pagina a cura degli studenti ilGalileo...punti fondamentali del dibattito in corso in ambito...

1
il Popolo Cattolico 15 SABATO 15 DICEMBRE 2018 ilGalileo Che si tratti di guidare auto, sopperire a disabilità fisiche, eseguire interventi chirur- gici, operare in contesti troppo pericolosi per un essere umano, nell’ultimo decennio i robot sono entrati con una rapidità im- pressionante a far parte integrante della vi- ta umana. In un futuro imminente è lecito aspettarsi una convivenza del tutto quoti- diana con umanoidi, sistemi multifunzio- nali e robot domestici sempre più evoluti. Una prospettiva che ci pone di fronte a que- stioni di ambito etico, sociale, legale e pro- fessionale: i robot hanno dei diritti? Da quali principi etici devono essere regolati? Possono essere ritenuti responsabili delle loro azioni? Possono essere considerati la- voratori a tutti gli effetti? Domande spinose quanto urgenti, sollevate fra l’altro dal Par- lamento Europeo nel 2017, e successiva- mente riprese dalla deputata lussembur- ghese Mady Delvaux, relatrice e autrice del- la relazione “Aspetti etici e legali dei robot e dell’intelligenza artificiale”, un contributo particolarmente rilevante nella creazione di una maggiore consapevolezza all’interno dell’Unione Europea. Ma cosa si intende per robot e intelli- genza artificiale (AI)? In un’intervista, la parlamentare definisce i primi come mac- chine fisiche, dotate di sensori e capaci di elaborare dati, ad esempio automobili che viaggiano da sole, droni o semplici macchi- nari utilizzati in campo industriale, mentre la seconda è un ramo dell’informatica che si occupa della creazione di macchine do- tate di caratteristiche tipicamente umane. A seguito di questa considerazione, sono quindi comprensibili i timori che la delega di un numero crescente di compiti a mac- chinari, comporti la diminuzione (o la spa- rizione) di posti di lavoro e di capacità di controllo del loro operato. E anche se le nuove tecnologie implicano la creazione di ulteriori profili professionali, come la ma- nutenzione e la riparazione di robot, o la mediazione tra essi e gli uomini, nel mo- mento in cui le abilità tecniche dei robot superassero quelle umane, saremmo in grado di delegare a loro le decisioni di rou- tine, per concentrarci su attività che richie- dono un processo creativo? Sarebbe questa la scelta giusta da compiere? E più in gene- rale: riusciremo sempre ad assicurare che i robot siano diversi da noi ma sottoposti alla nostra potestà? Secondo Mary Delvaux “un robot non è un uomo e non potrà mai esserlo. Può mo- strare empatia, ma non potrà mai provarla” Tuttavia, anche se incapaci di provare emo- zioni, là dove operino in un contesto uma- no, i robot, le loro applicazioni, il loro fun- zionamento, le loro finalità, andranno sot- toposti al più presto ad un insieme di leggi, e stabilirne di valide e comuni a tutti i membri dell’Unione Europea è uno dei punti fondamentali del dibattito in corso in ambito comunitario, onde impedire che ogni stato membro imbocchi vie proprie: “Se l’Europa vuole restare in testa all’inno- vazione ha bisogno di regole condivise”, ammonisce Delvaux. I dubbi riguardo alle ricadute dell’evo- luzione della Robotica sono innumerevoli e ancora lontani da una soluzione. I robot e l’AI possono avere certamente impatti po- sitivi su diversi aspetti della nostra vita per- sonale e professionale. Ma è necessario re- golarne i rapporti con gli uomini attraverso norme valide per tutti, perché sono uno dei punti chiave per il prossimo futuro dell’uo- mo. Giorgia Jamoletti e Maddalena Assanelli Editoriale Frontiere del XXI secolo Robot e intelligenza artificiale: rischio o opportunità? Si attendono a breve i risultati della finale interna- zionale della competizione Zero Robotics, che vede co- me protagonisti dieci ragazzi del Liceo Galileo Galilei di Caravaggio (BG), uniti nel “Team Rocket”. Zero Robotics è una gara di programmazione informatica, organizzata a partire dal 2009 dal MIT (Istituto di Tecnologia del Massachusetts), dalla NASA (Amministrazione Naziona- le di Aereonautica e dello Spazio) e dalla ISS (Stazione Spaziale Internazionale). Si articola in diverse fasi. Per la prima, ai gruppi partecipanti è stato chiesto di pro- gettare lo spostamento di due ‘Spheres’: così sono chia- mati i piccoli satelliti, dal diametro di 20 cm. circa, uti- lizzati sull’ISS per scopi sperimentali e didattici, e ripro- dotti nel software messo a disposizione dagli enti orga- nizzatori. In questo primo passaggio l’obiettivo era sem- plicemente quello di riuscire a muovere nello spazio i satelliti secondo alcuni parametri imposti dal MIT. Alla seconda fase sono state ammesse 21 delle 25 squadre italiane che avevano gareggiato, tra cui il “Team Rocket”. La squadra del nostro istituto ha successivamente superato anche la seconda fase, classificandosi 18esima tra 177 squadre di 22 Paesi. La finale si terrà nel mese di gennaio e prevede tre vincitori, che saranno invitati al- l’ESA, al MIT o all’Università di Sydney, dove sarà con- temporaneamente ospitato l’evento: in quell’occasione un astronauta comanderà un vero e proprio satellite du- rante una simulazione, utilizzando i comandi program- mati dai finalisti. Ma ora interpelliamo i ragazzi. Perchè avete deciso di partecipare a questa compe- tizione? Tutto