi preparati per l’impor-tante e atteso appuntamento. Viva e calorosa è stata co-munque la partecipazione alla cerimonia commemora-tiva.Qualche giorno prima, il card. Pietro Parolin, impossibi-litato a partecipare di persona a causa delle suddette re-strizioni, in un dialogo tenutosi da remoto con il nostro don Guido, aveva ricordato i suoi primi anni di sacerdozio

a SS. Trinità, sua prima e unica parrocchia, formulando i migliori auguri di fecondo lavoro.La concelebrazione della s. messa domenicale è stata pre-sieduta dal vescovo Beniamino Pizziol, presenti i prece-denti parroci don Angelo Lancerin e don Carlo Coriele, nonché gli attuali preti dell’Unità pastorale don Guido, don Domenico e don Loris. Il vescovo ha ripercorso la sto-ria della parrocchia a partire dai suoi primi passi nel 1970.Il Covid ha impedito anche il programmato brindisi augu-rale al termine della celebrazione, ma a tutti è stato dato appuntamento per il prossimo cinquantesimo!

AUGURI, PARROCCHIA DI SS. TRINITÀ.

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11Momenti di vita pastorale

La Liturgia della Parola, possibile alternativa alla messa esequiale

La porta della sofferenza è sempre difficile da attraver-sare, perché vi è un rifiuto viscerale, spontaneo e imme-diato al dolore. L’esperienza che abbiamo vissuto con no-stro padre, nel mese di dicembre, ci ha travolti nel giro di pochi giorni.Persona autosufficiente e sana, nonostante i suoi 88 anni, in una settimana le sue condizioni di salute sono preci-pitate in maniera incomprensibile fino a farlo giungere, dopo una lastra al torace, al ricovero ospedaliero urgen-te con la diagnosi di polmonite bilaterale interstiziale da Covid.Lo sconforto per noi familiari è stato totale: i giorni del-la degenza erano un altalenarsi di notizie cliniche date al mattino dal medico di turno che, in tre minuti al tele-fono, ci aggiornava sugli esami diagnostici e soprattutto sulla respirazione, efficace o no, data da strumenti diven-tati purtroppo noti come casco, mascherine, ventilatori di vario genere… Sono stati giorni, ore, minuti, vissuti nell’attesa, nella speranza, in un susseguirsi di preghie-re e lacrime…«Ero malato e siete venuti a visitarmi…»: no, in questo sconvolgente anno di epidemia, ci è stato proibito per-fino di avvicinarci ai familiari ricoverati, lasciandoli sì alle amorevoli cure del personale sanitario, ma lontani dai nostri sguardi, dai nostri abbracci, dalla nostra vici-nanza preziosa e indispensabile.In tutto questo sconforto anche le giornate piovose, buie e corte di dicembre sembravano contribuire ulterior-mente a rendere ancora più pesante la situazione… Ho pensato davvero che fossero scese le tenebre su questo mondo, ma con l’avvicinarsi del Natale mi aiutava una semplice frase a rincuorarmi…: «Maranatha, vieni Signo-re Gesù…».A sostenerci in quei diciassette giorni di smarrimento sono state le tantissime persone che, in diversi modi, ci sono state vicine in maniera davvero “sentita” e mai ba-nale.Papà non ce l’ha fatta. Ha aspettato il mio ritorno al lavo-ro e mi ha fatto un grande dono, quello di potergli essere accanto nell’ultima ora della sua vita terrena tenendogli la mano, un grande privilegio che mamma e i miei fra-telli non hanno potuto condividere.Per le esequie di nostro padre abbiamo scelto la formula della Liturgia della Parola, che è una delle due possibili-tà previste dalla diocesi: questa modalità comprende la proclamazione della Parola (prima lettura, salmo, Van-

gelo ed omelia) per poi passare, dopo la recita del Padre nostro, alla incensazione e benedizione della salma.È stata una celebrazione davvero molto bella e sentita: la Parola di Dio, i canti, la benedizione con l’acqua e l’incen-so sono stati balsamo di consolazione per noi familiari, un abbraccio e un dono speciale per papà, un ultimo sa-luto come la cornice di un quadro, una poesia dedicata… e un privilegiato accompagnare la sua anima, là dove luce e amore sono per sempre.Per questo la nostra famiglia, dopo questa esperienza, ri-tiene che la Liturgia della Parola potrebbe essere, anche per il futuro, una buona alternativa alla consueta messa esequiale.

