Panorama Impos - Prima - Ultima · finanziario della Repubblica di Croazia e della Repubblica di...

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Panorama 1 Panorama Panorama www.edit.hr/panorama www.edit.hr/panorama Anno LV - N. 21 - 15 novembre 2008 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401 Anno LV - N. 21 - 15 novembre 2008 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401 USA, la svolta USA, la svolta fra illusioni fra illusioni e speranze e speranze

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Panorama 1

PanoramaPanoramawww.edit.hr/panoramawww.edit.hr/panorama

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USA, la svoltaUSA, la svolta fra illusionifra illusioni e speranzee speranze

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2 Panorama

Che Guevara: Che Guevara: l’album di l’album di famiglia raccontafamiglia racconta

iiiiiiiiiiiiiivivivivviv llllllllllllllllllllolooloolloluzuzuzuzuziiiiiiiiiiiiiiiiiiioioioioioionanananana iiiiiiiiiiiriririririooooo, mmmm m ddddddddddddddededededediiiiiiiiiiiiicicicicicoooooooo, ssss soossoosososttttttttetetetete iiiiiiiiiiiiiiiiinininnininittttototototorerererere dddddddddddddddddddddddd d iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiieiieieiieeiieiei ddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddddd diiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiririiiriririiiiiiiiititititititit iiitititititi dddddddd d iiiieieieieieieieie poveri ed emarginati, vittima esemplare. Primaaaaa

aaaanaa cora però un bambino come tanti altri, che creb---bbbbbbbebbbbbb e maturò in una famiglia argentina. A ricordareeee EEEErE nesto Che Guevara, a ottant’anni dalla nascita, cciiihhhhhahh pensato anche Capodistria con un mostra pro---mmmmmmommm ssa dal “Festival estivo del Litorale” e allestitaaaa nnnnnnen l Museo regionale. Il bambino è ripreso assiemeeee aaaai genitori e ai fratelli, in quella che s’usa defi nire laaaa sssspss ensierata quotidianità. All’inaugurazione, avve---nnnnnunnnn ta il 24 ottobre, erano presenti la sorellastra dottt.. MMMMMaMMMM ria Victoria, e Ana Erra Guevara Linch, la se---cccccocc nda moglie del padre, che hanno scelto le imma---ggggggiggggg ni e proposto l’ossatura dell’esposizione. Signifi ---ccccacccccc tive, in specie, le dichiarazioni di Maria Victoriaa,,, vvvvvvvevvv nuta al mondo quattro anni dopo la morte di Err---nnnnnnenn sto, che, ha detto, in ogni incontro pubblico ine----vvvvvivvvvvvv tabilmente si sente posta dettagliatamente a con----ffffrfrff onto con la fi gura del fratello.

(F( oto di Dare Čekeliš)š)š))š))))))š))))))))))

Un momento di lettura: il libro accomuna Ernesto,Un momento di lettura: il libro accomuna Ernesto, le sorelle e la mammale sorelle e la mamma

La lettura, una passione a cui cedevaLa lettura, una passione a cui cedeva spesso e volentierispesso e volentieri

Ernesto undicenneErnesto undicenne con il padre nella Pampacon il padre nella Pampa

de Achala (1937)de Achala (1937)

La visita a Lubiana con una “missione cubanaLa visita a Lubiana con una “missione cubana di buona volontà” nel 1959di buona volontà” nel 1959

La sorellastra Maria Victoria e la secondaLa sorellastra Maria Victoria e la seconda moglie del padre di Ernesto, Ana Erra Guevaramoglie del padre di Ernesto, Ana Erra Guevara

Lynch, all’inaugurazioneLynch, all’inaugurazione

Il Che davanti a una macchi-Il Che davanti a una macchi-na da scrivere. Nel suo zainona da scrivere. Nel suo zaino portava sempre qualche libroportava sempre qualche libro di poesia e un quaderno su cuidi poesia e un quaderno su cui stendeva lunghe annotazionistendeva lunghe annotazioni

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Panorama 3

In primo pianoIn primo piano

Macché FMI! Congeleremo

le paghe!Fino a qualche giorno fa il

governo di Zagabria si è fatto in quattro per dire che sì, insomma, la crisi mondiale si sarebbe riper-cossa anche da noi, ma tutto som-mato con un’intensità facilmen-te controllabile. Il peggio, conti-nuavano i messaggi, se lo sareb-bero dovuto sorbire le economie dell’Occidente avanzato, USA in testa, data la loro improvvida ten-denza alle speculazioni campate in aria e a un’incontenibile sete di guadagno. Noi, evidentemen-te, ci eravamo comportati con coscienza e serietà, senza fare il passo più lungo della gamba, per cui eravamo al sicuro. Tanto al si-curo da respingere l’idea di rivol-gerci al Mondo monetario per es-sere aiutati. Fino a a qualche gior-no fa, come detto, perché ora que-sto stesso governo che, per dire, sta dilapidando un patrimonio per costruire quell’inutile opera chia-mata ponte di Sabbioncello, pare deciso tutto d’un colpo a ricorrere a una fra le misure maggiormen-te temute dall’opinione pubblica: il congelamento delle paghe. Un segno palese che quello che sta per arrivare non è affatto una ca-rezza un po’ più rude, ma una di quelle sventole che ci stenderà a terra e di cui serberemo un lungo e ingrato ricordo. Congelamento delle paghe, si badi, e non anche dei prezzi, perché tanto, anche se venisse decretato, come l’espe-rienza insegna, non viene mai ri-spettato. Scenario previsto dun-que: paghe ferme, carovita in rial-zo, restrizione dei consumi, ecc., e preghiamo il cielo che non sia peggio.

Costume Costume e scostumee scostume

La richiesta a Radio Fiume di abolire o ridurre le trasmissioni

Qui non si parla italianoTroppe trasmissioni in italia-

no a Radio Fiume? A sentir-si offeso e disturbato, e quasi

sicuramente mosso da una sacra vo-lontà della massima equipazione fra gli uomini, un’uguaglianza di stam-po russoviano, per intenderci, è sta-to l’ascoltatore che si è rivolto ve-nerdì scorso per lettera al conduttore di una trasmissione mattutina piutto-sto seguita, sostenendo che le quat-tro trasmissioni quotidiane (ciascuna della durata di qualche minuto, mu-siche comprese, in onda da lunedì al sabato) si sarebbero dovute abolire. Perché si chiedeva, mosso sempre dal supposto sacro fuoco egalitario, gli italiani potevano avere dalla ra-dio un trattamento preferenziale di cui le altre minoranze presenti in cit-tà - e seguiva una loro tassativa elen-cazione - ne erano prive? Italiani a Fiume, precisava ancora con punti-glio, perché di certo quelli che vivo-no in Italia queste trasmissioni non le ascoltano. Ma se di italiani di Fiume si tratta, chiosava, non erano forse questi cittadini in grado di compren-dere il croato? Trasmissioni dunque da ridurre o sopprimere, mettendole generosamente in onda al massimo una volta al giorno o durante la sta-gione turistica, si suppone per venire incontro agli italiani-italiani e non, come ora, quale eslcusivo privilegio degli italiani-fi umani.

A conclusione del messaggio, lo scrivente, le cui generalità, a diffe-renza del contenuto della lettera, non sono state comunicate al pubblico in ascolto, si rivolgeva direttamente al conduttore per rivolgergli il retorico interrogativo se anch’egli non fos-se dell’avviso che il comportamento dell’emittente costituisse una viola-zione dei diritti dell’uomo.

Non ci vuol davvero molto a ca-pire la differenza tra i fi ni asseriti e quelli realmente perseguiti da un messaggio di questo tipo. Già l’op-zione alla lettura pubblica di un mes-saggio del genere non può non lasci-re perplesso, ossia già a questo pun-to, come si suol dire, la misura era colma, per non dire traboccante, per

cui poteva bastare. Poteva, ma non è bastato. In risposta, il giornalista ha detto, lapidariamente, ma inequivo-cabilmente, che anch’egli la pensava in questo modo.

Con indubbio sollievo di chiun-que si consideri persona di una certa intelligenza e lungimiran-za, vi sono state immediate rea-zioni di ascoltatori che hanno sup-portato le trasmissioni e contesta-to lo scrivente che aveva mostrato, a dir poco, una traboccante suppo-nenza probabilmente fingendo di ignorare tutto l’humus su cui cre-sce la pianta chiamata presenza ita-liana a Fiume. Il verbo fingere ap-pare qui più che opportuno, è sem-mai carente nella sua espressività, in quanto è difficile credere che chi si accinge a un passo pubblico del genere non sia in possesso di cono-scenze più approfondite. Per bene che vada, dunque, siamo di fronte a un provocatore.

Subito dopo, nella sua prima tra-smissione successiva, la giornalista responsabile della redazione italiana ha espresso autorevolmente il disa-gio di questa parte dell’emittente per una presa di posizione inaccettabile anche se circoscritta al solo scriven-te, e degna quindi di tanta maggior re-criminazione per la sua condivisione da chi teneva il microfono. Nel 1945, ha ricordato, le prime parole pronun-ciate dalla neocreata emittente furo-no: “Ovdje Radio Rijeka, qui Radio Fiume”, un’espressione bilingue che esprimeva una presenza né esigua né di fresco stampo, ma basata su un’in-negabile autoctonia. In altri termi-ni, fra tutte quelle presenti in città, la sola autoctona è la minoranza italia-na, quella che un tempo era maggio-ranza.

Ma forse siamo di nuovo al par-larci addosso, tanto chi si dichiara pubblicamente contrario all’italiano quanto chi lo supporta esplicitamen-te non possono essere neppure lon-tanamente immaginare quanto siano vicini a quelli che in Italia settant’an-ni fa decidevano d’imporre a tutti di parlare solo l’italiano.●

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4 Panorama

SommarioN. 21 - 15 novembre 2008

www.edit.hr/panorama

PanoramaPanorama

IN COPERTINA: la vittoria di Obama: i festeggiamenti a Parigi nella foto di Lucio Vidotto

Ente giornalistico-editorialeEDIT

Rijeka - Fiume

DirettoreSilvio Forza

PANORAMA Redattore capo responsabile

Mario [email protected]

Progetto grafico - tecnicoDaria Vlahov-Horvat

Redattore grafico - tecnicoSaša Dubravčić

Collegio redazionale Bruno Bontempo, Nerea Bulva, Diana Pirjavec Rameša, Mario

Simonovich, Ardea Velikonja

[email protected]

Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 672-128. Telefax: 051/672-151, diretto-re: tel. 672-153. Diffusione e pubblicità: tel. 672-119 int. 27ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka)ISSN 1334-4692 Panorama (Online)TIPOGRAFIA: “Helvetica” - Ri jeka-Fiume, tel. 682-147ABBONAMENTI: Croazia: an nuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa); semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA inclusa); una copia kn 14,00 (IVA inclu-sa). Slovenia: annuale (24 numeri) euro 62,59 - semestrale (12 numeri) euro 31,30 - una copia euro 1,89. Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00 una copia: euro 1,89. VERSAMENTI: per la Croazia sul cc. 2340009-1117016175 PBZ Riadria banka d.d. Rijeka. Per la Slovenia: Erste Steiermärkische Bank d.d. Rijeka 7001-3337421/EDIT SWIFT: ESBCHR22. Per l’Italia - EDIT Rijeka 3337421- presso PBZ 70000 - 183044 SWIFT: PBZGHR2X.Numeri arretrati a prezzo raddoppiatoINSERZIONI: Croazia - retrocoper-tina 1.250,00 kn; retrocopertina interna 700,00 kn; pagine interne 550,00 kn; Slovenia e Italia retrocopertina 250,00 euro; retrocopertina interna 150.00 euro; pagine interne 120,00 euro.

PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzio-ne con il sostegno del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (Fiume-Capodistria) e l’Università Popolare (Trieste)

EDIT - Fiume, via Re Zvonimir 20a [email protected]

Consiglio di amministrazione: Tatja-na Petrazzi (presidente), Ezio Giuricin (vicepresidente), Luigi Barbalich, Car-men Benzan, Doris Ottaviani, Donald Schiozzi, Fabio Sfi ligoi

4 Panorama

IN PRIMO PIANOLa richiesta a Radio Fiume di abolire o ri-durre le trasmissioniQUI NON SI PARLA ITALIANO ....... 3di Mario Simonovich

ATTUALITÀUSA, UNA SVOLTAFRA ILLUSIONI E SPERANZE ........ 6a cura di Mario Simonovich

TEATRO“Questa sera si recita a soggetto” ha aper-to con successo la stagione 2008/09PIRANDELLO, MAGELLI, DIINCONTRO E COMUNIONE .......... 10di Bruno Bontempo

DOSSIER ALCOLIl parere della dott.ssa Iva Bradaschia Kožul, titolare del Consultorio per ragaz-zi e genitori “Aurora” di FiumeALLARME ALCOL TRA I GIOVANII PRIMI ABUSI GIÀ A 11 ANNI ...... 12a cura di Ardea Velikonja

SOCIETÀRifl essioni d’autunno lungo i percorsi dei “vagabondi curiosi”DA SLUM A STRIDONESECOLI DI TRANSUMANZA ......... 18di Marino Vocci

ARTEIl telone del teatro cittadino realizzato dal dalmata Marko TrebotićVISIONE DAVVERO SINGOLAREDELL’IDENTITÀ FIUMANA .......... 20di Erna Toncinich

CINEMA E DINTORNI“Si può fare”, di Giulio ManfredoniaE IL MALATO MENTALEDIVENNE PARQUETTISTA ............ 22 di Gianfranco Sodomaco

STORIAUna pagina sconosciuta della Grande Guerra: il battaglione di disertori jugosla-vi al fronte italiano (3)ARRIVANO GLI ARDITIMA IL GROSSO NON AVANZA ...... 24di Gino Sergi

REPORTAGEDa otto anni la sagra del prelibato frutto accoglie visitatori da tutta la SloveniaSTRUGNANO... LA TERRA DEI CACHI .................... 28di Ardea Velikonja

LETTURE“GENITORI E BIMBI” ...................... 34di Licia Micovillovich Capri

LIBRIRita Scotti Jurić: “Didattica della comu-nicazione in classi bilingui”QUALE VACCINOPER LA RABIA ESAUDITA? ............. 38

ITALIANI NEL MONDOA Tirana il convegno “Italicità e media nei Paresi dell’Europa Sud-Orientale”FRONTEGGIARE L’INFLUENZADI ALTRI CODICI LINGUISTICI ... 40a cura di Ardea Velikonja

MADE IN ITALY2008 ANNO DI CRISIDELLA CARTA STAMPATA ............ 42a cura di Ardea Velikonja

MUSICA“Voce dell’Africa libera”, cantante nota per il suo impegno contro l’apartheidJAMBO, MIRIAM MAKEBA .......... 44a cura di Bruno Bontempo

SPORTLewis Hamilton beffa il ferrarista Felipe Massa: è il più giovane iridato nella storiaPRONTA RIVINCITA DEL “RAGAZZINO” CON NONCHALANCE E UN SORRISO DISARMANTE ..... 46GP DI F1, UN “MOVIMENTO”DA 100 MILIONI DI EURO ............. 48a cura di Bruno Bontempo

ANIMALIAIL COCCODRILLOÈ... ACQUA, TERRA E SOLE .......... 50di Daniela Mosena

MULTIMEDIAGrande inchiesta di PC Word sul fenome-no che a quanto pare sta diventando mol-to popolare (3)SOCIAL NETWORKING PERCHÉ È MEGLIO DEL PORNO .................. 52a cura di Igor Kramarsich

RUBRICHE ....................................... 54a cura di Nerea Bulva

PASSATEMPI ....................................57

IL CANTO DEL DISINCANTOOBAMA, VINCENTESINTESI DI CONTRARI .................. 58di Silvio Forza

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Panorama 5

AgendaAgenda

Rosanna Turcinovich Giuricin ha presentato il suo nuovo lavoro

La giustizia secondo MariaLa giustizia secondo Maria è il

libro-intervista scritto e presen-tato dalla giornalista Rosanna Tur-cinovich Giuricin, direttore de “La Voce di fi ume”, autrice di numero-si libri e documentari e attualmente occupata presso il Centro di Docu-mentazione Multimediale della Cul-tura giuliana, istriana, fi umana e dal-mata di Trieste. Il libro tratta il delit-to per mano di Maria Pasquinelli del generale inglese Robert W. De Win-ton avvenuto a Pola nel 1947. La

vicenda, secondo diverse voci che l’hanno interpretata, va inquadra-ta in una parabola discendente del Risorgimento, che vedrebbe, ide-almente, la fi ducia patriottica sana confl uire pesantemente nel cieco decadere del fascismo. In tutto que-sto la Pasquinelli diventa un simbo-lo del fallimento del gesto inutile e letale, ma anche della sofferenza di un popolo inerme, quello degli esu-li. All’incontro erano presenti Diego Redivo, che ha fi rmato la premessa

storica del volume, Rodolfo Ziberna presidente dell’ANVGD di Gorizia e lo storico Fulvio Salimbeni. ●

Presentati in versione bilingue i nuovi lavori dei due poeti

Scotti-Rosandić un lavoro in tandemLa Comunità degli Italiani di Fiu-

me è stata ancora una volta la sede della presentazione del nuovo li-bro di poesie di Giacomo Scotti che staviolta ha lavorato in collabora-zione con Diana Rosandić. Infatti le raccolte Colomba di pace/Golubica mira e La nave sulle secche/Nasuka-ni brod sono in versione bilingue (ita-liano e croato) edite dalla Sezione fi u-mana della Società dei letterati dellla Croazia. “Due lavori che propongono

una poesia intimistica, uno stile col-loquiale in cui si illustrano situazioni quotidiane, fanno rifl ettere e che im-mencabilmente suscitano nel lettore profonde emozioni” così Denis Ste-fan, responsabile del Settore cultura-le della CI di Fiume, ha presentato il nuovo lavoro fatto in tandem dai due autori. Diana Rosandić ha fi nora al suo attivo quattro libri di poesie, una raccolta di racconti brevi, sei romanzi e tre libri per l’infanzia. ●

Noti i vincitori dell’VIII Gara di lingua italiana per le SMSI

Francesco Mocibob primo classifi catoPrimo posto per Francesco Mocibob, della SMS ‘Le-

onardo da Vinci’ di Buie, secondo posto per Mia Dellore, del Ginnasio ‘G. R. Carli’ di Capodistria, e ter-zo per Nataša Prodić, della SMSI di Fiume: questi i ri-sultati dell’VIII Gara di lingua italiana per le SMSI di Croazia e Slovenia svoltesi il 17 ottobre scorso a Di-gnano resi noti dall’apposita commissione che ha vi-sionato tutti i compiti dei ragazzi. Francesco Mocibob ha trattato il tema “Secondo te ha ancora senso (e se lo ha, quale e perchè) leggere e scrivere libri in una socie-tà prevalentemente orientata all’immagine e all’imme-diatezza delle comunicazioni elettroniche”. Mia Dello-re invece ha scritto il compito intitolato “In una lettera aperta il medico di guerra Gino Strada ha scritto: ‘il non uccidere non è solo un comandamento, è un imperativo assoluto che deve valere per ciascun essere umano. Non

si può accettare di uccidere, se lo si fa parole come de-mocrazia e giustizia, diritti e solidarietà, cultura e con-vivenza civile perdono ogni signifi cato”. La terza clas-sifi cata Nataša Prodić, ha affrontato lo stesso tema del primo classifi cato. ●

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6 Panorama

AttualitàAttualità

La Croazia all’insegnadi un’inusuale unanimità

L’entusiamo per la nomina ha coinvolto la Croazia, si direbbe, in misu-ra pari a quella degli altri paesi. Per una volta tanto la gente comune,

i vertici politici e la stampa sono stati sostanzialmente unanimi nelle va-lutazioni positive. Titoli e testi dei giornali hanno fatto spesso e volentieri leva sulle possibili connessioni fra il neoeletto presidente e Martin Luther King o John Kennedy.

