Parole Oscene
description
Transcript of Parole Oscene
Fabio Rossi
Parole oscene
Treccani
2011
2
1. Definizione
Una lingua possiede generalmente un corredo
di parole ritenute a vario titolo proibite o sconvenienti
(dette usualmente parolacce), utilizzate a volte, in
chiave metaforica, come insulti o imprecazioni,
oppure con funzione ludica o sarcastica (le parolacce
sono da sempre un ingrediente fondamentale della
letteratura comica), e altre volte quasi del tutto
svuotate del significato originario, come mere
interiezioni o intercalari. Le sfere semantiche
preferibilmente scelte per gli insulti sono quelle
sessuale e scatologica (cioè attinente all’escrezione),
3
cioè gli ambiti che più d’ogni altro la società tende a
rimuovere in quanto connessi con la fisicità più
concreta, ma anche con l’origine stessa dell’essere
umano e con la sua morte.
Le parole ritenute oscene, benché siano
proprie dei registri più informali, popolari e talora
volgari dell’italiano, non di rado sono usate in opere
di alta dignità letteraria, come dimostrano le numerose
citazioni d’autore, antiche e moderne, che seguono.
Naturalmente la circolazione delle parole oscene in
una lingua aumenta con il crollo delle barriere
censorie. In Italia, il cinema, la televisione, la canzone
e più timidamente i giornali dalla fine degli anni
Settanta del Novecento mostrano un innalzamento
della frequenza di parole tabu (Nobili 2007). Riserve
ben maggiori sono tuttora suscitate dalle bestemmie,
che però sempre più spesso si incontrano, per es. al
cinema.
4
Diverso il caso della letteratura, le cui maglie
censorie sono quasi sempre meno fitte di quelle dei
mass media. Per questo, soprattutto nel Novecento, la
letteratura italiana e straniera, da James Joyce a Henry
Miller, da Pier Paolo Pasolini a Pier Vittorio
Tondelli, annovera numerose opere contenenti
un’ampia gamma di parole oscene.
5
2. La sfera sessuale
Alla sfera sessuale fanno capo molte
espressioni: andare (o mandare) a farsi fottere (o a
fare in culo: «i collegamenti, al solito, dopo dieci
minuti se ne vanno a farsi fottere», Carlo Emilio
Gadda), fottersene, fottuto («la loro causa è fottuta»,
Vincenzo Monti); vaffanculo!; bocchinara, bocchino,
ciucciacazzi o succhiacazzi, pompinara, pompino;
buggerare («si può sapere qualche cosa di quel che si
fa e di quel che si buggera in questa casa?», Emilio
De Marchi); buscherare; fregare, fregarsene, frego;
impiparsene («la gente [...] si contentava di guardargli
in viso, con un’aria, come si dice, di me n’impipo»,
Alessandro Manzoni); sbattersene.
6
Molti termini rimandano alla prostituzione:
bagascia, baldracca («se la fortuna baldracca non ce
l’avesse avuta a morte con lui», Giovanni Verga),
battona, figlio di puttana (o di mignotta, ecc.: «figliol
de una puttana, rinegato!», Matteo Maria Boiardo),
mignotta, puttana, puttanata, sputtanare («di dischi
letterari dirige una collana, / e in vari altri modi si
sputtana», Tommaso Landolfi), troia, troiaio, zoccola;
bordello («il mondo letterario di Milano, con
incredibile scandalo pubblico, è ridotto a un vero
bordello», Monti), casinaro, casinista, casino,
casotto, incasinare; magnaccia, pappone.
