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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 8 - numero 7(77) - Lug-Ago. 2011 In questo numero: Grandi temi - Il dono dello Spirito del Risorto: compinento dell’evento della Pasqua - Il preoccupante calo dei matrimoni e dei battesimi. Sempre meno altare e meno battistero; Qualche riflessio ne su Velletri... - In vacanza col Papa montanaro -Gli italiani hanno scelto di scegliere - La questione sociale, la Chiesa e i fedeli Speciale Convegno - Educare alla vita buona del Vangelo/ 1° - Mondo Cattolico e Media - Settembre: tempo di Convegno Pastorale Diocesano Caritas - Ancora storie ordinarie di vita precaria Ufficio Missionario - Economia della felicità. Incontro a Gavignano con il prof. V. Mercinelli - Il Paradisso del missionario, testi- monianza del p.Tomàs Ravaioli della sua opera missionaria nell’Isola della Papua,Nuova Guinea - L’Ufficio Missionario Diocesano fa “Rete interdiocesana” per i Nuovi Stili di Vita Vocazioni - Vocazione: speranza nel camminare - Don Antonio Galati Presbitero Educare oggi - La formazione dei docenti Ritorno alla Storia / 24 - Gli Inglesi rappresentati da una bianca bandiera attraversata da una rossa croce, ovvero dalla Bandiera di S. Giorgio dei Genovesi luglio ago_2011:Pag prova.qxd 05/07/2011 11.27 Pagina 1

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Page 1: luglio ago 2011:Pag prova.qxd 05/07/2011 11.27 Pagina 1 · 2015. 7. 1. · Luglio - Agosto 3 2011 Stanislao Fioramonti “Se, in un certo senso, tutte le solennità litur-giche della

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In questo numero:

Grandi temi- Il dono dello Spirito del Risorto: compinento dell’evento della Pasqua- Il preoccupante calo dei matrimoni e dei battesimi. Sempre meno altare e meno battistero; Qualche riflessione su Velletri...- In vacanza col Papa montanaro-Gli italiani hanno scelto di scegliere- La questione sociale, la Chiesa e i fedeli

Speciale Convegno- Educare alla vita buona del Vangelo/ 1°- Mondo Cattolico e Media- Settembre: tempo di Convegno Pastorale Diocesano

Caritas- Ancora storie ordinarie di vita precaria

Ufficio Missionario- Economia della felicità. Incontro a Gavignano con il prof. V. Mercinelli- Il Paradisso del missionario, testi-monianza del p.Tomàs Ravaioli della sua opera missionaria nell’Isola della Papua,Nuova Guinea- L’Ufficio Missionario Diocesano fa “Rete interdiocesana” per i Nuovi Stili di Vita

Vocazioni- Vocazione: speranza nel camminare- Don Antonio Galati Presbitero

Educare oggi- La formazione dei docenti

Ritorno alla Storia / 24- Gli Inglesi rappresentati da una bianca bandiera attraversata da una rossa croce, ovvero dalla Bandiera di S. Giorgio dei Genovesi

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Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileDon Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino ParmeggianiGaetano CampanileRoberta OttavianiMihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-SegniRegistrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

RedazioneC.so della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaboratoinoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari,don Dario Vitali, mons. Franco Fagiolo, don Corrado Fanfoni,don Claudio Sammartino, don Marco Nemesi, don ClaudioSammartino, p. Tomàs Ravaioli, p. Gonzalo Ruiz Freites,fr. Riccardo Nuti, Costantino Coros, Rigel Langella, ClaudioCapretti, Fabricio Cellucci, Teodoro Beccia, Mara dellaVecchia, Pier Giorgio Liverani, Antonio Venditti, Sara Gilotta,Sara Bianchini, Alfredo Serangeli, Sara Calì, Katiuscia Cipri,Alessandro Ippoliti, Gaetano Sabetta, Federica Colaiacomoe Francesco Canali.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:Ultima cena, Pieter Pauwel Rubens

1631-32, Brera Milano

� Vincenzo Apicella, vescovo

SSe il mese di giugno si chiude,quest’anno, con la grande solen-nità del Corpus Domini, quel-

lo di settembre si aprirà con il CongressoEucaristico Nazionale, che si terrà ad Anconadal 3 all’11 ed avrà per tema: “Signore,da chi andremo?”, le parole di Pietro postealla fine del duro e sconvolgente discor-so di Gesù sul Pane di vita (Gv.6).Lo scopo di questi eventi è proprio quel-lo di aiutarci a mettere al centro della vitacristiana di ciascuno di noi e di tutte le nostrecomunità il segno estremo e stupefacente,che il Signore Gesù ci ha donato, del suoamore e della sua presenza concreta: tut-to, quindi, scaturisce dall’Eucarestia e tut-to deve ricondurre ad essa.Attraverso l’Eucarestia Gesù è vera-mente l’Emmanuele, il Dio con noi(Mt.1,23), realizzando la promessa fattaai suoi nel momento in cui si sottraeva alloro sguardo terreno:“Ecco, Io sono con voi tutti i giorni, finoalla fine del mondo” (Mt.28,20).“Spezzare il pane” diventa il gesto tipicodi Gesù, da cui i discepoli possono rico-noscere la sua presenza (Lc.24,30s) e rin-novando il quale essi accolgono sempredi nuovo e più profondamente il dono incon-sumabile e perenne del suo amore e del-la sua vita, offerta sulla croce “una voltaper tutte” (Eb.7,27).Dalle profondità insondabili del Mistero divi-no, da cui scaturisce tutto ciò che esisteed in cui anche noi “viviamo, ci muovia-mo ed esistiamo” (At.17,28), il Risorto civiene incontro in una piccola ed umile par-ticola, per renderci partecipi della sua Gloria,del suo Spirito Onnipotente, affinchépossiamo, a nostra volta, fare dono di tut-to quanto abbiamo ricevuto.Poiché la realtà dell’Eucarestia è la real-tà stessa di Cristo, non ci stancheremomai di celebrarla e di contemplarla, bensapendo che non riusciremo mai ad esau-rirla: questo augurava Paolo ai cristiani diEfeso quando scriveva:“Che il Cristo abiti per mezzo della fedenei vostri cuori, e così, radicati e fondatinella carità, siate in grado di comprenderecon tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lun-ghezza, l’altezza e la profondità, e di cono-scere l’amore di Cristo che supera ogniconoscenza, perché siate ricolmi di tuttala pienezza di Dio” (Ef.3,17-19).

Siamo quindi portatori di un tesoro ine-stimabile, che il Signore affida alle nostrepovere mani, a volte neanche tanto puli-te, perché sia moltiplicato e distribuito agliuomini fratelli, Egli continua a consegnarsialla nostra libertà col suo amore disarmatoed illimitato, ma anche disarmante ed esi-gente.Proprio perché dell’Eucarestia si sostan-zia tutta la vita del cristiano, illuminandonee trasfigurandone ogni aspetto, nel pros-simo Congresso di Ancona si cercherà diripercorrere alla sua luce gli ambiti che furo-no oggetto di riflessione nell’ultimoConvegno ecclesiale di Verona: la vita affet-tiva, il lavoro e la festa, la fragilità uma-na, la tradizione e la cittadinanza.Essi hanno dato i riferimenti per scopri-re il valore ed il senso dell’Eucarestia nelnostro essere e nel nostro agire quotidianoe sono stati così formulati i temi della set-timana: Eucarestia: passione di Dio perl’uomo; Eucarestia: presenza di misericordia;Eucarestia nel tempo dell’uomo; Eucarestia:pane del cammino; Eucarestia: luce perla città.Nel corso del Congresso avranno anchespazio alcuni momenti importanti e par-ticolari: l’incontro con i bambini della PrimaComunione e dei ministranti, il Punto Giovani,i quali porteranno con sé la forte espe-rienza delle Giornate Mondiali di Madrid,il Convegno Ecumenico e gli incontri del-le famiglie e per i fidanzati.Domenica 11 settembre il Congresso siconcluderà con la Celebrazione presen-ziata dal Santo Padre Benedetto XVI, cheall’Eucarestia, in questi anni di Pontificato,ha dedicato tanto spazio e tanta attenzionenel suo Magistero.Anche la nostra diocesi è chiamata a par-tecipare all’evento, insieme a tutta la Chiesaitaliana, sia unendosi nella celebrazione,nella preghiera e nella riflessione, sia conuna rappresentanza presente ad Anconacon un pellegrinaggio diocesano.Chi avesse la possibilità di aderire a que-sta proposta può rivolgersi a Mons.Paolo Picca, delegato a questo scopo, peravere programma ed informazioni detta-gliate.Che il Signore accompagni tutti noiin questo periodo estivo, sostenendoci erafforzandoci con il Pane della Vita, per-ché, fortunatamente, l’Amore diDio non va mai in vacanza.

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Page 3: luglio ago 2011:Pag prova.qxd 05/07/2011 11.27 Pagina 1 · 2015. 7. 1. · Luglio - Agosto 3 2011 Stanislao Fioramonti “Se, in un certo senso, tutte le solennità litur-giche della

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Stanislao Fioramonti

“Se, in un certo senso, tutte le solennità litur-giche della Chiesa sono grandi, questa dellaPentecoste lo è in una maniera singolare, per-ché segna, raggiunto il cinquantesimo giorno,il compimento dell’evento della Pasqua, dellamorte e risurrezione del Signore Gesù, attraversoil dono dello Spirito del Risorto. (...)“Ciò che vuol dirci la Chiesa è questo: lo Spiritocreatore di tutte le cose, e lo Spirito Santo cheCristo ha fatto discendere dal Padre sulla comu-nità dei discepoli, sono uno e il medesimo: crea-zione e redenzione si appartengono reciproca-mente e costituiscono, in profondità, un unicomistero d’amore e di salvezza. Lo Spirito Santoè innanzitutto Spirito Creatore e quindi la Pentecosteè festa della creazione. Per noi cristiani, il mondo è frutto di un atto diamore di Dio, che ha fatto tutte le cose e delquale Egli si rallegra (...) La fede nello SpiritoCreatore e la fede nello Spirito che il Cristo Risortoha donato agli Apostoli e dona a ciascuno di noi,sono allora inseparabilmente congiunte. (...)“Il Credo della Chiesa è nient’altro che lo svi-luppo di ciò che si dice con questa semplice affer-mazione: “Gesù è Signore”. Di questa profes-sione di fede san Paolo ci dice che si tratta pro-prio della parola e dell’opera dello Spirito Santo.Se vogliamo essere nello Spirito Santo, dobbiamoaderire a questo Credo. Facendolo nostro, accet-tandolo come nostra parola, accediamo all’operadello Spirito Santo. L’espressione “Gesù è Signore”si può leggere nei due sensi. Significa: Gesù èDio, e contemporaneamente: Dio è Gesù. Lo Spirito Santo illumina questa reciprocità: Gesùha dignità divina, e Dio ha il volto umano di Gesù.Dio si mostra in Gesù e con ciò ci dona la veri-tà su noi stessi. Lasciarsi illuminare nel profondoda questa parola è l’evento della Pentecoste.(...) “Il brano evangelico ci offre poi una mera-vigliosa immagine per chiarire la connessionetra Gesù, lo Spirito Santo e il Padre: lo SpiritoSanto è rappresentato come il soffio di Gesù Cristorisorto (cfr Gv 20,22). L’evangelista Giovanni ripren-de qui un’immagine del racconto della creazione,là dove si dice che Dio soffiò nelle narici del-l’uomo un alito di vita (cfr Gen 2,7). Il soffio di Dio è vita. Ora, il Signore soffia nel-la nostra anima il nuovo alito di vita, lo SpiritoSanto, la sua più intima essenza, e in questomodo ci accoglie nella famiglia di Dio. Con il Battesimo

e la Cresima ciè fatto questodono in modospecifico, e coni sacramenti del-l’eucaristia e del-la Penitenzaesso si ripete dicontinuo: i lSignore soffianella nostra ani-ma un alito divita. Tutti iSacramenti, cia-scuno in manie-

ra propria, comunicano all’uomo la vita divina,grazie allo Spirito Santo che opera in essi. (...) “E alla luce della prima Lettura possiamo aggiun-gere: lo Spirito Santo anima la Chiesa. Essanon deriva dalla volontà umana, dalla riflessio-ne, dall’abilità dell’uomo e dalla sua capacità orga-nizzativa, poiché se così fosse essa già da tem-

po si sarebbe estinta, così come passa ogni cosaumana. La Chiesa invece è il Corpo di Cristo,animato dallo Spirito Santo. (...)L’evento della Pentecoste viene rappresentatocome un nuovo Sinai, come il dono di un nuo-vo Patto in cui l’alleanza con Israele è estesaa tutti i popoli della Terra, in cui cadono tutti glisteccati della vecchia Legge e appare il suo cuo-re più santo e immutabile, cioè l’amore, che pro-prio lo Spirito Santo comunica e diffonde, l’a-more che abbraccia ogni cosa: (...) è il NuovoPatto, che lo Spirito “scrive” nei cuori di quan-ti credono in Cristo. L’estensione del Patto a tut-ti i popoli della Terra è rappresentata da san Lucaattraverso un elenco di popolazioni considere-vole per quell’epoca (cfr At 2,9-11). Con que-sto ci viene detta una cosa molto importante:che la Chiesa è cattolica fin dal primo momen-to, che la sua universalità non è il frutto dell’in-

clusione successiva di diverse comunità.Fin dal primo istante, infatti, lo Spirito Santo l’hacreata come la Chiesa di tutti i popoli; essa abbrac-cia il mondo intero, supera tutte le frontiere dirazza, classe, nazione; abbatte tutte le barrie-re e unisce gli uomini nella professione del Diouno e trino. Fin dall’inizio la Chiesa è una, cat-tolica e apostolica: questa è la sua vera natu-ra e come tale deve essere riconosciuta. Essaè santa, non grazie alla capacità dei suoi mem-bri, ma perché Dio stesso, con il suo Spirito, lacrea e la santifica sempre.“Infine, il Vangelo di oggi ci consegna questabellissima espressione: «I discepoli gioirono alvedere il Signore» (Gv 20,20). Queste parolesono profondamente umane. (...) Egli non è unoqualunque, bensì è l’Amico e insieme Colui cheè la Verità che fa vivere gli uomini; e ciò che donanon è una gioia qualsiasi, ma la gioia stessa,dono dello Spirito Santo. Sì, è bello vivere per-ché sono amato, ed è la Verità ad amarmi. Gioironoi discepoli, vedendo il Signore.

Oggi, a Pentecoste, questa espressio-ne è destinata anche a noi, perché nel-la fede possiamo vederLo; nella fedeEgli viene tra di noi e anche a noi mostrale mani e il fianco, e noi ne gioiamo”.

Alle parole dell’omelia dobbiamoaggiungere poi due pensieri riferi-ti dal papa ai pellegrini di piazza SanPietro dopo la recita del Regina Coeli(l’ultima di quest’anno, perché dadomenica prossima si tornerà a reci-tare l’Angelus Domini):

“Cari fratelli e sorelle,sono lieto di ricordare che domania Dresda, in Germania, sarà pro-clamato Beato Alois Andritzki,sacerdote e martire, ucciso dai nazio-nalsocialisti nel 1943, all’età di 28anni. Lodiamo il Signore per que-sto eroico testimone della fede, chesi aggiunge alla schiera di quantihanno dato la vita nel nome di Cristonei campi di concentramento. Vorreiaffidare alla loro intercessione,

oggi che è Pentecoste, la causa della pacenel mondo. Possa lo Spirito Santo ispira-re coraggiosi propositi di pace e sostene-re l’impegno di portarli avanti, affinché ildialogo prevalga sulle armi e il rispetto del-la dignità dell’uomo superi gli interessi diparte. Lo Spirito, che è vincolo di comu-nione, raddrizzi i cuori deviati dall’egoismoe aiuti la famiglia umana a riscoprire e custo-dire con vigilanza la sua fondamentale uni-tà. Dopodomani, 14 giugno, ricorre la GiornataMondiale dei Donatori di Sangue, milionidi persone che contribuiscono, in modo silen-zioso, ad aiutare i fratelli in difficoltà. A tut-ti i donatori rivolgo un cordiale saluto e invi-to i giovani a seguire il loro esempio”.

Nell’immagine del titolo: Santo Spirito,Corrado Giaquinto 1750, collezione privata

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Pier Giorgio Liverani

«L’Italia che non va più all’altare»: è il tito-lo dato a un servizio apparso su Il Riformista, cheriferisce e commenta i dati dell’Istat sui matrimoni.Il Riformista è un quotidiano dell’area di sinistra,diretto da un autorevole postcomunista come EmanueleMacaluso, di scarsa diffusione, ma abbastanzaserio e aperto da mostrarsi preoccupato per unaspetto davvero allarmante della crisi della fami-glia. Quelli che non vanno più all’altare sono, infat-ti, i giovani che si sposano in comune o quelliche non si sposano. Quei dati, resi noti qualche settimana fa, sonodavvero allarmanti: nel 2010 i matrimoni sono sta-ti, in Itali, 217.076, vale a dire 13.537 meno del2009 (furono 230.613). Si aggiunga che nel 2009la diminuzione era già stata di 16.000 rispetto al2008. E si noti che in questi numeri sono com-presi anche i secondi o i terzi matrimoni, cioè soprat-tutto quelli dei divorziati risposati. Nel Lazio il calodel 2010 sul 2009 è stato del 9,46 per cento, l’in-dice più alto tra le grandi regioni italiane. Questi

dati significanoanche che l’Italia

registra una per-centuale inferiore ai4 matrimoni su 1000abitanti, che sembraessere la proporzio-ne più bassa d’Europa:è del 4 su 1000 inFrancia e del 4,6 inGermania mentre lamedia della ComunitàEuropea (27 Paesi)è del 4,9. Nota cer-tamente importan-te, che giustifica il tito-lo del Riformista, è ildato, già ricordato, chemolte coppie non sipongono nemmenopiù il problema se spo-sarsi in chiesa o incomune: non si spo-sano più e basta.Seconda nota: il 64,2per cento (attenzio-ne: non per mille) del-le coppie sceglie il regi-me della separazio-ne dei beni, indiceesplicito di matrimo-ni non fondati suuna totale reciprocadonazione di sé stes-si né con la sicuraesclusione di unarottura.Tant’è vero che la pro-pensione a sposar-si prima dei 35 anniè diminuita in unanno, per entrambi iconiugi, del 7 per cen-to e che l’età mediaè ormai di 33 anni per

gli uomini e di 30 per le donne. Tutto ciò deno-ta incapacità o paura di decisioni irreversibili, unvuoto di valori forti, attendismo, indifferenza eti-ca, individualismo, paura o rifiuto del futuro: insom-ma un’umanità e una società più povere, menosolidale…Ma eccoci a “quelli che non vanno più all’alta-re”. I matrimoni civili sono circa il 37 per centodel totale: oltre un terzo. Quindici anni fa non arri-vavano nemmeno al 20 per cento. Un calo preoc-cupante, ma molto meno di quello dei battesi-mi. Questi non sono registrati dall’Istat in nomedella “laicità” dello Stato, anche se sarebbe undato importante per valutare la cultura (in sen-so antropologico, ma non soltanto) degli Italianicome cittadini di uno Stato che dovrebbe esse-re “laico”, ma rispettoso, anzi sostenitore dellaloro fede e dunque da tenere presente anche nel-le scelte politiche. Non disponendo, dunque, di dati nazionali, pren-deremo a mo’ di campione quelli di Roma, anchesul presupposto che in proporzione, la vicinan-za e la qualità degli scambi di ogni tipo non sia-

no molto distanti da quelli di Velletri. Nella capi-tale i matrimoni sono stati, nel 2010, comples-sivamente 9.556, dei quali 5.078 celebrati in chie-sa e ben 4.478 in comune (il 46 per cento, pra-ticamente quasi uno su due). Nel 1990 erano stati 13.154, di cui 8417 religiosie 4.737 civili (il 36 per cento): come si vede ilcalo riguarda quasi soltanto i matrimoni religio-si, diminuiti di 3.339 (39,7 %) in vent’anni, men-tre quelli civili scendono di 259, vale a dire sol-tanto del 5,5 per cento.Molto più preoccupante,come si diceva, per le conseguenze da tirare sulpiano religioso, culturale e religioso, il crollo deibattesimi: nel 1990 erano stati 20.727 su 24.292nati (85 per cento). Furono 14.034 su 25.282 natinel 2009, vale a dire solo il 55,5 per cento. Anchequi la constatazione che quasi la metà dei natia Roma non vengono battezzati, in molti casi,com’è facile dedurre, anche da genitori sposa-tisi, si usa dire, come Dio comanda. Sono i roma-ni che, scesi dall’altare, non vanno al battistero.Trovare le cause delle crisi matrimoniali e bat-tesimali è abbastanza facile se si vuole indica-re l’andamento complessivo sotto il profilo reli-gioso, della fede e della pratica religiosa dei cri-stiani (secolarizzazione, relativismo, pluralismoetico, pansessualismo, crisi economica…) ma dif-ficile sul piano personale. Certo, però, è che di questa crisi bisogna aspet-tarsi piuttosto un aggravamento che una miglio-ria, perché il fenomeno dei matrimoni civili e delnon-battesimo tende a riprodursi e avvitandosisempre più ampiamente su se stesso. E tutta-via c’è, almeno, da sperare che, come il “restodi Israele” (quello che rimase nella TerraPromessa dopo la deportazione in Babilonia), rima-se fedele al suo Signore Dio, così anche il “restodei cristiani”, sia almeno percentualmente più fede-le al signore e Salvatore Gesù. Il che vuol direpiù profondo nella fede, migliore nella testimo-nianza, più coraggioso nell’annuncio, più disponibilealla missione, più fiducioso nella promessa di Cristodi non abbandonarci e di essere con noi sino allafine dei tempi. Soprattutto perché nessuno puòdire che il trend, cioè l’andamento attuale, nonpossa invertirsi anche con la buona volontà pro-prio di quel nuovo “resto di Chiesa”.

Nell’immagine del titolo: Contratto di matrimonio, Jan Josef Horemans, 1768, Antewerp

Fig. 1. Stagionalità dei matrimoni per tipo dirito in due periodi, Velletri, 1981-2008.

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Tonino Parmeggiani

LLa diffusione di stati statistici riguardantii vari eventi, ed aspetti della società, daparte di enti preposti alla raccolta ed ela-

borazione degli stessi, genera ovviamente dei com-menti sugli organi d’informazione (se non sonosemplicemente riportati i comunicati delle agen-zie stampa) ma, spesso, questi incorrono in erro-ri di interpretazione, limitandosi a cogliere gli aspet-ti più sensazionali, da buttare nel titolo. La pub-blicazione di recenti dati sull’andamento del mer-cato matrimoniale in Italia negli ultimi anni (vediil sito dell’Istat: http://demo.istat.it/altridati/matri-moni/) ha prodotto anch’essa una veloce infor-mativa, rientrata dopo qualche settimana, sen-za che ci si vada ad interrogare, in proseguo, sul-le cause che stanno a monte e/o sui provvedi-menti nei vari campi da prendere per cercare diovviare agli stessi.Non vogliamo addentrarci quiin un commento dei dati in questione, vogliamosolo proporre, con l’occasione, una riflessione suqualche aspetto partendo da una situazione rea-le, il caso della città di Velletri, per cui lo scriventeaveva già in precedenza elaborato informazio-ni sulla dinamica matrimoniale, che è invero cosaalquanto complessa tanto che, ad esempio, l’Istatnon pubblica i dati riferiti al singolo comune (comefa invece regolarmente per i nati, decessi, immi-grati ed emigrati, tanto per rimanere nel campodemografico, vedi: http://demo.istat.it), in quan-to l’evento matrimonio può verificarsi in un comu-ne diverso da quello degli sposi, se gli sposi risie-dono in comuni diversi si può attribuire ad unosolo... di conseguenza si correrebbe il rischio chele statistiche venissero falsate, se calcolate supiccoli ambiti territoriali. Santuari, chiese fuori delproprio comune possono essere scelti o per ladevozione verso questi oppure, semplicemente,per il contesto storico ed architettonico del luo-go, per la disponibilità del parcheggio, di un bel-l’ambiente esterno per le foto, della vicinanza conil ristorante... Qualche anno orsono dei sociolo-gi hanno studiato la vicenda che, alcuni decen-ni fa, venissero spesso scelte chiese con lunghescalinate antistanti: è stato spiegato con il fattoche la sposa, mentre scendeva le scale, dove-va suscitare nell’animo, nell’immaginario collet-tivo del parentado, la figura di Wanda Osiris, famo-sa soubrette italiana degli anni 1940-70, quan-do discendeva le scale sulla scena nei suoi spet-tacoli di varietà! Se i criteri per la scelta del luo-go, oramai una location, sono questi, è chiaroche una corrispondenza con la popolazione del-la parrocchia, con quella comunale, cade del tut-to. Occorrerebbero delle indagini ad hoc, partendoda dati, interviste individuali, per meglio comprendere

questo evento dai mol-teplici aspetti.Altra fonte utilizzabile, sep-pur indirettamente, è ladistribuzione della popo-lazione secondo lo sta-to civile, anche se nonsi dice nulla su situazioniprecedenti, e qui l’Istatogni anno fornisce i datirelativi alla situazione dell’1 gennaio: nel recenteAnnuario Diocesano2011 della nostra Diocesi,per ogni comune è sta-ta inserita una tabella ine-rente la distribuzionedella popolazione residentesecondo il sesso, lo stato civile e l’età.La fonte usata, per i dati qui pubblicati, sono imoduli che i comuni inviano mensilmenteall’Istat, con il dato aggregato sui matrimoni cele-brati, divisi secondo il tipo di rito, religioso o civi-le. Abbiamo diviso 1’arco cronologico di 28 anniin tre periodi (Tab. 1) e si osserva, riguardo altipo di rito che, mentre nel periodo 1991-1999si ebbe un incremento di quelli con rito religio-so, l’ 87,6% rispetto a quello precedente con l’85,7,nell’ultimo periodo 2002-2008 si ha un deciso ribas-so attestandosi al 72,7; uno sguardo all’ultimacolonna ci dice che nel contempo sono aumen-tati i matrimoni di cui almeno uno degli sposi èstraniero, per cui potendo presuppore, ma nonè detto, che non siano cattolici, un 5,5% di incre-mento di quelli con rito laico potrebbe essere spie-gato da questi. Dal confronto con il periodo precedente rimar-rebbe ancora un calo di 10 punti percentuali chepossono essere benissimo spiegati dal calo del-le frequenze alla Messa, alla partecipazione ingenere dei fedeli alla vita della Chiesa, alla cri-si economica perdurante da anni. Inoltre non biso-gna dimenticare che tra quelli con rito civile, cisono tutti i casi in cui uno degli sposi ha lo sta-to di divorziato (anche di ordine superiore ad 1):dalla fonte Istat citata, Tavola 1.2 per l’Italia, siha che costoro, ad esempio per l’anno 2009, costi-tuiscono l’8,5 % degli sposi ed il 7,8 % delle spo-se, con un incremento annuo di queste percen-tuali, del 0,3-0,4 % per i maschi e un po’ meno,lo 0,2 per le femmine.Se l’anticipazione o il ritardo di un matrimonio,la scelta del tipo di rito, sono legati alla capaci-tà economica della coppia, alla disponibilità del-l’alloggio, del lavoro, quello che sarebbe da stu-diare è la libera scelta, la propensione della cop-pia alla convivenza o al matrimonio, al tipo di rito,

disgiunta da tutta questa serie di fat-tori contingenti. Altro aspetto qui esaminato, è la sta-gionalità dei matrimoni, ovvero la dis-tribuzione per mese: dalla fig. 1 ( vedipag. a fianco) si nota, per il rito reli-gioso (R), che se nel decennio 1991-99 la linea in azzurro aveva come mesepreferenziale il mese di settembre, inquello successivo 2002-08, lineaverde, questo ed il mese di giugno sono

alla pari; pressoché tutti i matrimoni, il 93 per cen-to del totale, sono celebrati in sette mesi. Per quelli di rito civile (C) invece è interessatotutto l’anno (anche novembre!) con preferenzada aprile ad ottobre, linea viola per gli anni 2002-08, mentre nel periodo 1991-99, linea rossa, eralimitato ai primi mesi estivi. Il grafico indica perogni mese il numero dei matrimoni celebrati, leg-gibili lungo il raggio, a seconda il tipo ed il perio-do. Una ultima considerazione: si parla sempredella diminuizione degli eventi, dei sacramentiamministrati ma, a volte, ci si dimentica delle pro-fonde mutazioni della struttura della popolazio-ne che li genera: se osserviamo le piramidi del-le età della popolazione italiana e straniera resi-dente in diocesi (Annuario Diocesano 2011, pp.26 e 29) solo per questa ultima il termine ‘pira-mide‘ classico può riferirsi in modo appropriato,in quanto per quella italiana essa è praticamenterovesciata: le nuove generazioni sono sempredi meno rispetto alle precedenti, a causa dell’arcinotabassa natalità. Cosi nella fig. 2 , se consideria-mo la classe quinquennale di età 30-34, a ses-si uniti, vivente all’1.1.2010 per tutta la diocesi,che è poi la classe in cui ricade l’età media almatrimonio di entrambi i sessi, vediamo che essasarà rimpiazzata, fra 10 anni (curva rossa, in cuisi rapportano le classi successive a quella 30-34), solo all’80% dagli attuali 20-24enni e soloper i due terzi, fra venti anni, dalla 10-14! Quindi che ci sarà un ulteriore calo del numerodei matrimoni o convivenze è noto da subito enon deve/dovrà meravigliare. La curva in azzur-ro (rapporto tra una classe e la precedente) espri-me invece la diminuizione in percento di una clas-se di età rispetto alla precedente: solo con le età5-9 e 0-4 ci sarà una inversione di tendenza.

