Pagine da training ergoattivo betti

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Pagine da Training ergoattivo - Il senso muscolare di: Giovanni Betti - Roberto Piga http://www.calzetti-mariucci.it/shop/prodotti/training-ergoattivo-il-senso-muscolare

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Primo capitolo

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Capitolo 1

1.0 Quale training?

Un buon lavoro di preparazione è alla base del successo in gara. Siamo anche convinti che training e gara siano momenti sostanzialmente e fonda-mentalmente distinti sia perché normalmente si svolgono in orari diversi nell’arco della giornata, sia perché le finalità sono differenti, sia perché un aspetto importante del training è la scansione temporale di un lavoro programmato, calibrato e personalizzato su ciascun atleta e questo non può accadere durante la gara. Tuttavia occorre spesso fare di necessità virtù. Ad esempio, nel calcio, dove gli impegni di gara sono troppo frequenti, occorre sacrificare il lavoro di training. Con un po’ di spregiudicatezza (anche perché non si può fare altrimenti) si dice che: “la gara è una parte importante del training”. Resta il fatto che il “training in gara” non può sortire gli stessi effetti di quello effettuato nel lavoro di preparazione alla stessa1, anche se un buon training deve tenere conto della disciplina pra-ticata dall’atleta. Per questo motivo, in tutte le discipline c’è l’abitudine di riservare buona parte della preparazione al gesto tecnico da ripetere in gara, pur essendo consapevoli che lo stesso gesto verrà effettuato in con-dizioni diverse per situazioni e contesti. I momenti di gara sono il fine e la verifica di quanto si è fatto in precedenza.

1.1 Quando e quanto allenarsi?

Per molti sport l’orario di gara è abbastanza definito. Per esempio, nel cal-cio la gara avviene quasi sempre nel pomeriggio o in prima serata. In questi casi è opportuno porsi alcuni interrogativi: quanto è utile l’allenamento del mattino rispetto a quello eseguito negli stessi orari di gara? Quale è il rapporto ottimale fra la durata dell’impegno agonistico e la durata del trai-ning? Quanto il tempo dedicato al training condiziona la prestazione? Cosa fare nei periodi in cui una squadra ha tre impegni settimanali? In que-sto testo cercheremo di dare qualche risposta a queste domande.

1 Il “training in gara” ha però un aspetto positivo. Il confronto dell’atleta con la squadra, il livello agonistico e le situazioni che si presentano in gara comportano l’acquisizio-ne di un bagaglio di esperienze, che permettono all’atleta una gestione migliore delle proprie risorse.

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Capitolo 2

2.0 Appunti di fisica applicata al movimento del corpo umano

Riteniamo utile presentare una panoramica della fisica che si incontra nello studio del movimento del corpo umano. Gli aspetti e le questioni che affronteremo non costituiscono una trattazio-ne completa - per la quale si rimanda ad uno dei tanti manuali scolastici -, ma ci interessa puntualizzare alcuni concetti che spesso vengono trattati in modo disinvolto e fuorviante. Ci riferiamo a parole come forza, energia, potenza che in più occasioni abbiamo sentito usare come sinonimi. Vogliamo anche specificare alcuni termini un po’ trascurati o dimenticati dai tempi degli studi scolastici come “coppie”, “momenti”... Analizzeremo alcuni aspetti termodinamici legati alle trasformazioni d’energia per arrivare ad affrontare concetti complessi come quello d’en-tropia, ordine e disordine. Cercheremo di fare un uso limitato delle formu-le. Consigliamo la lettura del capitolo che può apparire noioso e talvolta un po’ complicato per chi non ricorda gli studi fatti di fisica oppure molto riduttivo e sommario a chi conosce bene la materia. Ringraziamo fin da ora chi apprezzerà il lavoro fatto e anche chi ci critiche-rà per le scelte o i tagli effettuati o vorrà puntualizzare alcuni aspetti non condivisi. A tutti diciamo che si tratta solo di appunti nei quali abbiamo inserito esempi di situazioni abbastanza comuni, cercando di analizzarle alla luce delle questioni affrontate. Le considerazioni che abbiamo fatto ci hanno portato a riguardare il mo-vimento del corpo umano sotto una nuova luce. Ci auguriamo che anche il lettore trovi spunti interessanti in quanto presentiamo. Alla fine vedremo il concetto di Ergoazione che ci ha permesso di sviluppare nuove idee sulla fatica e sull’impostazione del training.