Il nome degli organi sessuali produce una
ricchissima serie lessicale (interdizione e irradiazione
sinonimica sono direttamente proporzionali): sono
connesse a cazzo («sono guarito e sano come un
pesce, in grazia dell’aver fatto a modo mio, cioè non
aver usato un cazzo di medicamenti», Giacomo
Leopardi) cacacazzi o cacacazzo; cappella; cazzata,
7
cazziatone, cazzone, faccia da cazzo, incazzarsi («tu
con quella storia di Marcello mi fai sempre
incazzare», Dino Buzzati), incazzatura, incazzoso,
testa di cazzo (o di minchia); da minchia derivano
minchiata, minchionaggine, minchionare, minchione
(«oh che vecchio minchione!», Carlo Goldoni); da
pirla, pirlata, pirlone; da coglione («la natura mi ha
dato un cuore tanto coglione che alla prima parola
dolce si arrende», Monti), coglioneria, coglionare
(«non mi resta che il desiderio di non farmi
coglionare», Giuseppe Giusti), coglionata, prendere
in coglionella, rincoglionito, rompere i coglioni (o le
scatole o le palle – e, per influenza settentrionale, le
balle – o gli zebedei); da culo («ma son un che v’ho in
culo a tutta botta», Alessandro Tassoni) derivano
faccia da (o di) culo (o come il culo), inculare,
inculata, leccaculo, paraculo, sculato; sono connessi
a fica (o, sempre più spesso oggi, per influenza
settentrionale, figa, da cui sfiga e sfigato), fregna,
fregnaccia, fregnone («è intelligente ma gran
8
fregnone», Massimo Bontempelli), frescaccia,
frescone, sorca; rompicazzo, rompicoglioni («mi sa
che lei è uno strano tipo di seccatore e
rompicoglioni», Riccardo Bacchelli), rompipalle,
rompiscatole, scassacazzi, scassaminchia,
spaccapalle.
Le metafore riguardanti gli organi sessuali
hanno una gamma di funzioni che spazia dall’offesa
all’elogio: «il pene è un jolly linguistico» che può
esprimere sorpresa (cazzo!), offesa (cazzone), elogio
(cazzuto), noia (scazzo, scazzato), rabbia (incazzato),
approssimazione (a cazzo: Tartamella 2006: 10), una
cosa da poco o una bugia (cazzata), ecc. Addirittura
superiore lo spettro semantico di culo, da «fortuna» a
«disappunto», ecc. Una certa (sebbene inferiore)
varietà si riscontra anche con altri termini del genere
(palloso, palla «bugia», avere le palle).
9
Le discriminazioni e i pregiudizi contro
l’omosessualità (soprattutto maschile) o la sessualità
indebolita o dubbia accomunano quasi tutte le lingue e
le culture e producono anche in italiano parole volgari
come: checca, culattone, finocchio, frocio, metterlo in
culo, prenderlo in culo, recchione, rotto in culo;
castronaggine, castrone, castroneria («conobbe di
esser per dire o di aver già detto qualche castroneria»,
Ippolito Nievo).
Naturalmente, la carica di un insulto non è
intrinsecamente legata alla forma o al registro delle
parole, bensì alle intenzioni dei parlanti e alla
relazione intercorrente tra l’insieme degli stereotipi e
dei pregiudizi connessi a un determinato concetto e il
loro sfruttamento a fini denigratori: dire di qualcuno
che è gay (magari con un paragone svalutativo: sei
viscido come un gay) può essere ben più offensivo
rispetto a termini ritenuti più volgari. Variamente
insultanti sono anche gli altri eufemismi del genere:
10
anormale, contro natura, dell’altra sponda, diverso,
effeminato, il disusato invertito, ragazzo di vita,
sodomita, vizietto. Proprio contro l’ipocrisia
dell’eufemismo che maschera (con presupposizione di
senso di superiorità) l’insulto e la discriminazione,
molto spesso gruppi sociali ritenuti marginali
rivendicano per sé il termine connotato come più
triviale, respingendo quello più eufemistico. È il caso
di queer (corrispondente al nostro checca), preferito a
homosexual e a gay, negli ambienti omosessuali
internazionali odierni, un po’ come il temutissimo (dai
bianchi) nigger è usato oggi orgogliosamente, e quasi
gergalmente (nigga), dalle comunità afroamericane:
deve essere il membro del gruppo a stabilire come
vuol essere appellato e nessun altro può arrogarsi il
diritto di imbellettargli (o comunque mediargli) la
realtà.
