Parrocchia di Monigo FOGLIETTO PARROCCHIALE · 2019-11-16 · Parrocchia di Monigo FOGLIETTO...

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Parrocchia di Monigo FOGLIETTO PARROCCHIALE a. XX n° 44 - 17 novembre 2019 In internet: www.parrocchiamonigo.com - Parroco: 3472631330 Beati gli affamati e assetati di giustizia: di essi è il Regno dei cieli. Donne coraggiose che lottano anche per noi europei, sempre più vecchi e paurosi. Zehra Dogan è una giovane arsta reclusa in una prigione turca. La sua colpa? Un dipinto fao contro violenza e soprusi sul suo popolo. Ora le hanno tolto pennarelli e ogni altro strumen- to. Ma lei non smee. Usa cibo, bevande e sangue mestruale per raccontare su fogli l angoscia dei curdi Dietro le alte mura di una prigione turca, dentro una sof- focante cella con 40 persone ammassate, una minuta ragazza riesce a trovare lo spazio fisico e mentale per dipingere. La ventottenne Zehra Dogan, pittrice- giornalista e attivista per i diritti delle donne curde, non lo fa con gli strumenti canonici. Deve usare i lunghi capelli, le dita sottili e il proprio sangue per dipingere il terro- re della popolazione curda di fronte alle devastazioni dell’artiglieria. Armi pesanti, usate a tappeto negli ulti- mi tre anni dall’esercito turco nella vasta zona sud orientale della Mezzaluna, più nota come Kurdistan turco, contro il Partito dei lavoratori curdo (il Pkk fonda- to da Ocalan). A soffrire e morire soprat- tutto i civili, intrappolati nelle città asse- diate dai carriarmati e zeppe di cecchi- ni. Da quando, nel giugno scorso, la Corte d’Appello l’ha condannata a quasi tre anni di detenzione nella prigione di Diyarbakir - dopo aver passato già 6 mesi in carcera- zione preventiva- a Zehra è stato proibito l’uso di pen- nelli e colori, oltre al computer e alla macchina fotografi- ca. Le “armi” con le quali da anni questa donna turca di et- nia curda sta tentando, assieme ad altri intellettuali e giornalisti turchi tra i quali il compagno Onur Erdem, di contrastare la deriva autori- taria del presidente Recep Tayyip Erdogan. Oggi la Turchia è la nazione del pianeta con più giornalisti in carcere. La sentenza contro Zehra però è unica per accanimento e mostra un ulteriore livello di ritorsione perpetrato da uno Stato contro un proprio cittadino. È stato l’artista inglese Banksy a rendere nota la sua storia all’opinione pubblica at- traverso uno dei suoi provocatori murales. Fino ad allora era rimasta sconosciuta. Il suo arresto e la sua detenzione si sono però configurati fin dall’inizio come una violazione dei diritti umani inedita e scandalosa. Nella storia contemporanea, infatti, non era mai succes- so che una persona venisse privata della libertà perso- nale per aver realizzato un solo dipinto: quello in cui raf- figura le rosse bandiere turche che sventolano sulle ma- cerie di Nusaybin, città a maggioranza curda. Secondo i fedelissimi del “Sultano”, il dipinto avrebbe messo in pericolo alcune operazioni militari. Non solo: il magistrato ha aggiunto che da questo si deduce che Dogan è una sostenitrice del Partito del Pkk. Non un membro, una terrorista, come aveva sentenziato il giudi- ce di primo gra- do. Ma l’alleggeri- mento della pena non ha smosso i responsabili del penitenziario do- ve è rinchiusa da 12 mesi, anzi: a Diyarbakir (tra l’altro la sua città natale), non le è permesso introdurre né libri né pastelli. Restrizione aggi- rata da Zehra grazie alla sua forza d’animo e creatività. Attraverso le bevande, il cibo e il proprio sangue me- struale è riuscita a ricavare colori per raccontare su fogli l’angoscia dei curdi. Se non le fosse impedito dall’autorità carceraria conti- Il murale dell’artista inglese Banksy fatto per Zehra Dogan Nel sito trovate un’intervista e materiale fotografico delle sue opere

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Parrocchia di Monigo FOGLIETTO PARROCCHIALE a. XX n° 44 - 17 novembre 2019

In internet: www.parrocchiamonigo.com - Parroco: 3472631330

Beati gli affamati e assetati di giustizia:

di essi è il Regno dei cieli.

