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Sabato 14 Novembre 2009 Anno 1, n. 7 • Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009 • E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele Nelle commissioni invalidi civili tanti politici, alcuni le presiedono Anomalia tutta siracusana. Un concentrato di conflitti d’interesse, anche dei medici di famiglia Pippo Russo: “Troppe stalle infette da TBC” PAG. 5 AGROTECNICI Chi ha ucciso il soldatino di Francofonte? PAG. 16 (De Michele) ULTIMA UDIENZA “Dovevamo avere la precedenza Poca chiarezza” PAG.4 (Lanaia) GLI “ANZIANI” “Il nostro obiettivo: trova- re risorse per le infrastrut- ture e nuovi investitori” A PAG. 15 (Italia) Aldo Garozzo Augusta La zona industriale tra le 57 aree dei veleni in Italia, dove la gente muore presto. A PAG. 15 (Privitera) Terra di veleni Priolo Un migliaio di persone alla festa naturalistica, domeni- ca scorsa, a Cava Carosello A PAG. 2 (Perna) Sentieri Iblei Noto Antica Due sono gli aspetti che meriterebbe- ro particolare attenzione del direttore gene- rale dell’ASP: il primo riguar- da il discreto numero di “politici” che risultano componenti delle commissioni; il secondo si ri- ferisce all’incompatibilità contrattuale dei medi- ci di famiglia convenzionati. Sembra poco opportuno che ad esaminare la sussistenza dei requisiti che possono determi- nare l’erogazione di benefici economici, siano chiamate persone che svolgono attività politica. Se poi queste persone non sono semplici compo- nenti, ma addirittura presidenti di commissione, la cosa appare intollerabile. Perfino il presidente della commissione che si occupa della legge 104 sull’handicap è un politico, consigliere provin- ciale e direttore sanitario di presidio ospedaliero. PAG. 3 (Bruno) Padre Marco Tarascio (chiesa dell’Immacolata): “Io credo che ci sia un chiaro progetto politico su Ortigia, né di destra né di sinistra. Questo progetto prevede che Ortigia diventi luo- go di turismo. Ma nient’altro. Basta guardare quanti B&B ci sono. Impressionante! Gli abi- tanti fino a poco tempo fa c’era- no ma sono stati presi e spostati nei ‘casermoni’ di via Algeri, via Italia 101 e della Mazzar- rona. Le zone della Giudecca e della Graziella ancora resisto- no, sono quartiere vivi. Ma è evidente che il corso Matteotti separa due zone: quella alber- ghiera e quella abitata”. Cosa fanno le istituzioni? “Niente! Qui non funziona nep- pure il consiglio di quartiere. Tranne alcuni personaggi che cercano di far funzionare un po’ le cose, il quartiere non va. Qui non si vedono neppure i politici, nonostante tutte le sedi delle istituzioni siano qui. Ma per Ortigia non si spende nulla, tranne che per qualche festa”. A PAG. 7 (Mainenti) Ortigia, la povertà dietro l’opulenza Tra le comunità alloggio “I Comuni non pagano” “Abbiamo chiesto al Comune di Siracusa di aiutarci anticipando quelli che sono, in sostanza, soldi certi, dato che la Regione in qualche modo li manderà, ma la dirigenza dell’Assessorato delle Politiche Sociali si è rifiutata di farsene carico. Così, dopo più di 20 giorni dall’emanazione dei mandati per pagare le comunità- alloggio di tutta la Sicilia, noi continuiamo a restare in attesa di ciò che ci spetta (per l’intero 2009) e soprat- tutto ci occorre per mandare avanti la struttura”. PAGG. 8-9 (De Luca) PRIMO PIANO POLVERI Il problema più grave è il nanoparticolato MASSAGGI Nomi esotici ma tecniche standard VISENTIN Uno spiazzo a Impastato Vi do la parola 12 14 6 Go-Bike, un servizio in effetti mai partito De Michele pagg. 10-11 “Hanno coperto pure gli scogli” “Il Comune demolisca le villette abusive” A PAGINA 13 MORREALE. NATURA SICULA

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Sabato 14 Novembre 2009Anno 1, n. 7• Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009

• E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele

Nelle commissioni invalidi civilitanti politici, alcuni le presiedono

Anomalia tutta siracusana. Un concentrato di conflitti d’interesse, anche dei medici di famiglia

Pippo Russo:“Troppe stalleinfette da TBC”

PAG. 5

AGROTECNICIChi ha uccisoil soldatino

di Francofonte?PAG. 16 (De Michele)

ULTIMA UDIENZA“Dovevamo avere

la precedenzaPoca chiarezza”

PAG.4 (Lanaia)

GLI “ANZIANI”

“Il nostro obiettivo: trova-re risorse per le infrastrut-ture e nuovi investitori”

A PAG. 15 (Italia)

Aldo GarozzoAugusta

La zona industriale tra le 57 aree dei veleni in Italia, dove la gente muore presto.

A PAG. 15 (Privitera)

Terra di veleniPriolo

Un migliaio di persone alla festa naturalistica, domeni-ca scorsa, a Cava Carosello

A PAG. 2 (Perna)

Sentieri IbleiNoto Antica

Due sono gli aspetti che meriterebbe-ro particolare attenzione del direttore gene-rale dell’ASP: il primo riguar-

da il discreto numero di “politici” che risultano componenti delle commissioni; il secondo si ri-ferisce all’incompatibilità contrattuale dei medi-ci di famiglia convenzionati.Sembra poco opportuno che ad esaminare la sussistenza dei requisiti che possono determi-nare l’erogazione di benefici economici, siano chiamate persone che svolgono attività politica. Se poi queste persone non sono semplici compo-nenti, ma addirittura presidenti di commissione, la cosa appare intollerabile. Perfino il presidente della commissione che si occupa della legge 104 sull’handicap è un politico, consigliere provin-ciale e direttore sanitario di presidio ospedaliero.

PAG. 3 (Bruno)

Padre Marco Tarascio (chiesa dell’Immacolata): “Io credo che ci sia un chiaro progetto politico su Ortigia, né di destra né di sinistra. Questo progetto prevede che Ortigia diventi luo-go di turismo. Ma nient’altro. Basta guardare quanti B&B ci sono. Impressionante! Gli abi-tanti fino a poco tempo fa c’era-no ma sono stati presi e spostati nei ‘casermoni’ di via Algeri, via Italia 101 e della Mazzar-rona. Le zone della Giudecca e della Graziella ancora resisto-no, sono quartiere vivi. Ma è evidente che il corso Matteotti separa due zone: quella alber-ghiera e quella abitata”. Cosa fanno le istituzioni?“Niente! Qui non funziona nep-pure il consiglio di quartiere.Tranne alcuni personaggi che cercano di far funzionare un po’ le cose, il quartiere non va. Qui non si vedono neppure i politici, nonostante tutte le sedi delle istituzioni siano qui. Ma per Ortigia non si spende nulla, tranne che per qualche festa”.

A PAG. 7 (Mainenti)

Ortigia, la povertàdietro l’opulenza

Tra le comunità alloggio“I Comuni non pagano”

“Abbiamo chiesto al Comune di Siracusa di aiutarci anticipando quelli che sono, in sostanza, soldi certi, dato che la Regione in qualche modo li manderà, ma la dirigenza dell’Assessorato delle Politiche Sociali si è rifiutata di farsene carico. Così, dopo più di 20 giorni dall’emanazione dei mandati per pagare le comunità-alloggio di tutta la Sicilia, noi continuiamo a restare in attesa di ciò che ci spetta (per l’intero 2009) e soprat-tutto ci occorre per mandare avanti la struttura”.

PAGG. 8-9 (De Luca)

PRIMO PIANO

POLVERIIl problemapiù grave è il nanoparticolato

MASSAGGI Nomi esoticima tecnichestandard

VISENTINUno spiazzoa ImpastatoVi do la parola

12

14

6

Go-Bike, un servizioin effetti mai partito

De Michele pagg. 10-11

“Hanno coperto pure gli scogli”“Il Comune demolisca le villette abusive”

A PAGINA 13

MORREALE. NATURA SICULA

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2 14 Novembre 2009

Viaggio nella storia di questa terra, tra concerie medievaligualcherie, mulini, chiese rupestri e una natura stupenda

Un migliaio alla “Festa dei sentieri iblei” alla Cava del Carosello di Noto Antica

Due giorni intensi dedicati agli Iblei e al loro splendido patrimonio naturalistico, storico ed archeologico: anche quest’an-no, la “Festa dei sentieri iblei”, giunta alla sua terza edizione, è stata l’occasio-ne per consentire a circa un migliaio di persone di scoprire la storia, gli odori e i sapori custoditi tra le rocce e il verde di un territorio che rientra nell’ambito di quel meraviglioso Parco degli Iblei che da anni deve essere istituito, ma che viene frenato dall’inerzia di un sistema incapace, a grandi linee, di concepire la ricchezza e il carattere innovativo di uno sviluppo basato sulla promozione dell’ambiente e delle tradizioni. Teatro di questa due giorni, svoltasi lo scorso week-end, è stata la città di Noto, la sua parte più antica. L’iniziativa ha preso avvio il sabato con una serie di at-tività e di mostre, a cui è seguita la pro-iezione di diversi audiovisivi preparati dagli enti e dalle associazioni che hanno organizzato insieme questo evento. La domenica, invece, ha rappresentato il clou della manifestazione, con la visita alla Cava del Carosello di Noto Antica, dove il Corpo Forestale della Regione Siciliana ha di recente svolto un’impor-tante opera di sistemazione dei sentieri, resi così fruibili a tutti, e di recupero delle concerie medievali che insistono lungo il percorso. Un percorso iniziato dalla Porta della Montagna, dove i par-tecipanti si sono radunati per scegliere tra le varie attività previste: la visita gui-data agli scavi archeologici, il reinseri-mento della fauna selvatica riabilitata, le prove di salita su corda e, soprattutto, l’escursione alle cave del Carosello e S. Calogero. Attività proposte e realizzate dalle varie forze che hanno sapiente-

mente organizzato il tutto, ossia istitu-zioni e associazioni. Il risultato è stato eccellente. I parteci-panti, divisi in gruppi accompagnati dal-le guide delle varie associazioni, hanno potuto conoscere la flora, la fauna e le piscine naturali (i cosiddetti laghetti senza fondo) presenti nella splendida valle scavata dalle acque del fiume Asi-naro. Così come hanno potuto osservare la perfetta conservazione degli insedia-menti umani, come le concerie e le gual-cherie, i mulini con le immancabili ma-cine, la chiesa rupestre di San Giuliano, in cui è ancora possibile osservare l’ora-torio, con gli affreschi, l’altare, l’edicola votiva e i sedili ricavati nella roccia. Un viaggio nella storia e nella natura, con la piacevole sensazione di respirare ed osservare l’assoluto rispetto che le co-munità dei nostri predecessori riserva-vano all’ambiente circostante, sfruttato in maniera armonica, senza violenza, senza la sottomissione delle sue forme e delle sue caratteristiche al volere avi-do dello sviluppo e del progresso. Una giornata educativa e rigenerante, arric-chita dal buffet di prodotti tipici offer-to dagli organizzatori. Una suggestiva manifestazione resa possibile dalla col-laborazione preziosa tra il mondo isti-tuzionale e quello dell’ambientalismo organizzato. Una lezione su come sia possibile at-trarre i cittadini e sorprenderli con la semplice bellezza dei luoghi, con il ri-torno a tempi lontani di cui si è smar-rito il sapore e di cui restano preziose testimonianze che non possono non essere difese e tutelate. L’ennesima di-mostrazione che l’istituzione del Parco degli Iblei non può attendere oltre per-

ché, così come avvenuto in altre parti d’Italia con un patrimonio, in alcuni casi, forse anche meno ricco di quello ibleo, sarebbe l’occasione per realizzare una forma di sviluppo compatibile e in-novativo, capace di creare occupazione, puntando sul turismo di qualità, prin-cipalmente sul settore dell’ecoturismo e su quello enogastronomico, ambiti in grande crescita che individuano nella Sicilia uno dei luoghi con le maggiori risorse e potenzialità. Uno sviluppo che valorizzerebbe nel contempo la inesti-mabile ricchezza ambientale racchiusa tra le gole e le cave degli Iblei, fungendo anche da stimolo per la rivalutazione e riqualificazione di tutti quei versanti del territorio che si trovano ancora in stato di abbandono. Uno dei motivi fondanti della prevista istituzione del Parco. Una scelta lun-gimirante ed intelligente che richiede una mentalità opposta rispetto a quella di chi intende saccheggiare e barattare il territorio e l’ambiente con forme di pseudo sviluppo come quelle progettate in questi anni nell’area sud-orientale, tra trivellazioni, rigassificatore, incenerito-ri, villaggi turistici ad impatto massimo, ecc. Forse ai nuovi predatori di questa terra bisognerebbe far sentire gli odori selvatici delle piante che attraversano la Cava del Carosello e accompagnano le acque limpide dell’Asinaro, oppure far vedere da vicino l’azzurro cristallino dei laghetti. Chissà, magari potrebbero capire che la gente di questa provincia è stanca di fumi, metalli e impianti ed ha voglia di riappropriarsi della bellez-za del proprio territorio. Ed occasioni come queste, così partecipate, ne sono la dimostrazione.

Ogni anno si eccede nell’uso della carta di credito ecologicaliquidando di fatto il capitale naturale del pianeta

Continuare sulla strada del consumismo sfrenato porta all’esaurimento delle risorse

La crisi economica è figlia legittima della crisi culturale e sociale. Il metro di valutazione è oggi più immediato, basta apparire bene, avere una buona immagine e sapersi vendere (con tut-te le sfaccettature positive e negative che il verbo vendere comporta). Ma, come i titoli tossici per cui dietro la facciata non vi è economia reale ma solo economia virtuale di carta, così dietro un’apparenza ben presentata e ben confezionata non corrisponde spesso un prodotto serio. Oggi la fal-sa cultura del populismo imperante cerca di soddisfare i desideri anziché i bisogni. Ciò comporta una corsa fol-le all’iperconsumo e al sovraconsumo e quindi alla distruzione progressiva del nostro capitale naturale. Ma quanto capitale naturale serve per la sostenibilità dei nostri siste-mi economici e sociali? Quanto in-cide la nostra impronta ecologica? Ma descriviamo prima cosa essa è. L’impronta ecologica di una data po-polazione può essere definita come la superficie di territorio, indipendente-mente da dove tale territorio è situato, che è necessaria per fornire alla po-polazione tutte le risorse di energia e materie prime e per assorbire, a tempo indeterminato, gli scarti della stessa popolazione. Per esempio: im-

maginiamo una città sotto una cupola di vetro emisferica trasparente che faccia passare luce ma non permet-ta il passaggio di cose materiali. Per poter continuare a vivere all’interno della cupola i cittadini hanno biso-gno di una quantità di terreno (zone agricole, foreste, fiumi ecc.) che dia le risorse necessarie e assorba gli scarti prodotti. Il territorio racchiuso sotto la cupola corrisponde all’impronta ecologica di quei cittadini, la capaci-tà produttiva e di sostenere la vita di quel territorio è la biocapacità, cioè un sistema sostenibile che soddisfi i bisogni di oggi senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i loro. Vivere in modo sostenibile significa, infatti, vivere in modo confortevole e pacifico entro i limiti posti dalla natura. Oggi si vuole vivere (o meglio si è vissuti, la crisi attuale ci ridimen-siona un po’) a un livello superiore di quello che potremmo permetterci. Come si usa dire “il sergente vive come se fosse un generale, ma con la paga di sergente”.Anche il concetto di produzione vie-ne falsato, si produce per il consumo non per il bisogno, tutto ciò va contro le più elementari regole economiche. Circa due mesi fa, il 24 settembre, v’è

Bisognava pensarci prima

il francosauro

“Cantami, o diva, di Gianfranco Fini l’ira funesta che infiniti addus-se mugugni a Silvio e molte anzitempo all’orco generose cedette alme d’eroi” (La Russa, Matteoli, Gasparri eccetera). Ci scusino i puristi dell’Iliade per l’irriverente parodia di un gladiatore il quale, vedovo di una leadership consolidata in decenni, si è ritrovato annes-so e trascinato nel carro trionfale del nuovo imperatore di Roma. Il leader incontrastato del MSI, l’alfiere innovatore di AN, oggi la terza carica dello Stato s’è infilato nel cul de sac del PDL dove il Re Sole, dinanzi al suo specchio rigorosamente oblungo, ripete affascinato: “L’Etat c’est moi”, “La loi c’est moi”, “La justice c’est moi”.“Caro Gianfranco dell’età tua antica rimembri ancora quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi e tu sul limitar dell’em-messì fiorivi...”. Altri tempi. Ora gli resta l’epiteto, l’invettiva dell’impotente: “Nel PDL c’è chi confonde la leadership con la mo-narchia assoluta”, “si respira un’aria da caserma”, ma quando il capo ordina a Gianfranco non resta che abbozzare. Anche perchè “a liti a liti s’avvizzisce l’alba della speme Gianfranco ai tuoi progetti e tutto tace intorno, tutto tramuta in lento peregrino andare al tempo dell’esilio”. Bisognava pensarci prima.

di PAOLO PANTANO

di MASSIMILIANO PERNA

stato quello che viene chiamato over-shoot day (giorno del superamento del capitale naturale per effetto del sovraconsumo). I calcoli diffusi dal Global Footprint Network mostrano che, a partire da questo giorno sino alla fine dell’anno, gli esseri umani vivranno al di là delle risorse ecolo-giche messe a disposizione dal nostro pianeta. Le ricerche effettuate dall’or-ganizzazione non-profit statunitense in collaborazione con la “New Econo-mics Foundation”, un’organizzazione indipendente inglese, dimostrano che l’umanità sta consumando la quantità totale di risorse rinnovabili che la na-

tura ha prodotto quest’anno. Ricerche aggiornate dimostrano che il crescen-te consumo di risorse ecologiche sta spingendo il mondo sempre più presto verso il deficit ambientale. Ogni anno il Global Footprint Network calcola l’impronta ecologica dell’umanità. Questa valutazione viene utilizzata per determinare la data esatta in cui noi, come comunità globale, comin-ciamo a far crescere il nostro deficit ecologico annuale, cioè quando la do-manda di risorse inizia a superare le disponibilità rinnovabili naturali. Allo stato attuale l’umanità eccede nell’uso della sua carta di credito eco-logica e può solo farlo liquidando il capitale naturale del pianeta. Conti-nuare su questa strada porta all’esau-rimento di risorse come le foreste e le terre agricole sulle quali si basa tutta la nostra economia.L’Overshoot (il sovraconsumo ) é sta-to definito “il più grande problema che dobbiamo affrontare”. Pur essen-do ancora poco noto al pubblico, le cause e gli effetti dell’overshoot sono tanto semplici quanto significativi. In ogni dato anno, se l’umanità consuma più cibo di quanto produce, ha biso-gno di dar fondo alle riserve; se gli al-beri vengono tagliati più velocemente della loro ricrescita, le foreste diven-

tano più piccole dell’anno prima. Il consumo di risorse dell’umanità cresce, e di conseguenza il nostro stile di vita attuale sta esaurendo il capi-tale naturale terrestre, cosa che mina il futuro dell’umanità. Attualmente, l’impronta ecologica dell’umanità é almeno il 30% più grande della bio-capacità del pianeta. In altre parole c’é bisogno di un anno e tre mesi af-finché la Terra rigeneri ciò che usia-mo in un singolo anno. Ogni anno, a partire dalla metà degli anni ‘80 il nostro deficit ecologico contribui-sce ad aumentare il debito ecologico globale. Uscire dal debito e fermare il sovraconsumo significa riportare la domanda entro il livello sostenibile dal pianeta. Mezzi di valutazione come l’impronta ecologica, che confrontano la nostra domanda con le capacità naturali di fornire risorse, ci possono aiutare nel nostro bilancio ecologico che possia-mo soddisfare riducendo la domanda, consumando meno risorse pro capite, incrementando l’efficienza nell’uso delle risorse, incrementando gli eco-sistemi strategici per la fornitura di rifornimenti. Intraprese insieme, que-ste azioni possono aiutarci a proteg-gere sia la biodiversità che a fermare il sovraconsumo.

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314 Novembre 2009

di PINO BRUNO

“Invalidità civile, si smaltiscono gli arretrati. “Ma all’Inps ci sono pratiche ferme da un anno”

Da circa un anno operano nell’ambito della provincia di Siracusa dieci com-missioni per l’accertamento dell’inva-lidità civile. Una di queste è espressa-mente dedicata all’handicap (legge 104) e un’altra alla verifica di sordomuti e ciechi. Nell’ultimo biennio le visite ef-fettuate hanno superato quota 17 mila all’anno con un costante aumento, seb-bene di lieve entità. L’enorme arretrato che si era accumulato nei primi anni del decennio è stato progressivamente smaltito da quando la competenza è pas-sata alle ASL. Oggi l’attesa per essere chiamati a visita si aggira attorno a 2-3 mesi, mentre per l’effettiva erogazione dei benefici bisogna aspettare ulteriori 6 mesi circa affinchè l’INPS definisca la pratica. Nel 2008 sono state 17.779 le pensioni pagate a cittadini della nostra provincia, equivalenti a 44,4 ogni 1000 abitanti con un incremento del 18,6% rispetto al 2004, anno precedente all’ul-tima modifica legislativa sulla materia. La provincia di Siracusa, per una volta almeno, non si trova agli ultimi posti della classifica, risulta infatti precedu-ta in negativo da altre 24 province per quanto riguarda il rapporto abitanti/trat-tamenti erogati, sebbene ugualmente al di sopra della media nazionale di 36,5 pensioni ogni 1000 abitanti. L’eccessivo numero di trattamenti, che vede al Sud il 50% di erogazioni in più rispetto al Nord, ha indotto il Governo prima a sta-bilire un piano straordinario di controlli per il 2009, successivamente a emanare una nuova disciplina nella procedura di accertamento. Le novità, che scatteran-no dal primo gennaio 2010, sono conte-nute nel cosiddetto “decreto anticrisi”, successivamente convertito nella leg-ge102, e riguardano principalmente la modalità di presentazione delle doman-de e la composizione delle commissioni. I cittadini dovranno presentare l’istanza direttamente all’Inps, che la trasmetterà in tempo reale e in via telematica alle Asl, con la creazione di un fascicolo elettronico per ciascun invalido civile.

