Pace a Voi 5

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Pace a Voi L’Eucaristia è il centro di tutta la nostra vita comunitaria e missionaria poiché essa è Dio stesso. “Essendo una Comunità Eucaristica, l’amore alla celebrazione dell’Eucaristia e all’adorazione al Santissimo Sacramento è qualcosa in cui il Signore ci chiama a crescere nella nostra vita personale e comunitaria. Ricordo quando scoprii, nel mio cammino spirituale, il valore inestimabile dell’Eucaristia. Attratto dalla presenza di Cristo e animato dai fratelli, trovavo il motivo per alzarmi presto, con l’abitudine di partecipare alla celebrazione eucaristica e nutrire la mia anima e il mio corpo, con il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Cristo. Un giorno, non riuscendo a svegliarmi, persi la Messa. Nel corso della giornata ricevetti una cartolina con l’immagine di Cristo Crocifisso e le seguenti parole: “L’amore non si esprime solo a parole”. Quella cartolina mi aiutò a capire ancor più che qualunque sacrificio avessi fatto per partecipare all’Eucaristia quotidiana, sarebbe stato piccolo davanti alla grande prova d’amore che Egli mi aveva dato e che quotidianamente si rinnovava sull’altare. Col tempo compresi sempre meglio che nell’Eucaristia quotidiana trovavo forza e vita e che riceverla è un grande privilegio che Dio ha riservato agli uomini. Per quanto possibile, non vorrei perdere questa grazia nemmeno per un solo giorno. Così, come dono divino e bisogno dell’anima, l’Eucaristia quotidiana ha cominciato a far parte della mia vita.” (AZEVEDO Moysés, Lettera alla Comunità, Pasqua 2005) Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa.(192) (Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 38) N° 5 - Novembre 2011 IL MENSILE

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numero di Pace a Voi Mensile della Comunuità Cattolica Shalom

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Pace a Voi

L’Eucaristia è il centro di t u t t a l a n o s t r a v i t a comunitaria e missionaria poiché essa è Dio stesso.

“Essendo una Comunità Eucaristica, l’amore alla celebrazione dell’Eucaristia e a l l ’ ado raz ione a l San t i s s imo Sacramento è qualcosa in cui il Signore ci chiama a crescere nella nostra vitapersonale e comunitaria.

Ricordo quando scoprii, nel mio cammino spirituale, il valore inestimabile dell’Eucaristia.

Attratto dalla presenza di Cristo e animato dai fratelli, trovavo il motivo per alzarmi presto, con l’abitudine di partecipare alla celebrazione eucaristica e nutrire la mia anima e il mio corpo, con il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Cristo. Un giorno, non riuscendo a svegliarmi, persi la Messa. Nel corso della giornata ricevetti una cartolina con l’immagine di Cristo Crocifisso e le seguenti parole: “L’amore non si esprime solo a parole”. Quella cartolina mi aiutò a capire ancor più che qualunque sacrificio avessi fatto per partecipare all’Eucaristia quotidiana, sarebbe stato piccolo davanti alla grande prova d’amore che Egli mi aveva dato e che quotidianamente sirinnovava sull’altare.

Col tempo compresi sempre meglio che nell’Eucaristia quotidiana trovavo forza e vita e che riceverla è un grande privilegio che Dio ha riservato agli uomini. Per quanto possibile, non vorreiperdere questa grazia nemmeno per un solo giorno. Così, come dono divino e b i sogno de l l ’an ima, l ’Eucar i s t ia quotidiana ha cominciato a far parte della mia vita.” (AZEVEDO Moysés, Lettera alla Comunità, Pasqua 2005)

Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa.(192)

(Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 38)

N° 5 - Novembre 2011

IL MENSILE

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Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L'atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s'è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti, « soltanto n e l l ' a d o r a z i o n e p u ò m a t u r a r e un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci s e p a r a n o g l i u n i d a g l i a l t r i » (Sacramentum Caritatis, 66)

L’Eucaristia è il dono che Gesù fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo. In questo mirabile sacramento si manifesta quell’amore “più grande”, l’amore che ci porta a “dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Infatti, Gesù “li amò sino alla fine” (Gv 13,1).

