Pace a Voi n 8 Speciale Quaresima

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Evangelizzare per noi è, nella potenza dello Spirito (cfr. I Cor 24) e con l’ausilio dei Suoi carismi (cfr. I Cor 12), Annunziare Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per i chiamati, sia Giudei che Greci, è Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio (I Cor 1,23-24). Ma questo Gesù Cristo, Dio lo ha risuscitato, e noi tutti ne siamo testimoni (At 2,32). Quando nel 1980 incontrai il Papa Giovanni Paolo II a Fortaleza, feci l’offerta della mia vita per l’evangelizzazione dei giovani e di tutti gli uomini e donne che fossero lontani da Cristo e dalla Chiesa. Credo che sia molto importante analizzare questo fatto nella nostra storia poiché nasconde un segreto fondamentale della nostra vocazione. Dopo il mio incontro personale con Gesù, il Risorto che è passato per la Croce, quanto più mi avvicinavo a Dio attraverso la preghiera, quanto più mi sentivo spinto a dedicarmi agli altri. Nella misura in cui crescevo nella mia intimità con Dio, scoprivo che la sofferenza dell’umanità non era un qualcosa di astratto, al di fuori di me. Io faccio parte di questa umanità e la sofferenza dell’altro è anche la mia. Sensibile a Dio, divenni sensibile anche agli altri. Nel penetrare il mistero della sofferenza umana, scoprivo che la più grande sofferenza dell’uomo e l’origine di tanti altri mali è la non conoscenza di Cristo. Io stesso avevo sperimentato questo nella mia gioventù, quando cercavo la felicità senza sapere dove trovarla. Dentro questa ricerca sperimentai l’incontro personale con Gesù Cristo, che diede senso alla mia esistenza e rispose alla sete più profonda di felicità che c’era in me. Avendo avuto questa esperienza in piena gioventù, non potevo restare indifferente a tanti giovani, uomini e donne che non conoscevano la grande verità: la felicità è Gesù Cristo. Mi disturbava soprattutto andare per le strade della mia città e contemplare il volto di migliaia di giovani che, proprio come avevo fatto io in passato, cercavano sfrenatamente la felicità in cammini vuoti. Senza alcun merito da parte mia, avevo trovato la verità: Cristo è la nostra Pace! Non potevo restare senza condividere la mia preziosa scoperta. Portarla a tutti, per me, era diventata un’esigenza d’amore. In quel giorno, quando incontrai il Papa, c’era solo una cosa nel mio cuore: volevo rispondere con l’offerta della mia via all’appello di Dio al mio cuore e a quello dell’umanità che geme e soffre aspettando la manifestazione dei figli di Dio (Rom 12). Volevo offrire la mia vita e la mia gioventù per evangelizzare con audacia e creatività! Da questa ispirazione è nata la Comunità Cattolica Shalom. Siamo nati da un’esperienza con Gesù Cristo Risorto che aveva bisogno, a qualunque costo, di essere trasmessa. Era una fonte Pace a Voi (Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 10) N° 8 - Speciale Quaresima 2012 IL MENSILE Cammino di Evangelizzazione

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in Tempo di Quaresima approfondiamo il suo vero significato, grazie alla Rivista della Comunità Cattolica Shalom

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Evangelizzare per noi è, nella potenza dello Spirito (cfr. I Cor 24) e con l’ausilio dei Suoi carismi (cfr. I Cor 12), Annunziare Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i p a g a n i ; m a p e r i chiamati, sia Giudei che Greci, è Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio (I Cor 1,23-24). Ma questo Gesù Cristo, Dio lo ha risuscitato, e noi tutti ne siamo testimoni (At 2,32).

Quando nel 1980 incontrai il Papa Giovanni Paolo II a Fortaleza, feci l’offerta della mia vita per l’evangelizzazione dei giovani e di tutti gli uomini e donne che fossero lontani da Cristo e dalla Chiesa. Credo che sia molto importante analizzare questo fatto nella nostra storia poiché nasconde un segreto fondamentale della nostra vocazione.Dopo il mio incontro personale con Gesù, il Risorto che è passato per la Croce, quanto più mi avvicinavo a Dio attraverso la preghiera, quanto più mi sentivo spinto a dedicarmi agli altri. Nella misura in cui crescevo nella mia intimità con Dio, scoprivo che la sofferenza dell’umanità non era un qualcosa di astratto, al di fuori di me. Io faccio parte di questa umanità e la sofferenza dell’altro è anche la mia. Sensibile a Dio, divenni sensibile anche agli altri.Nel penetrare il mistero della sofferenza umana, scoprivo che la più grande sofferenza dell’uomo e l’origine di tanti altri mali è la non conoscenza di Cristo. Io stesso avevo sperimentato questo nella mia gioventù, quando cercavo la felicità senza sapere dove trovarla. Dentro questa ricerca sperimentai l’incontro personale con Gesù Cristo, che diede senso alla mia esistenza e rispose alla

sete più profonda di felicità che c’era in me. Avendo avuto questa esperienza in piena gioventù, non potevo restare indifferente a tanti giovani, uomini e donne che non conoscevano la  grande verità: la felicità è Gesù Cristo.Mi disturbava soprattutto andare per le strade della mia città e contemplare il volto di migliaia di giovani che, proprio come avevo fatto io in passato, cercavano sfrenatamente la felicità in cammini vuoti. Senza alcun merito da parte mia, avevo trovato la verità: Cristo è la nostra Pace! Non potevo restare senza condividere la mia preziosa scoperta. Portarla a tutti, per me, era diventata un’esigenza d’amore.In quel giorno, quando incontrai il Papa, c’era solo una cosa nel mio cuore: volevo rispondere con l’offerta della mia via all’appello di Dio al mio cuore e a quello dell’umanità che geme e soffre aspettando la manifestazione dei figli di Dio (Rom 12). Volevo offrire la mia vita e la mia gioventù per evangelizzare con audacia e creatività! Da questa ispirazione è nata la Comunità Cattolica Shalom.Siamo nati da un’esperienza con Gesù Cristo Risorto che aveva bisogno, a qualunque costo, di essere trasmessa. Era una fonte

Pace a Voi

(Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 10)

