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24 I 022014 intervista con Giulio Mozzi di Chiara Santomiero tempi moderni S crittori si nasce o si diventa? Si può impa- rare a dare struttura e ritmo narrativo alle storie che “urgono” dalle bozze incompiu- te lasciate in molti cassetti? In tanti – dai 21 ai 72 anni – affollano le scuole di “scrittura creativa” diffuse in varie forme (da quelle perma- nenti ai laboratori e workshop tenuti da associazio- ni culturali, biblioteche, librerie) in tutta la penisola, tanto che a offrire la possibilità di emergere a nuovi autori è intervenuto di recente anche il talent tele- visivo Masterpiece. Un talent scout reale, e non for- mat della tivù, oltre che scrittore, è invece per la Einaudi Stile Libero, Giulio Mozzi, che è anche diret- tore della “Piccola scuola di scrittura creativa” di Padova e, insieme a Gabriele Dadati, della “Bottega di narrazione” di Milano. A cosa serve un corso di scrittura creativa? L’etichetta più adatta sarebbe scuola di “scrittura narrativa”. Serve a offrire elementi di teoria e tecni- ca della comunicazione scritta così da imparare a essere più efficaci e sicuri nello scrive- re dei testi. Non lo frequentano solo aspiranti scrit- tori... Ci sono tante bambine che a quattro o cinque anni frequentano la scuola di danza: non è detto che diventeranno tutte Carla Fracci. Ci sono vari tipi di scuola di scrittura creativa. La Piccola scuola di Padova è quella che io defini- sco una iniziativa in stile “dopolavoristi- co”, mentre la Bottega di narrazione di Milano e la scuola Holden di Torino ser- vono per raggiungere una maggiore consapevolezza artistica e infatti a Milano si viene ammessi con un proget- to di romanzo che dovrà essere scritto entro l’anno. A queste due categorie si aggiungono i corsi tecnico-professionali: per gli addetti stampa, per esempio, o per gli operatori turistici: ne ho fatto uno anche per i dottorandi in urbanistica dell’Università di Siracusa. A questo proposito: è vero che desidera guidare un corso di omiletica nei seminari? Ci terrei moltissimo! Quasi tutte le domeniche ascolto omelie che se sono copiate da La palestra del clero. Sono prevedibili, altrimenti presentano spesso contenuti in modo disordinato. Ci sono dei sacerdoti con talento naturale e una forte capacità comunicativa ma in genere la predicazione nelle chiese presenta un livello basso. Bisogna dire che è un lavoro non facile, sul quale incombe il pericolo della routine e per questo il commento alle letture scade spesso nel moralismo. Nei seminari l’inse- gnamento della retorica è trascurato e non c’è una formazione specifica, mentre da professionista trovo che se qualcuno deve salire su un “palco” tutte le settimane ha la necessità di farlo bene. Che tipo di approccio ha una persona che frequen- ta un corso in stile “dopolavoristico”? Di solito è una persona che legge molto ed è curio- sa di certi meccanismi della scrittura. Ci sono inse- gnanti che vogliono apprendere qualche “trucco” didattico da usare in aula e persone che vogliono lasciare le proprie memorie in ambito familiare, magari per raccontare ai nipoti come si viveva in un mondo nel quale non imperava la tecnologia. Non si propongono obiettivi né artistici né professionali ma solo umani. Di sicuro se qualcuno arriva dicendo di voler diventare scrittore lo respingo perché dimo- stra di non aver capito il contesto e probabilmente sarà di disturbo agli altri. E invece chi frequenta i master con obiettivi artistici? Intanto è già fluido e discutibile lo stesso ambito della scrittura artistica. Non bisognerebbe ammettervi – Le scuole di scrittura creativa aumentano sempre di più. Per Giulio Mozzi, editor di Einaudi, «è come se la scrittura fosse stata ridotta solo a quella di tipo artistico e venisse misurata esclusivamente con il metro del successo. Invece c’è in giro molta scrittura privata – per esempio diari – che è molto utile a chi scrive e anche agli altri» E stasera vado a scrivere

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24 I 022014

intervista conGiulio Mozzi

di Chiara Santomiero

tempi m

oderni

Scrittori si nasce o si diventa? Si può impa-rare a dare struttura e ritmo narrativo allestorie che “urgono” dalle bozze incompiu-te lasciate in molti cassetti? In tanti – dai

21 ai 72 anni – affollano le scuole di “scritturacreativa” diffuse in varie forme (da quelle perma-nenti ai laboratori e workshop tenuti da associazio-ni culturali, biblioteche, librerie) in tutta la penisola,tanto che a offrire la possibilità di emergere a nuoviautori è intervenuto di recente anche il talent tele-visivo Masterpiece. Un talent scout reale, e non for-mat della tivù, oltre che scrittore, è invece per laEinaudi Stile Libero, Giulio Mozzi, che è anche diret-tore della “Piccola scuola di scrittura creativa” diPadova e, insieme a Gabriele Dadati, della “Bottegadi narrazione” di Milano.