Nell'Eucaristia si rivela il disegno di amore che guida tutta la storia della salvezza (cfr Ef 1,10; 3,8-11).

In essa il Deus Trinitas, che in se stesso è amore (cfr 1 Gv 4,7-8), si coinvolge pienamente con la nostra condizione umana. Nel pane e nel vino, sotto le cui apparenze Cristo si dona a noi nel la cena pasquale (cfr Lc 22,14-20; 1 Cor 11,23- 26), è l'intera vita divina che ci raggiunge e si partecipa a noi nella forma del Sacramento. Dio è comunione perfetta di amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Già nella creazione l'uomo è chiamato a condividere in qualche misura il soffio vitale di Dio (cfrGn 2,7). Ma è in Cristo morto e risorto e nell'effusione dello Spirito Santo, dato senza misura (cfr Gv3,34), che siamo resi partecipi dell'intimità divina (16). Gesù Cristo, dunque, che « con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio » (Eb 9,14), nel dono eucaristico ci comunica la stessa vita divina.

Si tratta di un dono assolutamente gratuito, che risponde soltanto alle promesse di Dio, compiute oltre ogni misura.

La Chiesa accoglie, celebra, adora questo dono in fedele obbedienza. Il « mistero della fede » è mistero di amore trinitario, al quale siamo per grazia

chiamati a partecipare. Anche noi dobbiamo pertanto esclamare con sant'Agostino « Se vedi la carità, vedi la Trinità » (Sacramentum Caritatis, 8)

“L’Eucaristia è il centro della nostra vita comunitaria e missionaria, poiché questa è Gesù stesso (cfr. Gv 6,51). Per mezzo di essa, la Comunità si unisce a tutta la Chiesa che si immerge nel Mistero Pasquale di Gesù Cristo.

C o m e p r o l u n g a m e n t o d e l l a celebrazione di questo mistero il Signore ci chiama all’adorazione del Santissimo Sacramento, un’immersione nella contemplazione del Suo Volto. Per m e z z o d e l l a c e l e b r a z i o n e e dell’adorazione siamo trasformati in Lui (...)

L’Eucaristia quotidiana è fondamento indispensabile, poiché in essa, tutta la Comunità troverà il senso e la forza della sua esistenza.(Statut i della Comunità Cattolica Shalom, art. 38)

Adorare il Santissimo Sacramento è immergersi nel Cuore di Cristo Risorto e Trafitto e trovare lì la Pace per le nostre vite e per l’umanità. (Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 39)

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Fr. Patrizio Sciadini, OCD

Papa Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Novo millennio ineunte”, invita tutta la Chiesa a prendere coscienza del fatto che non può esistere esperienza di Dio, né apostolato autentico, né amore fraterno, né una umanità unita per la costruzione di una civiltà dell’amore senza la preghiera.

Per compiere qualcosa di buono dentro e fuori di noi, per produrre frutti abbondanti nella vigna che è Cristo, abbiamo bisogno di entrare in piena comunione con Lui. Ripetiamo spesso che la preghiera non è una imposizione, una legge che ci sottomette e ci rende schiavi, ma una necessità, un’urgenza del cuore che, provando la solitudine, l’esilio, l’incomprensione, cerca ansiosamente un amico che possa amarlo ed ascoltarlo. Nella preghiera, Dio e l ’uomo s i amano reciprocamente e ciascuno è felice di contemplare se stesso nell’altro. Dio contempla se stesso nell’uomo creato a sua immagine e somiglianza e l’uomo contempla se stesso in Dio, vedendo ciò a cui è chiamato ad essere.

La preghiera ci libera da tutto ciò che non ci permette di prendere il volo. Santa Teresa d’Avila afferma che siamo chiamati, come una colomba bianca, a spiccare il volo verso Dio, a entrare nel castello interiore, superando ogni ostacolo. La porta attraverso cui entriamo in questo castello è la preghiera.