2.1 Cinematica del punto materiale

Il primo approccio consiste nel descrivere “come si muove” il baricentro del corpo o “come” si apre o chiude un’articolazione. Si vogliono deter-minare spazi, tempi, velocità, accelerazioni, angoli fra i vari segmenti arti-colari, velocità angolari, accelerazioni centripete, frequenze. Queste sono tutte grandezze cinematiche con le quali riusciamo a descrivere “come” si muove il corpo, ma non “perché”. Non vengono prese in considerazione le cause che determinano il movimento.

Secondo capitolo

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Capitolo 3

3.0 Prime applicazioni

Alla luce delle considerazioni appena fatte, vogliamo ora inquadrare alcuni aspetti del movimento e introdurre alcuni concetti come di “Zero motorio” e di “Forza Zero” che ci aiuteranno a capire meglio le dinamiche del movi-mento e l’utilizzazione della catena cinetica.

3.1 Il DynaSkip

Nello studio del salto in alto sul posto avevamo osservato62 che una fase altamente dissipativa si verificava alla fine del ricaricamento eccentrico quando la muscolatura estensoria della coscia provvedeva a frenare il mo-vimento eccentrico. L’estensore della coscia continuava poi a lavorare nel-la successiva fase concentrica. Durante il movimento concentrico la dissi-pazione risultava minore. Da queste osservazioni nacque l’idea di studiare una successione di movi-menti concentrici dell’arto inferiore senza che fosse presente alcuna fase eccentrica dissipativa. Per realizzare tale condizione si pensò di effettuare uno skip basso e veloce. Questo esercizio comporta che un arto, quando poggia a terra, inizia a spin-gere in modo concentrico a catena cinetica chiusa, mentre l’altro esegue un movimento eccentrico a catena cinetica aperta. I dati sono registrati istante per istante e riguardano alternativamente l’attività concentrica di ciascun arto. L’alternarsi dell’appoggio dei piedi può avvenire con un piccolo salto (volo) o in modo che un piede si sollevi dopo l’appoggio dell’altro. In par-ticolare, se sono presenti fasi di volo l’esercizio presenta modalità simili a quelle della corsa veloce. Viceversa se non ci sono fasi di volo pratica-mente si ha una simulazione della marcia (sul posto). L’esercizio dura 10 secondi, ma è altamente dissipativo. Quasi tutta l’energia impiegata si converte in calore in quanto il gesto av-viene sul posto.

62 Betti, Castellani, Piga “Movimento. Nuove teorie e applicazioni pratiche”, Perugia, 2001.

Terzo capitolo

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Capitolo 4

4.0 La fatica: prime considerazioni.

Una concezione abbastanza radicata vuole che la fatica scaturisca dall’esau-rimento delle scorte energetiche da parte del muscolo anche se spesso si riscontrano casi in cui un atleta allenato non può aver esaurito le sue scorte energetiche e tuttavia mostra chiari sintomi d’affaticamento. Nell’ottica della valutazione delle risorse spese si ricerca la presenza a livello ematico di residui chimici dell’attività muscolare. I valori trovati dovrebbero of-frire una valutazione dell’intensità del lavoro svolto e delle energie messe in gioco. Indubbiamente trovare un certo tasso di acido lattico nel sangue denuncia l’impiego di risorse energetiche, ma i valori riscontrati variano troppo da individuo ad individuo e non producono uno standard affidabile, anche se l’esperienza e la statistica offrono dei valori di riferimento per decidere il proseguimento o la cessazione di un certo protocollo di lavoro. Questo non è poco, ma non risolve il problema della fatica che essenzial-mente consiste nel determinarne le vere cause per riuscire a dominarne gli effetti e mantenere alta l’efficienza dell’atleta. L’idea di fondo è che la fatica sia da mettere in stretta correlazione con lo stato di disordine del sistema. In questo senso il fenomeno comincia ad evolversi fin dall’inizio e parallelamente si attivano i controlli attraverso il sistema di termoregola-zione, il Simpatico, il Parasimpatico e, in particolari condizioni, il SNC. Ad eccezione dell’ultimo, essi sono sostanzialmente indipendenti dal controllo volontario, ma tutti sono sensibili alle variazioni percentuali, per esempio, della concentrazione di CO2 nel sangue. Il sistema di controllo rappresenta uno strumento la cui sensibilità cresce con l’aumentare delle scorie ema-tiche e col diminuire delle risorse energetiche. A parità di variazione dei valori controllati, il sistema risponde in modo diverso all’inizio e alla fine di un lavoro, per esempio, di training. All’inizio l’atleta è ricco di risorse energetiche e povero di scorie; il sistema di controllo è poco sensibile for-nisce una risposta debole che non fa scattare alcun campanello d’allarme