Strettamente legata al contesto d’uso e sociale
e all’intenzionalità è la punibilità delle parole
11
‘proibite’. Difficilmente la legge può sceverare le
parole di per sé offensive da quelle innocue: proprio
per questo la discrezionalità dei giudici è notevole in
simili casi, nonostante «30 fra leggi e articoli»
sanzionanti il turpiloquio e l’insulto, specie se rivolto
alle più alte cariche dello Stato, nota Tartamella
(2006: 102); e aggiunge:
In Italia dal 1999 la bestemmia non è più un
reato penale (è sanzionato con un’ammenda): segno
della laicità dello Stato. Ma l’impatto sociale della
bestemmia resta forte: nel 2004 Roberto “Baffo” da
Crema e Guido Genovesi sono stati cacciati dalla tv
per aver bestemmiato nei reality show “La fattoria” e
“Il grande fratello” (ivi, pp. 18-19)
Un’ultima serie di parole oscene rimanda alla
masturbazione, usata per stigmatizzare
metaforicamente persone e comportamenti legati
all’inettitudine e alla vanagloria: menarsela o
12
menarselo, tirarsela; pippa, pipparolo, sega,
mezzasega, segaiolo; sborrone (o sborone), venire,
venirsene.
Seguono i termini e le locuzioni principali
riconducibili alla sfera scatologica: cacare (e, per
influenza settentrionale, cagare), cacarella, cacarsi
sotto (o addosso: «e Castiglion fra le percosse mura /
sotto si cacherà de la paura», Tassoni), cacasotto,
cacca, cacone (e cagone); cesso; chiavica; farsela
sotto (o addosso); (pezzo di) merda («questo aver dato
fede a tuoi incantesimi e tue merde m’ha rovinato»,
Giovanni Maria Cecchi), merdaio, merdata; stronzata
(«l’ira, a sentire quelle stronzate, avrebbe potuto
travolgere addirittura un piccolo uccello da solo»,
Paolo Volponi), stronzo; piscia, piscialetto (o
piscialletto), pisciare, pisciarsi sotto (o addosso: «il
prete, mentre che costui diceva queste parole,
pisciandosi sotto per la paura si era ricoverato sotto il
letto», Agnolo Firenzuola), pisciasotto, piscione.
13
3. Eufemismi
Le imprecazioni vengono formulate
soprattutto mediante il ricorso a locuzioni ed
espressioni auguranti il male e si servono spesso di
parole tabu (e talora anche oscene), spesso nella
versione eufemistica: alla malora; che ti venga un
colpo (o uno sbocco di sangue), ti pigliasse (e sim.)
un canchero («ti venga il cacasangue, la febre, il
cancaro», Matteo Bandello), crepa; mannaggia (alla
miseria: «mannaggia a voi!», Luigi Pirandello);
muori. Oppure invocando una divinità (del bene o del
male), il cui nome è spesso deformato per tabu:
cribbio, Cristo (di Dio: «Cristo di Dio, non siete
14
pronti?», Italo Calvino); diamine, diavolo; perbacco,
perdiana, per Dio (o perdio: «perdio, s’è freddo! si
gela!», Giovanni Verga), per Giove, per la Madonna
(o per la madosca: «cos’è, per la madosca, questo
mortorio?», Carlo Bernari); porco due, porco qua
porco là, porco zio.
Altre espressioni: ostrega, per la miseria,
porca (o puttana) Eva, porca puttana (o mignotta),
porca l’oca, porca miseria, porco cane, porco mondo,
sacramento, sangue di Giuda, sangue di Bacco,
sangue di Dio, sangue d’un cane, sangue d’un turco.