La commissione medica sarà integrata con un medico dell’Inps quale compo-nente effettivo, per cui verrà saltato un passaggio della procedura permanendo però il controllo dell’ente erogatore del beneficio. La presenza dell’Inps diret-tamente nella commissione dovrebbe garantire in ogni fase del procedimento l’uniformità di trattamento su tutto il ter-ritorio nazionale e soprattutto accelerare i tempi. Si tratterà quindi, almeno nelle inten-zioni, di una rivoluzione che dovrebbe semplificare la vita ai cittadini, assicura-re loro trasparenza, rendere più celeri i tempi per le visite e l’erogazione degli eventuali trattamenti economici. Anche all’ASP di Siracusa si è avviato il nuovo processo organizzativo che al momen-to incontra però delle criticità legate al nuovo programma informatico, collega-to con quello dell’INPS, che gestirà a re-gime l’intera procedura. “Siamo riusciti a ridurre notevolmente le liste d’attesa portandole ad appena 70 giorni; purtrop-po negli ultimi mesi, da quando abbia-mo iniziato ad usare il nuovo software fornito dall’INPS, sono iniziate delle difficoltà e conseguentemente stiamo accumulando ritardi. Siamo in fase di rodaggio e speriamo di allinearci entro la fine dell’anno poiché da gennaio dob-biamo tassativamente partire con quanto prevede la nuova normativa”. Questo è ciò che ci hanno detto al settore di medi-cina legale dell’ASP, competente per il coordinamento delle commissioni. “I medici dell’INPS di Siracusa sono in numero veramente esiguo per far fronte all’alto numero di richieste annuali, in pratica i sanitari di quell’ente sono solo tre. Uno di questi non potrà fare parte delle commissioni invalidi poichè pres-so l’INPS dovrà rimanere una commis-sione di verifica nel caso di controver-sie che potrebbero nascere quando non vi è accordo tra i componenti di quella di prima istanza”. La soluzione a que-sto problema che rischia di vanificare gli obiettivi di celerità che si propone

Commissioni invalidi civili, l’anomalia siracusanatroppi politici dentro e alcuni persino presidenti

Gli “obiettivi specifici” di Maniscalco fino al 31 dicembre. Ma non è ancora riuscito a nominare il direttore sanitario

Come annunciato, l’assessore regionale alla sanità ha assegnato ai nuovi manager gli obiettivi da realizzare entro il 2010. Si tratta di impegni che fanno parte integrante dei loro contratti e sul cui raggiungimento saranno valutati. Ogni direttore generale ha degli obiettivi specifici correlati alla realtà in cui opera, oltre ad alcuni di carattere gene-rale uguali per tutti. Le date sono fissate in maniera precisa e scandiscono i trimestri che mancano al 31 dicembre del prossimo anno. Entro la fine del 2009, il dott. Maniscalco do-vrà dare piena attuazione alla rimodulazione dei posti letto ospedalieri. Dovrà cioè risol-vere in via definitiva la scabrosa questione dell’ospedale Avola-Noto senza possibilità di tergiversare ulteriormente. Dovrà cercare di mettere d’accordo Lentini ed Augusta senza provocare le reazioni dei sostenitori dei due ospedali. Siamo infine giunti alla soluzione finale, all’Armageddon, riuscirà a sconfigge-re i cavalieri dell’apocalisse? Scherzi a parte, non sarà questo lo scoglio più importante da superare. Il direttore generale dell’ASP sarà impegnato a stilare, entro il 2009, un piano programmatico per l’attivazione dei presidi territoriali di assistenza (PTA) che dovran-

no essere realizzati nel territorio provincia-le. Dovrà progettarne l’attività e soprattutto coinvolgere i medici di famiglia nel loro funzionamento. Medici di famiglia e pediatri dovranno svolgere la loro attività in collega-mento con i PTA in maniera da garantire una maggiore continuità assistenziale nel territo-rio. Sembra che i medici di famiglia abbiano già fatto presente che senza soldi non si canta messa. Vorranno l’ennesima indennità per rimpinguare il loro misero salario.Sempre entro l’anno in corso, il dott Mani-scalco è chiamato a riorganizzare tutta la spe-cialistica ambulatoriale pubblica e privata per “migliorare l’offerta di prestazioni, aumen-tarne l’appropriatezza, migliorarne l’effi-cienza, ridurre i tempi di attesa per effettuare gli esami diagnostici.” Compito facile facile da realizzare in meno di due mesi. Ancora, dovrà potenziare la prevenzione oncologica aumentando la popolazione da sottoporre ai tre screenings individuati dalla regione: pap-test, mammografia, test per la prevenzione dei tumori del colon. Infine, sarà valutato anche in base alla capacità di “riorganizzare e riqualificare i pronto soccorso aziendali al fine di migliorarne l’accoglienza ed i tempi

di attesa per i trattamenti.”Tutto questo entro il 31 dicembre 2009; sem-bra il programma, come si dice, di un’inte-ra legislatura. Uno degli obiettivi del primo trimestre lo ha però già raggiunto: l’apertura dell’hospice. E’ già in vantaggio dunque. Un piccolo sforzo ed è fatta! In soli due mesi dovrebbero risolversi problemi che si tra-scinano da almeno dieci anni. E non è finita, entro marzo 2010 il manager dovrà rendere operativa l’assistenza domiciliare, realizzare gli sportelli unici per l’accesso alle cure do-miciliari, collegarli con i PTA, fornire il pri-mo ciclo terapeutico ai pazienti dimessi dagli ospedali, redigere l’atto aziendale e determi-nare la dotazione organica. Entro la fine del 2010 il dott. Maniscalco dovrà raggiungere altri 34 obiettivi, tra potenziamento di quelli già ricordati sopra e altri di cui sottolineiamo in particolare l’attivazione della risonanza magnetica presso l’Umberto I° entro il 30 giugno. Forse non si tratta di un programma di legislatura, piuttosto di un difficile e com-plesso piano decennale. Registriamo, non ce ne voglia, che dopo due mesi non è ancora riuscito a nominare il direttore sanitario.

Pino Bruno

Due mesi al direttore generale dell’ASP per risolvereproblemi che si trascinano da almeno dieci anni

la “riforma”, non sono ovviamente di competenza degli interlocutori che ab-biamo ascoltato. Rimane il fatto che già oggi gran parte del tempo per definire una pratica, soprattutto quando vi è un contenzioso, si perde proprio all’INPS per le obiettive carenze d’organico. “Ci sono pratiche ferme all’istituto di pre-videnza da più di un anno”, continuano dalla medicina legale, “inoltre in Sicilia, a differenza di altre regioni, abbiamo l’ulteriore passaggio della Prefettura che allunga ancor più i tempi. Si spera che anche quest’altro ostacolo che impedi-sce di erogare un servizio più adeguato all’utenza possa essere superato in futu-ro. E’ necessaria però in questo caso, una legge regionale”.Dal quadro che ci è stato esposto si può legittimamente dubitare che la situazio-ne migliorerà, la tematica tra l’altro pone non pochi problemi di trasparenza e per questo abbiamo chiesto come vengono assegnate le pratiche alle varie com-missioni. “Ogni istanza viene trattata rigorosamente in maniera cronologica a eccezione di quelle che si riferiscono a patologie tumorali a cui diamo la pre-cedenza. Viene fatta quindi una suddivi-sione per tipologia di richiesta, ad esem-pio legge 104, legge 68, ciechi; quindi un’ulteriore suddivisione per distretto di competenza. Infine, automaticamente il programma informatico assegna le pra-tiche a ciascuna commissione, sempre in base alla data di presentazione della do-manda, fino ad un massimo di 50 prati-che iniziando dalla prima commissione. Questo limite non può essere superato, per cui non possono essere inserite pra-tiche che non rispettino l’ordine crono-logico.” Un sistema trasparente quindi,

che permette di esitare fino a 500 istanze settimanali. Per ogni commissione è pre-vista infatti una seduta settimanale, oltre a quella dedicata ad eventuali visite do-miciliari per pazienti non trasportabili.Il sistema adottato ad oggi, tralascian-do per il momento quanto succederà da gennaio 2010, sembra effettivamente trasparente e sufficientemente celere per la parte che riguarda l’azienda sanitaria. Ci risulta però che esistono problemi di “incompatibilità” di alcuni compo-nenti delle commissioni. Alla domanda non abbiamo ricevuto risposta, com-prendiamo la riservatezza trattandosi di argomento alquanto delicato. Poichè parliamo di incarichi pubblici, affidati con delibere della ex ASL, ne riferiamo tranquillamente noi. Due sono gli aspetti che meriterebbero particolare attenzione del direttore generale dell’ASP: il primo riguarda il discreto numero di “politici” che risultano componenti delle commis-sioni; il secondo si riferisce all’incompa-tibilità contrattuale dei medici di fami-glia convenzionati.Sembra poco opportuno che ad esa-minare la sussistenza dei requisiti che possono determinare l’erogazione di benefici economici, siano chiamate per-sone che svolgono attività politica. Se poi queste persone non sono semplici componenti, ma addirittura presidenti di commissione, la cosa appare intolle-rabile. Perfino il presidente della com-missione che si occupa della legge 104 sull’handicap è un politico, consigliere provinciale e direttore sanitario di pre-sidio ospedaliero. Un concentrato di conflitti d’interesse. Un altro presidente di commissione è vice-sindaco e medico di famiglia. Altri consiglieri comunali

Pensioni Inv.Civ. 2008

Beneficiari ogni 1.000 abitanti

Variazione % sul 2004

Siracusa (25^) 17.779 44,4 18,6

Totale Italia 2.137.078 36,5 28,4

sono “semplici”componenti di commis-sione. Per quanto riguarda i medici con-venzionati, l’incompatibilità si riferisce alla impossibilità di svolgere l’attività di componente di una commissione invali-di civili nell’ambito territoriale in cui si presta servizio come convenzionato. La ragione di questo divieto risiede nella possibilità di dover esaminare e decide-re sull’invalidità di un proprio assistito. Nel caso in cui si è “semplici” compo-nenti ci si può sempre astenere, ma se si è presidenti di commissione non si può! Come farà il presidente della seconda commissione, medico di famiglia non-chè presidente dell’ordine dei medici?In fondo le soluzioni ci sono. Bastereb-be, ad esempio, che anche nell’azienda sanitaria di Siracusa si adottasse un re-golamento, già vigente peraltro in altre aziende anche siciliane, che in conside-razione della delicatezza della materia da trattare escludesse dagli incarichi coloro che, all’atto dell’affidamento o successivamente allo stesso, rivestano cariche politiche o sindacali, oppure svolgano attività di medici convenziona-ti nell’ambito territoriale di competenza della commissione in cui dovrebbero essere nominati. Semplice, trasparente, ma effettivamente poco produttivo per creare consenso.

Il dott. Maniscalco, direttore generale dell’ASP

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4 14 Novembre 2009

L’odissea della fiera di via Algeri. Contestato il sorteggioGli anziani: “Prima noi”, ma Visentin si gioca la faccia

Dopo le “sviste” rimandato a mercoledì prossimo il trasferimento in piazza Sgarlata

di MONICA LANAIA

Che questa vicenda della fie-ra di via Algeri si prospettasse spinosa era prevedibile. Innan-zitutto perché da anni e anni si annunciava “un veloce sposta-mento” del mercato che, fino a questo momento, non si è anco-ra concretizzato. Inoltre, perché il dibattito in merito è stato ar-duo e ha coinvolto una pluralità di voci: sindaci, assessori, con-siglieri comunali, associazioni di categoria e, non ultimi, citta-dini (residenti della Mazzarro-na principalmente) e operatori commerciali. E la storia non è ancora giunta all’ultima pun-tata: mercoledì, il giorno di S. Martino, mentre la via Algeri si sarebbe dovuta risvegliare vuota e tranquilla, il suolo della piazza Sgarlata avrebbe dovuto ospitare, per la prima volta, le bancarelle dei venditori. Così non è stato. Cosa volete, meglio sorridere dei soliti “intoppi burocratici” anche perché, stavolta, la situa-zione ha del paradossale. Rico-struiamo gli eventi, comincian-do però, perché di questi fatti si parla già da troppo tempo, dal momento in cui, ormai asso-dato che la via Algeri non è un posto idoneo - causa condizioni logistiche, igieniche, strutturali e di sicurezza - ad ospitare la tradizionale fiera del mercoledì, si decide di spostare la suddetta fiera nel nuovo piazzale Sgarla-ta, ex parco Robinson. Ovvia-mente non mancano proteste poiché i venditori ambulanti sono restii a far lasciare alle loro bancarelle il terreno natio, temendo, peraltro, che il traslo-co provochi tracolli finanziari e ritenendo che un’alterazione dello status quo non sia conve-niente. D’altro canto, era ora-mai impossibile fare tacere le

proteste dei residenti della via Algeri e delle zone limitrofe, prigionieri in casa propria ogni mercoledì, stipati tra rifiuti e camionette, tra ortaggi e articoli per la casa. Dunque, da un lato i sostenitori dello spostamento del mercato, dall’altro i sosteni-tori del mantenimento del luo-go tradizionale; vi erano, poi, i molti che, pur asserendo l’ina-gibilità evidente della via Alge-ri, consigliavano di procedere contrastando l’abusivismo, as-sicurando maggiori controlli, modificando la disposizione delle bancarelle, senza, tutta-via, privare la Mazzarrona del suo “polmone” commerciale. Infine, come tutti ben sanno, si è optato per il trasferimento del mercato in un luogo appo-sito, più spazioso e più ade-guato, indubbiamente, rispetto alla via Algeri. Siccome, però, il teletrasporto non fa ancora parte delle dotazioni dell’am-ministrazione comunale, le operazioni del trasloco, che apparivano lineari sulla carta planimetrica, si sono inceppate al momento della loro messa in pratica. Paola Gianì, presidentessa dell’associazione nazionale dei venditori ambulanti, ci ha nar-rato il seguito della vicenda e la difficile mediazione svolta dalle associazioni di categoria e, infine, dallo stesso sindaco Roberto Visentin. Inizialmente, infatti, si era deciso di stilare una graduatoria degli opera-tori commerciali aventi diritto a posizionarsi nel nuovo mer-cato; l’ufficio del commercio, in poco più di una settimana, ha compilato la graduatoria in questione, visionando le circa 250 pratiche e le annesse do-cumentazioni presentate dagli

ambulanti. È accaduto tuttavia che, essendosi rivelato molto gravoso il disbrigo di tali atti, vi siano state delle, chiamia-mole così, sviste, prontamente segnalate da quei venditori dan-neggiati dalla mancata analisi dei loro documenti. A questo punto apriamo una parentesi: il nostro sindaco ave-va affermato che “se mercoledì 11 il mercato non fosse stato già insediato in piazza Sgarla-ta, ci avrebbe perso la faccia”. Ma come sedare le proteste dei commercianti e risolvere celermente la faccenda, senza “perderci la faccia”, alle porte ormai del paventato giorno di S. Martino?L’uovo di Colombo, in questo caso, si chiamava sorteggio. In pratica, sorvolando il trascura-bile dettaglio dell’anzianità, ci si sarebbe affidati al caso fortu-ito per l’assegnazione dei punti vendita nel nuovo mercato. Pe-

raltro, il sorteggio non è avve-nuto utilizzando due urne, una contenente i numeri dei posti disponibili, l’altra contenente i nomi dei commercianti: l’urna era una sola ed era riempita dai biglietti con i numeri dei po-sti del mercato; per associare il numero estratto al nome del commerciante si seguiva la fa-mosa graduatoria stilata in base ai criteri di anzianità. Questo ingegnoso accorgimento con-sentiva di non sconfessare la menzionata graduatoria inse-rendo, al contempo, un pizzico di suspense nell’assegnazione delle aree commerciali. Tale soluzione ha, però, suscitato il malcontento degli ambulanti che hanno visto azzerate le loro anzianità di commercio; nono-stante le proteste e le segnala-zioni da parte dei commercianti e da parte dell’Anva e di altre associazioni di categoria di Ca-tania, si è proceduto ugualmen-

te all’estrazione. A questo punto è intervenu-to il sindaco che, prendendo atto delle critiche e dell’in-soddisfazione derivanti dal sorteggio, ha indetto un in-contro, che si è tenuto marte-dì, al quale hanno partecipato alcuni operatori e i sindacati; l’idea originaria era quella di effettuare un nuovo sorteggio, stavolta, magari, utilizzando due urne ed affidando, real-mente, tutto al destino. Simile prospettiva avrebbe, però, reso scontenti, non solo coloro che si opponevano tout court ai sorteggi, animati dall’intento di difendere le loro anzianità, ma anche coloro che, essendo stati baciati dalla sorte nel pri-mo sorteggio, avrebbero visto sfumati eventuali privilegi ot-tenuti fortuitamente. “In questa situazione critica” – commenta Paola Gianì – “il sindaco ha agito coscientemen-

te, dimostrando di aver com-preso le necessità dei cittadini, sia commercianti che acquiren-ti, e ponendo in secondo piano le questioni politiche”. E la de-cisione del sindaco è stata, per l’appunto, quella di consentire, nonostante vi fosse già un’or-dinanza di chiusura, lo svolgi-mento del mercato in via Alge-ri anche durante quel famoso mercoledì 11; in teoria questo mercoledì di S. Martino è sta-to il giorno di commiato della fiera al suolo della Mazzarrona, poiché la prossima settimana il nuovo polo di piazza Sgarlata dovrebbe entrare in funzione: accantonata l’ipotesi dei sor-teggi, infatti, sono stati accor-dati all’ufficio del commercio altri sette giorni, utili per rive-dere le pratiche dei venditori, correggere le sviste e stilare una nuova graduatoria che – forse – avrà l’onore di essere quella definitiva.

“7,5 metri nei parcheggi sono troppo pochi per i furgoniCon i mezzi a incastro impossibile andarsene prima”

Gli ambulanti: “Su graduatorie e sorteggi non c’è stata trasparenza e serietà, anche dai sindacati”

Abbiamo raccolto i commenti di ambulanti e acquirenti in quell’ultima mattina di fiera in via Algeri. Gli avventori delle bancarelle sono tendenzialmente favorevoli a questo spostamento: “L’unico problema – ci confida una signora – sarà il parcheggio per l’auto, ma trovare le bancarelle disposte in una piazza e non in una via che si snoda tutta in lunghezza, sarà più pratico per noi clienti”. Di diverso tono i commenti degli operatori commerciali. “Questa faccenda ci danneggia”, esordisce un ambulante e prosegue “I parcheggi in cui dovremo posiziona-re i furgoni sono stati solo disegnati sulla carta, senza valutare che, in realtà, 7x5m sono troppo pochi; inoltre, saremo sistemati a incastro cosicché chi sarà al centro della piazza e vorrà arrivare più tardi la mattina o smontare prima potrà scegliere se chiedere alle altre 300 bancarelle di spostarsi o se spiccare il volo”. Un altro commerciante contesta il fatto che graduatorie e sorteggi siano stati effettuati senza la partecipazione di una commissione del mercato: “Sono mancate trasparenza e serietà, anche da par-te dei sindacalisti”- accusa -“che avrebbero dovuto interpellarci maggiormente visto che siamo noi i diretti interessati”. Salvo To-sto, uno dei venditori storici del mercato, chiosa: “Non siamo in disaccordo con il trasferimento in sé, purché non ci crei ulteriori problemi in un periodo già critico per il settore. Io ho 37 anni di anzianità, dovevo apparire fra i primi della graduatoria e, dunque, scegliere uno dei parcheggi migliori della piazza Sgarlata e invece sono risultato il 59°; di fronte a questa incongruenza ho presentato documentazione aggiuntiva ma nelle successive graduatorie sono

slittato, addirittura, al 151° posto. I primi della graduatoria hanno dichiarato di avere l’autorizzazione dal 1975, data bizzarra ove si consideri che il mercato esiste solo dal 1978”. Paola Gianì conclude: “La scelta di non far perdere un giorno di lavoro ai commercianti su suolo pubblico è stata lodevole e, di più, grazie a una più attenta revisione delle documentazio-ni, riusciremo a stilare una graduatoria che tuteli la dignità dei lavoratori, sia equa e conforme alle normative di legge; d’al-tronde era inconcepibile che, dopo essere riusciti a convincere i commercianti circa la necessità dello spostamento in piazza

Sgarlata, ci fossimo persi in un bicchiere d’acqua al momento di redigere la graduatoria per anzianità”. E gli abusivi? “Verrà emanato un bando” – assicura la Gianì – “per assegnare i posti rimasti vacanti: a quel punto chi, fra i 100-120 abusivi stanziati nelle vie adiacenti la via Algeri, avrà intenzione di regolarizzar-si sarà il benvenuto”. Sempre che, ovviamente, come temono alcuni venditori, gli abusivi non si limitino a seguire i colleghi regolarizzati, trasferendosi anche loro nelle vie prospicienti il piazzale Sgarlata. Monica Lanaia

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514 Novembre 2009

Russo: “In forte aumento TBC bovina e brucellosi ovi-caprinaMoltiplicate le stalle infette anche a causa della transumanza”

Gli agrotecnici: “Situazione drammatica. Occorre l’intervento della Regione”

di FRANCO ODDO

“Sicurezza e ordine pubbli-co, igiene e sanità, carenze infrastrutturali costituiscono le tre situazioni di debolezza del settore zootecnico, pecu-liari alla nostra provincia, che unite alle ragioni macroeco-nomiche di crisi del settore, innescano un ulteriore fattore di depressione economica e sociale. Un settore che, mal-grado il crollo delle aziende, degli occupati e del reddito rilevato dall’Istat nell’ultimo censimento, rappresenta an-cora oggi un fattore rilevante dell’economia provinciale, specie nella zona montana e pedemontana nord e sud della provincia, dove si pone come attività agricola prevalente”. E’ quanto afferma il dottor Giuseppe Russo, presidente provinciale degli agrotecnici, non nuovo ad appelli alle isti-tuzioni per la sopravvivenza di questo comparto. Qualche giorno fa la feder-coltivatori ha denunciato il frequente furto di prodotti dei campi che poi finiscono nelle bancarelle degli am-bulanti. Ma il problema si pone anche per la zootec-nia. Le aziende si lamenta-no che le forze dell’ordine non effettuano un adeguato controllo del territorio e che esse sono esposte ad atti cri-minosi…“Hanno ragione. Da oltre un decennio, reati che negli ulti-mi tempi erano divenuti sta-tisticamente irrilevanti come l’abigeato, il pascolo abusivo, la macellazione clandestina, oggi tornano a essere feno-meni criminosi significativi destando non solo un notevo-le allarme sociale ma anche un perverso effetto devastante sull’intera economia agricola siracusana. Il progressivo ab-bandono delle campagne, con tutto ciò che ne consegue in termini di perdita del presidio sociale, territoriale, economi-co e ambientale garantito dal-

azienda agricola l’adozione di sistemi di rintracciabilità dei capi animali, per esempio attraverso l’applicazione dei sistemi di rilevamento a ra-diofrequenza o di mappatura del dna.Veniamo al problema igieni-co-sanitario. Il vicedirettore del nostro giornale, Marina De Michele, ha condotto nel recente passato una vasta inchiesta sulla diffusione della tubercolosi nella no-stra provincia, evidenzian-do anche come il fenomeno della tubercolosi bovina sia in forte aumento in tutta la zona montana. Lei confer-ma?“Sì, nell’ultimo decennio si è assistito al progressivo vi-

rulento riaffermarsi, in forma endemica, della tubercolosi bovina, della brucellosi ovi-caprina e di altre patologie che si consideravano debel-late e comunque contenute in misura tale da ritenerle fisio-logiche. Questo fenomeno, al quale la transumanza ha dato un contributo determinante, ha determinato il progressivo e definitivo tracollo del setto-re zootecnico.“Le problematiche igienico-sanitarie, oltre al grave danno economico che arrecano al settore, determinano anche un altrettanto grave danno alla salute e alla sicurezza alimen-tare umana, ulteriormente accresciuta dal sottovalutato fenomeno delle macellazioni

clandestine. Al moltiplicarsi di casi di stalle infette non è seguita una politica adeguata di repressione e di preven-zione sanitaria finalizzata all’eradicazione di queste pa-tologie, ciò anche a causa, per il passato, dell’insufficiente organico del Servizio Veteri-nario dell’AUSL 8 che, fino a pochi mesi addietro, non era in condizione – in termini di risorse umane, economiche e strumentali – di far fronte in modo organico e strutturato al fenomeno”.A occhio e croce, non ci pare che il fenomeno sia stato compreso nella sua gravi-tà…“Io credo sia necessario un intervento immediato sull’as-

sessorato regionale alla Sani-tà perché, consapevole della drammaticità della situazio-ne, provveda a dare migliori e più giuste indicazioni per la sicurezza alimentare e per la tutela dell’attività di alleva-mento. Sottolineo con forza che la risoluzione dei proble-mi igienico sanitari è di fon-damentale importanza in una prospettiva di sviluppo soste-nibile del settore zootecnico, non tanto e non solo perché costituisce un ostacolo alla movimentazione dei capi ani-mali o per l’incidenza sulla salute umana, ma soprattutto perché è alla base di qualun-que politica di filiera e quindi di rilancio dell’economia zo-otecnica”.

