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Anno IX - N°4 Gratuito Progetto grafico Francesco Albertini - e-mail: [email protected] N°104 Continua a pagina 2 Centro Studi “Francesco d’Appignano” Anno IX N°4 Gratuito Anno IX N°4 Gratuito Progetto grafico Francesco Albertini e-mail: a Progetto grafico Francesco Albertini e-mail: aperta aprile 2014 Lunario: - Quannë va bbè a lu cuòcchië, va malë a lu zuocchë. Quando va bene all’osso, va male al chicco. Il contadino dall’abbon- dante raccolta della frutta prevede la scarsità del grano. Relato: - L’esperienza non ha alcun valore etico: è semplicemente il nome che gli uomini danno ai propri errori. (Oscar Wilde) Versi popolari: - Assë tre e re: së joca senza vëdè. Asso tre e re: si gioca senza ve- dere. Vale a dire, se uno ha le tre briscole maggiori (asso, tre e re, appunto) vince anche se gioca a occhi chiusi. Proverbi: - La rabbia dë la sera rëpùnnëla pë la matina. La rabbia della sera mettila da par- te per il mattino seguente. Il gior- no dopo, vuole insegnare il pro- verbio, sarà già sbollita. Modi di dire caratteristici: - Së la tè comë la rosa a lu nasë. La tiene come la rosa al naso. Cioè in grande considerazione, stima, affetto. Imprimatur Letteralmente significa “si stam- pi”. Era il sigillo di approvazione che la Chiesa un tempo doveva dare per qualunque opera di stam- pa. Oggi indica semplicemente l’approvazione di una autorità su- periore. Una curiosità: l’indice dei libri proibiti dalla Chiesa è stato abolito, da Paolo VI, soltanto nel 1966. RICORDI CHE AIUTANO A VIVERE P ubblichiamo un documento riguardante la chiesa di san’Angelo comunemente nota col nome di chiesa dei frati. Esso raccon- ta la storia relativamente recente del luogo sacro amato da molti appignanesi in quanto ricordato come fonte della loro iniziazione alla vita cristia- na. E’ conservato nell’archivio vescovile di Ascoli. La parrocchia di sant’Angelo in Appignano fu annes- sa in perpetuo al convento di san Francesco dei Minori Conventuali in Appignano (come risulta da una memoria anonima) dal papa Sisto V con breve del mese di agosto del 1586, con tutti gli onori ed oneri. Papa Innocenzo X con bolla del 5 ottobre 1652 soppresse i conventi minori e tra questi anche quello di san Francesco in Appignano, ordinando poi al vescovo di Ascoli, allora cardinale Gabrielli di fare con l’accordo del capitolo la ripartizione dei beni dei conventi soppressi. I beni del convento di Appignano furono assegnati parte nario: LA SAGGIA VOCE DELLA TRADIZIONE LA SAGGIA VOCE DELLA TRADIZIONE a pagina 4 Rubrica a cura di Marino Stipa pag. 4 Centro Studi “Francesco d’Appignano” aperta Pero e melo dimmё ‘l vero, dimmё la sana vёrёtà dovё sta: qui o qua? Pronunciando queste parole si deve indovinare in quale delle due mani chiuse è na- scosto un oggetto. L’Angolo di Caterina: L’Angolo di Caterina: filastrocche stornelli fiabe L’Angolo di Caterina: L’Angolo di Caterina: filastrocche - stornelli - fiabe a pagina 4 Rubrica a cura di Caterina Corradetti ApertaMente”, il giornalino a cura del “Centro Studi Francesco d’Appignano” è online, potete leggerlo e scaricarlo direttamente (a colori) dal sito del Comune di Appignano... Sono presenti tutti i numeri dal 2011 http://www.comune.appignanodeltronto.ap.it/page/144/apertamente.html Continua a pagina 3 Un racconto I n estate era tutto un altro vivere. Il desiderio di fare molte cose in un breve lasso di tempo come a Natale e Pasqua non c’era più; avevamo davanti a noi almeno tre mesi di libertà. L’incon- tro con gli amici ed i compagni già impegnati nelle attività lavorati- ve avveniva alla sera ed al fine settimana; questo fatto ci aiutava nel- le relazioni interpersonali con scambio di esperienze, informazioni e sentimenti. Il “sottogruppo” delle ragazze aveva una condotta di vita più raccolta, più vicina alla famiglia ed alla casa come suggeriva l’educazione del tempo. Ciò non voleva significare isolamento per- ché quando c’era da esprimere vicinanza o fare qualcosa di interes- sante assumevano ruoli paritetici con