Assai labile può risultare il confine tra
imprecazione e bestemmia, soggetto a oscillazioni in
base all’epoca, alla cultura e al luogo. È noto, per es.,
come in alcune regioni italiane, quali la Toscana o il
Veneto, la bestemmia, spesso svuotata di senso, sia
utilizzata quasi come esclamazione o intercalare, nel
parlato informale anche di persone colte. Alcune
15
espressioni, come per dio, comunemente utilizzate,
fino ai primi del Novecento, anche in testi letterari e
non avvertite come marcate, sono oggi considerate
sconvenienti.
Dato che le forme sopra citate sono colpite da
interdizione linguistica, sono di frequente sostituite da
eufemismi (Galli de’ Paratesi 1969), che vengono ad
assumere essi stessi connotazione oscena. Spesso, per
es., per designare gli organi sessuali si ricorre a
metafore, soprattutto del mondo animale o vegetale:
banana, cavolo, fava, farfallina, marroni, passera,
patata, pisello, topa, uccello. Anche la metonimia può
servire per costruire un eufemismo: amplesso, andare
a letto, dormire insieme; basso ventre; matrice,
natura. Numerosi gli eufemismi riferiti all’ambito
della prostituzione: bella di giorno, casa
(d’appuntamenti, di malaffare, equivoca), donna di
facili costumi, donna di vita, donnina allegra, escort,
fare il mestiere (più antico del mondo), fare la vita,
16
fare marchette, lucciola, mercenaria, meretrice,
passeggiatrice, peripatetica, prostituta, protetta,
ragazza squillo o squillo, segnorina o signorina, sex
worker o operatrice del sesso.
A volte un termine generico sostituisce la
parola oscena: coso o cosa. Si ricorre talvolta anche
all’uso di perifrasi generiche, costruite di solito con un
aggettivo o pronome dimostrativo o indefinito, per
designare eufemisticamente certe realtà tabu: certe
cose o quelle cose «atti sessuali»; una di quelle
«prostituta»; frequentare certi posti; andare (o
mandare) a quel paese o in quel posto, mandarci
(assol.: «se non la smetti ti ci mando!»), prender(se)la
in quel posto (o in saccoccia). Similmente, talora
soltanto un pronome allude all’oggetto o all’azione
innominabili: darla, metterlo, prenderlo, farlo. Anche
la semplice omissione può fungere da strategia
eufemistica e censoria, segnalata da una pausa
allusiva nel parlato e dai puntini sospensivi nello
17
scritto. Fino a non molti anni fa, anche opere letterarie
che contenevano termini o situazioni ritenuti scabrosi
venivano tagliate o parafrasate in edizioni dette
purgate (o espurgate). Celeberrima la «rassettatura»
del Decameron effettuata nel 1582 da Lionardo
Salviati.
La deformazione delle parole, mediante
sostituzione di uno o più fonemi, è tra le tecniche
eufemistiche più adottate: cacchio «cazzo»; cribbio
«Cristo», diamine «diavolo», dinci o dindirindina
«Dio», madosca «Madonna» (nelle bestemmie
parzialmente autocensurate). La deformazione può
dare luogo anche a una parola di senso compiuto, che
però è assunta soltanto per somiglianza fonetica, e non
semantica, con quella interdetta: kaiser «cazzo»;
maremma «Madonna». In certe espressioni
cristallizzate, si può esprimere un concetto tabu
mediante il suo contrario (antifrasi): figlio di una
buona donna; andare (o mandare) a farsi benedire.
18
Spesso ai registri espressivi è assegnata una
particolare valenza eufemistica. Talvolta si crede che,
nominando un concetto tabu con un termine tecnico-
scientifico (o ritenuto tale) o burocratico o aulico,
l’effetto spiacevole di quel concetto si riduca:
amplesso, coito, pederasta. Stesso risultato si ottiene
col ricorso al linguaggio infantile in luogo dei termini
ritenuti troppo audaci in certi contesti: parlando a
tavola, o anche nella lingua della pubblicità, è più
frequente sentir dire fare pipì e fare popò piuttosto
che orinare e defecare, e questi ultimi, a loro volta, al
di fuori del linguaggio scientifico, vengono spesso
usati eufemisticamente in luogo di altri termini.