“Questa è l’unica provincia in Sicilia che accanto alla macellazionenon ha sezionamento, laboratorio di macinati e preparazione di carni”

Nel nostro territorio due soli macelli, a Palazzolo e Floridia, con alterne fortune

“II comparto zootecnico in Sicilia, particolarmente in provincia di Siracusa, scon-ta due distinti problemi, uno connesso al tipo di azienda operante sul territorio: gene-ralmente si tratta di aziende di ridotte dimensioni, spesso carenti sotto il profilo produt-tivo, strutturale e organizzati-vo. La seconda problematici-tà è costituita dall’assenza di stabilimenti di macellazione adeguati sotto il profilo di-mensionale, igienico-sanita-rio e organizzativo. In Sicilia sono funzionanti, secondo dati della Regione siciliana, 55 macelli autorizzati con la

legge 286/94, 35 pubblici di cui solo due in possesso del bollo CE, 20 privati tutti con bollo CE. In questo quadro la provincia di Siracusa. è quel-la meno strutturata, atteso che operano solo due macelli, uno a capacità limitata (Palazzolo Acreide), l’altro (Floridia) in possesso di bollo CE, entram-bi con alterne fortune!“Proseguendo nel dato stati-stico, il 50% dei macelli è al-locato nelle province di Paler-mo, Messina e Agrigento e in provincia di Siracusa - unica in tutta la Regione - non esiste alcuna struttura che all’attivi-tà di macellazione affianchi

il sezionamento - nonostante la crescente importanza, in termini di competitività e di qualità del prodotto, di tale tecnica di trasformazione - e meno che mai il laboratorio di macinati e di preparazioni di carni o di deposito frigorife-ro. Tralascio di riferire l’im-portanza delle piattaforme del freddo in qualunque contesto produttivo improntato a prin-cipi di redditività, efficienza ed efficacia.“Ulteriore dato generale indi-cativo della deficitaria situa-zione produttiva e infrastrut-turale siciliana è costituito dalla media di macellazioni

annue, che si attesta intorno 3,5/4% dei capi complessiva-mente abbattuti in Italia per i diversi tipi di carni, e dal fat-to che la dimensione normale di destinazione del prodotto sono le macellerie non essen-do minimamente incidente al-cuna attività di esportazione.“Dalla concatenazione di questi dati statistici emerge con palmare evidenza – an-che al più miope degli am-ministratori - la strategicità di un moderno impianto di macellazione - CE, di trasfor-mazione e confezionamento delle carni, con annessa linea del freddo, nella provincia di

Siracusa. Ciò anche al fine di non vanificare il nascente ragionamento in termini di “filiera delle carni” che pre-suppone il possesso di opere infrastrutturali funzionali non solo alla trasformazione del-le carni, alla loro rintraccia-bilità e salubrità, ma anche a una più razionale organiz-zazione dell’offerta e della commercializzazione dei pro-dotti che, in ultima analisi, si riverbererà in una più efficace organizzazione e redditività delle produzioni zootecniche.“Per queste ragioni chiediamo che il presidente della Provin-cia Regionale on. Bono pro-

muova idonee azioni al fine di appaltare in tempi brevi il progetto per la realizzazione del frigo macello compren-soriale di Palazzolo Acrei-de finanziato dal ministero dell’Economia, il progetto presentato con il Patto Verde Agricoltura promosso e volu-to dal Consorzio Allevatori di Siracusa, dal Consorzio Car-ni qualità Val D’Anapo, dalle organizzazioni di categoria, dagli Ordini e Collegi pro-fessionali del settore, dal Gal Val d’Anapo e in particolare dalla Provincia Regionale di Siracusa e dal Comune di Pa-lazzolo Acreide”.

la presenza dell’agricoltore, non è determinato solo da fat-tori di redditività ma anche e soprattutto dalla progressiva insicurezza in cui si vive nelle zone rurali, prive di qualun-que presidio di polizia e per-sino di uno sporadico sistema di controllo del territorio. Questo fenomeno criminoso è molto più vasto di quanto appare dalle statistiche, per-ché la percentuale dei reati denunciati è molto più bas-sa rispetto al dato reale. Alla progressiva insicurezza delle campagne ha contribuito mol-to anche il fenomeno della transumanza, la cui pericolo-sità si accresce al saldarsi con la malavita locale”.Come si potrebbe ovviare?“Attraverso un maggiore co-ordinamento tra le forze di polizia per garantire presi-di e controlli sistematici sul territorio. Faccio un appello anche all’autorità giudiziaria perché giudichi con maggio-re rigore i reati posti sotto la sua giurisdizione e ammetta la possibilità per le pubbli-che amministrazioni e per i rappresentanti di categoria di costituirsi parte civile nei processi per reati attinenti al settore zootecnico. Ai le-gislatori chiediamo, invece, un inasprimento delle pene e una disciplina più rigorosa nei confronti dei fenomeni di transumanza. Dovrebbe essere obbligatoria per ogni

Dott. Pippo Russo

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6 14 Novembre 2009

Visentin: “Non posso dire quando. Ma do la mia parola che dedicheremo uno spazio cittadino a Impastato”

Presentata al sindaco la raccolta di lettere via web, 681 firme nel volgere di pochi giorni

di MASSIMILIANO PERNA

Appena un mese fa abbiamo fatto nostra la lodevole ini-ziativa, lanciata dal giorna-le on-line Tusciaweb, volta a chiedere ai sindaci di ogni comune italiano l’intitola-zione di una via, piazza o luogo a Peppino Impastato, dopo l’oltraggio alla memoria compiuto dal primo cittadino leghista di Ponteranica (Ber-gamo). Avevamo percepito la voglia, anche a Siracusa, di aderire a tale iniziativa, di chiedere l’assunzione di una scelta simbolica ma importan-te, una risposta civile e netta, una presa di posizione chiara su una vicenda vergognosa. Il sindaco di Siracusa, Visentin, da noi interpellato, si era detto disponibile, qualora gli fosse pervenuta una sollecitazione da parte dei cittadini, a soddi-sfare la richiesta di intitolare un luogo al coraggioso giorna-lista di Cinisi. E la sollecitazione è arrivata puntuale. Poco dopo questa dichiarazione di disponibilità, nella nostra città si è attivato un movimento spontaneo, ge-neroso, trasversale, fatto so-prattutto di giovani, ma non solo. Un movimento non or-ganizzato, privo di strumenti e di strutture, ma animato dalla volontà netta di partecipare a quella che è una battaglia cul-turale, una lezione di civiltà, una testimonianza reale di un senso della giustizia che è fat-to anche di simboli, di esem-pi capaci di sopravvivere alla morte, di arrivare alle coscien-ze della gente attraverso le pa-role, i pensieri, la “normale” eroicità dei propri gesti. Non

ci sono state raccolte di firme ufficiali, fatte di banchetti or-ganizzati, di liste da riempi-re, spesso distrattamente: c’è stata la voglia di scrivere il proprio nome e cognome, la propria firma su una lettera personale, in forma cartacea, contenente una richiesta ben precisa, nella speranza di po-ter un giorno vedere il nome di Peppino impresso su un luogo pubblico, visibile. Un modo per contribuire alla realizza-zione di uno spazio educativo, un gesto tanto semplice quan-to sentito per gridare la voglia di legalità che scorre nelle vene di una parte del Paese. Così, nel giro di pochi gior-ni, attraverso il passaparola, i blog o i social network, sono state raccolte 681 firme. Il totale è elevato, considerati tempi e modi della raccolta, ma avrebbe potuto anche es-sere molto più alto, se al crite-rio della tempestività si fosse preferito quello della quantità. La volontà, però, era di far arrivare il prima possibile al sindaco quella sollecitazione che era stata invocata. Siamo stati incaricati di consegnare al primo cittadino queste fir-me. Lo abbiamo fatto martedì 10 novembre, presso il suo uf-ficio, dove egli, dinnanzi alla pila di lettere riposte in un raccoglitore di cartone, ci ha ribadito la propria disponibili-tà: “Commento positivamente questa importante iniziativa, perché si tratta di una persona che ha contribuito a svelare e denunciare determinati com-portamenti ed ha combattuto contro un fenomeno impor-

tante come quello della mafia, che in Sicilia ha condizionato e ancora condiziona molti set-tori della società. Tenere viva la memoria di certi personaggi è una cosa giusta per la storia di una città, di una regione, di una nazione”. Sull’adesione a questa iniziativa da parte di comuni di ogni parte d’Italia e di diverso colore politico, Visentin afferma: “La mafia non può essere considerata un fenomeno localistico. Non mi meraviglio del fatto che in va-rie parti d’Italia si ricordi una persona che magari, in molte città che aderiscono a questa iniziativa, non è mai stata. La partecipazione trasversale? Il contrasto alla mafia non può essere un problema di partito o di appartenenza. Sarebbe as-solutamente sbagliato. Ci pos-sono essere divisioni sul modo di affrontare il problema, ma di sicuro non sul principio.

Ognuno di noi la può pensare in una maniera piuttosto che in un’altra, ci sono dei modi che magari sono più vicini alla mentalità di centrodestra o di centrosinistra, ma l’importan-te è che tutti concordino sul fatto che la lotta alla mafia è una cosa necessaria perché condiziona troppo l’econo-mia di una nazione, il modo di vivere, la libertà individuale delle persone. Possiamo di-scutere su tante cose, ma sulla lotta alla mafia c’è poco da di-scutere”. Tornando all’oggetto dell’ini-ziativa, chiediamo al sindaco se ha già in mente il luogo da intitolare a Peppino e i tem-pi previsti per l’intitolazione: “Dobbiamo verificare ciò che abbiamo. Il luogo potrebbe essere anche uno slargo, un edificio, una biblioteca, ma anche, ad esempio, una nuo-va rotatoria con una statua

al centro. L’importante è che si possa onorare la memoria di questa vittima di mafia. I tempi non sono immediati. Dobbiamo farlo al più pre-sto, ma non posso fornire una data precisa. Dobbiamo vedere i siti e poi c’è tutta la procedura della toponomasti-ca. Ad ogni modo, che questa

cosa si faccia è sicuro, c’è la mia parola. Poi se ci voglio-no due o sei mesi questo non glielo so dire”. La promessa è fatta, adesso bisogna solo attendere, nella speranza che vi sia la stessa rapidità che ha contrassegnato la generosa mobilitazione di centinaia di siracusani.

Nicita: “La Sicilia ha bisogno di chiarezza politica Se la maggioranza non c’è, si vada a nuove elezioni”

“Inaccettabile condannare l’isola a un immobilismo camuffato da rinnovamento”

Guardando alla vita politica nazionale, regio-nale e provinciale si ha l’impressione di attra-versare una fase di profonda crisi. Pur vivendo nella stessa società i problemi vengono percepi-ti in maniera diversa e le soluzioni prospettate divergono profondamente. Tutto ciò, secondo lei, è giustificabile?“Da che mondo è mondo le società sono sem-pre state caratterizzate da valutazioni diverse su-gli stessi problemi. E’ proprio dalla diversità del modo di pensare che si ha l’evoluzione e il pro-gresso. Quindi non bisogna preoccuparsi. Certo, la società moderna è più complessa. Il grado di cultura è più elevato, lo sviluppo tecnologico ha provocato significative trasformazioni, il lavoro risulta profondamente diversificato, così come l’organizzazione delle imprese. L’individualismo è una caratteristica ampiamente diffusa attenuan-do i principi di solidarietà e rendendo più difficile la valorizzazione del bene comune. La rivendica-zione dei diritti a volte ha il sopravvento sulla stra-tegia dei doveri. La nostra è diventata una società consumistica ed edonistica. I valori veri, come per esempio quello della solidarietà, della tolleranza, della valorizzazione delle strutture collettive, sono vissuti come doveri che debbono essere realizzati dagli altri, esonerando se stessi dall’agire”.Quindi lei conferma la crisi della società moder-na e in particolare delle organizzazioni politiche?

“E’ certamente vero che oggi vi è una eccessiva va-lorizzazione dell’individualismo e della tutela degli interessi privatistici ai quali subordinare tanti altri valori. Ma è anche vero che la società moderna ri-esce ad esprimere forme di altruismo ammirevoli. La diffusa organizzazione del volontariato nelle sue diversissime articolazioni ne è una esemplare testi-monianza. Come sempre, convivono atteggiamenti egoistici e iniziative altruistiche. Per questo non bi-sogna essere pessimisti. Anzi, occorre essere ottimi-sti senza sottovalutare le difficoltà”.In tale contesto quale dovrebbe essere il ruolo dei partiti e dei gruppi dirigenti?“Il ruolo dei partiti è chiaramente previsto dalla nostra Costituzione. Sono libere associazioni che dovrebbero concorrere al bene comune. La lotta politica, purtroppo e spesso, trasforma i partiti in or-ganizzazioni con il compito di esercitare il potere, anche attraverso libere elezioni. Non più un ruolo di servizio disinteressato bensì l’occasione per conso-lidare il potere personale e di gruppo, alimentando e soddisfacendo le proprie clientele elettorali. Un si-stema politico così caratterizzato finisce col favorire processi degenerativi e fazioni. Oggi purtroppo vi-viamo, a mio giudizio, a livello nazionale regionale e provinciale alcuni significativi processi degenera-tivi e faziosi”Vuole esplicitare meglio questi concetti?“A livello nazionale, con l’ultima legge elettorale

proporzionale col premio di maggioranza, che pre-vede l’abolizione del voto di preferenza, il sistema democratico è stato trasformato in sistema oligar-chico. Il ristretto gruppo dirigente di ogni partito so-stanzialmente nomina i parlamentari, per cui questi non sono più liberi e autonomi e se protestano cor-rono il rischio di non essere più ripresentati. I partiti, ad esclusione del PD, come dimostrato dalle recenti primarie, e in parte dell’UDC, che ha svolto il suo congresso, sono diventati partiti personalistici com-primendo la dialettica interna, cosa questa obiettiva-mente insopportabile e antidemocratica. La stessa unificazione di Forza Italia con Alleanza Naziona-le, con un 37% di voti del PdL, non ha avviato un processo di vera democrazia interna tanto che l’on. Gianfranco Fini ha dovuto precisare fortemente che il PDL non può essere “una caserma”, né può essere accettato il pensiero unico.“A livello regionale, l’elezione diretta del Presidente della Regione, il cosiddetto Governatore, anche se espressione di una coalizione di quattro partiti (F.I., AN, UDC, MPA), avendo poteri eccezionali per garantire la governabilità, ha finito per stravolgere qualsiasi principio di confronto e di dialogo, utiliz-zando in maniera stravagante i poteri previsti dalla legge, per imporre soluzioni organizzate da un grup-po di potere politicamente trasversale.“La Sicilia ha bisogno di chiarezza politica. Se la maggioranza (FI, AN, UDC,MPA) vittoriosa nelle

elezioni che ha eletto governatore Raffaele Lombar-do non esiste più e non ci sono le condizioni per una sua ricomposizione è doveroso dichiarare il proprio fallimento e andare a nuove elezioni, o rompere il cordone ombelicale con i danti causa creando situa-zioni politiche di emergenza con caratteristiche poli-tiche nuove. Non è accettabile condannare la Sicilia a un immobilismo dannoso, anche se camuffato da rinnovamento. In politica le gestioni personalistiche non sono mai innovative e frutto di cambiamento preparato e vissuto come tale.“Questa situazione regionale si è trasferita a livello provinciale, condannando anche i nostri enti a un pe-ricoloso immobilismo”.Alla mia prima domanda lei ha risposto esclu-dendo quasi l’esistenza di una crisi politica, ora sta concludendo in maniera più negativa di quanto le abbia chiesto...“In ogni società democratica vi sono energie, volon-tà, esigenze sociali, economiche e culturali tali da trovare le vie d’uscita, come peraltro ci insegna la storia. Sono profondamente convinto che l’opinio-ne pubblica stia meditando e valutando i fallimenti politici e organizzativi, per cui se non ci sarà a breve termine una profonda revisione del modo di agire del governo dello Stato, della Regione e degli enti locali, si formerà dal basso una spinta unitaria sem-pre più larga per una vera alternativa a queste forze degenerative del sistema democratico”.

Ogni sabatorichiedi la tua copia

de “La Civetta”all’edicola più vicina

Il nostro Massimiliano Perna consegna al sindaco Visentin le lettere dei cittadini

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714 Novembre 2009

Ortigia, la povertà dietro l’opulenza. “Ci vive gente quicui manca ogni cosa: tetto, acqua, elettricità, igiene, cibo”

Padre Marco Tarascio: “Nell’isola tutto gira intorno al turismo. E i residenti?”