Quarto capitolo

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Capitolo 5

5.0 La modulazione dei segnali efferenti e afferenti.

Il treno d’impulsi, che dal SNC efferisce in modo asincrono alle unità mo-torie, è costituito da una successione di picchi di potenziale d’azione che si propagano con sfasatura temporale variabile. Il segnale si può considerare modulato in frequenza.Appena il primo picco giunge alla placca motrice avviene una piccola con-trazione che normalmente è seguita da un rilassamento. La durata del singolo processo è inferiore ai 30 ms, ne consegue che se la frequenza d’impulsazione è superiore a c.a. 30 ms. il successivo impul-so interferisce col precedente. Si instaura un processo attraverso il quale si può ben rappresentare in funzione della frequenza, sia il reclutamento balistico sia quello a rampa85. Per effetto del treno d’impulsi efferente il muscolo entra in movimento (vibra, oscilla…), trascinando gli ioni carichi posti sulla membrana in un moto vario. Si forma così un segnale afferente modulato sia in ampiezza sia in frequenza86. Il segnale afferente porta al SNC le informazioni necessarie per il processo di Feed-back. Bernštejn ipotizzò che nel nostro cervello le informazioni fossero decodificate attraverso un procedimento analogo a quello che è effettuato nell’analisi di Fourier di un segnale modulato. Va tenuto presente che il sistema muscolare durante il movimento è influenzato dal carico. Nel salto in alto sul posto eseguito con movimento eccentrico-concentrico, durante la fase di aggiustamento del gesto e durante la fase di stiramento muscolare si ha una vibrazione aperiodica dovuta all’instabilità provocata dai feed-back della lunghezza e della forza. Nella parte finale della fase eccentrica (braking) si verifica una notevole dispersione in calore dovuta all’alto grado di irreversibilità del processo di frenamento.

85 Il modello matematico rappresentativo prevede che si sommino solo gli ultimi due impulsi in piena analogia con quanto avviene per la successione di Fibonacci. Attraver-so tale modello si arriva a dare una giustificazione teorica del modello di Hill e della legge empirica di Wilkie. La questione è trattata in: Betti, Castellani, Piga “Movimento. Nuove teorie e applicazioni pratiche”, Perugia, 2001.86 La modulazione in ampiezza dipende dal numero di cariche (ioni) presente sul mu-scolo. La modulazione in frequenza direttamente dalla frequenza variabile con la quale vibra o oscilla il muscolo.

Quinto capitolo

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Capitolo 6

6.0 Quadro di riferimento neuropsicologico

La capacità di interferire con l’ambiente con precise finalità è insita negli esseri umani. Questa caratteristica necessita della messa a punto di un pia-no strategico che determinerà il suo comportamento rispetto all’ambiente. Tale piano definisce le linee generali (strategia) e le tecniche (tattica) con le quali ottenere l’obbiettivo, prima che venga realizzato il progetto nei suoi dettagli (esecuzione ). Il piano può essere formulato indipendente-mente dalla sua effettiva realizzazione. L’esecuzione del piano può essere fortemente voluta o solo intenzionale. L’atteggiamento volontario compor-ta l’effettiva messa in opera del piano, mentre quello intenzionale si limita alla formazione del piano e a prevederne la realizzazione. Per quanto ri-guarda il movimento

“più in generale si può dire che le azioni che si manifestano hanno, a livello mentale, la caratteristica comune di essere volute o inten-zionali, nel primo caso si ha una conclusione che produce gli effetti desiderati; nel secondo caso l’azione viene rappresentata a livello co-gnitivo, si forma una specie di anticipazione degli effetti cinestesici del movimento” (William James).

La formulazione del piano appartiene a entrambi gli atteggiamenti mentali. Tutto il processo, visto dall’esterno, induce a pensare che ci sia un punto di diramazione nel quale si assume un atteggiamento piuttosto che l’altro: un controllo di fattibilità. Siamo dell’opinione che il controllo in effetti ci sia, ma che non riguardi solo la fattibilità.Riprenderemo il discorso dopo, al momento ci preme mettere l’accento su due aspetti particolari. Precedentemente si è parlato di modelli e di progetti motori, dando per scontato una capacità di selezionare i modelli vantaggio-si. Ora vogliamo capire meglio come può avvenire la selezione e come si formano i criteri per attuarla. Siamo infatti convinti che non ci siano nell’uomo particolari capacità inna-te, ma che si sviluppino contestualmente con l’acquisizione di esperienza. Nel caso del movimento umano sosterremo le tesi seguenti.