Nadia Filippi

Ci hai fatti per te. Signore il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te (Sant’Agostino)

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Tagliamo in queste settimane il triste traguardo di un anno di pandemia. Un anno provante, che ha messo in discussione molto di ciò che davamo per

assodato e che ci ha portati a farci tante domande. Un anno di solitudine, che ha profondamente trasformato il nostro rapporto con la spiritualità e la relazione intima con ciò che sentiamo come più alto, più grande, più universale.È la seconda Quaresima vissuta al chiuso delle nostre abi-tazioni. E se, rispetto allo scorso anno, è possibile accede-re alla Chiesa – vero e proprio unicum in un panorama di restrizioni che per oltre 365 giorni non ha dato in nessun altro caso la possibilità di accogliere più persone all’inter-no di uno stesso spazio chiuso (pensiamo, ad esempio, ai cinema o ai teatri) – è innegabile che saranno ancora molti i fedeli che preferiranno riflettere o pregare in casa. Per-ché questa pandemia ha cambiato anche il modo in cui accediamo ai contenuti spirituali, in cui viviamo la nostra fede e in cui pensiamo al concetto di comunità, soprattut-to nel momento in cui ci riferiamo ai fedeli più giovani.

La messa su YouTubeI nostri anziani hanno seguito per anni le messe in TV. Dall’appuntamento della domenica con l’Angelus del Papa alle celebrazioni su TV2000 fino alle funzioni trasmesse sulle emittenti locali, le occasioni per pregare e riflettere anche fuori dalle Chiese, usando i mezzi di comunicazio-

ne di massa, esistevano ben prima della pandemia ed era-no sfruttate soprattutto da chi faticava ad uscire di casa.La grande differenza, rispetto al passato più recente, è che ora non solo il pubblico si è notevolmente allargato a cau-sa del timore del virus, ma si sono moltiplicati i mezzi con cui accedere alle celebrazioni e pure le realtà che creano contenuti spirituali. Il web ci ha regalato YouTube, dove anche la nostra Unità Pastorale ha trasmesso le celebra-zioni durante la Quaresima 2020, e YouTube è diventata la piattaforma preferita da una serie di parrocchie che, in tutta Italia, hanno continuato a tramettere le loro messe anche ben oltre la riapertura delle chiese.Nel momento in cui stiamo scrivendo, ad esempio, il cana-le YouTube Nostra Signora della Salute a Torino, uno dei più seguiti sul web per quanto riguarda la trasmissione delle messe domenicali, ha quasi 5000 iscritti. I follower del canale – i suoi iscritti, appunto – sono provenienti da tutta Italia e il simpatico parroco che anima questa realtà li saluta all’inizio di ogni celebrazione, a sottolineare un rapporto di familiarità che si è consolidato di settimana in settimana nonostante la distanza e l’utilizzo della rete. Recentemente durante la messa si è addirittura iniziato a ricordare anche i defunti dei fedeli connessi on line, tanto che il momento della lettura dei loro nomi è diventato un lungo elenco di cognomi tipici di diverse regioni che testi-moniano presenze collegate da tutto il Paese.

12Attualità

Dalla comunità alla community

La pandemia ha cambiato anche il modo in cui accediamo ai contenuti spirituali, in cui viviamo la nostra fede e in cui pensiamo al concetto di comunità. In questo periodo le celebrazioni e le riflessioni spirituali viaggiano sul web.

{ Camilla Mantella }

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Comunità consolidateUn cenno a parte merita il caso della Fraternità di Rome-na. Realtà toscana conosciutissima in tutta Italia e ani-mata da don Luigi Verdi, Romena è famosa per i suoi riti-ri spirituali, per i percorsi di preghiera e riflessione, per i laboratori condotti in presenza e per le partecipatissime conferenze che si tengono nell’affascinante pieve alle por-te di Arezzo.A causa del Coronavirus tutte le sue attività abituali, che attiravano fedeli da tutta Italia, si sono interrotte. La Fra-ternità, tuttavia, non si è data per vinta e ha cominciato a caricare sulla propria pagina YouTube, che un tempo ospi-tava riflessioni più sporadiche o registrazioni di eventi, numerosissimi contenuti.In alcuni momenti dell’anno, come ad esempio in Quare-sima, i video sono giornalieri e vengono animati tanto da don Luigi quanto da collaboratori, esperti e fedeli. Le di-scussioni in calce ai video, possibili grazie all’opportuni-tà di commentare i contenuti che da poco è stata data an-che su questo canale, sono testimonianza di una comuni-tà spirituale che cresce costantemente: da chi conosceva già da tempo Romena, e quindi si è “spostato” sul web non po-tendo visitarla in presenza, si è presto passati a persone nuove, che in questi mesi di difficoltà hanno trovato nelle riflessioni proposte conforto, speranza e nuova fiducia.