N° 8 - Speciale Quaresima 2012

IL MENSILE

Cammino di Evangelizzazione

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interiore d’amore a Dio e ai fratelli che sarebbe sgorgata nell’annunciare Gesù e portare a tutti la stessa esperienza. Offrire la vita a Cristo, alla Chiesa e all’umanità era la forma in cui lo Spirito ci ispirava a fare ciò.Offer ta d i v i ta: impresc indib i le per l’evangelizzazione! Offrire la vita a Gesù Cristo. Offrire la vita alla Chiesa. Offrire la vita all’umanità. Evangelizzare! Evangelizzare come evangelizzò Gesù, offrendo la vita! Evangelizzare con audacia e creatività!La contemplazione del mistero di Cristo ci rivela come Egli, unito al Padre e allo Spirito, realizza l’opera di salvezza degli uomini. Il Padre Lo offre al mondo: “Dio ha tanto amato gli uomini da dare il Suo Figlio” (Gv 10,16) Il Figlio, avendo la Sua volontà perfettamente unita a quella del Padre, si offre a Lui ed agli uomini per la nostra salvezza. Liberamente ed amorosamente, il Figlio ci salva attraverso la consegna totale della Sua vita: “Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso” (Gv 10, 18) “(…) dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1) Per mezzo della sua incarnazione, vita e morte sulla Croce, Gesù ha dato la sua vita per noi, amandoci e riscattandoci per il Padre. La sua offerta sulla Croce ha generato la Risurrezione e, con essa, la pienezza della vita per noi.Gesù ci ha evangelizzato con la sua Parola e la sua Vita. Gesù ci ha evangelizzato soprattutto, dando la sua vita, per amore, sulla Croce. È nell’offerta di Cristo sulla Croce che comprendiamo il più grande insegnamento d’amore ed è da questa stessa Croce che sboccia tutta la forza redentrice della Sua Resurrezione. L’evangelizzazione è una chiamata d’amore che porta alla donazione totale di sé. Consegnarsi, per amore, a Dio, alla Chiesa e all’umanità è un’esigenza d’amore per chi vuole, come Gesù, evangelizzare.Configurato a Cristo, è come ha vissuto Giovanni Paolo II. Contemplando la sua vita, ci si presenta, con una vera icona di offerta ed evangelizzazione, un autentico testimone di donazione d’amore fino alla morte, come Gesù.Giovanni Paolo II è il Papa della Nuova Evangelizzazione: nuova nei suoi mezzi, nei suoi metodi, nel suo ardore. Egli è il Papa pellegrino, con più di cento viaggi apostolici. Egli è il Papa che, per annunciare Cristo, si è esposto persino all’estremo, al punto di essere vittima di un attentato che ha compromesso la sua salute e, malato, al punto di rendere visibile al mondo il suo sforzo eroico per continuare l’annuncio del Vangelo anche se questo andava al di là delle sue forze. Egli è il Papa che, attraverso la forza della preghiera, della testimonianza e dell’annuncio della Parola, ha visto cadere le forze del regime ateo comunista. Egli è il Papa che ha insistito pazientemente e fermamente nell’allertare il mondo riguardo al pericolo di una società relativista, edonista e consumista.

Giovanni Paolo II ha attirato milioni di giovani, uomini e donne, che volevano contemplare la ferma testimonianza di Cristo ed ascoltare la sua parola evangelica ancorata alla verità ed alla carità. L’immagine di Giovanni Paolo II alla finestra del suo studio, la domenica di Pasqua del 2005, donandosi fino all’ultimo istante, resteranno fissate nella nostra memoria come un eloquente invito ad imitarlo nella sua donazione di vita. È irrefutabile. Giovanni Paolo II ha vissuto fino all’ultimo momento, attraverso le mani di Maria, la sua offerta radicale a Cristo ed alla Chiesa: Totus Tuus.Dopo la sua morte, abbiamo potuto contemplare uno dei segni dei frutti abbondanti della sua vita offerta a Cristo: la moltitudine oceanica che è sfociata in piazza san Pietro, venuta da ogni parte del mondo. Affrontando file di dodici ore e mezza, quei giovani (erano circa l’80%), uomini e donne, erano lì per manifestare la loro gratitudine per qualcuno che, senza mezzi termini, ha testimoniato la verità e la carità di Cristo e del suo Vangelo.Attraverso la sua vita, possiamo contemplare ancora una vo l ta che la fecond i tà dell’evangelizzazione è frutto di una vita coinvolta nel mistero di Cristo attraverso la preghiera, e che si offre, nella sua totalità, a Dio e agli altri. In Giovanni Paolo II tocchiamo il mistero del Risorto che è passato per la Croce e che, per mezzo della Sua Misericordia, frantuma il cuore indurito dell’uomo del nostro tempo. Nel dolore presente sul volto del Papa Giovanni Paolo II nei giorni di Pasqua, contempliamo il mistero della Passione di Cristo e insieme tocchiamo le Sue ferite. Ma durante tutti questi giorni, abbiamo potuto toccare, in un senso profondo, il Risorto. Ci è stato dato di sperimentare la gioia che Egli stesso ha promesso, dopo un breve tempo di oscurità, come frutto della sua Resurrezione. (Benedetto XVI, omelia della Messa d’inizio del Ministero Petrino del Vescovo di Roma).  Dio ci ha generato per evangelizzare In tutte le nostre azioni, l’annuncio esplicito di Gesù Cristo (cfr. At 4,12) è indispensabile per la fedeltà alla chiamata che il Signore ci fa (Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 25). Nel campo dell’evangelizzazione, ricordo ai fratelli della Comunità Cattolica Shalom che essa è nata con questa missione. Per noi evangelizzare è una questione di opzione. È per questo che Dio ci ha generato. Per questo D i o c i h a g e n e r a t o . P e r q u e s t o l’evangelizzazione diventa per noi una necessità vitale, un felice imperativo.L’evangelizzazione è costitutiva ed induttrice del nostro carisma. Questo significa che quando evangelizziamo con gioia, audacia e creatività, stiamo essendo noi stessi e, al tempo stesso, cresciamo nella grazia propria del carisma che ci è stato concesso. Il nostro carisma ci spinge all’evangelizzazione e l’evangelizzazione fa sì che il carisma cresca in noi.