A cosa serve un corso di scrittura creativa?L’etichetta più adatta sarebbe scuola di “scritturanarrativa”. Serve a offrire elementi di teoria e tecni-ca della comunicazione scritta così da imparare a

essere più efficaci e sicuri nello scrive-re dei testi.Non lo frequentano solo aspiranti scrit-tori...Ci sono tante bambine che a quattro ocinque anni frequentano la scuola didanza: non è detto che diventerannotutte Carla Fracci. Ci sono vari tipi discuola di scrittura creativa. La Piccolascuola di Padova è quella che io defini-sco una iniziativa in stile “dopolavoristi-co”, mentre la Bottega di narrazione diMilano e la scuola Holden di Torino ser-vono per raggiungere una maggioreconsapevolezza artistica e infatti aMilano si viene ammessi con un proget-to di romanzo che dovrà essere scritto

entro l’anno. A queste due categorie si aggiungonoi corsi tecnico-professionali: per gli addetti stampa,per esempio, o per gli operatori turistici: ne ho fattouno anche per i dottorandi in urbanisticadell’Università di Siracusa.A questo proposito: è vero che desidera guidare uncorso di omiletica nei seminari?Ci terrei moltissimo! Quasi tutte le domenicheascolto omelie che se sono copiate da La palestradel clero. Sono prevedibili, altrimenti presentanospesso contenuti in modo disordinato. Ci sono deisacerdoti con talento naturale e una forte capacitàcomunicativa ma in genere la predicazione nellechiese presenta un livello basso. Bisogna dire che èun lavoro non facile, sul quale incombe il pericolodella routine e per questo il commento alle letturescade spesso nel moralismo. Nei seminari l’inse-gnamento della retorica è trascurato e non c’è unaformazione specifica, mentre da professionistatrovo che se qualcuno deve salire su un “palco”tutte le settimane ha la necessità di farlo bene.Che tipo di approccio ha una persona che frequen-ta un corso in stile “dopolavoristico”?Di solito è una persona che legge molto ed è curio-sa di certi meccanismi della scrittura. Ci sono inse-gnanti che vogliono apprendere qualche “trucco”didattico da usare in aula e persone che voglionolasciare le proprie memorie in ambito familiare,magari per raccontare ai nipoti come si viveva in unmondo nel quale non imperava la tecnologia. Non sipropongono obiettivi né artistici né professionali masolo umani. Di sicuro se qualcuno arriva dicendo divoler diventare scrittore lo respingo perché dimo-stra di non aver capito il contesto e probabilmentesarà di disturbo agli altri.E invece chi frequenta i master con obiettivi artistici?Intanto è già fluido e discutibile lo stesso ambito dellascrittura artistica. Non bisognerebbe ammettervi –

Le scuole di scritturacreativa aumentanosempre di più. PerGiulio Mozzi, editordi Einaudi, «è come sela scrittura fosse stataridotta solo a quelladi tipo artisticoe venisse misurataesclusivamente conil metro del successo.Invece c’è in giro moltascrittura privata – peresempio diari – che èmolto utile a chi scrivee anche agli altri»

E stasera vado a scrivere

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I 022014

Nella foto:l’editor Giulio Mozzi

ma è difficilissimo – persone che non riusciranno maiperché hanno un’idea ma non sono in grado di svilup-parla. Ci sono persone che arrivano con un’idea bel-lissima ma in un anno e mezzo di corso non riesconoa scrivere una riga e l’idea resta lettera morta, perchénutrono grandi aspettative sull’apprendimento degliaspetti tecnici della scrittura. Spesso invece manca lacapacità di affrontare la costruzione della storia comeproblema da risolvere. La narrazione è un affare direlazione con chi legge. Scrivere è l’accurata gestio-ne delle immagini che si svolgono nella testa del let-tore. Ci sono elementi da rispettare, tempi, un climaxda raggiungere. È come raccontare una favola a unbambino quando si struttura la narrazione su di lui,accentuando alcuni passaggi e accompagnando lesue reazioni. Occorre accompagnare lo sforzo imma-ginativo del lettore. Racconti a un altro e devi imma-ginartelo. Non per niente possono esistere operesenza autore ma non opere senza lettori: il lettore èindispensabile. Narrare è un’attività relazionale, comeandare a spasso insieme, invitare qualcuno a cena,fare l’amore, parlarsi alla sera, a fine giornata.Chi frequenta i corsi?In misura maggiore donne ma i maschi tendono dipiù a concludere i progetti che presentano perchésono più convinti di se stessi: c’è una percentualedel 70% contro il 30%, però la qualità mediaespressa dalle donne è molto più alta.In genere si può dire che ci sia interesse per lascrittura?C’è interesse per la scrittura ma mancano i luoghidove dare spazio ed esistenza a questo tipo di scrit-tura con obiettivi “umani”, come si faceva una voltacon le serate nelle osterie di quartiere. Si è afferma-ta un’etica del successo per cui è inutile scriverequalcosa se non è un capolavoro. Avevo un prozioche ha scritto un sonetto per tutte le ricorrenze fami-liari: battesimi, matrimoni, prime comunioni e poi liha raccolti in un volumetto che ha regalato ai paren-ti. Non erano creazioni di grande qualità ma io rima-nevo male se mancava il suo sonetto per una miafesta. Oggi è come se la scrittura fosse stata ridottasolo a quella di tipo artistico e venisse misurataesclusivamente con il metro del successo. Invecec’è in giro molta scrittura privata – per esempio diari– che è molto utile a chi scrive e anche agli altri. �g

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