noi maschi. La lunga estate con i suoi disimpegni scolastici, il caldo ed il sole ci forzava a quel “far niente” tipico degli studenti dei paesi di campagna. Se qualcu- no avesse voluto fare un’attività lavorativa sarebbe stato impossi- bilitato poiché in zona vi erano solo artigiani che istruivano i gio- vani nel loro mestiere. Diversi giovanotti che non avevano impegni di studio/lavoro, venivano chiamati con l’appellati- vo felliniano “Vitello- ni” ed al pensiero che fra qualche anno sarem- mo potuti trovarci nelle stesse condizioni non ci rallegrava. La staticità determinata particolar- mente dalle scarse ri- sorse economiche (nel caso mio la misurata paghetta di lire 4500 mensili di quand’ero a Fermo, in estate, quan- do non mi allontanavo dal paese, era tendente LA CHIESA DEI FRATI ALLEGRO MA NON TROPPO - LE LEGGI FONDAMENTALI DELLA STUPIDITÀ UMANA. di Carlo M. Cipolla Una ilare parodia della storia economica e so- ciale del Medioevo; una sorta di scherzosa teoria generale della stupidità umana: due piccoli ca- polavori di funambo- lismo intellettuale, che propongono una pausa di eccentricità e comici- tà tanto più preziosa nei tempi frenetici e stres- santi in cui l’uomo vive. incipit Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo U na delle più gravi tragedie vissute dall’Europa nei secoli dei secoli fu la caduta dell’Impero Romano. A quei tempi, come spesso accade nel- le vicende umane, molti non ne avverti- rono la gravità. Buona parte dei cittadini di Cartagine si stavano godendo i giochi nell’anfiteatro quando la città fu attaccata dai Vandali ed i nobili di Colonia erano a banchetto quando i barbari arrivarono alle porte. Altri, invece, si resero perfettamen- te conto della gravità degli avvenimenti: quando l’esercito dei Goti guidato da Ala- rico saccheggiò Roma nell’estate del 410 A.D., San Gerolamo – che allora viveva a Betlemme e non era ancora santo — scris- se «Si è spenta la luce più viva del mondo» e con profonda angoscia e con le gambe che gli tremavano ebbe la forza di aggiun- gere: «Se Roma può perire, cos’altro ci re- sta di sicuro?» Con poche eccezioni 1, gli storici moder- ni concordano sulla portata storica del di- sfacimento dell’Impero Romano ma non sono d’accordo circa le cause del declino. Alcuni accusano i Cristiani, altri la dege- nerazione dei pagani, alcuni la nascita e l’affermarsi dello stato burocratico-assi- stenziale, altri il declino dell’agricoltura ed il diffondersi del latifondo, alcuni la caduta di Emidio Santoni di Francesco Picotti Savelli PARTE II della fertilità, altri l’ascesa della classe contadina. Un sociologo americano ha recentemente rimesso in discus- sione il problema avanzando la tesi brillante ed originale che Roma de- cadde per via del progressivo avvele- namento da piombo della classe ari- stocratica romana. Il piombo, se ingerito o assor- bito in dosi superiori ad 1 mg. al giorno, può provocare dolo- rosa stitichezza, perdita dell’ap- petito, paralisi delle estremità e infine può causare la morte. Può inoltre causare sterilità tra gli uomini e aborti fra le donne. Sempre secondo l’illustre socio- logo, i Romani, e in particola- re gli aristocratici, ingerivano quantitativi di piombo al di so- pra della soglia critica. Non solo Plinio il Vecchio raccomandava che «venissero usati recipien- ti di piombo e non di bronzo» nella cottura dei cibi, ma il piombo veniva anche utilizzato nella fabbricazione delle tubature idrauliche, dei bocca- li, dei cosmetici, delle medicine e dei coloranti. S’aggiunga che i Romani, per meglio conservare e dolcificare il vino, aggiungevano del succo d’uva non fermentato che a sua volta era stato bollito e decantato in recipien- ti rivestiti internamente di piombo. Così facendo, mentre ritenevano di sterilizzare il vino i Romani «non si rendevano conto che sterilizzavano se stessi».... CHIESA DI SAN MICHELE ARCANGELO INTERNO Cenni storici sulla parrocchia di San Michele Arcangelo detta dei Frati... R INVITO ALLA LETTURA Rubrica a cura di Marino Stipa a pagina 4 INVITO ALLA LETTURA