I ragazzi di Don AlbertoIl vero fenomeno della spiritua-lità on line di quest’anno passa-to dentro le mura domestiche, tuttavia, è indubbiamente don Alberto Ravagnani, sacerdote

all’Oratorio San Filippo Neri di Busto Arsizio, in provin-cia di Varese. Ha aperto il suo canale YouTube proprio du-rante la pandemia e in poco tempo è riuscito a raggiun-gere l’impressionante numero di 136.000 iscritti, record che raramente un canale con contenuti spirituali riesce a raggiungere.Il suo stile fresco, le sue spiegazioni immediate, il suo par-lare direttamente ai più giovani lo hanno reso popolaris-simo tra i ragazzi, tanto che è stato invitato come ospite non solo in programmi televisivi più tradizionali, ma an-che in podcast e video di altri youtuber che gli hanno valso ancora più popolarità.Don Alberto testimonia la gioia di essere un giovane sa-cerdote, senza nasconderne le difficoltà e rispondendo alle domande che la sua comunità di iscritti gli rivolge periodi-camente. Promuove la vita in oratorio, discute delle diffi-coltà della Chiesa e si interroga su argomenti grandi e pic-coli, dal rapporto tra fede e scienza al perché si bestemmia, dal mistero dello Spirito Santo a come reagire quando, da ragazzi, si viene presi in giro dagli altri perché credenti.

Un nuovo modo di intendere la spiritualitàDon Alberto, la Comunità di Romena, la Chiesa di Santa Maria della Salute a Torino: una manciata di esempi – ma se ne potrebbero citare molti altri – di realtà che si stanno facendo spazio in un nuovo modo di intendere la spiritua-lità e il nostro rapporto con Dio. Alla fine della pandemia cosa rimarrà di questi approcci? Torneremo tutti in Chiesa come prima? Ci aspetteremo di poter continuare a fruire di contenuti spirituali a distan-za? Dopo oltre un anno lontani dalle chiese i fedeli più gio-vani desidereranno farvi subito ritorno per riassaporare

il senso di comunità o la comu-nità on line prenderà il posto di quella in presenza? È la prima volta che la Chiesa si confron-ta, probabilmente, con queste domande. E forse la soluzione starà nel mezzo, come spesso la digitalizzazione ha dimostrato in altri ambiti: le celebrazioni in presenza continueranno ad avere il loro valore, ma chi ha iniziato ad aspettarsi contenu-ti spirituali on line vorrà conti-nuare a trovarli, anche quando potremo finalmente uscire con sicurezza dalle nostre case.

13Attualità

Si sono moltiplicati i mezzi con cui accedere alle celebrazioni, così come le realtà che creano contenuti spirituali. YouTube è diventata la piattaforma pre-ferita da una serie di parroc-chie che, in tutta Italia, han-no continuato a tramettere le loro messe anche ben oltre la riapertura delle chiese.

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All’Angelus di domenica 7 febbraio 2021 papa Fran-cesco ha ribadito che il prendersi cura dei mala-ti non è un’attività opzionale o accessoria della

Chiesa, bensì fa parte integrante della sua missione. Sem-pre papa Francesco, in precedenza, aveva detto che mai come in questa terribile congiuntura siamo chiamati a di-ventare consapevoli della reciprocità che sta alla base del-la nostra vita accorgendoci che ogni vita è vita comune, è vita gli uni degli altri, degli uni dagli altri e che quindi siamo chiamati a riconoscere, con emozione nuova e pro-fonda, che siamo affidati gli uni agli altri: basterebbe questo per farci riflettere e per innescare processi nuovi e di speranza.Ricordiamoci che il dolore spri-giona amore e aspetta amore! Già prima della pandemia, che da più di un anno stiamo viven-do, era da tempo in atto un pro-cesso di radicalizzazione della società che considera la malat-tia compito esclusivo della me-dicina che da sola, con la tecni-ca più avanzata, può aiutare a vincerla e magari, perché no?,