Quando ci disponiamo a pregare è perché ci troviamo in mezzo alle difficoltà e non sappiamo come superarle da soli. Oppure perché siamo presi da un’allegria talmente grande, che non possiamo fare altro che gridare ai quattro venti: “Grazie, Signore!”. E’ qualcosa maggiore di noi. Gli

indifferenti, gli insensibili, quelli che si accontentano di strisciare e non vogliono volare oltrepassando l’azzurro del cielo per stare con il Signore, non saranno mai grandi uomini di preghiera.

Ma se pregare è così bello – come dicono i mistici, i santi, gli uomini e le donne che hanno speso la vita intera alla ricerca del volto dell’Amato – perché ci sono momenti in cui per noi pregare diventa difficile? Quali sono le maggiori difficoltà che incontriamo nella preghiera, e come possiamo superarle? Per superare le difficoltà è necessario prima di tutto riporre una grande fiducia in Dio e poca in noi stessi. E avere coscienza che il Signore ci donerà l’allegria di stare con Lui. Lui, come Padre amoroso, è felice quando ci vede lot tare contro i nemici che ci impediscono di amarlo e adorarlo.

Non avere paura degli insuccessi

Tutte le cose hanno i colori con cui le dipingiamo: dipendono dallo sguardo con cui noi le contempliamo. Per il pessimista, tutto va male; per l’ottimista, quasi tutto va bene. La nostra preghiera è sempre ascoltata da Dio. Anche quando non sembra così, Lui ci ascolta e, nella sua infinita saggezza, ci dà quello di cui abbiamo bisogno per la nostra crescita. Solo Dio conosce ciò di cui abbiamo realmente bisogno, e mai smetterà di ascoltare il nostro grido e le nostre suppliche. Quante volte nella mia vita, quando ero giovane, pensavo che Dio “si divertiva”, quasi con un certo “sadismo”, negandomi ciò che gli chiedevo con tanta insistenza. Ma con il passare del tempo, maturando al sole della sofferenza e dell’esperienza, vidi che Dio agisce in modo diverso. Mi ricordai delle parole del profeta Isaia: “Le mie strade non sono le vostre strade”, o di Gesù: “Il Padre

conosce quello di cui avete bisogno prima che voi glielo chiediate”.

Confidare nell’amore misericordioso di Dio è lasciare a Lui la libertà di agire nella nostra vita. Una libertà sempre posta al servizio dell’uomo. La preghiera, come ci ricorda il Catechismo, è una vera lotta. Una vigilanza perenne su noi stessi, per non permettere che entrino nel nostro cuore sentimenti che impediscano l’incontro filiale con Dio.

“In conclusione, la nostra lotta deve affrontare ciò che avvertiamo come fallimenti nella preghiera: scoraggiamento di fronte alla nostra aridità, tristezza per non aver dato tutto al Signore, per avere “molti beni”, delusione per non essere esauditi secondo la nostra propria volontà, offesa al nostro orgoglio (che non accetta la nostra indegnità di peccatori), incomprensione della gratuità della preghiera ecc. La conclusione è sempre la stessa: perché preghiamo? Per superare questi ostacoli è necessario lottare per avere l’umiltà , la fiducia, la perseveranza” (Cat. 2728).

Davanti a tutto ciò è bene per noi convincerci che la preghiera esige un nostro sforzo. Ogni dialogo, per essere costruttivo, esige una costante attenzione a quello che avviene dentro di noi. Pregare è aprire la nostra umanità per lasciar entrare la divinità. Non dobbiamo mai distruggere la nostra sensibilità, la nostra umanità, ma dobbiamo renderla sempre più attenta e aperta all’azione di Dio in noi.

L’allegria della distrazione

Impariamo a considerare le distrazioni come la maggiore difficoltà nella nostra vita di preghiera, a vederle come zanzare che

Le distrazoni nella Preghiera

Approfondimenti

a cura della redazione di Pace a Voi

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non ci fanno stare tranquilli, quando vogliamo stare da soli con Colui che amiamo. Sono ostacoli al dialogo, all’amore e alla vita. Essere distratto si può considerare come irrispettoso per quello che stiamo facendo. Davanti a questa difficoltà comune a tutti dobbiamo senza dubbio ridimensionare la nostra attitudine a distrarci nella vita di preghiera.