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Anno IX - N°4 Gratuito Progetto grafi co Francesco Albertini - e-mail: [email protected] N°104

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C e n t r o S t u d i “Francesco d’Appignano”

Anno IX N°4 Gratuito Anno IX N°4 Gratuito Progetto grafi co Francesco Albertini e-mail: aProgetto grafi co Francesco Albertini e-mail:

apertaaprile 2014Lunario:- Quannë va bbè a lu cuòcchië,va malë a lu zuocchë.Quando va bene all’osso, va male al chicco. Il contadino dall’abbon-dante raccolta della frutta prevede la scarsità del grano.

Relato:- L’esperienza non ha alcun valore etico: è semplicemente il nome che gli uomini danno ai propri errori. (Oscar Wilde)

Versi popolari:- Assë tre e re: së joca senza vëdè.Asso tre e re: si gioca senza ve-dere. Vale a dire, se uno ha le tre briscole maggiori (asso, tre e re, appunto) vince anche se gioca a occhi chiusi.

Proverbi:- La rabbia dë la sera rëpùnnëla pë la matina.La rabbia della sera mettila da par-te per il mattino seguente. Il gior-no dopo, vuole insegnare il pro-verbio, sarà già sbollita.

Modi di dire caratteristici:- Së la tè comë la rosa a lu nasë.La tiene come la rosa al naso. Cioè in grande considerazione, stima, affetto.

ImprimaturLetteralmente signifi ca “si stam-pi”. Era il sigillo di approvazione che la Chiesa un tempo doveva

dare per qualunque opera di stam-pa. Oggi indica semplicemente l’approvazione di una autorità su-periore. Una curiosità: l’indice dei libri proibiti dalla Chiesa è stato abolito, da Paolo VI, soltanto nel 1966.

RICORDI CHE

AIUTANO A VIVERE

Pubblichiamo un documento riguardante la chiesa di san’Angelo comunemente nota col nome di chiesa dei frati. Esso raccon-

ta la storia relativamente recente del luogo sacro amato da molti appignanesi in quanto ricordato come fonte della loro iniziazione alla vita cristia-na. E’ conservato nell’archivio vescovile di Ascoli.

“La parrocchia di sant’Angelo in Appignano fu annes-sa in perpetuo al convento di san Francesco dei Minori Conventuali in Appignano (come risulta da una memoria anonima) dal papa Sisto V con breve del mese di agosto del 1586, con tutti gli onori ed oneri.Papa Innocenzo X con bolla del 5 ottobre 1652 soppresse i conventi minori e tra questi anche quello di san Francesco in Appignano, ordinando poi al vescovo di Ascoli, allora cardinale Gabrielli di fare con l’accordo del capitolo la ripartizione dei beni dei conventi soppressi.I beni del convento di Appignano furono assegnati parte

nario:

LA SAGGIA VOCE

DELLA TRADIZIONE

LA SAGGIA

VOCE DELLA

TRADIZIONE

a pagina 4Rubrica a cura di Marino Stipa

pag. 4 C e n t r o S t u d i “Francesco d’Appignano”

aperta

Pero e melodimmё ‘l vero,dimmё la sana vёrёtàdovё sta: qui o qua?

Pronunciando queste parole si deve indovinare in quale delle due mani chiuse è na-scosto un oggetto.

L’Angolo di Caterina:L’Angolo di Caterina:filastrocche stornelli fiabe

L’Angolo di Caterina:L’Angolo di Caterina:filastrocche - stornelli - fiabe

a pagina 4Rubrica a cura di Caterina Corradetti

“ApertaMente”, il giornalino a cura del “Centro Studi Francesco d’Appignano” è online, potete leggerlo e scaricarlo direttamente (a colori) dal sito del Comune di Appignano... Sono presenti tutti i numeri dal 2011

http://www.comune.appignanodeltronto.ap.it/page/144/apertamente.html

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Un racconto

In estate era tutto un altro vivere. Il desiderio di fare molte cose in un breve lasso di tempo come a Natale e Pasqua non c’era più; avevamo davanti a noi almeno tre mesi di libertà. L’incon-