a sconfiggere persino la morte fisica. Eppure tutta la tec-nica del mondo non è riuscita a sconfiggere il dolore, anzi, lo ha reso più innaturale. Su questo retroterra la pande-mia ha attecchito in modo rigoglioso: pazienti, residenti in strutture di cura diverse o case di riposo, si sono tro-vati da un giorno all’altro soli, giorno dopo giorno, notte dopo notte, mese dopo mese, senza vedere i propri cari e senza avere, nella quasi totalità dei casi, neppure il con-forto di un religioso/a che, quando manca totalmente, di-venta davvero per troppi un dolore acuto e lacerante. Al

nostro stesso vicario, don Gui-do Bottegal (e ricordiamo tutti quanto da lui intensamente co-municatoci sull’esperienza vis-suta in ospedale a causa del Co-vid) è stato chiesto a lui malato di impartire il viatico ad alcuni morenti. È questo che più mi ha ango-sciato e mi angoscia tuttora: nei miei quattordici anni di vo-lontariato in ospedale ho tocca-to con mano quali siano le rea-li esigenze di chi vi si trova ri-coverato, e l’accompagnamento

{ Ada Agostini }

14Focus

Prendersi cura dei malati fa parte della missione della Chiesa

L’esperienza di volontariato in ospedale fa toccare con mano quali siano le reali esigenze di chi vi si trova ricoverato. L’accompagnamento religioso e l’avere accanto una persona cara sono prioritari su tutto, sono medicina di vita.

In certi passaggi come la ma-lattia, o la prova, o la mor-te, tutti dovrebbero poter esprimere i propri sentimen-ti avendo accanto qualcuno che ascolti, risponda o faccia silenzio. Ognuno ne ha diritto così come ha diritto a morire da… vivo.

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religioso e l’avere accanto una persona cara sono prioritari su tutto, sono medicina di vita.In certi passaggi come appunto la malattia, o la prova, o la morte, tutti dovrebbero poter esprimere i propri sen-timenti avendo accanto qualcuno che ascolti, risponda o faccia silenzio (ma mai silenzio ipocrita); ognuno ne ha diritto così come ha diritto a morire da… vivo. Penso con-tinuamente a tutti quei familiari che non hanno potuto salutare né vedere i loro cari per l’ultima volta, ma solo immaginarli attraverso il legno del feretro… Com’è pos-sibile permettere un tale strazio? È indifferibile trovare una soluzione! Certo, c’è la Pastorale della salute (il Centro nazionale è a Roma e in ogni diocesi c’è un incaricato del

vescovo che si avvale di alcuni consiglieri), ma di questo tempo non si è potuto costruire nulla, giacché le riunioni servono relativamente e quel poco che in qualche ospedale o casa di riposo si era costruito ora si sta sciogliendo come neve al sole. La Pastorale della salute, pur mantenendo la sua espressione più marcata accanto al malato e a chi se ne prende cura, è chiamata ad andare oltre per sanare an-che il mondo di oggi che è fragile e in cerca di guarigione: non è più solo un prendersi cura dell’anima del malato, o di chi soffre, ma dell’intera persona, della sua salute appun-to, intrecciare rapporti con altre associazioni perché nes-suno si senta abbandonato. Quanta strada da percorrere!Rimanendo nella nostra zona, sappiamo che l’ospedale di Santorso è stato scelto come ospedale Hub Covid per la provincia di Vicenza; ma è stato adattato in modo discuti-bile: si potevano destinare al Covid due padiglioni debita-mente isolati e tenere il terzo per tutta la dovuta restante assistenza; e, come ora si monitora l’accesso delle persone per visite o prelievi, lo si poteva, anzi lo si può fare anche per chi sarebbe potuto andare, e rimanere, da un proprio caro. E così anche l’aspetto religioso non sarebbe svanito, il prete sarebbe potuto passare e la Direzione, su richiesta (come concesso, ad esempio, a Bassano e a Schiavonia, ma non a Santorso), avrebbe potuto anche autorizzare qualche prete, disponibile a farlo, a entrare, debitamente protetto, pure in reparto Covid-intensivo.Stiamo tuttora sperimentando cosa significhi stare di-stanti, eppure distanti lo eravamo anche prima, immersi in mille attività, mille pensieri, mille programmi: abbiamo sbagliato e dobbiamo ammetterlo. E se pensiamo alla fede e alle sue crisi dobbiamo riconoscere che, se questa non ci fa ardere il cuore, se ci siamo adagiati, forse è fede che sta languendo e ha bisogno di essere alimentata e noi dob-biamo con-vertirci, essere audaci e coraggiosi nell’amore. L’11 febbraio è stato solo ricordato che ricorreva la 29esi-ma Giornata mondiale del Malato. A Dio piacendo, la si terrà più avanti, ma avrà ben poco senso, o senso limita-to, se non si passerà per l’unzione degli infermi o per un saluto fraterno ai ricoverati e a coloro che stanno vivendo in casa la malattia, spesso soli, privati pure loro, in questo periodo, anche della visita del ministro straordinario del-la Comunione che portava quel conforto indicibile oltre a qualche notizia sulla comunità e ai saluti dei suoi mem-bri…; anche questo è arduo, anche questo fa soffrire, nono-stante le telefonate che esprimono comunque vicinanza. La fede deve veramente brillare per attraversare questi periodi, dev’essere come una torcia che passa di mano in mano, con coraggio e soprattutto con tanto amore, per ar-rivare a illuminare ogni angolo e ogni esistenza.