Il prof. Ivo Banac, docente a Yale e buon conoscitore della realtà USA, ha detto che “gli esiti di questo voto sono caratteristici a indicare il supe-ramento di un momento di rottura, dovuto al processo di democratizzazio-ne - specie nell’ambito razziale - in cui hanno trovato maturazione i grossi movimenti degli Anni Sessanta”. In Obama, per Banac, gli americani han-no identifi cato l’uomo della conciliazione e del sogno americano.

Una prova dell’alta condivisione di questo voto in Croazia è anche l’as-senza totale di valutazioni negative. ●

Quali i cambiamenti in cui sfocerà il momento di rottura rappres

USA, una svolta fra illusioni

C’è chi ha detto che sulla scena politica posssono svolgersi fatti e comparire personaggi

da far invidia al più fantasioso dei ro-manzieri. Queste elezioni americane sembrano essere un caso tipico. Chi pensava sei mesi fa che sarebbe dive-nuto presidente un “sangue misto”, fi -glio di un africano maomettano vissu-to per anni in Asia e, dunque del tutto al di fuori dell’establishment? Invece non solo ce l’ha fatta, ma ha dato vita a un sommovimento d’opinione su scala globale i cui precedenti in questo cam-po vanno cercati ben addietro nel vente-simo secolo: si pensi che quando è nato, nel 1961, matrimoni simili a quello dei suoi genitori erano ancora illegali in un terzo degli USA. Che farà ora questo presidente? Come concilierà le aspetta-tive di milioni di concittadini, che chie-dono sia pane che qualche diritto più so-stanzioso, con le dure necessità di quel-lo che ipocritamente si usa chiamare il mercato, anziché sfruttamento e utili, che in questo paese hanno dato vita a una classe di emblematica durezza?

Ineludibile dato di partenza è il dis-sesto fi nanziario derivato in conse-

guenza degli stratosferici esborsi a cui l’amministrazione uscente è ricorsa, ironia della sorte, per azioni interven-tiste volte a salvare proprio quel mer-cato per la cui integrità prima avrebbe messo, si fa per dire, la mano sul fuo-co. Considerati congiuntamente, il Te-soro e la Federal Reserve hanno spe-so nell’ultimo anno e mezzo cifre tali da far balzare il passivo del governo dai precedenti (e già preoccupanti) 7,5

a poco meno di 12 trilioni di dollari. Obama, si ricorderà, nella campagna elettorale ha promesso tagli alle tasse e aumenti degli investimenti, e questo si voglia o no, è impossibile senza pre-stiti ancora più ingenti. Il mondo della fi nanzia ha fatto però già discretamen-te sapere che un processo del genere potrebbe molto facilmente indurre il capitale straniero a desistere dai titoli del Tesoro americano, tradizionalmen-

di Mario Simonovich

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Attualità Attualità

Panorama 7

L’audacia della speranza presentazione a Zagabria

Obama ha pubblicato la sua autobiografi a, I sogni di mio padre (Dre-ams from My Father) già nel 1995 e, in nuova versione, con qualche

modifi ca nel 2004. Nel dicembre dello stesso anno ha fi rmato un accor-do da 1,9 milioni di dollari per scrivere tre libri. Il primo, L’audacia della speranza (The Audacity of Hope), uscito il 17 ottobre 2006, delinea le sue convinzioni politiche, ben testimoniate dal sottotitolo “Rifl essioni sul rin-novamento del sogno americano. Il secondo è un libro per bambini steso in stretta collaborazione con la moglie Michelle e le loro due fi glie, i cui profi tti saranno devoluti in benefi cenza. L’argomento del terzo non è sta-to annunciato.

A Zagabria L’audacia della speranza è stata presentata proprio il 4 no-vembre, in stretta concomitanza temporale con il fi nale elettorale negli USA. Impegnati nella presentazione il redattore Stjepan Ravnić, il giorna-lista Davor Butković, il prof. Božo Skoko e il presidente del SDP, Zoran Milanović. “Un libro da cui molto ho imparato” ha detto quest’ultimo.

In Italia L’audacia della speranza è stato pubblicato nel 2007 con pre-fazione di Walter Veltroni. Lo stesso Veltroni ha incontrato Obama a Wa-shington nel 2005 ed è stato uno dei suoi primi sostenitori all’estero. ●

L’abbraccio con il rivale John McCain

(Dal “Corriere della Sera”)

entato dal voto?

e speranze

te considerati fra i più sicuri al mondo. Se dovesse prevalere un no, con il loro conseguente ritiro da questo mercato, le fi nanze USA subirebbero un tracol-lo da paese sudamericano.

Altro elemento che va tenuto d’oc-chio: il rapporto nei confronti del-le questioni “sociali” ed ecologiche. Che farà questo presidente che ha su-scitato pareri discordanti preoccupan-dosi sì in maniera piuttosto positiva di tutela dell’ambiente, ma anche te-nendo d’occhio le possibilità offerte

dalle tecnologie per l’ottenimento del carbone liquido? Come si comporterà ora, dalla nuova prospettiva, nei con-fronti dell’emigrazione clandestina dal Messico quando in precedenza non ha esitato ad allinearsi ai sostenitori del-la necessità di costruire quello che fu chiamato “il muro di Berlino alla ro-vescia”? Basteranno agli elettori più poveri le sue spiegazioni sulle neces-sità della sua costruzione onde evita-re il ripetersi di situazioni d’illegalità o l’indigenza dei tanti abitanti già stabi-litisi illegalmente nelle zone di confi -ne del territorio nordamericano sfoce-

rà in manifestazioni incontenibili, tali da creare grossi grattacapi al costitui-to? In quest’ultimo caso, va notato, gli arrivi aumenteranno a dismisura, con notevole benefi cio di coloro che non si stancano mai di assumere sempre più manodopera in nero e altrettanto disa-gio per le strutture statali di supporto, dall’assistenza sanitaria alle pensioni, dalle tensioni nelle famiglie ai proble-mi derivanti da alcolismo e sradica-mento.

Paradossalmente, quello che po-teva essere un handicap, ossia l’”ab-bronzatura”, si è rivelata una delle più

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AttualitàAttualità

8 Panorama

I conti con la suocera e le amicizie rinnegateL’iraniano Ahmadinejad? Il coreano Kim Jong-il?

Il leader maximo di Cuba? No, dicono i giorna-listi “specializzati”, il maggior incubo di Obama è la 71enne Marian Robinson, madre di Michelle che, dopo la vittoria del genero, minaccia di traslocare alla Casa Bianca insieme alla nuova fi rst family. Peraltro uffi -cialmente l’anziana va splendidamente d’accordo con il genero, tanto che sarebbe stata la fi glia a chiederle di traslocare. “Mamma è una donna estremamente indi-pendente - ha detto Michelle a “Newsweek” -. Ho do-vuto pregarla in ginocchio di venire a vivere con noi”. L’attraente signora - ex-segretaria in pensione, vedova dal 1991 -, si è occupata praticamente full-time del-le due nipoti, che hanno 10 e 7 anni, quando i genito-ri erano impegnati nella massacrante campagna presi-denziale.

Lo spazio non manca alla Casa Bianca, al cui inter-no vi sono 132 stanze e 35 bagni, ma resta da vedere come il genero digerirà il fatto di ritrovarsela in casa dalla mattina alla sera.

Non è l’unico personaggio un po’ scomodo della vicenda Obama. Vi sono anche quelli che i giornali-sti hanno chiamato “gli amici rinnegati” del presiden-te. “Barack è un grand’ uomo..., gli ho voluto molto bene, e ancora gliene voglio. Io l’ho iniziato alla fede. Ho celebrato il suo matrimonio con Michelle. Ho bat-tezzato le loro fi glie. L’ ho spinto a fare politica”, par-la così Jeremiah Wright, il reverendo posto in testa a questa poco piacevole lista. Wright è stato immortalato in un sito internet mentre, indossando il dashiki, la ve-ste africana simbolo del Black Power, predicava: “Tut-ti dicono ‘Dio benedica l’America’, ma io dico no no no, Dio maledica l’America” (nello spot la maledizio-ne era coperta da un bip, che enfatizzava anziché na-scondere). Per Obama è stato un duro colpo: Wright era il suo demiurgo, colui che l’aveva convertito, che gli era stato al fi anco negli esordi politici. Il candidato presidenziale doveva prendere le distanze dal religioso che insisteva a celebrare l’11 settembre, rimproverare all’America Hiroshima, i golpe militari dal Guatemala al Cile, ecc. Un altro “fantasma” risponde al nome di Antoine “Tony” Rezko, uomo d’affari di origine siria-na. Finanziatore dell’ascesa di Obama, e suo immobi-liarista di fi ducia, gli vendette la casa a prezzo sconta-to. Inoltre Tony acquistò a prezzo pieno il giardino e ne cedette una parte all’amico, si dice a un prezzo strac-ciato. Perché, si chiedevano maliziosamente i giornali-sti. Per fare un favore a un amico. Amico? Strani amici, se si pensa che Rezko, in odore di mafi a, è in carcere per estorsione, frode e riciclaggio. ●

Il reverendo Jeremiah WrightIl reverendo Jeremiah WrightCon la suocera Marian Robinson Con la suocera Marian Robinson

Il presidente con Anthony Rezko, un altro degli “amici scomodi”

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Attualità Attualità

Panorama 9

Dissonanza nei media europeiVarsavia: un criptocomunista«Il razzismo rialza la testa nei

commenti europei su Obama» ha scritto il “Washington Post” in un lungo articolo dedicato al sus-seguirsi di dichiarazioni “sghem-be” venute non solo dai commen-tatori, ma anche dai politici d’Eu-ropa dopo la vittoria del candidato democratico. “Alcune personalità pubbliche, abitualmente rispettate in Europa”, dice l’articolo, denun-ciano “un approccio tutt’altro che illuminato sulle questioni razzia-li”. Primo chiamato in causa uno dei giornalisti più noti della tv au-striaca, Klaus Emmerich, che subi-to dopo la vittoria del candidato de-mocratico, aveva detto: “Non vor-rei che il mondo occidentale fosse guidato da un nero”.

A petto delle polemiche scoppia-te in Italia, il giornale ha giudicato tutto sommato “moderata” la scia-gurata defi nizione di “bello, giova-ne e abbronzato” usata dal capo del governo Silvio Berlusconi. Più pe-santi le dichiarazioni del polacco Artur Gorski, deputato del partito del presidente Kaczynski, secon-do cui il neoeletto “è il messia nero della nuova sinistra, un criptoco-munista” che senza dubbio provo-cherà “un disastro” comportando “la fi ne della civiltà bianca”. Molto duro anche il giudizio nei confron-ti del tedesco”Tageszeitung” (Taz), punto di riferimento dell’estrema sinistra, che in giugno aveva pub-

blicato una grande foto della Casa Bianca con il titolo la “Capanna dello zio Barack”, in riferimento al più noto libro antisegregazioni-sta dell’800. Il direttore si è dife-so affermando di essere sicuro “al 99 p.c.che i nostri lettori avranno compreso le nostre intenzioni”. Lo stesso incidente di percorso capitò anche al blasonatissimo “New Yor-ker”, icona stavolta della sinistra li-beral a stelle e strisce, che a metà luglio pubblicò in copertina un di-segno con Obama vestito da Osa-ma bin Laden e la moglie Michelle ritratta come una pantera nera nello Studio Ovale mentre una bandiera americana bruciava nel caminetto. L’immagine scatenò le ire del suo staff. ●

(Dal “Corriere della Sera”)

Prima dell’assunzione dell’incari-co, accompagnato dalla consorte, il neoeletto presidente si è recato uffi cialmente alla Casa Bianca per incontrare George Bush e signo-ra. Un incontro protrattosi per un tempo notevole e trascorso all’in-segna della simpatia e comprensio-ne, hanno pedantemente registra-to gli addetti stampa. Sarà. Cer-to che le idee del futuro inquilino appaiono diametralmente oppo-ste di quelle dell’occupante attuale.

signifi cative carte vincenti per il can-didato alla Casa Bianca. In un’Ame-rica dove ancora vent’anni fa agli at-tori neri erano riservati di regola ruo-li da buffoni quando non delinquenti (le eccezioni vanno comunque ricor-date, ma solo e in quanto eccezioni) una percentuale di elettori senza pari ha fatto la fi la per dare il proprio voto con cui far eleggere proprio “uno di quelli”. Un’America che si è compor-tata così anche in larga parte di quelli Stati che in precedenza si erano man-tenuti buoni nella lunga marcia verso l’uguaglianza e nella battaglia contro la discriminazione, merita di essere ascoltata e seguita da vicino con mol-ta attenzione, perché dimostra di ave-re alle spalle un processo di matura-zione psicologica e sociale che all’opi-nione pubblica europea risultava quasi del tutto sconosciuto. Ci è voluto que-sto voto per farci capire quel che è av-venuto ma anche per farci intuire che, se adeguatamente seguita e pilotata, la ripresa del Nuovo Continente potreb-be dare nuovi frutti, di un’impensabi-le turgidità. Un’attesa, questa, sentita in maniera molto profonda proprio dai circoli più vicini a Obama. E questo è motivo di nuove speranze. ●

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TeatroTeatro

«Questa sera si recita a soggetto» ha aperto con successo la stagione 2008/09 del

Pirandello, Magelli, DI: incontro e

Una prodigiosa macchina tea-trale che smonta e reinventa, demolisce e ricostruisce, gio-

ca e trasforma - con rispetto e rigore - il mondo del palcoscenico ed i suoi postulati, il testo, la messa in scena, i diversi elementi che compongono lo spettacolo. Teatro nel teatro, rovello psicologico, quel pescare nel torbido delle coscienze, l’irruzione della vita nella percezione della struttura sceni-ca, fi no a chiederci: è più forte, è più importante, la vita o l’arte? Fra le due cose, l’ironia graffi ante di Pirandello abbinata alla geniale maestria di Pa-olo Magelli (“Tra la vita e l’arte c’è un connubio, il tentativo è di creare una sintesi tra i due, di mescolarli...”) ed alla capacità di assorbimento ed espressione degli attori del Dramma Italiano (sia quelli di casa, sia quelli ospiti), ne è venuto fuori uno splendi-do incontro e comunione. Che spiega, in estrema sintesi, le ragioni del suc-cesso di “Questa sera si recita a sog-getto”, che ha aperto in grande stile la stagione teatrale 2008/09 della nostra Compagnia di prosa.

Anche per un regista noto ed am-piamente affermato come Paolo Ma-gelli, pratese di nascita, cittadino del mondo per scelta, c’è ancora spazio

per “una prima volta nella vita”: “Ri-cordo di aver affrontato, in gioven-tù, parecchi testi di Pirandello, di aver avuto l’onore a 25 anni di inau-gurare il Bitef di Belgrado con “I gi-ganti della montagna”, di aver mes-so in scena l’autore siciliano in ser-bo, francese, romeno, tedesco, ma mai, prima d’ora, in italiano. Ricor-do anche di aver realizzato “Questa sera” si recita a soggetto in un’al-tra esistenza, in un alto mondo, tanti anni or sono al Beogradsko Dramsko Pozorište di Belgrado. Un Pirandello integrale, una produzione monumen-tale, superpremiata al MESS, ma uno spettacolo che si rivolgeva più al pas-sato, mentre questo guarda avanti, al futuro. Ora, dopo la fatica con il DI, mi è diffi cile fare bilanci, sono stan-co, a pezzettini, per otto giorni quasi non ho dormito. Ma la soddisfazio-ne è enorme. Abbiamo lavorato da pazzi, ma l’ensemble è meraviglio-so, tutti hanno dato un apporto stra-ordinario, uno spettacolo che cerche-rò di portare ancora da qualche par-te, di farlo vivere quanto più a lungo. Dopo anni di telefonate, discussioni, silenzi, promesse non mantenute da ambo le parti, sono veramente felice di aver realizzato la mia prima regia

al Dramma Italiano. Il futuro? E dif-fi cile dirlo, perché ho tanti impegni, ma la voglia di tornare c’è...”