Avete mai fatto caso a quan-to splendida e affascinante sia Ortigia? Avete mai fatto caso ai meravigliosi palazzi che da corso Matteotti accompagna-no chi passeggia fino a piazza Duomo o giù per via Mae-stranza? E ai lavori di restauro condotti con grande perizia e capaci di riportare in auge una bellezza architettonica coperta dal tempo? Direte su Ortigia: “E’ senz’altro la parte più cura-ta della città”. E invece no! Di-rete: “E’ la parte più ricca”. Ma sbagliereste di nuovo. Mettia-mola così: c’è da rivedere tut-to quello che comunemente si pensa di questa parte della no-stra città perché quello che noi vediamo, in realtà, è tutta cro-sta. Per rendersene conto non bisogna andare tanto lontano: basta imboccare una qualsiasi traversa di una via principale e notare le differenze rispetto a quest’ultima. I palazzi non saranno più così perfettamente curati e i negozi (se ne trovate) non così chic come quelli, per esempio, di corso Matteotti. Ne abbiamo voluto sapere di più e abbiamo parlato con padre Marco Tarascio, presente da ormai quattro anni nella Chie-sa dell’Immacolata. Le prime parole che ci rivolge sono sulla condizione demografica della zona: “Ortigia ha avuto diversi migrazioni di cui l’ultima negli anni ’90. Una c’era già stata negli anni ’50 e una negli anni ’60. Prima il quartiere faceva 12.000 abitanti, oggi se ne fa 2.500 è tanto”. Quali le zone più problema-tiche?“I quartieri della Giudecca, della Graziella e quello del mercato. Sembrano tre quartie-ri staccati dal resto della città. E’ come se il corso Matteotti costituisse una linea di separa-zione tra la Siracusa-bene e il resto. Per esempio, percorren-do il corso Matteotti a salire a nessuno viene in mente di imboccare via Maestranza; è

come se si mirasse a escludere le zone della Giudecca e della Graziella anche dalla semplice passeggiata. La realtà è diver-sa però. La stessa Giudecca non è il quartiere malavitoso dell’immaginario comune, non è ‘a jureca’! In questi quattro anni in cui io sono stato qui c’è stato un solo scippo nonostan-te d’estate vi siano in Ortigia moltissime persone.“Io credo che ci sia un chiaro progetto politico su Ortigia, né di destra né di sinistra. Questo progetto prevede che Ortigia diventi luogo di turismo. Ma nient’altro. Basta guardare quanti B&B ci sono. Impres-sionante! Gli abitanti fino a poco tempo fa c’erano ma sono stati presi e spostati nei ‘casermoni’ di via Algeri, via Italia 101 e della Mazzarrona. Le zone della Giudecca e del-la Graziella ancora resistono, sono quartiere vivi. Ma è evi-dente che il corso Matteotti separa due zone: quella alber-ghiera e quella abitata”.Cosa fanno le istituzioni?“Niente! Qui non funziona neppure il consiglio di quar-tiere. Tranne alcuni personaggi che cercano di far funzionare un po’ le cose, il quartiere non va. Qui non si vedono neppure i politici, nonostante tutte le sedi delle istituzioni siano qui. Ma per Ortigia non si spende nul-la, tranne che per le cose belle: festa di Santa Lucia, albero di Natale, festa dell’Immacolata. Solo per queste occasioni si muove qualcosa.”E con la legge speciale per Ortigia cosa è cambiato?“Non è cambiato nulla.”Uno dei grandi problemi che tormenta padre Tarascio è poi la questione dei ragazzi, per cui non c’è alcun tipo di progetto, e dei bambini per cui in Ortigia non esiste uno spazio. Ci fa no-tare che davanti al parcheggio Talete c’è un’area vuota in cui si potrebbero fare dei campet-ti o comunque uno spazio per

i più piccoli. “Noi per far fare una partita di calcetto ai bambi-ni della parrocchia li dobbiamo portare a San Metodio. Non c’è un luogo per i bambini. I bam-bini, a parte piazza Duomo, non sanno dove andare e anche lì non possono mica giocare a pallone. Non solo i bambini non hanno gli spazi, ma non c’è neanche un progetto al ri-guardo.” Oltre a quello dei bambini quali sono gli altri problemi della zona?“Innanzitutto una totale assen-za di assistenza domiciliare per gli anziani nonostante qui ce ne siano molti. Nessuno li va a visitare. I servizi sociali io non li ho mai visti qui. Eppu-re le situazioni in cui dovreb-bero intervenire non mancano. E poi il problema dei bambini e della dispersione scolastica: non se ne occupa nessuno. Ci sono ragazzi che hanno lascia-to la scuola in prima o seconda media e non credo che qualcu-no sia mai andato a cercarli. La scuola fa quello che può, ma manca il servizio sociale. Il servizio sociale è qualcosa che sta sul territorio, che conosce il territorio, che ha un ufficio, che ha uno sportello. E invece non c’è niente di tutto ciò. Inoltre dentro Ortigia gli sfratti esecu-tivi sono esecutivi”. Infatti in questa parte della città non avviene mai che un’azio-ne di sfratto venga bloccata in qualche modo come succe-de altrove. Chi viene sfrattato deve lasciare immediatamen-te l’immobile. E tra l’altro il

numero di questi sfratti non è certo trascurabile. E poi moltis-simi palazzi vengono restaurati e successivamente abbandonati senza senso per anni, magari solo perché, come troppo spes-so accade, le istituzioni non si mettono d’accordo su chi deb-ba gestire l’immobile all’indo-mani dei lavori. “Potrebbero diventare spazi per ragazzi – continua padre Tarascio - invece di restare chiusi. Non spazi solo religiosi o giocosi, ma anche spazi cul-turali. Noi abbiamo una biblio-teca che già chiamarla tale è un eufemismo. Per esempio quella di Canicattini, che è un paese molto più piccolo di Siracusa, è più fornita. Ma il problema vero di Ortigia sta diventando la totale e crescente sfiducia dei residenti. Non so fino a quando si potrà reggere questa situa-zione perché le stesse povertà resistono fino a quando pos-sono. C’è una marea di gente che viene qui non a chiedermi soldi, perché non c’è bisogno di quelli, ma viene a chiedermi la pasta. Quanto si può resiste-re così? In periodo di elezioni sono tutti presenti. Poi scom-paiono. I problemi rimango-no. La gente ha problemi seri e mancano le cose essenziali: tetto, acqua, elettricità, igiene, cibo, gas. Molte persona stan-no davvero male. La gente ha la dignità, vorrebbe comprare con i propri soldi, ma i soldi non ci sono. E’ chiaro che poi diventa difficile se hai tre figli a cui dare da mangiare rifiutare i € 100 che ti vengono dati per

spacciare droga. In Ortigia non c’è nessuno che ti aiuta”.Quali sono dunque i motivi per cui la gente va via da Or-tigia?“Fondamentalmente non con-viene stare in Ortigia perché se qui pago un certo affitto per 45 m², nella parte alta di Siracusa con la stessa somma ne prendo uno da 90m². E poi vendere in Ortigia rende! I prezzi sono al-tissimi, un secondo piano alla Giudecca viene venduto come attico”. E poi il problema della spesa. “Per comprare l’acqua devo uscire fuori da Ortigia perché qui l’acqua costa me-diamente un terzo in più rispet-to al resto della città. E tutto rientra nel progetto turistico. Perché si paga € 2,50 una bot-tiglia che il negoziante paga € 0,30? Basta passare il ponte e uscire da Ortigia che il prezzo si abbassa”. E poi ancora c’è il problema culturale: “Il liceo classico Gargallo ha la sua sede natura-le qui ma nessuno si è mosso per riportarlo in Ortigia. Non si è messa una mano per ristruttu-rarlo. Ortigia dovrebbe essere fonte di cultura e invece per i siracusani è solo la passeggiata il sabato e la domenica. E’, poi, secondo me, impossibile che Siracusa non abbia un’univer-sità autonoma. Con la cultura siracusana si potrebbe parlare benissimo di università, ma la mente politica è impegnata in altro. Il progetto politico su Ortigia è esclusivamente tu-ristico e tutto ruota intorno a questo. Ovviamente se io ho un

progetto del genere non vedo l’ora che i pochi residenti che ci sono se ne vadano così posso comprare le case per renderli hotel, alberghi e B&B”. Padre Tarascio si chiede dove sia la cultura a Siracusa. Si chiede perché non ci sia nes-suna iniziativa, nessun circolo culturale. “È grave. Siracusa è stata una città culturale, da Archimede a Elio Vittorini. La cultura è ciò che cambia il mondo. Possiamo fare tutti i porti turistici che vogliamo, ma se non c’è cultura non cambia niente. È per esempio assurdo che, nonostante la presenza del teatro greco non ci sia una compagnia di teatro stabile a Siracusa”. Si tratta dunque di una situazione di collasso, difficile da contenere e reggere. “Cosa ne vogliamo fare di Or-tigia? A noi che ci sia un’Orti-gia turistica sta benissimo, ma non si può dimenticare l’Or-tigia abitata”, è l’appello di padre Tarascio che vede ogni giorno delle realtà a cui invece noi non dedichiamo neppure un singolo pensiero nel corso delle nostre giornate. Sono re-altà che, se viste in televisio-ne, ci fanno dire “poverini”, “che brutta situazione”, “ma perché nessuno fa niente”, ma che poi evidentemente rele-ghiamo in fondo al carico di pensieri quotidiani se non ci accorgiamo che quelle stesse realtà le troviamo vicine, vi-cinissime magari proprio nel vicolo accanto a quel negozio così chic al centro di Ortigia.

di ISABELLA MAINENTI

Padre Marco Tarascio

Uno scorcio del quartiere Giudecca

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Assessore Castagnino, le Comunità-Alloggio della provincia lamentano di non venire pagate o, comunque, fortemente in ritardo, con tutte le problematiche che ciò può comportare. Cosa può dirci in merito?“Questa situazione riguarda più che altro il passato. Attualmente, con la rior-ganizzazione degli uffici, possiamo ben affermare che gli intoppi burocratici si sono notevolmente ridotti. Ma i problemi economici delle comunità-alloggio, più che da lentezze burocratiche, hanno origine dal fatto che le spese legate al sociale sono difficilmente prevedibili: è obbiettivamente impossibile far coincidere il bilancio di previsione con le attività sociali. Così, ad esempio, con riferimento al caso concreto, è difficile prevedere quanti ragazzi saranno effettivamente sottoposti a questo tipo di servizio. A estremizzare tale impre-scindibile peculiarità interviene la circostanza che molti dei minori affidati alle comunità non sono di nazionalità italiana bensì extracomunitari che, giunti in Italia clandestinamente, vengono trattati, per la legge presente, alla stre-gua di minori italiani abbandonati. E data la continuità degli sbarchi, la spesa sociale viene notevolmente ad accrescersi risolvendosi in un vero e proprio enigma. Urge precisare che quello della mancanza di fondi è un problema che va affrontato congiuntamente anche con i tribunali in quanto, molto spesso, avviene che il Tribunale dei minori nomini come tutore il Comune di Siracusa che, però, in quel momento, non ha fondi per fronteggiare l’emergenza mentre magari ce li ha un altro Comune. Dunque, emerge l’esigenza di realizzare un collegamento di rete affinché ci sia immediatezza”.Nonostante la riorganizzazione da lei dichiarata molte comunità conti-nuano a esprimere disagio e molte sono state costrette a chiudere.“Questo perché le comunità vivono le dinamiche di una vera e propria gestione aziendale, si trovano infatti a sostenere tutta una serie di spese (in primis per struttura e personale) anche quando all’interno non ospitano alcun minore.”In realtà molte hanno chiuso pur alloggiando tanti minori, non venendo rimborsate non erano più in grado di anticipare grosse somme; e la mag-gior parte di quelle tuttora in essere asseriscono di avanzare ancora soldi.“Per quanto riguarda Siracusa è poco probabile avendo già provveduto a pagare tutte le quote che dovevamo alle Comunità. Addirittura, per gli im-migrati, non solo abbandonati, abbiamo ricevuto un rimborso di 800.000€. Chi rientra in questo ipotetico elenco di comunità insoddisfatte?”Tra le tante la “Sodalis Onlus” di Floridia.Segue una telefonata. A una certa “dottoressa”, all’altro capo del filo, chiede

se per caso siano in ritardo con i pagamenti con la comunità in questione. Dopo aver riattaccato, ci spiega che effettivamente c’è un ritardo relativa-mente a dei minori immigrati che, però, a suo dire, è giustificato dalla cir-costanza che il tribunale dei minori ha ritardato nella nomina del tutore per cui, poi, si è creata una situazione di confusione in cui non si riusciva più a capire se il tutore individuato fosse il Comune di Siracusa o quello di Flori-dia. “Dato che fino ad ora non si è in grado di venirne a capo, proprio oggi abbiamo deciso di pagare noi”, conclude soddisfatto.Come mai ci sono casi in cui non è chiaro chi sia responsabile del minore?“Può avvenire che ci sia uno sbarco, la Prefettura invia i minori in una strut-tura ma non viene nominato immediatamente un tutore. In tal caso si inne-scano tutta una serie di problemi burocratici non facilmente risolvibili che finiscono per dilatare notevolmente i tempi dei pagamenti”. Ma nell’attesa che si sveli il “mistero tutore” a chi spetta finanziare la Comunità in questione? “A nessuno. A noi, no di certo: se non siamo nominati tutori a che titolo possiamo pagare?”In una situazione in cui gli organismi strutturati per la tutela dei minori, primi fra tutti le comunità, conoscono una forte crisi come pensate di garantire la tutela dei minori disagiati?“Ci stiamo impegnando puntando sul potenziamento dello strumento dell’af-fido che consente non solo di erogare un servizio migliore, in quanto si dà la possibilità al minore di crescere all’interno di una famiglia anche se di fa-miglia affidataria si tratta, ma presenta anche il vantaggio di dover sostenere dei costi notevolmente più bassi. Inoltre, dato non trascurabile, le famiglie affidatarie sono tante, circa 24 in questo momento nel Comune di Siracusa, e non solo sono disponibili ma hanno anche le caratteristiche per poter prende-re in affido un bambino. Per non parlare della possibilità di affidare i minori a famiglie di parenti. Finora la politica della Regione è stata quella di favorire e incrementare le comunità-alloggio, adesso occorre che la politica guardi all’affido come a uno strumento su cui investire”.Lodevole puntare sull’affido quale strumento preferenziale di tutela ma, volendo trascurare i casi in cui è lo stesso Tribunale dei Minori a rendere obbligatorio l’inserimento del minore in Comunità, non si può comun-que trascurare che l’affido parentale non sempre è possibile (c’è, infatti, chi non ha nessun familiare o questi non è in condizione o disponibile)

“Nel nostro paese un’altra comunità ha chiuso. Ma sopravvivere è sempre più difficile”

Spadaro (Sodalis onlus di Floridia): “E’ da più di un annoche il Comune deve darci le rette per 12 extracomunitari”

VIAGGIO NEL MONDO DELLE COMUNITA’ ALLOGGIO. COMUNI E REGIONE NON PAGANO

Per la Regione Siciliana, la ricerca di misure alter-native all’istituzionalizzazione dei minori si è tra-dotta, a partire dagli anni ottanta, in un impegno, anche finanziario, nel promuovere l’incremento in tutta la regione di strutture residenziali aperte per minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria minorile, le comunità-alloggio. Scopo dichiarato quello di offrire a questi minori che vi-vono in condizioni di disagio, spesso familiare, di violenze subite, di situazioni di marginalità socia-le che inducono i giudici ad imporre l’allontana-mento dalla famiglia, un ambiente a dimensione familiare adeguato a restituire sicurezza e prote-zione così da promuovere uno sviluppo armonico dell’identità sociale e individuale. Queste strutture di accoglienza hanno subito un considerevole in-cremento negli ultimi anni. In particolare nel 2007 si è registrato un aumento pari al 40% rispetto al 2001. All’interno di questo potenziale successo dell’as-sessorato regionale per la famiglia, le politiche sociali e le autonomie locali, si insinuano dati che rimandano all’instaurarsi di un clima di sostanziale regresso culturale. Si sente di comunità che, vicine al collasso economico, accusano i Comuni di non volerle pagare; di operatori che, in precario equi-librio tra moti di stizza nei confronti di Comuni pseudo inadempienti e pericolosi lanci di accuse verso datori di lavoro dalla politica ben poco tra-sparente, lamentano di non essere retribuiti pur percependo regolari buste paga; di minori (di cui ci arriva solo l’eco di flebili richieste di aiuto, biz-zarro: gli unici che sarebbero autorizzati ad urlarle le loro richieste!) abbandonati a se stessi pur nel perpetuarsi di situazioni di disagio. Intanto, nel bel mezzo di questa sotterranea battaglia sociale, nell’avvicendarsi di lamentele ed accuse, si fa stra-da ed emerge prepotente un dubbio: forse le tanto decantate comunità, così come l’intero sistema di tutela approntato, non sono poi così efficienti come i resoconti statistici, con i loro rosei numeri, vor-rebbero farci credere. La salvaguardia delle garanzie di tutela di questi minori rende impellente un approfondimento della situazione in essere nella nostra provincia. Deci-diamo di testare il sistema vivendo in prima per-sona l’esperienza della comunità. La nostra scelta cade sulla “Sodalis Onlus” sita in Floridia che ac-coglie fino a 10 minori compresi tra i 4 e i 14 anni. Ad accoglierci è Pietro Rosa, uno dei 5 educatori, il quale si scusa per il disordine: “La fase che pre-cede la cena, tra far fare le docce e cucinare, è sem-pre un momento un po’ critico”. Noi di disordine non ne notiamo granchè, anzi, l’appartamento ap-pare ben tenuto e di piccoli “Oliver Twist” affamati e afflitti non ne scorgiamo affatto, al contrario, i bambini ci appaiono ben nutriti, allegri e conten-ti di incontrarci. Dopo i primi convenevoli: “Vi piacciono i babbuci? Li abbiamo raccolti noi”. “Vi stanno invitando a cena”, tuona Pietro divertito. A parlare è Gabriele, un ragazzino dall’aria vispa che scopriamo poi essere il leader del gruppo. A lui chiediamo se qui si sente in famiglia: “Questa è la mia famiglia!”, afferma deciso. Ma è anche lo stesso bimbo a cui sentiamo esclamare a gran voce che se fosse realmente possibile tornare a casa sa-rebbe già a fare “a razzo” le valigie. Per quanto qui si respiri un clima sereno e i bambini si trovino effettivamente bene, ci spiega Pietro, il desiderio di una mamma e un papà che ti rimboccano le coperte la sera e al mattino, sono di nuovo lì prodighi di cure ed affetto, è sempre riposto con cura nel cuore di ogni bambino per quanto, spesso, si tratti di uno scenario tutt’altro che realizzabile nel contesto fa-miliare d’origine. Approfondiamo con Pietro la figura dell’educatore professionale. Ma chi è l’educatore professionale? “E’ l’operatore che, ci spiega, dopo avere acquisi-to una preparazione specifica di carattere teorico pratica, svolge la propria attività attraverso l’at-tuazione del progetto educativo di minori, disabili, tossicodipendenti, anziani e malati di mente. Man-cando una legge quadro nel settore assistenziale, continua, non esiste ancora un riconoscimento del-lo status giuridico “dell’educatore professionale”, che viene inquadrato al sesto e al settimo livello. Viene riconosciuto educatore, sintetizza, chi è in possesso della laurea almeno triennale in Scien-ze dell’Educazione e della Formazione”. Pietro, laurea in triennale in Scienze dell’Educazione, specializzazione in Scienze Pedagogiche, master in Pedagogia clinica, non evita di sottolineare che accanto a tutti questi titoli, per quanto altisonan-ti, occorre un requisito fondamentale che nessun titolo di studio può assicurare: tanta passione e amore per quello che è un lavoro al servizio de-gli altri. “Basilare è riuscire a stabilire un contatto

con l’utente, sottolinea, e per questo occorre una formazione adeguata ma anche un’inclinazione personale. Occorre una grande apertura mentale: il sapersi porre libero da ogni preconcetto e disponi-bile ad ogni nuovo input. La comprensione della persona diviene del tutto inutile se poi con quella persona, con cui devi concretamente lavorare, non riesci a instaurare un rapporto di fiducia, un canale di sana comunicazione. Nel caso dei minori, si inserisce l’educatrice Mol-lica, questo risultato consente di porre le basi del processo educativo, di stimolare almeno la dispo-nibilità a intraprendere un percorso guidato che alla fine li dovrebbe portare al raggiungimento di un obbiettivo ben definito in un arco di tempo prestabilito. Durante questo percorso essi saranno aiutati ad accettare l’idea della comunità, ad inte-grarsi nel gruppo, a lasciarsi alle spalle il fardel-lo personale o a sentirne meno il peso trovando nell’educatore una figura di riferimento incline a favorire momenti di spontanea apertura, preziosis-sime perle incastonate in questo cammino.Chiediamo a Pietro, che ha lavorato presso diverse strutture, quali siano le principali difficoltà riscon-trate. “Sicuramente, ci spiega, il problema più osti-co è quello di garantire la continuità, caratteristica fondamentale dell’azione educativa dato che l’edu-catore, essendo la famiglia spesso assente o caren-te, deve sostituire e integrare in molti casi i ruoli familiari. Ma nel perpetuo rinnovarsi delle figure educative, scenario altrove per lo più costante, ciò diviene praticamente impossibile”. Ogni volta che un educatore sparisce vanifica i risultati raggiunti, occorre ricostruire gli equilibri, già messi a dura prova ogni qual volta si verifica l’ingresso di un nuovo minore. “Sarà la mancanza di una profonda motivazione, chiarisce, o più spesso l’esigenza di una famiglia da mantenere, del mutuo da pagare che non può certo attendere i lunghi tempi comu-nali, o ancora l’intenso coinvolgimento emotivo ma alla fine il risultato si ripete: molti mollano!”Inevitabile chiedere se non gli siano mai sorti dub-bi sulla buona fede di qualcuno dei titolari delle comunità.“Quando il direttore della comunità di Canicattini, presso cui lavoravo e ormai chiusa proprio perché le sovvenzioni comunali si sono lasciate atten-dere un po’ troppo, chiese disperato a me, allora coordinatore, di fargli da portavoce e di chiamare personalmente l’ufficio di competenza di Siracusa per cercare di recuperare i soldi anticipati per 10 ragazzi egiziani dai 14 ai 18 anni (alcuni, poi, risul-tati molto più grandi) accolti il settembre dell’anno prima, come risultato mi sono visto elegantemen-te rimbalzare da un ufficio all’altro senza ottene-re altra risposta che un odioso: devo controllare. Quando, dopo innumerevoli tentativi, ho finalmen-te ottenuto il responso di stanziamento e a questo è seguito un insopportabile: adesso per ottenere i soldi occorre attendere i tempi burocratici; quando tutto ciò mi ha travolto personalmente, solo allora ogni dubbio è sparito e dal mio ex direttore non ho preteso più niente, ho fatto l’unica cosa in mio potere: cambiare comunità”. Finalmente l’attenzione torna sui ragazzi, cinque in tutto. Li seguiamo in giro per le camere da letto del loro appartamentino che, ben tenute, conser-vano tracce del loro vissuto e del loro presente, vecchie foto, qualche giocattolo nuovo, qualche vestito abbandonato sul letto. Si divertono a farsi fotografare, quasi a voler immortalare una fecon-dità nascosta che per quanto possano aver sofferto non si è lasciata totalmente estinguere, per loro parlano i gesti, gli sguardi e Gabriele che ci tiene a regalarci un resoconto ben dettagliato delle loro giornate. Resoconto da cui traspare non solo la stima e l’affetto di questi bambini per i loro edu-catori, presentati con orgoglio ad insegnanti e com-pagni, ma anche l’impegno di queste persone nel portarli a scuola, nel seguirne gli studi, nel condurli dal dottore, nel vivere alla giornata ogni problema ma anche ogni sorriso.Con la signora Cettina Spadaro, responsabile della comunità, affrontiamo le difficoltà insite nella gestione di una simile struttura. Sguardo appassionato e parole toccanti, nel suo lavoro la presidente sembra crederci davvero. Ed è molto chiara nell’esporci le problematiche di chi si trova costretto ad anticipare grosse somme dato che i Comuni pagano poco e con enormi ritardi. “E’ da più di un anno, sbotta, che tra solleciti e litigate con funzionari che, non di rado, ci hanno gentilmente invitato a lasciare i loro uffici e a non disturbare il quieto e regolare svolgersi dell’altrui lavoro, attendiamo che il Comune di Siracusa si decida a pagarci per il servizio reso a 12 ragazzi extracomu-nitari. E in quel periodo le spese non si riuscivano

“Qui qualcuno mente. Nessuno ha chiesto di incontrarmi per manifestare un malcontento”

L’ass. Castagnino: “L’istituto dell’affido darebbe un servizio miglioreA Siracusa ci sono 24 famiglie in grado di educare i bambini”

nemmeno a contare! D’altro canto, continua, ci sono le difficoltà di chi si ostina a non voler applicare la logica del risparmio, di chi si rifiuta di sacrificare le esigenze “primarie” di questi bambini già sufficientemente provati dalla vita. Abbiamo sempre agito, incalza, nel tentativo di offrire loro non solo lo stretto necessario ma tutto ciò che potesse regalargli una normalità ma anche qualche gioia in più. Ed è proprio con questa logica che la scorsa estate abbiamo affittato, alla modica cifra di1500€, una casa al mare zona Avola. Anche questi bimbi han-no diritto ad un po’ di svago, ad una adeguata vita sociale. E le loro famiglie non possono permettersi il lusso nemmeno di idealizzare su possibili vacanze”. Una domanda irrompe spontanea: “Ma all’esterno non incontrate alcu-

na solidarietà?”. “1500€ di affitto vi sembrano solidali?”, ironizza e prosegue: “Vince la logica del mercato e del guadagno. Mai avuto regali né tantomeno trattamenti di favore, l’unico re-galo sono le nostre volontarie che ci sostengono con il loro validissimo aiuto”. Non resiste e si lascia scappare una esortazione: “Ogni tanto si dovrebbe uscire dal proprio guscio di egoismo e guardare oltre, così da accorgersi che oltre la nostra ci sono altre e diverse realtà su cui il nostro occhio potrebbe e dovrebbe posarsi, la nostra mano aprirsi in un aiuto”. Ma se questo è il contesto come fate a soprav-vivere?“C’era un’altra comunità a Floridia ed ha chiu-so. Noi finora abbiamo resistito perché alla base c’è tanta convinzione, soprattutto la mia:

quando gli altri soci volevano chiudere io ho detto no e per fortuna l’ho spuntata!”. Gli piace sottolineare, però, che buona parte del merito è di quei pochi educatori che, soprattutto agli inizi, mentre la maggior parte fuggiva per i tur-ni troppo impegnativi e la paga modesta hanno puntato i piedi e sono rimasti per amore di quei bambini che in quel momento avevano bisogno (bambini che spesso o per negligenza o per lo-giche di risparmio vengono rituffati in ambienti di disagio e abbandono) e per atto di fede in questa comunità che tanto aiuto ha dato e tanto può ancora darne. “Proprio in questi giorni, si sfoga, avrebbero dovuto portarci 6 bambini ma all’ultimo momento il Comune di Siracusa ha optato per una comunità a retta regionale. Così, per noi, sopravvivere è sempre più difficile!”.