Donne coraggiose che lottano anche

per noi europei, sempre più vecchi e

paurosi.

Zehra Dogan è

una giovane artista reclusa in una prigione turca. La sua colpa? Un dipinto fatto contro violenza e soprusi sul suo popolo. Ora le hanno tolto pennarelli e ogni altro strumen-to. Ma lei non smette. Usa cibo, bevande e sangue mestruale per raccontare su fogli l’angoscia dei curdi

Dietro le alte mura di una prigione turca, dentro una sof-focante cella con 40 persone ammassate, una minuta ragazza riesce a trovare lo spazio fisico e mentale per dipingere. La ventottenne Zehra Dogan, pittrice-giornalista e attivista per i diritti delle donne curde, non lo fa con gli strumenti canonici. Deve usare i lunghi capelli, le dita sottili e il proprio sangue per dipingere il terro-re della popolazione curda di fronte alle devastazioni dell’artiglieria. Armi pesanti, usate a tappeto negli ulti-mi tre anni dall’esercito turco nella vasta zona sud orientale della Mezzaluna, più nota come Kurdistan turco, contro il Partito dei lavoratori curdo (il Pkk fonda-to da Ocalan). A soffrire e morire soprat-tutto i civili, intrappolati nelle città asse-diate dai carriarmati e zeppe di cecchi-ni.

Da quando, nel giugno scorso, la Corte d’Appello l’ha condannata a quasi tre anni di detenzione nella prigione di Diyarbakir - dopo aver passato già 6 mesi in carcera-zione preventiva- a Zehra è stato proibito l’uso di pen-nelli e colori, oltre al computer e alla macchina fotografi-

ca. Le “armi” con le quali da anni questa donna turca di et-nia curda sta tentando, assieme ad altri intellettuali e

giornalisti turchi tra i quali il compagno Onur Erdem, di contrastare la deriva autori-taria del presidente Recep Tayyip Erdogan.

Oggi la Turchia è la nazione del pianeta con più giornalisti in carcere.

La sentenza contro Zehra però è unica per accanimento e mostra un ulteriore livello di ritorsione perpetrato da uno Stato contro un proprio cittadino. È stato l’artista inglese Banksy a rendere nota la sua storia all’opinione pubblica at-traverso uno dei suoi provocatori murales. Fino ad allora era rimasta sconosciuta. Il

suo arresto e la sua detenzione si sono però configurati fin dall’inizio come una violazione dei diritti umani inedita e scandalosa. Nella storia contemporanea, infatti, non era mai succes-so che una persona venisse privata della libertà perso-nale per aver realizzato un solo dipinto: quello in cui raf-figura le rosse bandiere turche che sventolano sulle ma-cerie di Nusaybin, città a maggioranza curda. Secondo i fedelissimi del “Sultano”, il dipinto avrebbe messo in pericolo alcune operazioni militari. Non solo: il magistrato ha aggiunto che da questo si deduce che Dogan è una sostenitrice del Partito del Pkk. Non un membro, una terrorista, come aveva sentenziato il giudi-

ce di primo gra-do.

Ma l’alleggeri-mento della pena non ha smosso i responsabili del penitenziario do-ve è rinchiusa da 12 mesi, anzi: a Diyarbakir (tra l’altro la sua città

natale), non le è permesso introdurre né libri né pastelli. Restrizione aggi-rata da Zehra grazie alla sua forza d’animo e creatività. Attraverso le bevande, il cibo e il proprio sangue me-struale è riuscita a ricavare colori per raccontare su fogli l’angoscia dei curdi.

Se non le fosse impedito dall’autorità carceraria conti-

Il murale dell’artista inglese Banksy fatto per Zehra Dogan

Nel sito trovate un’intervista e materiale

fotografico delle sue opere

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nuerebbe anche a scrivere arti-coli, come faceva per l’agenzia Jihna, chiusa con il suo arresto.

Avevo conosciuto Zehra e Onur nel 2013, durante la rivolta di Gezi Park, quando 4 milioni di persone scesero per le strade per protestare contro la politica fascio islamista del Sultano. La-vorava e viveva tra le sedi di Istanbul e di Diyarbakir dell’a-genzia, portale di informazione da lei fondato, scritto da donne per le donne curde.