“A lavoro concluso già mi vien da piangere al pensiero che Paolo non ci farà più fi lare come in questi mesi. Sono in teatro da 35 anni, ma una sensazione del genere non l’avevo provata mai, pur avendo lavorato con molti bravi registi. Lui ha qualcosa in più, non si risparmia, si spende in mille modi, ti conquista facendo-ti entrare nell’essenza delle cose. E tu gli vai dietro, come le paperette di Konrad Lorenz - così Elvia Nacino-vich, gustosa nella scena del mal di denti della Signora Ignazia, non le-sina lodi al regista italiano -. Lo dico senza piaggeria. Ho aspettato questo appuntamento ed ho rischiato di non esserci, perché il tempo vola. Guar-dando indietro, mi rendo pienamen-te conto della ricchezza che ci ha la-sciato. È stato un incontro tra due gi-ganti, diciamocelo, perché il sangue dalle rape non lo cava nessuno... E Magelli è un gigante buono...”

“Nella mia carriera ho fatto quat-tro o cinque volte Pirandello, anche con registi validi, ma questa è stata un’esperienza davvero particolare -

Il regista pratese Paolo Magelli, che a Fiume ha messo in scena per la prima volta Pirandello in italia-

no (Foto Ivor Hreljenović)

di Bruno Bontempo - foto di Dražen Sokčević

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aggiunge Bruno Nacinovich, un con-vincente Sampognetta -. Paolo Ma-gelli l’abbiamo conosciuto 26 anni fa, poi non è andato in porto quel-lo che dovevamo fare. Lo abbiamo aspettato con pazienza, fi nalmente è arrivato e ci siamo resi conto di quel-lo che era il segreto del suo succes-so. Sa come entrare nella psicologia dell’attore, ha una grande capacità di cesellare i personaggi e cucirteli addosso, non ti molla fi no all’ulti-mo giorno. Abbiamo fatto una pro-va generale, leggera, anche la mat-tina della premiere. ‘Non voglio la-sciarvi girare per la città, o a casa, a pensare alla prima, a innervosirvi, voglio stare con voi fi no all’ultimo momento’ - ci aveva detto. Oggi di registi così ne sono rimasti pochi e noi ci godiano i consensi di questa serata, il raccolto di questi mesi di lavoro con Paolo...”

“A parte l’esperienza di ‘Liolà, che ho fatto con il DI nel gennaio 2007, Pirandello lo conoscevo dai libri e dal fatto che mia madre, nata ad Agrigento, mi portava da picco-lo nella campagna presso Girgen-ti, nella casa dove è nato Pirandel-lo. Ricordo ancora il famoso albe-ro del Caos, ai cui piedi, nel cavo d’un masso roccioso, ci sono le ce-neri dello scrittore - è il fl ashback

di Mirko Soldano, duttile anche nel machiavellico e cerebrale regi-sta Hinkfuss -. Però all’inizio delle prove ho visssuto una grossa crisi perché mi sono trovato a stare sedu-to in platea vicino al regista, come richiedeva il mio personaggio. Inol-tre avevo paura di non essere all’al-tezza e soprattutto di essere un po’ fuori ruolo, e c’è voluto un po’ per convincermi ad abbandonare certe resistenze, certi schemi che avevo in testa, con le indicazioni di quel pazzo di Magelli, che ogni tanto ar-rivava con delle idee illuminanti. E poi mi ha fatto suonare il sax, un regalo che mi ha voluto fare quan-

do ha saputo di questa mia vecchia passione. Credo che alla fi ne sia sta-to un bel viaggio”.

Tra gli attori ospiti del DI, anche la pratese Valentina Banci, già nota al pubblico per la partecipazione alla serie televisiva “La squadra”. “Avevo fatto Pirandello negli anni dell’Ac-cademia (Diploma alla Bottega Te-atrale di Vittorio Gassman, nda), ma non l’avevo più frequentato - spiega la Banci -. Qui mi sono ritrovata tra le mani un Pirandello assolutamen-te fuori dagli schemi, che si è fi nal-mente tolto di dosso quell’abito bor-ghese, che invece in Italia continua-no a fargli indossare. Poi abbiamo fatto un lavoro interessante sulla lin-gua, rimuovendo un po’ del barocco siciliano, senza toccare la schiettez-za dei sentimenti. Pirandello non lo sopportavo più e quando Magelli mi ha chiamato a fare Mommina, che pure è un personaggio straordinario, non ero proprio felice, facevo fati-ca a pensarlo, ero troppo condizio-nata da anni di Pirandello all’italia-na. È stata una scoperta meraviglio-sa, l’ho trovato così contemporaneo e poi Magelli ha tirato fuori una vena di pazzia dello scrittore siciliano che adesso mi sembra ovvia. Da doma-ni in poi vorrei fare Pirandello sol-tanto con Magelli... Il rapporto con il DI? Mi sono trovata a mio agio e sono stata accolta con calore... Spe-ro possa essere l’inizio di una colla-borazione”.●

TeatroTeatro

la nostra Compagnia di prosa

comunione

L’intensa e drammatica scena con Mommina (Valentina Banci) e il marito Rico Verri (Francesco Borchi). Le scene (Dalibor Laginja) ed i costumi (Leo Kulaš) di “Questa sera si recita a soggetto” sono state realizzate tutti in carta (nelle suggestive foto a piede pagina)

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Il parere della dott.ssa Iva Bradaschia Kožul, titolare

Allarme alcol tra i giovani:

Chi meglio di uno psicologo, titolare di un Consultorio per ragazzi e genitori, può par-larci in modo circostanziato del problema

alcol fra i giovani? Abbiamo quindi interpellato la connazionale dott. Iva Bradaschia Kožul, a capo del Consultorio “Aurora” che opera a Fiume, in Riva Bodoli 7, nonché psicologa alla SMSI di Fiume. Le abbiamo chiesto in quale misura il problema è pre-sente tra i giovani.

“Dobbiamo partire dall’inizio. Secondo me que-sto è un problema della società. Mi spiego: se nasce un bimbo, se c’è un compleanno, se c’è una qualsia-si festa, cosa si fa? Si brinda. Tutti noi siamo così. E poi magari la gente si offende quando qualcuno non vuole farlo. Quindi un fatto normale, accettato ‘alla grande’. E adesso come fa una società di tale tipo a dire ai bambini che questo non è giusto? Per quanto riguarda l’alcol tra i giovani, c’è da dire che il problema è tale da suscitare indubbiamente allar-me, pur essendo sicuramente presente molto meno di quello che loro pensano e con cui magari si giu-stifi cano dicendo che tutti bevono. Non è vero, per-ché salturiamente, ovvero ogni week-end, non beve il 50 per cento dei giovani ma molti di meno. Quin-di la giustifi cazione del ‘tutti bevono’ non regge. I ragazzi dicono: ‘se bevono tutti, perché non dovrei farlo anch’io’. E questa è una cosa che essi spesso assumono come giustifi cazione e anche come fatto-re di riduzione delle inibizioni al bere”.

Secondo le ultime ricerche, i livelli di età in cui il consumo ha inizio si è abbassato ai preoc-cupanti 11 anni. Secondo lei perché?

“Secondo me si tratta di un processo che va dall’alcol all’approccio al sesso, ossia tocca i tanti comportamenti che prima si ritenevano in un certo senso prerogativa degli adulti e in cui l’età diminui-sce costantemente, spaventosamente. I ragazzi sono

bombardati da tante informazioni, che molto spes-so interpretano male. Penso che un po’ tutta la so-cietà, il modo di vivere, il fatto che i ragazzi, dato che i genitori lavorano molto, sono più lasciati a se stessi - lasciati è una brutta parola, diciamo sono più da soli - li ha costretti a dover crescere anche pri-ma. So di bambini che a 11 anni devono cucinare, lavare, stirare. Quindi, in un certo senso, forse an-che alla luce di queste cose si reputano e tendono a comportarsi da adulti. Ma io mi chiedo se sia pro-prio l’ubriachezza quella che è giusto prendere dal mondo degli adulti.

La maggioranza dei genitori non reputa grave il fatto che il fi glio o la fi glia al sabato vengono a casa brilli. Come prima cosa molti genitori a quell’ora dormono e quindi non li vedono, poi, anche se ma-gari li vedono, dicono: ‘Ma è una volta alla settima-na! Lo abbiamo fatto anche noi’. E invece dovreb-bero pensare e ragionare in modo diverso. Questo ingiustifi cato atteggiamento benevolo nei confron-ti di quest’abitudine giovanile conduce a problemi ben maggiori. I genitori non riescono a capire che con il ricorso all’alcol (e alle sigarette) aumenta an-che la possibilità di consumare altre sostanze stupe-facenti, di conseguenza diminuisce il profi tto scola-stico e aumentano i problemi nel comportamento, sia a casa che a scuola.

Le ragioni per cui di solito i ragazzi bevono sono numerose: le ‘più forti’ sono, per esempio, che quel-li timidi quando bevono si sentono dei leoni, posso-no avvicinarsi alle ragazze, possono fare cose che di solito non farebbero. Secondo, l’ho detto prima, l’adolescenza è per defi nizione il periodo in cui si ha un atteggiamento ribelle nei confronti dei geni-tori e degli adulti in generale. Se i genitori dicono: ‘Non devi bere’, loro ribattono: ‘Proprio per questo lo farò’. Terzo, credono, appunto, che lo facciano tutti. Quindi senso di noia, bisogno di appartenere

La dott.ssa Iva Bradaschia nel suo Consultorio “Aurora”

Ai giovani basta poco per essere ubriachi

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col di Ardea Velikonja

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del Consultorio per ragazzi e genitori «Aurora» di Fiume

i primi abusi già a 11 anni

Non siamo tutti uguali

Spesso si sente dire: ma perché io, dopo due bicchieri, sono brillo mentre qualcun altro sem-bra del tutto astemio? La questione dipende da vari fattori. Ecco, a titolo d’esempio, due grafi ci in cui si può vedere l’infl uenza dell’alcol sulle donne e sugli uomini a seconda delle bevande in-gerite e del peso corporeo della persona.

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colad un gruppo (si sentono talmente insicuri da pen-

sare che questo sia l’unico modo per appartenere ad un gruppo), paura a dire no. Taluni giovani be-vono perché credono che il loro ‘reiting’, ovvero la considerazione nei loro confronti crescerà. Il vo-ler piacere al gruppo è certamente una delle ragioni che li portano a consumare alcol”.

E come si presenta la situazione se c’è un “esempio” in casa?

“Qua non ci piove. È scientifi camente provato che i fi gli di genitori alcolizzati hanno a loro volta

dalle quattro alle sei volte maggiori possibilità di diventare alcolisti. Qui, si badi, parliamo di alco-listi: intendo dire che dobbiamo comunque fare le dovute distinzioni. Infatti, per quel che riguarda i giovani e gli adolescenti, non si parla quasi mai di alcolismo, bensì di abuso. L’alcolismo viene dopo un bel po’ di anni di assunzione regolare.

Secondo me la cosa più pericolosa per i gio-vani è l’atteggiamento benevolo dei genitori nei confronti dell’alcol, non so... Genitori che magari bevono, o si ubriacano, non sono alcoli-

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sti, ma se c’è una festa, si ubriacano senza pro-blemi davanti ai figli. E questo sì che li por-terà con molta probabilità a provare l’alcol. È dimostrato che sono prima i genitori a creare questa idea positiva nei confronti dell’ebbrez-za che non i coetanei. I genitori spesso dicono: ‘Non ci ho potuto fare niente, è semplicemen-te caduto in una compagnia sbagliata’. I geni-tori devono capire che hanno in mano un forte potere: il tipo di compagnia scelto dai ragaz-zi viene influenzato, in maniera indiretta, però in modo estremamente forte, dai genitori. Qui, s’intende, stiamo parlando di quando i bambi-ni sono piccoli, ben sapendo che gli adolescen-ti sono per definizione ribelli, in opposizio-ne a tutto quello viene loro detto dai genitori. Questi quindi, al figlio sedicenne non possono dire: ‘Non ti puoi scegliere amici del genere’. È troppo tardi.

Io sto parlando di sviluppare nei bambini dei valori, comportamenti positivi, anche con il pro-prio esempio, che porteranno allo sviluppo di ca-ratteristiche della personalità positive che poi li faranno scegliere una compagnia nella quale i ra-gazzi condividono gli stessi valori positivi. Quindi tu genitore, con il tuo comportamento, con il tuo esempio, quando sono piccoli, li fai scegliere, gli insegni a orientarsi verso una compagnia positiva. Non dirgli a 16 anni: ‘Ti sei scelto la compagnia sbagliata!’.

Poi un altra cosa. Il falso moralismo di noi tutti non è la strada giusta per parlare con i ragazzi, per-ché nei ragazzi il moralismo alza automaticamente un muro molto alto. Quindi un rapporto positivo. Non dirgli: ‘Non devi fare questo o quell’altro’. In-

segnagli con il tuo esempio, seguilo e quando è pic-colo e quando è grande”.

Nella nostra società, almeno qua a Fiume, crede sia ancora un tabù il fatto che i genitori vengano a chiedere aiuto allo psicologo?

“Sì, certamente. Secondo me siamo ancora come si dice ‘indietro con le carte’ riguardo queste cose. I genitori hanno paura, vergogna e pensano che lo psicologo sia una fi gura che è qui in un certo senso per dire ‘sono matti’ o ‘non sono matti’. De-vono capire invece che non è assolutamente così. Nel corso della mia esperienza mi sono trovata tan-te volte a confronto con genitori che sono venuti e che poi, veramente gli ‘è caduto un enorme peso’ come si suol dire, quando hanno visto il lavoro che si fa. Voglio dire, io sono un consulente, che appun-to può aiutare i ragazzi e i loro genitori in ogni mo-mento diffi cile. Tutti noi abbiamo momenti diffi cili nella vita. L’unico punto è che uno psicologo è una persona che è abilitata ad aiutare in questi momen-ti. Se a qualcuno fa male il dente va dal dentista, se qualcuno ha un problema di tipo psicologico, e ave-re un problema non signifi ca essere pazzi, dovrebbe andare da uno psicologo”.

Lei lavora da dieci anni e in questa sua esperienza può dirci se c’è più apertura ver-so lo psicologo o se i tabù sono ancor sempre gli stessi?

“Ci sono sempre più genitori che si rivolgono a noi, e molto spesso vengono dopo averci pensato su tanto, ed essersi trovati dinanzi a diffi coltà mol-to grosse. Altri, per ora non un gran numero, che hanno capito che non si creano nessun problema ma anzi reputano che sia più che normale rivolgersi allo psicologo. I genitori secondo me spesso hanno

Catastrofi ci i dati negli USA: i danni pari 62 miliardi di dollari

Maggiori danni rispetto alla droga Un nuovo studio del Pacifi c Institute on Re-

search and Education (PIRE) pubblicato sul “Journal of Studies on Alcohol” fa il punto sui costi sociali della diffusione dell’alcol fra le gio-vani generazioni e scopre che sono superiori di gran lunga a quelli per problemi da tossicodipen-denza. L’alcolismo giovanile infatti costa ai soli Stati Uniti 62 miliardi di dollari l’anno e miete più di 3.200 morti, oltre a causare 2.600 milioni di eventi dannosi. In pratica questo risulta essere il problema principale del paese, anche perché fa quattro volte tanti morti di tutte le droghe messe insieme, ma il governo federale spende 25 vol-te di più nella prevenzione della dipendenza da sostanze che nella prevenzione dell’alcolismo. I ricercatori hanno stimato che ogni bicchiere be-vuto dai giovani americani costa alla nazione 3 dollari. Il fatturato generato dalle vendite di alcol ai giovani si aggira intorno ai 18 miliardi di dol-lari l’anno. ●

È molto più importante il fatturato genera-to dalla vendite dell’alcol ai giovani che non le

conseguenze

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anche paura perché pensano che verso di loro verrà puntato il dito accusatore, che lo psicologo metterà in risalto quel che loro hanno sbagliato o meno. Ma questo assolutamente non è il punto. Non si vuole cercare il ‘colpevole’, ma vedere cosa si puo fare per aiutare il ragazzo/a e migliorare la situazione. È logico e comprensibile che i genitori, per il grande amore che hanno verso i fi gli, siano spesso emotivi e ‘pensino con il cuore’. È più che normale, ma tal-volta così facendo non riescono a far piena luce su certe cose. Una persona ‘di parte’ è più obiettiva e riesce a vedere meglio il problema”.

Secondo lei occupare di più i ragazzi, ovvero occuparli nel tempo libero, magari nello sport, risolverebbe qualcosa?