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e in generale l’affido non sempre è una via perseguibile. Basti pensare ai vari adolescenti difficili: sono pochissime le famiglie disponibili e so-prattutto preparate ad accoglierli addossandosene tutte le problematiche. E, in ogni caso, l’affido richiede dei tempi piuttosto lunghi ragion per cui nell’emergenza (caso tipico quello dell’unico genitore che vedendosi costretto ad andare al lavoro, pena il licenziamento, e non avendo a chi affidare il minore si rivolge disperato ai Servizi Sociali) bisogna necessa-riamente appoggiarsi alle comunità, solo successivamente ci si può avva-lere dell’osannato strumento. Permanendo il bisogno di queste strutture permane anche il problema della loro sopravvivenza. Come intervenire?“Queste difficoltà, comuni ai sindaci di tutti i Comuni, sono state portate sul tavolo della 328. Si sta valutando la possibilità di potenziare questi servizi per i Comuni che si trovano in grossa difficoltà compreso il nostro”. E’ chiara la preferenza dei Comuni per le comunità a retta regionale ma nell’optare per queste comunità viene attenzionato anche il lato qualitativo del servizio erogato, ciò che la struttura è in grado di offrire al minore?“All’interno del territorio delimitato dal tribunale, la scelta sta ai Servizi So-ciali che decidono, sulla base della valutazione della situazione del minore, la comunità che ritengono per lui più opportuna a prescindere dai costi.Così avviene che si predilige la struttura a maggior prevalenza maschile o fem-minile o ancora quella in cui è già presente un fratello o una sorella, al fine di garantire l’unità familiare. Gli assistenti sociali elaborano una relazione tecnica alla quale noi, come Ufficio, ci atteniamo. E’ chiaro che a parità di qualità si decide per la struttura più economica, sarebbe ingiustificabile il contrario.”Eppure, nonostante le particolari attenzioni menzionate, molti minori sono stati affidati a comunità in cui gli educatori non solo si rinnovano continuamente ma non sono neanche qualificati per il ruolo ricoperto. Un tale risultato esclude lo svolgimento di un accurato controllo di qua-lità in ingresso. E se nessuna segnalazione su tale stato di fatto è a lei giunta da parte dei Servizi come spiega il verificarsi di ciò? Superficiali-tà da parte dei Servizi Sociali? Oppure le segnalazioni effettivamente ci sono state ma lei non ne è a conoscenza?“I controlli sulle Comunità spettano alla Regione: le comunità sono iscritte ad un Albo Regionale. La sussistenza di tale iscrizione è per noi garanzia sufficiente.”Questo giustifica i Servizi a chiudere gli occhi ignorando l’eventuale di-sagio minorile?

“No di certo. In ogni caso a me personalmente non è mai giunta alcuna se-gnalazione, qualora ciò fosse accaduto avrei senza dubbio predisposto dei controlli. E’ anche vero che, a volte, ci troviamo in condizioni particolari qualora i minori vengano mandati fuori dal territorio provinciale, circostanza nella quale effettuare un’attività di controllo risulta davvero complesso. In ogni caso, condizioni particolari o estreme comprese, finora non mi è mai pervenuta alcuna lamentela di inadempienza dell’Ufficio. Nel verificarsi di una tale evenienza sarei disponibile all’incontro e al dialogo”.Le comunità denunciano anche casi di minori prematuramente reinseri-ti nel contesto familiare d’origine senza alcun riguardo per un processo educativo ancora in pieno corso e con il risultato non solo di far ripiom-bare il minore in una situazione di disagio e abbandono ma anche di va-nificare i risultati intermedi raggiunti. Ancora un problema di mancata segnalazione o inadeguatezza dei Servizi Sociali?“Mi chiedo perché i responsabili di queste comunità, così frustrati, non ven-gano a parlare direttamente con me che sono l’ente pubblico di riferimento. Nessuno, ne sono sicuro, ha mai chiesto di incontrarmi. Nessuna forma di malcontento ha conosciuto formalizzazione ufficiale, non esiste alcun docu-mento che attesti diversamente”.Qui, evidentemente, le possibilità sono due: o qualcuno all’interno delle Co-munità mente, perché vuole guadagnarci, o i Servizi Sociali non svolgono adeguatamente il loro lavoro. Status quo: le comunità sostengono di non venir pagate, o per lo meno fortemente in ritardo, così come molti educatori; il Co-mune si vanta di aver ormai regolarizzato i pagamenti riorganizzando l’intero sistema e, comunque, di non aver mai ricevuto in merito formali reclami da parte di nessuno. “Nessun reclamo è mai giunto al mio assessorato - rimarca con foga l’assessore Salvatore Castagnino - e la mia posta è sempre colma” (se la legga, però, non lo precisa). “In ogni caso – conclude - qualora qualcuno si facesse avanti, rimango disponibile al dialogo”.E, intanto, in questo groviglio di accuse e scuse, con rilanci all’inverosimile, in questa caccia al tesoro di probabili tutori e, dunque, debitori, che ci lascia mille dubbi e nessuna risposta, a rimetterci sono proprio questi minori che continueranno a chiedersi, così come tutti noi, se alla resa dei conti qualcuno si preoccuperà davvero di garantirne la tutela o se la loro vita, già abbastanza segnata, non sia inesorabilmente appesa ad un filo sul punto di spezzarsi così da farli precipitare nell’indifferenza più totale.

Servizi di DANIELA DE LUCA

VIAGGIO NEL MONDO DELLE COMUNITA’ ALLOGGIO. COMUNI E REGIONE NON PAGANOIn una struttura “privilegiata” perchè pagata direttamente dalla Regione e non dal Comune

Fontana (Coop. Eden): “Prima i soldi in due tranchesCon Lombardo in quattro rate. Da 9 mesi senza stipendio” La nostra bella Siracusa, col suo peculiare fa-scino e le sue innumerevoli contraddizioni, cosa può confidarci sul mondo delle comunità allog-gio? Prima di accingerci a esplorare il nostro territorio urge chiarire e in ciò ci viene in aiuto la dottoressa Pina Marangi, assistente sociale del servizio di educativa domiciliare rivolto ai mino-ri gestito dalla “Luigi Monti”, comunità per mi-nori ubicata in via Favara a Siracusa, la quale ci spiega perché alcune comunità siano pagate dalla Regione mentre altre dai Comuni. “Quando le Comunità cominciarono a diveni-re un peso ormai insostenibile per la Regione - spiega la dottoressa - questa intervenne tagliando i fondi. Per cui, pur dovendo tutte le comunità essere iscritte all’Albo Regionale (occorre co-munque l’autorizzazione al funzionamento da

parte della Regione), alcune, quelle più antiche, come la “Luigi Monti” di Siracusa, hanno anche il finanziamento da parte della Regione, per le altre, invece, saranno i Comuni a pagare di volta in volta per ogni singolo minore inserito, previa stipula di apposita determina dirigenziale con la comunità di accoglienza”.In via Damone, n.4, in una delle zone nevralgi-che della città, si trova la “Cooperativa Sociale Eden” – Comunità-Alloggio “Arenella”, che, nata nel ’98, rientra tra le comunità etichettate come privilegiate in quanto pagate direttamente dalla Regione che rispetto ai Comuni, a quanto si sente dire, dovrebbe essere più generosa e pun-tuale nei pagamenti. Verifichiamolo chiacchie-rando con la dottoressa Teresa Fontana, assisten-te sociale e responsabile della comunità.

Invitata ad erudirci sulle logiche alla base di queste strutture, essa esordisce sottolineando che quello della comunità è un periodo di transizione durante il quale, dopo un primo mese di osserva-zione necessario per tirare fuori un progetto edu-cativo individuale, si lavora sul minore aiutando-lo nel perseguimento dell’obbiettivo individuato che è comunque sempre un obbiettivo flessibile e verificabile, commisurato al tempo della sua permanenza nella struttura. E, in ogni caso, l’ob-biettivo principale è sempre quello di favorire il rientro del minore, possibilmente arricchito di qualcosa di nuovo, nella sua famiglia. Ma, per riuscire in questo ambizioso progetto, decisivo, anche se difficilmente realizzabile, risulta lavo-rare in equipe allargata, in collaborazione con i servizi sociali del territorio, quindi ricorrendo

“Qui qualcuno mente. Nessuno ha chiesto di incontrarmi per manifestare un malcontento”

L’ass. Castagnino: “L’istituto dell’affido darebbe un servizio miglioreA Siracusa ci sono 24 famiglie in grado di educare i bambini”

allo strumento della mediazione familiare così da poter agire, secondo un concordato programma, an-che sulla famiglia, vera depositaria dei problemi del minore, quindi nel contesto in cui il minore viveva e ritornerà a vivere, così che al suo reingresso trovi un ambiente idoneo ad accoglierlo. Quando ciò non è possibile si lavora in alternativa, quando l’età lo consente, sull’autonomia sociale del minore.Altro tassello fondamentale: “Occorre agire come gruppo, argomenta, sia pure con libertà nell’approc-cio e nel modo di interfacciarsi, ma al fine di comu-nicare stabilità e coerenza si deve operare seguendo un filo comune, all’unisono: tante teste ma una sola voce per il raggiungimento di un unico concorda-to obbiettivo. Il lavoro di equipe deve trasparire in ogni atto, come ad esempio mantenendo come dato di fatto la punizione impartita da una collega che ci ha preceduto e che ha provveduto ad appuntare que-sta come altre comunicazioni nel cosiddetto “diario tecnico” che, lasciato in consegna ad ogni operatore che deve debitamente compilarlo, non è altro che un mezzo di aggiornamento istantaneo di quan-to accaduto nel proprio turno”. Intuendo la nostra perplessità si affretta a chiarire che questo risultato, non sempre realizzabile, è merito delle continue ri-unioni, che coinvolgono a volte solo gli educatori, altre l’intera equipe, comprendente tra l’altro anche uno psicologo, un pedagogista e un assistente so-ciale. “Se qui il clima è sereno e tutte le attività si svolgono con regolarità, commenta, il merito è es-senzialmente della sovrastruttura e della sua équipe che è riuscita a imporre delle regole che vengono percepite non come ordini ma come linee di corret-tezza fondamentali per una sana e armonica convi-venza. Ovviamente, prosegue, non abbiamo a che fare con dei computerini per cui è sufficiente impu-tare dei dati, basilare per raggiungere simili risultati è il dialogo, bisogna realizzare quello che potrebbe definirsi l’incontro tra due mondi, il nostro e il loro, dimostrare dunque una certa flessibilità, ma quando occorre anche indiscutibile autorità. Rispetto al tutto che viene dato ben poco viene loro richiesto e quel poco, ne acquisiscono pian piano consapevolezza, è esclusivamente per il loro bene”.Quando ci addentriamo sul personale non si nascon-de e ci racconta come sia difficoltoso conciliare que-sto lavoro, che lei vive come una “missione” con la vita personale. “Non è facile far accettare a chi ci sta accanto che una parte di noi è sempre votata a qual-cun altro o meglio a tanti altri. C’è un carico emoti-vo che ci si porta dietro come in una borsetta e che lì deve rimanere confinato quando si interagisce con queste ragazze a cui non possiamo certo rischiare di trasferire ulteriori tensioni. Così come non è facile, ma si acquisisce solo nel tempo, il giusto distacco, la rigorosa professionalità, dovuta quando si opera in questo settore. Non puoi concederti sentimenta-lismi, tuona, devi trattare ogni caso con razionalità e discernimento. Se ti capita di commuoverti, ag-giunge, puoi piangere dentro o in solitudine, ma al momento nessuna lacrima deve rigare il tuo volto”.E’ indiscutibile come qui si vada oltre il normale e corretto svolgimento del proprio lavoro entrano in gioco motivazioni più profonde che nascono dal cuore. La solidarietà è palpabile. Determinazione e passione alimentate da un grande spirito di umanità sono le costanti che scandiscono le giornate, che so-stengono azioni ed interventi.Abbandoniamo il confortante lato umano per af-frontare lo spinoso e tanto dibattuto tema economi-co, certi di trovare, almeno in questo caso, in quanto trattasi di comunità a retta regionale, un riscontro positivo. Chiediamo, quindi fiduciosi, se siano rego-larmente retribuiti dalla Regione. “Macchè, irrompe la dottoressa Fontana, sono più di 9 mesi che aspet-tiamo di essere pagati e, quindi, che non percepiamo stipendio”.Apprendiamo tristemente che anche le invidiatis-

sime comunità a retta regionale, preannunciateci come isole felici, predilette dai Comuni in quanto finanziate dalla Regione, hanno i loro bei problemi con i pagamenti. E’ vero, infatti, che è la Regione a pagare ma non così puntualmente e mai in un’unica soluzione, almeno in due tranches e, dopo l’inse-diamento della nuova compagine politica, anche in tre o quattro. Con il Presidente Lombardo, inoltre, l’iter si è notevolmente complicato rasentando il far-raginoso: i soldi stanziati escono dalla Regione per entrare in un altro ufficio che si occupa, a sua volta, di emanare i mandati per tutte le province, solo di-versi mesi dopo il mandato giunge finalmente nelle casse della Ragioneria comunale. E fino ad allora il Comune non esce un euro! Dunque le delibere ven-gono preparate solo dopo l’arrivo dei soldi.“Abbiamo chiesto al Comune di Siracusa di aiutarci anticipando quelli che sono, in sostanza, soldi certi, dato che la Regione in qualche modo li manderà, ma la dirigenza dell’Assessorato delle Politiche Sociali si è rifiutata di farsene carico. Così, dopo più di 20 giorni dall’emanazione dei mandati per pagare le comunità-alloggio di tutta la Sicilia, noi continuia-mo a restare in attesa di ciò che ci spetta (per l’intero 2009) e soprattutto ci occorre per mandare avanti la struttura”.Con un residuo di speranza chiediamo se almeno il finanziamento sia sufficientemente generoso.“Mensilmente ci viene riconosciuta la copertura del posto fisso, quindi per 10 ragazze, più la quota giornaliera pari a 70,50€, calcolata in base ai giorni effettivi che le ragazze trascorrono in comunità. Ri-spetto a quanto richiesto ai Comuni dalle comunità solo autorizzate dalla Regione che, pur di accogliere i minori si svendono per sole 40-45€ giornaliere, è sicuramente generoso”.Allo stato dei fatti, anche qui, ritroviamo gli stessi problemi, gli stessi disagi, c’è sempre chi deve anti-cipare grosse somme, in questo caso la Coop. Eden, e chi per diversi mesi deve rinunciare allo stipendio.Da un’analisi generale emerge chiaramente come esista il rischio concreto che la precarietà economica delle classi comunali provochi, in un clima di so-stanziale indifferenza, un abbassamento del livello di protezione per i bambini e i ragazzi in condizione di deprivazione e abbandono che abitano il nostro territorio. Infatti, se da un lato sono aumentati gli strumenti a disposizione degli operatori per la defi-nizione delle migliori risposte ai bisogni dei minori in difficoltà (affidamento familiare, case famiglia, comunità etc.) dall’altro la necessità di razionaliz-zazione delle spese sociali (spesso usate a copertu-ra di ragionamenti più propriamente politici) oltre a mettere a rischio alcuni di questi strumenti, in particolare le comunità, induce implicitamente alla scelta degli strumenti meno onerosi economicamen-te, come il volontariato, con il rischio che situazioni pesanti e gravose di minori segnati dalla propria sto-ria personale finiscano per essere trattate in contesti non qualificati professionalmente né adeguatamente sostenuti e monitorati dai servizi sociali e sanitari del territorio. Se non quando nel tentativo di razio-nalizzazione estremo si finisce per sconfinare nel campo della superficialità e nella negligenza più assoluta seppellendo sotto una coltre di inestricabile silenzio storie di minori bisognosi di tutela e invece abbandonati a se stessi. In una situazione di fatto in cui quei settori, cui spetta la scelta degli interventi da attuare, il loro monitoraggio e il loro controllo (quali il servizio sociale), hanno conosciuto una pesante riduzione delle risorse economiche ed umane a disposizione e in cui gli aiuti approntati, primi fra tutti le comunità in questione, sono in forte crisi chi garantirà la tute-la dei minori allontanati dalle famiglie e con quali strumenti effettivi?Tali e altre domande esigono una risposta. Al Comu-ne di Siracusa oggi chiediamo una risposta.