Periodo

Matrimoni per tipo di ritovalori percentuali

Media annua

matrimoni

Di cui concittadini stranieri

Religioso Civile Totale numero %

1981-1990 85,7 14,3 100,0

1991-1999 87,6 12,4 100,0 229 21 1,6

2002-2008 72,7 27,3 100,0 205 101 7,1Fig. 2. Rapporto tra alcune classi di età,Diocesi Velletri-Segni, all’1.1.2010Tab. 1. Matrimoni per tipo di rito, Velletri, 1981-2008

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Claudio Capretti

ll ’altra sera credo di averti incontrato. Nondi persona s’intende, bensì attraverso leimmagini che la televisione stava trasmettendo.

Ti ho riconosciuto nei volti dei migranti che arri-vavano dal mare. Eri lì, e la tua storia si con-fondeva con quella di uomini, donne e bambi-ni di altre culture e religioni. Tutti accomunatiad un unico sogno: ricostruire la loro vita in unpaese migliore da quello che avevano lascia-to. Ma è stato bello riconoscerti anche nei vol-ti e nella buona volontà di chi li soccorreva, ancheloro uomini e donne che si prodigavano per dareun’umana e dignitosa accoglienza. ll comprensibile e inevitabile trambusto dovu-to al consistente afflusso di migranti, ha attivatodiversi meccanismi e sentimenti; prima di tut-to lo spirito di accoglienza, in modo particola-re espresso dalla cittadinanza di Lampedusa,poi la rabbia nei confronti dei trafficanti di esse-ri umani e, infine, la disperazione per le vite inter-rotte e mai giunte a destinazione. Ma il retro-scena celava ben altri pericolosi sentimenti chesi muovevano parallelamente a quelli sopra cita-ti, come la paura per lo straniero, paura che ven-ga a minacciare la nostra sicurezza, la nostraidentità; il fastidio perché viene a toglierci spa-zi nostri, oppure a portarci via quel poco lavo-ro che ancora c’è e il timore che non trovan-dolo, finisca per delinquere. E come al solito,invece di affrontare queste paure con il giustoe doveroso equilibrio, le demonizziamo con insi-nuazioni che rasentano la xenofobia oppure leliquidiamo con sommario buonismo, evitandocosì di affrontare concretamente il problema.Nell’uno e nell’altro caso rischiamo di andarenella direzione opposta a quella indicata dal Vangelo:“Ero forestiero e mi avete accolto” (Mt 25,35).

Mia cara Rut, tu hai vissuto questo problemain entrambi gli aspetti, ti sei trovata prima adaccogliere, e poi, in un secondo momento a doveressere accolta, quindi nessuno meglio di te puòcapire i due fronti. Sai, non oso immaginare la reazione dei tuoifamiliari quando decidesti di sposare uno stra-niero, un giovane proveniente da Betlemme, infuga dal suo paese a causa di una forte care-stia. Forse la tua famiglia aveva per te ben altreaspettative, forse era già in uso il detto: “mogli(ma nel tuo caso specifico dovremmo dire mari-ti) e buoi dei paesi tuoi”, e forse la canzone più“gettonata” ai tuoi tempi era “Moab mormorò!Non passa lo straniero!”..., tutte idee che sco-raggiavano l’accoglienza. Ma stando ai fatti, nul-la ti ha impedito di costruire una nuova vita conil giovane ebreo. Le pagine della Bibbia non dico-no nulla di come furono quei giorni accanto alui; nessuno, però, ci impedisce di pensarli bel-li. Nel nuovo contesto familiare iniziasti a cono-scere le vicissitudini del popolo d’Israele e adavere familiarità con il Dio di Abramo di Isaccoe di Giacobbe. Forse di buon mattino, prima cheil tuo sposo uscisse di casa per il lavoro nei cam-pi, eri accanto a lui mentre proclamava lo Shemàche dice: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostroDio, il Signore è uno solo. Tu amerai il SignoreDio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua ani-ma e con tutte le tue forze”(Dt 6,5). Sicuramentevivevi con un fremito sempre nuovo la Pasquamentre, rapita, ascoltavi la storia dell’uscita delpopolo di Israele dall’Egitto. Forse tante cosenon le hai capite immediatamente, ma c’era tuasuocera Noemi pronta a spiegartele. Sì, lo so, sto immaginando tutto tra me e me,ma una cosa è certa: il buon Dio si manifestòa te tramite dei migranti e tu ne fosti conqui-stata. Alla morte del tuo sposo, invece di ritor-

nare dai tuoi parenti preferisti seguire Noemi,l’unica persona rimasta in vita di quella fami-glia. A nulla valsero le insistenze di quest’ulti-ma di ricostruirti una vita nuova, perchè la tuarisposta fu irremovibile: “Il tuo popolo sarà il miopopolo e il tuo Dio sarà il mio Dio” (Ru 1,16).Il tenero legame con tuo marito aveva gene-rato dentro di te un legame ancora più intimocon il Dio d’Israele. Avevi trovato un tesoro chenon avresti più lasciato, nemmeno per tutto l’o-ro del mondo. Tornate a Betlemme la vita nonfu facile e per garantire una sopravvivenza ate e a Noemi, non ti rimase altro da fare se nonmetterti a spigolare nei campi, un lavoro umi-le ed esposto ad approcci da parte di malin-tenzionati. Ci pensò Booz un lontano parentedi tuo suocero, che su di te aveva il diritto alriscatto, a vegliare su di te, e subito dopo adinnamorarsi di te. La tua storia si concluse con un lieto fine, deltipo “vissero tutti felici e contenti”, come una bel-la favola. Dall’unione con Booz, nacque Obed,padre di Iesse e nonno del re Davide; moltianni dopo, dalla loro discendenza sarebbe natoil Messia. Ma tu tutto questo non lo immaginavidi certo. Vedi quale grande onore il buon Dioti ha riservato? Mia dolcissima Moabita, avreivoluto scriverti in ben altre circostanze, maga-ri per elogiare il tuo affetto verso l’anziana suo-cera, un affetto ricambiato, e dirti quanto è sta-ta bella la vostra complicità, l’una che lottavaper il bene dell’altra. Per mezzo della tua storia mi sarebbe piaciu-to infrangere quel luogo comune in cui vede suo-cera e nuora eternamente contrapposte. Nonimmagini quanto mi sarebbe piaciuto parlaredi come una nuora può diventare una figlia, gra-zie anche al fatto che una suocera sa essereuna madre per la nuora. Oppure sarebbe sta-

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to bello descriverti l’emozione che provo quan-do nel Vangelo di Matteo, nella genealogia delCristo, è riportato anche il tuo nome (Mt 1,5).E invece ho preferito guardarti come colei cheha accolto per prima lo straniero e che poi, comestraniera, è stata accolta. E’ una bella storia la tua, piena di speranza edi insegnamenti. Anche noi, come te, dovrem-mo imparare a guardare oltre le apparenze ei pregiudizi, perché la grande e inevitabile sfi-da che ci attende è proprio questa: l’accoglienzadel povero, dell’umile, del lontano. Anche se non ci piace, il mondo è diventato unvillaggio perché con i mezzi di comunicazione

di cui disponiamo, le distanze si sono accor-ciate. I popoli africani che un tempo immagi-navamo lontani, quasi irraggiungibili, se non dapochi e coraggiosi missionari, oggi sono allasoglia della nostra casa. Ora sono i popoli delsud del mondo che spinti da situazione di dram-matica povertà ci interpellano e chiedono la nostracomprensione. E quindi mi domando: qual è lanostra reazione? Cosa pensiamo di fare di fron-te a questa urgenza? Forse mia cara Rut, il senso di fastidio che lostraniero suscita in noi è dovuto al fatto che nonaccettiamo l’idea di essere noi stessi in que-sto mondo degli stranieri. Sì, mia cara Rut, sia-

mo viandanti in cammino verso la Patria cele-ste, il cui accesso ci verrà consentito solo seriusciremo a superare l’esame dell’amore cheogni giorno nel quotidiano siamo chiamati a soste-nere. Per questo “dobbiamo curvarci sulla ter-ra, con lo sguardo rivolto al cielo” (Maria Bordoni). “Grazie Rut, per questo tuo incredibile messaggiodi universalità che lasci cadere dai tuoi covo-ni. Dietro i quali, alla ricerca di un mondo piùsolidale, siamo venuti anche noi a spigolare”(Don Tonino Bello).

Nell’immagine: Rut e Noemi, Pietre Lastman, 1614, Hannover

Don Dario Vitali*

QQuella di Pier Giorgio Liverani è firma ormaifamiliare ai lettori di Ecclesia, che pub-blica regolarmente i suoi articoli. Ora, per

i tipi della San Paolo, è uscito un suo libro, cheEcclesia è ben felice di segnalare: Diventare laici. Alla scoperta della vocazionesmarrita, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi)

2011, pagine 160, euro 13.00. Si tratta di un tema di grande rilievo per la vitadella Chiesa, che nel periodo post-conciliare mol-to ha insistito e molto ha investito sul tema deilaici. Il libro si articola in 7 capitoli, che costitui-scono anche un percorso di spiritualità laicale.I titoli già mostrano la strada aperta dall’Autore. L’Introduzione – “Una sola laicità” – mostra comeil termine “laico” sia segnato da un’ambiguità difondo, perché indica contemporaneamente un mem-bro della Chiesa nel linguaggio ecclesiale e unnon credente nel linguaggio profano, magari carat-terizzato in senso anticlericale, come risulta dalsostantivo “laicismo”, usato in senso peggiora-tivo. Bisogna allora – a parere dell’Autore – recu-perare il termine laico/laicità al linguaggio eccle-siale: «Restituire la laicità al popolo di Dio signi-fica riconoscere anche ai suoi membri, come achiunque altro, la capacità di operare laicamentesecondo le proprie convinzioni» (p. 13). L’esempio immediato è quello di chi sta in poli-tica, che potrà non tanto “fare politica cristiana”,ma “da cristiano”, senza per questo essere accu-sato di “indebite ingerenze”. Questo significa cheesiste una laicità cristianamente intesa che puòe deve essere considerata come una vocazio-ne da riscoprire urgentemente. L’intenzione dichiarata del libro «è di andare pri-ma alla ricerca di una vocazione smarrita e poidi suggerire un percorso insieme spirituale e razio-nale per realizzarla nella propria vita, vale a direper “diventare laici”» (p. 18). L’idea è quella dipassare da membro senza alcuna specifica col-locazione nell’assemblea a laico come un mem-bro della Chiesa costituito iun uno dei tre statidi vita nella Chiesa, accanto a quello clericale ea quello religioso.Il primo capitolo prova a disegnare i tratti di que-sta vocazione, specificando che «i laici sono, dun-que, quei cristiani_ - che vivono pienamente immer-si nella storia e con la storia medesima si san-tificano…; - che nella speranza escatologica tro-

vano motivo non per unafuga, ma per una immer-sione sempre più pro-fonda negli impegniterreni…; - che sannoche è loro dovere ver-so Dio e verso gliuomini scandagliarecon umiltà e con per-severanza i segretidella realtà creata…; -che agiscono perché icriteri operativi delmondo siano la pace,la giustizia, la verità, ilrispetto della vita edelle persone, infine l’a-more fraterno fra gli uomi-ni…; il cui culto… con-siste nella testimo-nianza vissuta dellapropria fede…; checondividono in prima per-sona le gioie e le speranze, le tristezze e le ango-sce degli uomini d’oggi…; che insieme con tut-ti gli uomini, credenti e non credenti, contribui-scono alla retta edificazione di questo mondo»(pag. 25). Tutto questo non è dato, ma è fruttodi scelte: laici non si nasce, si diventa!Il secondo capitolo ricostruisce un po’ di storiadel laicato (che l’Autore stesso qualifica come“un po’ partigiana”), per mostrare, attraverso i diver-si periodi della storia, quale sia stata la rilevan-za o meno di questo stato di vita nella Chiesa.Il terzo capitolo – con un titolo assai evocativo:“Il settimo giorno” – ripercorre le Sacre Scrittureindividuando l’impegno specifico del laico – si dovreb-be dire dell’uomo biblico – nelle realtà terrene,e descrive la laicità – da intendersi come auto-nomia della creazione – come il modo in cui siattua la partecipazione all’opera stessa di Dio cheha affidato la terra all’uomo. In questa linea, «il laico è “colui che va a Dio conle cose e dentro le cose”» (p. 57). «Alla ricercadella vocazione smarrita» è il titolo del quarto capi-tolo, che prova a individuare il profilo del laicoalla luce del concilio Vaticano II, offre un percorsoragionato che porti il battezzato a diventare lai-co in senso pieno, in una vocazione che si tra-duce in molte vocazioni tipiche nel diversi sce-nari dell’esistenza.

A seguire, l’Autore spie-ga come «diventarelaici», stando “dentro lecose” in modo consa-pevole (quinto capito-lo), per offrire poi «unitinerario di spiritualitàlaicale» (sesto capito-lo) in cui la vita secon-do lo Spirito sia attua-ta come partecipazio-ne alla funzione profe-tica, sacerdotale e rega-le di Cristo secondo lacondizione specificadel laico. Il settimo capitolo – “lai-cità e identità cristiana”– costituisce una con-clusione al libro che èanche l’ultima tappa del-l’itinerario «verso laconsapevolezza della pro-

pria laicità», spiegata alla luce della “indole seco-lare” della loro vocazione/stato di vita.Il libro è ben costruito. Il suo merito più eviden-te è di riproporre il tema e di farlo criticamente,proponendo la condizione del laico come ulte-riore a quella del battezzato, in ragione di unavocazione propria che lo configura anche in unospecifico stato di vita. In questo modo il rischioè di mettere così tanta enfasi sulla vocazione lai-cale da indebolire quella battesimale, che costi-tuisce la riscoperta più significativa del VaticanoII con il capitolo II della Lumen Gentium sul Popolodi Dio. Ma la proposta è da percorrere, anchetenendo conto di come riesca a salvaguardarei laici da quel rischio di clericalizzazione che sem-bra affliggere il laicato oggi, poco presente nel-le realtà terrene con le sue sfide e molto – trop-po – presente nelle sacrestie, ripetendo stereo-tipi clericali che alla fine si rivelano una vera epropria contro testimonianza. L’indole della vocazione laicale è quella secola-re: è questa la sfida che l’Autore mette bene inevidenza per rendere per questa sua specifici-tà il laico «un uomo della Chiesa nel cuore delmondo, e un uomo del mondo nel cuore dellaChiesa» (p. 158)

*docente ordinario alla P.U.G. di Roma

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Stanislao Fioramonti

II l luogo esclusivo divacanza dei papi è sta-to, dal 1655 con

Alessandro VII, il palazzo apo-stolico di Castelgandolfo, auna ventina di chilometri da Roma.Lo è stato però fino al 1987, daquando cioè Giovanni Paolo IIha iniziato a trascorrere un perio-do di riposo nelle Alpi. Massimouna decina di giorni, di solito aiprimi di luglio, per non manca-re troppo da Roma e dalle udien-ze estive con i suoi pellegrini,ma da allora ogni estate fino al2004 il papa è andato “fuori”: anchenel ’92 e nel ’94, dopo le ope-razioni all’intestino e al femore,e con le sole eccezioni del 2002per la GMG in Canada e del 2003per motivi di salute.Non che a Castelgandolfo man-casse qualcosa, come bellez-za naturale, con il lago Albanoproprio lì sotto, i colli Albani tut-t’intorno e Roma in lontananza; ma non c’era-no montagne vere, e di queste il papa polaccosentiva troppo la mancanza, come spiega eglistesso: “Le montagne hanno sempre avuto unparticolare fascino per il mio animo; esse invi-tano a salire non solo materialmente ma spiri-tualmente verso le realtà che non tramontano”;“La montagna avvicina al mistero di Dio.Naturalmente non manca di asprezze e nascon-de non poche insidie. (...) E’ una legge dell’esi-stenza: niente di grande e di bello si realizza, nel-la vita fisica come in quella spirituale, senza pas-sare per la strettoia di un’ascesi che fortifichi etempri, rendendo adatti per le più esigenti mis-sioni e i più eccelsi ideali”. E il generale Marinelli, responsabile della sicu-rezza del papa e quindi suo accompagnatore nel-le uscite ufficiali dal Vaticano (e anche in una deci-na di uscite non ufficiali, anzi segrete) aggiun-ge: “La salute del papa aveva bisogno di alme-no qualche ora di riposo e di pace, e lo stress ela stanchezza riusciva a smaltirli solo in monta-gna”. Dal 1987 al 2004 i luoghi della vacanza mon-tana del papa sono stati due: sei volte si è reca-to a Lorenzago di Cadore in Veneto (Dolomiti Bellunesi)e dieci volte a Les Combes di Introd in Val d’Aosta;due luoghi bellissimi, immersi nel verde e ricchidi acque, dominati molto da vicino da vette allequali il papa quotidianamente puntava. Perchéle sue vacanze erano essenzialmente questo: lun-ghe camminate, con rientro alla sera; lettura, scrit-tura e soprattutto preghiera; naturalmente nonmancava di incontrare la gente del posto, di soli-to la domenica dopo la messa, ma la nota carat-teristica delle sue ferie era quella del ...ritiro. Eccodalle sue stesse parole la sua idea di vacanza:“Le vacanze vanno saggiamente utilizzate per-ché siano di giovamento all’individuo e alla fami-glia, grazie al contatto con la natura, alla tran-quillità, all’opportunità di coltivare di più l’armo-

nia familiare, a buone letture e a sane attività ricrea-tive. Grazie soprattutto alla possibilità di dedicarsimaggiormente alla preghiera, alla contemplazione,all’ascolto di Dio”.Dai suoi “campi-base” Karol Wojtyla ha compiutouna miriade di “uscite”; tanto per ricordarne qual-cuna, da Lorenzago – dove gli è stato dedicatoun sentiero che sale fino a Stabie ripercorren-do alcune sue tappe – è stato sul percorso ver-so la Mauria, sul Col Quaternà (m. 2500, 13 luglio1987) e nel 1988 sul monte Peralba, dove ha affron-tato, contro il parere degli accompagnatori, unadifficile ferrata per raggiungere la croce di vet-ta, a quota 2694. La croce d’altronde è un ele-mento-chiave della sua mistica della montagna,come ha scritto in un messaggio del 31 dicem-bre 1999: “La croce stende maestosa le sue brac-cia e tutti stringe in un perenne abbraccio di pace,come richiamo ed invito ad attingere dai valorispirituali energia per costruire un mondo più fra-terno e solidale, una società finalmente libera dal-l’odio e dalla guerra. Croce di Cristo, bandiera di pace che dalle altecime delle montagne chiami a volgere lo sguar-do verso il cielo, unendo la storia all’eterno, par-la al cuore di quanti ti vedono splendente nellanotte e fa’ loro sentire che Dio ci sta accanto eci ama”. Numerosi anche i paesi e le località rag-giunte da Introd: l’Alpe en Haut di La Salle (m.1838), Les Combes di Arvier, La Thuile, il ColChavannes, Courmayeur, il Plan de Mandze, iQuatre Dents, Pré St-Didier, Valgrisenche,Rhème-St. Georges, l’alpeggio Feleuma, il lagoDjouan di Valsavarenche. Ha benedetto la pri-ma pietra del monastero di Quart, ha detto mes-sa alla chiesetta degli Alpini Sciatori del Cervinoa Breuil, ha celebrato pontificali anche ad Ayase a Cogne; il 12 e il 16 luglio 1990 è sceso nelmassiccio del Bianco: prima presso il Col du Trident,a m. 3685, e poi in vetta, da dove ha rivolto la

sua preghiera per l’Europa. Hoscritto: “è sceso” perché in quelle dueoccasioni ha dovuto accettare il pas-saggio dell’elicottero, suo malgrado,se è vero che avrebbe mormorato: “Non è con l’elicottero, ma con le gam-be che occorre salire quassù”. Masul Bianco era già stato il 7 settem-bre 1986, durante la visita pastora-le ad Aosta, recitando l’Angelus dai2343 metri del Mont Chétif. L’amoreper la Val d’Aosta e per la sua gen-te lo ha espresso fino all’ultimo: nel-la lettera scritta il 24 luglio 2004 alvescovo per ringraziarlo dell’ospita-lità dopo l’ultimo soggiorno, dicevatra l’altro “di aver potuto ancora unavolta apprezzare le bellezze del pae-saggio valdostano, gli straordinari pano-rami naturali dei suoi monti e dellesue valli, la cordialità e laboriosità deisuoi abitanti, la sensibilità di quan-ti scelgono questi magnifici luoghi comemeta delle loro vacanze”. Ovviamentele frequentazioni alpine del papa mon-tanaro non si limitarono ai 17 anniin cui si recò in vacanza in Cadore

o in Val d’Aosta. Anche prima ci sono eventi memo-rabili da registrare, e il primo nemmeno un annodopo l’elezione a pontefice. Il 26 agosto 1979 infat-ti Wojtyla è sulla terza e ultima stazione dellafunivia della Marmolada, ai 3220 metri di PuntaRocca, per benedirvi nella cappella scavata nel-la roccia la statua della Madonna delle Nevi, dalui denominata Regina delle Dolomiti. Cinque annidopo, nel luglio 1984, si concede una breve vacan-za sull’Adamello (Trentino occidentale), persciare nei pressi del rifugio Lobbia Alta (m. 3278)e passeggiare sul ghiacciaio insieme al presidentedella Repubblica Sandro Pertini. Quattro anni dopo,sempre in estate e sempre in Trentino, benedi-ce il santuario di Pietralba (m. 1520), il più fre-quentato delle Alpi Centrali, e poi il 16 luglio èdi nuovo alla Lobbia Alta dell’Adamello per bene-dire l’altare di granito che gli alpini della zona costrui-rono in ricordo della precedente visita. Alla finedel secolo, su quell’altare fu posta una grandecroce di granito dedicata al papa, e da allora quelluogo si chiama Punta Croce Giovanni Paolo II;ogni anno in luglio essa è raggiunta da giovanirappresentanti delle diocesi italiane, che vannoa pregare per Karol Wojtyla, per le necessità del-la Chiesa, per i 60 mila soldati caduti su quellenevi durante la I Guerra Mondiale.Il legame tra Giovanni Paolo II e la popolazionedella Val Rendena è stato ulteriormente rinser-rato nel 2004, quando il 25 settembre il munici-pio di Pinzolo conferì al pontefice la Targa d’Argento- Premio Internazionale della Solidarietà Alpina2004. L’omelia del pontefice alla messasull’Adamello e il messaggio inviato agli alpini inoccasione del posizionamento della croce (31 dicem-bre 1999) costituiscono altri due tasselli di quel-la teologia della montagna sviluppata dal papadurante le sue “ascese”. “Qui, dove la natura è un inno perenne alla gran-dezza del Creatore, è facile disporre l’animo a

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Page 9: luglio ago 2011:Pag prova.qxd 05/07/2011 11.27 Pagina 1 · 2015. 7. 1. · Luglio - Agosto 3 2011 Stanislao Fioramonti “Se, in un certo senso, tutte le solennità litur-giche della

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pensieri alti e corroboranti, e soffermarsi in pre-ghiera. (...) Qui, tra gli spazi sconfinati e nel silen-zio solenne delle cime, si avverte il senso del-l’infinito! In questo scenario maestoso e possente,l’uomo si sente piccolo e fragile, e più facilmentepercepisce la magnificenza e l’onnipotenza di Dio,creatore dell’universo e redentore del genere uma-no. Qui veramente il pensiero, contemplando ilcreato, penetrando anzi nell’ordine mirabiledell’intero universo, si fa preghiera di adorazio-ne e di fiducioso abbandono”. Ma la montagnaè anche solidarietà con la sua gente e con la suastoria: “Da queste montagne lo sguardo scen-de verso le valli che le circondano e il pensieroraggiunge spiritualmente le genti che le popo-lano: donne e uomini segnati dal forte caratte-re delle virtù montanare. (...) Elevo la mia pre-ghiera perché non si lascino prendere dalle ten-tazioni della società consumistica, dall’edonismo,dall’indifferentismo; perché guardino alle vette nonsolo come alla meta del loro duro vivere quoti-

diano, ma anche come a simbolo di possibile,elevante, purificatrice ascesi spirituale”. Dal mes-saggio di fine secolo estraiamo poi il concetto disolidarietà con la storia delle popolazioni mon-tane: “Là dove negli anni duri della Prima Guerramondiale correva la linea del fronte e tanti esse-ri umani caddero prematuramente, brillerà la lucedella Croce di Cristo, messaggio di pace e di ricon-ciliazione, di speranza e di solidarietà, che inon-derà valli e montagne”. E ancora: “La pace mae-stosa di queste montagne è un invito ad un impe-gno a costruire e a consolidare una società libe-ra dalla schiavitù della guerra e dell’odio”.La mon-tagna infine, inquanto dono e rive-lazione dellaProvvidenza di DioPadre, deve esse-re attentamenteprotetta e salva-guardata.

“Ogni volta che ho la possibilità di recarmi in mon-tagna, ringrazio Dio per la maestosa bellezza delcreato. Lo ringrazio per la sua stessa Bellezza,di cui il cosmo è come un riflesso, capace di affa-scinare gli uomini e di attirarli alla grandezza delCreatore”. Con questi sentimenti, il nuovo bea-to Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II si sarà sicu-ramente sistemato su qualche montagna del Paradiso,aggiungendosi a buon diritto, dal 1° maggio 2011,alla folta schiera dei celesti protettori delle mon-tagne e dei montanari: S. Bernardo di Mentone,S. Giovanni Gualberto, S. Franco di Assergi, S.Pietro Celestino, il beato Pier Giorgio Frassati...

Rigel Langella

AAppena aperte le urne per lo scrutinioreferendario, in una popolosa e popo-lare sezione del litorale romano, dove

svolgevo le funzioni di presidente di seggio unoscrutatore ha esclamato: “ma è un plebiscito!”e un rappresentante di lista ha puntualizzato:“è un fiume in piena!”. Allora, mi è venuto spon-taneo aggiungere: “e speriamo che arrivi al mare…”.Perché, come diceva il comico Crozza nella suadichiarazione di voto: “scusate, ma io ve l’avevogià detto venticinque anni fa!”. Infatti nel 1987il 65% degli italiani aveva votato per abrogareil nucleare ma i politici, che della volontà popo-lare si fanno scudo per tante discutibili presedi posizione, poi sembrano dimenticarsene perle questioni vitali. Oggi, però, sembra davve-ro difficile che si possano ignorare i risultati otte-nuti: quorum raggiunto e non di misura con unnetto 57% e la schiacciante vittoria dei sì (supe-riore in media al 95%). Un dato emblematico, considerato che ormaida sedici anni l’affluenza alle urne non face-va superare il quorum. Questa è la prima noti-zia, la vera notizia. Mentre i commentatori poli-tici televisivi si sono fossilizzati nell’interpreta-zione di un referendum pro o contro Berlusconi,pochi hanno ricordato che è stato anche un refe-rendum pro o contro la voglia di scegliere deicittadini. I partiti, in molti casi, non hanno fat-to che inseguire, con dubbi risultati, la volon-tà popolare, la spinta dal basso che montavadavvero come un fiume in piena, ma non comeun‘onda emotiva, perché pienamente consapevoledel fatto che fosse in gioco il futuro delle gene-razioni a venire. Il Pd facendo piroette dopo aversnobbato la raccolta delle firme, il centro-destrarinunciando a difendere le sue stesse leggi. Chi ha vinto? Chi ha perso?... si chiedonoin molti. Hanno vinto gli italiani. Ha vinto la dife-sa dell’acqua pubblica. Ha vinto la voglia di nonavere nel proprio paese centrali nucleari. Ha

vinto il desiderio di vedere rispet-tato il principio base di ogni pae-se civile e democratico: una leg-ge uguale per tutti. Della pas-sata generazione che ci ha con-segnato una Costituzioneesemplare, che non ha funzionatosolo quando è stata calpesta-ta e non è stata rispettata. Ricordiamo che in nome di unanozione ambigua, quale quel-la di «rilevanza economica»,per questi parlamentari, non elet-ti da nessuno, si è fatto pre-valere il principio costituzionaledella tutela della concorrenza(art.117 riformato nel 2001) suquello della prevalenza dell’utilitàsociale e dei fini sociali sulla libertà di iniziati-va economica privata (artt. 41-43), voluto daiPadri Costituenti. Della generazione presenteche ha avuto un soprassalto di senso civicoe di dignità per non ipotecare il futuro delle gene-razioni a venire. E da questi principi dobbiamoripartire. Ha vinto anche la chiara presa di posi-zione della Chiesa italiana. La stragrande mag-gioranza dei giornali di proprietà dei vescovi ita-liani (190 testate con una tiratura media di oltreun milione di copie), hanno pubblicato articolied editoriali con una netta scelta per i “sì”, inlinea con analoghi appelli di sigle storiche comeAzione cattolica italiana, Acli, Pax Christi, e daben 40 diocesi, in difesa di “nostra sorella acqua,dell’ambiente e di tutto il creato”. Del resto seper San Tommaso: peculatus est furtum rei com-munis, i cristiani hanno scelto di votare controquesto peculato sull’acqua e l’aria, dono di vitae dono di Dio. Una vittoria, dunque, il ritornodei cattolici alla politica. Non tanto quelli delleistituzioni, ma i cattolici della base che dimo-strano la loro dedizione, sposando la causa del-l’acqua, della salvaguardia del creato, della giu-stizia, come ricordato anche a Padova, il 10 giu-

gno, appena alla vigilia della consultazione elet-torale, in occasione del Convegno teologico,promosso dalla CEI, per “una chiesa custodedella terra”.Una mente sempre lucida, come Raniero LaValle, ha indicato il cammino che si delinea aquella “Italia che s’è desta” dopo la sfiducia inflit-ta alle Camere: “Nel nostro sistema il governoè sfiduciato dal Parlamento, e il Parlamento èsfiduciato dal corpo elettorale (per questo ci vuo-le il quorum). Se le Camere vengono meno alloro compito e tengono in vita un governo impro-ponibile, l’elettorato supplisce a questa inadempienzae sfiducia governo e Camere. Ciò tanto più chia-ramente è avvenuto in questo caso, quando ilParlamento si era identificato in ogni modo conle leggi che il popolo ha abrogato: tentando latruffa sul nucleare, votando in tutte le salse illodo Alfano e le altre leggi ad personam, insi-diando il referendum sull’acqua e facendo del-la corruzione di una minorenne un importanteaffare di Stato di rilievo internazionale.L’elettorato, contrapponendosi alla maggioranzaparlamentare, ha denunciato che questeCamere non lo rappresentano”.