è nato da una proposta del nostro professore di matematica. Motivati dalle sue parole, ci siamo iscrit- ti ad un corso di introduzione sia alla programmazione in C (un linguaggio di scrittura di software composto da espressioni matematiche), sia alla competizione effetti- va. Alcuni di noi possedevano già competenze di base, altri hanno iniziato da zero. Questo progetto ci ha entu- siasmato, siamo diventati subito una bella squadra. Siete riusciti ad accedere alla terza fase e avete con- segnato il codice, ovvero l’insieme dei comandi che muoveranno il vostro satellite. Questo deciderà la vo- stra posizione nella nuova classifica. Quale obiettivo dovete realizzare con il vostro codice? In questa fase comandiamo un solo Sphere, che deve dapprima superare una barriera di detriti e quindi inte- ragire con un secondo, programmato dal software mes- soci a disposizione dal MIT, agganciandolo e trasportan- dolo nel proprio punto di partenza antistante i detriti. Presentiamo un codice scritto assieme alle due squadre con le quali ci siamo alleati nel mese di novembre, una americana, “Singularity”, e una tedesca, “gausscode_2”. Comunichiamo con loro attraverso Facebook e ovvia- mente in lingua inglese. Non è semplice trovare un ac- cordo e spesso è necessario scendere a compromessi o ammettere di avere torto. Nonostante ciò il dialogo è sti- molante e costruttivo e speriamo dia i suoi frutti. Vi auguriamo naturalmente di vincere. Ma anche l’esperienza in sé è una vittoria: come influirà sul vo- stro futuro? Per quanto riguarda l’università, molti di noi erano già orientati su una facoltà scientifica. Questa competi- zione è stata una sfida, e una conferma. Progettare i co- dici per le diverse fasi non è stato facile: sono serviti tempo ed impe- gno. Tuttavia, pro- gettare è sempre stato interessante: questa esperienza è stata formante sia dal punto di vi- sta prettamente informatico che dal punto di vista individuale, poi- ché ci ha aiutati a maturare la consa- pevolezza di quale aspiriamo sia la nostra professione futura. Beatrice Bignami e Mara Maggi Scambi culturali Caravaggio-Szeged Uno scambio di classe all’insegna di amicizia, avventura e convivenza “Abbiamo condiviso la nostra cultura e i nostri stili di vita, viaggiato verso nuovi Paesi, visitato città mai vi- ste prima e abbiamo costruito amicizie internazionali. Un’esperienza come questa significa adattarsi, impara- re ed insegnare.” Queste sono le parole con cui gli studenti di 3I del Liceo Linguistico Galileo Galilei di Caravaggio hanno definito lo scambio culturale cui hanno preso parte con una classe di ragazze e ragazzi ungheresi. Questi ultimi nell’aprile scorso avevano ospitato gli alunni italiani a Szeged, dando il via al progetto, realizzato in collabora- zione con Intercultura. Ad ottobre gli studenti magiari sono stati a loro volta accolti dagli studenti del nostro liceo. Durante la loro permanenza, tra un’attività e l’al- tra, abbiamo avuto la possibilità di porre loro domande sulle convergenze e le divergenze tra Italia e Ungheria, e su questa esperienza. Ecco le risposte di Vicky e Sara. In Ungheria che tipo di sistema scolastico avete? Abbiamo otto anni di elementari, seguiti da quattro o cinque anni di svariati tipi di liceo, a cui si accede in base al punteggio ottenuto nell’esame conclusivo del primo ciclo di studi. Dopo il liceo, abbiamo un ulteriore esame costituito da cinque prove, il cui punteggio fa sì che possiamo iscriverci o meno ad una specifica facoltà universitaria. Che possibilità offre l’Ungheria ai giovani? Tutto dipende dagli studi che hai fatto. È più sem- plice trovare lavoro e fare carriera nelle grandi città, so- prattutto nelle nuove imprese che si stanno sviluppan- do in questi ultimi anni. Perciò non ho mai sentito la necessità di programmare il mio futuro all’estero. Qual è secondo te l’intento principale di questo ti- po di scambi culturali? Credo sia quello di entrare a far parte della quoti- dianità del Paese che ti ospita, e darti la possibilità di farti sentire parte integrante di esso, anche se solo per un breve periodo di tempo. È un modo eccellente per migliorare la padronanza della lingua, in questo caso l’inglese, e per conoscere nuove culture ed abitudini. Esperienze di questo genere ti aprono gli occhi, mo- strandoti nuovi punti di vista. Com’è vivere con una famiglia straniera? Penso sia senz’altro uno dei momenti più importan- ti dello scambio. Inizialmente la convivenza non è sem- plice, perché ti devi confrontare con abitudini a cui sei estraneo, ma se sei aperto, presto tutto diventa norma- le. Nonostante le differenze tra Italia ed Ungheria, io mi sono sentita a mio agio. Hai notato differenze tra le tue aspettative e la realtà che hai incontrato? Questa esperienza mi ha insegnato ad andare oltre ai pregiudizi e agli stereotipi. Gli italiani non sono solo “pizza, mafia e mandolino” come si crede, ma un mo- saico di volti, caratteri ed abitudini da scoprire. Viola Piana I robot Spheres a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, USA Scuola e scienza Protagonisti dieci ragazzi Zero Robotics, il Galilei tra passione e competizione «Un robot non è un uomo e non potrà mai esserlo. Potrà mostrare empatia, ma non potrà mai provarla» pagina a cura degli studenti del Liceo Galileo Galilei di Caravaggio