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10 14 Novembre 2009

In altre città in uso il call a bike: ci si registra on linesi telefona al numero impresso sul telaio, si riceve l’addebito

Go-Bike, il sistema finora non... pedala. Un’idea: gratis la smartcard ai turisti

di MARINA DE MICHELE

Un investimento complessivo di oltre due milioni di euro tra go-bike e pista ciclabile per almeno sognare di essere un po’ più vicini alla modernità, all’esempio di alcune capita-li europee come della nostra, delle grandi metropoli del vec-chio e nuovo continente come di tanti altri comuni italiani che già da anni hanno incentivato, con appetibili proposte, il ri-corso a una mobilità sosteni-bile grazie al servizio di bike sharing e alla creazione di per-corsi riservati alle due ruote. Un progetto, quello delle due ruote condivise, così vecchio, l’anno di nascita è il 1989, da indurre il suo ideatore, l’ame-ricano Pedro Kanof, a proporre al presidente Obama di passare direttamente a una rete di sta-zioni di sosta automatizzate, con impianti di allarme e carica batterie per le bici elettriche, a disposizione però di tutti i tantissimi proprietari delle due ruote; inutile per Kanof pensa-re ancora alla bicicletta condi-visa, esigenza di una società un po’ più povera e soprattutto meno sensibile alle problemati-che ambientali, della mobilità a zero emissioni. Certo, altra realtà l’America, non solo per Siracusa ma per tutta l’Italia che solo nel 2000,

a Ravenna, ha inaugurato il pri-mo bike sharing a sistema mec-canico e ha dovuto attendere il 2004 per passare alla carta ma-gnetica introdotta allora, per la prima volta, nel comune di Cu-neo. Ma nonostante il ritardo un piccolo primato la città di Siracusa l’ha comunque con-quistato inserendosi tra i po-chissimi comuni, ci risulta solo tre, che hanno affiancato alle bici normali quelle a pedalata assistita, elettriche. Un siste-ma misto quindi per affrontare più agevolmente le non poche pendenze della città. Un “rega-lo” del ministro per l’ambien-te Stefania Prestigiacomo alla sua città, forse un po’ troppo magnificato in quei giorni che precedevano il G8, presentato come un’assoluta innovazione quasi non fossero già oltre 120 i comuni italiani con un servi-zio di bike sharing attivato (e non solo 35 come si è scritto sulla patinata rivista del comu-ne giocando con le ambiguità), ma che pur tuttavia ha consen-tito alla patria di Archimede di vantare un qualche vantaggio, un fiore all’occhiello, rispetto alle consorelle del meridione, di quel sud sempre affannato nel rincorrere l’innovazione quando questa è già diventata senescenza, sempre ultimo nel-

la corsa alla modernità e all’op-posto sempre al vertice delle classifiche quando i parametri indicano le negatività frutto delle poco convincenti strate-gie di crescita e di promozione elaborate dai suoi amministra-tori. Siracusa quindi in pool position tra i comuni del sud e tra le 39 città che fruiscono del sistema elettronico, quello con la smartcard. 15 cicloposteggi (a Parma sono dotati di pannelli fotovoltaici!) per ospitare però solo un cen-tinaio (o duecento?) delle 450 (o 570?) biciclette acquistate. Una confusione sui numeri: se ne scrive uno nella rivista del comune, se ne cita un altro nel-le interviste! Un investimen-to complessivo da un milione 118mila euro a valere sui fondi a disposizione del ministero per il G8, di cui 500mila sono stati utilizzati per i lavori di installazione delle rastrelliere. Un inizio comunque non felice. A evidenziarlo, nei primi giorni di agosto, lo stesso presidente della FIAB (Federazione Italia-na Amici della Bicicletta) An-tonio Dalla Venezia che, con una lettera aperta al Ministro per l’Ambiente Stefania Pre-stigiacomo, su sollecitazione della locale sezione, stigma-tizzava il mancato sostegno dell’amministrazione comuna-le all’iniziativa.“Ma come - lamentava Dalla Venezia - nonostante la fortu-na di aver ricevuto, “proprio grazie al Suo personale interes-samento”, un parco biciclette utile per iniziare la battaglia contro le emissioni di CO2 e andare verso quelle politiche di mobilità attuate in tutta Eu-ropa, il GO-BIKE non ha avuto né una presentazione ufficiale, né un convegno, né una vera e propria campagna pubblicita-ria?”“Il servizio di noleggio è entra-to in funzione il 21 aprile scor-so - denunciava il presidente della Fiab - ma sono poche le

biciclette bianco-verde che si sono viste in giro. Poche decine i virtuosi che si sono abbonati anche perché accedere all’ab-bonamento è un po’ macchino-so: solo due ore al giorno, con l’esclusione del sabato e della domenica, presso la sede del gestore. Increduli i turisti nel sentirsi rispondere che le bici sono al momento a disposizio-ne solo dei residenti. Imbaraz-zati anche i vigili urbani che non sanno cosa rispondere a chi chiede informazioni. Oltre allo spreco di risorse determi-nate da tale mancato utilizzo e valorizzazione, è singolare che, mentre da un lato l’European Cyclists’ Federation chiede ai sindaci di tutte le città europee di firmare la Carta di Bruxel-les per impegnarsi ad adottare adeguate politiche della mo-bilità sostenibile, al fine di far lievitare la media europea de-gli spostamenti in bici al 15% di modal share entro il 2020, in Italia ci siano città come Siracusa, ma non è purtroppo la sola, che non comprendo-no quale sia il ruolo strategico della bicicletta come mezzo di trasporto del futuro perché ad emissioni zero”.Impossibile per l’architetto Giuseppe Amato, mobility-ma-nager d’area, accettare le inge-nerose accuse. Dichiarandosi pervaso da stupore rispondeva che solo “la complessità del sistema tecnologicamente più avanzato e ritengo primo (sic!) in Italia” di bici tradizionali e insieme elettriche aveva deter-minato un prolungamento dei tempi ma che tutto era ormai stato predisposto e accessibile dal sito del comune. E poi con-tinuava: “L’ulteriore difficoltà nel consegnare beni comunque del patrimonio pubblico ad utenti che non fossero corret-tamente referenziati e registrati nel database informatico ha po-sto in essere lo studio per una strategia che renda più sem-plice la presa e l’utilizzo delle

Questa la sconcertante cronaca della disorganizzazione comunale

L’avv. Giuliano: “A giugno volevo una bici, ho mandato una persona”

03/06/09: h. 11.00 Incarico una mia collaboratrice per la sot-toscrizione dell’abbonamento del servi-zio Siracusa Go-Bike a mio nome. La stessa, recatasi presso la sede della City System in Via Adda n.9 con i moduli scaricati dal sito del Comune compilati e firmati, viene rimandata indietro poiché i moduli non dovevano essere firmati solo dove indicato ma in tutte le pagine.

04/06/09: h 10.00 rimando la stessa collaboratrice alla City System ma la sede è chiusa. Sulla porta di ingresso è affisso un cartello che indica l’orario di apertura dalle 10.00 alle 12.00. Alla stessa, dopo circa 30 minuti di at-tesa, viene comunicato da un impiegata della GE.PA. che l’impiegato addetto al

servizio abbonamenti ha avuto un impre-visto presso il Comune e che lo sportello non aprirà prima di una mezz’ora circa. A questo punto la signora Velia Aprile si reca allo Sportello Unico del Cittadino in via San Metodio 38, altro ufficio prepo-sto al servizio abbonamenti, ma anche qui non è possibile abbonarsi perché l’impie-gato che se ne occupa è in ferie e nessun altro, le viene detto, ha la password per l’accesso al servizio. Viene invitata a ri-tornare il giorno dopo.

05/06/09: h 9.30 la stessa collaboratrice si reca allo Spor-tello Unico del Cittadino in via San Me-todio 38, l’impiegato le dice di aspettare un attimo perché non essendo in possesso della password deve attivarsi per ottener-

la e che in ogni caso è soltanto il secondo abbonamento che fanno. Trascorsi all’incirca 30 minuti, riesce ad ottenere l’abbonamento chiedendo nel contempo le modalità di ricarica della carta Go-Bike. Inizialmente le viene detto che si potrà ef-fettuare la ricarica anche on-line attraverso una login e una password che le viene for-nita ma un altro impiegato più informato smentisce il collega precedente ed informa la stessa che al momento non è possibile effettuare la ricarica online e che ogni vol-ta sarà necessario recarsi presso gli uffici postali ed effettuare la ricarica a mezzo bollettino di c/c postale la cui ricevuta do-vrà poi essere esibita e consegnata all’uffi-cio preposto e da lì sarà effettuata la ricari-ca della tessera in questione.

bici. Ma nel mese di settembre saranno distribuite le tessere pre-caricate a tutte le edicole, tabaccai, attività commerciali, presenti sul territorio e vicine ai cicloposteggi, che aderiran-no alle convenzioni, con il si-stema della pre-iscrizione che di certo non farà perder tempo né a chi distribuisce tantomeno agli utenti. Preciso ancora che per l’autunno prevediamo la possibilità del pagamento e re-gistrazione via internet”. Purtroppo le cose non sono an-date così. Delle modalità com-plesse e farraginose per dotarsi della tessera magnetica ci ha raccontato Daniela De Luca su questo settimanale e lo testimo-niano anche i tre giorni della signora Velia Aprile, assistente dello studio legale Giuliano; delle procedure telematiche al momento neanche a parlarne; di tessere precaricate non se ne vede l’ombra. In altre città è possibile “ad-dirittura”, dopo l’iniziale re-gistrazione on line, telefonare al numero impresso sul telaio della bicicletta, ricevere un codice che consente di libera-re il mezzo e avere l’addebito direttamente sul conto telefo-nico: si chiama il call a bike. Ma soprattutto, e questo ci sembra una mancanza grave,

ai turisti la tessera viene di-stribuita gratuitamente. Così si potrebbe promuovere la città e accogliere simpaticamente chi dovrebbe costituire il volano di un settore strategico, o almeno che dovrebbe essere tale, della nostra economia.Il servizio dunque appare per certi aspetti carente e stenta a decollare, sebbene si potrebbe obiettare che è ancora presto per fare bilanci. Forse la mag-gior parte dei siracusani che vuole andare in bici ne ha già una di proprietà, forse una na-turale indolenza fa preferire la più comoda automobile, forse, anzi a nostro avviso sicura-mente, una buona parte di re-sponsabilità è da attribuire ad albergatori ed esercenti poco disponibili a promuovere l’ini-ziativa gratuitamente e a colla-borare fattivamente per la sua riuscita, segno anche questo di una arretratezza culturale del-la nostra realtà. Fatto sta che mentre in altri comuni già si fanno i conti con la sproporzio-ne tra domanda e offerta e così si cerca di rimpinguare il “par-co macchine” e di collocare nuove rastrelliere, a Siracusa gli abbonati sarebbero non più di 150-200 e la maggior parte delle biciclette restano inutiliz-zate, conservate chissà dove.

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1114 Novembre 2009

De Benedictis: “Il bike sharing è stato siracusanizzatoServizio mai partito per drenare soldi dal ministero”

di MARINA DE MICHELE

È la Tecnicar, e non più la City-sistem, il nuovo gestore del ser-vizio go-bike in città. Si è aggiu-dicata un appalto da 36mila euro con un’offerta al massimo ri-basso pari al 25%: circa 27mila euro quindi. Quasi un quarto rispetto al primo appalto, di sei mesi come questo, da 110mila euro e la riduzione si dovrebbe spiegare con la soppressione di una serie di obblighi contrattuali che, secondo il consigliere co-munale del partito democratico architetto Riccardo De Benedic-tis, rappresenta un’eccezionale chiave di lettura del futuro del bike-sharing a Siracusa. “Molte cose sono state elimi-nate rispetto al primo appalto – evidenzia De Benedictis - È scomparso il servizio relativo all’iscrizione dell’utenza e così il call center numero verde, quest’ultimo poco compren-sibilmente rimasto, nel primo appalto, a carico dell’ammini-strazione. La domanda è a chi si dovrà rivolgere ora il cittadino per procurarsi le tessere elettro-niche o avere informazioni. La semplificazione è il risultato di un sistema perfettamente fun-zionante e che procede quasi in automatico, o si intende affida-re ad altri, o gestire in proprio,

questi aspetti? È tutta la nuova impostazione che apre eguali perplessità dal momento che viene cancellato tout court an-che il servizio denominato “at-tività di sensibilizzazione e pre-senza istituzionale”. L’obbligo per il gestore di predisporre ini-ziative di comunicazione lega-te al servizio per garantire una presenza pubblicitaria nell’arco del periodo di gestione era pri-ma ben precisato. Ogni anno si dovevano svolgere almeno 2 campagne di comunicazione sui media per la comunicazione editoriale o esterna e 3 presenze in attività istituzionali legate al servizio, esempio feste di piaz-za, domeniche ecologiche, con-ferenze stampa. Si è preso atto che questi aspetti contrattuali non sono stati rispettati e quindi si è deciso di cassarli del tutto? “Ma soprattutto è stato elimi-nato anche un ulteriore servizio fondamentale: quello di analisi dei dati statistici e report perio-dici che avevano cadenza trime-strale, vale a dire quanto neces-sario per valutare l’efficacia del progetto, la qualità del servizio e quindi apportare le correzioni necessarie. Che ciò non esista più è a mio avviso eloquente del fatto che l’amministrazione

comunale naviga a vista anche su un progetto importante come questo. Ovviamente, privandosi di un valido strumento di anali-si dei dati e di report statistici, non sarà in grado di apportare quegli interventi correttivi e di modifica utili a calibrare e offrire un servizio più adegua-to alle esigenze della città. La conclusione logica è una: l’am-ministrazione non crede, non vuole credere e non intende uti-lizzare risorse in uno strumento di intermodalità come il bike sharing. Ne è prova la somma che si è deciso di investire, del tutto inadeguata se ha dovuto comportare una riduzione di servizi indispensabili alla buona riuscita del progetto. E seppure ci si potrebbe trincerare dietro le ristrettezze del bilancio, non risulta che siano state studiate soluzioni diverse, alternative, semmai anche guardando alle tante esperienze di altre realtà. “La verità è un’altra: il bike sharing è stato siracusanizzato. Non un servizio parte integran-te ed essenziale di un progetto intermodale, articolato su più versanti, per ridurre l’inquina-mento dell’aria, decongestiona-re il traffico urbano e migliorare la qualità di vita dei cittadini,

bensì quattro biciclette distri-buite in città (il bilanciamento è uno dei pochi servizi rimasto in piedi). Nell’ambito delle best practices, il servizio delle bike-sharing a Siracusa avrebbe do-vuto rappresentare un vanto per l’amministrazione comunale, un’esperienza da portare avanti con successo, un esempio per gli altri comuni, e invece ci viene consegnato un servizio mai partito, oggi ulteriormente penalizzato, che è servito sola-mente a drenare a Siracusa sol-di del Ministero”. “Ma forse ci saremmo meravigliati se le cose fossero andate diversamente”, chiosa De Benedictis. Rimane lontana l’Europa dove molte città, Lione, Parigi, Lon-dra, Barcellona, Stoccolma e via elencando, hanno preso ac-cordi con compagnie pubblici-tarie che forniscono al comune migliaia di biciclette a titolo gratuito (o sottocosto) e otten-gono, in cambio, di poter appor-re della pubblicità sia sulle bi-ciclette stesse che in altri punti della città. Lontane anche alcu-ne città italiane dove il servizio per l’utente è totalmente gratui-to. Da noi i cittadini pagano due volte: una direttamente l’altra attraverso l’amministrazione.

Nuovo appalto al ribasso, il 25% del primo. E scompaiono servizi essenziali come il monitoraggio

La ferita alla Latomia dei Cappuccini. Occorrerà cancellarequella strada carrabile e lasciare che la natura faccia da sè

Il nastro bianco che si fa stra-da tra il verde scomposto della vegetazione spontanea sembra una ferita. È una nota stonata in un’area tutelata da sempre da una serie di vincoli archeologici. La Latomia dei Cappuccini è una delle aree “sacre” della città tra le più suggestive e sembra impossi-bile che qualcuno abbia pen-

sato di tracciare quel percorso senza porsi il problema del danno che si stava arrecando. All’inizio, a leggere le car-te, era stata autorizzata solo l’apertura di un varco nella ringhiera su via Delfica per consentire un passaggio fino all’immobile da ristrutturare. Le opere di manutenzione del refettorio dei Cappuccini era-

no “improcrastinabili” e l’im-mobile “intercluso”, evidente-mente tale da non poter essere raggiunto da nessun’altra par-te. Solo per questo, a giugno, la Sovrintendenza aveva conces-so l’autorizzazione: sostituire una parte della ringhiera con un cancelletto apribile per poi ripristinare lo stato dei luoghi. Ma evidentemente qualcuno si

è fatto prendere la mano e non si può che pensare che tutto sia accaduto in perfetta buona fede. Non sarebbe ipotizzabile che proprio i frati cappuccini possano aver considerato pos-sibile realizzare una strada più comoda per raggiungere l’edi-ficio alle spalle attraversando un’area vincolata, protetta. La segnalazione dovuta, obbliga-

ta, che qualcosa comunque di non regolare stava avvenendo è stata fortunatamente tem-pestiva. L’ufficiale di polizia giudiziaria del corpo foresta-le Andrea D’Angelo non po-teva non notare quel rilevato stradale, l’accumulo di un terrapieno formato con il de-posito di materiale da diporto e soprattutto la totale assenza

di un cartello che indicasse la presenza di un cantiere e quin-di la relativa autorizzazione. Di qui la segnalazione alla Sovrintendenza che sollecita-mente ha ordinato di fermare i lavori.Ora occorrerà cancellare quel-la strada carrabile e lasciare di nuovo che la natura riprenda il suo spazio.

L’architetto Riccardo De Benedictis

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12 14 Novembre 2009

Giacinto Franco e Luigi Solarino: “I problemi non sono piùle polveri sottili ma il nanoparticolato, particelle da 0.1 micron”

“Sono le responsabili dei tumori, piaga del nostro territorio, prodotte da combustioni ad oltre 1000 gradi”

di MARINA DE MICHELE

Un muro di gomma quello op-posto all’organizzazione mon-diale della sanità e all’azienda sanitaria provinciale dal Con-sorzio Industriale Protezione Ambiente. Il messaggio è di quelli che non ammettono re-pliche: “Non nelle emissioni inquinanti delle industrie va cercata la causa, il nesso eziolo-gico dell’allarmante situazione sanitaria dei comuni più vicini al petrolchimico. La situazione è del tutto sotto controllo, le normative europee e nazionali sono applicate alla lettera, solo insignificanti le criticità ancora da risolvere”. “Ma il Cipa non è che un orga-nismo del controllato che si fa controllare da se stesso” com-mentano sarcastici il dottore Giacinto Franco e il professore Luigi Solarino. “Cosa si sareb-be registrato? Che le polve-ri sottili si sono ridotte? Non discuto il dato – commenta il dottore Giacinto Franco -. Non nego che questo possa essere accaduto ma i problemi non sono più le polveri sottili bensì il nanoparticolato, le particelle non di 10 micron, bensì quelle tanto più piccole, infinitesima-li, da 0.1 micron, quindi cento volte più piccole di quelle che respiriamo in strada. Sono pro-prio esse le responsabili dei tan-ti tumori che sono la piaga del nostro territorio e che derivano da tutto quello che si brucia ad altissime temperature”. Osservazioni non fantasiose ma che trovano conferme in studi e indagini di scienziati di tutto il mondo ormai da anni impegnati

su questo fronte.Le particelle di nanodimen-sioni, aggregandosi in clusters secondo alcune leggi fisiche, si fondono con le membrane del nostro corpo e sono in grado di distruggere progressivamen-te e senza sosta le cellule. Non conoscono barriere, sebbene qualcuno si ostini ad affermar-lo nonostante prove incontro-vertibili: né quella polmonare, né quella intestinale, né quella ematoencefalica. Una volta respirate, dopo 60 secondi, oltrepassano la bar-riera polmonare e entrano nel sangue; dopo un’ora sono nel fegato e allorquando abbiano interagito con la struttura cel-lulare, non possono più essere rimossi. Al momento non sono ancora state individuate tecni-che di eliminazione e, se sono nel sangue, possono andare an-che nelle gonadi, nello sperma, nel dna. Di qui una possibile contaminazione del partner e di qui i bambini malformati, come testimoniato dai figli dei soldati della prima guerra del Golfo. Gli scienziati si stanno sempre più convincendo che sono le nanoparticelle le responsabili del versamento pleurico, della fibrosi polmonare, dei granu-loma: è detto a chiare lettere in uno studio pubblicato sull’au-torevole periodico specialistico European Respiratory Journal. Ancora più pericolose e temibi-li delle fibre d’amianto perché ancora più piccole e insidiose al punto da indurre i ricercato-ri a parlare di una “contamina-zione planetaria” prodotta da

nanoparticelle inquinate, che è possibile trovare ovunque. Ingerite anche mangiando un alimento, passano irreversibil-mente nei tessuti, ovunque, così che si è dovuto coniare un ne-ologismo: di “nanopatologie” parla la dottoressa Antonietta Gatti, responsabile del Labo-ratorio dei biomateriali presso il Dipartimento di neuroscien-ze dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, nella relazione presentata alla Commissione di inchiesta del Senato sull’uranio impoverito già nel 2005. Le polveri sottili, il PM10, le particelle dall’ampiezza di 10 micron, appartengono all’era giurassica. Dire oggi che si è provveduto a una loro riduzio-ne, all’abbattimento delle con-

centrazioni, vuol dire aver fatto la minima parte di quanto ci si attenda. Le dimensioni di cui si deve discutere viaggiano al di sotto del micron, sono i nano-metri. Spiega il dottor Franco: “Sono il prodotto delle combu-stioni ad altissima temperatura, dai mille gradi in su. Più si alza la temperatura più si produce nanoparticolato, inquinante per il quale i governi non hanno ancora determinato i limiti di emissione e per il quale non esiste al momento alcun filtro. C’è un tropismo specifico per ogni metallo pesante. È questa la causa delle tante insorgenze tumorali”.L’indagine sull’uranio impo-verito usato nelle tante guerre della nostra terra maltrattata solleva così la coltre anche dal-

la nostra realtà industriale. La presenza nelle biopsie di par-ticelle perfettamente tondeg-gianti, una forma che è effetto di combustioni ad altissima temperatura, superiore alme-no ai 2mila gradi, la presenza di particelle di antimonio o di tungsteno nel caso di tumori della pleura, particelle compo-ste da fosforo, cloro, piombo e cromo nei linfomi di Hodgkin, metalli pesanti (bismuto, ferro, cobalto e tungsteno) nel cancro alla prostata e via discorrendo, suggeriscono forse quale do-vrebbe essere la strada da se-guire per fugare ogni dubbio, per dare finalmente una risposta certa alle domande, per impe-dire ancora una volta che si nascondano le responsabilità e si sappia finalmente chi si deb-

ba incolpare del dolore degli uomini. Una proposta provo-catoria, una scelta forse troppo coraggiosa, la volontà di fare veramente luce su una realtà che è misteriosa come quella dell’uranio impoverito, su un fenomeno eclatante ma solo a tratti emergente e all’attenzione dei governanti come può esser-lo stato il dramma dei soldati americani al ritorno dalla guer-ra del golfo o da quella in Jugo-slavia. Un pezzetto di fegato, un colon, un polmone, del midollo spinale, qualche goccia di san-gue o di liquido seminale delle tante vittime di questa guerra silenziosa che i siracusani con-tinuano a combattere. Se c’è un serial killer che si nasconde tra noi, forse solo nelle autopsie si può trovare la verità.

De Benedictis: “Fermare le emissioni inquinanti delle industrie”Sciacca: “Dati di origine incerta”. Ma qui si continua a morire

Nel triangolo industriale +132% per le malattie respiratorie acute, +428% per il tumore della pleura

Nei fatti una guerra di dati e insieme una difesa in trincea da parte delle industrie. Sembra essere questa la lettura più immediata dopo i convegni sullo stato dell’ambiente, e di conseguenza sulla salute della popolazione della nostra provincia, che hanno visto protagonisti da una parte l’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità e l’Azienda sanitaria provinciale e dall’altra la Confindustria Siracusa e il Consorzio Industriale Protezione Ambiente. L’indagine messa a punto dall’OMS, e presenta-ta alcuni giorni fa in un incontro pubblico, si è avvalsa in gran parte dei dati raccolti dall’equipe del dottore Anselmo Madeddu, responsabile del registro territoriale delle patologie dell’ASP di Siracusa, in uno studio sulla mortalità (perio-do 1995-2002) e sui ricoveri ospedalieri (tra il 2001 e il 2007) nel territorio. Una sostanziale conferma di quanto già a conoscenza di tutti: nel triangolo industriale Augusta-Priolo-Siracusa, con punte maggiori nel comune megarese, si è riscontrato un indice di mortalità e di tumori significativamente più alto rispetto sia agli altri comuni aretusei sia alla regione, e in alcuni casi anche rispetto ai report nazionali. Tra le patologie più frequenti, spesso causa di decesso, tra le donne, al primo posto, troviamo il mieloma multiplo (+120%) e a seguire le malat-tie respiratorie acute (+86%) e quelle del siste-ma nervoso (+52%), la cirrosi epatica (+32%), i traumatismi ed avvelenamenti (+24%) e infine le malattie dell’apparato digerente (+21%).