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Sara Gilotta

NN on certo da pocotempo la ChiesaCattolica si occu-

pa di argomenti sociali, cometestimoniano le molte enci-cliche volte a chiarire i ter-mini di questioni politichee sociali, su cui non sareb-be stato possibile da par-te dei diversi pontefici, nétacere, né mostrare indif-ferenza. Mi riferisco alla “RerumNovarum” di Leone XIII, del1891, al la “PopulorumProgressio” di Paolo VI del1967, fino alla “Laborem Exercens” di GiovanniPaolo II del 1981, tutti “scritti” i cui “auto-ri” hanno affrontato argomenti fondamen-tali, non solo per i cristiani.Gli argomenti trattati sono stati certamen-te diversi, ma tutti rivolti alla riflessione intor-no all’uomo e al suo diritto al riscatto socia-le e al lavoro, ambedue temi fondanti nel-la vita di tutti, a prescindere da qualun-que appartenenza, dalla classe sociale oda qualsivoglia altro aspetto distintivo. Ma forse mai come nei nostri giorni la Chiesacon le scelte del Suo pontefice BenedettoXVI ha mostrato non solo per mezzo di docu-menti ufficiali, ma con parole ed interven-ti persino quotidiani di sentire il bisogno diintervenire a difesa dei più deboli e di tut-ti coloro che, per motivi più disparati, sonoconsiderati diversi e perciò emarginati e spes-so perseguitati. E’ chiaro in questo senso che l’accoglien-za riservata da parte del Papa in questi gior-ni ad oltre duemila Rom ricevuti in Vaticano,sia da considerarsi evento di particolare rilie-vo non solo in sé e per sé, ma come sim-bolo chiaro della volontà della Chiesa e delPapa di ricordare a tutti che il concetto difraternità non può conoscere limiti e dis-

criminazioni di alcun genere, se si vuoleessere considerati seguaci di Cristo. Per la verità il messaggio è già chiaro neiVangeli, ma la scelta per certi versi corag-giosa del Papa compiuta nei confronti pro-prio di coloro che più di altri sono isolatied abbandonati a se stessi, ribadisce il biso-gno di ricordare che non è concesso a nes-sun cristiano parlare di fraternità, se poi conelementare semplicità, si escludono quel-li che “non ci piacciono”, che per definizionevengono ritenuti pericolosi e perciò da evi-tare e da rifiutare. La scelta del Papa ha voluto ribadire, dun-que, un concetto che spesso, immersi comesiamo nelle nebbie della cronaca, viene dimen-ticato, per il quale ciascuno di noi deve esse-re considerato responsabile di ciò che fa,non perché appartenente a realtà e grup-pi sociali predeterminati, ma per quel cheè e che sceglie di fare. E’ questa una regola fondamentale del vive-re sociale, che, purtroppo, nella storia è sta-ta troppo spesso dimenticata, provocandomali di ogni genere, che il nostro tempo nonsolo non ha superato, ma al contrario haaggravato, continuando a perseguiremodelli di comportamento che nessun cri-

stiano dovrebbe consi-derare possibili ed accet-tabili. Molto semplicementeritengo che le immensefolle che applaudono il pon-tefice nelle più diverseoccasioni, dovrebberoora davvero stringersi aLui, per dimostrare chei Cristiani sono tali, per-ché hanno accolto ilmessaggio di Cristo, che

non a caso predicò e pose alcentro del suo insegnamen-to l’uguaglianza e la fratellanza.Uguaglianza e fratellanza, chedevono derivare prima che daconcetti politici e programmisociali, dalla volontà di guar-dare all’uomo come persona,che in quanto tale deveessere rispettata ed accolta. E benché questo sembri,almeno a parole, un discor-so persino troppo scontato,nei fatti la situazione è bendiversa e non solo per quan-to riguarda i Rom.E’ indubbio, infatti, che, se suiRom, vengono rovesciateresponsabilità di ogni tipo, nonsi possono dimenticare gli atteg-giamenti xenofobi diventati da

troppi anni un leit-motiv del parlare politi-co, che tende inesorabilmente a confondere,per il suo stesso modo di esprimersi, in uninsieme indistinto, ma assai pericoloso, tut-to e tutti, non permettendo la necessariaserenità di rapporto interpersonale e di giu-dizio, che sono gli unici mezzi per dar vitaa comportamenti equilibrati non fondati sulpregiudizio. Eppure nel magma del vivere sociale cer-tamente appesantito da una crisi economicache non tende a risolversi, molti italiani espesso tra i più umili e modesti dal puntodi vista sociale, si sono distinti per gli aiu-ti che quotidianamente sanno offrire ai migran-ti che arrivano sulle nostre coste, per ten-tare di sottrarsi ai mali della guerra e del-la fame, sentendoli, appunto, fratelli, cui dareun po’ di aiuto, spesso più facile di qua-lunque discrimine e di qualunque rifiuto. Del resto lo stesso Gesù, come testimo-nia il Vangelo di Matteo, disse:“Avevo sete e mi deste da bere, avevo famee mi deste da mangiare, ero straniero e miaccoglieste, ero nudo e mi avete coperto”.Quali parole più chiare e semplici per uncristiano, che voglia intendere il messag-gio di Cristo?

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Don Claudio Sammartino

RR everendo Padre, non ce ne voglia sedopo gli zuavi pontifici ed i SanPatricios irlandesi la disturbiamo anche

noi, che dalle serene ragioni dell’oltre storia osser-viamo incuriositi lo svolgersi delle vostrevicende terrene. Siamo un nutrito gruppo di Genovesi(molti marinai, altri mercanti, soldati, nobili, epopolani) che hanno vissuto la loro storia ter-rena nel corso di quei secoli che videro lo scon-tro armato tra l’Islam che aggrediva la nostraEuropa e la Cristianità che si difendeva dall’assedio“moresco”. Non vogliamo qui ricordarvi che perben cinque secoli dal litorale nordafricano la pira-teria saracena flagellò il Mare Nostrum e le suecoste con uno stillicidio di incursioni ai dannidelle regioni costiere spagnole, francesi e soprat-tutto italiane.Rassegnatevi cari italici posteri, perché il nostro“Bel Paese” è stato soprattutto in passato metadi sbarchi che allora non erano operati da “dispe-rati” alla ricerca di una vita più dignitosa, mada veri e spietati predoni che uccidevano e sac-cheggiavano portandosi via tutto ciò che pote-vano razziare.Purtroppo rubavano soprattuttouomini da destinare alla schiavitù sulle loro navicome “rematori coatti” e donne da consegna-re agli harem dei principi delle città magrebi-ne o addirittura da inviare al Sultano diIstanbul. Quanto ai bambini, dall’avventodell’Impero Ottomano, questi veni-vano convertiti all’Islam per farne letruppe scelte della Sublime Porta (itemutissimi Giannizzeri).E’ noto poi che all’istinto predato-rio i pirati saraceni e barbareschi(così si chiamavano ai nostri tem-pi) unissero l’odio religioso che li por-tava ad incendiare chiese, a bru-ciare immagini sacre e, curioso mavero, a frantumare le campane, for-se perché queste, pensiamo noi,erano considerate le rivali dei loromuezzin che invitavano alla preghiera

con le loro voci can-tilenanti. Non se ne

abbia a male,caro reveren-do, ma a noi diqueste zoneappare pateti-

co lo spettaco-lo di voi europei

del XXI secoloche, ignorando le

vicende del nostropassato, vi sperticate in ammirazione, lodi edapprezzamenti per chi ha tentato per secoli disottometterci al loro stile di vita e ne invocateaddirittura l’ingresso, come nazione, nellaComunità Europea. Ma non volendo annoiar-la ulteriormente con le nostre considerazioni,le vorremmo anche noi, sudditi della Superba,rivelare un particolare aneddoto degno della nobi-le ed onesta Settimana enigmistica.La vogliamo pregare, caro curato, di far sape-re ai suoi contemporanei, soprattutto ai fini tra-dizionalisti, che se gli Inglesi da secoli sono rap-presentati da una bianca bandiera attraversa-ta da una rossa croce, devono ringraziare noiGenovesi e la nostra interessata generosità.Eh sì, caro padre, perché la nostra gloriosa repub-blica marinara adottò, come propria bandiera,un drappo bianco, sul quale era dipinta la ros-sa croce detta di San Giorgio (protettore del-la nostra Superba) fin dal lontano 1096.Poiché da già da quei tempi, e fino al XVIII seco-lo le navi cristiane erano continuamente attac-cate dai vascelli saraceni e visto che nonostantegli odi religiosi i nostri mercanti italiani stringevanopatti di tolleranza e di affari con i più venali emi-ri musulmani, si giunse da parte dei nostri gover-nanti ad un trattato di non belligeranza con unpotente bey magrebino, che si impegnò a farrispettare ai corsari barbareschi le navi geno-vesi battenti la bianca bandiera crocesegnata.Naturalmente questo gesto di distensione fu fat-

to in cambio di moneta sonante genovese e con-venienti accordi commerciali. E fu così che, grazie ad un trattato economi-co, le nostre navi poterono attraversare ilMediterraneo senza subire rovinosi attacchida parte della pirateria della “mezza luna”, cherispettò la croce di S. Giorgio e continuò ad infie-rire sulla restante marineria della cristianità.Ed ecco che nell’Anno di Grazia 1190 sia Londrache altre città costiere inglesi, stanche di sub-ire lo stillicidio di loro navi depredate dai Saraceni,stipularono un accordo con i governanti dellanostra Superba ed ottennero, a suon di mone-ta sonante versata al Banco di S. Giorgio, dipoter “battere” sulle loro navi la bianca bandierarossocrociata, che da allora divenne il simbo-lo della stessa albionica terra. Sapete tutti poiche l’Inghilterra, dopo aver sottomesso sia laScozia che l’Irlanda, sovrappose alla croce diS. Giorgio quella di S. Andrea (simbolo dellaScozia) e quella di S. Patrizio (simbolo degliIrlandesi) dando luogo alla Union Jack, la famo-so (o famigerata) bandiera del Regno Unito,che sventolò in tutte le terre conquistate daisudditi di Sua Maestà Britannica e che è dive-nuta un “sacro segno” della identità e della sto-ria della Gran Bretagna.Ma quando gli Inglesi (quelli di Londra con tan-to di bombetta ed ombrello) vogliono celebra-re la loro peculiare identità a differenza dei Gallesi,Scozzesi ed Irlandesi, sventolano sempre la lorobianca bandiera di S. Giorgio, che guarda casoè anch’egli da sempre loro patrono.Lei sicuramente si chiederà, paziente curato,perchél’abbiamo intrattenuta con un fatto di così scar-so valore storico ed ideale; le rispondiamo subi-to che volevamo far conoscere quale origine“Terronica” avesse uno dei più amati segni diappartenenza e rappresentanza di un fiero edorgoglioso popolo qual è (o forse era) quelloche guarda a Londra come ‘caput mundi’ e allapropria cultura come ‘l’unica’ al mondo.Volevamo anche suggerire a tutti i fondamen-talisti di ogni epoca di guardare alla Storia con

più apertura mentale e meno miopia ideo-logica. Volevamo anche suggerire a tut-

ti voi di saper apprezzare quelle com-ponenti del cammino umano che tra-sudano “meticciato” , compromes-si e perfino accordi con il nemico.La salutiamo, spaesato reverendo,con una domanda che qui spes-so si pongono i nostri amiciInglesi: “Se non ci fossero stati ipirati musulmani, quale sarebbestata la bandiera nazionale dellealbioniche contrade?”

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Sara Bianchini*

MMarx diceva che il lavoro è antropoge-no, cioè che crea l’uomo, fa sì che unuomo sia un uomo. Al di là del condi-

videre o meno le sue conseguenze di questaaffermazione, possiamo però riconoscere cheessa è vera almeno in due sensi: se non si lavo-ra, non si mangia (in linea generale); ma se nonsi lavora è anche difficile avere un inserimen-to ed un riconoscimento a livello sociale, chepossano, più o meno, dare soddisfazione e comun-que sempre dignità al lavoratore. Sono convinta inoltre che se il lavoro fosse orga-nizzato in modo da rendere compatibile il suosvolgimento con il mantenimento e la cura del-le relazioni significative, nella famiglia, nella socie-tà, tante “patologie” relazionali sarebbero evi-tate. L’affermazione sociale e il denaro che illavoro dovrebbe produrre, possono certodiventare un’ossessione; ma la loro mancan-za può esserlo altrettanto. In questi ultimi perio-di, ho dovuto toccare con mano dalle testimo-nianze di persone incontrate, quali siano i ricat-ti che si debbono subire sul lavoro (dalla man-canza di professionalità, all’offesa della digni-tà e della persona del lavoratore, al dispregiodi qualunque diritto per pura umoralità del dato-re di lavoro), ma soprattutto abbiamo tutti sen-tito definire il precariato l’Italia peggiore. Mi domando se qualcuno possa pensare cheessere precari sia una condizione apprezzatada chi vi è coinvolto. Ricordo il motto di alcu-ni detenuti che – in condizioni diverse – ave-va usato per pubblicare un inserto: “Non lavo-rare, stanca”. Non progettare, taglia le ali. Cosafacciamo come Chiesa in merito? Cosa pos-siamo fare come Caritas in merito? Certo, par-lare e riflettere. Il nostro compito è anche quel-lo dell’educazione alla legalità, particolarmen-te coi giovani (ma non sono ovviamente i gio-vani che decidono le politiche del lavoro!!! Dunquedovremo forse cominciare a cambiare target!)e tale compito ci obbliga a non tacere quandol’opinione pubblica (o forse qualche suo mise-

ro e distorto rappresentante o interprete) ritie-ne il precariato o una soluzione alla modernadistribuzione del lavoro o un’infamia di cui lepersone si macchiano volontariamente. Eppure,mi sembra di avere sentito così poco dalla nostraChiesa, dai nostri gruppi, dalle nostre perso-ne, in merito. Si parla dell’aborto: ben venga;si parla della vocazione: benissimo. E chi parla di quanti danni si stanno facendoalla vita delle persone con queste politiche dellavoro?!!? Mai sentito qualcuno di noi che si impe-gnasse, perché i genitori siano a casa entro le16, così da potere seguire un po’ di più i figli.Conosco molte coppie, le quali sono formateda entrambi i coniugi che escono alle 6.30 etornano anche alle 19.30. Forse dovremmo cer-care un maggiore coordinamento con laPastorale sociale e del lavoro. Forse però dovrem-mo cominciare ad interrogarci seriamente suquali e quante siano le battaglie che veramentebisogna combattere, perché concernono pro-blemi che incidono sulla reale dignità delle per-sone. Dobbiamo riflettere sul perché la pasto-rale sanitaria e quella sociale e del lavoro sia-no le cenerentole della pastorale in Italia. Eppure, quante famiglie vengono ridotte alla mise-ria e si riversano nei nostri Centri di Ascolto,perché l’economia e la salute morale e psichicadel loro nucleo è saltata, per il lavoro perso, peruna malattia gravosa!?! Cinque anni fa, don LuigiCiotti, sulla pagine del Messaggero diSant’Antonio (il 15 maggio del 2006, pagina 29),già individuava con chiarezza tutto ciò.Riprendiamo questa sua riflessione, perché siadi stimolo anche a noi. «Ora la chiamano«Generazione mille euro», grazie allo spuntodell’omonimo titolo di un libro scritto da due gio-vani precari milanesi, che in poco tempo è diven-tato un caso editoriale. Uno dei molti, perchéil problema dei lavori cosiddetti atipici, diven-tato socialmente esplosivo e statisticamente cre-scente, sta ovviamente diventando un tema diinteresse dell’editoria e dell’informazione. E anchedel cinema, con quel film dal titolo forse un po’irriverente ma espressivo: “Il vangelo secondo

precario”, che intreccia quattro «storie di ordi-naria flessibilità»: Dora, stagista, Franco,agente finanziario, Mario avvocato e Marta che,per colmo di paradosso, lavora – a termine, ovvia-mente – per una società demoscopica che svol-ge un’inchiesta sul precariato giovanile.Il dato interessante, sia del film che dei moltilibri, è che raccontano le storie delle personeche vivono la condizione della flessibilità sul lavo-ro. Certo, ci sono i dati, i ragionamenti, le pro-poste, ma prima e assieme c’è il racconto dicome, concretamente e non per ideologia, il lavo-ro precario determini fatiche e incertezze inso-stenibili per tantissimi giovani. Come fosserovite a perdere e in scadenza, per richiamare iltitolo di un altro volume, che reca la prefazio-ne del presidente della Regione Puglia, NichiVendola: “Tu quando scadi?”, recita la coper-tina, che anche con l’immagine (una testa vistada dietro, con una rasatura che risalta un codi-ce a barra) richiama il dato doloroso che stadietro a molte storie di questi lavori: la perso-na è ridotta a merce, senza possibilità di spe-rare e costruire una vita futura migliore, sen-za diritti. Come ben descrive uno dei raccontidi questo libro: «Se non stai attaccato coi den-ti ai tuoi diritti, non ne hai. Ma se lo fai, ti tor-turano. Ti sbattono in cassa all’infinito, comehanno fatto con me e Cesari e come fanno soprat-tutto con le donne, oppure ti rifiutano i permessiche hai chiesto, oppure ti portano nel retrobottegain tre o quattro e ti fanno un bel discorsetto…finché non ne puoi più e ti licenzi. E loro pren-dono uno più disperato di te, che rusca e stazitto, perché ci ha i figli da mandare a scuolae il mutuo da pagare».Una frase dura ed eloquente, che mostra il vol-to opaco dell’imperante sistema delle catenedi distribuzione e commercio e che porta a riflet-tere e a domandarsi se il rispetto della legali-tà, che spesso giustamente invochiamo a fron-te di un generalizzato venire meno delle rego-le a vantaggio dei più forti, non dovrebbe comin-ciare proprio da qui: da quel lavoro che la Costituzioneitaliana, sin dal primo articolo, mette a fonda-mento del complesso di diritti e doveri che rea-lizza e sostanzia la cittadinanza di ciascuno.E viene da domandarsi se queste forme di lavo-ro non siano troppo facilmente diventate ordi-narie e diffuse anche nel mondo del terzo set-tore, e magari pure negli enti ecclesiastici.A leggere questi racconti sembra di essere tor-nati indietro di secoli, quando non esisteva ildiritto alle ferie, alla pensione, alla malattia, allamaternità. Ma forse ora è addirittura peggio, per-ché è venuta meno anche quella rete di soste-gno costituita dalle famiglie allargate, dalle pic-cole comunità di paese, dalla solidarietà di con-dominio o di vicolo. Ora, sempre più spesso,la persona è sola di fronte ai suoi problemi ebisogni. Sola e impossibilitata a progettare lapropria vita, la costituzione di una famiglia, insom-ma, il futuro. Anche il tempo del non lavoro diven-ta vuoto, sottratto, corroso dalla paura, comeracconta nel libro un altro lavoratore “a scadenza”:«Non so come, ma quando sei precario per-

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Gaetano Sabetta

LLo scorso 27 maggio, l’ufficio missionario diocesano ha termina-to la sua proposta formativa per l’attuale anno liturgico con l’in-contro dal titolo: «L’accesso diseguale alle risorse. Economia del-

la felicità». L’incontro, che ha visto la partecipazione in qualità di relato-re del dott. Vincenzo Mercinelli, esperto di economia della felicità, si è tenu-to presso la comunità missionaria della parrocchia di Gavignano anima-ta da don Daniele Valenzi. Con grande perplessità iniziale dei partecipanti:“Ma cosa c’entra la missione col modello economico, i profitti e la felici-tà?”, l’incontro ha voluto evidenziare un aspetto carente, ma decisamen-te cruciale della sensibilità missionaria che qualsiasi cristiano maturo dovreb-be possedere. Oscar Romero, sulla scia della riflessione della teologiadella liberazione, fu uno dei primi ad unire carità e giustizia, GiovanniPaolo II continuò parlando di nesso inscindibile tra queste due realtà edi peccato strutturale, (molti di noi ricordano le veemen-ti denunce che il papa, indebolito dal Parkinson, fece del-l’attuale pensiero neoliberista, durante l’ultima parte delsuo pontificato: colui che concorse a sconfiggere il comu-nismo e ebbe parte attiva nel combattere il nazismo nul-la potè contro il più subdolo degli “ismi”), ma prima di loroe certamente più di loro, la visione regnocentrica che l’e-vento Gesù-Cristo ci consegna quotidianamente è unastrada nella quale non c’è spazio per una salvezza spi-ritualizzata, per una questione antropologia dimezzata,perchè troppo spesso concentrata solo sul prima e suldopo e dimentica del durante. Infine, l’ultima enciclica, Caritas in veritate, di BenedettoXVI ha, da un lato, messo in crisi l’ethos dell’efficienza atutti i costi propria dell’attuale ideologia neoliberale (in effet-ti di una vera e propria ideologia si tratta anche se vie-ne spacciata per scienza!) e dall’altro ha cercato di supe-rare la dicotomia tra la sfera economia e quella sociale,tra la massimizzazione del profitto e la redistribuzione del-la ricchezza. Sulla scia del prof. Zamagni, che ha con-tribuito alla stesura di parte dell’enciclica, il dott. Mercinelliha sottolineato come la crisi economico- finanziaria appe-na passata fosse figlia di due errori ideologici: primo, ilprincipio per cui se non produci non vali e se vieni paga-to di meno e perché vali di meno (ma allora come giu-stificare le paghe stratosferiche dei manager ‘efficienti’ che hanno fattofallire diverse imprese?); secondo, la trasformazione dell’impresa in sem-plice merce che non ha più valore sociale, responsabilità etica perché pro-duttrice di qualcosa di utile alla collettività e portatrice di valori per tutticoloro che a diverso titolo sono ad essa interrelati, rimanendo la più ambi-ta preda degli scambi speculativi sui nuovi palcoscenici del potere, i mer-cati finanziari. Ma come smascherare il mito della crescita a tutti i costi esenza sosta e riorientarci verso il vero fine dell’economia, ovvero la feli-cità e la convivialità? (economia deriva dalle parole greche oikos e nomos,che messe insieme significano: buon governo della casa). Prima di tutto denunciando i falsi miti: la felicità non cresce in proporzio-ne al reddito, e questo non lo dice l’opinabile tesi filosofia di turno, ma leinappuntabili indagini statistico-scientifiche, in quello che è conosciuto comeil “paradosso della felicità”. Secondo, è necessario intraprendere un ottu-plice sentiero segnato dal passaggio dalla rivoluzione dell’efficienza, pro-durre lo stesso oggetto e offrire lo stesso servizio riducendo drasticamente

il consumo di risorse e le relative emissioni con l’uso delle nuove tecno-logie a basso impatto ambientale, alla rivoluzione della sufficienza, chie-dersi quali bisogni sono veramente importanti e qual è il modo più intel-ligente di soddisfarli, agendo dunque sugli stili di vita, ovvero sul mododi rapportarsi di ciascuno di noi con i propri simili e con l’ambiente natu-rale, ridurre la propria impronta ecologica (quella degli occidentali è ben17 volte superiore a quella africana), incrementare gli acquisti del com-mercio equo e solidale, indirizzarsi verso un consumo critico ed etico, poi-ché ogni volta che compriamo votiamo, effettuare scelte di ecologia quo-tidiana, ovvero prodotti non inquinanti, perchè consumano poca energiao hanno consumato poca energia per essere prodotti, indirizzarsi verso

un risparmio ed una finanza etica, perché l’investitore garantisce la tra-sparenza e la tracciabilità degli investimenti che effettua con i nostri rispar-mi, muoversi verso un turismo responsabile che non sia mera evasionema nel quale il fruitore abbia consapevolezza di sé, delle proprie azioni,del paese che lo ospita e della gente che incontra sulla sua strada. Infine,costruire una società basata sul ben-essere, investendo sui beni relazionali(amicizia, famiglia, relazioni interpersonali, volontariato), anziché privile-giare i beni privati, ricostruire un tessuto civile ed umanizzante della nostrasocietà: tornare alla scuola dell’etica delle virtù.In fin dei conti, come ci ricorda il dott. Mercinelli alla fine del suo inter-vento, degli ideali della rivoluzione francese abbiamo senza dubbio esplo-rato la libertà e l’eguaglianza, ma l’illustre sconosciuta rimane ancora lafratellanza. Riusciremo nella titanica impresa? Teilhard de Chardin parladell’«attrazione verso un futuro inestinguibile» e il filosofo Edgar Morendella «speranza dell’insperato» come di una corda che rimane tesa sul-lo strapiombo nell’attesa di essere percorsa, dunque coraggio.

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manente ti si sviluppa un fiuto pazzesco per repe-rire lavoro. Sei un animale sempre a caccia, sem-pre all’erta, sempre con le orecchie tese. È lapaura che ti istruisce. Gran maestra la paura.Maestra di vita. Vita da cani. È ovvio». Laureato in lingue, con una figlia piccola da cre-scere e una compagna anch’essa precaria, avreb-be voluto fare l’insegnante. Invece è finito a fareun lavoro che, sino a poco tempo fa, potevaapparire invidiabile: l’assistente di volo.

Nel 1998 inizia a volare con un contratto a tem-po determinato: dopo sette anni è ancora pre-cario. Una stagione di sei mesi all’anno, per poirimanere in attesa, un’attesa che diventaangoscia. E, quando la chiamata arriva, non siriesce neanche a essere contenti. A conclusione di ogni iter di volo, che può dura-re da due a cinque giorni consecutivi, il respon-sabile è tenuto a compilare una schedadescrittiva, dalla quale dipende il futuro dello

steward precario, che non deve mai dire di noe, soprattutto, non può scioperare. Incertezzacostante, paura, angoscia, frustrazione costi-tuiscono così la pesante dimensione psicolo-gica che accompagna la vita ormai di milionidi persone, in una forma del lavoro che, comehanno infine scoperto anche le aziende che orachiedono normative diverse, anziché minori costicomporta una minore qualità».

*caritas diocesana

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P. Tomás Ravaioli, IVE*

“Il paradiso del missionario”... Così, con queste quattro parole, ha definito ilposto di missione uno dei padri che da tanti anniè in missione in Papua Nuova Guinea. E adesso, alcuni mesi dopo il mio arrivo nell’i-sola, mi rendo conto che non ha per niente esa-gerato. L’isola della Papua Nuova Guinea –det-ta anche Papuasia– fa parte dell’Oceania, con-fina ad ovest con l’Indonesia ed è tutta bagna-ta dall’Oceano Pacifico. Il paese è piuttosto mon-tagnoso, e la foresta occupa circa i tre quartidel territorio. La temperatura è sempre la stes-sa, 30 gradi circa o più, tutti i giorni, senza distin-zione di stagioni, e con forti tempeste almenodue o tre volte alla settimana. C’è un’epoca che piove tutti i giorni, e per que-sto gli abitanti del luogo dicono che è arrivatala stagione della pioggia, ma, a dire il vero, pio-ve sempre. La lingua ufficiale è il Tok Pisin, manel paese esistono più di 850 lingue locali o dia-letti. Per fortuna, il Tok Pisin è abbastanza simi-le all’inglese, quindi, se uno sa l’inglese, nonfa molta fatica ad impararlo e in pochi mesi giàpuò lavorare.Il paese, come si vede sempre nelle foto, è mol-to povero. E la povertà, alle volte, è estrema.Le loro case sono fatte di legno ed il tetto è dipaglia, e niente più: non hanno luce, ne acqua,ne bagni, nessuna di quelle cose che per noisarebbero indispensabili. Infatti, dentro le lorocase, non hanno nemmeno le sedie: solo untavolo per appoggiare alcune cose, e niente più.