“Adesso le dirò qualcosa che di certo la sorpren-derà, però si basa su ricerche valide e ben fatte su un grande numero di ragazzi. Forse molti genitori saranno contrari a quello che le sto per dire, ma le ricerche hanno dimostrato che per quanto riguarda lo sport molto spesso si crede che in effetti esso fa-ciliti a non abusare di alcol e sostanze stupefacen-ti. In effetti non è così. Lo sport ricreativo sì, che oggi tra i giovani quasi non esiste. Tutti fanno sport per ore e ore al giorno, a scapito della scuola. Tutti sono professionisti, e io mi chiedo: un gran numero di ragazzi fanno sport veramente, ma quanti di loro possono raggiungere livelli massimi? Pochissimi. Quanti fra essi si sentiranno delusi? La delusione automaticamente porta a bere o ad usare ‘quelle’ sostanze. Quindi sport ricreativo. Ci sono tanti pro-grammi di prevenzione, ma mi chiedo quanto re-almente questi programmi portino ad un cambia-mento nel comportamento dei ragazzi. La non in-formazione porta all’abuso di alcol e stupefacenti. Perché anche se i ragazzi sanno più o meno quali sono le conseguenze, tutti hanno un amico che ha abusato e che ha detto ‘ma a me non ha fatto niente. Io sono tanti anni che bevo e guardami, sono in per-fetto stato di salute’. Quindi la non informazione. Ci sono tanti programmi che iniziano nella scuola media, nelle elementari superiori. Ma secondo me bisognerebbe cominciare ancora prima, nell’indi-care i pericoli. Seconda cosa, l’organizzazione po-sitiva del tempo libero. Noi adulti reputiamo sem-pre di sapere quello che è meglio per i nostri gio-vani. Quando parlo di organizzazione del tempo li-bero dico: chiediamo a loro cosa vogliono e quindi rispondiamo ai loro bisogni ‘Cosa ti interessa, cosa ti piacerebbe fare?’ Anche se a noi forse la scelta non piace, è importante che piaccia loro. Quindi or-ganizzazione del tempo libero sì ma che sviluppi i loro interessi”.

Considerato sotto l’aspetto fi sico, quanto male ne risulta a un ragazzino dal bere?

“Come primo dobbiamo subito capire che gli effetti sugli organismi giovani è molto più forte di quella che si ha negli adulti. Peranto si pervie-ne molto prima all’intossicazione o, come talvolta succede, fi nanco allo stato comatoso. I ragazzi sop-portano molto male l’alcol. A ciò vanno sommati

altri fenomeni come la guida di motorini, un com-portamento completamente disinibito, un compor-tamento sessuale a rischio, ecc. Sono tutte cose che avvengono sotto l’infl uenza dell’ingestione di al-col. Quindi qui si aggiungono anche altre malattie. I danni al cervello ci sono certamente, l’alcol vi la-scia i suoi segni indubbi”.

Crede che bastino leggi e regolamenti in me-rito per evitare quanto detto fi nora?

“Prima di tutto non vedo che senso hanno leg-gi che poi non vengono messe in pratica. Siamo te-stimoni, purtroppo, ogni giorno, del fatto che i ra-gazzini possono ad ogni ora del giorno acquistare le bevande nei negozi, nonostante i divieti ai quali, appunto, nessuno si attiene. Il guadagno dei nego-zianti è più forte di ogni legge”.

Quando sorge un problema di alcol o altra tossicodipendenza, si tirano con regolarità in ballo i genitori. Sono sempre loro indicati come colpevoli. Secondo lei è giusto? Che consiglio da-rebbe ai genitori?

“Penso che quei genitori che hanno bambini adolescenti possono forse infl uire sulle conseguen-ze. Io direi però a quei genitori che hanno bambi-ni piccoli e che leggeranno questo articolo, di stare molto attenti. Molto si può fare molto prima. Inco-minciando da quando sono piccoli.

Per i genitori che hanno fi gli adolescenti direi di ricorrere non un rapporto confl ittuale bensì avere un rapporto positivo, insegnare con il proprio esempio. Un rapporto positivo indirizza certamente di più ri-spetto alle proibizioni. Consiglierei ai genitori di ve-dere se è proprio il caso di lasciare i ragazzi fuori la notte quanto vogliono loro, delle regole dovrebbero esserci. Lasciarlo fare come fa la maggioranza, que-sto non signifi ca però lasciarlo fi no alle 6 del mat-tino perché c’è un unico suo amico che resta così tardi, e se il ragazzo ha delle buoni basi ci sono buo-ne probabilità non sceglierà la strada sbagliata. Per legge i ragazzi minorenni non dovrebbero stare fuo-ri dopo una certa ora e quindi ai genitori bisogne-rebbe dire: rispettiamo la legge tutti assieme. Terzo, cerchiamo di svegliarci quando i ragazzi vengono a casa di notte, vediamo in che stato sono venuti a casa. Se ci viene poi il dubbio che qualcosa sta suc-

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cedendo con nostro fi glio, che è venuto a casa ubria-co, che forse lo fa più spesso di quello che noi pen-siamo, sia ‘giusto’, torniamo al discorso dello psico-logo, di una persona che comunque è abilitata a fare questo lavoro, e chiediamo consiglio”.

La società secondo lei fa poco, molto o niente per aiutare i ragazzi?

“La società come ho avuto modo di dire pri-ma, non è benevola verso la droga, ma lo è inve-ce nei confronti dell’alcol. Un terzo dei ragazzi ha cominciato a consumare alcolici a casa, davanti ai genitori. Se questa società pensa di aiutare in que-sto modo i ragazzi, ho i miei dubbi che ci riuscirà. Cominciamo a capire che siamo noi che con il no-stro comportamento insegnamo. Il nostro atteggia-mento verso la bottiglia si tramanderà sul ragaz-zo, questa è una cosa dimostrata. Si parla sempre di più di programmi di prevenzione. Io mi chiedo quanto sono effi caci. Forse dovremmo fare di più tutti noi per il tempo libero dei ragazzi. Non obe-rarli con impegni, con ambizioni dei genitori (tipo: mio fi glio deve diventare il numero uno), perché indubbiamente il sabato, quando sono fuori di casa, ‘scoppiano’ e si ubriacano o peggio ancora, ricor-rono alla droga”.

In Croazia esistono dati precisi, ricerche, sull’età in cui i ragazzi pervengono per la prima volta a questo tipo di abuso?

“Fino ai 15 anni, ben l’80 per cento dei ragaz-zi ne ha già consumato. Quelli che vi fanno ricorso

per tre o più volte al mese sono il 3 per cento. Non pensiamo però che sia poco. Sto parlando di ragaz-zi dagli undici ai 15 anni. Le ragazze bevono long drink, tipo vodka tonic, i ragazzi più spesso birra. Comunque i maschi che bevono sono più numerosi delle femmine. Qui devo aggiungere che questi ra-gazzi bevono nei bar che per legge non dovrebbero servire alcol ai minorenni.Ma vorrei proprio vedere in quale bar viene richiesta la carta d’identità quan-do si acquista una birra. E qui torniamo a quanto detto prima, ossia al discorso delle leggi che non vengono messe in pratica”. ●

Prevenzione già alle elementari ma anche rispetto delle leggi

La droga è, secondo gli esperti, la peste del secolo assieme all’AIDS. Tutta la società è

presa dalla paura del fantasma droga, se ne par-la nelle scuole elementari e medie, se ne par-la alla TV, con spot e in tanti altri modi. Trop-pe volte però si dimentica l’alcol, problema og-gettivamente non minore. Se ne parla forse di meno perché s’intende riferito “agli adulti”; in-vece anche qui siamo all’allarme, almeno a giu-dicare dai dati forniti dagli Istituti per la sani-tà in Croazia. Il livello dell’età in cui si inizia l’assunzione di alcolici è spaventosamente ca-lato, dicono gli esperti: i dati più recenti dicono che il 20 per cento dei ragazzi delle seste classi elementari, ovvero a 12-13 anni, lo consuma-no già due volte alla settimana; il 10 per cen-to beve birra, il 5 per cento vino e il rimanente 5 per cento superalcolici. Dati catastrofi ci se si calcola che poi danno l’esempio in classe e così di anno in anno questa percentuale è in aumen-to. A questa età, dicono gli esperti, per i coeta-nei si è quasi “un eroe” se si è provato qualcosa

di proibito; se poi se ne fa uso continuo, si di-venta “il bullo” della compagnia a cui tanti van-no dietro.

Sette anni fa la Croazia era al di sotto dei li-velli europei per quanto riguarda il consumo di alcol tra i giovani. Purtroppo in pochi anni ab-biamo raggiunto tali livelli.

Tutti parlano di prevenzione da fare già alle elementari ma dimenticano che c’è chi dovreb-be mettere in pratica le leggi che esistono e vie-tano la vendita di alcolici al di sotto dei 18 anni. Quante volte nei negozi abbiamo visto bambini anche di sette-otto anni che. mandati dai geni-tori, vengono ad acquistare in negozio due o tre birre. Avete mai visto che una commessa dice “no, non ti dò le birre perché sei piccolo?”, io sinceramente no perché per i commercianti è importante vendere. E poi al venerdì sera e al sabato credete che i camerieri chiedano ai ra-gazzi la carte d’indentità ? Penso proprio di no. Quindi c’è da chiedersi: da dove cominciare per frenare in tempo il fenomeno? ●

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Panorama 17

Doss

ieral

col

Un fenomeno in espansione in Europa, che riguarda giovani e giovanissimi

Si chiama «binge drinking», si traduce in «ubriacarsi»

Negli Stati Uniti, ogni anno 1.400 studen-ti dall’età che va dai 18 ai 24 anni muoio-

no in seguito a infortuni o incidenti stradali lega-ti all’alcool, 500.000 restano feriti in modo acci-dentale quando sono sotto l’effetto dell’alcol, più di 600.000 vengono aggrediti da uno o più com-pagni in stato etilico, più di 70.000 subiscono ag-gressioni di natura sessuale o vengono violentati dal partner.

Il modo diffuso di bere a più non posso in pub e spazi aperti ha un nome: si chiama “binge drinking”. Per essere corretti la defi nizione non si riduce a sinonimo di un bere smodato quanto dell’assunzione di grandi quantità di beveraggi, anche diversi, nel corso di una sola serata, anzi in rapida successione, in modo tale da produr-re ubriachezza in tempi molto stretti. “Anche se avevamo bevuto per ore, io e il mio amico abbia-mo lasciato la festa all’una con la nostra botti-glia di whisky. Ci siamo incamminati verso casa a piedi continuando a bere. Poi ricordo che abbia-mo visto l’alba e ci siamo accorti di aver sbaglia-to strada. Avevamo camminato lungo l’autostra-da. È un miracolo che non ci abbiano investito”.

Molti di questi ragazzi bevono spinti dagli amici. La ricercatrice Carol Falkowski dice: “Na-scono continuamente giochi nuovi: si tratta di at-tività di gruppo organizzate col preciso scopo di bere fi no ad ubriacarsi. In alcuni di questi giochi, per esempio, tutti i partecipanti devono bere whi-sky o qualcosa del genere in un momento spe-cifi co di uno show televisivo o di una conversa-zione”.

Il colpo decisivo l’ha inferto il lancio sul mer-cato dei cosiddetti alcopop, le bevande al sapo-re di frutta a bassa gradazione (a volte è quasi impossibile accorgersi della presenza dell’alcol, tanto il loro sapore è coperto da quello del lime, del pompelmo o d’altra frutta molto saporita).

Ma cosa s’intende per consumo eccessivo? Per le donne tale quantità è individuata in almeno quattro bicchieri di alcolici di fi la, mentre per gli uomini più di cinque bicchieri.

Il fenomeno è esploso in America (“Newswe-ek” si sta occupando della questione), ma anche il nostro sembra essere un paese ad alto rischio. Il modello defi nito “mediterraneo”, fi no ad oggi predominante nella nostra cultura, contempla in-fatti il consumo di bevande a bassa gradazione fondamentalmente all’interno dell’alimentazione familiare o in occasione di feste tradizionali. Ciò ha fatto sì che il consumo di alcol sia un com-

portamento socialmente tollerato e accettato, ma solo nella misura in cui rimane all’interno di pre-cise norme che ne regolano i consumi e le moda-lità di assunzione.

I dati del rapporto ESPAD 2003 (Europe-an School Survey Project on Alcohol and Other Drugs) attestano che l’abitudine al “binge drin-king” è seguita almeno tre volte al mese dai gio-vani studenti, maschi e femmine, danesi, irlan-desi, olandesi, norvegesi, polacchi e inglesi, con percentuali che variano dal 24 al 32%. I giovani francesi, greci, ungheresi e turchi registrano il più basso livello con percentuali che variano dal 5 all’11%. Il “binge drinking” si conferma pertan-to un fenomeno ancora tipicamente nordeuropeo, legato ad un modello che favorisce il consumo ricreazionale e fuori casa dell’alcol, anche al di fuori dei pasti e con tendenza all’aumento delle quantità assunte e che ancora è di diffusione limi-tata nei cosiddetti paesi mediterranei.

Bisogna concludere sottolineando come il problema sia molto grave specialmente per i ri-schi che comporta. Certo, gli eccessi nel bere di rado non provocano direttamente la morte, ma costituiscono comunque una minaccia per la sa-lute. “L’alcol può devastare qualunque organo del corpo”, dice Jerome Levin, esperto di igiene mentale. “I suoi bersagli preferiti sono il sistema nervoso, il fegato e il cuore”. Un articolo della rivista “Discover” dice: “Secondo una nuova ri-cerca i ragazzi che bevono troppo scherzano col fuoco. Dato che il cervello continua a svilupparsi anche dopo i vent’anni, gli adolescenti che bevo-no troppo potrebbero compromettere in maniera signifi cativa la loro capacità mentale. Il consumo continuo di alcol è anche messo in relazione con l’aumento di acne, la comparsa prematura delle rughe, l’aumento di peso, danni agli organi inter-ni, la creazione di uno stato di dipendenza diretto come anche la tossicodipendenza”.●

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18 Panorama

SocietàSocietà

Rifl essioni d’autunno lungo i percorsi oltre questi nostri confi ni dei

Da Slum a Stridone secoli di tra

Lasciato alle spalle il confi ne slo-veno-croato tra Podgorje (Pie-dimonte del Taiano) e Jelovice

(Gelovizza), a poco più di una ventina di chilometri da piazza dell’Unità, cuo-re di Trieste, ci si trova di colpo immer-si in un mondo radicalmente diverso. Uno straordinario paesaggio naturale, dominato da boschi, lande, pascoli, di-stese di pietra bianca e rarissime case, che ci accompagnerà poi durante tut-to il viaggio alla scoperta della Cicia-ria e del Carso di Raspo (Raspor). Av-volti da una magica atmosfera autun-nale ci imbattiamo in un’ampia diste-sa policroma, il “polje” con la faggeta rossa-gialla e sullo sfondo la chiesa e il piccolo paese di Vodice (Vodizze). Pro-seguendo tra i boschi, in un paesaggio quasi montano, il paese di Dane (Dan-ne di Raspo) ci viene annunciato dalla presenza di piccoli orti e di alcuni meli e susini. Poi in prossimità del paese di Brest (Olmeto di Pinguente) lo sguardo è catturato dal colore dell’erba ingialli-ta dei vasti pascoli sulla cima e ai pie-di del Monte Sbeuniza (1014 metri) e, in lontananza, dal grande Monte Mag-giore, alto, come ben si sa, poco meno di 1400.

Così è iniziata la traversata: “In cammino oltre i confi ni, la transuman-za”, dal cuore della Ciciaria a Slum (Silum Mont’Aquila). Qui ho appunta-mento con Ondina, Angel e Branko, la “mia squadra” di Tv Capodistria con la quale realizzo, settimanalmente, da ol-tre quattro anni la “Barca dei sapori”, un viaggio nella cultura e civiltà della tavola attraverso la stagionalità, la ter-ritorialità e genuinità. Accanto a quel-lo che rimane del tiglio plurisecolare al centro del paese, dal tronco di oltre 10 metri di diametro, sembra ancora di sentire il belare di migliaia e migliaia di pecore e il racconto del vecchio pasto-re. Il discorrere lento e assorto di uno dei tanti pastori appartenenti alle fa-miglie dei Božić (cognome molto fre-quente in questo paese) che hanno la-sciato negli anni Cinquanta questo pic-colo e povero abitato per raggiungere le più seducenti cittadine costiere. I pasto-

ri nella cultura popolare erano conside-rati personaggi un po’ misteriosi, depo-sitari di segreti e quasi sempre in odor di magia. Oggi, grazie ad un scelta di vera resistenza umana e culturale, sono gli ultimi migranti in una società di se-dentari. Uomini che narrano ormai una storia sconosciuta. In Istria quella di greggi che lasciavano l’Altopiano della Ciciaria di primo mattino per arrivare ai primi pascoli della pianura sul far del-la sera. Molti pastori invece, soprattut-to quando i greggi attraversavano ter-ritori particolarmente favorevoli per il pascolo, l’abbeverata o il ricovero, pre-ferivano fare gli spostamenti con tutta tranquillità, con soste prolungate e con le pecore che riposavano e mangiava-no strada facendo. In questi casi i pasto-ri stipulavano, in anticipo, dei contrat-ti con i proprietari dei terreni attraver-sati, contratti, spesso conclusi con una semplice stretta di mano. In cambio del pascolo quasi sempre il proprietario ri-ceveva una o più forme di formaggio e in occasione delle Festività pasquali “el pasqual”, l’agnellino giovane vivo.

Il «pasqual» in cambio dell’area per il pascolo È interessante ricordare come que-

ste antiche tradizioni di scambio, mi ri-ferisco in particolare al pagamento del pascolo con il “pasqual” vivo, si riper-cuotevano anche sulla cucina, che in-fatti contemplava l’uso delle interiora e del budel, quest’ultimo considerato da molti un boccone da re!! Storia di pa-

stori, delle loro famiglie e dei greggi che nel loro viaggio erano accompa-gnati dall’immancabile mus, ma anche da cani di una razza particolare e di ta-glia bassa, mantello giallognolo, orec-chie pendule e coda molto lunga, chia-mata Sarplaninac.

I trasferimenti monte-altipiano-pia-nura-mare avvenivano lungo i tratturi/trosi (sentieri, scorciatoie, viottoli), che i pastori conoscevano ad uno ad uno, as-sieme alle pecore che portavano al col-lo un campanaccio, chiamato slape. Ma oltre alla… musica delle “slape”, lun-go i “tratturi” si potevano ascoltare an-che le tradizionali musiche dei pastori. In Ciciaria grazie alle zindre, alle tam-burize a due corde, ma soprattutto gra-zie alle fi avole, vidolice chiamate anche fl auto doppio, uno strumento a fi ato (da qui il termine “fi avole”), che ogni sin-golo suonatore conservava gelosamen-te e suonava quasi in solitudine e esclu-sivamente per sé. Oltre Pisino le melo-die erano prodotte dalle surle (fl auti ), spesso accompagnate dal canto dei pa-stori e dal mih (una specie di cornamusa ricavata proprio dalla pelle dello stoma-co della pecora). Via via nelle fredde se-rate autunnali e primaverili, si potevano ascoltare anche le musiche suonate con il violino e il bassetto istriano (il bais) e solo più recentemente con la fi sarmoni-ca triestina.