Quando evangelizziamo, stiamo compiendo il disegno di Dio su di noi. È questa la forma in cui ci ha chiamato per meglio servire la Chiesa e l’umanità.Quando non evangelizziamo l’Opera ristagna, la Chiesa patisce, il popolo ne risente… E noi restiamo dominati dai  nostri problemi. Quando evangelizziamo, l’Opera cresce, la Chiesa è grata, il popolo gioisce e… Noi siamo felici. È esattamente così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. (Benedetto XVI) È importante sapere che, evangelizzando, a volte ci scontriamo con ostacoli e sfide. Quando queste cose diventano fonti di scoraggiamento, sappiamo che unendole al mistero della Croce di Cristo ed affrontandole con la fede, la speranza e l’amore, queste si trasformeranno in indispensabili fonti di fecondi tà per i l f ru t to de l la nos t ra evangelizzazione. Per questo, nella nostra azione apostolica, davanti alle sfide non scoraggiamoci mai ma, nella longanimità di Cristo, superiamole, sapendo che tutte le sofferenze e le croci, unite al mistero di Cristo, servono a rendere i frutti più abbondanti.In tutta la nostra azione evangelizzatrice incontriamo culture, lingue ed etnie diverse. Senza dimenticare il necessario processo di i n c u l t u r a z i o n e d e l c a r i s m a , n o n paralizziamoci davanti alle diversità poiché, dietro ogni cultura, lingua o etnia, c’è l’uomo stesso a cui, con la forza del Vangelo e del Carisma, siamo stati destinati. Quest’uomo ha fame e sete di Cristo e Cristo ha fame e sete di quest’uomo. Che possiamo essere audaci mediatori di questo incontro.  “Evangelizzazione Shalom” Che il Signore ci conceda sempre l dono della parresia affinché, intrepidi e con la tempra dei martiri, versando il nostro sudore e, se necessario, il nostro sangue, compiamo, nel modo migliore e con efficacia ed audacia, la nostra missione. (Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 116) Con ciò intendiamo che un’autentica e v a n g e l i z z a z i o n e n a s c e d a l l a contemplazione, acquisisce fecondità nell’offerta di vita che genera unità e si esprime con parresia, gioia e creatività.Insieme all’offerta di vita in Cristo, l’audacia, la gioia e la creatività sono elementi i nd i spen sab i l i n e l l a no s t r a a z i one evangelizzatrice. Abbiamo bisogno di essere in un continuo processo di rinnovamento della nostra azione evangelizzatrice. Dobbiamo supplicare continuamente lo Spirito Santo affinché, con i suoi doni e carismi (I Cor 12), rinnovi in noi la parresia nell’annuncio del Vangelo.

L’omissione, l’oziosità e l’accomodamento sono atteggiamenti che non possono essere presenti nella nostra vita di evangelizzatori. Non possiamo mai ritenere che stiamo evangelizzando abbastanza. C’è ancora così tanto da fare: 

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Annuncia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna. (2 Tm 4,2) La sana sofferenza che nasce nel guardare al mondo di oggi che v ive nel la non conoscenza della Pace, deve essere presente nel nostro cuore ed essere corrisposta con gioia da coloro che hanno trovato la perla preziosa e non saranno contenti fino a quando non avranno proclamato a tutti la loro grande scoperta.

Il mondo di oggi sarà evangelizzato dalla misericordia, disse Giovanni Paolo II. E noi possiamo aggiungere che la misericordia porta con sé la gioia, che anche è indispensabile per evangelizzare l’uomo del terzo millennio.

Diventa indispensabile chiedere una positiva “passione” a favore dell’evangelizzazione. Voglio raccontarvi ora l’esperienza che accadde prima della fondazione della Comunità e che mi aiutò a scoprire l’importanza di evangelizzare ogni persona.Avevo circa 21 anni. Stavo tornando dall’università e mi fermai con l’auto al semaforo. Davanti a me, sulle strisce pedonali, attraversava un giovane che

attrasse la mia attenzione. Nella mia mente prendeva corpo il seguente pensiero:“Non ho mai visto questo giovane in vita mia e magari non lo vedrò mai più. Ma questo è un giovane che, come me, porta nel cuore un’aspirazione alla felicità”. La differenza era che, senza alcun merito da parte mia, io avevo conosciuto Gesù Cristo, il vero cammino della vita e della felicità e quel giovane, magari, non lo conosceva.

Lo osservavo e sapevo che non potevo rimanere omissivo davanti a lui. Tutto, dentro di me, mi spingeva a dare gratuitamente ciò che gratuitamente avevo ricevuto.Avevo sempre sentito dire che, come Chiesa, siamo invitati ad evangelizzare l’umanità. In quel momento l’umanità prendeva un volto, quello di quel giovane che mi attraversava davanti. A partire da quell’istante compresi che il mandato missionario non poteva essere qualcosa di astratto o di soggettivo, ma aveva un destino e un volto ben concreti: il volto di tutti i giovani, uomini e donne che l’amore di Cristo mi spingeva ad incontrare. Quanto più il volto di quel giovane si allontanava dal mio sguardo, tanto più si consolidava in me l’urgenza di andare incontro ai volti e ai cuori dei giovani, degli

uomini e delle donne del nostro tempo, assetati della Pace che solo Gesù Cristo può dare.

Un’altra certezza molto importante si rivelò in me. Non potevo restare ad aspettare che queste persone mi venissero incontro. Non potevo aspettare che venissero in parrocchia. Non potevo aspettare l’occasione migliore o più opportuna. Era urgente evangelizzare opportunamente ed inopportunamente. Era urgente andare loro incontro, ovunque fossero, e lì, con creatività e audacia, con la parola e la testimonianza, con gioia e misericordia, annunciare Colui che, senza che lo sapessero, i loro cuori stavano già aspettando, Gesù Cristo la nostra Pace.

La fedeltà agli impegni comunitari non deve essere intesa solo come un dovere, ma deve essere cercata in primo luogo come un vero bisogno. Abbiamo bisogno della Comunità per crescere in quello che Dio ci chiama ad essere. Abbiamo bisogno della Comunità per compiere i disegni di Dio di servire la Chiesa e l’umanità. L’Unità si costruisce nella carità di Cristo. La carità di Cristo è una vita offerta a Dio, alla Chiesa, alla Comunità ed all’umanità. 