Ecco tutte le loro cose. Si siedono nel suolo,e lì mangiano, dormonoe fanno tutto.La nostra missione sitrova in un posto chia-mato Vanimo, al nord,appena a 45 chilometridal confine conl’Indonesia. I primi sacerdoti chesono arrivati in questoposto sono stati iPassionisti, appena50 anni fa, nel 1960.Poiché l’inizio dell’e-vangelizzazione è mol-to recente, bisogna fare

tutto e cominciare quasi da capo. I primi sacer-doti del nostro Istituto sono arrivati circa 15 annifa, e da quel momento ci sono stati sempre mis-sionari del Verbo Incarnato lavorando nella zona. Adesso, per esempio, per grazia di Dio siamoin tre. Il nostro apostolato è doppio: al matti-no, tutti e tre andiamo ad insegnare nel Seminariodella Diocesi. Ci sono circa venti seminaristi,quasi tutti che provengono dalla giungla, quin-di non è così facile spiegare loro la filosofia ola teologia. Ma comunque, si vede che hanno un grandedesiderio di diventare sacerdoti per cosìpoter tornare nella giungla e fare una chie-sa, e questo è importantissimo. E poi, dopopranzo, dobbiamo andare in cinque vil-laggi, dispersi nei 45 chilometri della nostrazona. E allora ci dividiamo, e così men-tre uno va a celebrare la Messa in un posto,gli altri due vanno a confessare in un altroposto. Per le persone di qua, tutto è unanovità. E questo, alle volte è una cosabuona, ma alle volte diventa anche rischio-so. È buono perché hanno voglia di impa-rare e rispondono positivamente a tuttele attività che uno vuole fare. Ma è anche rischioso, perché la maggiorparte di loro ancora conserva molte tra-dizioni indigene e pagane, e se uno nonè attento, possono fare una grandissima con-fusione. Per esempio, è purtroppo normale che nei vil-laggi che sono sotto la nostra cura, le perso-ne chiamino allo stregone, che vive nella giun-

gla. Allora lui viene nel villaggio, si trattie-ne con loro due giorni facendo delle magiestrane, e rovina tutto il lavoro che uno hafatto. E la cosa più brutta è che la domeni-ca tutti vanno a Messa come se niente fos-se successo. Un altro esempio: poche settimane fa, ci han-no avvisato che una donna della parrocchiaera morta, e allora abbiamo voluto fare il fune-rale, ma i familiari ci hanno detto:“Non ades-so, padre, meglio farlo tra una settimana,perché le persone ancora devono compra-re il morto”.

Comprare un morto?! Cosa è questo? Quando uno muore, le persone vanno alla casadel defunto, e “comprano” il morto. E allora uno compra la testa, un altro comprauna gamba, un altro la mano e così via. Il cor-po non viene spezzato, e il cadavere viene sepol-to intero, ovviamente, ma comunque i diversi“pezzi” hanno già un proprietario. Quello serve, secondo loro, per attirare i favo-ri del morto, che dall’aldilà si vede ora obbli-gato ad aiutarli. E l’isola, purtroppo, è piena ditradizioni pagane come questa!Voglio fermarmi un attimo a raccontare comesi è svolta la Settimana Santa. Per me, era laprima in questo posto, e già potevo immaginarela differenza che ci sarebbe stata con quellevissute a Velletri, in Cattedrale.Ho celebrato tut-to il triduo in una delle comunità chiamata Wutung,la più lontana della nostra missione. Per grazia di Dio ho confessato tantissimo neigiorni previ, preparando le anime a vivere in gra-zia la settimana più importante dei cristiani. E con uno dei confratelli, siamo andati anchea confessare in mezzo alla giungla, in un luo-go dove il sacerdote va unicamente due volteall’anno: a Pasqua e a Natale. Non esistono parole per descrivere la gioia diquella gente quando hanno visto arrivare i duemissionari, e sono venuti tutti quanti a confessarsi.Ormai sanno che se non lo fanno in quel momen-

to, purtroppo dovranno aspettare fino al pros-simo Natale per farlo.Tutta la Settimana Santa è andata benissimo,con molte confessioni e tantissimi frutti. Tra lecinque comunità, per esempio, abbiamo fattopiù di cento battesimi. Ma una delle cose chemi ha chiamato molto l’attenzione, è accadu-ta durante il Venerdì Santo. Al momento dell’Adorazione della Croce,quando tutti s’avvicinano all’altare per baciarela croce, mi sono reso conto che... non sannobaciare. E allora, fanno diversi gesti, ma nes-suno bacia la croce. Alcuni la toccano con il naso,altri con la fronte, altri con la guancia... ma nes-suno la bacia veramente. E perché? Perché loro sono così, non dimo-strano mai gli affetti e i sentimenti. Non si vedo-no mai mamme che bacino i loro figli, o papà

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Katiuscia Cipri*

MM i piace pensare ad un UfficioMissionario in continuo cammino,dove niente è dato per scontato com-

preso l’arrivo. Un cammino pieno di domandesu cosa voglia dire Missione oggi, su cosa tra-smettere, su chi incontrare. L’unica certezza è che la Missione è una con-tinua scoperta: la grandezza del suo significa-to nella Chiesa, la centralità dell’uomo indi-pendentemente dalla sua proveniente, il rispet-to dell’altro come individuo con una sua cultu-ra, un suo essere, un suo credo. MaMissione vuole anche dire guardareoltre i nostri confini a ciò che ci circondacon rispetto e responsabilità nella con-vinzione che la tutela del bene del pros-simo, dei diritti, di ciò che ci è statodato da Dio, del Creato debba esse-re alla base del nostro servizio.Durante questo cammino, nell’interrogarcisui diritti dell’uomo, sul bene comune,abbiamo cercato e trovato una Chiesaattiva nella promozione dei Nuovi Stilidi Vita. La Rete Interdiocesana NuoviStili di Vita nasce nel 2007 da alcuniorganismi diocesani, che decidono diunire conoscenze ed esperienze perpromuovere un movimento del popo-lo di Dio sui Nuovi Stili di Vita nella Chiesae nella Società. La Rete riconosce nelfar crescere l’amore per il Creato e perle sue creature a partire dal messaggiobiblico, uno dei principali obiettivi. I gruppi che aderiscono sono chiamatia stimolare nuovi stili di vita, ricercando insie-me percorsi e piste pastorali, scambiando espe-rienze ed iniziative, valorizzando le risorse a livel-lo culturale ed organizzativo. Ma cosa si inten-de per Nuovi Stili di Vita? Sicuramente si par-te da un nuovo rapporto con le cose che cri-tica un consumismo sfrenato invitando al con-sumo critico, all’uso sobrio ed etico. Un nuovorapporto con le persone che recuperi la ric-chezza delle relazioni umane, fondamentali perla felicità ed il senso della vita, attraverso rap-porti interpersonali non violenti e di profondo rispet-to della diversità. Un nuovo rapporto con la natura passandodalla violenza ambientale al rispetto del crea-

to, dalla mercifi-cazione della natu-ra alla relazionecon “nostra madreterra”, dall’uso indi-scriminato allaresponsabilità ambientale. Ed infine un nuovorapporto con la mondialità che invita a pas-sare dall’indifferenza sui problemi mondiali allasolidarietà e responsabilità, dalla chiusura e dalfondamentalismo all’apertura e al coinvolgimento,all’assistenzialismo alla giustizia sociale, dalletendenze nazionalistiche all’educazione alla mon-

dialità. In questa nuova visione non deve man-care una analisi critica verso gli attuali sistemidi sviluppo e di consumo con una visione pro-fonda dell’umano e dell’uomo il cui bene occu-pa un posto prioritario. Per raggiungere questiobiettivi gli organismi che ne fanno parte han-no deciso di operare come Rete, cioè unirsi perscopi comuni elaborando azioni di gruppo e con-divisione. Il questa prospettiva la Rete organizzae promuovere convegni e laboratori di appro-fondimento, elabora iniziative quali campagnetematiche e azioni, avendo anche parole comu-ni sulle politiche ambientali. Per formare la Retei fondatori hanno deciso di coinvolgere le dio-cesi e tutte le loro strutture e organismi eccle-

siali, valorizzando i cristiani come soggetti pro-tagonisti della Chiesa. La Rete infatti è espressione della Chiesa e que-sta identità è espressa e tutelata anche in azio-ni sociali e che possono essere interpretare anchein modo politico. Le “battaglie” abbracciate dal-la Rete sono espressione del pensiero della Chiesa

che fortunatamente è pensiero sociale e dell’uomo.Ma la Rete si apre anche a nuove sinergie coni gruppi e le associazioni del territorio con obiet-tivi comuni per nuovi stili di vita, collaborandocon il gruppo Custodia del Creato della CEI perapprofondire la relazione Dio – Persona – Ambientealla luce della Rivelazione. Al momento sono 45le diocesi che ne fanno parte. Il prossimo appun-tamento è a Pescara il 3 settembre. E come com-ponenti della rete, insieme alla Caritas Diocesana,non possiamo che invitare nuovi gruppi ad ade-rire, perché il messaggio di fare Rete sia primadi tutto una identità Diocesana.

*Dir. Uff. Missionario Diocesano

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che giochino con loro. Mai, assolutamente mai.E allora, siccome non hanno mai ricevuto unbacio, non sanno cosa sia e quindi non sannodarlo. Nemmeno a Cristo.E allora cosa fare davanti a questa realtà? Daparte nostra, che siamo nella missione, dob-biamo pregare e lavorare molto. Per quello, la preghiera è per noi il momentopiù importante della giornata, e non viene maitrascurato. Tutti i giorni celebriamo la Santa Messanelle diverse comunità, e poi torniamo a casae facciamo insieme un’ora di adorazione al SantissimoSacramento, come ci hanno insegnato in Seminario.

E anche il Rosario alla Madonna non ci man-ca mai, perché solo Lei è la Regina delle Missioni,e quindi, Colei che può cambiare i cuori dellepersone. E da parte vostra, che siete lontani,potete pregare e offrire dei sacrifici. La Comunione dei Santi, infatti, consiste pro-prio in questo: tra le anime che sono in graziaesiste una comunione o rapporto invisibile mavero, e quindi, le preghiere e i sacrifici di unogiovano all’altro, e così, pregando per noi, pote-te aiutare alla conversione delle anime in Papua.E bisogna pregare anche per le vocazioni, per-ché ci siano più sacerdoti e più religiosi, per-

ché sempre saranno attuali le parole di Gesù:“La messe è molta, ma gli operai sono pochi.Pregate dunque il padrone della messe perchémandi operai per la sua messe” (Lc 10,2). Per finire, voglio ringraziare a Don Angelo Mancini,che mi ha chiesto di scrivere queste righe per“Ecclesia”. Ringrazio anche a Don Roberto, DonAndrea e Don Sandro, con i quali ho avuto lapossibilità di lavorare insieme in Cattedrale, emolto specialmente ringrazio a tutti quelli cheogni giorno pregano per le missioni.

*Missionario nella Papua Nuova Guinea

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Mons. Luigi Vari*

SSarà Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, candidato da diver-se nazione al Nobel della pace e noto in molti ambienti per esse-re il fondatore dell’arsenale della Pace, a iniziare il Convegno

della nostra diocesi, nel prossimo Settembre. Non è la ricerca del per-sonaggio a ispirare questa scelta, piuttosto il desiderio di mostrare comesia possibile, avendo a regola il Vangelo, creare le condizioni per unavita buona, o, più semplicemen-te, dare il proprio contributo per-ché la vita sia buona per più gen-te possibile.Nell’occasione della nomina delcardinale Scola ad Arcivescovodi Milano, un giornalista, tracciandoneil profilo, dava al cardinale Scolail merito di aver intuito la vita buo-na come conseguenza dellascelta di una vita secondo il Vangelo.Nello stesso articolo si notava comela scoperta della vita buona fos-se un nuovo passo dopo quellodella scoperta della vita bella. Lecategorie di bellezza e di bontànon possono essere lette solo comeestetiche o morali. Leggendo quelle parole mi veni-va in mente che nella Bibbia bel-lezza e bontà sono due terminidifficilmente distinguibili, bastipensare che noi diciamo diCristo che è buono, traducendoun termine che significa prima ditutto bello.Il bel pastore o il buon pastoreè tale perché si impegna com-pletamente per le sue pecore, dàla vita per esse, e perché si faporta e ovile perché esse non sia-no abbandonate nel deserto. Unavita bella e buona è dunque unavita in cui ci sia qualcosa d’im-portante, che ci faccia impegnarecompletamente; nella quale ci sia-no persone di cui ci importa tal-mente tanto da farci diventare por-ta, ovile, persone di cui ci impor-ta talmente tanto da mettere lavita stessa a disposizione. La Chiesa deve testimoniarequesta vita, spogliandosi semprepiù e sempre più in fretta di tut-to quello che non rende evidente il suo impegno per la vita buona, ren-dendo cioè evidente che le regole che la governano sono quelle del Vangelo,mostrando la sua volontà di non permettere che nessuno perisca, tra-sformandosi in porta, in ovile, in tutto quello che serve perché nessu-no resti a vagare nel deserto. Ernesto Olivero parla di una Chiesa scal-za. Bisogna essere onesti, sono sempre più quelli che non desideranouna Chiesa scalza, ma la rivogliono forte, anche esteriormente. Bisognaessere onesti e riconoscere che tutto quello che facciamo e che nonricorda il Vangelo, rischia di essere una parodia. Quante volte ci troviamoa parlare nei nostri incontri come se fossimo un consiglio di amministrazione,

oppure sentiamo persone che si lamentano per essere state a contat-to con qualche responsabile della Chiesa e averne ricavato un’impres-sione negativa, come di un funzionario ottuso, geloso delle sue prero-gative, molto lontano dal padre o dal fratello o dalla persona schietta esincera che si aspettava di incontrare. Quando questo accade si cadenell’operetta e non si dà l’impressione di una vita che si costruisce sal-da attorno al progetto evangelico. Non possiamo più sottrarci all’impe-gno di fare delle nostre comunità dei segni di vita buona, non ci dob-

biamo rassegnare all’idea che inesse si respiri meno sincerità, soli-darietà e misericordia di quantoaccada in un gruppo di amici o solodi colleghi.La Chiesa deve educare alla vitabuona, sapendo bene che deverecuperare in credibilità, perché pro-prio la sua capacità educativa èstata messa seriamente in dis-cussione. Quando si parla della credibilitàdella Chiesa,fuori della Chiesa, cisi deve rassegnare al fatto che ilfilone degli scandali permettesempre a qualcuno di portare acasa il risultato. All’interno della Chiesa il proble-ma è più complesso, perchéappare sempre più evidente chedopo anni di permanenza nelle par-rocchie le persone non sempre impa-rano a organizzare la loro vita sufondamenta certe, capaci di orien-tare le loro scelte. Bisogna rico-noscere che di castelli di sabbiase ne costruiscono tanti. Educare alla vita buona, sulla trac-cia del pastore buono, richiede unimpegno diverso e più equilibra-to. Balthasar parlava di “e” cattolico,come caratteristica affascinante del-la Chiesa, che non solo riesce amettere insieme tante diversità, marispecchia la complessità della per-sona. Altri parlano di educazioneintegrale; tutti pensano, però cheeducare a una vita buona sia aiu-tare ogni vita a esprimere ilmeglio di sé e, nel caso cristiano,a raccontare la novità scaturita dalBattesimo. Ripensare all’educa-zione in chiave di vita buona ci aiu-terà a correggere tanti estremismi

che ci hanno portato a favorire l’uno o l’altro aspetto, con il risultato diaver contribuito poco alla crescita di persone equilibrate, pienamentecomprese nella loro umanità, nella loro fede e nella loro vocazione. Ripensarlain chiave cattolica, richiamando l’intuizione di Balthasar ci aiuterà a nonvoler creare persone di sola preghiera o di solo impegno o … altro. Insomma una bella avventura quella di aiutare a una vita bella e buo-na, molto più essere persone che sappiano mostrare una vita buona,non solcata da frustrazioni e amarezze, ma segnata dalla speranza edalla fiducia.

* Vicario Ep. per la Pastorale

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Page 17: luglio ago 2011:Pag prova.qxd 05/07/2011 11.27 Pagina 1 · 2015. 7. 1. · Luglio - Agosto 3 2011 Stanislao Fioramonti “Se, in un certo senso, tutte le solennità litur-giche della

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Costantino Coros

Convegno a Brescia della Fondazione

“Centesimus Annus - Pro Pontifice”

“Bisogna entrare nell’ottica che ogni uomo è prezioso; solo cosìpuò nascere un modo di comunicare e vivere diverso, più rispet-toso dell’altro”. Così si è espresso mons. Giuseppe Scotti, segre-tario aggiunto del Pontificio Consiglio delle comunicazioni socia-li, aprendo i lavori del convegno su “Mondo cattolico e media”,tenutosi lo scorso 28 maggio a Concesio, vicino Brescia. Il seminario di studi è stato organizzato dai soci italiani della Fondazione“Centesimus Annus - Pro Pontifice”.

Custodi di valori. I cattolici di fine ottocento hanno saputo innescare, in un momento dif-ficile come quello della rivoluzione industriale, un meccanismo virtuo-so composto da tre realtà che mettevano insieme l’economia, il socia-le e l’informazione. “Si tratta dell’esperienza delle casse rurali, delle cooperative e dei gior-nali diocesani”, ha ricordato mons. Scotti, ed è da questo “modello soli-dale tra uomini, che in quanto in rapporto con Dio, hanno saputo met-tersi in relazione e in comunicazione con l’altro, che si è generata cul-tura e prodotto sviluppo”. Per il segretario aggiunto del Pontificio Consiglio delle comunicazionisociali, “questo grande insegnamento ci deve portare a cercare il vol-to di Dio nella relazione e nella comunicazione con il nostro prossimo”al fine di “ritornare a delineare il futuro” superando quel modo di vive-re “solo al presente”. Occorre fare, a tutti i livelli, un lavoro instancabile di “formazione allacomprensione e all’uso dei mezzi di comunicazione sociale per rimet-tere insieme le intelligenze, incentivare le relazioni e l’incontro tra per-sone“, ha sottolineato mons. Scotti. E “questo vale, a maggior ragione,in questa epoca caratterizzata dall’uso di internet che per sua naturatende ad incentivare le relazioni indirette“.Oggi uno dei criteri prevalenti che si sta usando è considerare la comu-nicazione solo come un business; invece, ha precisato mons. Scotti, “lacomunicazione è un modo con il quale un uomo incontra un altrouomo e quindi incontra Dio“. Per don Adriano Bianchi, direttore dell’Ufficio delle comunicazioni socia-

li della diocesi di Brescia, “i media sono un ambiente dentro cuisiamo inseriti, che ci penetra e ci cambia”; “essi non sono solo

nuove tecnologie, ma toccano profondamente le relazioniumane”. Per questo, quando si raccontano i fatti “occor-

re avere un grande rispetto della dignità del-

la persona nella ricerca della verità” perché “l’informazione non è maineutra ma fa continuamente delle scelte, queste vanno fatte in base adei principi morali che trovano il loro punto di riferimento nel Vangelo”.

Governare le notizie. “L’informazione data in tempo reale, sempre più legata alla diretta, quin-di più veloce ha condizionato un po’ tutti i processi di produzione dellenotizie, ma ha soprattutto creato il rischio di superficialità nel capire ifatti”. È un passaggio dell’intervento di Vania De Luca, giornalista di Rainews.“Il meccanismo della diretta è molto infido”, ha aggiunto, “perché la tele-camera può condizionare i comportamenti delle persone che si vedo-no riprese” e questo è “il potere della diretta non delle news”. Il problema, secondo la giornalista, “è che ogni giorno arriva un gran-de flusso d’informazioni e per metterle in ordine bisognerebbe ripensarealla gerarchia delle notizie” perché “la rapidità con cui vengono dati ifatti, spesso produce una semplificazione eccessiva dei messaggi, facen-do passare concetti parziali”. L’informazione viaggia anche su altri cana-li, come i social network, e non si può prescindere da queste realtà. Bastapensare al ruolo di Twitter nel veicolare le notizie dall’interno di Paesigovernati da regimi totalitari.“Per loro natura i social network non sono né buoni né cattivi ma dipen-de dall’uso che se ne fa”, ha precisato De Luca, avvertendo che, “men-tre internet da un lato è apertura totale, democraticità totale, dall’altrorappresenta un ambiente dove si possono verificare fenomeni d’inqui-namento delle fonti primarie d’informazione”.

Mantenere la barra a dritta.“Ultimamente ciò di cui l’informazione va alla ricerca riguardo alla Chiesaè ciò che fa stupore, l’approccio è diventato più sommario, più appiat-tito, non c’è interesse per il messaggio nella sua integrità”. Secondo Claudio Baroni, vicedirettore de “Il Giornale di Brescia”, “quel-lo di cui si va alla ricerca è quello che divide, che contrappone” per dipiù questi messaggi “si rivolgono a un pubblico che rispetto alle notizieresta indifferente”, quindi “cresce una realtà di scarsa conoscenza e scar-sa attenzione”. L’esperienza de “Il Giornale di Brescia” è quella di una testata localeche è stata sempre “attenta alla sostanza del messaggio andando allafonte”: “Abbiamo sempre ben presenti i nostri valori di riferimento - haconcluso Baroni -, come guida nel lavoro quotidiano, valori che si rifan-no alla vita, alla famiglia, alla sfida educativa e alla solidarietà sociale”.

* SERVIZI SIR Italia Num. 40 (1923)

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Page 18: luglio ago 2011:Pag prova.qxd 05/07/2011 11.27 Pagina 1 · 2015. 7. 1. · Luglio - Agosto 3 2011 Stanislao Fioramonti “Se, in un certo senso, tutte le solennità litur-giche della

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Don Corrado Fanfoni*

Il prossimo 28-29-30 settembre lanostra Chiesa diocesana sarà riunitaa convegno per riflettere e lavorare sul-

la tematica dell’educazione, seguendo lelinee guida del documento della CEIEducare alla vita buona del Vangelo.Nello scorso Consiglio Pastorale Diocesanoil Vescovo e tutti i consiglieri hanno dato ilproprio contributo per fare il programma del

prossimo Convegno.Il programma prevede nel primo giorno l’in-tervento Ernesto Olivero che, come fondatoredel Sermig (Servizio Missionario Giovani)noto anche come “Arsenale della Pace” ciaiuterà a riflettere sul ruolo della Chiesa inquesto terzo millennio… Fin dalla sua nascita il Sermig si è impe-gnato ad «eliminare la fame e le grandi ingius-tizie nel mondo, costruire la pace, aiutarei giovani a trovare un ideale di vita», sen-sibilizzare l’opinione pubblica verso i prob-

lemi dei poveri del terzo mondo. Già da tempo, nell’organizzazione del Convegno,era stato fatto il nome di Olivero perché qualchemese fa, nell’incontro organizzato dalla CaritasDiocesana e da lui animato si è assistitoad una grande partecipazione di personee alla passione del relatore.Egli, da grande “innamorato di Dio” (comesi è autodefinito), ci ha invitati come Chiesaa «fare bene il bene»; dunque ci aiuterà aprogrammare i prossimi anni pastorali conenergia e speranza, seguendo il suo stile.Nel secondo giorno rifletteremo sulla pro-posta dell’oratorio e in questa tematica, già“sfiorata” nel Convegno Pastorale passato,ci aiuteranno le esperienze di alcuni ora-tori romani.Per il terzo giorno è prevista una novità:l’assemblea si sposterà nel Monastero diVallechiara (nel territorio della parrocchiadel SS. Nome di Maria, località Landi – Genzanodi Roma), “polmone verde“ spirituale del-la nostra Diocesi che ci permetterà di riflet-tere e pregare insieme grazie all’aiuto e all’ospi-talità dei monaci e delle monache.Condivideremo insieme nel Monastero anchela cena.La nostra Chiesa Diocesana da un puntodi vista pastorale cammina bene ma vuoleimpegnarsi a farlo meglio e, soprattutto, afarlo in modo comunitario. Con la certezza che un’occasione del generepotrà aiutarci a progettare e camminare comeChiesa del Terzo Millennio, invitiamo tuttialla partecipazione, cominciando da ora conla preghiera.

*Segretario Consiglio Pastorale Diocesano

Settembre: tempo di

Convegno Pastorale Diocesano

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Page 19: luglio ago 2011:Pag prova.qxd 05/07/2011 11.27 Pagina 1 · 2015. 7. 1. · Luglio - Agosto 3 2011 Stanislao Fioramonti “Se, in un certo senso, tutte le solennità litur-giche della

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Alfredo Serangeli*

IIl presente volume, uscito recentementenella collana Collectanea Archivi Vaticani(n. 82), non è solo un imponente inven-

tario delle carte della Nunziatura negli anni diPio XI (dal 1929 al 1939), e neppure esclusi-vamente uno strumento di lavoro, per quantoutile ed importante, per gli studiosi interessa-ti alle questioni politiche ed ai rapporti diplo-matici intercorsi tra la Chiesa ed il regime fasci-sta. La sua rilevanza nel campo scientifico èdata soprattutto dal fatto che “L’archivio di unaRappresentanza Pontificia è una fonte pri-vilegiata per la storia di un paese, perché nonsi limita ad affrontare un aspetto particolaresecondo le competenze dell’ente, come nelcaso dell’archivio di un ufficio di Curia, madà una prospettiva completa, a tutto tondo;in esso troviamo la corrispondenza diplomaticae i rapporti con la Segreteria di Stato, ma anchequella con le diverse Congregazioni, con lediocesi locali e gli ordini religiosi presenti, conle terre di Missione, con il governo politicoe i “potentati locali”, con il mondo laico del-l’associazionismo o dei partiti”, come affer-ma Luca Carboni nella sua bella introduzione.Il libro risulta di estremo interesse anche perun pubblico più vasto perché tocca argomen-ti ed eventi ancora molto sensibili della nostrastoria: i ripetuti conflitti tra governo fascista el’Azione Cattolica, le leggi razziali, l’orientamentodella politica estera italiana con il progressivoavvicinamento tra l’Italia e la Germania nazi-sta. Si ha così modo di ripercorrere quegli anniattraverso l’asciutta verità dei documenti che

è sempre coinvolgente, come quando Buffarini,sottosegretario agli Interni dice al nunzioBorgongini: “Siamo alla vigilia della guerra con la Franciae con l’Inghilterra, il Regime ha bisogno chele forze della nazione formino un tutto unico,quindi non si può ammettere che giovani cat-tolici dicano che l’alleanza coi Tedeschi è inna-turale, e che sarebbe più naturale quella coiFrancesi” o come quando, a ruoli invertiti, nel-l’aprile del 1938: “L’uomo al quale si prepara-no tanti festeggiamenti è oggi il più grande per-secutore della Chiesa. Posso dirle in un orecchio che il Santo Padrenon più di due o tre giorni prima di domenicaha ricevuto dalla Germania e dall’Austria noti-zie che l’hanno fatto piangere.”Ne seguì che l’ipotesi di una visita di Hitler inVaticano non si pose nemmeno, anche perchéil papa partì per Castel Gandolfo. La figura di Francesco Borgongini Duca, pri-mo nunzio apostolico presso “la Real Corte d’Italia”,si staglia con deciso rilievo nel panorama siadelle trattative destinate a portare alla firma deiPatti lateranensi - assieme al cardinal Gasparrie all’avvocato Francesco Pacelli -, sia nei suc-cessivi e complessi problemi che attraversa-rono le relazioni tra la Chiesa e il regime fasci-sta, dove svolse un ruolo assai delicato ed impor-tante, anche conuna propria auto-nomia rispetto alpontefice. Egli cercò sempre,nei limiti del suo inca-rico, di salvaguardarei “Patti” che aveva-no portato alla con-ciliazione tra laChiesa e l’Italia,anche se, come rile-va il Carboni, “ilruolo di conciliatoread ogni costo, appli-cato a momenti sto-rici straordinari vistii successivi dram-matici sviluppi, for-se avrebbe richiestopiù che la finezza deldiplomatico l’intran-sigenza della pro-fezia”. Giovanni Castaldo,assieme a GiuseppeLo Bianco, è il cura-tore di quest’inven-tario che, brillandoper il suo rigore e lasua accuratezza,fornisce agli studio-si una sorta “di map-pa, attraverso laquale individuare i

temi e i problemi che furono al centro dell’at-tività del nunzio e della nunziatura nel corsodi dieci anni difficili e delicati”, in questo aiu-tati anche da un ricco corredo di indicazioni,attente annotazioni, oltre ad un prezioso indi-ce dei nomi, dei luoghi, delle istituzioni e deiperiodici.Da notare come Giovanni Castaldo abbia avu-to modo di collaborare anche con l’Archivio Storico“Innocenzo III” di Segni, in occasione della reda-zione della voce “cardinal Ludovico Micara” peril Dizionario Biografico degli Italiani. La ricerca storica, per alcuni aspetti condottain simbiosi, ha restituito certezze e giusta rile-vanza ad un uomo della Chiesa che pur aven-do svolto importanti incarichi, tra cui anche quel-lo di vescovo di Velletri, non godeva di altret-tanta rilevanza nella pubblicistica e, più in par-ticolare, nella bibliografia.