15Focus

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Noia mortale! La ricordava proprio così: di una noia mortale.Era andato alla cerimonia esclusivamente per

dovere di parentela: la novizia era figlia di un cugino di un suo cugino, o pressappoco. Il fatto era che avevano in-sistito in modo pressante. Non tanto – pareva a lui – per vincoli di affetto, quanto per la posizione sociale che egli occupava. In fin dei conti un parente, seppure alla lontana, imprenditore conferisce un certo prestigio… Gli avevano anche detto che quella cerimonia equivaleva a un matri-monio. Ma l’argomentazione non aveva affatto aumenta-to la sua disposizione ad accogliere l’invito. Semmai aveva prodotto l’effetto contrario, perché di matrimoni ne cono-sceva bene uno, il suo, e non aveva visto l’ora di uscirne. La separazione era stata, per così dire, perfino elegante: con-sensuale, senza interventi legali, senza la complicazione di figli che, grazie a Dio, non erano mai arrivati.Non era stata soltanto noia, bensì anche insofferenza, quasi acredine. Non era avvezzo a frequentare le chiese, tutt’altro. Il suo ateismo rispettava i credenti, anche se li considerava inferiori, ma solitamente non scendeva a

mezze misure. Quella volta aveva dovuto accettare un’ec-cezione.Durante la lunga funzione religiosa si era chiesto: come è possibile gioire per una ragazza che si fa suora? che ri-nuncia alla vita normale? che butta alle ortiche una lau-rea (quella di Federica era in Giurisprudenza)? che non sarà mai mamma? che vanifica la bellezza che la natura le ha dato? Sì, perché si doveva riconoscere che la venti-seienne Federica era proprio una bella ragazza… Per en-trare in una Congregazione di cui egli faticava a memo-rizzare il nome? Sapeva che le suore sono di varie spe-cie: serve, ancelle, maestre, sorelle di, figlie di, adoratri-ci, consolatrici, cooperatrici, riparatrici… Un suo amico, mangiapreti come lui, un giorno gli aveva confidato sor-nionamente che nella Chiesa vi sono tre segreti inacces-sibili: che cosa pensano i Gesuiti, da dove traggono i soldi i Salesiani, quante sono le Congregazioni religiose fem-minili. Ed entrambi avevano sottolineato il mistero con una franca risata.Per di più poteva, o forse doveva?, anche cambiare il nome. Forse che Federica non è un bel nome? Certamente è mi-

Una vita sprecata

{ Mariano Nardello }

16Il racconto

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17Il racconto

gliore di Ubaldina, che la propronipote o proprocugina aveva scelto… No, proprio non capiva. Se non che erano tutti degli esaltati. E che quella era una vita sprecata.