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La quaresima è ormai divenuto un tempo eversivo nella nostra società votata al culto dell’ "io": un tempo di spogliazione da molte cose, ma soprattutto di allontanamento dalla "philautía", dall’amore egoistico. In questo senso la quaresima è anche tempo di ritorno all’essenziale nello spazio stesso della fede: una ritrovata essenzialità nell’adesione al Signore che ci chiede solo di «praticare la g ius t i z ia , amare con miser icord ia e camminare nell’umiltà con Dio» (Michea 6,8).

Il gesto dell’imposizione delle Ceneri (il mercoledì) questo tempo di conversione all’unico necessario della fede cristiana: l’amore di Dio narrato in Gesù. Nel suo messaggio quaresimale Benedetto XVI del 2007 ci invita perciò a contemplare questo amore sostando ai piedi della croce con Maria, la madre del Signore, e con il discepolo amato. Gesù crocifisso, infatti, attira gli sguardi di tutti, interroga ogni essere umano perché proprio sulla croce - nella condizione di chi spende la vita per gli altri fino a morire - appare il grande mistero che abita il cuore di ogni uomo: il mistero dell’amare e dell’essere amati, il mistero dell’amore di Dio, "eros" e "agape". Fino alla morte e alla morte ignominiosa in croce, fino a quel punto l’amore «folle» di Dio ha spinto Gesù, il quale ha mostrato come l’eros, la passione divina, l’amore estatico di Dio ha

voluto unirsi all’umanità e manifestarsi come agape, carità gratuita che non chiede reciprocità. Sì, solo in Dio eros e agape, passione e carità sono uno stesso sentimento che attrae con forza indicibile ogni uomo.

Null’altro che questo grande mistero dell’amore deve allora attirarci nel tempo della quaresima ad andare nel deserto con Gesù, perché scopo di ogni azione cristiana, di ogni atteggiamento, di ogni sforzo può solo essere l’amore. Un amore gratuito nella sua origine divina, un amore preveniente che tuttavia chiede all’uomo, per poter essere percepito e accolto, un prezzo: il prezzo della disciplina, dell’ascesi, della conversione. Richiede un lavoro paziente e sapiente come quello che lo scultore opera su un pezzo di marmo o di legno: si tratta di togliere, scalpellare, scavare per far emergere l’immagine, la vera immagine deposta in ciascuno di noi, l’immagine conforme a come Dio ci ha pensati, voluti e creati nel suo disegno d’amore. Sì, nel battesimo noi cristiani siamo stati inondati dall’amore di Dio sicché noi abitiamo questo amore, e questo amore abita in noi, ma non sempre ne siamo consapevoli e, anzi, sovente contraddiciamo questa nostra veri tà. La quaresima è quindi l’occasione propizia per rinunciare al nostro egoismo, per distogliere lo sguardo da noi stessi e tornare al nostro cuore, al quel luogo intimo che è abitato dallo Spirito di Dio che in noi grida: «Abbà, Padre!».

Ma per intraprendere questo itinerario di conversione, per percorrerlo tesi verso la gioia della risurrezione, per camminare nell’amore di Dio è necessario affrontare con consapevolezza una vera e propria lotta spirituale. Si tratta innanzitutto di applicarsi con assiduità all’ascolto della Parola di Dio, facendo tacere le molteplici parole che la soffocano nella nostra vita quotidiana.

Questo richiede il saper creare e difendere tempi di silenzio in cui si lasciano decantare fino a scomparire i molteplici pensieri, sovente inutili, che ci assillano: un silenzio svuotato del frastuono di voci inutili e riempito della Parola di vita che la chiesa ci propone nei quaranta giorni della quaresima; un silenzio in cui si possa percepire il soffio leggero dello Spirito che parla al nostro cuore; un silenzio che sia anche purificazione degli occhi dalla moltitudine di immagini che oggi ci turba con un fragore più forte del tuono; un silenzio che ci consenta di assumere in profondità l’altro e non di strumentalizzarlo a nostro uso e consumo. Così, ritrovando l’assiduità con il Signore, con la sua Parola, con il suo donarsi a noi nel pane e nel vino eucaristici, noi possiamo "ricentrare" l’intera nostra vita in Cristo.

La nostra lotta spirituale quaresimale richiede poi un discernimento e una conversione riguardo a ciò che alimenta la nostra esistenza. Di cosa ci nutriamo? Cosa dà consistenza alle nostre vite?

Quaresima tempo forte di conversione

Speciale Quaresima

a cura di Carmine Tabarro

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Quali alimenti fanno vivere il nostro corpo e il nostro spirito? Il digiuno è lo strumento che la chiesa antica, sull’esempio di Gesù stesso, ha da subito riconosciuto come privilegiato per questo discernimento spirituale. Astenersi da cer t i c ib i , r inunciare per un tempo determinato ma significativo a questa funzione essenziale per la nostra vita umana ci riporta a questi interrogativi essenziali. Una pratica, quella del digiuno, che è stata allontanata dalle sue radici bibliche ed evangeliche, è stata dimenticata nella prassi concreta dei cristiani d’occidente, dove è ritornata sotto le spoglie di protesta, di «sc iopero del la fame» o, ancor più "mondanamente", di una ricerca di benessere fisico in una società malata di bulimia. Ma la quaresima ci ripresenta il digiuno non come valore in sé, né come maschera per un’anoressia che disprezza il corpo, bensì come appel lo al l ’essenzia l i tà anche nell’alimentazione, come solidarietà con chi quotidianamente non ha di che nutrirsi, come ripensamento dei nostri comportamenti e come rimando al cibo della Parola di Dio.

Accanto all’assiduità con Dio nella preghiera, accanto al silenzio per ascoltare la Parola di vita, accanto al digiuno per discernere il vero cibo, il «tempo per Dio» che è la quaresima ci

chiama anche a un altro elemento di ascesi, del resto richiamato con forza anche in Avvento: la veglia. Associata proprio al digiuno e alla preghiera fin dalla predicazione di Gesù, la veglia cristiana è attesa del Signore e, come tale, interrogativo posto al nostro corpo su chi o che cosa tiene desto il nostro cuore. Come ben sappiamo dal nostro vissuto umano, solo l’amore ci rende capaci di stare desti: solo se amiamo qualcuno siamo disposti a rinunciare al sonno per anticiparne il ritorno, solo il chinarci amorevolmente verso la persona amata che soffre toglie il torpore dai nostri occhi e dal nostro cuore appesantito, solo il farci carico dell’altro ci permette di dimenticare il riposo che le nostre membra invocherebbero.