Il nostro viaggio prosegue tra i pa-scoli, dove si possono solo immaginare le decine di migliaia di pecore presen-ti un tempo in Ciciaria, e boschi di ro-verelle, ornielli, carpini e di pino nero.

L’Agriturismo Toncic: vero ristoro per membra stanche e stomaci vuoti

di Marino Vocci

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Panorama 19

SocietàSocietà

«vagabondi curiosi»

ansumanza Quest’ultimo ci ricorda il grande lavo-ro di rimboschimento portato avanti dall’Impero asburgico. Non lontano da Slum, dopo aver superato un gregge di pecore custodito in un recinto da cani infastiditi dalla nostra presenza, poco prima della impervia discesa verso Nu-gla, una sosta è davvero irrinunciabile. Su uno sperone di roccia, uno stupen-do balcone affacciato sulla valle, si può godere di un panorama mozzafi ato: da una parte il Monte Maggiore dall’altra le colline della Savrinia e l’Alto Bu-iese, un centinaio di metri sotto di noi la cittadina di Pinguente, mentre, sullo sfondo, il colle di Montona è un punti-no quasi invisibile e immerso tra i bel-lissimi colori autunnali della Valle del Quieto. Oltre ancora la foce del Quieto che si presenta come una leggera stri-scia azzurra all’orizzonte e ci indica la via del mare.

Cici: anche senza barcail mare è un miraggioQui si può veramente capire come,

per i Cici (Cicio no’ xe per barca!?), il mare era un vero e proprio mirag-gio. Passeggiando poi lungo il crina-le abbiamo anche ammirato le ultime fi oriture autunnali; soprattutto quel-le della santoreggia dai colori bianco e lilla, quest’ultima con alcuni ciuf-fi di un colore vivo, caldo e intenso, accanto ad altri dal colore tenue e quasi impalpabile. Ma un vero piace-re e per alcuni di noi una sorpresa è stato sentire il loro intenso profumo. Questa pianta, amata particolarmen-te dalle api e utilizzata come rimedio contro il raffreddore e la tosse paga-na, viene infatti usata per insaporire le carni e per la preparazione di squi-siti formaggi erborinati (zepek) Prima di affrontare la ripida salita che, dopo Štrped, attraverso Baredine e poi Se-ljaci, ci porterà fi nalmente a Stridone, sfi oriamo Pinguente, la città dell’anti-co mercato dei pastori, che molti con-siderano ancora oggi come la capitale della transumanza in Istria.

Stridone, la cittadina che secondo al-cuni autorevoli storici sembra essere il paese natio di San Girolamo (347-420),

conosciuto soprattutto perché è stato il traduttore della Bibbia in latino, ci ac-coglie con i caldi colori del tramonto. Dopo aver lasciato gli zaini negli allog-gi, alcuni splendidamente recuperati dove avremmo trascorso la prima not-te del nostro viaggio, e una rapida doc-cia, una breve passeggiata per raggiun-gere a Cabarnica l’Agriturismo Ton-cic, dove è prevista la… prima cena. Qui in un piacevole clima conviviale, con l’amico sindaco Sandro Krt come gradito ospite, una breve rifl essione sul signifi cato della cucina e della cultu-ra e civiltà del mondo pastorale. Dove l’alimentazione partiva dall’alta qualità delle carni. Questo grazie a pecore che nel tempo si sono adattate certamente ad un ambiente particolarmente pove-ro d’erba, ricco però di essenze aroma-tiche (salvia, timo, ginepro…). Pascoli che davano al latte e quindi ai formaggi e alle carni, odori e sapori inconfondi-bili e straordinariamente unici.

Per San Matteo pecore al macello

Un tempo le pecore venivano ma-cellate, per uso familiare, soprattutto in occasione della fi era di San Matteo (21 settembre). Ridotte poi a pezzi veniva-no conservate immerse nel grasso sciol-to di pecora e consumate esclusivamen-te lessate in brodi con patate e verze (spesso e soprattutto in inverno l’uni-ca verdura disponibile). Molti ricorda-no ancora il mih (un “contenitore” fatto con lo stomaco essiccato della pecora), appeso al... fresco all’esterno delle mo-deste abitazioni dei pastori, che conte-neva il cibo-condimento fatto di avanzi di formaggio, latte acido andato a male,

con l’aggiunta di un po’ di pepe e di sale e in alcuni casi di aglio. Le carni fre-sche venivano consumate arrostite, ma soprattutto nella preparazione dei gou-lash e per confezionare dei piatti preli-bati insieme con le interiora. Gli agnelli venivano venduti e molto praticato era il baratto; le carni di pecora e di agnello venivano scambiate con altri generi ali-mentari (carne bovina, verdure), mentre spesso i formaggi, le pelli e la lana, con olio, vino e il preziosissimo oro bian-co, il sale, anche se il denaro non veniva per niente... disprezzato!)

A Orietta e Sandro, dell’agriturismo Toncic, che ci hanno accolto in questa prima serata, rivolgiamo un sentito rin-graziamento per il gradito incontro con i piatti preparati grazie ai grandi saperi e ai sapori che l’autunno istriano sa of-frire. Piatti di grande qualità: prosciut-to, pancetta e ossocollo di loro produ-zione e piatti preparati nel gustoso ri-spetto della stagionalità, tra i quali non poteva mancare una deliziosa frittata con il tartufo. Ma soprattutto per il piat-to preparato in omaggio alla cucina dei pastori, che durante i loro viaggi, do-vendo dedicare molto del loro tempo al lavoro con le pecore, per comodità con-sumavano i cibi cucinati sotto la cam-pana, peka/crepigna. Uno “strumento”, in questo caso in terracotta, che pote-va essere quindi facilmente trasporta-to e che durate la cottura veniva rico-perto dalle braci (sotto la carne con le patate, a volte il pane, ma anche il pe-sce) e abbandonato a se stesso per al-cune ore, sino al completamento della cottura. Alla fi ne della serata infatti ab-biamo gustato una deliziosa “crepigna” con carne di agnello e delle squisite pa-tate. ● (2 - continua)

Il gruppo ben deciso a cimentarsi nel cammino

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ArteArte

Il telone del teatro cittadino donato dalla Zagrebačka banka e realizzato dal

Visione davvero singolare dell’ident

Autore del nuovo sipario del Te-atro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume è l’artista dal-

mata Matko Trebotić, nativo dell’iso-la di Milna, in quel di Spalato, archi-tetto per studi ma da sempre dedito ad altre forme di creatività ed espressio-ne artistica: disegno, grafi ca, pittura, scenografi a, illustrazione, ecc. Risale al marzo dell’anno in corso l’incarico assunto dall’artista di realizzare il sipa-rio entro l’autunno dello stesso anno. Il termine è stato rispettato. In conco-mitanza con l’inizio delle <i>Giornate di Zajc</> (18 ottobre) alla prima rap-presentazione, un’opera di Boris Pa-pandopulo (non bene accetta) il pub-blico ha avuto modo di vedere il nuo-vo telone. Il terzo dello stesso autore, che nei due anni precedenti ne ha re-alizzati altri due: uno per il Teatro Na-zionale Croato di Spalato e l’altro per il “Marin Držić” di Ragusa. E con Fiu-me si conclude quella che l’artista ha chiamato “Trittico adriatico”, il lavoro più impegnativo che abbia mai fatto, l’opera della sua vita.

Ignorata la presenza dell’elemento italiano Largo dodici metri e mezzo e alto

dieci (queste le misure della parte vi-sibile dal pubblico) il sipario fi uma-

no, come gli altri due che compon-gono il “Trittico”, è stato realizzato come unico telo, ignifugo, acquistato in una fabbrica tessile con sede a Pa-rigi, fi ssato su una base metallica, mo-bile, usabile quindi anche come ele-mento scenografi co. E fi n qui la parte tecnica. Quella fi gurativa si avvale di due elementi: le note di uno spartito originale di Ivan de Zajc, conserva-to nella Biblioteca Nazionale e Uni-versitaria di Zagabria, e alcune lette-re della scrittura glagolitica, ambe-

due elementi che l’autore ha ritenuto rappresentativi dell’identità fi umana. Uguale il parere del sindaco di Fiu-me, Vojko Obersnel, che vede in que-sti due elementi “parte riconoscibi-le dell’identità fi umana”. Non è stato però presa in considerazione un’altra “parte riconoscibile”, quell’elemento italiano autoctono che è parte tangibi-le dell’identità fi umana.

Il sipario è stato offerto dalla Zagrebačka banka, l’istituto bancario che già da anni è impegnato in dona-zioni a benefi cio di enti culturali: allo stesso titolo gratuito ha lavorato l’ar-tista. Così, senza spendere una sola kuna, il teatro fi umano si è arricchito di un nuovo sipario. Che però ha de-stato un mare di polemiche ancor pri-ma che venisse visto. Polemiche che sono anche giustifi cate, perché per un‘opera pubblica, ed il sipario lo è, deve venir bandito il relativo concor-so. Cosa che non è stata fatta perché lo sponsor, ignorando questa regola, ha ingaggiato il pittore spalatino che già di sipari ne aveva realizzati.

Fra assensi e silenziHanno alzato la voce artisti e sto-

rici dell’arte fi umani: prima di tutto il lavoro doveva venir fatto in base ad

di Erna Toncinich

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Panorama 21

ArteArte

un concorso, e poi perché ricorrere a un Trebotić e non ingaggiare un arti-sta locale? Non ne abbiamo di vali-di qui a Fiume? Qualcuno è arriva-to a dire che Trebotić non è stato una buona scelta, in altre parole non è un artista capace di eseguire un lavoro del genere, non è in grado di operare che su piccolo formato. “Non so per-ché insista sulla pittura, è un magni-fi co disegnatore e grafi co” ha detto Ante Glibota, storico e critico d’arte croato che vive a Parigi. Neanche una sola voce invece dalla terra dell’auto-

dalmata Marko Trebotić

tità fi umana

L’artista e lo schizzo del sipario

Il telone del Teatro di Spalato... ... e quello al “Marin Držić” di Ragusa (Dubrovnik)

re dell’opera contestata. Zlatko Gall, critico della “Slobodna Dalmacija”, ha approvato l’ingaggio dell’artista di Milna in rapporto a tutte e tre le realizzazioni, in quanto, secondo lui, Fiume ha una diversa ottica mediter-ranea rispetto a Spalato, perché la cit-tà sul Quarnero si mescola con il con-testo centroeuropeo, ossia cultural-mente Spalato e Fiume sono due città diverse.

A caval donato non si guarda in bocca...

“Il sipario l’abbiamo ricevuto in dono. A caval donato non si guarda in bocca” è stato risposto a Fiume a coloro che hanno parlato male del si-pario e del suo autore. Eppure, va ri-cordato, il teatro spalatino, prima di ricevere il sipario attuale, aveva avu-to un’offerta in merito avanzata da

Charles Billich, il contestato pittore di Laurana, da anni in Australia, che miete successi solo dove di arte vera non se ne intendono, il quale aveva proposto una delle sue cinemascopi-che vedute urbane (una di queste de-turpa ancor sempre la sala delle riu-nioni del Municipio fi umano) che co-munque, molto saggiamente, è stata rifi utata.

Trebotić è indubbiamente un ar-tista che sa equilibrare con notevo-le chiarezza mentale - e lo dimostra nell’opera lasciata a Fiume - le con-notazioni culturali di cui si serve: let-tere della scrittura glagolitica, righi e note musicali, chiesa di Tersatto, pun-ti fi gurativi che fanno tutt’uno con il vasto, cromaticamente caldo, lumi-noso, mediterraneo spazio astratto. Un’opera dalla quale emerge un Ma-tko Trebotić che tuttavia si dimostra più grafi co che pittore. ●

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Cinema e dintorniCinema e dintorni

Si può fare, di Giulio Manfredonia, a «furor di popolo» la miglior opera al II F

E il malato mentale divenne pa

Quarant’anni fa, nel 1968, in mezzo mondo, qualcuno pen-sò che bisognava fare la rivo-

luzione, cambiarlo tutto, e dunque por-tare l’immaginazione al potere. Era un po’ troppo ma qualche seme fu gettato e diede frutti. Uno fu il femminismo, un altro la psichiatria ‘alternativa’.

Dieci anni dopo, nel 1978, in Ita-lia, dopo un’esperienza condotta tra Gorizia e Trieste (dalle nostre par-ti, chi l’avrebbe mai detto?), fu vara-ta la Legge 180, chiamata anche, dal suo ispiratore, ‘legge Basaglia’. Come qualcuno saprà, la legge prevedeva la chiusura dei manicomi e l’istituzione di centri di igiene mentale dove i ma-lati non erano più “oggetti” da tene-re solo calmi, sedati, ma persone con cui innanzitutto parlare anche quando essi facevano fatica ad esprimersi, an-che quando stavano zitti, rispettando e cercando di interpretare i loro silenzi. Se non fu, non è, rivoluzione questa!

Si istituirono anche i cosiddetti “gruppi appartamento” dove, assieme ad assistenti sociali e volontari, i ma-lati tornavano a riacquistare progressi-vamente una autosuffi cienza nel gesti-re la propria vita e a viverne una nor-male di relazione. Siccome il lavoro è un modo fondamentale per (ri)trovare una identità e una dignità, furono isti-tuite anche cooperative sociali dove i malati (sempre meno malati), sempre con calma, imparavano un mestiere, dal semplice al complesso e, tramite esso, a socializzare ulteriormente an-che sul piano professionale.

Su questo fenomeno rivoluziona-rio sono stati fatti tanti fi lm (uno per tutti: “Matti da slegare”, di Marco Bellocchio, 1975) e l’ultimo in ordi-ne di tempo è il <bi>Si può fare</> di Giulio Manfredonia, 2008, che si rifà all’esperienza reale di una cooperativa di lavoro pordenonese ed è stato pre-sentato fuori concorso al II Festival del Cinema di Roma, appena conclu-sosi. Il fi lm, a “furor di popolo”, è sta-to considerato la miglior opera dell’in-tera rassegna e allora qualcuno, forse qualche ex sessantottino (per restare

in argomento), si è chiesto: come mai fuori concorso? Dandosi subito la ri-sposta: perché con il cambio di gestio-ne politica al Comune di Roma, pro-motore del Festival, cioè da Veltroni ad Alemanno, è cambiato anche il suo direttore, cioè dal “giovane democrati-co” Bettini al “fossile democristiano” Gian Luigi Rondi: quindi...

Ma torneremo sul Festival (l’anno scorso si chiamava Festa, meno red carpet e più folla di popolo), anche perché il pubblico ha premiato come

miglior fi lm “Resolution 819”, di Gia-como Battiato, sulla strage di Srebre-nica (e di cui “La Voce del Popolo” ha già dato ampia notizia , 3/11) e la cri-tica “Opium War”, di Siddik Barmak, sulla guerra in Afghanistan.

Ma torniamo a “Si può fare”, alla storia. Nello (Claudio Bisio), nella Mi-lano di inizi anni Ottanta, è un sinda-calista che crede nella solidarietà ma anche nel “mercato”, nella responsa-bilità e nell’iniziativa personale. Viene “degradato” e va a dirigere una coo-perativa di freschi ex degenti manico-miali. La cooperativa è dominata dalla supervisione di uno psichiatra vecchia scuola (Giorgio Colangeli) che crede nei farmaci e non nell’emancipazione del lavoro. Nello non sa niente di psi-chiatria ma si lascia guidare dall’istin-to e da una semplice idea: “quello che farà stare bene me farà stare meglio anche loro” e, con tutte le diffi coltà del caso, trasformerà i “disagiati” in richiestissimi parquettisti. Infatti il di-sastro che combinano al primo lavo-ro viene scambiato per originale crea-tività (con tutto lo humour, la presa in giro di una clientela borghese in una

“Milano da bere” già craxiana e av-viata a diventare neoberlusconiana). E così avanti tra cadute, crisi, fallimenti ma portando a compimento un lavo-ro, prima di tutto umano, sulle perso-ne, di grandissimo signifi cato: qualcu-no guarirà del tutto, altri no, qualcuno si innamorerà fi no ad un tragico epi-logo ma per tutti, su tutti quell’espe-rienza lascerà un segno indelebile, non permetterà ritorni all’indietro per-ché, anche se Nello ad un certo punto darà le dimissioni, ci sarà chi, in modo autogestito, saprà raccogliere la sua eredità. L’avventura è arricchita dal-la presenza di un giovane psichiatra basagliano (Giuseppe Battiston), che aiuterà Nello a capire meglio la psico-logia dei suoi “strani compagni”, e an-che della sua fi danzata (Anita Caprio-li), in bilico tra adesione al sogno di lui e inseguimento del successo nel-la Milano della moda. Ma la bellezza del fi lm sta soprattutto nella adesione gioiosa con cui molti giovani attori si sono calati nelle diverse parti, nelle di-verse forme di malattia mentale (il de-presso, il nevrotico ansioso, l’iperci-netico, il fobico ossessivo, il paranoi-co violento, ecc.). Da una intervista rilasciata da Claudio Bisio (il presen-tatore/mattatore di “Zelig”) al sito in-ternet <i>www.mymovies.it</>: “Pri-ma di iniziare le riprese, Giulio Man-fredonia ha fatto due mesi di prove al

Giulio Manfredonia, regista del fi lm “Si può fare”

di Gianfranco Sodomaco

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Panorama 23

Cinema e dintorniCinema e dintorni

Festival del Cinema di Roma

arquettistaSanta Maria della Pietà di Roma con gli attori che interpretavano i mat-ti. Quando sono arrivato per leggere il copione mi sono trovato in mezzo a quelle stanze e circondato da gente talmente immersa nella parte che pen-savo di essere fi nito su ‘Scherzi a par-te’. C’era una ragazza che non smette-va mai di guardarmi negli occhi, uno che sbavava, uno che fumava una si-garetta dopo l’altra. Anche nelle pau-se continuavano ad essere i loro per-sonaggi. Solo alla fi ne delle riprese ho capito che erano tutti attori. Ma, santo cielo, hanno delle facce...!”