tro con gli amici ed i compagni già impegnati nelle attività lavorati-ve avveniva alla sera ed al fi ne settimana; questo fatto ci aiutava nel-le relazioni interpersonali con scambio di esperienze, informazioni e sentimenti. Il “sottogruppo” delle ragazze aveva una condotta di vita più raccolta, più vicina alla famiglia ed alla casa come suggeriva l’educazione del tempo. Ciò non voleva signifi care isolamento per-ché quando c’era da esprimere vicinanza o fare qualcosa di interes-sante assumevano ruoli paritetici con noi maschi. La lunga estate con i suoi disimpegni scolastici, il caldo ed il sole ci forzava a quel “far niente” tipico degli studenti dei paesi di campagna. Se qualcu-no avesse voluto fare un’attività lavorativa sarebbe stato impossi-bilitato poiché in zona vi erano solo artigiani che istruivano i gio-vani nel loro mestiere. Diversi giovanotti che non avevano impegni di studio/lavoro, venivano chiamati con l’appellati-vo felliniano “Vitello-ni” ed al pensiero che fra qualche anno sarem-mo potuti trovarci nelle stesse condizioni non ci rallegrava. La staticità determinata particolar-mente dalle scarse ri-sorse economiche (nel caso mio la misurata paghetta di lire 4500 mensili di quand’ero a Fermo, in estate, quan-do non mi allontanavo dal paese, era tendente

LA CHIESA

DEI FRATI

ALLEGRO MA NON TROPPO - LE LEGGI FONDAMENTALI DELLA STUPIDITÀ UMANA. di Carlo M. Cipolla Una ilare parodia della storia economica e so-ciale del Medioevo; una sorta di scherzosa teoria generale della stupidità umana: due piccoli ca-polavori di funambo-lismo intellettuale, che propongono una pausa di eccentricità e comici-tà tanto più preziosa nei tempi frenetici e stres-santi in cui l’uomo vive.

incipit

Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo

Una delle più gravi tragedie vissute dall’Europa nei secoli dei secoli fu la caduta dell’Impero Romano.

A quei tempi, come spesso accade nel-le vicende umane, molti non ne avverti-rono la gravità. Buona parte dei cittadini di Cartagine si stavano godendo i giochi nell’anfi teatro quando la città fu attaccata dai Vandali ed i nobili di Colonia erano a banchetto quando i barbari arrivarono alle porte. Altri, invece, si resero perfettamen-te conto della gravità degli avvenimenti: quando l’esercito dei Goti guidato da Ala-rico saccheggiò Roma nell’estate del 410 A.D., San Gerolamo – che allora viveva a Betlemme e non era ancora santo — scris-se «Si è spenta la luce più viva del mondo» e con profonda angoscia e con le gambe che gli tremavano ebbe la forza di aggiun-gere: «Se Roma può perire, cos’altro ci re-sta di sicuro?»Con poche eccezioni 1, gli storici moder-ni concordano sulla portata storica del di-sfacimento dell’Impero Romano ma non sono d’accordo circa le cause del declino.Alcuni accusano i Cristiani, altri la dege-nerazione dei pagani, alcuni la nascita e l’affermarsi dello stato burocratico-assi-stenziale, altri il declino dell’agricoltura ed il diffondersi del latifondo, alcuni la caduta

di Emidio Santoni

di Francesco Picotti Savelli

PARTE II

della fertilità, altri l’ascesa della classe contadina. Un sociologo americano ha recentemente rimesso in discus-sione il problema avanzando la tesi brillante ed originale che Roma de-cadde per via del progressivo avvele-namento da piombo della classe ari-stocratica romana.

Il piombo, se ingerito o assor-bito in dosi superiori ad 1 mg. al giorno, può provocare dolo-rosa stitichezza, perdita dell’ap-petito, paralisi delle estremità e infi ne può causare la morte. Può inoltre causare sterilità tra gli uomini e aborti fra le donne. Sempre secondo l’illustre socio-logo, i Romani, e in particola-re gli aristocratici, ingerivano quantitativi di piombo al di so-pra della soglia critica. Non solo Plinio il Vecchio raccomandava che «venissero usati recipien-

ti di piombo e non di bronzo» nella cottura dei cibi, ma il piombo veniva anche utilizzato nella fabbricazione delle tubature idrauliche, dei bocca-li, dei cosmetici, delle medicine e dei coloranti. S’aggiunga che i Romani, per meglio conservare e dolcifi care il vino, aggiungevano del succo d’uva non fermentato che a sua volta era stato bollito e decantato in recipien-ti rivestiti internamente di piombo. Così facendo, mentre ritenevano di sterilizzare il vino i Romani «non si rendevano conto che sterilizzavano se stessi»....