* * *

Era sicuro che non l’avrebbe beccato. E, invece, eccolo lì, in un letto di ospedale.Dapprima aveva pensato che il Covid 19 fosse un’invenzio-ne, chissà, delle Case farmaceutiche che mirano al profitto o dei Governi che volevano giustificare la crisi economica o degli apocalittici profeti di sventura che, con cadenza pe-riodica, godono di diffondere paura… Aveva messo in atto le precauzioni suggerite dalle autorità, più per esibizione di rispetto nei confronti dei clienti e fornitori della sua azienda che per convinzione di utilità. Poi, senza sapere né come né perché, si era trovato contagiato.Il ricovero in ospedale lo aveva tranquillizzato: meglio es-sere in una struttura protetta che a casa, da solo, in balìa di “collaboratrici domestiche”, ma, di fatto, badanti, protese al guadagno. Ma lì la situazione non era affatto tranquil-lizzante. Non solo perché il malessere generale, la febbre continua, la spossatezza e la difficoltà respiratoria lo tor-mentavano fino a farlo cadere in depressione, ma anche perché, dei suoi cinque iniziali compagni di stanza che era-no stati portati in terapia intensiva, tre non erano tornati e due mostravano una debolezza estrema.

* * *

Passava tra i letti con leggerezza e dolcezza. Si fermava ac-canto a ciascuno. A lungo. Con chi era in grado di parlare, conversava. Agli altri teneva una mano. A lungo. Veniva ogni giorno, nel secondo pomeriggio.Si era accorto che l’aspettava. Sembrava che venisse ap-positamente per lui; ma forse questa sensazione la prova-vano anche i suoi sfortunati colleghi di degenza. Eppure a lui sembrava di conoscerla o, almeno, di averla già vista. Ma pensava anche che tutte le suore, probabilmente per via dell’abito e del copricapo d’ordinanza, si assomigliano.

* * *

Più che depresso, quel giorno era disperato. I medici non gli avevano detto nulla, come sempre; ma dai loro sguardi ave-va capito che la malattia stava acutizzandosi. E del resto ne era consapevole egli stesso, giacché la febbre era più alta, la

respirazione più faticosa, la fiacchezza più invalidante. Ciò che maggiormente lo incupiva era l’essere e sentirsi solo.La suora gli prese la mano e la tenne nella propria. A lun-go. Poi gli accarezzò il volto. Adagio, a lungo, con tenerez-za, come una mamma.Gli uscì un filo di voce: - Non credo in Dio. Se così non fos-se, vorrei pregare.- Per pregare non occorre credere: basta avere bisogno.Fu un sussurro, delicato come la carezza che ripetutamen-te sentì scorrere sulla sua guancia ispida.

* * *

Aveva vinto! Voleva ben dire che la sua fibra era forte, che il suo organismo, mai soggetto alla malattia prima di al-lora, aveva reagito alla grande, che la medicina, alla fine, sapeva sconfiggere anche i morbi nuovi e sconosciuti… In-somma, ora che era guarito, si rendeva conto che sapeva fin da principio che ce l’avrebbe fatta e quasi quasi, men-tendo con se stesso, non ammetteva di aver avuto paura.Prima di uscire dal Reparto chiese alla caposala chi fos-se quella suora che veniva ogni giorno a visitare i malati.- Chi? -, rispose con una domanda la caposala affaccenda-ta, - suor Ubaldina?...Non insistette. Aveva già saputo quanto gli bastava.

* * *

Per il Ferragosto, grazie alla chiusura temporanea della fabbrica (a quei fannulloni degli operai bisogna pur con-cedere qualcosa…), disponeva di un po’ di tempo libero. Ri-tornò in città e si diresse verso il convento. Aveva assunto informazioni e aveva saputo che il convento era quello, an-che se non ricordava il nome esatto della specie di suore. Voleva ringraziare di persona suor Ubaldina.Fu accolto da una suora portinaia. Gli parve piuttosto grez-za nei modi. E certamente fu spiccia nelle parole:- Suor Ubaldina?... In tanti vengono a cercarla. È morta due mesi fa. Sì. Di quel virus. Si era incaponita di assistere i malati, quando sapeva benissimo che era rischioso. Mah, io non l’ho mai capita...!

* * *

Tornò sui suoi passi, pensieroso. Era una inquietudine, anzi un timore che lo assaliva da molto e che cercava in-vano di stornare. Ma ora esplose. Si chiese, finalmente, se la vita sprecata fosse la sua.