Bisogna prendere coscienza che non siamo distratti soltanto nella preghiera, ma in tutte le attività. Quante volte stiamo davanti alla televisione, ma il nostro cuore, la fantasia e i l pensiero sono così distanti che domandiamo a qualcuno: “Di che parla questo programma?” Oppure, chi di noi non si è “distratto” nel momento di prendere una strada sbagliata con la macchina? O anche durante lo studio, si leggono cinque pagine e non si ricorda nulla, perché si era distratti… La distrazione fa parte della nostra umanità. Nessuno riesce a pensare per ore di fila allo stesso concetto o argomento. L’essere umano è volubile, ha bisogno di volare in molti luoghi, pensare a molte cose allo stesso tempo… Come l’ape, passa di fiore in fiore, senza fermarsi su nessuno, succhiando il net tare per la sua vi ta personale e comunitaria. Essere distratto può essere considerato non come un male, ma come una forte intuizione dell’amore. A volte, può essere lo Spirito Santo che ci vuole farci ricordare qualcosa di importante. Mentre stiamo pregando, d’improvviso ci ricordiamo di non aver chiuso il gas in cucina… Santa distrazione, che ci fa correre ad evitare il pericolo! O se pregando ci si distrae pensando ai genitori, al lavoro, alle difficoltà, alla mancanza di amore, alle persone, è il momento di mettere tutto nel cuore di Dio e trasformare tutte queste distrazioni in motivazioni di preghiera per la vita. Davanti alle distrazioni, abbiamo due possibilità: accogliere nel cuore la nostra situazione e ciò che viene in mente,facendo di tutto questo una preghiera da presentare a Dio, è la scelta migliore. Oppure, possiamo richiamare indietro la nostra memoria e la nostra attenzione su ciò che stiamo meditando. Questo sforzo costante è gradito al Signore perché manifesta il nostro amore e la nostra decisione di essere attenti alla voce dello Spirito. E’ bene non perdere tempo con le distrazioni, non lasciarsi attrarre da esse, ma saperle amministrare con pazienza e allegria. Quanto meno importanza diamo loro, meno loro ci daranno fastidio. Questa saggezza è propria dei santi e di chi vuole esserlo. “Pensare” – ci avvisa Santa Teresa d’’Avila – “a quello che stiamo dicendo e a chi lo stiamo dicendo. Non sarebbe giusto parlare con una persona pensando ad altro, con lo sguardo distante, come quello di chi è stanco della presenza dell’amico”.

Questa saggezza è presente nella pedagogia della Chiesa che, nel Catechismo, ci ricorda: “La più comune difficoltà della nostra preghiera è la distrazione. Essa si può riferire alle parole e al loro significato, nella preghiera orale. Può anche riferirsi più profondamente a ciò per cui preghiamo, nella preghiera orale (liturgica o personale), nella meditazione e nella preghiera mentale.

Lottare ossessivamente contro le distrazioni significherebbe cadere nella loro trappola. E’ sufficiente volgersi verso il nostro

cuore: una distrazione ci rivela ciò di cui siamo prigionieri, e questa presa di coscienza umile davanti al Signore può risvegliare il nostro amore preferenziale per Lui, con la nostra offerta risoluta del nostro cuore, per la purificazione attraverso Dio. In questo consiste la lotta: la scelta del signore che vogliamo servire. In senso positivo, la lotta contro il nostro “io” possessivo e dominatore consiste nella vigilanza, nella sobrietà del cuore (Cat 2729-2730). Quando ci accorgiamo che stiamo “volando là sopra”, dobbiamo imparare a tornare “sul tema” e non permettere che qualcuno ci distragga dall’amore che dobbiamo donare all’Amato.