CHIESA DI SAN MICHELE ARCANGELO INTERNO

Cenni storici sulla parrocchia di San Michele Arcangelo detta dei Frati...

R

INVITO ALLA

LETTURARubrica a cura di Marino Stipa a pagina 4

INVITO ALLA

LETTURA

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Ricordi che aiutano a vivere Continua da pag. 1

alla parrocchia di sant’Angelo che divenne o meglio ritornò di collazione vescovile, parte alle altre due parrocchie di Appignano stesso (san Giovanni Battista e san Pietro ) e parte alla parrocchia di san Gregorio di Ascoli. Il primo parroco nominato dal vescovo di Ascoli nel 1653 fu don Filipponi e tenne la parrocchia fi no al 1660 anno della sua morte. A lui seguì un economo/parroco don Flavio Siliquini fi no al 1674.Nel 1673, intanto, sotto il pontifi cato di Clemente X la Congregazione dei vescovi e regolari come rilevasi dalla stessa memo-ria anonima restituì ai frati francescani il convento di Appignano con i beni rendite e diritti; a condizione però dopo la spontanea rinuncia da parte del curato di sant’An-gelo e degli altri curati a cui i beni erano stati a giusto diritto validamente assegnati l’ordine dei francescani doveva supplire al necessario per il mantenimento di almeno sei religiosi. Il convento fu di fatto riaperto e la parroc-chia di sant’Angelo ripassò sotto l’ammi-nistrazione dei frati francescani di Appi-gnano. Non esiste, però, alcuna Bolla, né alcun Breve di investitura della S. Sede né del vescovo.Esaminati i libri parrocchiali dal 1688 al 1810 risulta che ininterrottamente un frate francescano ha amministrato i sacra-menti ed esercitato l’uffi cio di parroco. Altret-tanti risulta dagli atti di sacra visita. In questi, nella parte cronologica, si fa sempre menzione di un frate che riceve il vescovo e che offi cia la chiesa in qualità di parroco.Venuta la soppressione napoleonica nel 1809 i frati francescani furono espulsi da Appigna-

C e n t r o S t u d i “Francesco d’Appignano”

apertaC e n t r o S t u d i

“Francesco d’Appignano”

apertapag. 2 pag. 3

no, la parrocchia, però, rimase intatta con tutti i suoi beni che le erano stati assegnati dopo la Bolla Innocenziana. Dal catasto dei beni parrocchiali fatto eseguire dal vescovo Cappelletti nel 1821 i beni parrocchiali di sant’Angelo in Appignano furono intestati alla parrocchia e per essa all’e-conomo spirituale don Pietro Antonini e non ai padri francescani né al convento, dico meglio in

esso catasto non si fa affatto menzione dei padri francescani..Fino al 1859 la parrocchia rimase in ammini-strazione e fu offi ciata da un economo spirituale.