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Presso i popoli antichi, dare il nome a una cosa o a una persona significava nel contempo acquisir-ne l’appartenenza. Fidandosi del messaggio di un

angelo, Giuseppe decide di accogliere il figlio che la sua promessa sposa attende e di dargli il nome che l’angelo stesso gli ha suggerito.E, infatti, in tutti e quattro i Vangeli Gesù viene chiamato il «figlio di Giuseppe».Discendente dalla casa di Davide, diventa dunque il padre legale del nostro Signore: Giuseppe è l’uomo che fa da cer-niera tra l’Antico e il Nuovo Testamento, che con il suo sì ha dato a Gesù la dignità di una famiglia, che si è messo al servizio del mistero dell’incarnazione che la sua promes-sa sposa aveva già accolto, e che con questo gesto ha reso possibile il progetto salvifico di Dio.In occasione del 150° anniversario del decreto Quemadmo-dum Deus, con cui papa Pio X proclamò san Giuseppe pa-trono della Chiesa cattolica, papa Francesco l’8 dicembre scorso ha emanato una lettera apostolica con cui ha indet-to l’Anno di san Giuseppe «per accrescere l’amore verso que-sto grande santo, per essere spinti a implorare la sua interces-sione e per imitare le sue virtù e il suo slancio».Particolarmente devoto a tale figura, il Santo Padre unita-mente alla lettera apostolica ha emanato un decreto con cui concede l’indulgenza plenaria a chi, fino all’8 dicembre 2021, lo pregherà con devozione soprattutto in alcune cir-costanze: nel mese di marzo, tradizionalmente dedicato al santo; nei giorni 19 di ogni mese; alle famiglie e ai fidan-zati che reciteranno il santo rosario; a chi compirà opere di misericordia corporale o spirituale sull’esempio di san Giuseppe, e in altri casi ancora.

Nella lettera apostolica papa Francesco parla di san Giu-seppe descrivendolo in sette punti, che sono altrettante sfaccettature di un padre ideale: padre nella tenerezza, pa-dre nell’accoglienza, padre lavoratore. Il pontefice ce lo presenta come un uomo integro: di lui i Vangeli non resti-tuiscono la voce, ma lo fanno parlare attraverso le azioni, dettate dalla fede e dalla solidità di chi ha la visione chia-ra dei propri compiti e la ferma fiducia che la Provviden-za esista.Francesco ci parla di un «padre dal coraggio creativo» al-lorquando nei Vangeli dell’infanzia san Giuseppe si inge-gna per affrontare le difficoltà a cui la sua famiglia va in-contro: a partire dalla stalla che sistema per ospitare e far partorire Maria a Betlemme, a quando organizza la fuga in Egitto per salvare Maria e il Bambino dal progetto omi-cida di Erode, a come sicuramente avrà provveduto al loro sostentamento per tutta la durata dell’esilio. In tutte que-ste situazioni Dio non interviene direttamente, si fida di Giuseppe che accudisce e protegge Gesù e sua madre di-ventando lui stesso il miracolo: l’adoperarsi e il sacrificio sono gesti che rispondono alla logica di un amore libero e pieno di fiducia.Padre amorevole, dunque, presenza nell’ombra a cui il no-stro stesso papa si rivolge, chiedendo aiuto e conforto. E lo fa quando scrive le sue angustie su dei foglietti che va ad appoggiare sotto a una sua statuina di san Giuseppe dor-miente: umanissimo gesto di affidamento, come anche la preghiera che lo stesso Francesco ha trovato in un libro di devozioni francese dell’Ottocento, invocazione a san Giu-seppe che chiude dicendo: «che non si dica che ti abbia in-vocato invano».

18Focus

Patris Corde: San Giuseppe, il coraggio creativo

{ Ivonne Valente }

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19Consigli per la lettura

affidata una classe quinta fatta di ragazzi molto proble-matici, che nessuno riesce a gestire. Fin dalla prima le-zione Omero vuole conoscere veramente gli studenti che ha di fronte e intende guidarli (lui che non ci vede) verso la crescita e lo sviluppo armonico delle loro potenzialità. Lo strumento principale che userà per innescare e matu-rare il rapporto insegnante-allievo è l’appello. Gli allievi pronunceranno il loro nome e racconteranno che cosa di quel nome li definisce nel modo migliore. L’appello non si limiterà alla prima giornata, ma andrà avanti per tutto l’anno e darà modo ai ragazzi di conoscersi fra loro e di costruire legami profondi di amicizia e solidarietà.