Analogamente per i diminutivi eufemistici degli
organi genitali: palline, passerina, patatina, pisellino,
pistolino, uccellino.
A volte l’uso di un termine di una varietà
regionale ritenuta più prestigiosa contribuisce ad
abbassarne la valenza di oscenità: accade con i già
19
citati settentrionalismi balle, cagare, sborone e, in
misura minore, figa. Lo stesso accade con le lingue
straniere, vive o morte: da fellatio a petting.
Come risulta dagli esempi finora addotti, il
concetto di eufemismo non è mai assoluto, bensì
sempre relativo al contesto, al registro e all’epoca. In
effetti, la storia della lingua mostra che parole nate
come eufemistiche (per es., perché metaforiche)
hanno poi mutato registro (spesso perché il valore
della metafora non viene più colto dai parlanti) e sono
state a loro volta interdette, provocando così la nascita
di nuovi eufemismi. È il caso, tra gli altri, dei termini
usati per mascherare la parola cesso, che in origine
designava, eufemisticamente, il luogo in cui ci si ritira
(dal lat. cedere). Viceversa, parole in origine
considerate volgari vengono oggi usate come
eufemistiche, in virtù della loro veste latineggiante o
comunque arcaizzante: meretrice era in origine assai
volgare, perché designava direttamente colei che
20
guadagna vendendo il proprio corpo (dal lat. merēre
«guadagnare»), mentre mignotta (dal fr. mignotte
«favorita») era all’origine un termine metaforico. Tale
ciclo eufemistico continuo è dunque una delle cause
dell’arricchimento del lessico. Alcune parole oscene
nascono in realtà come aggettivi etnici dapprima non
marcati, usati poi come insulto, con passaggio dallo
stereotipo al pregiudizio (il meccanismo è tuttora
tristemente produttivo, da zulu, a zingaro, a
extracomunitario; Pistolesi 2008): baldracca («di
Baghdad»); frocio (probabilmente «francese»);
buggerare (da bulgaro, popolo a cui si attribuivano
esecrabili usanze sessuali).
21
4. Gradi di oscenità
Non a tutte le forme sopra citate è assegnata la
stessa carica di oscenità e di interdizione.
Solitamente, le parole usate in accezione
metaforica vengono avvertite come meno volgari:
sicuramente fregare nel senso di «rubare» è
considerato meno triviale rispetto al senso originario
(peraltro ignoto a molti italiani) di «avere un rapporto
sessuale». Analogamente si dica per buggerare (la
sessualità anale funge spesso da metafora per il
lessico dell’imbroglio), casino, balla e altri.
22
Inoltre alcuni termini tendono talora a
svuotarsi di senso e ad essere usati come interiezioni,
segnali discorsivi, intercalari o intensificatori di
negazione o di interrogazione o espletivi di
esclamazione. Tipico è il caso di cazzo (e degli
eufemistici cacchio, cavolo e, nelle negazioni, tubo,
corno e altri): non me ne importa un tubo, che vita del
cavolo!
23
Studi
Galli de’ Paratesi, Nora (1969), Le brutte
parole. Semantica dell’eufemismo, Milano,
Mondadori.
Nobili, Paola (a cura di) (2007), Insulti e
pregiudizi. Discriminazione etnica e turpiloquio in
film, canzoni e giornali, Roma, Aracne.
Pistolesi, Elena (2008), La banalità dell’altro:
dallo stereotipo all’insulto etnico, in Migrazione e
identità culturali, a cura di S. Taviano, Messina,
Mesogea, pp. 227-238.
Tartamella, Vito (2006), Parolacce. Perché le
diciamo, che cosa significano, quali effetti hanno,
Milano, Rizzoli.