a zero) ci portava a rompere il forzato im-mobilismo/inedia del mattino e pomerig-gio giocando a pallone in quel fazzoletto di terra comunale sotto il paese, stando nelle botteghe degli artigiani ad ascoltare alla ra-dio gli eventi sportivi ed accalorandoci in discussioni senza fi ne, accompagnando un camionista a carica-re la ghiaia, oppure andare in campa-gna col veterinario. Capitava pure che qualche compagno sottraesse momen-taneamente la moto al fratello più gran-de assentatosi per lavoro ed andare al Tronto per un bagno ristoratore; talvolta si accompa-gnava un amico in città per delle com-missioni. A tal proposito un pomeriggio, in qualità di passeggero del suo Guzzino, an-dai con Gloriano ad Ascoli ma incappammo in un imbranato lambrettista che ci tagliò la strada nell’incrocio davanti la stazione ferroviaria facendoci volare dentro una aiuola appena concimata di un benzinaio del posto (grazie a Dio senza inconvenien-ti); Barbetta, attrezzato di 125 Benelli, era sempre disponibile per uno strappo, come quella volta per andare a trovare una amica durante la festa di S. Emidio, festa a cui sono tornato come ospite in città del caro amico Franco de Noradì. Con quest’ultimo invece assieme a Luciano facevamo ogni tanto incoscientemente, perché privi di patente, giri del Colle Guardia con la “Ba-lilla 3 marce” quando suo padre, apprezza-to medico, si assentava da Appignano per impegni di lavoro.Il periodo peggiore dell’estate era verso Agosto, epoca di villeggiatura; chi poteva andava al mare od in montagna. Colo-ro che restavano in paese avvertivano la mancanza di quel rapporto che rendeva le giornate un po’ più piene. Unico perio-do movimentato, si fa per dire, era quello dei festeggiamenti della Madonna Assun-ta.Tutto cambiava quando le nostre amiche invitavano in paese le loro compagne di studi o parenti. I pomeriggi come anche le serate si vivifi cavano; i nuovi arrivati ar-recavano novità, voglia di scambiarsi espe-rienze di vita e di studi e di fare qualcosa di diverso. Queste erano le occasioni per belle scampagnate sia a nord del paese che verso il Chifente. Le ragazze preparavano tutto ciò che si rendeva necessario per una

scorpacciata mentre noi ragazzi libe-ri da impegni facevamo i portatori sherpa trasportando i cestelli pieni di ogni ben di Dio; per l’occasione c’era sempre un volontario che si improv-visava fotografo onde immortalare l’evento. I visi di queste “new entri-es” li ricordo ancora e di loro saprei indicare con buona approssimazione

ove abitavano in città. Come si può dimenticare la sim-patia di Silvia (di porta romana), di Giovanna (di porta cappuccina), di Elsa (fi glia di una ricer-cata modista in cor-so Mazzini) o la sil-houette di qualche altra? In aggiunta alle ragazze appena citate mi sovvie-ne una giovanetta, cugina di Franco, dal nome che a me

suonava dolce come i lineamenti del suo visino, Daniela; la consideravamo la nostra cucciola e le attenzioni nei suoi confronti si sprecavano. Chissà se nei suoi ricordi esistiamo ancora.Come tutte le cose anche le nostre estati fi nivano. I prodromi dell’au-tunno si facevano sentire con gli ac-quazzoni e le temperature serali set-tembrine. Le nostre quasi maestrine con aria malinconica talvolta ci ricor-davano i passi dannunziani e leopar-diani che dicono: ”Settembre, andiamo,

è tempo di migrare..” e “..al travaglio usato ciascun in suo pensier farà ritorno”.La mia ultima estate appignanese fu quella del 1955. Un fortunato con-tratto di lavoro fi rmato prima di completare gli studi mi faceva termi-nare la spensierata vita adolescenzia-

LA CHIESA DEI FRATI

Continua da pag. 1

le e mi proiettava in quella dell’adulto lavoratore. I miei amici e compagni, ancora impegnati nello studio, agli ini-zi di Ottobre lasciarono il paese come rondini all’arrivo dei primi freddi. In quei giorni l’attenzione di mia madre nei miei confronti crebbe e così fu-rono quelle di nonna Lisa e zia Velia, zia Leonilde mi volle per alcuni giorni a S. Benedetto, l’ultimo della nidiata delle sorelle Savelli se ne stava andan-do; zio Ettore per la prima ed unica volta mi raccontò della sua esperien-za in una fonderia torinese durante la Grande Guerra. La mia partenza avvenne ai primi di Novembre. Ri-cordo la mestizia di mia madre che, con gli occhi lucidi ed il fazzoletto in mano, mi accompagnava a prendere il postale Miozzi. Il mio cuore era pieno di speranze ma sentivo che una parte di esso sarebbe rimasto lì. Il tempo di quel giorno non era bello e la corriera come sempre partiva presto alla mat-tina. Non c’era molta gente, qualcuno portava con sé borse piuttosto piene e da una spuntavano anche gambi di verdura; una donna con il classico fazzolettone nero in testa portava dei polli che mi ricordavano i capponi di Renzo; qualche altra persona pro-vava a sonnecchiare tra gli scossoni causati dalla strada un po’ dissestata ed ancora bianca; l’autista, Gino de Fiammina, faceva domande o dava risposte come di consueto. Quando fummo nel bivio della Circonvallazio-ne Carosi guardai casa mia attraverso il fi nestrino già appannato e così feci