*Direttore dell’Archivio Storico“Innocenzo III” di Segni

Per le ordinazioni del volume:[email protected] fax 06.69883150

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Fabricio Cellucci*

CCamminare nel discernimento in Seminarioè un cammino di preghiera, riflessionee maturazione in ogni ambito e dimen-

sione se ci si mette in gioco fino in fondo e nel-

la libertà più totale, che chiede di rischiare l’im-magine che noi possediamo, per abbandonar-ci fiduciosamente su un al di là assoluto: ossiaessere disposti a rompere il proprio io per poter-lo ritrovare più grande.Per fare una scelta così occorre arrivare a sco-prire il nostro essere stai amati da un Altro, chenon è un’entità astratta, ma che si chiama Gesùdi Nazareth, il Figlio di Dio, che attraverso suevie ci fa giungere il suo calore e il suo affetto.Scoprire l’essere stati amati per primi, e con unprogetto tutto personale fa nascere nel cuoreun profondo senso di speranza e fiducia chefa cambiare, ossia modifica il criterio di approc-cio alla vita, all’altro alla relazione in genere, alledecisioni, piccolo e grandi. L’Amore sperante diventa il criterio se ci met-tiamo alla scuola del Signore. Amore e spe-

ranza perché Fummo infatti salvati nella spe-ranza, ci ricorda san Paolo nella lettera ai roma-ni. Ma come possiamo imparare a sperare? Bisogna uscire dalla propria terra, dalle propriepiccole sicurezze terrene per decentrarci, percompiere un gesto di libertà grande quello divivere volontariamente dipendente no dietro ad

uno qualsiasi ma dietro a Gesù, radicato e fon-dato in lui, che è al di là e al di sopra di me eche ci ama da sempre e per sempre non perquello che potremmo essere ma per quello chesiamo in modo integrale senza escludere nul-la per nessun motivo e perché sa che se ci fidia-mo di Lui potremo fare cose grandi.Quindi abbandono fiducioso, come bambini neo-nati che anelano al latte spirituale e genuino,affinché per mezzo di esso cresciate in vista del-la salvezza (1Pt 2,2). Questo perché comprendiamo nel cuore e nel-la mente che - io sono creatura, ma vivo fon-dato sul Dio vivente, a cui tutto è possibile equindi anche io radicato e fondato in Lui ancheio posso tutto in colui nel quale ho posto e radi-cato il mio fondament-o (cfr. Gv 21, 2-14).Si impara scegliendo giorno dopo giorno di usci-

re fuori dal nostro IO perandare fuori, nella consapevolezzadell’amore ricevuto che diven-ta forza grande che chiama allatestimonianza gioiosa delRisorto, entrando nello sche-ma della fiducia, dell’abbandono,che porta a fidarsi anche con-tro l’evidenza. Scegliere diincamminarsi in questo sentiero

permette di poter intraprender la salita verso lascoperta della propria vocazione nel grande dise-gno di Dio. Questo per vivere un passaggio importantissi-mo dalla preoccupazione di garantirsi e cautelarsi,o dalla pretesa di fare solo scelte assolutamentesicure e solo quelle che porteranno infallibilmente

all’obbiettivo scelto per se esolo per se, al coraggio di but-tarsi e di avventurarsi inimprese che a prima vista sem-brerebbero molto più grandidelle nostre capacità e che iden-tificheremmo come impossi-bili, in cui più che la certez-za della riuscita mediante leproprie psico-fisiche c’è l a cer-tezza del punto di arrivo, diQualcuno che mi attende emi attira, donandomi gratui-tamente la possibilità di cam-minare verso di Lui, e di poter-mi gettare nel vuoto solo nel-la speranza di poter finire nel-le sue grandi mani.Pensando a questo penso alleparole di Kierkegaard che par-la del credere dicendo che cre-dere significa stare sull’orlodell’abisso oscuro, e udire unavoce che grida – Gettati ti pren-do io tra le mie braccia-. Uscirefuori, buttarsi nella vita con scel-te coraggiose libere richiedeun po’ sano rischio, in cui lasperanza si presente come unsegno chiaro dell’amore divi-no, perché identifica la fidu-

cia che ci è stata donata gratuitamente dal Signoreche genera nel cuore di ognuno di coloro chela sperimentano, la forza di sperare contro ognisperanza, oltre i nostri calcoli o quelli delle nostrafamiglie che ci vorrebbero come buoni avvocatie padri di famiglia anziché magari come buo-ni sacerdoti. La stessa buona novella del Evangelo di GesùCristo nostro Signore, ci chiede di rifletteresu questo tema del vivere radicati e fondatiin Lui nostra unica speranza perché piena dimiseria c’è nella vita che si abbandona al cal-colo dell’interesse e non della speranza cheguarda oltre i confini del proprio naso; o chesi preoccupa di difendersi invece di sceglie-re di uscire fuori come Abramo e potersi espan-dere insieme con il Signore nella realizzazionedel suo progetto di Amore e Gioia; che si accon-tenta solo di ripetersi invece di scoprire le enor-mi risorse che si possiedono e di come que-ste siano segno dell’amore di Dio che ci mostrail suo amore per sue vie che molte volte noncoincidono con le nostre.

*Seminarista diocesano

Nella foto: L’incontro vocazionale al Leoniano con mons. Mauro Parmeggiani, Vescovo di Tivoli

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Teodoro Beccia*

SSabato 2 luglio scorso,nella Basilica Cattedraledi San Clemente PM

I in Velletri, don Antonio Galatiè stato ordinato sacerdotedella nostra diocesi da Sua Ecc.zaRev.ma Mons. VincenzoApicella. Don Antonio è originario dellaparrocchia di Santa Barbara inColleferro dove è nato, ha pre-stato servizio pastorale da seminarista primapresso la Collegiata di Valmontone e succes-

sivamente, anche come diacono, nella parrocchiadi Santa Maria in Trivio a Velletri. Ha compiuto il cammino formativo e gli studifilosofico-teologici presso il Pontificio CollegioLeoniano di Anagni. Presenti alla solenne cerimonia, in una catte-drale gremita da tantissimi fedeli sia di Velletriche degli altri paesi della diocesi, in particola-re delle comunità che lo hanno conosciuto duran-te il suo ministero pastorale, la famiglia e gliamici, i seminaristi della sua classe con i qua-li ha condiviso il percorso formativo e il retto-re del Seminario, Don Gianni Checchinato, oltrea numerosi altri seminaristi e ai sacerdoti dio-

cesani e religiosi della nostra chiesa locale. La città di Colleferro è stata rappresentata dal

sindaco Mario Cacciotti.L’animazione musicale èstata curata dal CoroGiovanile di Segni, diret-to da Mons. FrancoFagiolo. Dopo la solenne cerimoniadi ordinazione, la festaper il novello sacerdoteè proseguita nel chiostrodella cattedrale dovedon Antonio ha salutatopersonalmente i pre-senti. Domenica 3 luglio donAntonio ha presieduto perla prima volta la Santa

Messa nella Parrocchia di Santa Barbara in Colleferro. L’ordinazione di un nuovo sacerdote è sicura-mente un momento particolare di grazia per lanostra chiesa locale che, mentre ringrazia ilSignore per questo grande dono, al contemponon cessa di elevare preghiere sia per i semi-naristi che ancora stanno compiendo la formazionein seminario sia perché il Signore non facciamai mancare operai alla sua messe.

*Seminarista diocesano

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Fr. Riccardo Nuti*

SS iamo ormai abituatia guardare alla cate-chesi come il momen-

to che riguarda la prepara-zione ai sacramenti dell’ini-ziazione cristiana. Infatti ilsostantivo catechismo siassocia a frasi del tipo:“vado a catechismo”, “quan-ti anni di catechismo hai fat-to per fare la cresima” e viadicendo. È evidente come l’e-spressione si sia legata a unpassaggio obbligatorio per iragazzi che fanno un cam-mino di crescita di fede nel-la chiesa per partecipare anchesacramentalmente alla suavita. Con questo approccioverrebbe già da pensare seguardare al catechismocome una sorta di giro a tap-pe in cui, superato l’ultimo tra-guardo (la cresima), si è con-cluso tutto il tragitto di fede, non sia una spe-cie di visione limitata del cammino di fede. Manon è questo che vogliamo approfondire,quanto piuttosto comprendere che sarebbe unbene recuperare il significato di catechismo nel-la sua accezione primaria: nella forma arcaicaprofana ‘risuonare dall’alto al basso’, da cui leaccezioni neotestamentarie ‘istruire’ o ‘dare uninsegnamento sul contenuto di fede’. Guardate, quindi, che immagine forte ci offre ilsignificato di catechismo: istruire facendo risuo-nare le verità della fede che già abitano in cia-scun figlio di Dio. Si può comprendere che cosìposto il catechismo non ha un inizio, né tem-porale né di modo, ben specificato, ma soprat-tutto non ha una fine perché sempre si posso-no approfondire, scoprire, vivere, gustare e desta-re le verità che ci abitano come dono di Dio. La catechesi è allora tutto ciò che favorisce lanascita, il passaggio e lo sviluppo della fede enon si limita alle ore settimanali, appunto, di “cate-chismo”, ma vive del contributo dei genitori ver-so i figli, vive della pastoralità del vescovo, vivedell’importante contributo dei parroci, dei sacer-

doti che animano le comunità locali, vive dellafondamentale partecipazione liturgica, vive di ognigesto compiuto dalla comunità cristiana che diven-ta esempio e riferimento. E possiamo comprenderecome questa vita catechistica debba necessa-riamente essere organizzata per offrire un per-corso organico a ogni fedele.Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha dato impor-tanti indicazione sulla formazione catechisticae anche dei catechisti soprattutto attraverso i decre-ti conciliari Christus Dominus (ufficio pastoraledei Vescovi) e Ad Gentes (attività missionariadella Chiesa). Queste indicazioni sono state poiraccolte e sviluppate nel “Documento di base”(DB) Il rinnovamento della catechesi promulgatonel 1970 dalla CEI e che ha visto essere riba-dita la sua validità sia nel1988 in un convegnoorganizzato sempre dai Vescovi italiani svolto-si a Roma e al termine del quale si è procedu-to alla riconsegna del DB, sia nel 2010 per il 40°anniversario del DB, occasione raccolta dalla‘Commissione Episcopale per la Dottrina dellafede, l’annuncio e la catechesi’ per proporre un’ul-teriore riflessione sull’annuncio di oggi attraverso

la lettera dal titolo Annuncio e catechesi per lavita cristiana. Quest’ultima lettera dei vescovipuò essere uno strumento molto prezioso percomprendere lo stato della catechesi oggi e ini-ziare a rispondere in modo significativo alla cri-si, fortemente sentita da tutti, del mondo religiosocosì come lo avevamo vissuto.Anzitutto in questa lettera la Commissione haripreso le parole di Paolo VI per affermare cheil DB ha segnato “un momento storico decisi-vo per la fede cattolica del popolo italiano” (AssembleaGenerale della CEI 4-11-1970), ha compreso lanuova sensibilità missionaria, facendo emergerela novità di tematiche, linguaggio e metodo, spin-gendo alla collaborazione per la diffusione del-l’insegnamento del Concilio Vaticano II e spro-nando i catechisti a conoscere il magistero con-ciliare. È interessante notare che, in questo pano-rama ecclesiale, la Commissione sottolinei un’ur-genza espressa già nella lettera dei Vescovi perla riconsegna del DB (3-4-1988): “orientare lacatechesi in senso marcatamente missionario,integrandola in una pastorale organica e dan-do la priorità alla catechesi degli adulti”. In que-sta direzione si riconosce l’importanza del sor-gere di nuovi catechisti e della loro formazio-ne tenendo ben equilibrati due aspetti: l’espe-rienza personale e le verità di fede.La Commissione continua la sua analisi cercandoanzitutto di identificare il contesto odierno in cuisi devono innestare i principi del DB. Il conte-sto attuale è ben diverso dagli anni ’70 e si sonoormai imposti quattro diversi approcci alla vitache dobbiamo valutare e tener presenti: il razio-

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nalismo, lo scientismo, il relativismo e il mate-rialismo consumistico. Quattro approcci che dob-biamo valutare come “problematici” perché daquesti approcci nascono le conseguenze chepossiamo facilmente constatare di una semprepiù larga indifferenza religiosa e una irrilevan-za di fede che portano a relegare la religionenella sfera del privato. Questo effetto ancora nonpresente ai tempi del DB e oggi accettato in mododiffuso e quasi senza riserve in nome di una fal-sa pluralità, indebolisce comunque la dimensionespirituale e ha diffuso un’immagine infantile diDio e della religione cristiana accompagnate dauno spiccato soggettivismo, segno di questi tem-pi. Tenuto conto di questo contesto, laCommissione della CEI ha voluto esporre, sem-pre nella sua lettera, quali siano le nuove esi-genze pastorali.Negli ultimi dieci anni si è venuta a determina-re una svolta decisiva dettata dalla presenza dinuove generazioni quasi completamente man-canti di una visione di fede nella vita, allora pri-ma di parlare di ‘educazione alla fede’, è neces-sario ‘suscitare la fede’ e quindi è necessariauna svolta missionaria che parli come un ‘pri-mo annuncio’. In questo senso si potrebbe parlare di un cate-chismo che sia un vero e proprio catecumena-to (anche per chi è già battezzato). Detto que-sto e tenendo presente l’azione ‘senza termi-ne’ della catechesi, tutta la comunità cristianasi deve sentire coinvolta nella catechesi, andan-do a precisare il rapporto tra catechesi e altreazioni pastorali, perché, come fu ribadito nel Congressodi Verona del 2006, tutto l’agire pastorale deveessere costruito attorno alla persona. Così, èvero che “la catechesi non è tutto, ma tutto nel-la Chiesa ha bisogno di catechesi: la liturgia,i sacramenti, la testimonianza, il servizio, la cari-tà” (n°6, Lettera di riconsegna 1988).È, quindi, importante far crescere il senso di respon-sabilità nella comunità e la Commissione sot-tolinea la fondamentale necessità di educare allacoscienza missionaria, senza la quale sarà vera-mente difficile dare una risposta ecclesiale signi-ficativa alla domanda di senso che da sempreaccompagna l’uomo, soprattutto in un mondoveloce come questo in cui non sembra esser-ci la possibilità di fermarsi a pensare. Semprenella lettera del 2010 la Commissione mette deipunti di riferimento di cui è bene tenere conto.

1)Anzitutto la necessità di attualizza-re il messaggio biblico, imparando a leggere ilsegno dei tempi, individuando la storia come un‘luogo teologico’ e considerando il fatto che lacatechesi non è solo trasmissiva ma deve esse-re capace di generare alla fede.

2)Da qui si prende spunto per affer-mare la necessità di una prima evangelizzazioneche nasca dalla capacità di formulare nuovi per-corsi, infatti la vitalità ecclesiale si manifesta nel-la sua capacità di esprimersi e di essere viva(come capacità di generare alla fede) anche inquesto mondo liquido e distratto.

3)Poi la Commissione ritorna sulla neces-sità primaria della catechesi per adulti e giova-ni. Loro sono la vera risorsa della chiesa per

la forza che possono esprimere nella testimo-nianza della propria fede e per la capacità di entra-re nelle pieghe del mondo traducendo ai più lon-tani e a coloro che attendono la parola di Diol’annuncio di salvezza con parole e gesti a lorofacilmente comprensibili.

4)Un altro punto essenziale da tenerpresente è la valorizzazione del rapporto tra fedee ragione. La necessità di rimanere aperti sem-pre al dialogo e di cercare la verità come pre-senza divina in qualsiasi contesto, deve favo-rire l’approfondimento di fede sia nel-l’ambito culturale che in quello valoriale.

5)Infine la Commissione ci lasciaun ultimo punto nel quale si sottolineala finalità dell’azione catechetica comequella azione che permette di nutriree guidare i fedeli alla definizione di unamentalità di fede. Perciò il catechista non sarà solo preoc-cupato di trasmettere e spiegare il mes-saggio cristiano, ciò che viene defini-ta come tradizione, ma sarà impegnatoanche a passare gli strumenti efficaci

per esprimere con la vita e la parola ciò che haricevuto, favorendo la vera opera di “redenzio-ne”. In conclusione i vescovi italiani esortano tut-ta la comunità cristiana a impegnarsi in un veroe proprio nuovo inizio, incoraggiando anche aprovare nuovi percorsi purché esperimentati nel-la sincera unità ecclesiale, con la giusta serie-tà e profondità che richiede un simile progetto.

*membro dell’Ufficio Catechistico Diocesano

PROPOSTE DELL’UFFICIO

CATECHISTICO DIOCESANO PER

L’ANNO PASTORALE 2011/2012

L’Ufficio Catechistico Diocesano propone, per l’anno pastorale 2011/2012,

alcuni incontri per catechisti, ragazzi e bambini. Saranno momenti di dialo-

go e confronto che daranno l’opportunità ai membri delle parrocchie di incon-

trarsi e conoscersi trascorrendo del tempo insieme.

Aiutare i catechisti a conoscere meglio i contenuti della fede e la scelta dei

metodi sarà lo scopo degli incontri di formazione che si svolgeranno nei pae-

si della diocesi durante l’anno.

Valmontone S. Maria Magg. 17-18 ottobre, ore 21.00

Gavignano-Montelanico 24-25 ottobre, ore 21.00

Velletri San Clemente 7-8 novembre, ore 21.00

Lariano 20-21 febbraio, ore 21.00

Artena Santo Stefano 7-28 febbraio, ore 21.00

Colleferro San Bruno 12-13 marzo, ore 21.00

Segni S.Maria Assunta 26-27 marzo, ore 21.00

28 settembre incontro con Ernesto Olivero fondatore del Ser.Mi.G.

4 gennaio 2012 Convegno Diocesano per la catechesi.“Essere testimoni e sentirsi parte del corpo mistico della Chiesa” sarà il tema dei dueweekend per i Cresimandi che si terranno il 10-11 marzo 2012, 24-25 marzo 2012e 14-15 aprile 2012 all’Acero o presso la Fraternità Monastica di Nazareth.

8-9 ottobre 2011 Due giorni dei cresimati.Sabato 21 aprile 2012 festa per i bambini che si preparano a ricevere il sacramentodella prima Comunione. Per i bambini sarà un momento gioioso di amicizia tra loroe con Gesù.

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Stanislao Fioramonti

QQ uelli che eranoil quinto e sestomese dell’antico

calendario romano, e cheperciò si chiamavanoquintilio e sestilio, hannopoi cambiato nome per ono-rare due grandi personaggidella storia romana, il dit-tatore Caio Giulio (Julius) Cesare e l’impera-tore Cesare Ottaviano Augusto (Augustus).Portano il loro nome dunque da più di duemilaanni, e indicano il periodo più caldo dell’emisferosettentrionale, quando il sole è più vicino allaterra; un calore che in agosto è chiamato anche“canicola” perché in quel mese l’astro di fuo-co raggiunge la costellazione del Cane, con lastella Sirio detta “l’ardente”.I due mesi erano ricchi di feste fin dall’antichi-tà: in luglio si celebravano a Roma Giunone Caprotìna(il 7), il dio Onore alle idi (il 15), le divinità deiboschi Lucèrie (da lucus, bosco sacro) il 18; inagosto era la volta delle Marziali al dio Marte(il 1°), delle Vulcanali al dio del fuoco Vulcano(il 23), delle Opisconsivia alla dea Ops dell’ab-bondanza, quasi a favorire l’abbondanza del rac-colto (il 25).Nei due mesi estivi, per motivi liturgici ma ancheper la relativa libertà dei contadini dai lavori deicampi, si sono concentrate nel tempo la mag-gioranza delle feste locali e patronali; per limi-tarci al nostro territorio, possiamo ricordare quel-le di Segni (S. Bruno vescovo, 18 luglio, pro-tettore anche della diocesi), di Artena (S. MariaMaddalena, 22 luglio), di Cave (S. Lorenzo, 10agosto), di Labico e Gavignano (S. Rocco, 16agosto), di Palestrina (S. Agapito, 18 agosto),di Carpineto (S. Agostino, 28 agosto). Ma il calen-dario liturgico cristiano di luglio e agosto è ric-chissimo di memorie. Vi sono feste di Gesù: Preziosissimo Sangueil 1° luglio, istituita da Pio IX nel 1849 dopo ilsuo ritorno a Roma alla fine della II RepubblicaRomana; Trasfigurazione il 6 agosto, voluta daCallisto III nel 1457 dopo la vittoria di Belgradocontro i Turchi. Vi sono feste di Maria: Visitazioneil 2 luglio, risalente al 1389; Madonna del Carmeloil 16 luglio; Madonna degli Angeli, associata all’in-

dulgenza della Porziuncola o Perdono di Assisi,il 2 agosto; Madonna della Neve il 5 agosto, inricordo della Dedicazione della basilica roma-na di S. Maria Maggiore dopo la prodigiosa nevi-cata estiva dell’anno 352; il 15 agosto, dal VIsecolo, l’Assunzione o Dormizione di Maria, pro-clamata dogma da Pio XII nel 1950; e infine il22 agosto il Cuore Immacolato di Maria, istitui-ta dallo stesso pontefice nel 1944 in piena guer-ra. Vi sono feste di santi Apostoli: Giacomo ilMaggiore il 25 luglio, Bartolomeo il 24 agosto. Feste di sante donne venerate da secoli: Margheritavergine e martire (20 luglio); Anna madre di Maria(26 luglio); Chiara d’Assisi (10 agosto); Monicamadre di S. Agostino (27 agosto). E feste di confessori e dottori della Chiesa:Bonaventura da Bagnoregio (14 luglio), Ignaziodi Loyola (31 luglio), Gioacchino nonno mater-no di Gesù (16 agosto) Bernardo rifondatore deiCistercensi (20 agosto), Luigi IX re di Francia(25 agosto) e il già ricordato S. Agostino (28 ago-sto), mentre il 29 dello stesso mese si fa memo-ria della decollazione del Precursore Giovanniil Battista. In questo magnifico vortice di santi e di relati-ve feste, anche Valmontone può ricordare even-ti e ricorrenze secolari tipiche dei due mesi esti-vi, cominciando il 10 luglio dalla festa di S. Anatoliavergine e martire, cui era dedicato un altare del-la chiesa parrocchiale di S. Stefano (dal dopo-guerra resta una sua immagine); la sera dellavigilia della festa, nella piazzetta della chiesa,si ballava il saltarello, la mazurca e la polka alsuono dell’organetto e della fisarmonica, per-ché la santa era protettrice delle danzatrici, eanche in quella occasione i “festaroli” poteva-no assaggiare lumache e trippa al sugo. Il 16 luglio, Madonna del Carmine, si anda-va a piedi alla Madonna del Ponte Sacco, cir-

ca 6 chilometri dal paese sulla via Casilina, edopo la messa si faceva merenda sui prati inriva al fiume, prima del ritorno. Il 26 luglio, S. Anna, si ripeteva il pellegrinag-gio a piedi alla Santissima Trinità di Vallepietra. Le compagnie si radunavano davanti alla set-tecentesca chiesina rurale al bivio di Genazzano,demolita nel 1974 per allargare quello svinco-lo stradale, e in tre giorni di cammino quasi con-tinuo raggiungevano il celebre santuario del mon-te Autore, vi ascoltavano la messa, venerava-no l’immagine delle “Tre Person Divine” e tor-navano, cantando l’inno della Santissima conla strofa dedicata a S. Anna: “E tu sant’Anna bel-la, madre delle tre Persone, con santa devozione,ti veniamo a visita’”. Collegata alla festa del Perdono di Assisi, chesi celebra nel convento francescano di S. Angeloil 2 agosto, era sempre quella della Madonnadel Suffragio, festeggiata a Valmontone la pri-ma domenica di agosto nella chiesa omoni-ma (distrutta dalla guerra) che era accanto all’a-silo Leone XIII, in largo S. Maria in Selce. Era anche sede dell’omonima confraternita lai-cale, soppressa da un regio decreto del 1916,che organizzava una doppia processione a distan-za di una settimana, la prima dalla chiesa allaCollegiata, dove sostava la statua mariana, laseconda dalla Collegiata alla chiesa titolare lasera della festa. Nella festa della Madonna del Suffragio, com-patrona di Valmontone, si teneva la terza fieraannuale del paese. Oggi la statua in legno (laterza, dopo quella più antica di stoffa e quelladel 1914 in gesso), nel 2003 incoronata solen-nemente dai vescovi Erba e Loppa, è venera-ta in Collegiata nella cappella del Sacramentoe si festeggia alla fine del mese di maggio, sem-pre con una processione - fiaccolata che par-te da una della chiese minori del paese e giun-ge in Collegiata a tarda sera.Anche il 10 agosto, S. Lorenzo martire, era impor-tante per Valmontone, che al veneratissimo dia-cono romano aveva dedicato una chiesa citta-dina (ora scomparsa, e della quale non si cono-sce nemmeno il sito preciso) e che anzi avevascelto sin dall’antichità come suo patrono prin-cipale, finché agli inizi del ‘700 in questo ruolonon fu sostituito dal più “moderno” S. Luigi Gonzaga.

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Insostituibile invece nella tradizione val-montonese, il 15 agosto, è il culto perla Madonna Assunta, che è il titolo del-la chiesa madre cittadina. La Madonna de Mezz’agosto era cele-brata, la sera della vigilia, con la “pro-cessio’ dei focaracci”, enormi catastedi legna cui si dava fuoco al passag-gio della processione diretta dallaCollegiata al Santuario del Gonfalone. Anticamente si portava l’immaginedella Vergine dipinta nel ‘700 daSebastiano Conca (rubata negli anni ’80dalla sacrestia della Collegiata) e quel-la del Salvatore, sempre del Conca, cheviene ancora utilizzata; e siccomequesta regge nella mano destra un “mon-do” rotondo e verdastro somigliante aun cocomero, col tempo e con il sin-cretismo popolare in paese si arrivò adire che a Ferragosto era festa della“Madonna de jo’ cocommero”! A Ferragosto (a proposito, viene da “Feriae

Augusti”, le feste di Augusto, l’impera-tore cui era dedicato il mese) era con-vinzione popolare che potesse ripetersi,come a Pentecoste, la possibilità del-l’apparizione dello Spirito Santo, stavoltain forma di farfalla, sulla spalla del SantissimoSalvatore quando la sua immagine rien-trava in chiesa al termine della processione.Nessuno immaginerebbe un nesso trala festa della Madonna Assunta e il rat-to delle Sabine; e invece sembra cheproprio durante una festa di mezz’agostodell’antica Roma, dedicata al dio Consoprotettore dei raccolti (Consualia),Romolo il fondatore abbia trovato l’oc-casione per ordinare, alle pendicidell’Aventino, il rapimento delle donneSabine, fatto che dopo l’animosità ini-ziale portò all’unione dei due popoli. Ilche dimostra, se ce ne fosse bisogno,che una festa può scatenare l’impen-sabile.

mons. Franco Fagiolo*

AAncora una volta torniamo su un argo-mento di fondamentale importanza: per-ché è importante cantare nella Liturgia?

L’atto di cantare mette in gioco tutta la perso-na: richiede corpo disponibile, intelligenza e memo-ria vigilanti. Passando dalla parola al canto, lavoce tende ad arricchirsi: si presenta più limpi-da, più sonora, più “elevata”, non più forte però.La voce cantata illumina la parola e l’intero esse-re. Il canto unifica la persona e crea unità nel-l’assemblea, il canto favorisce un atteggiamentodi ascolto, compassione, gioia, serenità ….Chiascolta e canta con tutto il proprio corpo vienerisvegliato, come soggetto, nel suo sentire e agi-re. Il canto tende a unificare anche i gruppi uma-ni. Il canto comunitario, animato dallo Spirito,chiama all’unanimità tutti coloro che sono sal-vati da Cristo, perché lodino con un cuore soloe un’anima sola, formando così un’assembleasanta, corpo di un medesimo ascolto.La pratica cristiana è essenzialmente comuni-taria: si tratta di cantare insieme, cosa che pre-suppone un ascolto reciproco esigente. Non ascol-tiamo allo stesso modo, quando ascoltiamo insie-me. La voce riproduce soltanto ciò che l’orec-chio sente, se perciò interiorizziamo la voce deglialtri, interiorizziamo anche ciò che gli altri ascol-tano. Questa armonizzazione aiuta ciascuno anon ripiegarsi su se stesso, siamo quasicostretti a una dimensione comunitaria; tutto ciòaiuta a eliminare l’ascolto individuale. Le nostre voci possono allora unirsi per forma-re un’unica risposta, suscitata dal medesimo Spirito.E il cantare nella liturgia non deve soltantoaiutare a pregare di più chi viene in chiesa,ma soprattutto deve aiutare a diventare piùChiesa chi partecipa con il canto.Delle volte è meglio una musica mediocre che

fa cantare tutti e favorisce l’unione di tutti, cheuna musica di alta qualità che costringe al silen-zio chi è presente alla celebrazione. E questo può succedere se a cantare è un corodi bravi “professionisti” o un bel gruppo di ragaz-zi/giovani che presentano i loro canti secondol’ultima novità dettata dalla moda: né l’uno, nél’altro permettono la partecipazione dell’assemblea!In un recente intervento su “Avvenire” (21 giu-gno 2011) Don Antonio Parisi, che fino a qual-che mese fa è stato Responsabile Nazionale del-la C.E.I. della Musica per la Liturgia si esprimecosì: “ La chiesa non è una accademia musi-cale, in chiesa non si va per ascoltare musica:il canto non viene prima della liturgia”. E aggiunge: “nella liturgia il canto diventa un segnosacro”. Un invito per tutti, specialmente ai sacer-doti: è necessario e di fondamentale importan-za recuperare il valore e il significato di questo

segno liturgico.Per valorizzare quanto detto, riporto testualmentele parole di Papa Paolo VI nel Discorso del 4dicembre 1961 per la promulgazione della Costituzioneliturgica:“Bisogna riconoscere che la riforma liturgica, intro-ducendo la lingua viva nelle celebrazioni dellaChiesa, è stata non solo un passaggio dello SpiritoSanto nella Chiesa, ma un evento di rinnova-mento spirituale e pastorale, un invito e uno sti-molo per il popolo cristiano perché sciolga in pre-ghiera beata e verace la muta sua lingua e sen-ta l’ineffabile potenza rigeneratrice di cantare lelodi divine e le speranze umane, per Cristo Signoree nello Spirito”.