Transcript of pagina a cura degli studenti ilGalileo...punti fondamentali del dibattito in corso in ambito...

  • il Popolo Cattolico 15SABATO 15 DICEMBRE 2018

    ilGalileo

    Che si tratti di guidare auto, sopperire a disabilità fisiche, eseguire interventi chirur-gici, operare in contesti troppo pericolosi per un essere umano, nell’ultimo decennio i robot sono entrati con una rapidità im-pressionante a far parte integrante della vi-ta umana. In un futuro imminente è lecito aspettarsi una convivenza del tutto quoti-diana con umanoidi, sistemi multifunzio-nali e robot domestici sempre più evoluti. Una prospettiva che ci pone di fronte a que-stioni di ambito etico, sociale, legale e pro-fessionale: i robot hanno dei diritti? Da

    quali principi etici devono essere regolati? Possono essere ritenuti responsabili delle loro azioni? Possono essere considerati la-voratori a tutti gli effetti? Domande spinose quanto urgenti, sollevate fra l’altro dal Par-lamento Europeo nel 2017, e successiva-mente riprese dalla deputata lussembur-ghese Mady Delvaux, relatrice e autrice del-la relazione “Aspetti etici e legali dei robot e dell’intelligenza artificiale”, un contributo particolarmente rilevante nella creazione di una maggiore consapevolezza all’interno dell’Unione Europea.

    Ma cosa si intende per robot e intelli-genza artificiale (AI)? In un’intervista, la parlamentare definisce i primi come mac-chine fisiche, dotate di sensori e capaci di elaborare dati, ad esempio automobili che viaggiano da sole, droni o semplici macchi-nari utilizzati in campo industriale, mentre la seconda è un ramo dell’informatica che si occupa della creazione di macchine do-tate di caratteristiche tipicamente umane. A seguito di questa considerazione, sono quindi comprensibili i timori che la delega di un numero crescente di compiti a mac-chinari, comporti la diminuzione (o la spa-rizione) di posti di lavoro e di capacità di controllo del loro operato. E anche se le nuove tecnologie implicano la creazione di ulteriori profili professionali, come la ma-nutenzione e la riparazione di robot, o la mediazione tra essi e gli uomini, nel mo-mento in cui le abilità tecniche dei robot superassero quelle umane, saremmo in

    grado di delegare a loro le decisioni di rou-tine, per concentrarci su attività che richie-dono un processo creativo? Sarebbe questa la scelta giusta da compiere? E più in gene-rale: riusciremo sempre ad assicurare che i robot siano diversi da noi ma sottoposti alla nostra potestà?