Anche qui, nell’intontimento spirituale che il frastuono incessante della nostra società finisce per provocare, la quaresima ci offre in dono la possibilità di fermarci e pesare quali parole e quali gesti ravvivano il nostro cuore, cosa lo fa ardere anche nella notte, cosa ne rianima il battito.

Il tempo di grazia della quaresima, allora, è davvero un tempo per tutto l’uomo, per una sua ritrovata unificazione interiore, per un suo riscatto da una vita svuotata di senso: ritrovare il «senso», il significato di quello che facciamo e diciamo per

riscoprire il «senso», la direzione che le nostre vite devono intraprendere. In questo impegno ascetico, in questo sforzo spirituale cui il corpo è chiamato a partecipare, la liturgia della chiesa ci fornisce tutti gli elementi per poter riprendere la sequela del Signore nella gioia dello Spirito santo. È un cammino di autenticità: nessuna schizofrenia tra quello che si proclama e si celebra e quello che si vive in realtà; la conversione dev’essere reale, la preghiera davvero assidua, il digiuno concreto, la veglia sapiente e amante. Solo così ci predisponiamo a vivere la Pasqua, la morte e la risurrezione del Signore, liberi dai vecchi fermenti, come persone rinnovate dallo Spirito santo.

Allora vedremo realizzarsi anche per noi le parole del profeta Isaia: «La nostra luce brillerà come aurora, le nostre forze saranno rinnovate, la giustizia camminerà davanti a noi e la gloria del Signore ci accompagnerà. Se chiameremo il Signore, ci risponderà; se lo invocheremo, dirà: Eccomi!». Sì, con il cammino quaresimale vissuto con autenticità appresteremo un luogo al Signore e lo testimonieremo in mezzo agli uomini e alle donne con i quali ci ha fatto il dono grande di condividere le sofferenze e le prove ma anche la gioia e la speranza.

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Sulla scia del Beato Giovanni Paolo II: un cammino di Amore e per l'Amorea cura di Cristiano Pinheiro

Un artista, uno sportivo, un operaio, un f ilosofo, un teologo, un polacco, un sacerdote, un Papa. Caratteri che convivono armoniosamente in un’unica, r icca e grandiosa personalità: Karol Józef Wojtyla (1920-2005). Imponente come la sua personalità è anche il suo pensiero, caratterizzato soprattutto da una visione particolarmente profonda della persona umana. Sì, Wojtyla, il nostro amatissimo Beato Papa Giovanni Paolo II, è qualcuno che ama l’uomo, che nei suoi discorsi, lettere, libri non fa altro che esaltare la dignità e la grandezza dell’umanità. A partire da questa edizione del nostro “Pace a Voi”, proveremo a percorrere alcuni “momenti” del pensiero di Wojtyla, cercando di rendere più conosciuti alcuni aspetti del suo pensiero e lasciandoci aiutare nella meravigliosa scoperta di “chi siamo” – uomini e donne – “immagine e somiglianza di Dio”, vocazionati ad un’esistenza elevata.Da dove cominciare, riguardo alla vastissima concezione antropologica di Giovanni Paolo II? Come scegliere con sicurezza un adatto punto di partenza? È inevitabile confessare la difficoltà della sfida, perché Wojtyla ha parlato dell’importanza dell’umanità sotto

diversi punti di vista: l’ha fatto da poeta, da attore, da filosofo, da teologo, da prete e da pontefice. Tuttavia, siamo forse in grado di raccogliere una certa unità nell’immensità del suo pensiero, qualcosa che identifichi tutti i tempi e i ruoli esercitati dal nostro Beato. Mi avventuro a farlo, cominciando dalla parola “Amore”. Nella Redemptor Hominis, la sua prima lettera enciclica, Giovanni Paolo II ci lascia in t ravedere le profondi tà del le sue convinzioni circa la persona umana e l’amore, unendo la prima al secondo in modo “indissolubile”, Giovanni Paolo II costruisce su questo binomio “uomo-amore” tutto il suo “palazzo” antropologico, mettendo così in luce l’essenzialità della presenza dell’amore nella vita di ogni persona:

“  L'uomo non può vivere senza amore. Lui r i m a n e p e r s e s t e s s o u n e s s e r e incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente.” (Redemptor Hominis, 10)

Secondo Wojtyla, non si può capire l’umanità se non attraverso l’amore. L’amore è l’unico atteggiamento degno, l’unico “linguaggio” pienamente adeguato che può essere r ivolto a un “chi” creato “a immagine” del Dio-Amore. Creato “a somiglianza” dell’Amore, tutta l’esistenza dell’uomo è segnata da questa eloquente Verità amorosa. L’amore è dunque il “più alto valore” della vita dell’uomo ed è anche l’atteggiamento “più umano”, giacché è allo stesso tempo l’atteggiamento “più divino”. Se “Dio è amore”, anche l’uomo lo è. L’amore è un solo movimento che unisce il Creatore e la creatura, l’Artefice e la sua “copia”. L’uomo è stato pensato e fatto in vista di un “destino divino”, creato da Dio per essere “come Dio”, ordinato nel più intimo del proprio essere a raggiungere una santa pienezza d’amore, come quella carità infinita che circola in seno alla Santissima Trinità. Nel suo saggio “Amore e Responsabilità”, l’allora Cardinale Wojtyla si dedicò a scrivere sull’amore umano e il mistero nuziale. Nonostante questa sua opera si soffermi sul discorso matrimoniale in modo particolare, è innegabile ed evidente che

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Beato Giovanni Paolo II

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parla anche di realtà generali che toccano tutti; questo ci consente di individuare “l’amore” come il “nord” della bussola antropologica di Karol. Per lui, è significativo che grazie alla sua interiorità e alla sua vita spirituale, l’uomo non solo sia una persona, ma allo stesso tempo, appartenga al mondo oggettivo “esteriore”, facendo parte di esso nella maniera che gli è propria.