“ I o do rm i vo , ma i l m io cuo r e vegl iava…” Chi v ive nel la tensione dell’Amore sarà sempre come Maria, che “conservava tutte queste cose nel suo cuore e le meditava”.

Le distrazioni, le fantasie sono le facoltà “pazze” della casa (anima). Per questo, dobbiamo imparare a raccoglierle quando vogliamo andare più in là di quanto ci è permesso. Superare le distrazioni è un esercizio. Non potremo mai evitarle del tutto. E’ possibile solo con una grazia speciale del Signore o in un’estasi o in una visione, quando tutte le nostre capacità umane restano sospese. Finché saremo in questo mondo è necessario saper circoscrivere le fantasie e le distrazioni perché non ci portino lontano dal nostro Amato. Dobbiamo dominare, amministrare le distrazioni senza violenza. Il segreto consiste nello stare più attenti e fedeli all’Amore del nostro Dio, secondo l’intensità dell’amore che arde nel nostro cuore.

In passato ero nervoso, inquieto, deluso davanti alle distrazioni della mia vita. Oggi, quello chi si scoraggia sono le distrazioni stesse, perché sanno che, quando bussano alla mia porta, nella maggior parte dei casi la trovano chiusa.

Bisogna vincere le distrazioni con la forza dell’Amore. Ma se esse entrano, bisogna approfittare di ciò che portano con sé, elaborandolo e trasformandolo in preghiera. Bisogna modificare le distrazioni e farle passare per il cuore di Gesù. Che il testo dell’apostolo Paolo possa esserci da esempio: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada… Ma in tutto questo vinceremo per mezzo di colui che ci ha amato”(Rm 8, 35-37). Nulla può separarci dall’amore di Cristo. Nemmeno le distrazioni, le magie o i pensieri inutili. Niente e nessuno, perché Cristo è nostro, e noi siamo suoi.

A volte l’intelletto non è capace di fermarsi su nulla, appare frenetico e senza controllo. Per chi vive questa situazione, con la sofferenza che ne deriva, ci si rende conto di non avere colpa. Non dobbiamo affliggerci per questo, né affaticarci per trovare una motivazione che non si ha. Il nostro intelletto ci spinge a pregare come possiamo. Da parte nostra, quello che possiamo fare è cercare di rimanere soli, per comprendere con Chi stiamo e per ascoltare bene la risposta che Lui dà alle nostre

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Ain Karim luogo d'incontro tra Maria ed Elisabetta -seconda parte-

a cura di Carmine Tabarro

IAin Karim: Il luogo

Vangeli non specificano in quale villaggio o città gli avvenimenti riferiti siano accaduti. Molte, quindi, sono state leipotesi avanzate.Alcuni Padri della Chiesa (tra cui Agostino, Girolamo, Eutimio) ritenevano che Giovanni il Battista fosse nato a Gerusalemme. Essi, infatti, pensavano che l'altare dei profumi, sul quale Zaccaria Sommo Sacerdote, stava bruciando incenso quando, ebbe la visione angelica, si trovasse nel Santo dei Santi, dove solamente il Sommo Sacerdote era autorizzato ad entrare una volta l'anno, in settembre, nel giorno dell'espiazione. Dato poi che il Sommo Sacerdote doveva abitare nella Città Santa, anche alcuni scrittori occidentali hanno concluso che il Battista fosse nato a Gerusalemme.

Ma l'altare dei profumi, che i sacerdoti ordinari incensavano due volte il giorno, si trovava nel Santo, non nel Santo dei Santi. Inoltre, S. Luca dice esplicitamente che Zaccaria era un semplice sacerdote appartenente al turno di Abia, cioè all'ottava delle 24 divisioni create da Davide (1 Cron 24, 10); che era di settimana

(le singole classi compivano il ministero liturgico nel Tempio da un sabato all'altro); che i l suo spec ia le u f f i c io g l i e ra s ta to assegnatodalla sorte (cosa che poteva accadere anche una sola volta in vita). I sacerdoti ordinari, compiuto il proprio turno, n o n e r a n o o b b l i g a t i a r i s i e d e r e a Gerusalemme. Luca dice: "Compiuti i giorni dei suo servizio, se ne tornò a casa" precisazione superflua se Zaccaria avesse abitato a Gerusalemme.