Sesto capitolo

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Capitolo 7

7.0 Il controllo del movimento

La maggior parte delle nostre azioni motorie quotidiane avviene in modo semiautomatico. Il movimento del corpo è lasciato sotto il controllo cortica-le di fondo senza che questo ci impedisca di fare altre azioni. Generalmente non poniamo alcuna attenzione alle normali alterazioni che sono indotte dallo stato di moto se non intervengono fatti straordinari. Solo quando si manifesta qualche fenomeno particolare, per esempio una sudorazione ec-cessiva, ci fermiamo per far mente locale su ciò che stiamo facendo e sulla effettiva portata delle sensazioni che stiamo provando; si scopre così che è aumentato il ritmo cardiaco e la frequenza di respirazione. Tutto nella norma, ma preferiamo rimanere fermi fino a quando non sentiamo di essere pronti a ripartire. Questo meccanismo di preservazione (inibizione degli eccessi), è naturalmente sviluppato in tutti gli uomini. Il sedentario presen-ta una soglia somatognotica relativamente bassa al contrario dell’atleta e dello sportivo: il sedentario si ferma alla prima avvisaglia di disagio mentre l’atleta “spinge” alla ricerca di una soglia più alta. Chi fa pratica sportiva si sottopone a controlli periodici per conoscere i propri limiti e sapere in quale misura potrà forzarli e superarli. Egli lavora a soglia, si abitua a trascurare volutamente i segnali inibitori e cerca di rispettare le tabelle predisposte e protocolli d’allenamento, preparati sulla base dei parametri misurati nei test di laboratorio. Egli controlla gli spazi percorsi, i tempi, la velocità, la frequenza cardiaca ecc… attraverso i più sofisticati strumenti che la moderna tecnologia gli mette a disposizione. Di fatto l’atleta si disabitua ad ascoltare le sensazioni che prova. La questione può apparire irrilevante per gli atleti evoluti, ma assume par-ticolare rilievo quando si tratta di diventare padroni del gesto atletico o di recuperare sul piano sia condizionale sia funzionale. In tali casi è fon-damentale recuperare l’attenzione a tutte le sensazioni presenti a livello somatico, muscolare, propriocettivo e anche psichico. Occorre, infatti, far leva sulle doti di sensibilità dell’atleta, che è l’unico che dovrà poi esprimere al meglio il gesto atletico. L’atleta affermato ha maturato un’alta coscienza per il “gesto giusto”.

Settimo capitolo

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Capitolo 8

8.0 Considerazioni

In precedenza abbiamo tentato in varie occasioni di affrontare un discorso sulla fatica, ma ci siamo sempre fermati perché non riuscivamo ad inqua-drare il problema in termini per noi soddisfacenti. Abbiamo fatto alcune considerazioni che ci portavano a supporre che attra-verso il controllo temporale si potesse gestire meglio il manifestarsi della fatica e conseguentemente riuscire anche in parte a limitarne gli effetti. Non riuscivamo però a spiegare in quale modo si potesse ottenere un mag-gior controllo e neppure se questo potesse aver rilevanza dal punto di vista operativo. Ci interessava studiare il problema; gli sviluppi e le applicazioni sarebbero state conseguenti. Ci muovemmo abbastanza a lungo in questa prospettiva e realizzammo una serie di prove che però non ci fecero progredire molto. Esse però offrirono lo spunto per iniziare il discorso sull’Ergoazione che, come abbiamo visto, si è poi sviluppato autonomamente in direzione del training a bassa ed alta frequenza. Vogliamo ora riprendere quelle esperienze e rivisitarle alla luce dell’Ergoazione per vedere se questa ci offre una chiave interpretativa efficace.

8.1 il virus motorio

Abbiamo chiesto ad otto soggetti giovani (17-18 anni) di sesso maschile di correre in gruppo a velocità moderata fino a quando non stimassero che fossero trascorsi 13 minuti. Chiaramente non potevano controllare il tempo trascorso con un orologio, ma dovevano riferirsi solo alla loro percezione del trascorrere del tempo. Tutti hanno denunciato tempi nell’intervallo di 12-14 minuti; alcuni hanno mancato i 13 minuti solo di qualche secondo. Dopo qualche giorno la pro-va è stata ripetuta con gli stessi soggetti che non erano informati dei tempi effettivamente realizzati la volta precedente. Nella nuova prova dovevano correre tenendo le mani unite dietro la schiena. Volevamo introdurre un virus motorio che alterasse il gesto abituale per studiare come questo fat-to condizionasse la percezione del trascorrere del tempo. Ci aspettavamo

Ottavo capitolo