Mario Calabresi Quello che non ti dicono Mondadori, 2020, pp. 216, € 18,00

Mario Calabresi, figlio del commis-sario Luigi, assassinato nel 1972 dalle Brigate Rosse, si occupa di una sto-

ria mai raccontata, che appartiene in parte anche a lui: si è ritrovato infatti nuovamente catapultato negli anni ’70, nella vicenda di Carlo Saronio, rapito e ucciso nel 1975 da un gruppo estremista. Piero Masolo, prete missionario e nipote di Saronio, gli chiede di aiutare lui e sua cugina Marta, figlia di Carlo, nata otto mesi dopo la morte del papà, a fare luce sulla figura dello zio. Per troppi anni la famiglia si è chiusa nel silenzio e Marta non ha mai avuto il coraggio di fare domande sul padre. Calabresi, nel re-cuperare i tratti portanti della personalità di Saronio, rie-sce a dare uno spaccato della storia italiana di quegli anni: scopre che Carlo è stato fin da ragazzo un’anima tormen-tata, si è sempre vergognato di essere nato in una fami-glia troppo ricca, ha frequentato le periferie per insegnare in una scuola popolare. Era un ingegnere e lavorava come ricercatore, voleva aiutare le persone più fragili, cosicché si era avvicinato a un gruppo politico di estrema sinistra, dal quale sarebbero usciti quelli che lo avrebbero rapito e assassinato. La vicenda è emblematica: tratteggia una persona colta, sensibile, solitaria, tesa a usare per gli al-tri una parte delle ricchezze familiari percepite come un privilegio ingiusto.

Derio Olivero con Alberto Chiara«Verrà la vita e avrà i suoi occhi» Ed. San Paolo, 2020, pp. 144, € 12,00

Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, durante la settimana santa 2020 è stato a un passo dalla morte a causa

del Covid-19: da quell’esperienza è nato questo libro, ricco di riflessioni e prospettive per la Chiesa di oggi. Queste le sue parole: «Ho sempre amato una struggente raccolta di dieci poesie di Cesare Pavese, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Oggi, pensando a quanto ho vissuto e a quanto deside-ro fare, animato da un incalzante senso di restituzione, posso dire a mia volta: “Verrà la vita e avrà i suoi occhi”, includendo in quello sguardo Dio, chi mi è stato accanto e quanti riuscirò a raggiungere con la mia povera voce. [ ] Se non parli con l’uomo e la donna di oggi, ma ti ostini a parlare all’uomo e alla donna di ieri, stai diventando muto. Le tue parole sono logore. Chi ripete, non è fedele alla tradizione. Per-ché la tradizione si è continuamente incarnata, rinnovata, ricreata. Una Chiesa che non parla alle nuove generazio-ni è una Chiesa che non parla a nessuno. Chi non ascolta il grido che emerge dalla tragedia della pandemia non è fedele alla storia e non è un fedele al Dio della storia». .

Alessandro D’AveniaL’appelloMondadori, 2020, pp. 340, € 20,00

È la riflessione di un insegnante sul-la scuola che ha in gran parte per-so la capacità di avviare i giovani a riflettere sul senso delle cose, del

mondo, della vita. Il protagonista Omero Romeo, sup-plente di Scienze, dopo essere diventato cieco, si rimet-te in gioco e torna a insegnare provando a vincere le crisi di panico ricorrenti e cercando di «trasformare quel buio in luce, come fanno gli scienziati e gli artisti». A lui viene

{ Recensioni a cura di Annalisa Pan }

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Salve, custode del Redentore,e sposo della Vergine Maria.A te Dio affidò il suo Figlio;in te Maria ripose la sua fiducia;con te Cristo diventò uomo.

O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi,e guidaci nel cammino della vita.Ottienici grazia, misericordia e coraggio,e difendici da ogni male. Amen.

(Preghiera finale della Lettera apostolica Patris corde)

20La preghiera

{ papa Francesco }

Periodico di informazione dell’Unità Pastorale Schio est, S. Croce – SS. Trinità – PianeAut. Tribunale di Vicenza n. 288 dell’11.10.1972

Direttore responsabileStefano Tomasoni

Passi Nuovi

Comitato di redazionedon Guido Bottegal, don Domenico Pegoraro, don Loris Faggioni, Camilla Mantella, Mariano Nardello, Annalisa Pan, Mario Ruzzante, Ivonne Valente, Franco Venturella.

Grafica e impaginazioneAlessandro Berno

Stampa Grafiche Marcolin, Schio

email: [email protected]

Questo bollettino si trova anche, in versione digitale, nel sito di Santissima Trinità: http://www.santissimatrinita.it

Opera di Giuseppe Cordiano