Quando venne arrestata, la pri-ma volta nel 2016, si trovava in un locale da thè nella periferia di Nusaybin. «In pieno giorno: il motivo dell’arresto non poteva essere la violazione del coprifuoco in vigore, ma non le era passato lontanamen-te per la testa che il reato fosse stato l’aver copiato con carboncino e matite colorate una foto della distruzione della città curda vista su Internet», spiega Erdem da Londra, dove è stato costretto a trasferirsi dopo la chiu-sura del giornale per cui lavorava e a una denuncia per diffamazione nei confronti dello Stato, leggasi Erdogan. I poliziotti arrivarono alcune settimane dopo che lei ave-va diffuso sui social network la riproduzio-ne. Le nuove opere frutto delle deprivazioni a cui è sottoposta sono visibili solo grazie al-le foto che il compagno ha realizzato durante le visite trimestrali. «L’ultima volta, dopo l’iniziativa di Banksy, Zehra e le altre detenute per ragioni politiche erano rin-cuorate. Pochi giorni prima una di loro si era suicidata. Zehra è coraggiosa e combattiva, ma le condizioni di vi-ta sono davvero difficili».

Le è permesso telefonare una volta alla settimana per pochi minuti e ricevere visite una volta al mese da parte di familiari stretti. Che Zehra Dogan sia difficile da piegare si comprende anche dalla nota scritta in attesa del secondo verdetto: «Voglio ripetere l’insegnamento di Picasso: “Pensi dav-vero che un pittore sia semplicemente una persona che usa il suo pennello per dipingere insetti e fiori?”. Nessun artista volta le spalle alla società; un pittore deve usare il suo pennello come arma contro gli oppressori. Nemme-

no i nazisti perseguirono Picasso per i suoi dipinti: io in-vece sono a giudizio a causa delle mie opere». Zehra è rimasta in carcere fino a marzo di quest’anno. Ora deve vivere in esilio.

Aiutarli a casa propria: Il Cuamm

Da settant’anni, Cuamm invia medici nel continen-te e, dal 2017, ha garantito quasi 190mila parti. Don Dante Carraro: ogni giorno incontriamo ingiu-

stizie ma anche tante energie, rompiamo il muro

Ecco l’altra Italia. Che non alza i muri nel Me-diterraneo e non odia, ma va ad aiutare le persone più vulnerabili mettendosi in gioco per mesi o anni soprattutto nell’ultimo miglio,

i villaggi più remoti. Perché la parola d’ordine di Medici con l’Africa Cuamm è da 70 anni solidarietà. Ieri al tea-tro Verdi di Firenze si è tenuto il tradizionale meeting an-nuale dell’Ong sanitaria di ispirazione cristiana (la differi-ta dell’evento stamane alle 10 su Tv2000 condotta da Piero Badaloni) incentrato sul progetto quadro per cui si sono impegnati per 5 anni: prima le mamme con bambi-ni. I risultati li spiega il direttore, don Dante Carraro.

«Siamo arrivati a garantire, anche con tagli cesarei e trasfusioni dal 2017 a oggi, 188.829 parti assistiti in dieci ospedali sparsi in sette Paesi. L’obiettivo su cinque anni è aiutare 320mila mamme e far nascere altrettanti bam-bini. Siamo in tabella di marcia. Abbiamo in cura 7.199 bambini malnutriti acuti e garantito 823.553 visite medi-che alle donne prima e dopo il parto. Questi progetti si possono fare solo coinvolgendo le persone e le istituzio-

È stato girato un

docufilm italiano:

“Terroriste. Zehara e le altre”

che racconta la repressione

del governo turco di Erdogan.

Fatto da una squadra tutta al femminile,

racconta le storie di tre donne corag-

giose, ingiustamente incarcerate e

accusate di terrorismo: un’artista, una

scrittrice e un medico.

Si tratta di Zehra Doğan, Asli Erdoğan e

Şebnem Korur Fincanci.

La loro colpa? Avere appoggiato la cau-

sa curda.

Viene proiettato a Roma in questo wee-

kend e speriamo arrivi anche qui.

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Noi all’ingresso dell’ospedale di Ashotsk con p. Mario ed Eliza due anni fa

ni ». E il Cuamm con la sua credibilità riesce a coinvol-gere ogni livello della società, dalle fondazione bancarie alle istituzioni, con 31 gruppi di appoggio sul territorio nazionale e quasi 4mila volontari. Inoltre ha formato 5.521 operatori in loco. E lavora “con” l’Africa.