    Secondo Mary Delvaux “un robot non è un uomo e non potrà mai esserlo. Può mo-strare empatia, ma non potrà mai provarla” Tuttavia, anche se incapaci di provare emo-zioni, là dove operino in un contesto uma-no, i robot, le loro applicazioni, il loro fun-zionamento, le loro finalità, andranno sot-toposti al più presto ad un insieme di leggi, e stabilirne di valide e comuni a tutti i membri dell’Unione Europea è uno dei punti fondamentali del dibattito in corso in ambito comunitario, onde impedire che ogni stato membro imbocchi vie proprie: “Se l’Europa vuole restare in testa all’inno-vazione ha bisogno di regole condivise”, ammonisce Delvaux.

    I dubbi riguardo alle ricadute dell’evo-luzione della Robotica sono innumerevoli e ancora lontani da una soluzione. I robot e l’AI possono avere certamente impatti po-sitivi su diversi aspetti della nostra vita per-sonale e professionale. Ma è necessario re-golarne i rapporti con gli uomini attraverso norme valide per tutti, perché sono uno dei punti chiave per il prossimo futuro dell’uo-mo.

    Giorgia Jamoletti e Maddalena Assanelli

    Editoriale Frontiere del XXI secolo

    Robot e intelligenza artificiale: rischio o opportunità?

    Si attendono a breve i risultati della finale interna-zionale della competizione Zero Robotics, che vede co-me protagonisti dieci ragazzi del Liceo Galileo Galilei di Caravaggio (BG), uniti nel “Team Rocket”. Zero Robotics è una gara di programmazione informatica, organizzata a partire dal 2009 dal MIT (Istituto di Tecnologia del Massachusetts), dalla NASA (Amministrazione Naziona-le di Aereonautica e dello Spazio) e dalla ISS (Stazione Spaziale Internazionale). Si articola in diverse fasi. Per la prima, ai gruppi partecipanti è stato chiesto di pro-gettare lo spostamento di due ‘Spheres’: così sono chia-mati i piccoli satelliti, dal diametro di 20 cm. circa, uti-lizzati sull’ISS per scopi sperimentali e didattici, e ripro-dotti nel software messo a disposizione dagli enti orga-nizzatori. In questo primo passaggio l’obiettivo era sem-plicemente quello di riuscire a muovere nello spazio i satelliti secondo alcuni parametri imposti dal MIT. Alla seconda fase sono state ammesse 21 delle 25 squadre italiane che avevano gareggiato, tra cui il “Team Rocket”.

    La squadra del nostro istituto ha successivamente superato anche la seconda fase, classificandosi 18esima tra 177 squadre di 22 Paesi. La finale si terrà nel mese di gennaio e prevede tre vincitori, che saranno invitati al-l’ESA, al MIT o all’Università di Sydney, dove sarà con-temporaneamente ospitato l’evento: in quell’occasione un astronauta comanderà un vero e proprio satellite du-rante una simulazione, utilizzando i comandi program-mati dai finalisti.

    Ma ora interpelliamo i ragazzi. Perchè avete deciso di partecipare a questa compe-

    tizione? Tutto è nato da una proposta del nostro professore

    di matematica. Motivati dalle sue parole, ci siamo iscrit-ti ad un corso di introduzione sia alla programmazione in C (un linguaggio di scrittura di software composto da espressioni matematiche), sia alla competizione effetti-va. Alcuni di noi possedevano già competenze di base, altri hanno iniziato da zero. Questo progetto ci ha entu-siasmato, siamo diventati subito una bella squadra.

    Siete riusciti ad accedere alla terza fase e avete con-segnato il codice, ovvero l’insieme dei comandi che muoveranno il vostro satellite. Questo deciderà la vo-

    stra posizione nella nuova classifica. Quale obiettivo dovete realizzare con il vostro codice?

    In questa fase comandiamo un solo Sphere, che deve dapprima superare una barriera di detriti e quindi inte-ragire con un secondo, programmato dal software mes-soci a disposizione dal MIT, agganciandolo e trasportan-dolo nel proprio punto di partenza antistante i detriti. Presentiamo un codice scritto assieme alle due squadre con le quali ci siamo alleati nel mese di novembre, una americana, “Singularity”, e una tedesca, “gausscode_2”. Comunichiamo con loro attraverso Facebook e ovvia-mente in lingua inglese. Non è semplice trovare un ac-cordo e spesso è necessario scendere a compromessi o ammettere di avere torto. Nonostante ciò il dialogo è sti-molante e costruttivo e speriamo dia i suoi frutti.