Tra gli uomini si è registrato invece un +24% per il tumore maligno di trachea, bronchi e polmoni, +58% per malattie psichiatriche, +14%, per le malattie cerebrovascolari e soprattutto – e qui i dati hanno dell’incredibile - +132% per le malat-tie respiratorie acute e addirittura +428% per il tumore della pleura, cioè della membrana che fa da involucro ai polmoni. Proprio su quest’ultimo dato sembra opportuno focalizzare l’attenzione per la certa correlazione che hanno, nell’insorgenza delle patologie pol-monari, e non solo, le nanoparticelle, come di-mostra uno studio di cui riferiamo e come spie-gano il dottor Giacinto Franco, vicepresidente di Augustambiente, e il professore Luigi Solarino, presidente di Decontaminazione Sicilia.Eppure, a fronte di questi dati, nonostante le connessioni tra tumori e “sviluppo” industriale emerse con evidenza nel corso dell’incontro con i rappresentanti dell’OMS, le reazioni non sono state univoche. Il deputato regionale del partito democratico Roberto De Benedictis ha espresso da subito seria preoccupazione e ha evidenziato la necessità, oltre che del potenziamento dell’in-tervento sanitario e di quelle bonifiche mai effet-tuate nonostante i programmi specifici, soprat-tutto di andare alla fonte del problema. “Occorre analizzare e approfondire il rapporto dell’OMS e sollecitare il governo regionale ad assumere questa come un’emergenza prioritaria, ma so-prattutto è indispensabile fermare le emissioni inquinanti delle industrie”.

Parole a cui hanno fatto da contraltare i risultati del Rapporto Ambiente 2008, redatto dal Cipa, presentato nei giorni successivi. Una progres-siva e significativa diminuzione dei valori delle emissioni di sostanze inquinanti “ben al di sot-to di quanto stabilito dalle normative nazionali e comunitarie” e ancora una volta individuate nell’origine naturale, sabbie desertiche e vulca-niche, le cause dei comunque relativi picchi di PM10: “Gli ultimi sforamenti della media gior-naliera di concentrazione di polveri sottili risal-gono al 2006” è stato detto. Unico neo quindi “le alte concentrazioni di benzene nelle zone del depuratore Ias e degli impianti Erg Nord”; per il resto la garanzia di respirare, compatibilmente con il tessuto produttivo, aria tra le più salubri del Paese.Infatti tanto gli industriali quanto i vertici del Cipa non hanno nascosto un certo fastidio per i dati dell’OMS che mal si sono attagliati con la visione ottimistica da loro espressa. “Dati di cui non si conosce l’origine – ha di-chiarato per tutti il professore Salvatore Sciacca, nella doppia veste di presidente del Cipa e diret-tore scientifico del registro tumori della Sicilia orientale –. Se si tratta di dati relativi al periodo 1999-2005, l’aumento delle patologie tumorali è in linea con quello di tutto il mondo occidentale – ha affermato con assoluta certezza -, e non si è certo potuto fare riferimento a dati più recen-ti dal momento che essi non sono ancora stati né rielaborati né divulgati”. Parole che suonano

all’osservatore esterno come un sostanziale rim-provero a chi ha avallato la relazione OMS e il pensiero non può che correre allo stesso dottore Anselmo Madeddu che, con il professore Sciac-ca, condivide la responsabilità del registro tumo-ri. Una smentita quindi, avallata dai rilievi critici di Confindustria: “Abbiamo partecipato alle riu-nioni preliminari e abbiamo messo a disposizio-ne tutti i dati attuali e storici in nostro possesso. Con grande sorpresa dobbiamo constatare che, alla nostra disponibilità, non ha fatto seguito al-cun riscontro e che non siamo stati posti in con-dizione di esternare, in un dialogo costruttivo, le nostre considerazioni sia nel corso della elabo-razione che in occasione della presentazione dei dati”. E ancora: “In particolare dobbiamo sotto-lineare che in maniera del tutto superficiale sono stati enunciati superamenti dei limiti normativi nazionali ed internazionali per diverse sostanze pericolose come i metalli pesanti ed inquinan-ti organici con caratteristiche di persistenza e tossicità nell’ambiente. Per l’emergenza delle patologie non abbiamo elementi diretti di valu-tazione; tuttavia, considerata la difformità nella elaborazione dei dati sull’inquinamento, ritenia-mo che le conclusioni debbano derivare da un confronto con i risultati elaborati dalle autorità e dagli esperti in materia”. Distanze astrali tengono lontani i due organismi, ma nella nostra provincia di tumore si continua a morire.

Marina De Michele

Dott. Giacinto Franco Prof. Luigi Solarino

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1314 Novembre 2009

Tutti i progetti che rendono incontrollabile il nanoparticolato:inceneritore di Punta Cugno, Enel Tifeo, Buzzi Unicem...

Terra di veleni nel mare, nell’aria, nel sottosuolo. “E nessuno ha fatto nulla, anzi”

“Ma di quali altre prove abbia-mo ancora bisogno per raggiun-gere la piena consapevolezza del livello di degrado ambien-tale in cui versa la nostra pro-vincia e in particolare il trian-golo Augusta Priolo Siracusa?” Un’analisi impietosa quella del dottore Giacinto Franco e del professore Luigi Solarino. Il suolo inquinato dalla presenza di numerose discariche abusive di rifiuti tossici e nocivi - alcuni nel passato interrati con l’auto-rizzazione delle stesse autorità comunali come il campo spor-tivo di Augusta, realizzato su ex saline comunali colmate con ceneri di pirite, così come quel-lo di Priolo – e interessato dalla ricaduta delle polveri tossiche emesse dai camini. Siti seque-strati dalla magistratura e dios-sine e furani presenti fino a una profondità di 20-30 cm, come dimostrato dai carotaggi ese-guiti nell’area dove dovrebbe sorgere il termovalorizzatore.L’aria inquinata da emissioni di sostanze tutte cancerogene e teratogene. Polveri di metalli pesanti che, a causa dei venti da nord a sud-sud/ovest, ricadono prevalentemente su Belvedere e Città Giardino. Le falde idriche soggette sia a processi di innalzamento della salinità per l’eccessivo emungi-mento ad opera delle industrie che a infiltrazioni dovute alla presenza delle numerose disca-riche abusive disseminate nel territorio o inquinate da idro-carburi provenienti da serbatoi di carburante privi del doppio fondo: i casi di Melilli e Priolo hanno fatto scuola. Il mare tra-sformato in una tomba di pesci morti per le sostanze tossiche ingerite e dai fondali contami-nati da metalli pesanti (in par-ticolare il mercurio 22 volte

superiore il limite consentito), diossine, idrocarburi policicli-ci aromatici e policlorobifenili (simili alle diossine). Inevi-tabili quindi le conseguenze sull’uomo alle prese anche con il più temibile nemico: il nano-particolato, emesso in continuo dai camini e in particolar modo nei fuori servizio dalle fiaccole. Costituito essenzialmente da metalli pesanti, così come rile-vato negli studi effettuati con i licheni, ha un notevole potere di veicolare per assorbimento i vari tossici e nocivi presen-ti nei fumi. Recentissimi studi hanno tra l’altro dimostrato come il nanoparticolato arrivi all’encefalo anche tramite le terminazioni dei nervi olfattivi e come, nelle zone ad alto tasso di inquinamento industriale, il morbo di Alzheimer sia aumen-tato del 1.200%. “Si può sin da oggi anticipa-re che molte altre patologie cronico-degenerative saranno destinate ad essere ascritte al nanoparticolato” avverte il dot-tor Franco. “Ebbene, a fronte di tutto questo, non solo non è sta-to fatto nulla, neanche uno solo degli interventi previsti dal pia-no di risanamento ambientale, ma si è continuato il saccheggio del territorio e si prevede anco-ra altro”. E qui l’elenco diventa infinito.L’inceneritore di Punta Cugno per rifiuti portuali, industriali e ospedalieri, già potenziato ne-gli anni ’90 da 2mila a 15mila tonnellate annue, oggi si ap-presta ad un potenziamento a 60mila tonnellate annue, di cui 56mila pericolose, senza le pro-cedure dovute per un impianto che sarà altro rispetto a ciò che è, quasi si trattasse di un sem-plice adeguamento. Il termovalorizzatore Enel Ti-

feo progettato per smaltire i ri-fiuti urbani non solo della pro-vincia di Siracusa ma anche di quelle di Enna, Ragusa e di Ca-tania città, per 500mila t/anno e per il quale il piano regionale prevede solamente il recupe-ro dei residui ferrosi lasciando tutto il resto all’incenerimento senza che si parli di raccolta differenziata. Un produttore eccezionale di nanoparticolato senza controllo. La piattaforma polifunziona-le per il trattamento dei rifiuti industriali, di cui è stato ap-provato il trattamento mecca-nico-biologico e al momento è stata bloccata la realizzazione dell’inceneritore da 70.000 t/anno di pericolosi, che la stessa ditta costruttrice Oikothen si è riservata di realizzare successi-vamente. L’ampliamento di po-tenzialità per la Buzzi-Unicem Augusta, dove si è prospettato l’uso di carcasse di pneumatici come combustibile. La costru-zione di un impianto di termodi-struzione di biomasse, di cui si prevede la provenienza dall’est europeo, considerato che il nostro territorio è soprattutto a sviluppo industriale e non agricolo forestale. E infine, “la ciliegina sulla torta” l’impianto di rigassificazione Shell ERG-Power da 12 miliardi di m³/anno di metano, per il quale oc-corrono circa 110 navi metanie-re l’anno, da 130.000/140.000 m3 ciascuna. Un impianto che sorgerebbe a 200 metri in linea d’aria dall’impianto di etilene ex Icam, già esploso nel 1985, a duecento metri dal pontile Nato, con la ferrovia CT-SR che passa fra i due citati im-pianti, ad est il porto di Augu-sta con la base della Marina Militare Italiana e, ad ovest i depositi militari Nato ed adia-

centi sia a nord che a sud senza soluzione di continuità impian-ti industriali ad alto rischio di incidente rilevante. Il tutto in area sismica. “Invece di delocalizzare dal nostro polo industriale impian-ti ad alto rischio di incidente rilevante e bonificare i siti in-quinati – osserva Solarino – insistiamo nella monocultura industriale dei megaimpianti. È necessario imporre controlli in continuo e limiti più restrit-tivi alle emissioni in atmosfe-ra e può, deve, essere compito in primo luogo dei sindaci, i primi responsabili della salute pubblica. A loro chiediamo or-dinanze di necessità e urgenza come prescrive la legge; invo-cando il principio di precau-zione possono assumere deli-berazioni che salvaguardino le comunità da loro amministrate. La presenza del nanoparticola-to e l’inquinamento del suolo impongono che le amministra-zioni locali vietino le coltiva-zioni e i pascoli che insistono nei pressi degli insediamenti industriali. I prodotti di quelle terre rappresentano il primo anello dell’inquinamento della catena alimentare. Può appari-re una posizione non condivi-sibile la nostra: non vogliamo la rovina degli agricoltori ma una riconversione agricola. È possibile consentire la coltiva-zione solo di piante oleaginose, come per esempio la jatropha curcas, molto indicata per la produzione di un olio vegetale da destinare alla produzione di biodiesel. “Se ne è recentemente parlato in relazione a un progetto di cooperazione internazionale in favore della popolazione dello stato africano del Burkina Faso a cui partecipa l’Istituto Pro-

fessionale Agrario di Rosolini. Sarebbe una scelta strategica proprio in vista della prossi-ma realizzazione a Priolo di un impianto della Ecoil per la produzione di circa 200mila tonnellate annue di biodiesel. Questo carburante, equivalen-te del gasolio, fa parte delle energie rinnovabili: nella com-bustione infatti emette la stessa quantità di CO2 assorbita per la sua sintesi e i motori che lo

utilizzano non producono ani-dride solforosa e scaricano una minore quantità di fumo e di monossido di carbonio rispetto a quelli alimentati con gaso-lio. Si può fare, perché i costi sarebbero senz’altro inferiori a quelli necessari per fronteg-giare le emergenze sanitarie come è quella della nostra ter-ra. E poi, la vita umana non ha prezzo”.

Marina De Michele

Dove si depositano le nanoparticelle

Morreale: “Da qualche decennio numerose caseabusive sono state realizzate fino al mare”

“Chiediamo al Comune che si mobiliti per demolire le villette già segnalate alla Procura della Repubblica”

Siracusa. La polemica sulla oppor-tunità o meno di realizzare il mega villaggio turistico di Terrauzza, pur se inquadrabile in una visione più ampia che riguarda quale model-lo di sviluppo sostenibile il Comune debba scegliere per la città, rischia di mettere in ombra un altro grave problema che compromette la salva-guardia e la libera fruizione di que-sto tratto di costa dirimpetto all’Area Marina Protetta del Plemmirio: l’abusivismo edilizio. Da qualche decennio numerose case abusive sono state realizzate fino al mare, la-sciando un corridoio talmente esiguo che, in situazioni di alta marea, non sempre è possibile percorrerlo a pie-

di. Per non parlare delle recinzioni abusive che scendono fino alla batti-gia o di alcune scogliere scavate per realizzare “piscine” costiere connes-se direttamente al mare. Affinché nessuno possa pensare che l’amministrazione si stia occupando del problema villaggio senza inseri-re in rubrica quello sull’abusivismo edilizio, affinchè nessuno venga preso dal sospetto che si voglia fa-vorire qualche proprietario amico, chiediamo al Comune che si mo-biliti al più presto per demolire le villette già segnalate dalla Procura e per individuare quelle ancora non segnalate.

Fabio Morreale

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14 14 Novembre 2009

Angela Gennuso: “Spesso massaggi esotici non sono altroche l’applicazione di tecniche standard con effetti scenici”

Tantissime le siracusane pronte a spendere 30€ per un linfodrenaggio e 80 per uno Shirodhara

pagina di DANIELA DE LUCA

In una quotidianità che sembra nutrirsi di frenesia incalzando-ci con ritmi sempre più rapidi, che sembra volerci risucchiare in un turbinio di inesauribili attività, si cerca, sempre con maggiore insistenza, un rifu-gio, una piccola via di fuga. E in questi momenti chi non ha mai sognato di ritagliarsi un attimo di “relax e benessere” lasciandosi travolgere dal pia-cere di un massaggio? La ri-sposta la si ricava da poche ma significative considerazioni: la lunga trafila necessaria per ot-tenere un appuntamento presso il Centro Benessere di fiducia e l’esposizione a un continuo bombardamento di messaggi pubblicitari di S.p.A., Centri Termali, Istituti di ogni sorta e genere che (perennemente al completo nonostante prezzi esorbitanti e incombente crisi) cercano di convincerci a sog-giornare presso le loro struttu-re, anche solo per un giorno, ammaliandoci con la promes-sa di rigenerarci attraverso un percorso terapeutico e rilas-sante nel mondo dei massaggi.Archiviati in obsoleti faldo-ni i romantici momenti in cui (dopo una giornata di fatiche e stress che finivano per tra-sformarsi in fastidiosi centri di tensione muscolare localiz-zati in innumerevoli parti del corpo, con particolare predile-zione per la nostra zona lom-bare), ci si accontentava di farsi massaggiare dal proprio compagno/a davanti alla tv che, più che rigenerarci, fini-va per infliggerci il colpo di grazia, oggi si esige una figura professionale: il massaggiato-re. E non ci si accontenta ne-anche più di un tradizionale massaggio, come un linfodre-naggio: da quello ayurvedico a quello con le pietre calde (Hot-Stone) passando per il Lomi-Lomi (massaggio ener-getico), l’esotico nel massag-gio è ormai la moda dilagante. E cosa dire del grande consen-so riscosso da massaggi stu-diati per le coppie (magari in comode vasche colme di petali odorosi sorseggiando tisane), proposti in occasione della festa di S. Valentino o per una Pasqua alternativa alla caccia di un insperato recupero psico-fisico in previsione della bella stagione?L’arte del massaggio rappre-

Scopriamo luci ed ombre che si celano dietro questo emergente e sicuramente affascinante mondo intervistando Angela Gennuso, massaggiatrice qualificata.Perché un massaggio può ri-sultare meravigliosamente ri-lassante e salutare?“La pelle - ci spiega - grazie ad una infinità di terminazioni ner-vose è estremamente sensibile. Ogni pressione non viene perce-pita solo localmente ma da tutto il sistema nervoso e da specifici organi, in base alla zona lavorata (ad es. il massaggio praticato a livello addominale aiuta lo svuo-tamento dell’intestino). Ed è per questo che i massaggi acuisco-no la sensazione di benessere, hanno un benefico influsso sul-la salute e agiscono nel nostro io più profondo. Se praticato da mani esperte, un massaggio può portare diversi benefici sia al corpo che alla mente; infatti, non solo consente di rilassarci e quindi di riequilibrare il nostro corpo sia sotto il profilo nervoso che ormonale, ma riesce anche a distendere i muscoli eliminando così contrazioni e dolorini, con-seguenze inevitabili di una vita troppo sedentaria e di una po-stura poco corretta, con il valore aggiunto del fondamentale bene-ficio a livello psicologico”.Inevitabile chiederle se un mas-saggio sia in grado di restituirci una forma fisica smagliante eli-minando chili di troppo e, dicia-mo, “ridisegnandoci ad hoc”. Ci spiega che non si tratta di certo

di una pozione magica. Ci sono trattamenti mirati per ogni spe-cifico problema che consentono risultati più o meno notevoli (a seconda della consistenza del problema e del modo, del tutto personale, in cui reagisce il cor-po in questione), conditio sine qua non è che vengano associati ad una dieta equilibrata e ad una minima attività fisica, come può essere anche una semplice pas-seggiata a passo cadenzato. Il tutto comporta, ovviamente, co-stanza, non solo nel raggiungere l’obbiettivo ma anche nel man-tenerlo, perpetuando uno stile di vita consono. E i costi?“Si va dalle 30€ per un linfodre-naggio alle circa 80€ per qual-cosa di più sofisticato come uno Shirodhara (dove sotto un flusso costante di olio caldo sulla fron-te mente e corpo si liberano dalle tensioni). Più il centro cui ci si rivolge è rinomato più i prezzi risultano rincarati. Per avere un buon massaggio, comunque, è sufficiente rivolgersi ad un ope-ratore qualificato che si avvalga, quando il trattamento lo richie-de, di prodotti di qualità oltre ad essere ovviamente in grado di operare una scelta oculata del prodotto (un prodotto sbagliato, infatti, potrebbe provocare danni o effetti indesiderati)”.Su come orientarsi nella vasta gamma di trattamenti a dispo-sizione Angela Gennuso spiega che quando si valuta il tipo di trattamento occorrerebbe pren-

dere in considerazione non solo la competenza scientifica ma an-che l’attitudine personale tanto del cliente quanto del massag-giatore. Non tutti sono portati per tutte le discipline. “Bisogna anche dire però – confessa - che spesso massaggi dai nomi accat-tivanti ed esotici si concretizza-no per lo più nell’applicazione di tecniche e sequenze di massaggi standard da parte di operatori, sia pure bravi, ma che, affidandosi fondamentalmente sull’effetto scenico, poi finiscono per ripete-re più o meno le stesse manuali-tà. Qualcosa, però, sta cambian-do, i clienti mostrano di gradire sempre meno sedute cariche di “effetti speciali” quanto piut-tosto ricercare attenzioni dirette all’Essere. Non più sequenze standard che, essendo ognuno di noi unico ed irripetibile, non pos-sono andare bene per tutti, ma si chiede all’operatore di mettersi in ascolto e lasciarsi guidare così da meglio veicolare le energie spirituali. Si cerca il massaggio su misura, unico ed irripetibile proprio come lo è ognuno di noi, quello che consente l’ottenimen-to di quel “relax” che, in realtà, si identifica nel sentirsi finalmente bene con se stessi. Tutto ciò, ov-viamente, presuppone una ele-vata capacità di canalizzazione da parte dell’operatore ma anche una grande fiducia da parte del ricevente che deve riuscire a la-sciarsi andare completamente”.Dopo aver puntualizzato con Angela l’importanza di affidarsi

a mani esperte (le conseguenze del sottoporsi a pratiche improv-visate possono, infatti, essere an-che estreme come il rimetterci la stessa vita per il sopravvenire di rare evenienze), commentiamo con una sua amica, la signora Sciuto, su come quest’estate lei stessa, in quanto abbonata presso lo stabilimento balneare Sayonara, abbia avuto modo di constatare sulle nostre spiagge un nutrito traffico di massaggia-tori improvvisati alla ricerca di potenziali vittime cui elargire i loro scarsi e pericolosi servizi. “I clienti – racconta –, tutt’altro che esigui, erano difesi a suon di minacce e nell’insufficienza anche dandosele di santa ragione dinnanzi agli occhi increduli di innumerevoli bagnanti”.Inutile dire che tutto questo av-veniva nonostante una ordinanza preveda il divieto di praticare massaggi a qualsiasi titolo da improvvisati operatori ambulan-ti pena l’arresto o, in alternativa, il pagamento di una pena pecu-niaria. Nell’inutilità dell’ordi-nanza (il suo rispetto è affidato ai sindaci, quindi ai Vigili Urbani, che è alquanto improbabile che girino per le spiagge a caccia di ambulanti che praticano mas-saggi, tanto è vero che l’obbligo di segnalazione spetta ai gestori degli stabilimenti i quali, in con-siderazione degli eventi, non si sono dimostrati poi così solerti), non resta che fare affidamento su quel buon senso che dovrebbe indurci a diffidare da certe ma-

nipolazioni tanto deleterie per la nostra salute. Intervistiamo una ragazza, ex massaggiatrice in un centro, che però preferisce mantenersi ano-nima. Con lei approfondiamo le difficoltà insite in questo mestie-re che – ci spiega - non sono solo quelle legate all’attività di per sé (come ad esempio il trovarsi di fronte, caso non rarissimo, un cliente diciamo un po’ troppo malizioso o ancora una clien-te non eccessivamente amante dell’igiene), ma soprattutto quel-le connesse al dover lavorare per una struttura che non solo pretende tanto e paga poco ma che per di più non ci pensa pro-prio a regolarizzare la posizione lavorativa dei propri dipendenti. “Solo una di noi era ingaggiata e, comunque, sottopagata, le altre eravamo fantasmi che dovevano volatilizzarsi o, nell’impossibi-lità, istruite a recitare una parte non compromettente in caso di controlli ufficiali che, in ogni caso, per quanto spesso emer-gessero dati che rimandassero ad irregolarità, non sortivano altro effetto che quello di farci perdere tempo. Sono andata via – conti-nua - perché non ne potevo più di farmi sfruttare, ero costretta a stare lì tutto il giorno, anche sen-za appuntamenti, per poi perce-pire, nell’eventualità, una misera percentuale. Ho resistito finchè ho capito che così non sarei ar-rivata da nessuna parte, dunque con estremo coraggio ho cam-biato strategia!”

senta una delle più antiche me-todologie utilizzate a fini tera-peutici. “Il medico deve avere molteplici esperienze, ma deve conoscere sicuramente l’arte del massaggio” – affermava Ippocrate, padre della medi-cina occidentale, all’inizio del V° secolo a.C. Col passare dei tempi il massaggio è diventato un’arte, una precisa metodi-ca da insegnare in specifiche scuole professionali. In ogni parte del mondo ha una sua storia e ha sviluppato accura-te e sapienti tecniche. Rilas-

sante o curativo, sportivo od estetico, oggi esistono infinite tecniche e specializzazioni: l’arte del massaggio è in ogni caso un percorso molto deli-cato e complesso che richie-de uno studio approfondito e, pertanto, deve essere eseguito esclusivamente da personale specializzato.Ma questi massaggi saranno poi effettivamente salutari o meglio sortiranno gli effetti sperati compreso quello (dai più vagheggiato e da molti promesso) di restituirci, alla

fine del più o meno lungo ci-clo di trattamenti, un corpo da favola, indipendentemente dal punto di partenza? O meglio i Beauty Center siracusani sono davvero all’altezza del compi-to quando, nel presentarci il massaggio come un validissi-mo alleato nella lotta contro gli inestetismi della cellulite, ci propongono valanghe di trattamenti per rimodellare e tonificare gambe e glutei? Pos-siamo davvero affidarvi con fi-ducia e senza riserve il nostro martoriato corpo?