«Ogni giorno incontriamo un’Africa diversa – prosegue don Dante – dove ci sono ingiustizie ma anche tante energie e desiderio di essere protagonisti. Dobbiamo rompere questo muro in cui il nostro vicino di casa sem-bra una disgrazia infinita e non invece una straordinaria opportunità». Ad esempio Cuamm offre da anni agli spe-cializzandi in medicina una sorta di Erasmus sul campo in accordo con le facoltà. E la risposta dei giovani medici è in crescita. Mattia Fattorini, toscano, è stato in Angola da aprile ad ottobre 2018. Quattro giorni fa si è specializ-zato in igiene e medicina preventiva con tesi sull’espe-rienza. «Mi sono occupato di vaccinazioni proprio men-tre in Italia divampava la polemica no vax. E in Angola abbiamo vaccinato il 30% in più, un para- dosso. Appe-na riuscivamo a far capire alle mamme, che parlavano i dialetti locali, l’importanza di prevenire malattie mortali come il morbillo, correvano da noi. Ci tornerò? Certo».

Chi è tornato tanti anni dopo la specializzazione è Gio-vanni Torelli, romano, internista ed ematologo di 52 anni, partito 3 anni fa per la Tanzania con la moglie, anestesi-sta e i quattro figli dai 3 agli 11 anni. «Avevamo mante-nuto i contatti – spiega – abbiamo preso l’aspettativa e ci siamo trasferiti nella regione rurale di Iringa, in un centro sanitario diocesano nel quale l’Ong è radicata facendo formazione al personale sanitario locale e ai medici ita-liani». Mentre in Italia c’è un medico ogni 253 persone, in Tanzania la proporzione è uno ogni 33mila. «Ma que-sto popolo ha un’energia che noi non abbiamo più di fronte a problemi enormi. La chiusura in Italia dovuta alla paura e fa male anzitutto a noi stessi». Torelli dalla scorsa estate si è spostato a Dar es Salaam per diventare responsabile dei progetti. Doveva entrare in servizio anche Damiano Cantone, sopravvissuto nel 2018 a un terribile incidente aereo in Sud Sudan in cui sono morte 20 persone. «Il filo che ci separa tra salvare e l’essere salvati è sottile. In un attimo mi sono ritrovato da medico a paziente, salvato da ragazzi sud sudanesi ». Sulla vicinanza alle periferie globali dei medici del Cuamm ha insistito l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, che, con il sndaco Nardella, ha sottoli-neato l’antica tradizione di solidarietà della città. Mentre il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti ha spronato i giovani al dialogo con l’Africa: «Oggi ne ab-biamo tanti bravissimi per gli oratori, ma c’è troppa aria di casa. Giorgio La Pira parlava di “Eurafrica”. Chi sta

dall’altra riva del mare non è un rivale, ma un fratello, un amico, una persona da sostenere».

Paolo Gentiloni, Commissario europeo agli Affari econo-mici ha ribadito l’impegno Ue. «Investiremo 40 miliardi in più nei prossimi sette anni. Gli aiuti pubblici però non so-no sufficienti, serve un patto con l’Africa, cresciuta con percentuali asiatiche eppure il tasso della povertà non si sta riducendo con lo stesso ritmo. I paesi europei do-vrebbero smettere di cercare i propri interessi geopolitici. Usiamo la qualità che l’Europa può dare alla cooperazio-ne allo sviluppo anche grazie a volontariato e Ong».

Infine Emanuela Del Re, vice Ministro per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, che guarda al modello Cuamm «per produrre sviluppo sostenibile a lungo ter-mine. Bisogna creare un sistema, costruire insieme all’Africa il futuro delle persone. E ogni persona conta».

Ma l’Africa non è solo migrazioni e povertà

Il primo rapporto Amref Health Africa sui massmedia mostra la difficoltà nel far conoscere il patrimonio umano africano. Solo il 2,4% delle notizie date in TV e giornali parla dell’Africa e quasi tutte riguardano l’immigrazione. Un racconto ansiogeno che genera paure o una visione ap-piattita e senza speranza All’Africa vengono associate, nell’ordine, l’immigrazione via mare, la chiusura dei porti, l’applicazione del decreto sicurezza e relative azioni nei confronti delle Ong, il con-trollo delle frontiere: tutte questioni che nel 2019 hanno dominato le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei notiziari insieme alle riflessioni sugli episodi di intolleran-za e razzismo. L’Africa si ferma alla Libia, appare solo qualche sprazzo di Africa orientale. Poco o nulla si parla degli Stati del Corno, l’oppressa Eritrea e la dilaniata So-malia, nonostante siano ancora italofone. Non esiste distinzione tra cittadini di Paesi fra loro lonta-ni per lingue, religioni e culture: la semplificazione me-diatica appiattisce tutti gli africani in una sola provenien-za e li accomuna nella situazione del 'viaggio' e nello status omogeneo e 'definitivo' di migrante. Troppo penalizzata la voce 'volontariato, non profit e solidarietà', relativa alle attività e agli interventi umani-tari e all’estero, che di fatto non entra nell’agenda dei notiziari. La fiducia nelle organizzazioni non governa-tive è passata dall’80% del 2010 al 39% di oggi. E adesso solo il 22% degli italiani pensa che siano mosse da intenti umanitari, mentre il 56% le giudica ispirate da scopi economici. Non giovano a migliorare la narrazione le immagini a