A n c o r a q u e s t o s t u d i o “A m o r e e Responsabilità” si dedica all’affermazione dell’interiorità e della trascendenza come segni distintivi e specifici della “creatura umana”, diversa da qualunque altra perché possiede un suo “mondo interiore”, luogo di rapporto con il divino e con se stesso, luogo che dà senso al suo rapporto con gli altri, luogo dove risiedono la sua intelligenza e volontà.Wojtyla è in armonia con la tradizione filosofico-antropologica personalista, tutta rivolta all’affermazione della dignità della

persona umana, come valore basilare e imprescindibile. In questa linea di pensiero, radicata sul valore e la dignità dell’umanità, Wojtyla declina e sviluppa il suo discorso sull’amore.

Quando Dio si “mostra” come tale, come Amore, non si può stabilire un altro parametro o un’altra “logica” che non siano il parametro e la logica dell’amore per l’essere umano, creato da Dio come un “altro da Sé”.

La parola “amore” è d’altra parte uno dei termini più carichi di ambiguità. Nel tempo questa parola ha acquistato tante sfumature e sensi diversi. Che cosa intendiamo dire quando trattiamo dell’amore? Che cosa Karol Wojtyla intende insegnare? Che cosa Giovanni Paolo II ha voluto trasmettere attraverso questo termine? Occorre tornare all’origine della parola, spiegarne i diversi significati e usi. E’ necessario un paziente

sforzo per trovarne un significato sempre più preciso e veritiero, che rispecchi davvero la realtà divina e, in essa, la realtà umana. Sappiamo che d’ora in poi cercheremo di conoscere e di approfondire qualcosa del pensiero di Wojtyla, è vero. Ma lo faremo guidati da questi due assi: “Persona” e “Amore”, parole tanto usate, ma che esigono urgentemente una ripresa del loro reale senso e della loro profondità. Tante tendenze odierne “anti-umane” hanno macchiato il vero senso dell’umanità e dell’amore! Bisogna recuperare uno studio che ci porti di nuovo ad apprezzare la bellezza di quell’umanità voluta e amata da Dio. Wojtyla ci aiuterà in questa impresa.

Nel pross imo mese, cominceremo a penetrare con più fermezza e precisione il pensiero di Wojtyla sull’amore, lasciando che dalle sue poesie, dalle sue opere letterarie e magisteriali echeggino la verità sull’uomo e sull’amore. Shalom!

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“  L'uomo non può vivere senza amore. Lui rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente.” (Redemptor Hominis, 10)

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Nell’incantevole cornice del Museo Nazionale di Castel S.Angelo è ospitata dal 27 settembre 2011 al 12 febbraio 2012 una preziosa rassegna di quaranta icone provenienti dal Museo dell’ Icona Russa di Mosca.

La mostra, promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma con la collaborazione della casa editrice Il Cigno Gg Edizioni, presenta opere di eccezionale valore artistico esposte per la prima volta in assoluto fuori dai confini nazionali russi.

L’itinerario di visita, realizzato nel contesto delle manifestazioni dell’Anno della Cultura e della Lingua Russa in Italia e della Cultura e della Lingua Italiana in Russia, propone icone comprese nel periodo che va dalla fine del XV all’inizio del XX secolo. 

Passeggiando tra questi capolavori si è immersi in un’atmosfera particolare, le figure ieratiche delle icone affascinano il visitatore con i caldi toni dorati e altri meravigliosi colori, che sfumano dal marrone, al rosso, al blu lapislazzulo.

Di particolare interesse, è l’icona della Madre di Dio Odigitria (“Colei che indica e guida lungo la strada”) della fine del XV secolo di produzione della Scuola di Novgorod.   Osserviamo la Madre di Dio che, con la mano destra e con l’inclinazione del capo, indica il Bambino Gesù seduto sulla sua mano sinistra. Le immagini sono severe, le teste di Cristo e della Vergine non si toccano. 

Gesù viene rappresentato  in at to benedicente che t iene in mano una pergamena arrotolata. In quest'icona sembra che la Vergine indica a tutto il genere umano che il vero cammino è quello verso il Cristo. La maestosità della figura di Maria sta a rappresentare che è Lei la porta sicura da passare per vivere bene la nostra relazione con Dio.

Attraverso Maria potremo ascoltare la voce autentica dell’unico vero buon pastore che è Gesù, riconoscerlo e seguirlo.

La bellezza dell’arte dell’iconografia russa offre all’osservatore un’esperienza artistica e spirituale unica nel suo genere, imperdibile per il pubblico appassionato delle espressioni più alte della tensione dello spirito umano verso la bellezza trascendente.

Arte

a cura di Vitalba Morelli

Lo Splendore delle Icone russe (XV-XX secolo)

! Informazioni mostra “Icone Russe (XV-XX secolo)

Dove: Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo - Lungotevere di Castello, 50 - Roma

Quando: 27 settembre 2011 - 12 febbraio 2011

Orari: 9.00-19.00 (tutti i giorni), lunedì, 25 dicembre e 1 gennaio chiuso.

Prezzo biglietti: € 8,50 intero 

Telefono: 0632810 (informazioni e prenotazioni) 

Note - La biglietteria chiude 30 minuti prima.

Info: http://castelsantangelo.beniculturali.it/

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Focus

ll mistero dei rotoli del Mar Morto chiarito alla luce dei prodotti tessilia cura di Carmine Tabarro

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Sulla base di quasi 200 frammenti di tessuto rinvenuti in alcune grotte a Qumran, dove erano stati depositati i Rotoli del Mar Morto, i testi potrebbero essere stati scritti, almeno in parte, da un gruppo settario chiamato "Esseni".

I ricercatori sono divisi su chi abbia composto i testi contenuti nei Rotoli del Mar Morto e a come essi siano giunti a Qumran. Recenti scoperte potrebbero aiutare a chiarire questo mistero di vecchia data.

La ricerca rivela che tutti i tessuti erano fatti di lino, e non di lana, che era il tessuto preferito nell'antico Israele. Inoltre, benché i prodotti tessili di quel periodo avessero spesso colori vividi, questi non hanno alcuna decorazione, anzi alcuni sono persino sbiancati. Secondo la gran parte dei ricercatori, questi risultati suggeriscono che gl i Esseni, un'ant ica set ta giudaica, avrebbero "protetto" con stoffa alcuni dei rotoli.