sull’ultimo tornante de li Valli da cui si vedeva attraverso la foschia tutta la parte orientale del paese.Quando giunsi a Milano ritrovai, per mia fortuna, Claudio (Chiavica), Marcello (Muliga), Piero (Fonghe-ghen). Il primo era presso una fab-brica ove stava familiarizzando con delle macchine da installare nella sua azienda, gli altri, anche se non ancora maggiorenni come lo ero anch’io, erano stati assunti presso un cementifi cio ove, dopo un bre-vissimo periodo di addestramento, divennero capi-turno (La ripresa economica-industriale dell’epoca era assetata di fi gure con profi lo tecnico-ingegneristico e così anche il Sistema scolastico professionale

presso il quale Giuseppe (Cicciopanza) trovò impiego). La loro presenza mi fu di grande aiuto morale e, quando si rese necessario, anche economico.Gli amici rimasti o che tornavano in quel caro lembo di terra ascolana non mi abbandonarono, anzi. La corri-

Nel 1860 il nuovo vescovo di Ascoli monsignor Alberani mise a concorso la parrocchia e allora i francescani avan-zarono il loro diritto di prelazione che non seppero far valere per mancanza di documenti. La parrocchia dalla sacra Dataria venne conferita a don Giuseppe Nepi come risulta dal Bolla-rio della curia vescovile. Nel 1889 per morte di don Nepi la parrocchia rima-se vacante e con Bolla vescovile senza nessuna opposizione venne conferita a don Giovanni Di Benedetto attuale parroco.Ora i religiosi di san Francesco di Ascoli, trattandosi di una parrocchia dalla ricca rendita ed una bella chiesa costruita ex novo sulla vecchia dall’at-tuale parroco don Di Benedetto cerca-no di rivendicarla all’ordine.” Il 30 maggio 1928 muore don Giovanni Di Benedetto e la parrocchia di sant’Angelo resta vacante, i frati francescani ri-vendicano il loro antico diritto, il vescovo e la curia di Ascoli il loro. La causa il 20 gennaio 1931 viene affi data al tribunale della sacra congregazione del Con-cilio. Il 14 maggio 1932 viene emanata la sentenza a favore del-la diocesi. I francescani perdono così il diritto di tornare ad offi -ciare nella chiesa di sant’Angelo. Un riconoscimento i frati france-scani l’hanno ricevuto dal popo-lo appignanese il quale memore dei benefi ci ricevuti dai seguaci del Poverello di Assisi continua ancora oggi a chiamare la chiesa di sant’Angelo: chiesa dei Frati.

spondenza era frequente e le notizie con la loro effi cace descrizione mi facevano quasi vivere le esperienze ed emozioni come quella vissuta in un capodanno allorché una castagnola esplose in tasca ad uno di loro (senza danni), oppure una copiosa nevicata che costrinse due di essi a scendere dal postale impossi-bilitato a procedere. Quando tornavo a casa per le ferie non dimenticavano l’amico di ieri. Nel corso della seconda metà degli anni ’50 la compagnia si era allargata con altre costituitesi in Ascoli od altrove, ma per Francesco di Adelina c’era sempre l’invito ed il posto in auto per una puntata al mare od in montagna. Una volta mi capitò di riportare a casa dal colle S. Marco un amico che aveva apprezzato un po’ troppo il vino locale, guidando la sua vettura (fortunatamen-te, pur non avendo la patente, avevo ap-preso la guida dell’auto a Fermo poiché

l’insegnante di Macchine non concepiva che un Perito Ind.le Meccanico non sapesse guidare). Come capita a tutti nella vita gli interessi, il lavoro, i ruoli lenta-mente hanno sfi lacciato i legami ma non li hanno troncati. Anco-ra oggi, quando mi capita di in-contrare o telefonare a qualcuno delle persone sopra citate, un ab-braccio, un bacio od una frase ri-accende la gioia di un tempo che mi induce a dire: con loro sono stato felice.Nel chiudere queste note deside-ro riportare un pensiero di Jean Paul F. Richter (1763-1825)nel suo “Impromptus”: = Il ricordo è l’unico paradiso dal quale non possia-mo venir cacciati =.Arcore 09 Febb. 2014

CHIESA DI SAN MICHELE ARCANGELO INTERNO