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S. Messe Calendario della vita parrocchiale

Domenica 17 XXXIII T.O.

8.00 - 9.00

11.00

Lunedì 18 -

Martedì 19 9.00

Mercoledì 20 18.30

Giovedì 21 18.30 Presentazione di Maria vergine

Venerdì 22 9.00 S. Cecilia

Sabato 23 18.30

Domenica 24 Cristo Re

8.00 - 9.00

10.30 S. Cresima ore 10.30

corredo dei servizi sull’Africa 'là', identificate dal dossier in cinque categorie ricorrenti che rafforzano nell’immagi-nario miti e stereotipi sul continente africano: luoghi arre-trati e inospitali, moltitudini minacciose che tendono ad alimentare il concetto di sovraffollamento e di terra sen-za speranza, animali selvaggi, volti e sguardi e simboli che alimentano il mito della mancanza di progresso, del presente. Da tempo Amref ha lanciato nel nostro Paese la sfida di una comunicazione positiva sull’Africa e gli africani e ha redatto un decalogo per i comunicatori – evidente-mente poco conosciuto – non per negare problemi e og-gettive difficoltà, ma per restituire al dibattito dignità e dati di realtà e concretezza. E tra i consigli, quello di pro-vare a ragionare sulle ripercussioni che le vicende afri-cane possono avere in chiave italiana e quello di conso-lidare la visione di un’Africa come 'terra delle solu-zioni', non solo di questioni insolubili. O quello di in-cludere la voce e le idee degli opinionisti africani e non utilizzare strumentalmente immagini di bambini africani per non incorrere in sensazionalismo e pietismo. Punti

spesso disattesi dall’informazione italiana con esiti poco efficaci. «Gli sguardi smarriti di bambini malnutriti e biso-gnosi, in condizioni di povertà estrema, o di quelli salvati dallo sfruttamento e da un destino di guerra accompa-gnano l’immaginario collettivo di un’Africa che senza aiu-ti occidentali non riesce a curare e proteggere i propri figli e offrire loro un’infanzia dignitosa. Ne risulta, o si raf-forza, una visione dell’Africa come luogo inospitale, cri-stallizzato in un eterno presente, senza progresso». È insomma il momento di metterci al passo con i media oc-cidentali più avanzati. Non serve una rivoluzione, ma giornalismo che racconti fatti e selezioni personaggi inte-ressanti. E quindi non parlare più di una sola 'Africa', ap-piattendo un continente complesso con 54 Stati, oltre un miliardo di abitanti e 46.200 miliardi di dollari di risorse minerarie spesso depredate. Con il 12% di questa incre-dibile somma il continente nero potrebbe finanziare tutte le infrastrutture di cui ha bisogno. Dunque è tempo di giustizia anche nei media, scoprendo le storie delle tante 'Afriche' e il loro patrimonio umano.

Restauro pala dell’altare

La pala dell’altare dell’Orioli è stata rimossa per restauro, viste le condizioni precarie della te-

la. Ho approfittato di un’occasione favorevole, fatto dalla stessa restauratrice che si occuperà

degli affreschi di S. Anna (Elena Dal Moro). Il lavoro infatti verrà a costare poco più di

3.000€. Fino a non molti anni fa sarebbe costato tre volte tanto.

Confido nella generosità dei parrocchiani e nelle loro offerte.

È possibile anche scaricare l’IVA .

MERCATINO S. VINCENZO SABATO 30 NOVEMBRE

Sabato 30 novembre inizia il catechismo per la 2° elementare al sabato ore 14.30

Domenica 1 dicembre inizia il catechismo per la 1° elementare alle ore 10, prima della Messa.