*Responsabile Diocesano del Canto per la [email protected]

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Tonino Parmeggiani

La prima opera stampata sulla figura di S. Geraldo,a cui va aggiunto d’obbligo il titolo di “Vescovoe Protettore della città di Velletri”, dove morì il 6dicembre 1077, essendo stato il successore sul-la Cattedre di Ostia e di Velletri di San Pier Damiani,morto a sua volta il 21 febbraio 1072, per meglioidentificarlo tra le circa due dozzine di santi cheportano tale nome, vissuti più o meno in un arcocronologico ben ristretto, venne data alla stam-pe in occasione della solenne Traslazione del-le sue reliquie, avvenuta il 23 novembre 1698,nella nuova Cappella, costruita nella Cattedraledi S. Clemente, in suo onore dalla Comunità Veliterna,venne scritta dall’allora Abate Alessandro Borgiae dal titolo «Vita di San Geraldo, vescovo e pro-tettore dell’inclita città di Velletri raccolta ... daAlessandro Borgia», per Onofrio Piccini e con-sta di 72 pagine. Il volumetto, come ci dice FabrizioBorgia, Canonico della Cattedrale, nella sua «Relazionedi quanto si fece nell’inclita Città di Velletri in occa-sione della Traslazione del Sagro Corpo di S. GeraldoVescovo e Confessore ...», edita nella stampe-ria di Francesco Gasconi nell’anno 1714 [Rel.A], a pag. 53, era stato sollecitato dallo zio cano-nico: “Gian Paolo Borgia ancora, già Canonicodella Catedrale, fece stampare la Vita delSanto, scritta dall’Abate Alesandro suo Nipote,e di quella a’ medesimi Prelati, ed a più Cittadinie Forastieri fece dono”. L’originale manoscrittodi Fabrizio è conservato nella BibliotecaComunale, collocazione MS VII 1, in MS II 28/3vi è una “Relazione in latino del trasporto del Corpodi S. Geraldo Di D. Antonio Cascapera.Autografo”, come indicato nell’indice dellamiscellanea.A pag. 52, inoltre aggiunge: «Nella stessa mat-tina furono sparse al Popolo le imagini di S. Geraldoin gran copia da Marcello Beger, Capo Scarpellinodella stessa Cappella, il quale a sue spese, e perpropria divozione le avea fatte stampare»; si trat-ta della stessa incisione inserita nel volumettodi Alessandro Borgia, e dal titolo “S. Geraldo Vescovoe Protettore di Velletri morto l’an. 600. e trasfe-rito l’an: 1698 nel Domo di Velletri”.Come mai qui viene detto, non solo nella dida-scalia dell’immagine ma in tutto il filo condutto-re del testo, che S. Geraldo sarebbe morto nel-l’anno 600? L’errore abnorme commesso è con-sistito nel fatto che qualche autore precedenteha letto, da qualche documento, che S. Geraldoera stato creato Vescovo dal Papa Gregorio il Grande,in cui l’aggettivo Grande avrebbe dovuto inten-dersi nel senso di Sommo (ancora oggi il Papaviene chiamato Sommo Pontefice, il più grande

dei ‘pontefici’, cioè dei sacerdoti), ma che è sta-to erroneamente tradotto in Magno, titolo che laChiesa Cattolica riserva ai più grandi Padri e Santidella storia, cioè a coloro che hanno lasciato testi-monianze significative non solo per il loro tem-po ma anche nei secoli successivi. Di conseguenza, essendo che l’unico Gregorioa portare il titolo di Magno è stato Gregorio I Magno,venerato altresì come Santo e Dottore della Chiesa,Pontefice negli anni 590-604, la collocazione neltempo di San Geraldo è stata quasi automatica:creato vescovo nell’ ultimo decennio del sec. VI,morì all’anno 600, tanto per far cifra tonda nonsapendo l’anno esatto! Dovrebbe invece trattarsi,compatibilmente con l’esistenza terrena di S. Geraldo,o di Gregorio VI, Pontefice dal maggio 1045 aldicembre dell’anno successivo, in un periodo mol-to travagliato nella storia della Chiesa, ma que-sta ipotesi sembra poco plausibile non tanto peri circa 26 anni intercorsi dalla morte del secon-do alla presa di possesso delle diocesi di Ostiae Velletri da parte del primo (in teoria Geraldoavrebbe potuto essere stato creato dapprima Vescovoe poi, dopo un lungo lasso di tempo, Cardinale)quanto per il fatto che se Gregorio VI è stato tra-mandato alla storia come un Papa simoniaco peraver comprato addirittura l’elezione al Pontificato!,Geraldo invece ha lasciato di se una immaginedel tutto opposta, non inferiore per meriti e san-tità a quella di San Pier Damiani, come scrivo-no gli storici successivi.Continuando ad accettare la supposizione chesia stato fatto Vescovo proprio da un Papa di nomeGregorio, questo ultimo avrebbe potuto allora benis-simo identificarsi in San Gregorio VII, regnantedall’aprile 1073: per una coerenza interna,bisognerebbe quindi ammettere un anno di atte-sa dalla morte di San Pier Damiani, cosa non impro-babile considerando lo stato di belligeranza chepreesisteva prima dell’arrivo di costui, in quan-to il precedente Vescovo veliterno, Giovanni, siera addirittura proclamato papa, o meglio anti-papa, con il nome di Benedetto X, procurandocosì un immancabile scisma nella Chiesa: PierDamiani, allora già Cardinale Vescovo di Ostia,venne inviato nella diocesi veliterna proprio percercare di calmare gli animi, cosa in cui riuscìegregiamente [vedi Ecclesia n. 40, marzo 2008;n. 50, febbraio 2009]; da questa occasione le dio-cesi di Ostia e Velletri ebbero un unico Vescovoe S. Geraldo fu il primo di questa serie(Alessandro Borgia considera invece PierDamiani il primo, vedi più avanti).Il primo auto-re ad essere incappato il questo lapsus è sco-nosciuto, ma di certo a contribuire a diffonderloè stato l’Abate Ferdinando Ughelli, autore di una

monumentale opera “Italia sacra sive deEpiscopis Italiae ...” in cui ricostruisce la serie deiVescovi per ogni diocesi, testo che ebbe larganotorietà ed è stato, ed è ancora oggi, di riferi-mento per generazioni di studiosi; l’opera che con-sta di nove volumi (la diocesi di Velletri è nel pri-mo) fu edita a partire dagli anni 1642 o 1644, eBonaventura Teoli nel suo ‘Teatro Historico di Velletri’,dato alle stampe nell’anno 1644, recepì in totol’attribuzione di S. Geraldo al sec VI. Sulla basedi questi autorevoli testi di riferimento in circo-lazione, Alessandro Borgia, peraltro non anco-ra sedicenne, non poteva certo non riprenderequanto proposto dalla storiografia ufficiale, nelclima euforico creatosi per la traslazione del Santonella nuova Cappella, spronato dallo zioCanonico.A questo punto della storia di S. Geraldo,bisogna fare un salto in avanti di oltre un decen-nio, al marzo del 1711 quando il Capitolo dellaCattedrale inoltrò formale richiesta al VescovoSuffraganeo ed anche Vicario Generale Marsi,per poter murare nella nuova Cappella, due lapi-di: «Il Capitolo, e Canonici della Chiesa Cattedraledi S. Clemente di Velletri riverentemente espon-gono a V.S. Ill.ma haver determinato di far inca-strare due lapidi di marmo nella Cappella di S.Geraldo Protettore le quali contengono le due inscriz-zioni poste per extensum in questo memoriale,e che pongono sotto la prudente considerazio-ne di V.S. Ill.ma ad effetto, che questo non vi siacosa ripugnante, si degni concedere l’opportu-na licenza di esporle al publico, come pare rag-gionevole ...» (Arch. Vesc. Sez. I, Tit. VIII).Si tratta delle due grandi iscrizioni, poste ai latidella Cappella, ancor oggi esistenti.Di due anni più tardi è un nuovo documento, un«Sommario della Traslazione del Corpo di S. GiraldoConfessore e Pontefice celebrata li 26 diNovembre 1698. nell’inclita Città di Velletriestratto dalla Relazione, che Camillo Borgia nehà descritta largamente», (manoscritto in Arch.Vesc, Sez. I, Tit. VIII), riassunto redatto sulla basedella relazione originaria indicata, pubblicata poinel 1942 da C. Amati [Rel. C], al termine del qua-le è riportata, di altra mano, la seguente nota:«Adi 27 Maggio 1713. Il presente Sommario è stato trasmesso all’AbateAlessandro Borgia Internunzio in Colonia per far-lo capitare in mano delli Continuatori delle Vitede Santi del Bolando, ai quali parimenti per avan-ti s’erano fatte avere le notizie, e prove della Traslazionedei SS. Pontiano ed Eleuterio, e (quelle del depo-sito) della Beata Guilla, perche ne facciano anno-tazione distinta nella stessa loro opera»: ciò acui si fa qui riferimento sono gli Acta Sanctorum,una innovativa collezione sistematica di documentiriguardanti tutti i santi, di diffusa consultazione,iniziata a pubblicarsi da metà del sec XVII, dalPadre Gesuita belga Jean Bolland. Si pensò dirivolgersi ad Alessandro sia perchè, malgrado fos-se poco più che trentenne, era già ritenuto unapersona di grande erudizione e poi anche per ilfatto che la città di Colonia non era distante daLiegi, per cui avrebbe potuto più facilmente met-tersi in contatto con quell’ambiente culturale. L’anno successivo, nel 1714, apparve la relazionea stampa di Fabrizio Borgia [Rel. A], al tempoventicinquenne, peraltro fratello di Alessandro e

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di Camillo Seniore, per cui abbiamo tre testi suS. Geraldo redatti da tre fratelli, tutti figli di ClementeErminio (+ 1711, fratello del Canonico Gian Paolo,visto più sopra) il quale, come ci illumina l’Amati[Rel. C, anche se erra nel nome, chiamandoloClemente Camillo], “all’epoca della traslazionedi S. Geraldo, era il Capo-priore del Magistratodi Velletri” per cui probabilmente Camillo e Fabrizio,nella narrazìone dei fatti inerenti la traslazione,si saranno avvalsi di precedenti appunti di costui.Come riscontro del sommario ricevuto, o forseanche per il volumetto del fratello Fabrizio, Alessandroinviò la seguente lettera, in cui viene ancora accet-tata la collocazione di S. Geraldo all’anno 600:«Risposta dell’Abbate Alessandro Borgia scrit-ta da Colonia in data de 29 Marzo 1714. Godo di quanto si fà per promovere il culto delnostro Santo Geraldo. Oltre gl’altri Auttori, chesapete, frà miei scritti che io lasciai costì trova-rete molti scrittori che fanno menzione del det-to Santo, de quali non sè n’ebbe notizia quan-do si stampò la di lui Vita; anzi in un’ esempla-re della detta Vita, io notai nel principio di miamano molti de detti scrittori. Vi prego però di veder-li, e particolarmente il martirologio d’Usuardo, scrit-to ne tempi di Carlo Magno, e perciò antico di900 e più anni, dal qual Martirologio è tanta l’aut-torità che supera quella d’ogn’altro Martirologiofuori del Romano. A detto Martirologio fece lesue addizioni Giovanni Molano celebre Dottor diLovanio nell’anno 1573. E in detto Martirologiosi legge Septimo idus Decembris Mediolani OrdinatioAmbrosij Episcopi, et Confessoris et eodem dieS. Geraldi Episcopi Veliterni, et Confessoris. E benche ciò sia scritto con caratteri diversi, eperciò paia che non fosse nel testo antico del det-to Martirologio, mà agiunto dal Molano, pure èda avvertirsi che il Molano non ha aggiunto nien-te, che non abbia cavato da altri Martirologij anti-chi. Nella libraria della Minerva voi trovarete il det-to Martirologio, del quale qui ne ho visto un’e-semplare impresso in Anversa nel 1583. E questa mi pare un’autorità di gran peso chepotrà molto servire nella Sagra Congregationede Riti. Fra detti miei scritti Voi troverete anco-ra alcune cose cavate da me dagl’antichissimiIstrumenti in cartapecora che si conservano nel-l’archivio del Capitolo della nostra Catedrale, nequali ho trovato che si fà menzione di S. Geraldo,e particolarmente in un testamento di più seco-li adietro si lasciano alcuni legati pij all’Altare diS. Geraldo. E chi avesse il commodo di leggertutte quelle cartapecore senza dubbio trovereb-be bellissime memorie di S. Geraldo, e degl’al-tri nostri Vescovi. Io ne lessi molte confidatemidal Signor Canonico Funari, e ne feci copia, òalmeno nota conforme mi pareva che la mate-ria richiedesse, mà non ebbi il commodo di veder-le tutte. Del resto qui io sempre ho avuta atten-zione per veder se mi riusciva di trovar qualchecosa à gloria del nostro S. Geraldo, e di tutta lanostra Città, ma fin’ora di S. Geraldo non ho tro-vato niente fuori del detto esemplare del marti-rologio d’Usuardo, e della nostra Città ho tro-vato qui qualche piccola cosa, che ho notata, manon fà al caso» (Biblioteca Comunale MS IV 5/7).Le pergamene dell’Archivio Capitolare di Velletritestimoniano certamente l’esistenza del culto ver-

so il Santo, ma soloa partire dal sec.XIV, così come ilMartirologio diUsuardo, una raccoltadi notizie sui santisecondo il calenda-rio compilato a metàdel sec. IX, non citaassolutamente S.Geraldo (altrimentil’ipotesi dell’anno600 sarebbe stata con-fermata veritiera!)nella stesura originaria,ma solo in quellaaggiornata da GiovanniMolano, edita nel1568, in cui questo ulti-mo non ha fatto che recepire quanto propostoda altri precedenti autori. Dell’errore Alessandrose ne accorgerà poco dopo, nella stesura del-l’opera “Istoria della Chiesa, e Città di Velletri ...”,pubblicata nell’anno 1723, dove spende ben trepagine (131-3) per giustificarsi dell’errore di attri-buzione commesso “... nella Vita di S. Geraldo,che fu da noi nella prima nostra adolescenza com-posta ... ma perche non abbiamo mai abbandonatolo studio della verità, e niuna cosa all’amor di que-sta anteponiamo, dobbiamo ora confessare ..”,e di cui si era reso conto consultando le operedello stesso San Gregorio Magno e dei suoi bio-grafi, ricche invero di particolari, ma in cui nonc’era alcun cenno al nostro Geraldo Vescovo; ecosì nell’iniziale Cronologia dei “Vescovi Cardinalid’Ostia e di Velletri”, dopo S. Pier Damiani inse-risce “S. Geraldo nel 1072, passò alla gloria à 6di Decembre del 1077”. Cita anche una frase diAntonio Mancinelli, in cui si parla solo di GregorioSommo Pontefice, senza altre specificazioni. perpoterlo meglio identificare. Al di là delle varie testi-monianze storiche, occorreva però darsi da fareper inserire il Nostro nel Martirologio Romano, ossianel catalogo ufficiale dei Santi della Chiesa; piùo meno di questo periodo deve essere un docu-mento conservato nella Biblioteca Comunale, inquanto uno dei presenti, il Canonico Gian PaoloBorgia, morì nel dicembre del 1713 (MS VII 23/5): «Nella Congregatione tenuta nel mese diSettembre in casa del Sig.re Abbate PieriSottopromotore della fede [veniva chiamatoanche “l’avvocato del diavolo”, si trattava di unecclesiastico che aveva il compito di sollevare dub-bi ed obiezioni nei processi di canonizzazione]sopra l’appositione di S. Geraldo Confessore ePontefice nel Martirologio Romano coll’interven-to di detto Sig.re Abbate Pieri, e del Sig.re CastagnoriProcuratore di Colleg.(?), e Giovanni Paolo Borgia,furono stabiliti li seguenti punti:1° che essendo seguito il suo passaggio nel 600,non habbiano luogo le Bolle e decreti de SommiPontefici, et in specie la Bolla d’ [spazio in bian-co] emanata l’anno 1275.2° che per caminare sicuramente si richie-derebbe la prova della Santità con scrittu-re autentiche, e con l’assertione d’Autori Classiciavanti detto tempo, e le vedute fin hora nontoccano detto tempo.

3° che il Processofabricato sopra l’identitàdel S. Corpo non por-ta la recognitione ditutte le cose depostedalli testimonij.4° che saria megliodi domandare l’Officioproprio avanti del-l ’apposit ione inMartirologio, percheil primo si otteriacon più facilità, efarebbe scala allaseconda.5° che doveria haver-si le seguenti giusti-ficationi, cioè: Laricognitione delle due

imagini di S. Geraldo le quali si suppongono anti-chissime, e stanno nel muro dell’Altare vecchiodi detto Geraldo, e nel muro della Porta della Cittàdetta fura, ed altre siminili se vi sono. Tal reco-gnitione deve esser fatta da due periti li quali congiuramento attestino il tempo circumcirca dell’antichitàcon rendere la raggione del modo di depingere,dalla Scuola di chi possino essere dette Pitture,dalla qualità, e forma de colori, e da altre raggionisecondo l’arte.Far diligenza di ritrovare qualche prova, che datempo anticho, et immemorabile siasi fattol’Officio e la Messa coll’Ottava de comuniConfessori Pontefici nel giorno della festa.Fede che nel Catalogo delle Reliquie vi sia il S.Corpo di S. Geraldo, e se bene il Catalogo e sta-to rinnovato in tutti gl’antichi vi era notato, e gl’an-tecedenti e più antichi erano nella forma che èil presente.Fede dell’aggiunta manoscritta della festa di S.Geraldo nel Martirologio antico che si legge nel-la Chiesa Catedrale.Fedi delli Legati antichi, e moderni, e delle Cappellanie,ò memorie di Messe nell’Altare di S. Geraldo.Osservare se vi fosse memoria alcuna di S. Geraldonelli libri del Coro antichi, nelli Messali, ne libridella V. Sagrestia, e Reverendissimo Capitolo.Attestatione giurata delli Signori Canonici, et altrepersone qualificate e vecchie, nelle quali si dicad’haver sempre veduto la festa di S. Geraldo cele-brarsi coll’officio, e Messa, et Ottava, et essersiancora sempre celebrate messe votive. Copie publi-che degl’Istromenti fatti in occasione dellaTraslatione ».Ovviamente qui si parla ancora del Santo mor-to nell’anno 600, considerato per di più Pontefice!Possibile che nessuno di costoro abbia pensa-to di riscontrare elenchi dei Pontefici succedutesisulla Cattedra di Pietro pubblicati in opere chesicuramente non mancavano nella biblioteca dicasa Borgia o dei conventi della citta? Anche nell’elenco delle reliquie, compilato nell’anno1849, venne all’inizio definito Pontefice (Ecclesian. 71, Gennaio 2011, p.27). Non sappiamo al momento se venne presa unaqualche iniziativa ufficiale presso la Congregazionedei Riti ma, di certo, la cosa non poteva andaretanto lontano con questi presupposti storici!

(continua)

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don Dario Vitali*

QQuando si sosta inS. Clemente,davanti alla cap-

pella della Madonnadelle Grazie, l’attenzio-ne va tutta alla tavola inlegno della Madonna. È davanti alla cancella-ta che generazioni e gene-razioni di velletrani han-no manifestato la lorodevozione attraverso i secoli. Per esprimere questa devozione, i nostri padrihanno fissato nella cupola della cappella un mes-saggio molto ricco, svolto in quattro registri. Sopral’icona della Madonna compare il titolo con cuiVelletri la onora: Mater Gratiarum, Madre delleGrazie. Alla stessa altezza, sulle quattro pare-ti della cappella, sono collocate a gito quattroscritte, che sviluppano un tema straordinario siaquando le si legga in senso orario, che incro-ciando le scritte:

Mater Gratiatum / Madre delle GrazieGratia plena / piena di grazia

invenisti gratiam / trovasti graziasuccurre miseris /soccorri i miseri

Se si segue la sequenza 1 → 2→ 3→ 4, il mes-saggio si sviluppa secondo questa logica: Mariaè la Madre delle Grazie perché è la piena di gra-zia, come dice il racconto dell’Annunciazione (cfrLc 1,28); il medesimo racconto dice pure cheinvenisti gratiam apud Deum, «hai trovato gra-zia presso Dio» (Lc 1,30), per cui, piena dellagrazia ricevuta da Dio, è in grado di soccorre-re i miseri. Questa lettura è del tutto plausibile, anche semodifica il motivo per cui Maria ha trovato gra-zia: in Lc 1,31, la grazia è in vista del concepi-mento del Figlio di Dio; qui, attraverso un sal-to che abbraccia tutta l’opera della redenzione,Maria è la Madre degli uomini, che ottiene dalFiglio ogni grazia per i suoi figli. Se invece la sequenza è 1→ 2 / 3→ 4, il mes-saggio è questo: Maria è la Madre delle Grazieperché lei stessa ha trovato grazia, a tal punto

che è piena di grazia, per cui può soccorrere imiseri. Né farebbe difficoltà il fatto che Maria stes-sa, della nostra stessa condizione, sia lei stes-sa riscattata: la costruzione della cappella pre-cede di molto la definizione dogmatica dellaImmacolata Concezione (8 dicembre 1854); ecomunque, lei stessa, salvata in ragione dei meri-ti che il Figlio avrebbe acquistato, è in grado dicompatire tutti quelli che versano nella condi-zione umana e che a lei ricorrono. Naturalmente, sono vere ambedue le letture. Forseè da preferire la seconda, perché nelle paretilaterali sono rappresentate l’Annunciazione, sor-montata dalla scritta: Gratia plena, e l’incoronazionedi Maria, sotto la scritta: soccurre miseris. Le due rappresentazioni sono accompagnate dadue scritte: gratiam inveniamus per te in auxi-lio opportuno (che attraverso di te possiamo tro-vare grazia per mezzo di un aiuto opportuno,vale a dire nella situazione di necessità) in rap-porto all’Annunciazione; quam bene nobis estsub praesidio tantae Matri (quale bene derivaa noi dallo stare sotto la protezione di una Magrecosì grande) in rapporto all’incoronazione di Mariada parte del Figlio. A spiegazione del titolo Mater Gratiarum, nellaparte bassa della cupola, compaiono a giro 8formelle con figure di piante, accompagnate daqueste scritte:

1) quasi oliva;2) quasi cedrus;

3) quasi platanus;4) speciosa in campis;

5) quasi palma;

6) sicut oliva fructifera; 7) quasi cupressus; 8) vitis abundans.

Si tratta di alberi della tradizione biblica, sceltitra gli altri forse perché fanno parte del paesaggiodella campagna veliterna. Due sono alberi dafrutto: l’ulivo e la vite; gli altri sono alberi da orna-mento: il cedro, il platano, la palma, il cipresso;tutti con significati simbolici ricchissimi. Non dovrebbe essere un caso che sopra il tito-lo di Mater Gratiatum compaiano la vite e l’o-livo: oltre ai significati sacri che si davano a que-ste due piante nella tradizione, esse hanno costi-tuito la fonte di sopravvivenza e di reddito peril popolo veliterno, dedito da sempre all’agricoltura.Comunque, la consultazione di un dizionario deisimboli permette un raccolto davvero abbondantedi significati, oggi purtroppo in gran parte sco-nosciuti, per la perdita di contatto con la natu-ra. Forse basta una leggenda medioevale percapire molti significati: in punto di morte, Set (figliodi Adamo) mise sotto la lingua del padre tre vir-gulti, uno di ulivo, uno di cedro, uno di cipres-so, simboli di immortalità futura. Un’altra storia medioevale narra che il legno del-la croce era formato di tre virgulti – di cedro, cipres-so e pino, miracolosamente riuniti in un unicotronco. Al di là dei racconti, che tuttavia eser-citavano un fascino straordinario in passato, l’u-livo è simbolo di vita, ma anche di pace e di mise-ricordia, e per l’olio che serviva a ungere i re,è anche simbolo di Cristo: applicato a Maria, laindica come sorgente di pace, ma anche comela regina, madre del Re Messia e Signore.

Nel n. 75 di Ecclesia di maggio u.s. abbiamo già pubblicato questo articolo, purtroppo permotivi tecnici il testo pubblicato presentava alcune inesattezze, ce ne scusiamo con i lettorie con l’autore. Ora in vista della Festa del Patrocinio della Madonna delle Grazie (26 ago-sto), volendo riparare abbiamo pensato di riproporlo nella sua forma corretta. (ndr)

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Il cedro per la sua altezza rimanda alla gran-dezza e potenza di Dio; il suo legno, utilizzatoper le costruzioni perché particolarmente resi-stente, significa l’incorruttibilità. Di questo legno era costruita l’arca di Noè, e perassociazione, Maria è l’arca dell’alleanza. Il pla-tano, detto “magnifico nei campi”, evidentementeper la sua maestosità, era apprezzato soprat-tutto per la sua ombra; il fatto che le sue fogliesembrino mani rivolte al cielo, ne fece l’alberoper eccellenza sacro alla grande Madre; l’ap-plicazione mariana nel cristianesimo, in sosti-tuzione di quei culti, è d’obbligo! D’altronde, l’om-bra rimanda al fatto che Maria è stata adombratadallo Spirito. La palma è simbolo di bellezza e armonia peril fusto slanciato e i rami a raggiera, e venivariferito alla bellezza della donna, come dice ilCantico dei Cantici della sposa: “La tua statu-ra assomiglia a una palma e i tuoi seni ai dat-teri”; come albero sacro rimanda all’immortali-tà; i suoi rami, usati negli ingressi trionfali delre (alla destra del quale stava la regina) ne fan-no un simbolo di vittoria, legato dalla tradizio-

ne cristiana al martirio. Il cipresso, albero sempreverde, è simbolo d’im-mortalità. La vite, rappresentata spesso con itralci che crescono dalla croce, è nell’Antico Testamentosimbolo di Israele (e Maria è la “figlia di Sion”);nel Nuovo è simbolo di Cristo; nel Medioevo eraspesso associata alla Madonna, perché il tral-cio che, radicato in Cristo, più di ogni altro si èsviluppato portando frutto in abbondanza.Maria è tutto questo e Maria ottiene tutto que-sto, proprio perché è Madre di grazie che donaquanto ha e ottiene quanto può per i suoi figli. In un giro ancora più alto della cupola, compaiono8 titoli di Maria, scelti tra le litanie lauretane pro-babilmente per la possibilità di essere rappre-sentati anche figurativamente: Ianua coeli (por-ta del cielo), stella matutina, domus aurea, foe-deris arca (arca dell’Alleanza), turris davidica,fons pietatis (che non ricorre nelle litanie lau-retane), speculum sine macula (mentre nelle lita-nie esiste speculum iustitiae), vas spirituale. Alpari degli alberi, anche questi titoli meritereb-bero un commento ampio. Basti dire che espri-mono l’abbondanza delle grazie che il popolo

può attendersi da Maria. Tutte queste rappresentazioni, incastonate in for-melle, sono inserite in un reticolo di altre formelle,al cui centro sta una pigna, che per i pinoli checontiene, è simbolo della fertilità e fecondità deaperta, della purezza e castità se chiusa. I frut-ti del pino sarebbero come quelli dell’albero del-la vita, che affonda le sue radici nell’acqua viva(si potrebbe ipotizzare in questo riferimento lapresenza di una litania – fons pietatis – che noncompare nelle litanie lauretane.Tutto questo messaggio ha la sua chiave di let-tura al centro della cupola, alla sommità del lucer-nario, dove è rappresentato lo Spirito santo informa di colomba: «lo Spirito scenderà su di tee ti adombrerà la potenza dell’Altissimo». Sotto la potenza dello Spirito si dispiega tuttala storia della salvezza, nella quale trova postoanche la preghiera che si innalza costante dalPopolo di Dio che, ricorrendo a Maria, ne invo-ca il patrocinio: «Mostrati Madre per tutti, offrila nostra preghiera; Cristo l’accolga benigno, Luiche si è fatto tuo Figlio».