Non tutti sono d'accordo con questa interpretazione. Un archeologo che ha fatto scavi a Qumran, sostiene che il lino potrebbe provenire da persone in fuga dall'esercito romano dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C, . e che sarebbero stati loro, di fatto, a porre i rotoli nelle grotte.

 

I FAMOSI ROTOLI

I Rotoli del Mar Morto contengono circa 900 testi; di questi, il primo gruppo fu scoperto da un pastore beduino nel 1947. Sono tutti databili a prima del 70 d.C., e alcuni potrebbero risalire indietro fino al III secolo a.C. I rotoli contengono una grande varietà di scritti: alcune antiche copie della bibbia Ebraica, inni, calendari, salmi e altre opere. Nelle grotte sono stati rinvenuti quasi 200 frammenti tessili, e alcuni esemplari sono stati ritrovati a Qumran, il sito archeologico vicino alle grotte dove i rotoli erano nascosti.

Orit  Shamir, curatrice dei materiali organici presso l'Israel Antiquities Authority, e Naama Sukenik , dot toranda presso la  Bar-I lan  Universi ty [di Tel Aviv], hanno comparato i tessuti di lino bianco trovati nelle undici grotte con esemplari rinvenuti in altri siti dell'antico Israele, e hanno pubblicato i loro risultati nell'ultimo numero della rivista Dead Sea Discoveries.

Un grande passo avanti nello studio di questi resti è stato fatto nel 2007, quando una squadra di archeologi è riuscita a dimostrare che i tessuti di lana trovati presso un sito a sud di Qumran, noto come la Grotta di Natale, non hanno alcun rapporto con gli abitanti del sito di Qumran. Questo ha permesso a Shamir e Sukenik di concentrarsi sui 200 frammenti ritrovati nelle grotte e sul sito stesso di Qumran, sapendo che questi

sono gli unici tessuti che hanno qualcosa a che vedere con i rotoli. Le due esperte hanno scoperto che ogni singolo frammento è di lino, nonostante che a quel tempo la lana fosse il prodotto più popolare in Israele. Hanno anche constatato che in un primo tempo i tessuti devono essere stati usati, per la maggior parte, come indumenti, in seguito sono stati fatti a pezzi e riutilizzati per altri scopi, per bendaggi o per imballare i rotoli all'interno di giare. Alcuni dei tessuti sono stati sbiancati, e la maggior parte è senza decorazioni, che invece sono comuni nei tessuti provenienti da altri siti dell'antico Israele.

Secondo i r icercator i, i r i trovamenti suggeriscono che chi risiedeva a  Qumran vestiva in modo semplice. "Volevano distinguersi dal mondo romano, " ha dichiarato Shamir. "Erano molto umili, non volevano indossare tessuti colorati, volevano usare tessuti molto semplici". I proprietari degli indumenti probabilmente non erano poveri, giacché un unico frammento aveva una toppa. Secondo Shamir, "questo è molto, molto importante: l'uso delle toppe è connesso con la condizione economica del sito". Shamir rileva che i tessuti ritrovati in siti dove le persone erano sotto pressione sono spesso rattoppati, come ad esempio nella Grotta delle Lettere che fu usata in una rivolta contro i romani. Al contrario, afferma Shamir: "Se il sito è in una situazione economica molto buona, se è molto ricco, i

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tessuti non avranno toppe. Per ciò che riguarda [la condizione economica di] Qumran, ritengo che fossero nella media, ma sono sicura che non erano poveri".

Rober t Carg i l l , p ro f es sore presso l 'Univers i ty  of Iowa, ha scr i t to in abbondanza su Qumran e ne ha sviluppato un modello virtuale. Secondo lui, anche le prove archeologiche provenienti dal sito, comprese le monete e gli oggetti in vetro, indicano che i suoi abitanti non erano poveri.  Cargill sostiene che per il sito il commercio fosse importante: "Ben lungi dall'essere edifici monastici, ritengo che a Qumran ci fosse ricchezza, almeno una qualche forma di ricchezza. Penso che producessero in proprio la loro ceramica e che ne vendessero una parte, penso che allevassero animali e ne vendessero, penso che producessero miele e lo vendessero".

 

CHI HA SCRITTO I ROTOLI DEL MAR MORTO?

Gli studiosi sono divisi riguardo agli autori dei Rotoli del Mar Morto e su come i testi giunsero a Qumran. Alcuni sostengono che i rotoli siano stati scritti nel sito stesso, mentre secondo altri sarebbero stati scritti a Gerusalemme o altrove in Israele.

Il sito di  Qumran fu scavato da Roland de  Vaux negli anni '50. L'archeologo concluse che il sito era stato abitato da una setta religiosa, chiamata gli Esseni, che scrisse i rotoli e li depositò nelle grotte. Negli scavi furono portate alla luce alcune piscine con acqua, che de  Vaux  credette fossero state utilizzate per bagni rituali, e

alcuni calamai, ritrovati in una stanza cui fu dato il nome di "scriptorium". Sulla base dei suoi scavi, gli studiosi stimarono la popolazione del sito a circa 200 unità.

Indagini archeologiche più recenti, guidate da Y i tzhak  Magen e  Yuva l  Pe leg d e l l ' I s r a e l  A n t i q u i t i e s A u t h o r i t y , suggeriscono, al contrario, che il sito non avrebbe potuto sostentare più di qualche dozzina di persone e che non avrebbe avuto alcun collegamento con i rotoli stessi. Questi archeologi ritengono che i rotoli siano stati depositati nelle grotte da alcuni profughi che scappavano dall'esercito romano dopo la conquista di Gerusalemme nel 70 d.C. Magen e Peleg hanno scoperto che il sito nacque attorno al 100 a.C. come avamposto militare usato dagli Asmonei. Dopo la presa della Giudea da parte dei romani nel 63 a.C., il sito fu abbandonato e, infine, subentrarono dei civili, che lo usarono per la produzione della ceramica. I due archeologi hanno scoperto anche che nelle piscine portate alla luce da de Vaux si trova un sottile strato di argilla da vasaio.