In estate sulle spiagge blasonate della nostra cittàc’era un esercito di massaggiatori improvvisati

“Alcune strutture locali pretendono tanto ma non pagano i loro dipendenti”

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1514 Novembre 2009

Garozzo: “Obiettivo trovare risorse per le infrastruttureintercettare il traffico marittimo e cercare investitori”

Nardi (Filt Cgil): “L’Itsa ha cercato il dialogo ma trovava sempre un muro di gomma”

di CATERINA ITALIA

Di solito sono le navi ad af-fondare, non certo i porti. Nel comune di Augusta, da qualche anno, si sta verificando uno strano fenomeno di sprofon-damento di uno dei più im-portanti scali portuali d’Italia. Nonostante la sua posizione strategica al centro del mar Mediterraneo, nonostante la sua vicinanza al polo petrolchi-mico siracusano, nonostante la presenza di una delle basi della marina militare, il porto di Augusta stenta a decollare. A riprova che anche una gran-de risorsa, se mal gestita, può spogliarsi di tutta la sua impor-tanza.Il ritardo nella nomina del nuovo presidente dell’autorità portuale e il lungo commissa-riamento che ne è conseguito hanno contribuito di certo a rallentare l’attività del porto e a impedirne il rilancio. Dall’otto-bre 2007 fino al settembre 2009 l’autorità portuale è stata affi-data al commissario straordi-nario Pietro Bernardo. I giudizi sul suo operato sono stati piut-tosto controversi. In un giorna-le locale, Giuseppe Spanò, ex presidente dell’autorità portua-le, ha dichiarato che negli anni

di commissariamento poco è stato aggiunto alla program-mazione infrastrutturale da lui stesso svolta precedentemente. Luigi Maugeri Boccadifuoco, imprenditore, a mezzo stampa, nel marzo del 2008, ha lancia-to la sua provocazione: “Se per aver credito bisogna essere ci-nesi o giapponesi, siamo pronti a travestirci da orientali con gli occhi a mandorla”. L’ester-nazione dell’imprenditore fa riferimento alla scelta dell’au-torità portuale di facilitare gli investimenti di grandi società straniere a discapito del rilan-cio delle locali. Anche Paolino Amato, capogruppo di Forza Italia verso il PDL, ha voluto far chiarezza su come sia stato gestito lo scalo portuale negli anni di commissariamento. Per tale ragione, nel giugno scorso, ha inviato un’interrogazione alle autorità portuali per far luce su alcuni argomenti d’in-teresse pubblico: in particola-re sull’assenza d’informativa relativa ai volumi di traffico merci del porto, sui bilanci e sulla consistenza di cassa. A tutt’oggi nessuno gli ha fornito risposte.Finalmente Il 18 settembre

Aldo Garozzo viene nominato presidente della port authority di Augusta. La nomina arri-va in un momento difficile. Il più grande investitore stranie-ro, la società nippo-americana ITSA, il 22 ottobre abbandona il porto, lasciando venticinque dipendenti senza occupazione. Il repentino ritiro dell’ITSA dal mercato megarese oggi è diventato l’emblema di tutte le tensioni che ruotano attorno al porto. In tale indietreggia-mento sono chiari due grandi problemi: quello strutturale e quello occupazionale.L’International Terminal Ser-vice of Augusta (ITSA), con-trollata dall’azienda nipponica Kawasaki Kisen Kaisha, è una società che si occupa di mo-vimentazione di container. Ha mostrato interesse per lo scalo megarese sia per la sua posizio-ne strategica sia per la sua am-piezza: a differenza del porto di Genova, che si trova a ridosso della città, quello di Augusta ha tanto terreno alle spalle da po-ter riutilizzare. Dopo esplicita richiesta, la società ottiene in concessione dall’autorità por-tuale un’area di circa centomi-la metri quadrati, con banchine

annesse. Oltre al terreno, sem-bra che la multinazionale abbia ricevuto delle rassicurazioni in merito alla bonifica del porto, all’ampliamento dei livelli di pescaggio e all’urbanizzazione della zona: in quel luogo era assente l’acqua e la linea tele-fonica. Nonostante questi limiti, la so-cietà nipponica si premura di dotare la zona ad essa affidata di sistemi antincendio e delle infrastrutture di base e di met-terla in regola con le norme eu-ropee. Senonché, a distanza di qualche anno, nessuna bonifica è avvenuta, il livello del pe-scaggio non è stato accresciu-to rendendo impossibile alle grandi navi container di muo-versi agevolmente all’interno dello scalo. Considerate le cospicue perdite economiche, gli azionisti della società ITSA hanno maturato la decisione di ritirarsi dalla concessione, non consideran-do più Augusta un’area idonea per i loro investimenti, soprat-tutto in un momento di crisi internazionale. Per tali ragioni l’impresa ha lasciato il porto e messo in mobilità venticinque operatori.

Per quanto attiene alle respon-sabilità di questo ritiro, Fran-cesco Nardi, segretario della FILT CGIL, sostiene che i rap-presentanti della società ITSA hanno sempre cercato di dialo-gare con le autorità portuali che negli anni si sono succedute, trovandosi spesso davanti un muro di gomma. Sembra che nessuno abbia voluto assumer-si le giuste responsabilità. Nei fatti la ITSA non ha mai avuto un vero interlocutore sul terri-torio. La conseguenza è stata che la provincia di Siracusa ha perso una grande opportunità di sviluppo economico e occu-pazionale.Il consigliere Paolino Amato, capogruppo di Forza Italia ver-so il Pdl, non avendo ricevuto alcuna risposta all’interroga-zione di giugno, ne ha presen-tata un’altra alla fine di ottobre in cui chiede espressamente quali siano i motivi dell’in-dietreggiamento della società ITSA e soprattutto se l’autorità portuale abbia delle responsa-bilità oggettive in merito a tale abbandono.Sbrogliare la matassa non è semplice. Il neo presidente dell’autorità portuale Garozzo

si è insediato da pochissimo tempo negli uffici di via Mil-lo e chiaramente non può ri-spondere degli atti di chi lo ha preceduto. Nonostante ciò si è dimostrato disponibile a por-re rimedio alla situazione. Gli obiettivi principali rimangono quelli relativi alla canalizzazio-ne di risorse per dotare il porto di migliori infrastrutture, inter-cettare il traffico marittimo e ricercare nuovi investitori. D’altra parte, il porto di Au-gusta non va rilanciato, ma lanciato: la movimentazione dei container per lo scalo me-garese è una novità, di solito il porto si è occupato d’altro e ha soddisfatto esigenze prevalen-temente locali. Per quanto ri-guarda i 25 operatori marittimi, è chiaro che l’autorità portuale può assumere nei loro confron-ti un impegno morale e non giuridico: le concessioni non possono essere subordinate alle assunzioni. Ma trattandosi di persone che hanno maturato una loro professionalità, non è improbabile che esse vengano riassorbite dall’impresa che otterrà la futura concessione. Almeno questo è ciò che tutti si auspicano.

Aldo Garozzo, presidente dell’Autorità Portuale Paolino Amato, già capogruppo di F.I. alla Provincia Francesco Nardi, segretario della FILT CGIL di Augusta

Augusta e Priolo aree dei veleni in Italia dove la gente convive con le sostanze tossiche, si ammala e muore

di ALESSANDRA PRIVITERACon il decreto n.60 del 2 aprile 2002, il Ministe-ro dell’Ambiente e della tutela del Territorio re-cepiva la direttiva 1999/30/CE del Consiglio del 22 aprile 1999 concernente i valori limite di qua-lità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo e della direttiva 2000/69/CE relativa ai valori limite di qualità dell’aria ambiente per il benzene ed il monossido di carbonio. Il decreto, cioè, stabilisce per tutti questi in-quinanti i valori limite e le soglie di allarme; il margine di tolleranza e le modalità secondo le quali tale margine deve essere ridotto nel tem-po; il termine entro il quale il valore limite deve essere raggiunto; i criteri per la raccolta dei dati inerenti la qualità dell’aria ambiente, i criteri e le tecniche di misurazione, con particolare rife-rimento all’ubicazione ed al numero minimo dei punti di campionamento, nonché alle metodiche di riferimento per la misura, il campionamento

e l’analisi; la soglia di valutazione superiore, la soglia di valutazione inferiore e i criteri di verifi-ca della classificazione delle zone e degli agglo-merati; le modalità per l’informazione da fornire al pubblico sui livelli registrati di inquinamento atmosferico ed in caso di superamento delle so-glie di allarme; il formato per la comunicazione dei dati. Tutto questo per salvaguardare le aree ad “ele-vato rischio di crisi”, caratterizzate, cioè, da gra-vi alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi idrici, nell’atmosfera o nel suolo, tali da com-portare un rischio per l’ambiente e per la popola-zione: già diciannove anni fa (era il 30 novembre del 1990), infatti, con delibera del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 7 della legge 349/86 i territori dei comuni di Augusta, Floridia, Melilli, Priolo, Solarino, Siracusa, Gela, Butera e Nisce-mi venivano dichiarate ad elevato rischio di crisi ambientale.

L’Italia dei veleni l’hanno battezzata i giornalisti dello Speciale TG1 andato in onda domenica 8 c.m. in seconda serata: due delle 57 aree italiane (insieme a Taranto, Valle del Sacco, Laguna di Grado, Broni, Crotone) dove la gente convive con sostanze inquinanti, le respira, ci cammina sopra, poi si ammala e muore. Perché le emis-sioni di polveri e piombo, di ossidi di azoto e biossidi di zolfo superano 312 volte l’anno le soglie-limite previste dalla legge. Nel 1998, con decreto legislativo del 31 marzo n.118, le competenze in campo di aree a rischio sono delegate alle regioni e nel 2005 il governo regionale siciliano (Delibera di Giunta di Go-verno n.306 del 29.06.2005) istituisce l’Ufficio Speciale per le aree ad elevato rischio di crisi ambientale che, presso l’assessorato Regionale territorio e ambiente, ha il compito di acquisi-re dai soggetti competenti le informazioni sullo stato dell’ambiente, esprimere parere, prelimi-

nare all’adozione, su qualsiasi decisione di com-petenza di ciascuno degli enti locali e della Re-gione relativamente a problematiche ambientali, definire l’aggiornamento dei piani di risanamen-to entro il mese di dicembre di ogni anno.Tra le attività di risanamento, messe in cantiere dall’Assessorato regionale territorio e ambien-te, è stato creato e sviluppato un progetto con l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per l’avvio di un’indagine epidemiologica che intervenga a definire i rapporti tra stato di salute della popolazione e stato dell’ambiente e a mo-nitorare gli effetti degli interventi di risanamento sulla popolazione.In seno a questo progetto l’OMS, Assessorato regionale e ASP di Siracusa, il 5 c.m., hanno tenuto un convegno sulla situazione ambientale e sanitaria, di cui vi riferiamo nelle valutazioni proposte in altra pagina dal nostro vice direttore Marina De Michele.

Page 16: PAG. 5 PAG. 16 (De Michele) PAG.4 (Lanaia) Nelle ... fileSentieri Iblei Noto Antica Due sono gli aspetti che meriterebbe-ro particolare attenzione del direttore gene-rale dell’ASP:

16 14 Novembre 2009

La domanda irrisolta: quella notte il militare indossava giubbotto antischegge o antiproiettile?

A quattro anni dalla mor-te dello studente ferrarese Federico Aldrovandi per la quale solo oggi si squarcia la coltre di silenzi e si svelano i depistaggi, dopo la vicenda di Stefano Cucchi che anche i medici hanno cercato di in-sabbiare, dopo il nuovo caso nel napoletano di un altro gio-vane forse ucciso da poliziotti violenti, e gli esempi potreb-bero essere ancora tanti altri, ritornare sul caso Malgioglio ha il sapore di un risarcimen-to atteso da tempo che ha il valore di un viatico per tutti gli altri casi misteriosi che in Italia invocano giustizia. Ci si chiede se la giustizia lenta, quella che ritorna a distanza di quindici/vent’anni, sia ancora giustizia. Se in un caso come quello di Simonetta Cesaroni, uccisa in via Poma a Roma con 30 coltellate nell’agosto del 90, che oggi vede rinviato a giudizio per omicidio col-poso l’ex fidanzato, ormai padre di due ragazze, marito forse affettuoso, si possa par-lare ancora di vera giustizia, e l’aggettivo già è un inutile orpello. Quell’uomo, seppure colpevole, è oggi sicuramente altro rispetto a ciò che forse una volta è stato, o forse è migliore proprio per ciò che è stato e che non ha mai confes-sato. Eppure non si può non pensare che la giustizia debba fare il suo corso, debba accer-tare la verità perché questo è il suo compito, questa la fi-nalità primaria, la sua stessa ragion d’essere. Sarà poi altro stabilire l’entità, la qualità della pena: forse lì le maggio-ri difficoltà.Ma è la verità il bene supre-mo e nel caso Malgioglio, nel caso di questo ragazzo di Francofonte di 19 anni, stroncato all’inizio della vita mentre effettuava il servizio militare, di un ragazzo che oggi avrebbe avuto 35 anni se un proiettile non ne avesse fermato per sempre il respiro, forse il prossimo passo sarà proprio la verità, saranno le spiegazioni di quella tragica notte del 16 luglio del 1994.Siamo ormai al secondo gra-do di giudizio, siamo in Corte di Assise di Appello e tutto gira intorno a un particolare, piccolo forse ma fondamenta-le, discriminante. Quale tipo di giubbotto indossava Salva-tore Malgioglio quella notte? Era antischegge o antiproiet-tile?Un particolare dirimente per-ché passaggio chiave nell’ac-certamento dei fatti nel corso del processo di primo grado. Allora il giudice ritenne vero-simile che Salvatore Malgio-glio, la vittima, e Giuseppe Sciarabba, il maggiore ac-cusato, si fossero scambiati in pieno accordo il posto di guardia perchè, al momento dell’inizio del turno, occupa-vano ciascuno postazioni che prevedevano, quale presidio di sicurezza, due giubbotti

Un mistero che si trascina da sedici anni

Chi uccise il soldato Malgioglio? Giovedì ultima udienzadiversi. Il Malgioglio, che oc-cupava la postazione sopra il ponte, avrebbe dovuto indos-sare l’antischegge, lo Scia-rabba l’antiproiettile. E se Malgioglio fu trovato con il giubbotto antiproiettile vuol dire che ci fu un cambio di postazione e quindi un cam-bio di giubbotti con modalità sicuramente pacifiche.Questa, in estrema sintesi, la ipotesi teorizzata dalla Cor-te di primo grado. Ma con un’anomalia: nessuno, fra ca-rabinieri e testimoni oculari del rinvenimento del cadave-re del Malgioglio, è mai stato in grado di fare una differenza fra i due diversi tipi di giub-botto.Di qui la riapertura delle in-dagini e la necessità, per il giudice di secondo grado, di disporre una perizia per sta-bilire la verità sul giubbotto indossato da Malgioglio.Per il capitano Paniz, dei RIS di Messina, il diciannoven-ne indossava un giubbotto “corazza 2” prodotto da una ditta di forniture militari, la Sistemi Compositi, che svol-geva la duplice funzione di antiframmento e antiproietti-le. Un giubbotto indossato da

Malgioglio in maniera non re-golare secondo il perito, con una delle cinghie di velcro non agganciata normalmente. Il consulente tecnico di parte civile, il dottore Guido Tirrò, già ufficiale dell’esercito ita-liano ed esperto in forniture militari, oltre a confermare le conclusioni del capitano Paniz, ha inoltre fornito alla Corte ulteriori informazioni soprattutto in ordine alla con-sistenza dei giubbotti “anti-schegge” in uso all’esercito italiano al momento dei fatti. “In tutte le caserme italiane e per tutte le missioni all’este-ro questi giubbotti erano in numero assai esiguo rispetto al corazza 2 che, all’epoca, costituiva il presidio comu-nemente usato da tutti i mi-litari impegnati nelle varie caserme italiane” ed anche nell’operazione Vespri Sici-liani. Solo nel 1995, un anno dopo la morte di Malgioglio l’Esercito commissionò alla Sistemi Compositi una forni-tura di circa 11mila giubbotti antischegge.Sembra così destinato a saltare l’impianto probatorio del pri-mo giudizio quando, scartata finalmente come non sosteni-

Grande esibizione di Enzo Annino di musica dixielandDivertissement con gusto, ironia e struggente revival

Quanti anni ha Enzo Annino? Ha gli anni della me-moria di ciascuno di noi, di quelli che all’Asteria blu, al Trabocchetto, nei tanti locali alla moda di una pro-vincia che si svegliava dalla sonnolenza degli anni sessanta erano la giovane generazione godereccia si-racusana. Gli anni dell’orchestra di Duke Ellington, della torpedo blu di Giorgio Gaber, delle intense so-norità di Ray Charles. Ha gli anni della nostra giovi-nezza che in noi è volata via e che in lui ancora resta a dispetto dell’anagrafe, grazie a una sua verve spe-ciale, tutta bollicine e champagne. E non dico il vino. Dico la capacità di ridere sorridere e irridere. Dico la capacità di far diventare pittura l’emozione (Ortigia,

piazza Duomo, sue creazioni musicali di pregevoli ritmi e poesia). Così ci è apparso domenica scorsa Enzo Annino al Club degli Amici, con una sua divertentissima band che ha proposto una difficile e complessa passeggiata nel dixieland. Una band diretta da Rino Cirinnà, tra i migliori sax italiani di tradizione americana (collabo-ra spesso con artisti internazionali, come Emi Stuart), che aveva alla tromba Elio Perrota, con solida espe-rienza alla Rai e a Sanremo, alla batteria Enzo Au-gello, al bajo Mario Toscano, al pianoforte Gabriele Agosta e al trombone a coulisse Alfredo Vitali. E si è trattato di un autentico divertissement, com’è nello

stile di Enzo Annino, dalla battuta mordace e dalla ge-stualità diretta. Potremmo, fermandoci qui, aver detto tutto. Ma faremmo un grande torto a un componente storico dei Mammasantissima, Enzo Bongiovanni, oggi uno dei maggiori esperti del mare siracusano, che con Annino si è esibito in esilaranti scenette del passato, forse ingenue e demodès in tempi di grande fratello, ma per noi che il carosello lo vedevamo se-duti a frotte dinanzi allo schermo ancora fresche ed pungenti. E a Giuliana Accolla, che ci ha riproposto la storia del gruppo e, da grande interprete, ha vivi-ficato taluni brani letterari, sì letterari. Grazie, Enzo.

Franco Oddo

di MARINA DE MICHELE

bile l’ipotesi del suicidio che a lungo si era fatto credere fos-se l’unica verità, si era chiuso il processo con l’assoluzione degli imputati perché la morte del giovane soldato era stata imputata ad un accidentale col-po esploso dallo stesso fucile della vittima. Nessun contrasto si era mai verificato tra i due commilitoni Malgioglio e Scia-rabba, tornati sereni forse dopo una lieve scaramuccia tanto da scambiarsi amichevolmente i giubbotti. Così avevano decre-

tato i giudici.La tenacia della famiglia, deter-minata nella ricerca della veri-tà, la perseveranza del penalista Santi Terranova e dei suoi col-laboratori hanno voluto la ria-pertura del caso, hanno indotto la Corte di Assise di Appello di Catania a dissipare ogni ulte-riore dubbio, a risentire alcuni ex militari che facevano parte della muta smontante. “Quat-tro, fino ad oggi, i testi ascol-tati e tutti hanno concordato nell’affermare che il cambio

di postazione avveniva senza che vi fosse una preventiva as-segnazione delle postazioni e che ognuno dei militari, al mo-mento del cambio, “passava” il proprio giubbotto all’altro, un giubbotto antiproiettile, uguale per tutti - ci ha detto l’avvoca-to Terranova -. Alla prossima udienza del 17 novembre sarà sentito l’ultimo teste. E’ uno dei militari che ha dato il cambio a Malgioglio. Come gli altri! Ho fiducia, ho fiducia nella giusti-zia”.

L’avv. Santi Terranova, legale della famiglia Malgioglio