Ancora una volta siamo dalle parti (come per “Il matrimonio di Lorna”, come per “La classe”, ecc.) di una fi n-zione più vera del vero, di un lavoro registico preparatorio capillare e raffi -nato che porta, in certi momenti, ad un coinvolgimento completo del pubbli-co, sia nei momenti decisamente co-mici sia in quelli drammatici. Il fi lm ha, come abbiamo accennato, sia una valenza medico-scientifi ca sia, per forza di cose, politica. Il fi lm non pia-cerà, o lascerà interdetti, coloro che non sono d’accordo su questa prati-ca terapeutica, coloro che da anni vo-gliono modifi care la Legge 180, quel-li come il professor Giovanni Jervis (collaboratore di Basaglia, da cui poi si è separato per contrasti) che alcune

settimane fa, ricordando il 30° della legge dalle pagine di “la Repubblica” (4 settembre), accusava l’esperienza basagliana di “razionalità negata” (ti-tolo di un suo libro), in contrapposi-zione al titolo del libro che in qualche

modo la iniziava: “L’istituzione nega-ta”, cioè il manicomio. In questa po-lemica a distanza (Basaglia è morto nel 1980) sono intervenuti, sulle pa-gine de “Il Piccolo” (31 ottobre), mol-ti dei compagni, degli “allievi” di Ba-saglia di allora, fi rmandosi “i medici goriziani” e che oggi lavorano in va-rie strutture sanitarie. Non posso en-trare, ovviamente, non ne avrei com-petenza, nel merito specifi co di questa polemica, posso solo ricordare alcune “parole d’ordine” (tratte dall’articolo dei “medici goriziani”) con cui quel-la “rivoluzione” nacque e che a me sembrano ancora attuali, valide: dei-stituzionalizzazione (“...in questi casi si rendeva evidente come, smontan-do l’apparato istituzionale che gesti-va l’artefatto-malattia, emergesse la sofferenza individuale del paziente e quella derivante dal suo contesto so-ciale...”); soggettività (“...Basaglia ha rifi utato di parlare al posto dei pazien-ti, di ergersi a paladino dei loro biso-gni, interpretandoli..., facendo emer-gere un nuovo modo di relazionar-si...”); dialettica (“...Non dobbiamo vincere, diceva Basaglia, dobbiamo convincere!”); critica epistemologica (“...che interessa le scienze umane, ed è parte di una più generale rivoluzione simbolica del pensiero...). Ciò fa capi-re che il pensiero e l’opera di Basaglia & c. sono ancora un fenomeno aper-to, alla discussione come alla prassi, e che un fi lm come “Si può fare” è un degnissimo contributo perché questo dibattito non solo continui ma si ap-profondisca e si diffonda il più possi-bile, soprattutto tra i più giovani.●

Nello (Claudio Bisio) con i suoi parquettisti

Nello viene allontanato perché vorrebbe ridurre ai malati le dosi dei psicofarmaci che li intontiscono

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Due giorni dopo fu presentato un rapporto sulla situazione all’im-peratore Carlo I, giunto il 13 set-

tembre a Calceramico sul lago di Cal-donazzo. Subentrato un anno prima, in un momento critico per l’Austria, al tro-no del prozio Francesco Giuseppe, ave-va tentato proprio in quel periodo di al-lacciare negoziati segreti con gli allea-ti dell’Intesa ma senza riuscirci. Quel giorno fi rmò il decreto con cui Pivko cedeva al maggiore Lakom il comando del settore di Val Sugana e veniva pre-miato con il trasferimento al comando dell’XI Armata.

“Sostanzialmente era una promo-zione”, scrisse il capitano, “ma l’ordi-ne non poteva essere eseguito in fretta, non era possibile fare le consegne di un settore così esteso e importante in meno di quattro-cinque giorni. E il 17 settem-bre di sera noi si partiva…”.

I corrispondenti di guerra e gli invia-ti speciali dei giornali austriaci e italia-ni negli anni 1917 e 1918 sparsero fi u-mi di inchiostro scrivendo di Carzano e dei difensori di quel fronte dell’una e dell’altra parte ignorando del tutto i fatti legati alla congiura.

Gli italiani sfondano senza però avanzare

Il 15 settembre, inviate dagli italia-ni, arrivarono le bustine con l’oppio in polvere e fi asche impagliate con ottima grappa, in ciascuna delle quali era sta-ta versata una piccola dose di oppio li-quido. Bastava berne un sorso per pre-cipitare in un sonno profondo. Il 17, alle ore 21, i soldati del Battaglione rimos-sero gli ostacoli all’accesso delle trincee lungo l’intero fronte di Carzano e taglia-rono i fi li della corrente. Nella centrale elettrica le turbine cessarono di funzio-nare. I congiurati saltarono la cena, tut-ti gli altri soldati, sottuffi ciali e uffi cia-li lungo le linee serpeggianti dal Civa-ron fi no al Salubio, che avevano ingeri-to oppio bevendo caffè e grappa, erano sprofondati nel sonno. I collegamenti telefonici tra le prime linee e i comandi, da quelli intermedi fi no a quello di Divi-

sione, furono tagliati da gruppi specia-li. Sulla Val Sugana piombò il silenzio più assoluto. Le sentinelle nel settore di Carzano, tutti e soltanto congiurati, at-tendevano l’arrivo delle colonne italia-ne. Pivko aveva inviato a Strigno due uffi ciali e nove soldati per fare da guida e facilitare l’attraversamento delle linee. Avrebbero dovuto essere di ritorno nel momento stesso in cui furono spalanca-te le “porte” del fronte e interrotti i col-legamenti.

I minuti trascorsero lenti come ore; due ore e mezzo e… niente: delle co-lonne italiane neppure l’ombra. Appena verso le 23, fi nalmente, arrivò una lun-ga colonna di arditi, calzati con scarpe di gomma. Li guidava il coraggioso ser-gente Mlejnek. Le sentinelle li lasciaro-no passare. ”Verso la mezzanotte, con segnali concordati, comunicammo agli italiani che il primo reparto aveva oc-cupato le prime linee senza sparare un colpo. L’intera azione avrebbe dovuto concludersi tre ore prima!”.

Una colonna dopo l’altra, senza in-terruzioni, le truppe avrebbero dovuto penetrare in profondità nel territorio ne-mico, ma non fu così. Evidentemente i comandanti non nutrivano eccessiva fi -ducia negli alleati, e di ora in ora tiraro-no per le lunghe l’operazione. Per la ve-rità l’azione degli arditi era stata molto rapida: presero posizione lungo un chi-lometro e mezzo, ma le quattro colonne

successive furono piuttosto lente, sicché l’ultima, quella del battaglione di ber-saglieri del maggiore Ramorini, eseguì appena alle prime luci dell’alba il non proprio diffi cile compito di occupare i ponti sul Maso e la borgata di Carzano.

“I nostri accompagnatori - scris-se Pivko - sono disperati. Al maggiore Ramorini non è possibile dimostrare un bel niente, respinge qualsiasi argomen-tazione. Inoltre, preso dal nervosismo e confuso com’è, non riesce a concludere nulla di buono. Alle sei del mattino (del 18 settembre, nda) è stato realizzato ap-pena il programma della prima fase, vale a dire lo sfondamento delle tre li-nee austriache, cosa che - stando al pia-no - doveva essere fatta nella prima ora della sera (del 17 settembre, nda)”.

Dopo questo sfogo per il compor-tamento indeciso e disordinato dei co-mandanti italiani, Pivko descrisse il caos nelle fi le austriache: ”I comandan-ti sono in fuga. C’è una generale confu-sione. Perciò non sarebbe ancora trop-po tardi per ottenere un pieno successo. Ma non ci sono le migliaia e migliaia di soldati che avrebbero dovuto occupa-re il settore di Val Sugana, il Civaron, il Salubio e le retrovie. Arrivano quando il sole è già alto e l’artiglieria austria-ca ha ripreso ad operare, chiudendo di giorno il passaggio del fi ume Maso”. Non mancò però di segnalare l’ardita azione del gruppo di bersaglieri che riu-

StoriaStoria

Una pagina sconosciuta della Grande Guerra: il battaglione di disertori jugosla

Arrivano gli arditi, ma il grosso n

La guerra è anche questo: soldati tedeschi sul fronte occidentale ripuliscono gli indumenti dai pidocchi

di Gino Sergi

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Panorama 25

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avi al fronte italiano

non avanza

Il confl itto causò lutti e rovine enormi: un abitato sulle rive dell’Isonzo. In primo piano, solo i piloni indicano dove c’era il ponte

scirono ad occupare la località di Telve con l’ultimo buio conquistando le bat-terie di Ceggio. Colti di sorpresa, gli ar-tiglieri austriaci abbandonarono le posi-zioni dandosi alla fuga.

”Più in là gli italiani non hanno nep-pure tentato di arrivare. Quando a noi fu chiaro che l’iniziativa sarebbe fallita, mandammo oltre il fronte in Italia (sic) 300 nostri soldati. Alle 9 antimeridiane incontrai i battaglioni della brigata del generale Zincone, ciclisti, alpini, ber-saglieri e fanti, tutti equipaggiati per la marcia. Truppe di tutte le armi erano in movimento verso Strigno e lungo la Val Sugana”. Non era più possibile arresta-re all’improvviso un macchinario così complesso, ma era stata sprecata irre-parabilmente l’occasione di sfondare in una notte sola fi no a Trento, travolgendo il nemico prima che si riavesse. “Resisi conto, i signori comandanti, di che cosa avevano perduto per la loro incapacità, si presero per la testa”, fu il suo com-mento. Pare che il Comando supremo italiano avesse aperto poi un’inchiesta e che Zincone sia stato punito. Insieme a molti altri uffi ciali superiori. ”L’inchie-sta non ci interessava”, annotò. “Era-vamo fi n troppo scoraggiati. Nel corso delle indagini nessuno ci chiese nulla, e nulla c’era da indagare sul nostro ope-rato”. Alcuni dei suoi uomini attenden-do disciplinatamente l’arrivo degli ita-liani per mettersi al loro servizio, erano rimasti fermi ai loro posti nelle retrovie. E lì, purtroppo, restarono dopo il falli-mento dell’azione. Nei giorni e setti-mane successivi tentarono a più riprese di passare in territorio italiano, ma sol-tanto “alcuni ci riuscirono”; gli altri fu-rono costretti “a stare in silenzio e sop-portare”.

Su “Il Secolo” del 25 giugno 1919, a otto mesi dalla fi ne della guerra, il gior-nalista e scrittore Ugo Ojetti fu il pri-mo a scrivere poche righe sul fallimen-to dell’offensiva chiedendosi che cosa era capitato a colui che con il suo “paz-zo orgoglio” e la sua incapacità aveva causato l’aborto dell’azione. Si era par-lato dell’apertura di un’inchiesta, per-ché si tenevano ancora nascosti i risul-tati? Non ci sarebbe mai stato il disastro di Caporetto, aggiungeva, se un mese

prima gli austriaci fossero stati sconfi tti a Carzano, se nella notte fra il 17 e il 18 settembre 1917 il piano di Finzi fosse stato eseguito con quella intelligenza, disciplina e fi ducia nelle proprie forze con cui era stato concepito. Conclude-va: “Se l’inchiesta non sarà resa pubbli-ca, quando verrà il tempo giusto pren-derà la parola colui che sa”. In Italia nessuno parlò. In Jugoslavia fu Pivko a presentare le sue conoscenze nell’opu-scoletto da cui siamo partiti per questa ricostruzione, che in Italia, fi nora, non è stato letto da nessuno.

La guerra continuasulla barricata italianaQuello che nell’inquadramento au-

striaco era stato il “Battaglione bosnia-co”, in territorio italiano divenne “Bat-taglione volontario jugoslavo”, formato però solo in parte da effettivi del primo, perché insieme ai soldati della Bosnia, Croazia e Slovenia, nelle sue fi le erano presenti anche Cechi, tutti del settore di Carzano che volontariamente avevano scelto di allearsi con l’esercito sabaudo. Inizialmente le autorità italiane offerse-ro loro di optare per un qualsiasi pae-se alleato ove recarsi e attendere, liberi, la fi ne della guerra. L’offerta fu respin-ta, Jugoslavi e Cechi preferirono resta-re in Italia.

Il 22 settembre Pivko fu convocato presso il comando italiano del settore: “Mi chiesero se i miei uffi ciali e solda-ti accettavano di partecipare ad alcune nuove azioni di guerra nella Val Suga-na, con cui si pensava di sfondare fi nal-mente il fronte. Interrogai a mia volta i miei uomini: cinque uffi ciali e quindici soldati si presentarono volontari per il servizio di guida”.

Portato con automobili sulla linea del fronte, il gruppo fu impegnato in perlustrazioni ed a cercare collegamen-ti con i “bosniaci” rimasti sul lato au-striaco. Si venne a sapere che i resti del Battaglione (uffi cialmente “Primo bat-taglione bosniaco-erzegovese” del V Reggimento) stavano ancora nei pres-si del Maso e che gli austriaci stava-no sottoponendoli a intensi interroga-tori per scoprire le ragioni dell’irruzio-ne delle truppe italiane. Furono raccol-te anche altre notizie utili, ma “per vari motivi a noi sconosciuti il Comando su-premo italiano rinunciò al tentativo di una nuova offensiva in Val Sugana”. La cosa turbò i “disertori”, destando in essi un senso di frustrazione e una certa osti-lità verso gli italiani. Pivko scrisse: ”In quel periodo ci fu offerta l’occasione di scoprire nell’opinione pubblica italia-na un’incredibile ignoranza delle no-stre questioni. Non esisteva nessunissi-mo interesse per gli Slavi. I giornali ta-cevano come sepolcri sul nostro conto. Nei nostri confronti non veniva manife-stata alcuna simpatia, perché semplice-mente gli Italiani non ci conoscevano. Tutti gli abitanti dei territori austriaci erano ‘austriaci’, e già di per sé la pa-rola esprimeva qualcosa di brutto e di odioso. Gli altri nomi nostri, naziona-li, come sloveno, croato e boemo, erano per loro soltanto confuse sfumature del termine ‘austriaco’. Anche persone di cultura, quali uffi ciali superiori, i qua-li, per il grado di istruzione, dovrebbero sapere qualcosa di più, su tali questioni si dimostravano ignoranti”.

L’uffi ciale jugoslavo insistette nella denuncia: ”Fummo colpiti terribilmen-te dalla constatazione che l’Italia, di cui eravamo vicini di casa e che da tre anni era in guerra con l’Austria, non si

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era resa conto ancora della necessità di seminare nel suo popolo almeno le no-zioni più elementari sui paesi e popoli che desideravano scrollarsi di dosso il giogo austriaco. Si capiva allora che un esercito così poco informato e spiritual-mente impreparato non potesse neppu-re immaginare che nelle fi le degli ‘au-striachi’, come ci chiamavano, ci fosse-ro uomini e popoli che lottavano contro l’Austria con tutte le loro forze. In noi, di Carzano, vedevano dei criminali che tradivano la loro patria”.

Gli italiani, soldati in primo luogo, spiegava poi, non ce l’avevano con tutti i disertori. Provavano compassione, ad esempio, per quelli che, alla spicciolata, fuggivano dal fronte per non dover più combattere per l’Austria, stanchi e stre-mati dalla guerra, e felici di aver por-tato in Italia la testa sulle spalle. “Noi di Carzano, invece, dicevamo di voler combattere ancora contro l’Austria. E questo per l’italiano qualunque era troppo! Ogni parola che pronunciava-mo ci rivelava estranei, eravamo stra-nieri anche se vestivamo abiti civili o uniformi italiane”. Chi siete? Da dove venite? Non li salvava la spiegazione: sono jugoslavo, sono ceco, sono slove-no. Capivano un po’ meglio quando la risposta era: slavo, serbo o americano. I sergenti Šime Čačić e Ignacij Levec, che sapevano l’italiano, scherzavano con i curiosi più benevoli dicendo di es-sere giapponesi. Quelli lì, dell’estremo oriente, agli italiani ben più noti che gli jugoslavi, erano peraltro nostri alleati.

* * *Nei giorni di riposo, gli uffi ciali

del Battaglione intrapresero un’inten-sa azione di promozione presso le reda-zioni dei giornali italiani, fra la cittadi-nanza e nei circoli uffi ciali. Una paro-la dopo l’altra, un poco alla volta, co-minciarono con lo spiegare i termini per distinguere una nazionalità dall’al-tra dell’enorme mosaico della monar-chia bicipite. Nel contempo il reparto modifi cò la denominazione in “Repar-to autonomo czeco-jugoslavo” e verso la metà di ottobre, lasciate le retrovie, raggiunse il fronte sul Monte Zebio, sul Monte Katz e sul Monte Rasta. L’attivi-tà dei ceco-jugoslavi sul fronte ebbe ini-zio nel settore tenuto dal Quinto Reggi-mento bersaglieri e dal 77° al 78° Reg-gimento di fanteria. Con ordine scritto, al colonnello comandante dei bersaglie-ri fu comunicato che i soldati del “Re-parto autonomo” erano “Serbi fi datissi-

mi”; ciononostante egli li accolse con estrema diffi denza. Bastarono però sol-tanto due giorni per sgombrare ogni so-spetto; quando l’alto uffi ciale ebbe ben conosciuto i nuovi arrivati, il coraggio, la serietà, il senso del dovere e della di-sciplina che li contraddistingueva, pre-se a tenere discorsi entusiastici sul lor conto. A sua volta il maggiore dei ber-saglieri Borghesio approfi ttò di una sfi -lata del “Reparto czeco-jugoslavo” di fronte alla sua compagnia per presen-tarli ai soldati italiani con queste parole: “Sapete chi sono gli uomini che stan-no sfi lando? Guardateli bene, sono dei valorosi, venuti in Italia per combattere al nostro fi anco e liberare i loro fratelli rimasti in Austria. Laggiù vivono i loro parenti. Essi sono Slavi. Fra Italiani e Slavi non esistono avversioni, siamo fratelli! Fino a qualche mese fa erano sudditi austriaci e sanno bene perché combattono contro l’Austria!”