*Teologo, docente ordinario alla PUG di Roma

Tonino Parmeggiani

RRicorrendo il 130° anniversario della nascita di Mons. SalvatoreRotolo, avvenuta a Scanno (Aquila) l’8 luglio 1881, nella ChiesaParrocchiale di S. Maria della Valle della stessa città, avrà luo-

go sabato 9 luglio p.v., una solenne celebrazione liturgica di suffragio,presieduta da Don Pierluigi Cameroni S.D.B., Postulatore Generale deiSalesiani di Don Bosco, la Società a cui apparteneva Mons. Rotolo.Il nome di Mons. Rotolo ancora è presente nella memoria degli anzia-ni a Velletri, e di chi ha letto documenti o pubblicazioni riguardanti sopra-tutto il periodo del secondo conflitto mondiale in quanto, come VescovoAusiliare del Cardinal Enrico Gasparri, risiedette nella nostra città percirca 10 anni, dal 1937 (venne consacrato Vescovo il 29 ottobre di que-st’anno) al 1946 ed, alla morte di questo ultimo, avvenuta il 20 maggio1946, passò ad altri incarichi.Durante il periodo della costruzione della città di Latina e dei borghi del-l’agro pontino, si era molto prodigato affinché a quelle popolazioni nonmancasse mai l’assistenza spirituale, anche con la collaborazione di alcu-

ni confratelli salesiani, trasfe-ritisi nella zona proprio per appor-tarvi il proprio aiuto. Nel corso del secondo conflittomondiale poi, si impegno assi-duamente verso le popolazio-ni colpite da quegli eventi, par-ticolarmente Velletri bombar-data e sfollata, seguendo e coor-dinando le varie fasi di aiuto dal-la città di Norma (allora facen-te parte della diocesi di Velletri),in cui si era rifugiato nella vil-la del Seminario. Attività svolta con tanto impe-gno e zelo che, dopo l’ abban-dono della diocesi veliterna, S.S.Pio XII lo nominò responsabi-le della Commissione Pontificiaper gli aiuti ai profughi, un orga-nismo che agiva a livello inter-nazionale.

Nell’anno 1955 fu nominato Assistente al Soglio Pontificio, partecipò ancheal Concilio Vaticano II e morì il 20 ottobre 1969 a Roma, dove è sepol-to presso la Basilica di S. Maria Ausiliatrice e di cui era stato peraltroprimo parroco, negli anni 1932-37. Una figura certamente da ricordareper l’impegno pastorale ed umanitario profuso.

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Segni si è ornata di porporaCronaca della visita delCardinale Angelo Sodano22 maggio 2011.

Rev. P. Gonzalo Ruiz Freites, IVE*

La domenica 22 maggio 2011 il Decano del CollegioCardinalizio, S. Eminenza Angelo Sodano, ha visi-tato la città di Segni, invitato dai Padri e dalle Suoredell’Istituto del Verbo Incarnato, per celebrare solen-nemente in ringraziamento della Beatificazionedi Giovanni Paolo II, considerato da essi come“Padre” della loro famiglia religiosa. Il cardinale arrivato verso le ore 11,15 ha visita-to prima la casa delle Suore, lo Studentato “SantaTeresa di Gesù”, nella zona chiamata Querciole.Qui

lo attendevano la Madre Generale, Sr. Maria deAnima Christi, le altre suore del consiglio gene-rale, la Madre Provinciale, Maria Corredentora,la Superiora dello Studentato, Maria dellaSalute, e più di cinquanta suore del convento,che lo hanno accolto festosamente. Il cardinale si trattennuto con loro per mezz’ora,e ha benedetto una immagine del Beato Papa

che sarà collocata all’e-sterno del convento. Inseguito si è recatonella Con cattedrale di“Santa Maria Assunta”per la Messa . Loattendevano all’ingressoil parroco, mons. FrancoFagiolo, il SuperioreGenerale dell’Istitutodel Verbo Incarnato, P.Carlos Walker, insiemeai membri del consigliogenerale, il SuperioreProvinciale, P. MarceloCano, il Rettore delSeminario “San Vitaliano Papa”, P. AndrésBonello, e numerosi sacerdoti e fedeli. La Santa Messa, molto solenne, è stata anima-ta magnificamente dal coro dei Padri e delle Suoredel Verbo Incarnato. I fedeli sono accorsi nume-rosi, ed anche i rappresentanti delle Autorità comu-nali erano presenti. All’inizio della celebrazione il P. Marcelo Cano,a nome del parroco e di tutti i presenti, ha espres-so il benvenuto al cardinale, evidenziando checon la sua visita Segni si vestiva a festa e si orna-va di porpora. Durante l’omelia in cardinale hafatto riferimento alla figura del Beato Papa. Main particolare parlato del Papa in quanto successoredi Pietro e Vicario di Cristo, e del dovere dei cat-tolici di amarlo, di seguirlo, di sostenerlo con leloro preghiere. Dopo la comunione il P. CarlosWalker ha rivolto un sentito ringraziamento al car-dinale, ricordando gli interventi del grande Papain favore della Famiglia religiosa del Verbo Incarnato,ed in particolare la decisione dell’insediamen-to della Curia generalizia in Segni.Al termine della Messa il nostro Vescovo, Mons.Vincenzo Apicella, ha portato il suo saluto al car-dinale. Purtroppo numerosi impegni, soprattut-to in questo periodo dove sono numerose le cele-brazione per il conferimento delle cresime gli han-no impedito di concelebrare. In seguito il cardinale si è recato in Piazza SanPietro, antistante il Seminario, dove era stato col-locato un busto del Beato Papa, fatto in Polonia.Il cardinale stesso lo scoperto e benedetto. Unaiscrizone in marmo conserva il ricordo del gestosignificativo . Anche in Piazza San Pietro numerosi fedeli hapreso parte del rito, tra manifestazioni di giubi-lo e sentiti saluti al cardinale. Dopo la benedi-zione il cardinale Sodano siè recato nel

Seminario per il pranzo, insieme ai sacerdoti, semi-naristi, le suore, e alcuni amici appartenenti alTerzo Ordine. Immediatamente dopo ha fatto ritor-no a Roma. In mezzo a noi, con la magnifica cor-nice dei Monti Lepini sullo sfondo, è rimasto ilbusto del santo Papa, diventato meta dei devo-

ti segnini, che si accostano per ornarlo con fio-ri, e soprattutto per pregarlo. Sia la sua presen-za un ricordo della nostra appartenenza all’uni-co gregge di Cristo e della nostra fedeltà al suoVicario, a colui che Santa Caterina da Siena ama-va chiamare “il dolce Cristo in terra”.

*Segretario del Cardinale Sodano

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don Franco Fagiolo

NN ella Parrocchia di Santa Maria Assunta in Segni,Giovedì 2 giugno 2011, con la partecipazione delnostro Vescovo, è stato inaugurato il Centro Parrocchiale

per le Famiglie, situato nell’ex giardino dell’Episcopioe nei locali della vecchia casa parrocchiale, con ingres-so in Via S. Lorenzo, nel cuore del Centro Storico. Dopo diversi anni di lavori e di ristrutturazione, grazieal contributo e alla generosità di tanti volontari, final-mente è stato coronato un sogno! Il Centro Pastorale Parrocchiale denominato “IlGiardino” è stato realizzato per venire incontro alle aspet-tative di tante famiglie e per una adeguata attività pasto-rale parrocchiale.

È stato pensato per essere il luogo dove le famiglie,al completo, possono incontrarsi, stare insieme,scambiarsi delle idee, organizzare momenti di confrontoe dibattiti, tenendo presente in particolare la vita del-la coppia e l’educazione dei figli. Insomma, un’attività pastorale parrocchiale con al cen-tro …. la famiglia, in un clima di serenità e di amici-zia, dove piccoli e grandi, adulti e bambini, stanno beneinsieme.

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Scene di vita del Santo Vescovo

di SegniFederica Colaiacomo

TT ra le ricchezze e lo sfarzo decorativodella Cattedrale di Segni, la cappelladedicata al santo patrono Bruno spic-

ca per il prestigio delle sue pitture. Il ciclo di affre-schi, che avvolge tutte le pareti del piccolo sacel-lo, è opera di LAZZARO BALDI (1622 – 1703). Il Baldi fu un valente pittore italiano, attivo prin-cipalmente a Roma e nel Lazio. Fu dapprima allievo di F. Leoncini e in seguitoentrò a far parte della scuola di Pietro da Cortona,dove sembra abbia appreso le tecniche dell’affresco.

Perfezionò la sua tec-nica all’Accademia diSan Luca, fondata nel1593 da FedericoZuccari. Nella cappella dedicataa San Bruno, il pittoreha voluto esaltarne lafigura con dipinti alle-gorici e con scenetratte dai racconti del-la vita del Santo. Nella cupola, al centro,una splendida rappre-sentazione del Paradiso dai colorivivaci e luminosi. In alto sull’altare un piccolo riquadro che raffi-gura le Anime del Purgatorio, mentre nei quat-tro pennacchi angolari della cappella troviamoquattro figure che impersonificano le Virtù Episcopali:

la vigilanza, la pietà, la carità e il magistero. Sulla lunetta di sinistra è dipinto SanBruno, vestito da Benedettino,converte alcuni briganti, non sap-piamo se questo episodio sia real-mente avvenuto, ma sicuramen-te era chiaro il messaggio che conesso si voleva trasmettere. Nelle pareti laterali troviamo raf-figurati altri episodi della vita delsanto. A destra uno dei tanti mira-coli che San Bruno operò in vita: “La liberazione di una osses-sa, durante la messa pontifi-cale a Vallefredda (Frosinone)vicino Cassino”. L’affresco di sinistra, invece, rap-presenta forse uno degli episodipiù salienti della vita di SanBruno, che lo portò poi ad esse-re per lungo tempo vescovo del-la Diocesi di Segni:“San Bruno confuta l’ereticoBerengario di Tours che nega-va la presenza reale di Gesùnell’Eucarestia, nel sinodo roma-no del 1079, alla presenza di papaGregorio VII, di Vescovi e altripersonaggi” (l’ultimo in alto a destraè l’autoritratto del pittore).

Si dice, infatti, che ilPontefice rimase tal-mente colpito dalbellissimo e signifi-cativo discorso diBruno che lo chiamòa Segni, dove lasede vescovile eravacante, e lo feceeleggere da tutto ilCapitolo e dal popo-lo intero a Vescovodella città. Si narra ancora cheBruno era nell’animamolto tormentatoperché non si senti-

va pronto per ricoprire un simile ruolo. Ma in sogno, mentre tentava di fuggire dalla cit-tà, fu fermato da una Signora, la personifica-zione della Chiesa, sua sposa, che lo fermò elo fece tornare indietro, facendogli accettare ilsuo destino. Questo episodio è ricordato dal-l’affresco “Bruno Redi”, che possiamo vedere,conservato all’interno di un’edicola, all’imboc-

co di via Traiana. Un personaggio importante per Segni e a cuila città è legata da una profonda devozione, per-cettibile, oltre che a livello artistico, anche nel-la memoria e negli animi di tutti i cittadini.

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Sara Calì

OO gni mese offre momen-ti di devozione e di rifles-sione che si amplificano

nei mesi estivi di luglio e ago-sto, quando le giornate lunghee assolate accrescono la vogliadi uscire e di stare insieme trafeste e sagre di paese. Ad Artena il 22 luglio si festeggia SantaMaria Maddalena, la peccatrice pentitache lavò i piedi a Gesù e glieli asciugòcon i capelli, soggetto ricorrente nell’i-conografia cattolica, amato da tanti pit-tori che hanno dato vita a capolavori comela Maddalena penitente di Caravaggio.La Santa, Patrona di Artena, si onora concelebrazioni religiose con una lunga pro-cessione e con iniziative civili: unpo’ di anni fa era stata ripristina-ta, con grande soddisfazione deicittadini, la fiera che un tempo offri-va ai contadini l’occasione di rin-novare le botti, comprare il maia-lino e acquistare attrezzi agricoli. La fiera, purtroppo, non si è rin-novata più, mentre è rimasta anco-ra, in qualche famiglia amantedella tradizione, l’abitudine di festeg-giare con le tagliatelle, il pollocon i peperoni e il primo coco-mero, tipico menù artenesedelle feste. Ancora a luglio si ricordano San Gioacchino e Sant’Anna, geni-tori della Madonna, che non han-no una festa specificatamen-te dedicata a loro, ma trova

no ancora in qualche proverbio la trac-cia di una devozione anticamente pra-ticata, in particolare si usa dire:<<Sant’Anna provvede e manna>>, inriferimento alla protezione invocata e rice-vuta dalle partorienti, dalle lavandaie, dal-le ricamatrici di cui è protettrice, oltre ai

falegnami ai naviganti e ai mina-tori. Passando poi al mese suc-

cessivo, tra le tante ricorrenze lapiù celebrata, oltre al 15 agosto,

giorno dell’Assunzione in cielo del-la Beata Vergine Maria, diventato

un fenomeno di costume a tutti notocon il nome pagano di Ferragosto, rima-

ne il 10 agosto, giorno di San Lorenzo. La suggestiva ricorrenza, legata alla con-templazione delle stelle nel cielo estivo,è “celebrata”, da qualche anno, anchead Artena, dove è invalsa l’abitudine direcarsi, di notte, a “Piano della Civita”,dove, tra le fiammelle delle torce e lo scin-tillio delle stelle cadenti, si tengono con-certi e dibattiti d’astronomia, tra le rovi-ne dell’antica civita romana e la magi-ca atmosfera della grotta del Catauso,in ricordo di quelle lacrime che San Lorenzo,

martirizzato durante la per-secuzione di Valeriano nel258, avrebbe versato duran-te il supplizio: <<San Lorenzo, io lo so per-ché tanto/di stelle per l’ariatranquilla/arde e cade, per-ché sì gran pianto/nel con-cavo cielo sfavilla>>, comemestamente cantava GiovanniPascoli (Myricae, X agosto).

Nelle immagini:S. Maddalena portata in cielo,

Domenichino, 1620, San Pietroburgo e

Nascita della Vergine,Vittore Carpaccio, 1504,

Bergamo

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Francesco Canali

UUno dei momenti più importanti dellavita religiosa di una comunità, era lapredicazione delle SS. Missioni,

durante le quali veniva coinvolta tutta la popo-lazione a cominciare dall’amministrazionecomunale che provvedeva all’alloggio e alla “legna”per il riscaldamento della casa dei padri mis-sionari. Prima della fondazione della Congregazionedei Chierici scalzi della SS. Croce e Passionedi N.S. Gesù Cristo (1720), più conosciuti comePadri Passionisti, le SS. Missioni a Gavignano,come negli altri luoghi del basso Lazio, eranotenute quasi esclusivamente dai Padri Gesuitie dai frati Cappuccini. Famose le Missioni pre-dicate a Gavignano agli inizi del Settecento dalgesuita Beato Antonio Baldinucci e dal grandemissionario francescano S. Leonardo da PortoMaurizio. Dalla fine del Settecento, dopo l’insediamentonel vicino convento di S. Maria di Pugliano neipressi di Paliano, i Padri Passionisti saranno “dicasa” a Gavignano sia nel predicare le SS. Missioniche per questuare. Le SS. Missioni avevano una durata dagli ottoai quindici giorni e si tenevano generalmente nelperiodo dell’Avvento e della Quaresima. Soventeperò, potevano essere indette anche in circo-stante particolari come per implorare il perdo-no e la clemenza di Dio durante una pestilen-ze, per invocare la pioggia o allontanare le care-stie ecc. o, come nel presente caso, in ringra-ziamento per il “tanto sospirato” ritorno del PonteficePio VII a Roma dopo la caduta di Napoleone.Il vescovo di Segni mons. Paolo Ciotti (1784-1819) dopo il solenne Te Deum di ringraziamentonella cattedrale, il 12 ottobre 1815 pubblicavaun Editto per la preparazione delle SS. Missionida tenersi durante il periodo dell’Avvento in tut-te le comunità della diocesi. Dopo aver ricordato

il “crit icoperiodo deipassati tem-pi”, poten-do ora “laChiesa e isuoi ministriliberamentee senzatimore semi-nare e spar-gere la paro-la di Dio conzelo e liber-tà di spirito”, si rivolge ai“direttissimifigli” affin-ché accol-gano i mini-stri e la paro-la di Dio nel

rispetto delle seguenti norme:1) Ogni giuoco di qualunque sorte, tanto in pub-blico che in privato, sia ridotto sotto la pena anostro arbitrio.2) In tempo di predica, catechismo o altra pub-blica funzione tenuta dai Missionari, vogliamoe comandiamo che le botteghesiano chiuse e ancora, quelledi prima necessità, almeno soc-chiuse con lo sportello.3) Come ancora ordiniamo chetutte le bettole e osterie, spac-cio pubblico di vino, siano in taltempo chiuse, né sia lecito adalcuno ivi intrattenersi se noni forestieri di semplice passaggio. 4) Proibiamo ogni combricco-la, tumulto, adunanze pubbli-che con parole indecenti nel-la pubblica piazza mentre si pre-dica.Il decreto terminava con l’e-sortazione rivolta ai fedeli nel“voler disporre i cuori per rice-vere la parola di Dio degnamenteper ricavarne copiosi frutti col-la mutazione dei costumi e lapacificazione di tutti”. Scopo prin-cipale delle SS. Missioni era infat-ti sia la conversione dei peccatori, che la paci-ficazione tra individui e intere famiglie, riappa-cificazioni che si tenevano pubblicamente tra lacommozione generale dei presenti. Fungevanoda mediatori i cosiddetti “pacieri” nominati conil compito specifico di far riconciliare le fazio-ni avverse. Nell’anno 1809 per motivi di interessi non “benchiari”, Tommaso Rossi aveva ucciso con un col-po di archibugio mastro Gaspare Tucci.L’episodio aveva suscitato un enorme scalpo-re tra la pacifica e “timorata” popolazione di Gavignano,anche per la notorietà dei due protagonisti. MastroGaspare Tucci era nato nel 1769 da Giuseppee Maria Azzocchi. Il titolo di mastro, gli era sta-to attribuito in quanto appartenente ad una impor-tante famiglia di artigiani. Un suo avo, il mastro-falegname Alessandro,era uno dei artisti più apprezzati del compren-sorio. Nel 1704 aveva lavorato nella chiesa diS. Maria Assunta e nella sacrestia della catte-drale di Segni. Nel 1710 unitamente ad un “mae-stro romano”, impianterà la cassa armonica del-l’organo della chiesa madre di Gavignano costrui-to dal celebre organaro Cesare Catarinozzi diAffile. Nel 1793 sposa Teresa de Biasi dalla qua-le avrà tre figli, Giuseppe, Luigi e Francesco.L’uccisore Tommaso Rossi, era nato nel 1771da Francesco e Deodata, sorella del famosocapitano Francesco Baiocchi, l’uomo più facol-toso del paese e uno dei più importanti perso-naggi della Marittima e Campagna, essendo sta-to per molti anni a capo dell’Annona di Roma .

Nel 1794 aveva sposato Lavinia figlia diGiacinto Nardi, appartenente alla più antica eprestigiosa famiglia gavignanese, dalla quale avràtre figli, Giuseppe, Rosa e Luigi. Per sfuggirealla condanna certa, l’omicida si era “dato allamacchia” lontano dai confini dello Stato dellaChiesa. Trascorsi sei lunghi anni e “annoiato dal-la lunga contumacia, spinto anche dal deside-rio di riunirsi alla sua diletta madre, alla mogliee ai figli”, l’omicida aveva espresso desiderio diritornare in patria al fine di “ottenere dal

Supremo Tribunale la sospi-rata assoluzione del suo delit-to, anche con discreto consensodei danni”. L’accettazione del-la domanda era però subor-dinata al perdono accordatodai “consanguinei” dell’ucciso.L’opportunità si presentò conla SS. Missione sopra enun-ciata da mons. Paolo Ciotti. Il“Capo Missionario” PadrePassionista, accertato il sin-cero pentimento del contumace,nominò due “pacieri e media-tori” nelle persone di Pietro Gorgae Luigi Baiocchi con il compitodi “interporsi tra l’omicida e ifamiliari”, persuadendo quest’ultimia “dare consenso e pace per-petua all’uccisore”. “Dubbiosie sordi alle domande deisigg. pacieri”, i familiari dell’uccisorimasero però “folgorati e

scossi” dalla predica fatta dal Padre Missionariodal pulpito della chiesa sull’esempio di Gesù Cristoche “benché crocifisso sulla croce perdonò i pro-pri carnefici”.Il giorno 18 dicembre 1815 nella residenza delsig. Francesco Antonio Nardi situata in “costacalda”, allapresenza del Notaro Pubblico Carlo Felici, delsacerdote don Giuseppe Ricci, del sig. TommasoSinibaldi, dei Padri Missionari e di tutti i “con-sanguinei” dell’ucciso ossia; “Il sacerdote donTommaso deBiasi zio del-l’ucciso mastroGaspare Tucci;Teresa deBiasi mogliedel medesi-mo; Giuseppe,Luigi eFrancesco dilei figli; Mariae Marta di leifiglie; Teresa,Clementina eRosa sorelledel suddettoGaspare; Luigi,e Francescofratelli ger-mani della sud-detta Teresaved. Tucci,

La Santa Missione a Gavignano di

Campagna del 1815

Foto 1

Foto 3

Foto 2

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accordavano “ spontaneamente il divisato con-senso e pace perpetua a favore del contuma-ce Tommaso Rossi, figlio del fu Francesco daGavignano, acciò possa essere assolto dall’o-micidio commesso contro la persona del fu GaspareTucci e riacquistare la sua libertà e far ritornonella sua patria, assolvendolo e liberandolo dal-la suddetta gravissima accusa con perdono gene-

rale”. I familiari di Tommaso Rossi dal canto lorosi obbligavano a risarcire la parte offesa con lanotevole somma di centocinquanta scudi da ver-sarsi la metà alla stipula del contratto e la restan-te in due rate. In esecuzione a quanto disposto, i primi settantacinquescudi furono versati da Deodata Baiocchi, mogliedi Francesco Rossi e madre del contumace eda Lavinia figlia del fu Giacinto Nardi e mogliedi Tommaso “in tante monete d’oro e d’argen-to di giusto peso, buone, papali, alla presenzadi don Tommaso Tucci, della moglie Teresa edei figli Giuseppe, Luigi e Francesco”…tutti dichia-ratisi “ben contenti e soddisfatti”.Il pagamento dell’ingente somma, era stato pos-sibile in quanto, come visto, sia la madre chela moglie dell’omicida, appartenevano alle duefamiglie più importanti e facoltose del paese; iBaiocchi e i Nardi appunto! Per quanto riguar-da il pagamento dei restanti settantacinque scu-di, non potendo la “suddetta madre Deodata ela moglie Lavinia obbligarsene come donne legit-timamente e validamente senza la necessariasolennità ordinate dalle leggi”, fece da garanteil sig. Luigi Baiocchi figlio del Capitano FrancescoBaiocchi e cugino di Tommaso che firmò un “paghe-rò” offrendo in garanzia i suoi numerosi beni.La S. Missione aveva raggiunto il suo scopo !Grazie all’opera di mediazione dei PadriPassionisti e alla lauta ricompensa, l’omicida ave-

va ottenuto il sospirato perdono e la parte offe-sa era stata risarcita in “moneta sonante”...Per la cronaca, i tre figli di Gaspare Tucci, il pri-mo Giuseppe classe 1795, vestirà l’abito tala-re e sarà per molti anni l’organista ufficiale del-la chiesa di S. Maria Assunta fino al 1868 annodella sua morte. Luigi, classe 1799, sposeràAngela Manni dalla quale avrà tre figli Giacinta,Filomena e Pietro. Morirà nel 1877. L’ultimo Francesco,scapolo, nato nel 1801, vivrà insieme al fratellosacerdote. Morirà nel 1874. Didascalie delle foto:I Padri Missionari Passionisti erano soliti collocareall'ingresso delle città, una croce in ricordo delle SS.Missioni. Attualmente a Gavignano si sono conser-vate in buono stato quattro di queste reliquie. Foto 1: E’ quella che si trova più lontana dal cen-tro abitato nei pressi del cimitero. E' probabile chesi trovasse all'ingresso del paese e ivi piantata neglianni cinquanta del secolo scorso. Foto 2: E' la croce più antica esistente aGavignano, probabilmente della fine del secolo scor-so posta al vecchio ingresso del paese nei pressi diPorta Napoletana. Foto 3: La croce originariamente si trovava all'ingressodel paese in località “Muriato”. Asportata, è stata ricol-locata non lontano dal luogo della sua originaria col-locazione. Foto 4: E' una bellissima croce molto lavorata postaa sud lontano dal centro abitato. la croce ha datoorigine al toponimo “Croci tonna”...

Francesco Canali

AAnche questo anno, come è oramaitradizione da oltre due secoli, i gavi-gnanesi hanno commemorato con

una S. Messa nel Santuario di S. Rocco, i Prodigioperati dalla Madonna delle Grazie nell’anno 1796. Sull’imbrunire della sera del 9 luglio di quell’anno,la statua della Madonna cominciò improvvisa-mente ad emanare una luce splendente che risul-tò provenire dal “movimento meraviglioso”degli occhi.Del Prodigio, oltre alla tradizione orale, l’unicafonte esistente è una “memoria” trascritta dal-l’arciprete don Domenico Gorga nel 1868.Il pio sacerdote per tramandare ai posteri l’ec-cezionale avvenimento, fece sottoscrivere adalcune, tra le persone più in vista e di provatafede del paese, una dichiarazione a confermadella veridicità dei fatti. Questo in sintesi il documento:« La sera del 9 luglio dell’anno 1796 alcune per-sone, quasi tutte donne, stavano facendo ora-zione dopo un’ora di notte avanti la chiesa diS. Rocco di Gavignano ed erano precisamen-te avanti la finestrella che corrisponde all’alta-re della Beata Vergine delle Grazie, quando improv-visamente videro ad un tratto entro la nicchia

un lume a somiglianza di una stel-la rilucente che girava intorno allasacra statua.Non conoscendo cosa potesse ciòessere e vedendosi tale fenomenocostantemente e visibilmente datutte le presenti, si pensò dalle mede-sime di chiamare il custode del-la chiesa onde vedere da vicinocosa fosse quel lume che così gira-va. Fu veduto in seguito che quellume altro non era se non un segnodel movimento degli occhi che inquel punto incominciava ad ope-rarsi nella statua stessa quale siosservò da tutti gli astanti ripe-tutamente con i lumi che furonoaccesi ». I prodigi continuarono per tutto ilmese di luglio con grande con-corso di fedeli provenienti da mol-ti paesi circostanti. “ Fu tanta la devozione e la fiducia che tutti con-cepirono verso la Madonna delle Grazie, pro-segue la “memoria”, che infermi, storpi, idropi-ci ed altri languenti, specialmente Anagnini, otten-nero favori e furono guariti”. Fu anche istituito un regolare Processo

Canonico Diocesano i cui atti, al momento, risul-tano irreperibili.Grazie alla “memoria”, i gavignanesiancora oggi si rivolgono fiduciosi alla loro MadreCeleste per chiedere grazie spirituali, verso quel-la “Mater divinae Gratiae” che da allora accom-pagna i passi dei suoi devoti.