Ci sono anche opinioni differenti. Secondo Cargill, anche se l'insediamento di Qumran nacque come un forte, fu in seguito occupato da un gruppo settario, i cui membri erano particolarmente attenti alla purità rituale. "Che fossero Esseni o meno, " afferma, "è tutta un'altra questione". Questo gruppo, molto più piccolo della prima stima di 200 persone, avrebbe scritto alcuni dei rotoli, mentre ne raccoglieva altri. Inoltre, anche altri gruppi, che non facevano parte della comunità di Qumran, potrebbero aver depositato dei rotoli nelle grotte.

GLI INDUMENTI POSSONO RISOLVERE IL MISTERO?

La nuova ricerca sui tessuti potrebbe aiutare a identificare gli scrittori dei Rotoli del Mar Morto. Secondo Shamir, è inverosimile che i rotoli siano stati depositati nelle cave da chi era in fuga dai romani. Se così fosse stato, nelle grotte si sarebbe trovata, accanto ad altri indumenti, anche lana, dato che era il tessuto più popolare nell'antico Israele: "Se delle persone f o s se ro fugg i t e da Gerusa lemme, avrebbero preso con sé ogni sorta di tessuti, e non solo lino. Le persone che fuggirono alla Grotta delle Lettere, presero con sé indumenti di lana".

Peleg, l'archeologo che ha  condiretto il recente lavoro archeologico a Qumran, non è d'accordo con quest'affermazione. Rimane dell ' idea che non ci s iano connessioni tra il sito e i rotoli depositati nelle grotte: "Dobbiamo ricordare che quasi tutti i tessuti sono stati ritrovati nelle grotte e non presso il sito. La questione principale è la connessione esistente tra il sito e i rotoli. Si possono trovare anche altre spiegazioni al fatto che i rotoli sono stati ritrovati insieme al lino". Ad esempio, il lino potrebbe essere stato scelto come involucro dei rotoli per motivi religiosi o forse i responsabili per la conservazione dei rotoli erano sacerdoti e indossavano indumenti di lino. "Gli abiti sacerdotali erano fatti di lino", scrive Peleg.

Nel loro ar ticolo  Shamir e  Sukenik affermano che il tessuto ritrovato nelle grotte dei Rotoli del Mar Morto è simile alla descrizione storica degli abiti degli Esseni, il che suggerisce che vivessero

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davvero a Qumran. Le due studiose si riferiscono allo storico giudeo Giuseppe Flavio, il quale scisse che gli Esseni "consideravano molto importante mantenere asciutta la pelle e vestirsi sempre di bianco". (Tuttavia, Giuseppe Flavio non ha mai fatto alcun riferimento al fatto che i loro indumenti fossero di lino, sottolinea Peleg.) Giuseppe Flavio ha scritto anche che gli Esseni erano molto frugali per ciò che riguardava il vestiario, e che condividevano tra loro i beni: "Nel loro abbigliamento e nella condotta somigliano a bambini rigorosamente disciplinati. Non cambiano gli abiti o le scarpe finché non sono ridotti a brandelli o logori dall'uso. Tra loro non si compra e non si vende, ma ognuno dà ciò che possiede a chiunque abbia bisogno e riceve da lui in cambio qualcosa di utile per se stesso". Nel loro articolo Shamir e Sukenik fanno notare che anche Filone di Alessandria ha scritto che gli Esseni vestivano abiti semplici e di stile ordinario: "E non solo la loro tavola è in comune, ma anche i loro vestiti. In inverno, infatti, hanno pronta una scorta di robusti mantelli e in estate vesti senza pretese, cosicché chi lo desidera può facilmente prendere ogni indumento che vuole, dato che ciò che ciascuno possiede, è considerato proprietà di tutti, e viceversa, ciò che tutti possiedono, è di ciascuno."

Cargill  sostiene che il tessuto sia una prova ulteriore che a  Qumran viveva un gruppo giudaico settario: "Ci sono prove della presenza di un gruppo che allevava i propri animali, pressava il proprio miele di datteri, sembrava indossare vesti distintive e produceva la propria ceramica, e seguiva un proprio calendario, quanto meno un calendario diverso da quello dei sacerdoti del tempio. Tutti questi sono segni di un gruppo settario". Lo studioso ritiene importante la presenza di  mikveh (bagni rituali) all'interno del sito e il fatto che gli abitanti potevano produrre ceramica ritualmente pura. Sembra che questo gruppo volesse separarsi dai sacerdoti del tempio di G e r u s a l e m m e . " C ' è u n a c o n g r u e n z a - aggiunge Cargill - tra molti dei documenti settari, che appare calzante con un gruppo settario separato dal sacerdozio del tempio di Gerusalemme". Secondo la teoria di Cargill, la gente di Qumran avrebbe scritto alcuni dei rotoli, mentre ne avrebbe raccolti altri: "Ovviamente non hanno scritto tutti i rotoli". La datazione indica che alcuni dei rotoli furono scritti prima che  Qumran nascesse. Un rotolo inconsueto, fatto di rame, potrebbe essere stato depositato dopo l'abbandono di  Qumran nel 70 d.C. Per Cargill, alcuni dei rotoli potrebbero essere stati messi nelle grotte da persone esterne alla comunità. Se così fosse, anche alcuni dei tessuti potrebbero essere appartenuti a persone esterne a Qumran: "Se è vero che non tutti i Rotoli del Mar Morto sono attribuibili ai membri della setta di Qumran, ne consegue che non tutti i tessuti scoperti nelle grotte sono un loro prodotto".

C'ERANO DONNE A QUMRAN?

La nuova ricerca potrebbe far luce anche su chi abbia prodotto i tessuti. I tessuti sono di alta qualità e, sulla base delle scoperte presso il sito, dove ci sono poche testimonianze di fusi o pesi da telaio, la squadra di archeologi ritiene inverosimile che siano stati prodotti a Qumran. Per  Shamir "questo è molto, molto importante, perché la filatura è legata alla presenza delle donne". I tessuti furono probabilmente prodotti in un altro luogo in Israele, dove le donne rivestivano un ruolo nella loro produzione. Questo lascia supporre che solo poche donne vivessero nella stessa Qumran: "La tessitura è connessa sia a uomini sia a donne, ma la filatura era una produzione unicamente femminile, e questo non si trova a Qumran".

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