I bersaglieri vennero così a sapere chi fossero i ceco-jugoslavi, la notizia si diffuse in un baleno in tutto il setto-re del fronte. Pivko annotò: ”Il nostro programma prevedeva il frequente tra-sferimento del battaglione da un settore all’altro, in modo da farci conoscere dal maggior numero possibile di reggimen-ti. Preparavamo il terreno per la crea-zione di una Legione di volontari che, Dio volendo e con la fortuna che aiuta i forti, sarebbe venuta dopo di noi”.

Nuove ondate di disertoriIn occasione del Capodanno 1918,

il direttore dell’Uffi cio cecoslovacco a Roma, signor Hlavàcek, fece visita al “Reparto czeco-jugoslavo” e fu entu-siasta nel vedere quanti amici si erano fatti quei volontari nella zona di guerra. Con l’aiuto del tenente sloveno Stane Vidmar chiese ed ottenne l’inserimen-to nei suoi ranghi di un buon numero di

czeki e slovacchi e così il distaccamen-to venne chiamato semplicemente “Re-parto czeko-jugoslavo”.

”Il nostro reparto era disciplina-to e ben addestrato sotto ogni aspetto. Ovunque capitavamo, sentivamo su di noi sguardi curiosi e attenti. Le norma-li esercitazioni, le manovre, i semplici esercizi militari e i quotidiani eserci-zi di ginnastica richiamavano numero-si uffi ciali delle truppe alleate che ve-nivano nel nostro settore soltanto per vederci. Anche per le partite di calcio addestrammo due squadre che spes-so gareggiarono con squadre italiane, francesi e inglesi sui campi di Verona, di Tugurio e Longa presso Vicenza e sul campo britannico di Vicenza”, così ri-cordava Pivko.

Al fronte rimaneva sempre il gros-so del reparto che continuò a distin-guersi nelle azioni. “I successi del no-stro distaccamento sul fronte di guer-ra erano per noi la migliore propagan-da”. Dopo la tremenda batosta subita nell’ottobre-novembre del 1917 con lo sfondamento di Caporetto, anche il più piccolo risultato positivo per l’Ita-lia richiamava l’attenzione dei giorna-li. Talvolta accadimenti di poco conto venivano ingigantiti. Uno di essi, vera-mente insignifi cante, fu citato addirit-tura in un discorso del capo del gover-no Orlando nell’aprile 1918 a Roma al Congresso dei popoli oppressi: in lo-calità Stoccaredo il 29 marzo i soldati jugoslavi avevano attaccato ed annien-tato un posto di guardia austriaco. An-che il “Giornale d’Italia”, solitamente ostile agli jugoslavi, il 3 maggio ripor-tò un reportage dal fronte sul “reparto di volontari” che avevano disertato le fi le austriache per quelle italiane, de-scrivendo la scena in cui essi, avvici-natisi alle trincee dell’XI Reggimento austriaco, attraverso i megafoni prese-

StoriaStoria

Trinceramenti sul Piave

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ro a sfi dare il nemico cantando “Onam, onamo”. Senza però specifi care che la canzone era jugoslava.

Pivko accennò anche a diversi “ostacoli politici” incontrati dal repar-to. Dopo il Congresso di Roma, infat-ti, i rappresentanti del Comitato jugo-slavo restarono in Italia, ma a sfruttare nel modo migliore l’atmosfera politi-ca che si era fatta molto più respirabi-le per gli Slavi sottomessi all’Austria (Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Vojvodina, Boemia e Slovacchia) furo-no Cechi e Slovacchi, che già alla fi ne di aprile ottennero di costituire un pro-prio “Esercito czeco-slovacco in Italia”. Questo successo scaturì in buona misu-ra dall’esistenza e dalle azioni del “Re-parto czeco-jugoslavo”. ”Prima ancora che venisse fi rmato l’accordo sull’eser-cito cecoslovacco in Italia, avevamo co-minciato ad addestrare in zona di guer-ra i primi battaglioni cechi e slovacchi composti da uffi ciali e soldati arrivati al fronte dai campi di concentramento per prigionieri di guerra”.

Riuniti i reparti esploratori compo-sti da cechi e slovacchi, venne forma-to il 39.esimo Reggimento di fanteria cecoslovacco, i cui singoli battaglio-ni furono sparpagliati lungo l’intera li-nea del fronte. Lo stesso avvenne per le compagnie del Distaccamento jugosla-vo che furono distribuite sul fronte te-nuto da tre Armate italiane, VII, I e VI. Amministrativamente autonomi, gli ju-goslavi presero ad operare con i Ceco-slovacchi, per lo più fi anco a fi anco o parallelamente. Nel maggio 1918 il Di-staccamento jugoslavo venne rinforza-to con l’arrivo di altri duecento solda-ti; aumentò pure il numero degli uffi -ciali provenienti alla spicciolata dall’al-

tra parte. Questi disertori dell’esercito austriaco, decisi a combattere contro l’Austria, venivano raggruppati nelle retrovie del Distaccamento per un bre-ve periodo di esercitazioni, dopo di che non venivano neppure comunicati ai co-mandi italiani, per evitare che venissero spediti nei campi di prigionia, rivela Pi-vko: “sicchè la Commissione (italiana) per i prigionieri di guerra non li inserì nei propri elenchi. A me bastava comu-nicare al Comando generale i nomina-tivi e il numero dei soldati e uffi ciali che costituivano le mie compagnie. A que-sto proposito devo dire che gli uffi ci mi-litari italiani riponevano in noi la mas-sima fi ducia”.

Al Comando del Distaccamento per-vennero lettere di numerosi prigionieri, serbi, sloveni, croati e bosniaci, fi niti nei campi di concentramento, che chie-devano di essere arruolati; bastava un dispaccio di Pivko e dopo pochi giorni i volontari arrivavano. Ne vennero tan-ti che “a cominciare dal mese di ago-sto non fui più nella condizione di acco-gliere le richieste che pervenivano dai campi di prigionia. Saremmo stati felici se avessimo potuto liberare migliaia di Jugoslavi, ma per nuovi reparti di vo-lontari ci mancavano gli uffi ciali”.

Un progetto che va in frantumi

Si calcola che all’inizio del 1918 i prigionieri “austriaci” jugoslavi in Ita-lia erano saliti a 30.000. Fra di loro era-no numerosi coloro che chiedevano di poter uscire dai campi per essere inse-riti nell’esercito serbo. Le loro doman-de, però, furono respinte dagli uffi ci militari italiani. “Di quei prigionieri non si interessava nessuno”. Sarebbe stato facile agli uffi ciali già inseriti nel Distaccamento jugoslavo raggiungere quei campi e liberarli, “ma il Comita-to jugoslavo ce lo vietò espressamente. Avrà avuto le sue ragioni”.

Pivko spiegava da chi e come giun-se il divieto: ”Quando seppi che nel campo di Nocera Umbra c’erano 200 uffi ciali jugoslavi che avevano pre-sentato la domanda per essere inseri-ti nell’esercito serbo fui sicuro che la commissione per i prigionieri di guer-ra avrebbe respinto le richieste. L’uni-ca possibilità di ridare a quegli uffi cia-li la libertà e l’occasione di prender parte alla lotta contro l’Austria era di andare da loro personalmente e di far-

li uscire dal campo”. Per raggiunge-re lo scopo presentò all’alto Comando italiano la richiesta per la costituzione di una Brigata Jugoslava composta da due a tre reggimenti, forte di 200 uffi -ciali e di 10.000 soldati e sottuffi ciali. Gli fu risposto con l’invito a specifi -care le condizioni per la realizzazione del progetto. Si prese allora una licenza di dieci giorni, raggiunse Roma e qui tentò di ottenere dal Comitato Jugosla-vo un mandato, con pieni poteri, per la creazione della Brigata. Intendeva inol-tre prolungare il viaggio fi no a Nocera Umbra per visitare gli uffi ciali e infor-marli.

A Roma non trovò il presidente del Comitato, Ante Trumbić, spalatino, le-ader del Partito Croato e fi rmatario con il leader serbo Nikola Pašić della Dichiarazione di Corfù (1917) con la quale si progettava l’unifi cazione de-gli Slavi meridionali in un unico Stato. Trumbić sarebbe stato il primo mini-stro degli Esteri di quello Stato. Il capi-tano seppe che si trovava alle terme di Fiuggi e lì lo raggiunse. “Presi atto del suo programma politico, che non con-sentiva la realizzazione del mio proget-to, e ne diedi comunicazione agli uffi -ciali di Nocera Umbra. Il dr. Trumbić, tuttavia, approvò il rapporto che gli feci sull’operato delle mie compagnie e non si oppose al proseguimento del-la nostra attività sul fronte; chiese nel-la maniera più categorica, però, che rinunciassi a qualsiasi idea di creare nuove formazioni”.

Da uffi ciale disciplinato, Pivko si sottomise alle decisioni ed ai desideri di Trumbić e sciolse immediatamen-te un Comando di Marcellise, da poco formato, per organizzare e dirigere un campo di addestramento per le nuo-ve formazioni. Le suppliche e petizio-ni che continuavano ad arrivare da No-cera Umbra restarono senza risposta. ”Parecchie migliaia di nostri uomini restarono così nei campi di concentra-mento fi no alla conclusione della guer-ra. Anzi, con lo sfacelo dell’Austria si unirono a loro altri 100.000 soldati e tutti insieme, in tristi condizioni di pri-gionia, dovettero attendere un anno e mezzo dopo la fi ne del confl itto prima di tornare a casa ed alla libertà. Così gli jugoslavi in Italia, ignorando per chi avevano combattuto, per la gloria di quale patria, furono obbligati a por-tare sulla loro pelle il marchio vergo-gnoso di austriacanti!”. (3 - continua)Mitraglieri italiani

in postazione nel Trentino

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ReportageReportage

Da otto anni la sagra del prelibato frutto accoglie visitatori da tutta la Slovenia

Strugnano... la terra dei cachi

Strugnano, l’invitante paese nei pressi di Portorose, da alcuni anni è diventato l’unico centro

in Slovenia in cui si organizza la “Fe-sta dei cachi”. L’allettante frutto, tra l’altro ricco di vitamina C, non è mai stato valorizzato “in specifi co” ma ciascuno davanti la casa si è tenuto il suo bell’albero e quindi sul litorale i cachi abbondano. Ben sapendo che chi aveva il suo albero ne offriva in vendita il frutto alla gente di passag-gio, o lo essicava o, ancora, si face-va in casa la marmellata, nel 2000 gli strugnanesi (sono quasi 600) hanno organizzato la prima Festa dei cachi una sagra ad inizio novembre, quando cioè il frutto matura, in cui si offri-vano marmellate, grappe e cachi fre-schi, ma anche i dolci che le massaie facevano con le proprie mani. Ben af-fermatasi a questa prima edizione, la festa è diventata tradizionale crescen-do di anno in anno sia nei contenuti che nel numero di persone che ven-gono ad assistervi. E così si è arrivati quest’anno ai circa 7000 visitatori in tre giorni.

Uno degli organizzatori, ovvero delle persone che hanno avuto l’idea della sagra, è Franco Giassi, pure pro-duttore. “Perché questa festa? Nel 2000 alcuni di noi, visti i tanti frutti della zona abbiamo deciso di inizia-re il secolo con qualcosa di nuovo. Ci siamo perciò messi assieme per valo-rizzare con una festa il succoso frutto che nella zona di Strugnano evidenzia la sua maggior concentrazione di tutta la Slovenia. Allora perché non far sa-pere a tutti quali sono i suoi benefi ci?

Abbiamo iniziato con la vendita di 4-5 tonnellate di cachi, oggi siamo ar-rivati ad una produzione pari a 50 ton-nellate che usiamo esclusivamente noi produttori. Oggi abbiamo dalle 2000 alle 3000 piante, ovvero vere e pro-prie piantagioni. In casa facciamo le marmellate, le grappe e usiamo i pic-coli essiccatori (armadietti ben chiusi la cui temperatura interna raggiunge i 40 gradi; qui vengono messi i frut-ti maturi ai fi ni, appunto, dell’essicca-

zione). In ultima analisi praticamente del frutto si utilizza tutto, escluso solo il gambo.

Per quanto riguarda la pianta non è che abbia bisogno di particolari cure. Gli alberi vengono potati, concimati e, quel che oggi è la cosa più impor-tante, i frutti non vengono trattati con alcun prodotto chimico, quindi sono del tutto naturali. La maturazione av-viene da fi ne ottobre a dicembre, a se-conda del clima e quindi questo è il periodo per organizzare la sagra.

La Festa è partita timidamente otto anni fa, e oggi siamo arrivati a circa 7000 visitatori in tre giorni. Nella tre giorni di Strugnano si sono susseguite tante manifestazioni collaterali anche se il tempo quest’anno non ci ha aiu-tato. Ma il grande tendone è riuscito a contenere tutti i visitatori. In totale abbiamo venduto circa 50 tonnellate

di cachi. Di anno in anno l’offerta è aumentata in fatto di prodotti, dal ge-lato alla crostata (di tre metri) alle va-rie grappe e marmellate che sono an-date a ruba. Tra i menù proposti per uno spuntino, pure i calamari alla gri-glia con la salsa al caco, una salsina agro-dolce che si sposava benissimo con i calamari e che la gente ha voluto gustare. Ricco il programma collate-rale con un’esposizione dei temi lette-rari a cura del Centro Elvira Vatovec, una mostra sui cachi a cura dell’asi-lo Morje Lucia, sezione di Strugna-no, e anche degli alunni della SE di Lucia, sempre sezione di Strugnano. Grande successo pure del Laboratorio di pittura del gruppo della Comunità degli Italiani di Pirano, guidato da Li-liana Stipanov e Fulvia Zudič. I qua-dri dell’anno scorso sono stati espo-sti all’albergo “Svoboda” delle Terme Krka. All’albergo si sono svolte pure alcune conferenze sul come e perché mangiare i cachi a cura della prof. Ire-na Vrhovnik. Una passeggiata nel par-co naturale di Strugnano è stata orga-nizzata dalla locale società turistica. Infi ne, alla sera, tanta allegria e tan-ta musica per tutti e tre i giorni. In-somma possiamo dire di essere vera-mente soddisfatti perché da otto anni Strugnano è conosciuta in tutta la Slo-venia come il centro dei cachi, prova

Nonostante il maltempo, grande successo di pubblico alla Festa dei cachi di Strugnano, l’unica nel suo genere in Slovenia

Franco Giassi uno degli ideatori della Festa dei cachi

testo e foto di Ardea Velikonja

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Panorama 29

Nonostante il tempo inclemente l’interesse (e gli acquisti) sono stati notevoliNonostante il tempo inclemente l’interesse (e gli acquisti) sono stati notevoli

Le cassette ripiene: prezzo 7 euroLe cassette ripiene: prezzo 7 euro

Dai liquori alle grappe,Dai liquori alle grappe, tutto si può fare con questo prelibato fruttotutto si può fare con questo prelibato frutto

Il gruppo di pittura della CI diIl gruppo di pittura della CI di Pirano ha allestito una mostraPirano ha allestito una mostra

anche alle Terme Svobodaanche alle Terme Svoboda

Strugnano dall’altoStrugnano dall’alto

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30 Panorama

AttualitàAttualità

La marmellata è facile da farsi ed è molto gLa marmellata è facile da farsi ed è molto

Se le inventano tutte: anche il gelato ai cachiSe le inventano tutte: anche il gelato ai cachi

Ogni nucleo familiare fa la marmellata cOgni nucleo familiare fa la marmellata

Ognuno si è sbizzarritoOgnuno si è sbizzarrito nel preparare i dolcinel preparare i dolci

Anche la pasta si può mangiare con il sugo dei cachiAnche la pasta si può mangiare con il sugo dei cachi

Panorama 31

AttualitàAttualità

olto gustosagustosa

ellata come ha “imparato dalla nonna”a come ha “imparato dalla nonna”

Tutti gli artigiani in mostraTutti gli artigiani in mostra

Le esperte mani dei soci della sezione pittura della CILe esperte mani dei soci della sezione pittura della CI di Pirano hanno suscitato grande interessedi Pirano hanno suscitato grande interesse

Anche i bambini partecipano con i propri lavori aAnche i bambini partecipano con i propri lavori a questa grande festaquesta grande festa

La piantagione di cachiLa piantagione di cachi vista dai bimbi dell’asilovista dai bimbi dell’asilo

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32 Panorama

Attualità

Strugnano è conosciuta per la sua ChiesaStrugnano è conosciuta per la sua Chiesa della Visione, ovvero il Santuario della Madonnadella Visione, ovvero il Santuario della Madonna

La Croce costruita nel 1921 sta a proteggere tutti i marinai; sullo sfondo si vede il Golfo di Trieste

L’Hotel Svoboda fa parte delle TermeL’Hotel Svoboda fa parte delle Termedi Strugnano l’unica stazione termale di Strugnano l’unica stazione termale

in riva al mare in Sloveniain riva al mare in Slovenia

Villa Tartini non si può visitare ancheVilla Tartini non si può visitare anche perché un cane lupo ne fa la guardiaperché un cane lupo ne fa la guardia

Le antiche saline risalgono all’epoca romanaLe antiche saline risalgono all’epoca romana

Il sale si forma da solo datoIl sale si forma da solo dato che qui non si lavora piùche qui non si lavora più

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Panorama 33

ReportageReportage

ne siano i numerosi autobus con visi-tatori arrivati da tutto il paese per as-sistere alla nostra festa”, ha concluso franco Giassi.