    Vi auguriamo naturalmente di vincere. Ma anche l’esperienza in sé è una vittoria: come influirà sul vo-stro futuro?

    Per quanto riguarda l’università, molti di noi erano già orientati su una facoltà scientifica. Questa competi-zione è stata una sfida, e una conferma. Progettare i co-dici per le diverse fasi non è stato facile: sono serviti tempo ed impe-gno. Tuttavia, pro-gettare è sempre stato interessante: questa esperienza è stata formante sia dal punto di vi-sta prettamente informatico che dal punto di vista individuale, poi-ché ci ha aiutati a maturare la consa-pevolezza di quale aspiriamo sia la nostra professione futura.

    Beatrice Bignami

    e Mara Maggi

    Scambi culturali Caravaggio-Szeged

    Uno scambio di classe all’insegna di amicizia, avventura e convivenza

    “Abbiamo condiviso la nostra cultura e i nostri stili di vita, viaggiato verso nuovi Paesi, visitato città mai vi-ste prima e abbiamo costruito amicizie internazionali. Un’esperienza come questa significa adattarsi, impara-re ed insegnare.”

    Queste sono le parole con cui gli studenti di 3I del Liceo Linguistico Galileo Galilei di Caravaggio hanno definito lo scambio culturale cui hanno preso parte con una classe di ragazze e ragazzi ungheresi. Questi ultimi nell’aprile scorso avevano ospitato gli alunni italiani a Szeged, dando il via al progetto, realizzato in collabora-zione con Intercultura. Ad ottobre gli studenti magiari sono stati a loro volta accolti dagli studenti del nostro liceo. Durante la loro permanenza, tra un’attività e l’al-tra, abbiamo avuto la possibilità di porre loro domande sulle convergenze e le divergenze tra Italia e Ungheria, e su questa esperienza. Ecco le risposte di Vicky e Sara.

    In Ungheria che tipo di sistema scolastico avete? Abbiamo otto anni di elementari, seguiti da quattro

    o cinque anni di svariati tipi di liceo, a cui si accede in base al punteggio ottenuto nell’esame conclusivo del primo ciclo di studi. Dopo il liceo, abbiamo un ulteriore esame costituito da cinque prove, il cui punteggio fa sì che possiamo iscriverci o meno ad una specifica facoltà universitaria.

    Che possibilità offre l’Ungheria ai giovani? Tutto dipende dagli studi che hai fatto. È più sem-

    plice trovare lavoro e fare carriera nelle grandi città, so-prattutto nelle nuove imprese che si stanno sviluppan-do in questi ultimi anni. Perciò non ho mai sentito la necessità di programmare il mio futuro all’estero.

    Qual è secondo te l’intento principale di questo ti-

    po di scambi culturali? Credo sia quello di entrare a far parte della quoti-

    dianità del Paese che ti ospita, e darti la possibilità di farti sentire parte integrante di esso, anche se solo per un breve periodo di tempo. È un modo eccellente per migliorare la padronanza della lingua, in questo caso l’inglese, e per conoscere nuove culture ed abitudini. Esperienze di questo genere ti aprono gli occhi, mo-strandoti nuovi punti di vista.

    Com’è vivere con una famiglia straniera? Penso sia senz’altro uno dei momenti più importan-

    ti dello scambio. Inizialmente la convivenza non è sem-plice, perché ti devi confrontare con abitudini a cui sei estraneo, ma se sei aperto, presto tutto diventa norma-le. Nonostante le differenze tra Italia ed Ungheria, io mi sono sentita a mio agio.

    Hai notato differenze tra le tue aspettative e la

    realtà che hai incontrato? Questa esperienza mi ha insegnato ad andare oltre

    ai pregiudizi e agli stereotipi. Gli italiani non sono solo “pizza, mafia e mandolino” come si crede, ma un mo-saico di volti, caratteri ed abitudini da scoprire.

    Viola Piana

    I robot Spheres a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, USA

    Scuola e scienza Protagonisti dieci ragazzi

    Zero Robotics, il Galilei tra passione e competizione

    «Un robot non è un uomo e non potrà mai esserlo. Potrà mostrare empatia, ma non potrà mai provarla»

    pagina a cura degli studenti del Liceo Galileo Galilei di Caravaggio