I Prodigi operati a Gavignano il 9

luglio 1796

Foto 4

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Alessandro Ippoliti

CC on l’editto del 313 d. C. l’imperato-re Costantino sanciva la fine delle per-secuzioni cristiane e concedeva

loro la libertà di culto, ordinando egli stesso lacostruzione di tre grandi basiliche nella città diRoma, San Pietro in Vaticano, San Giovanni inLaterano e San Paolo fuori le mura. Questo even-to moltiplicò l’espressione religiosa dei cattoli-ci, alcuni dei quali per soddisfare la loro esigenzaspirituale, cioè quella di pregare,realizzarono del-le piccole strutture,con all’interno una effige sim-bolica, dette “edicole sacre”.Inizialmente il fenomeno si propagò quasi esclu-sivamente negli ambienti rurali, anche se in que-ste comunità il numero dei pagani era supe-riore;mentre, questi piccoli ma graziosi tempiettiebbero nelle città una lenta ma progressiva con-siderazione. Essi erano sistemati nei crocevia,nei ponti, nelle piazzette, nelle porte d’ingres-so di ogni paese e città. I credenti affidavanoalle edicole sacre una preghiera in forma di desi-derio,di supplica odi ringraziamento per farla giun-gere alla misericordia di Dio nella forma più imme-diata e semplice. Che cos’è la preghiera? Lapreghiera è comune a molte confessioni religiose,nasce come espressione di spiritualità ed è rivol-ta alle rispettive divinità. La preghiera può esse-re composta per formulare una richiesta, un rin-graziamento o una lode. Quest’ultima esprime

l’esigenza dimantenere uncontinuo con-tatto con Dioed insegue lasperanza disalvare la pro-pria ani-m a . N e l l ageneralità lalode è unapreghiera digruppo det-tata dalla chie-sa per ognispecifico con-testo e la più

comune è il “SantoRosario”recitato sin dal XIIsecolo dall’ordine reli-gioso dei Domenicani.Nel XVI secolo diventasempre più presente ladevozione alla Madonna,e grazie anche all’impe-gno di S. Filippo Neri (ilfiorentino di Roma detto“Pippo buono”) il mese dimaggio viene dedicato allamadonna e denominato,“Mese Mariano”. Non acaso la maggior parte del-le edicole sacre sono dedi-cate alla Madonna e perquesto conosciute anche

sotto il nome di “Madonnelle”. Fonti laiche sosten-gono che il mese Mariano nella realtà sia unasovrapposizione alle feste pagane che fino alMedio Evo si svolgevano per onorare la natu-ra in fiore. Questa pratica viene individuata coni Ludi Florealia, in onore della dea Flora,men-tre il 30 di maggio con unacerimonia pubblicasi invocavaCerere, dea della fertilità deicampi.Il Mese Mariano a Montelanicoera particolarmente sentito:in nove punti diversi delpaese ed alla stessa ora, allequattro del pomeriggio, si reci-tava il rosario davanti l’immaginedella Madonna.In tutto il centro storico, pertutto il tempo che durava il rosa-rio, si osservava un rispettososilenzio. Le attività rumorosevenivano sospese senza chefosse necessaria la richiesta di rispettare la cir-costanza. Noi ragazzi uscivamo di casa portandola sediola alla nonna e ci astenevamo da qual-siasi esuberanza che potesse infastidire le mam-me e le nonne in preghiera. Prima e dopo la recita del rosario le partecipantisi concedevano qualche minuto di sano “chiac-chiericcio”; che serviva per mantenere una cer-ta cordialità nei rapporti di gruppo o per chiari-re qualche malinteso pre-cedentemente avvenuto. E’stato osservato che que-sta lode, recitata fuori dal-la sacralità della chie-sa,oltre alla funzione spi-rituale assolve anche quel-la sociale,poiché in questocontesto si creano le con-dizioni per un parlaremoderato, cordiale e quin-di risolutivo di molti dissa-pori. E’ possibile oggi affer-mare che questa sanatradizione, nonostante le dif-ficoltà di un passato non faci-le,abbia mantenuto per

secoli un clima, all’interno della nostra comu-nità,di spontanea solidarietà. Oggi il progressoeconomico nella sua generalità, comportandola modifica del nostro stile di vita, non ha dimen-ticato il rosario, mal’usanza di recitarlo davan-ti una edicola sacra è quasi del tutto scomparsa.La conduzione del rosario era affidata a don-ne carismatiche (e lo è tuttora); queste donnevenivano chiamate per affinità “Bizzoche”, in quan-to con il loro carisma costituivano una affidabi-le guida per qualsiasi funzione religiosa, in modoparticolare per dare inizio ad una preghiera,perintonare un canto e per scandire i momenti perstare seduti o in piedi.Ci corre l’obbligo ricordare alcune di queste one-ste ed operose conduttrici che sono state pro-tagoniste dal dopo guerra agli anni 60 del seco-lo scorso: Marietta e Onorina in Via S. Pietro;Rita e Marietta la Bizzoca in Via Don F. Raimondi;Colomba e Alba in Via XXV Ottobre; Antonia eFirmina in Via Cortevecchia; Lisandra e GiggiaIn P.zza Cavour; Iolanda in Via Garibaldi; Mariettain Via Garibaldi; Peppina, Antonietta e Augustain Via del Plebiscito; Giovanna la madre cristiana

e Richetta Ona in Via IVNovembre.Per chi volesse maggiori det-tagli su queste benemeritedonne deve chiedere ad AlbaPistolesi ultima grande “icona”di questo movimento bizzoca-le che nonostante la sua nonpiù verde età, continua a reci-tare il suo ruolo di guida cari-smatica.Il servizio sociale delle bizzo-che trae origine da una gene-rale evoluzione della Chiesa diRoma, nel XII secolo,dovespontaneamente si fondono nuo-

vi rapporti tra clero e devoti.Il fenomeno non fu solo italiano ma si sviluppòin tutta Europa. In Italia la donna che meglio harappresentato questo movimento laico è stataSanta Francesca Romana. Nata a Roma nel 1384è stata sposa e madre. Rimanendo vedova inten-sificò la sua attività di Bizzoca dedicandosi inte-ramente alle opere di carità. Nella prima metàdel Quattrocento fondò la Confraternita delle “Oblate

di Maria” il cui complesso mona-stico fu realizzato all’internodel palazzo gentilizio, detto Tordé Specchi, in Via del TeatroMarcello. All’interno del con-vento uno splendido ciclo diaffreschi, opera di AntoniazzoRomano, tratteggia la vita del-la Santa. Tutto l’ambiente con-ventuale, armoniosamenteordinato e suggestivo, affascina,rapisce, complice il sorriso ela semplicità delle Oblateche avvertono in ogni istan-te lo spirito della loro grandeMadre. Francesca Romana morìil 9 marzo 1440. Gli uomini era-

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no devoti alla Madonna? Si,in modo specifico allaMadonna nera di Loreto. Ladevozione era espressa inun modo folkloristico. Infatti,a ricordo del passaggio del-la Santa Casa, così detta,poiché nella stessa laMadonna avrebbe ricevu-to l’annuncio della nascitadi Gesù, la notte tra il 9 eil 10 dicembre alle ore

tre,l’evento veniva salutatocon dei colpi a salve d’arma dafuoco. La tradizione orale vuo-le che la Santa Casa per vole-re divino il 10 dicembre del 1294lasciò Nazaret e trasportata daangeli si fermò a Loreto.Altrettanta devozione è statamanifestata nei confronti di altreedicole sacre, come: la “Conadi San Giuseppe”, quella di “GesùCristo” e delle “Anime Sante”.La frequentazione avveniva a

partire dalla settimana successiva alla Pasqua,mentre l’ultima nata dedicata alla SS. Trinità, per-petua una tradizione e devozione che non si èmai interrotta.Ritornando alle nostre amate edi-cole sacre, è lodevole vedere persone che spon-taneamente si prendono cura dell’altarino cam-biando i fiori o la lampada della luce perpetua,ma ciò non limita l’inesorabile erosione del tem-po. Altrettanto spontaneamente bisognerebbeprendere iniziative per stimolare l’interesse ditutti affinché queste bellissime opere venganotutelate e conservate in quanto facenti parte del-la nostra storia culturale.

Gavignano festeggia il S. Patrono

S. Rocco

Francesco Canali

SSono oltre quattro secoli che a Gavignanosi festeggia S. Rocco come SantoProtettore. Era l’anno 1551 quando, in

ringraziamento per essere stati preservati dal-la peste “aeris corruptione” (in quel tempo era

infatti credenza che il morbo si tra-smettesse per via area), i gavi-ganesi eressero una “chieso-lina” in onore dei “BeatiMartirj Confesorj Sebastianj

et Rochi”, posta a circa tre-cento “passi” a sud del pae-

se in località chiamatacolle delle finestrelle con

annesso romitorio.Da quella data igavignanesi si rivol-geranno semprefiduciosi all’in-tercessione diSan Rocco edel compatro-no San

Sebastiano, nonsoltanto per scon-

giurare la peste oaltre malattie con-

tagiose come il cole-ra ecc. ma anche contro

le calamità naturali quali le care-stie, per implorare la pioggia ecc.

Ampiamente diffuso in tutto il Lazio meri-dionale e nella provincia di Roma, il culto

del Santo Taumaturgo è invece ben radicatonella diocesi di Segni, soltanto a Gavignano (intono minore a Valmontone e Segni), assurto agliinizi del Seicento a patrono e protettore dellacomunità che, contemporaneamente alla pro-mulgazione degli statuti (1616), si dotataanche del nuovo stemma, un ovale recante alcentro l’immagine del santo con intorno la scrit-ta “S. Roche Gabiniani Protector”.Erano trascorsi esattamente due secoli quan-do in occasione della festa del Santo Patronodell’anno 1751, il consiglio comunale decretòall’unanimità l’acquisto di una “nuova statua dilegno di San Rocco secondo la discritione ela volontà della comunità”. La statua in legno, alta cm.150, poggia su diun piedistallo anch’esso di legno e raffigura S.Rocco nella veste iconografica di un pellegri-no con una piaga ben visibile nella coscia sini-stra, il bastone o bordone nella mano e la mano

sinistra poggiata sul petto, i calzari da viaggiatore,due conchiglie (per attingere l’acqua) una a destrae un’altra a sinistra del pettorale e ai piedi il canecon in bocca la “pagnottella”. Il Santo è avvolto da un ampio mantello (al postodel sanrocchino), mentre non sono presenti laclassica “zucca” o borraccia e al posto del lar-go capello a larghe falde (per meglio proteg-gersi dalle intemperie), vi è un’aureola.L’edificio ove è collocata la statua del Santo Protettoree della Madonna delle Grazie, ha subito nel cor-so dei secoli numerose trasformazioni ed amplia-menti. Trascorso un secolo, in segno di rin-graziamento per essere stati liberati da una nuo-va pestilenza (1678), i gavignanesi decretaro-no di innalzare un nuovo edificio nello stessoluogo ove esisteva la primitiva “chiesolina”, edi-ficio che fu nuovamente ampliato in occasio-ne della cessazione del colera del 1854 e nel1909 grazie all’intervento dell’ arciprete-parro-co don Francesco Sinibaldi (1876-1962).Oggi come nei tempi passati, i gavignanesi festeg-giano ancora con grande “pompa” la ricorrenzadel Santo Protettore che cade il 16 agosto. Preceduta da una Santa Novena, il paese siappresta ad onorare il Grande Taumaturgo cheda secoli non ha mai cessato di stendere uno” sguardo benevolo sui suoi figli”.

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Prof. Antonio Venditti

NNel fervore della “Riforma” non potevamancare un nuovo sistema di forma-zione dei docenti della scuola del futu-

ro. Il Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini,con la determinazione che la contraddistingue,all’inizio dell’anno scolastico 2010/2011, ha pre-sentato il nuovo “Regolamento” di formazionedei docenti che si fonda su principi condivisi nonsolo nel presente, ma nel pluriennale dibattitosviluppatosi negli ultimi decenni del secolo scor-so e giunto fino al nuovo millennio, nel concretizzarsifinalmente delle proposte di riforma.C’è da ricordare che il Ministro, pochi mesi dopoil suo insediamento, ha posto termine, con lamotivazione che incrementava il precariato, allecosiddette SSIS (Scuole di Specializzazione perl’Insegnamento Secondario) cioè corsi abilitantidi formazione universitaria dei docenti già lau-reati, che s’ispiravano agli stessi principi basi-lari del nuovo sistema, con risultati non corri-spondenti alle attese, dal momento che i nuo-vi giovani abilitati, rispetto agli altri, in generenon hanno raggiunto l’eccellenza auspicata.Il “Regolamento” ministeriale riguarda tutti i futu-ri insegnanti con simili modalità, a cominciaredal numero degli ammessi, fissato in base al fab-bisogno e sottoposto ad una “selezione seve-ra”, nell’obiettivo del “passaggio dal sapere alsapere insegnare”. Anche per i docenti della scuola primaria e del-l’infanzia, è prevista una laurea quinquennaleed un percorso abilitante, perfezionato dal tiro-cinio di durata annuale nelle istituzioni scolastichedel sistema nazionale d’istruzione (statali e pari-tarie), sotto la guida di un docente tutor.Per i docenti della scuola secondaria di primoe secondo grado, le lauree “magistrali” si rap-porteranno alle classi di concorso, ridefinite recen-temente; l’anno di “tirocinio formativo attivo” saràdi 475 ore (di cui 75 dedicate alla disabilità). Èanche stabilito un regime transitorio per permettereai laureati di conseguire l’abilitazione all’inse-gnamento, con evidente incremento dei “precari”aspiranti alla stabilità.

Per mettere ben a fuoco il complesso proble-ma, è indispensabile il riferimento al reclutamentodei docenti negli ultimi cinquant’anni. Innanzitutto,c’è da dire che nella scuola italiana del dopo-guerra sono presto venuti meno i vecchi model-li organizzativi, con accelerazione determinatadall’esplosione della scuola di massa, che, obbli-gatoria a partire dal 1962 per otto anni, si esten-deva presto al di là della preadolescenza, essen-do frequentata nel livello superiore dalla stra-grande maggioranza dei giovani, molti dei qua-li usufruivano del “libero” accesso all’Università,anche se con vicende spesso incerte ed incon-cludenti. Si comprende quale bisogno di docen-ti ci fosse in quei tempi e, in assenza di abili-tati nelle varie discipline di insegnamento, le nomi-ne venivano effettuate, in base ai titoli di stu-dio, non sempre specifici ed anche non universitari,con conseguente calo della qualità dell’istruzione.Questo perché il rigoroso sistema di reclutamento,consistente in un concorso di abilitazione, che,in caso di esito positivo, dava diritto a parteci-pare al concorso a cattedre – entrambi i con-corsi a livello nazionale – era di difficile appli-cazione e , dati i tempi lunghissimi di svolgimento,non poteva corrispondere alle esigenze di rapi-da espansione della scuola. Ha avuto allora inizio il fenomeno del precaria-to, nel senso che la maggior parte dei docentinon erano di ruolo, ma supplenti annuali. I Ministridella Pubblica Istruzione degli anni sessanta-settanta, prima favorirono l’immissione in ruo-lo degli abilitati, ai quali era già stato conferitoun incarico triennale, con concorsi per soli tito-li; e successivamente, nel tentativo di risolve-re radicalmente il problema del precariato, esco-gitarono i cosiddetti “corsi abilitanti”, sostitutividei concorsi di abilitazione e dei concorsi a cat-tedra.; al termine della preparazione, si soste-nevano esami scritti ed orali, per conseguire l’a-bilitazione. Tutti i docenti, in tal modo, ebberol’opportunità di abilitarsi e poterono essere immes-si in ruolo nel giro di alcuni anni. Il Ministero della P.I. avrebbe potuto agevolmentedettare le nuove regole per l’accesso alla docen-za, ma purtroppo non lo fece permettendo il ripro-

dursi del fenomeno del precaria-to, anche perché un supplente costa-va e costa allo Stato sicuramen-te meno di un docente di ruolo. Ed i “corsi abilitanti”, perduto il carat-tere di eccezionalità, divennero unsistema di continuo accessoall’insegnamento, con l’incre-mento del precariato. La formazione “magistrale” degliaspiranti docenti in ambito universitario– obiettivo principale del nuovo siste-ma di formazione dei docenti – inogni ordine e grado di scuola, dal-la primaria alla superiore, si fon-da necessariamente su una soli-da preparazione, riguardante la disci-plina di insegnamento, ma proseguecon tutto ciò che è necessario pertrasmettere le conoscenze inmaniera efficace, in modo che ne

derivino effettive competenze. Centrale è il ruolo della didattica, la scienza del-l’intervento educativo ed una delle scienze del-l’educazione che sono parte integrante degli stu-di, perché non si può insegnare senza conoscereil “soggetto”, ossia il fanciullo, l’adolescente, ilgiovane, che è al centro dell’azione educativa,nel processo di insegnamento-apprendimento.Non basta quindi la conoscenza teorica, ma neces-sita la pratica, per evitare che la mancata espe-rienza possa far correre dei rischi agli alunni,che, invece di essere aiutati, verrebbero dan-neggiati da interventi inadeguati se non addi-rittura sbagliati dei docenti. Il tirocinio dell’aspirantedocente, per un anno intero, in una classe rea-le di alunni, permetterà di “imparare ad insegnare”in maniera concreta.Dal prossimo anno accademico dovrebbe par-tire tale nuovo sistema di formazione dei futu-ri docenti della scuola. I nuovi docenti, al ter-mine del percorso formativo, “entreranno subi-to in servizio” : così ha dichiarato il Ministro, cheritiene anche risolvibile il problema del preca-cariato : gli oltre duecentomila docenti abilita-tati già iscritti nelle graduatorie, potranno esse-re assorbiti in sei-sette anni, a seguito dei pen-sionamenti. Su tale previsione ministeriale c’èmolto disaccordo, perché le misure di rigore mes-se in atto dal Governo oggettivamente contraddiconotale ottimismo : infatti la diminuzione dell’ora-rio di insegnamento (negli istituti tecnici e pro-fessionali, in particolare) e l’aumento del nume-ro di alunni per classe hanno ridotto conside-revolmente il numero delle cattedre esistenti esono destinati ad aumentare gli anni di servi-zio, con restrizioni ai pensionamenti. La protesta dei precari della scuola non ha avu-to sosta negli ultimi tempi, in forme anche ecla-tanti e dolorose come gli “scioperi della fame”.Non si tratta di giovani docenti alle prime espe-rienze, ma uomini e donne anche cinquanten-ni, che vedono allontanarsi sempre più il“miraggio” di un incarico, non a tempo indeter-minato, ma almeno annuale, per sostentare sestessi e le famiglie a carico. Ed un gran nume-ro di loro che, fino all’anno scolastico 2008/2009,

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avevano la sicurezza di un incarico annuale “finoal termine delle attività scolastiche”, di fatto rin-novabile dopo il “licenziamento estivo”, si sonoritrovati senza incarico ed hanno potuto spera-re solo in supplenze assegnate dai Dirigenti sco-lastici, in una precarietà per loro inaccettabile,trattandosi di docenti da anni abilitati all’insegnamento,che fino ad ora mai si erano visti privati dell’annualitàdi servizio, intesa come premessa alla sistemazionedefinitiva, in tempi ragionevoli.Non si deve nascondere la gravità di tale situa-zione che, a ben riflettere, pregiudica il buon ini-zio della Riforma, che non può applicarsi sen-za la convinta adesione dei docenti, i quali devo-no essere sereni nel presente e nello sviluppofuturo della loro condizione. Mentre si presenta il “Regolamento” del reclu-tamento futuro, quindi riguardante giovani cheaspirano ad entrare nel servizio scolastico, sideve riconoscere la dovuta priorità di sistema-

zione a quelli meno giovani o addirittura viciniad essere anziani, che sono stati dallo Stato abi-litati all’insegnamento e hanno effettuato un lun-go “tirocinio”, talvolta di decenni all’interno del-l’istituzione scolastica, di cui hannogarantito il funzionamento, anche inmaniera egregia, se hanno sentito ildovere dell’aggiornamento o, inmancanza di iniziative ministeriali, han-no sviluppato un prezioso autoag-giornamento.Più volte si è sottolineata l’esigenzadel rinnovamento e sempre sono sta-te apprezzate le iniziative innovatri-ci, che hanno trovato una lodevoleaccelerazione negli ultimi anni. Resta però evidente che le vere e gran-di riforme hanno bisogno di un climapositivo di condivisione e, una voltache ne sia accettata la necessità, non

bisogna aver fretta e non si devono ignorare idiritti pregressi, né sottovalutare i problemi uma-ni e le legittime aspirazioni delle persone in atte-sa di stabilizzazione.

Mara Della Vecchia

LL ’incidenza dell’opera di Olivier Messiaen sulla musica del XXsecolo fu molto complessa e particolare. Egli ebbe un percorsomolto personale pur facendo parte della numerosa schiera di musi-

cisti che animarono il territorio della sperimentazione musicale e ten-tarono di aprire nuove strade che potessero permettere di esprimerele mutazioni rapide e tragiche dell’Europa del ‘900.Ricordiamo personalitàcome Werbern, Schoenberg,che hanno esplorato le viedi un nuovo sistema musi-cale che superasse latonalità, e ancora compo-sitori quali Stravinsky,Bartòk, Varèse, i qualihanno cercato la strada delrinnovamento soprattuttonel ritmo, in quest’ultimogruppo si colloca Messiaen,in quanto la sua ricerca diuna musica libera dagli sche-mi, fino allora utilizzati, sipercepisce particolarmentedal punto di vista ritmico.Messiaen nacque adAvignone nel 1908 e nel1931 ebbe il primo incari-co come organista nella chie-sa della Trinità a Parigi.Questa attività ispirò unavasta produzione organi-stica, dettata non solodalla pratica quotidiana diimprovvisazione con lo stru-mento, ma soprattutto dalfervore mistico e religioso che lo guidò per tutta la vita. Ascension del1934 Les corps glorieux del 1939, Messe de la Pentecote del 1950sono tutte le opere che testimoniano l’intenso lavoro dedicato alla musi-ca organistica, in particolare sacra.Egli era un credente animato da grande spiritualità, la musica era pote-va essere un mezzo per tradurre i momenti di misticismo, esprimere lameditazione e la contemplazione della natura come opera di Dio.

Proprio nel mondo naturale Messiaen trovò una fonte di sperimenta-zione molto feconda: era molto attratto dall’ornitologia. È un mondo questo piuttosto battuto dai musicisti, moltissimi sono gliesempi di composizioni ispirate al canto degli uccelli, probabilmente ilverso di questi animali ci affascina così tanto perché è simile alla voceumana, perché i loro lunghi vocalizzi perfetti nell’intonazione e nella varie-tà ci sembrano la musica giusta, da imitare. Messiaen compose un inte-ro catalogo degli uccelli per pianoforte, indicando con precisione e meti-

colosità , ogni variazione di colore e di ritmo, come se fosse non unmusicista, ma piuttosto un naturalista. La sua produzione comprende molta musica sacra che testimonia lasua profonda fede, ma questa raccolta dedicata agli animali che più cicomunicano l’idea della libertà, costituisce, forse un segno ancora piùmarcato, rispetto a tutte le composizioni sacre dell’autore, della sua per-sonalità spirituale intessuta di misticismo.

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Raffaello Sanzio, La Trasfigurazione,1518-1520, Pinacoteca Vaticana.

Don Marco Nemesi*

LL ’opera fu commissionata nel 1517 a Raffaellodal cardinale Giulio de’ Medici, il futuropapa Clemente VII, per essere destina-

to alla cattedrale di Narbona. Per questa stes-sa cattedrale il cardinale ordinò un quadro anchea Sebastiano del Piombo, sul tema dellaResurrezione di Lazzaro. Questa circostanza fu di particolare significato,perché Sebastiano del Piombo apparteneva allacerchia di Michelangelo ed è indubbio che que-st’ultimo abbia aiutato il pittore veneziano a rea-lizzare la sua opera. Per Raffaello, quindi, si trattava di sostenere ilconfronto con il grande maestro fiorentino, dimo-strando di non essergli da meno. Tuttavia, il sog-getto a lui commissionato, la Trasfigurazione, nongli consentiva di elaborare un’immagine di gran-de struttura e complessità.Raffaello, per dare maggior complessità e ric-chezza al suo quadro, decise di inserirvi non solol’episodio della Trasfigurazione, ma anchequello successivo della guarigione dell’osses-so. In realtà la cosa non era molto plausibile sulpiano prettamente iconografico, e, in effetti, i dueepisodi, nel quadro di Raffaello rimangono visi-vamente separati tra loro, quasi due quadri col-locati uno sull’altro. Ma Sebastiano del Piomboaveva a disposizione un soggetto, quello dellaResurrezione di Lazzaro, che gli avrebbe con-sentito, come in effetti gli consentì, di rappre-sentare molti personaggi, in una composizionericca e dai notevoli toni drammatici. Da qui la scelta di Raffaello, di forzare l’icono-grafia della Trasfigurazione inserendovi anchel’episodio dell’ossesso, per meglio competere conil quadro di Sebastiano del Piombo.La pala accosta quindi, per la prima volta dueepisodi trattati dai Sinottici: in alto la Trasfigurazionedi Cristo, sul Tabor, con gli apostoli (Pietro, Giovannie Giacomo) prostrati per la sfolgorante manife-stazione divina di Gesù, affiancato dalle mani-festazioni sovrannaturali di Mosè ed Elia, pro-feti nelle cui parole si prevedeva l’accaduto; nel-la parte inferiore i restanti apostoli che si incon-trano con il fanciullo ossesso, con gli occhi sbie-chi e circondato dai parenti, che sarà miraco-losamente guarito da Gesù al ritorno dal MonteTabor. In alto a sinistra si affacciano poi i santiFelicissimo e Agapito, la cui festa si celebravail 6 agosto, giorno anche della solennità dellaTrasfigurazione: si tratta quindi di un inserto lega-to a un significato liturgico. Secondo altri si tratterebbe invece di san Pastoree san Giusto, protettori di Narbona. Interessanteè il dolce paesaggio del tramonto che si vedesulla destra, una rara notazione che chiarisce

l’ora del giorno. Particolarmente spettacolare èl’uso della luce, proveniente da fonti diverse econ differenti graduazioni, nonché l’estremo dina-mismo e la forza che scaturisce dalla contrap-posizione tra le due scene. In definitiva si tratta di due composizioni circo-lari, una parallela al piano dell’osservatore, inalto, e una scorciata nell’emiciclo di personag-gi in basso. Il gesto di Cristo che si libra in volosollevando le braccia, estrema sintesi personaledell’energia michelangiolesca, era già stato spe-rimentato in figure minori di affreschi o in ope-re come la Visione di Ezechiele, anche se quiacquista una vitalità e un’eloquenza del tutto ine-dita, dando il via a reazioni a catena che ani-mano tutta la pala. Come nel testo evangelico,“il suo volto risplendette come il sole, le sue vesti

divennero bianche come la luce”. La nube chelo circonda sembra spirare un forte vento cheagita le vesti dei profeti e schiaccia i tre apo-stoli sulla piattaforma montuosa, mentre in bas-so una luce cruda e incidente, alternata a ombreprofonde, rivela un concitato protendersi di brac-cia e mani, col fulcro visivo spostato a sinistra,sulla figura dell’ossesso, bilanciato dai riman-di, altrettanti numerosi, verso la miracolosa appa-rizione superiore. Qui i volti sono molto carat-terizzati e legati a moti di stupore, sull’esempiodi Leonardo da Vinci. La diversità tra le due metà,simmetrica e astrattamente divina quella supe-riore, convulsa e irregolare quella inferiore, noncompromettono però l’armonia dell’insieme, facen-done un assoluto capolavoro di movimento e orga-nizzazione delle masse. Lo stesso Vasari ricor-dò l’opera come “la più celebrata, la più bella ela più divina” dell’artista. Sull’asse verticale siconsuma, infatti, il raccordo verso la straordinariaepifania del Salvatore, che scioglie tutto il dram-

ma della metà inferiore in una contemplazioneincondizionatamente ammirata.Nel 1520, quando doveva essere forse a metàdella pala, Raffaello morì e in quella circostan-za, riporta Vasari, la Trasfigurazione fu collocatadavanti al suo letto di morte. Completata poi nel-la parte inferiore da Giulio Romano entro il 1522,non fu spedita in Francia perché il cardinale deci-se di trattenerla presso di sé, donandola soloin seguito alla chiesa di San Pietro in Montorio,dove decorò l’altare maggiore fino al 1797. Inquell’anno, infatti, in seguito al Trattato di Tolentino,l’opera, come molte altre, fu portata a Parigi erestituita solo nel 1816, con la Restaurazione.Pio VII decise allora di destinarla alla Pinacoteca.Raffaello primo – e unico – nella storia dell’ar-te si è cimentato con la giustapposizione dei dueavvenimenti; ed ha così accentuato ancor piùla trasparenza luminosa del Cristo e il buio del-la condizione umana, ma, soprattutto, ha indi-cato che quella luce è il destino dell’uomo.La critica pittorica, non cogliendo l’assoluta coeren-za teologica dell’opera, ha sovente discusso sul-le due parti del dipinto, attribuendo talvolta lamaggiore apparente raffinatezza della parte supe-riore luminosa a Raffaello stesso e la parte infe-riore, tenebrosa, a suoi discepoli. Si è semprediscusso, fin dal Settecento, circa il problemadell’unità tra le due parti del dipinto: unità stili-stica ed unità di racconto, che sono cose nondisgiunte tra loro. Questa discussione ha por-tato anche a fraintendere lo stesso significatodella parte inferiore: il fatto che l’accostamen-to dei due episodi sia sempre risultata incom-prensibile, dato che non si tratterebbe dimomenti contemporanei, ma successivi, dipen-de da un equivoco: la scena non rappresentain realtà la guarigione dell’indemoniato, comesi continua a ripetere, ma il precedente tenta-tivo di guarirlo, messo in opera dagli apostoli cheerano rimasti a valle, mentre il Cristo era sali-to sul monte Tabor. L’ossesso, circondato dai suoi cari e dai noveapostoli, è lì a manifestare l’umanità nella suaassenza di luce, a mostrare come l’umanità sem-bra inadatta di suo a contenere la luce divina.Dio e l’uomo sembrano – al di fuori di Cristo –come impossibilitati a toccarsi, tanto è lumino-so e ineffabile l’uno e tenebroso e concreto l’al-tro. La Trasfigurazione è la manifestazione delCristo nella sua identità di Dio e, quindi, di luceabbagliante ma, insieme, illuminante la sua inte-ra umanità. Gesù non è, come vorrebbero alcu-ni, un “illuminato”, ma è “la luce stessa”. Il Cristo è, come dice il Credo, “luce da luce”;pure questa luce è totalmente presente nella suacarne e nella sua umanità. Ogni discorso sullaTrasfigurazione – e così ogni sua rappresenta-zione iconografica - ha così, essenzialmente, ache fare con la realtà di Dio e quella dell’uomoe, sopratutto, con la compresenza totale dell’unanell’altra in Cristo.

*Dir. Uff. Diocesano beni Culturali

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