Probabilmente non c’è stato visi-tatore che essendo a Strugnano non ha visitato la famosa Chiesa del-la visione o Santuario della Madon-na, conosciuta per la sua leggenda che parla che tra il 14 e il 15 ago-sto del 1512 sia apparsa la Vergine a due guardiani delle vigne circostanti. La Madonna pregò i due guardiani di riferire alle autorità che la chiesetta è in rovina e che necessita un inter-vento di restauro e difatti nel 1520 venne ampliata e restaurata. Da allo-ra il Santuario divenne il più impor-tante luogo di pellegrinaggio di tutta l’Istria. A circa un centinaio di metri dalla chiesa su un colle c’è una gran-de Croce girata verso il mare costru-ita nel 1921 per proteggere tutti gli uomini che sono sul mare. Strugna-no anni fa era conosciuta pure per le sue saline situate nella zona allu-vionale del torrente Roia. Oggi è at-tiva solo una parte di queste saline che però possono venir visitate. Nel-la zona vicina si trova una sorta di la-guna denominata “stiusa”, un tempo ricca e fl orida peschiera degli abitan-ti del posto. Quindi benché piccola Strugnano ha trovato il “suo posto al sole” nel turismo della Slovenia.●

L’albero delle sette virtùIn questo mese di novembre certamente molti avranno già gustato i bei

pomi di color rosso-aranciato dei cachi. L’albero che produce questo frut-to riccamente zuccherino è proveniente dal Giappone e dalla Cina, e qui è considerato l’albero delle sette virtù: la prima è la lunga vita (possono vi-vere anche mezzo secolo); la seconda la grande ombra; la terza è l’assenza di nidi fra i suoi rami; la quarta è l’inattaccabilità da parte dei tarli; la quinta è la possibilità di giocare con le sue foglie indurite dal ghiaccio; la settima virtù è data dal bel fuoco che fornisce e dalla ricchezza in sostanze conci-manti il terreno.

Il caco nella simbologia legata ai fi ori e al regno vegetale ha il signifi ca-to particolare di “non credere alle apparenze”, probabilmente il senso sca-turisce dalle caratteristiche di questa prelibata bacca, così sgradita quando è immatura e così dolce quando ha perduto le sostanze che la rendono al-lappante. Il suo nome, infatti, è Diospyros kaki che in greco vuol dire “cibo degli dei” perché buono per l’alta percentuale di zuccheri. La sua composi-zione riporta il 18% di zuccheri, come il fi co e l’uva, per il resto il 78,20% è acqua; lo 0,80% sono proteine; lo 0,40% sono grassi e il 18,10% idrati carbonio, oltre ad una ragionevole quantità di vitamina C. Possiede, inoltre, notevoli proprietà terapeutiche sull’apparato intestinale, quali potere astrin-gente contro la diarrea, ed è ottimo per il trattamento della tosse e del sin-ghiozzo. È un frutto amato dai bambini e dagli anziani perché facilmente masticabile, consigliato alle persone debilitate o magre non è consigliabile ai diabetici, o ai malati di ulcera gastroduodenale.

I cachi vengono raccolti ancora immaturi tra la fi ne di ottobre e dicem-bre, a secondo del clima, lasciando una porzione di ramo, evitandone così la maturazione sull’albero, poiché si rischierebbe di vederli spappolarsi per caduta al suolo. In seguito il caco per divenire gradevole al palato è sogget-to ad un periodo di maturazione detto di “ammezzimento”, basato sulla si-stemazione dei frutti in contenitori, alternati con cassette di mele profumate in via di maturazione. Queste ultime, infatti, durante il periodo sprigionano due gas, l’acetilene e l’etilene, che accelerano l’arricchimento in zuccheri per la successiva consumazione.

Il Diospyros kaki, però, oltre a donare dei frutti squisiti è un albero che può essere utilizzato in giardino a scopo ornamentale, non per la fi oritura poco ap-pariscente che si confonde con il bel fogliame, ma per la chioma composta e il disegno elegante dei rami nudi in inverno. Unico lato negativo è il doppio pe-riodo di “cascola” (caduta dei frutti a giugno e ad agosto) che costringe a pu-lire il terreno al di sotto per evitare fenomeni di marciume. Le piante di cachi cominciano la produzione di frutti a partire dal quarto anno di vita e continua-no per decine di anni. ●

Nel programma pure una passeg-giata lungo il Parco naturale

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38 Panorama

LibriLibri

Rita Scotti Jurić: Didattica della comunicazione in classi bilingui

Quale vaccino per la rabia esaudita?Al ritorno da scuola una bam-

bina chiede alla madre: - Per la rabia esaudita bi-

sogna vaccinarsi sulla pancia?- Ma chi te l’ha detto?- L’insegnante d’italiano quan-

do ci parlava di quella malattia dei cani.

Come si può ricostruire il fi lo di un pensiero che trova questo sboc-co verbale? È ovvio, risponde Rita Scotti Jurić nel libro <bi>Didattica della comunicazione in classi bilin-gui</> pubblicato dalla Edit, quale progetto editoriale della Pietas Ju-lia , che la bambina possiede nel suo vocabolario passivo una conoscen-za molto vaga del termine “Arabia Saudita”, immagazzinato nella sua memoria ma con poche possibilità di venire usato nella comunicazione. Nel contempo nel suo vocabolario attivo non è stata esplicata nemme-no la parola “rabbia”, ossia la ma-lattia che colpisce gli animali. Am-bedue i termini si trovavano, qua-le sistemazione provvisoria, in una zona che l’autrice defi nisce neutra. Nel momento in cui la bambina ot-terrà le informazioni giuste tramite il curriculum scolastico, i termini pas-seranno dalla sfera neutra alla sfera attiva.

E se qui un’infl uenza più marca-ta del bilinguismo appare, in senso stretto, inesistente, nel caso che se-gue si esprime con signifi cativa va-lenza. Un bambino croatofono, par-lando di un’insegnante dice:

- Ona ti je ko balena, pravi kit. Egli usa dunque una similitudine

facente capo alla lingua italiana, ma poi, conscio della possibilità di non essere capito dall’interlocutore cro-atofono, chiarisce la fi gura espressa creando una metafora non tipica del-la lingua croata (che in questi casi usa l’espressione debeo kao prasac e non debeo kao kit).

I due sopra riportati sono dei pit-toreschi esempi del capitolo “La funzione espressiva bilingue al ser-vizio della comunicazione” del sud-detto volume, con cui l’autrice, do-cente di didattica della lingua ita-

liana all’omonimo Dipartimento dell’Università di Pola, analizza le modalità degli scambi di comuni-cazione fra la giovane popolazione scolastica, in modo da stimolare il lettore a rifl ettere sull’uso funziona-le della lingua in determinati conte-sti comunicativi.

Parte dei testi, già comparsa in pre-cedenza sotto forma di saggi, è stata rielaborata ed integrata, ossia subor-dinata a successive esperienze didat-tiche, al fi ne di fornire un’ampio ma-teriale didattico in cui siano elaborati contesti e teorie linguistiche. Sono, in particolare, due i concetti da usare in classe su cui l’autrice insiste in par-ticolare: l’interazione e la comunica-zione, considerate vere strategie es-senziali. Interagire è voler fare qual-cosa insieme, mentre comunicare si-gnifi ca condividere con altri qualcosa di personale. Signifi cativa, nel conte-sto, l’analisi dei vari tipi di silenzio di una classe di fronte all’insegnan-te. C’è quello rassegnato e passivo di chi vorrebbe trovarsi altrove, quello preoccupato e irrequieto per possibi-li prossime incombenze dagli esiti in-certi, il silenzio spossato al termine di una mattinata pesante, quello dif-fi dente di chi studia la controparte e, alfi ne, quello ricettivo e pregno di in-teresse di chi “è in ascolto”. Sarà pro-prio questo silenzio che, stimolando l’insegnante, genererà una “produzio-ne qualitativa” che porterà a rifl essio-ni e domande integrando il processo di conoscenza e facendo così crescere il gruppo intero.

Nella seconda parte vengono trat-tati i fraintendimenti non intenziona-li riconducibili alle differenze cultu-rali fra persone appartenenti a cultu-re diverse, e, subito dopo, il discorso etico nella comunicazione intercultu-rale che si profi la di estrema attualità alla luce del processo di affermazio-ne dell’autonomia della scuola a tutto danno del centralismo che ne ha co-stituito una costante che si può tran-quillamente defi nire permanente.

La terza parte del volume - come emerge dai due casi sopra riportati - tratta la creatività dei bambini bi-

lingui che non seguono rigidamente i canoni linguistici di uno o dell’al-tra lingua, ma si esprimono in for-me non convenzionali ma innovati-ve, codifi cate ovviamente come de-vianti da chi è monolingue e non è abituato ad esse.

La quarta parte esamina il passag-gio dall’educazione lineare a quella multimediale, un processo che esi-ge dai docenti un’intensa opera di mediazione culturale, che a sua vol-ta implica un livello di professiona-lità molto alto. La riforma scolasti-ca approvata di recente in Croazia, si ricorda, sancisce l’esistenza di un nuovo sistema formativo basato su percorsi personalizzati, ossia postu-la il passaggio da una scuola delle conoscenze a una scuola delle com-petenze.

Il volume appare dunque dedicato soprattutto ai giovani insegnanti del-le nostre scuole e agli studenti degli ultimi anni di italianistica, in un qua-dro che prevede un tipo d’insegna-mento che superi la vecchia conce-zione nozionistica e la rigida separa-zione fra le materie e l’adozione di una visione nel contempo multidi-mensionale e integrata, tale da inse-rire tutti i suoi elementi in un insieme coerente e coeso. ● M. S.

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58 Panorama

☺☺���� Il canto del disincantoIl canto del disincantodi Silvio Forzadi Silvio Forza

Obama, vincente sintesi di contrariMiljenko Jergović è certamen-

te uno dei più brillanti narrato-ri croati dall’indipendenza ad

oggi. Non per niente, le traduzioni del-le sue opere sono pubblicate dai massi-mi - e prestigiosi - editori europei qua-li Einaudi in Italia, Gallimard in Francia e Penguin Books in Inghilterra. Cresciu-to a Sarajevo, con regolari vacanze esti-ve dai nonni nella piccola località dalma-ta di Drvenik, Jergović è un intellettuale dalla mentalità aperta, cui si accompagna uno stimolante piglio critico che spesso lo conduce a conclusioni sorprendenti. Pubblica regolarmente commenti per il quotidiano zagabrese “Jutarnji list”: l’ul-timo di questi è dedicato all’elezione di Barack Obama alla casa Bianca. Ecco cosa scrive Jergović: “Di Barack Oba-ma per ora sappiamo incomparabilmen-te meno di ciò che sappiamo di quelli che lo hanno eletto, perciò la storia di Oba-ma, che ci affascina così tanto, è la storia di un popolo, cioè degli elettori, e non è la storia di un uomo. Gli Americani han-no eletto quest’uomo quale perfetto rap-presentante minoritario. Si potrebbe dire che ogni suo elettore gli è immensamente differente. I Bianchi hanno votato Oba-ma anche se lui è Nero. I Neri hanno vo-tato per lui anche se parla e si compor-ta come un Bianco e appartiene ad un ambiente culturale e sociale diverso ri-spetto a quello della stragrande mag-gioranza di essi. I patrioti hanno votato Obama anche se il suo secondo nome è Hussein, mentre i musulmani hanno vo-tato per lui anche se è di confessione cri-stiana (cosa che si perdona con diffi coltà ad uno il cui secondo nome è Hussein). I fedeli praticanti hanno scelto Obama anche se egli s’impegna apertamente in favore dell’aborto e del matrimonio tra gli omosessuali. La stragrande maggio-ranza protestante ha votato per lui anche se ha proposto un cattolico alla carica di vicepresidente. Oltre il settanta percen-to degli Ebrei americani ha votato per Obama, indipendentemente, di nuovo, dal suo secondo nome Hussein. I ricchi lo hanno scelto anche se lui è una rapa senza radici e non appartiene né alla no-biltà texana del petrolio, né a qualche gloriosa dinastia di partito, ma è invece il rappresentante di un’élite intellettuale, sempre e comunque sospetta”.

Considerata da questo punto di vista, l’elezione di Obama appare come un ul-teriore sconvolgimento di antiche abitu-dini politiche americane: non si tratta solo della prima volta di un afroamericano

alla guida del paese più potente del mon-do, ma si ha a che fare anche con la rottu-ra delle storiche camere blindate elettora-li che procedevano per interesse econo-mico (le lobby del petrolio e degli arma-menti), di razza (solo e sempre bianchi in un paese estremamente multirazziale) e di confessione religiosa (protestanti, con qualche limpida concessione - Kennedy - ai cattolici). Se l’Europa, dopo la cadu-ta del muro di Berlino, ha praticamente rotto con le ideologie, stavolta l’Ameri-ca - che un serio problema di ideologie non lo ha mai avuto - ha rotto con quei pilastri del passato che negli ultimi anni l’avevano resa estremamente antipatica. Ma attenzione, quei pilastri esistono an-cora, la novità è che stavolta non sono stati determinanti. Vediamo di spiegare meglio: la stragrande maggioranza degli esperti dice che l’elezione di Obama sia attribuibile in primo luogo all’attuale cri-si economica. Tuttavia, quest’interpreta-zione presenta qualche lacuna: se la crisi economica è un fenomeno (anche) terri-torialmente trasversale, come mai questa trasversalità non si vede anche negli esi-sti del voto? Esiti che invece hanno con-fermato una netta divisione geografi ca (da leggere come divisione sociocultura-le) basata sui vecchi pilastri di cui dice-vamo prima: il sud, il centro ed il midd-lewest sono repubblicani, il nord est (e la Florida) e la costa occidentale sono de-mocratici. Sarà anche vero che la popola-zione dell’Atlantico è più suscettibile de-gli altri rispetto agli andamenti di borsa e che quella del Pacifi co (ricca di indu-strie dedite alla nuove tecnologie) è più sensibile alle scosse economiche. Ma è vero anche che nelle zone dove il livello d’istruzione è più alto, dove c’è più cul-tura, più scambi interculturali, meno raz-zismo, meno fanatismo religioso e meno fedeltà alla vecchie dinastie, si è votato in favore del candidato dei democratico. Concludendo, i vecchi pilastri di razza, fede ed interessi economici esistono an-cora, ma più forte è stata la voglia di scal-fi rli per riqualifi care in positivo i valori della vita americana.

I sondaggi condotti in Europa alla vi-gilia delle elezioni americane hanno fat-to venire a galla alcuni dati molto inte-ressanti: in Europa - in cui una storia più complessa e diffi cile ha partorito un rap-porto con la politica molto più dialetti-co rispetto a quello degli Americani per i quali tutto si riduce a spettacolo in cui ci sono sempre migliaia di bandierine da sventolare - la democrazia americana

viene considerata imperfetta, dominata dall’ipocrisia e da una malcelata voglia di imperialismo economico da impor-re con le armi. Per questa ragione, tre su quattro degli Europei interpellati avreb-bero votato Obama. Poste queste pre-messe, l’elezione di Obama può essere vista come un ricostituente dell’imma-gine e dell’autenticità della democrazia USA. Una democrazia che, per quanto ancora legata al censo piuttosto che alla cittadinanza, con queste elezioni è torna-ta ad offrire spunti di avanguardia politi-ca che da noi latita spesso: basti pensare che anche nella nostra Istria multicultu-rale, la nomina di Loredana Bogliun De-beljuh (quand’era politicamente attiva in seno alla Dieta democratica istriana) ad assessore alla cultura si era rivelata im-possibile perché - come noi stessi abbia-mo sentito nei corridoi dei palazzi - la strategia culturale dell’Istria non doveva andare in mano ad un’italiana.

Ma torniamo in America. Obama sta raccogliendo consensi interplanetari che certamente gli faranno piacere ma che al contempo gli stanno caricando addos-so una responsabilità dai connotati epo-cali. Jergović scrive che prima di Oba-ma, l’umanità aveva investito così tan-te speranze soltanto su Gesù Cristo. Per cui sarà facile andare incontro a delusio-ni. Da parte sua Obama dovrà dimostrare di essere all’altezza del compito sui vari fronti, primo fra tutti quello della poli-tica mediorientale che dovrà essere tale da scongiurare il terrorismo e favorire il disimpegno militare degli USA in Iraq e Afghanistan. E qui dovrà prima supera-re le trincee in casa propria, quelle del-le lobby del petrolio e degli armamenti. Ma forse il compito epocale vero sarà quello della realizzazione del sogno di Martin Luther King, quello cioè di offri-re un autentico riscatto della popolazione afroamericana. Dovrà predisporre politi-che d’integrazione (istruzione e occupa-zione) in grado di far cadere i recinti dei quartieri afroamericani in cui proliferano povertà e mancanza di prospettive che troppo spesso si traducono in delinquen-za e in regole di vita tribali basate sul-la violenza. Probabilmente Obama dovrà insegnare agli Americani che una delle dimensione fondamentali dello stato è quella sociale. E si troverà contro i raz-zisti, con il Ku Kux Klan che si è già fat-to minaccioso. Speriamo che Obama di-venti presto “la maggioranza”, con i raz-zisti e i produttori d’armi relegati ad un ruolo minoritario.●