Il Card. Cesare Baronio, pensando che la patria del sacerdote Zaccaria dovesse necessariamente essere una città sacerdotale, sostenne l'ipotesi che il Precursore fosse nato, ad Hebron, principale città sacerdotale della Giudea. Il Reland (Palaestina ex monumentis veteribus illustrata, Utrecht 1714), ritenendo che con Giuda S. Luca avesse indicato il nome della città di Zaccaria, pensò a Juttah o Jota, città sacerdotale a Sud di Hebron, la moderna Jattha.

Ma, dopo il ritorno dei Giudei dall'esilio babilonese, i sacerdoti ed i leviti non erano più costretti ad abitare nei luoghi assegnati loro al momento dell'arrivo di Israele nella Terra

Promessa; anzi, vivevano fuori di queste città. Inoltre, dopo l'esilio, Hebron e tutta la parte meridionale della Giudea non erano più abitate da Giudei, ma da Idumei. Sia Giuseppe Flavio che altri scrittori dell'epoca non considerano più le città di quella regione come città di Giuda, bensì costantemente come città degli Idumei. Nulla giustifica la supposizione che S. Luca abbia indicato con il nome di Giuda il villaggio di Jattha: manca qualsiasi manoscritto, versione o documento storico che la corrobori.

Altre ipotesi sono state formulate da autori occidentali circa la patria del Battista. Alcuni hanno confuso il luogo, della nascita con quello della morte (fortezza di Macheronte) e con quello della sepoltura del Santo (Sebaste); altri hanno pensato a Giuda di Neftali (a Nord di Nazaret), a Beit Zekaria, villaggio celebre per la vittoria di Giuda Maccabeo su Lisia, generale di Antioco Epifane (1 Mac 6, 30-33), 8 km. a Sud-Ovest di Betlemme, e a Beit Sha'ar (2 km. a Sud-Est di Beit Zekaria), supposto luogo di sepoltura del profeta Zaccaria (PG 47, 1628).

E' necessario, quindi, cercare di localizzare il

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luogo della nascita di S. Giovanni il Battista in maniera più aderente al testo di Luca.

L'Evangelista dice che la Vergine "si incamminò nella regione montuosa" (éis tèn oreinèn). Nel libro di Giosuè (15, 20-63) le città assegnate alla tribù di Giuda si trovano in quattro regioni, caratterizzate dal rilievo orografico o dalla posizione geografica: Neghev (Meridione), Sefela (Pianura), Har (zona montagnosa) e Midbar (Deserto). Altri testi biblici indicano con 'montagna' esattamente la regione montuosa di Gerusalemme (Gen 14,10; Num 13,29; Gios 2,16,22; Giud 1,9; Ger 40,13; Zac 7,7; Neem 8, 15; 1 Mac 2,28). Tanto comune era questa denominazione che, quando la Giudea sotto i Romani fu suddivisa in dieci toparchie, Orine (la zona montagnosa) divenne il nome proprio, di quella di Gerusalemme. Troviamo la notizia c o n f e r m a t a d a P l i n i o , i l Ve c c h i o , contemporaneo di S. Luca, nella sua Storia Naturale (lib. V, cap. 14 n. 70). Egli elenca chiaramente le toparchie (Gerico, Emmaus, Lod, Giaffa, Aerabatene, Gofna, Tanma, Beit-Nettif, Herodium e Orine) specificando: "Orine, nella quale si trova Gerusalemme, la più preclara delle città d'Oriente, non solo della Giudea". Orine comprendeva necessariamente Ain Karim, la quale può essere quindi identificata con il v i l laggio cananeo Karem.La vers ione Alessandrina di Giosuè (15, 60) ricorda la località insieme a Kulon (Koloniyeh), Baither (Bittir), Galem (Beit Giala) e Betlemme, tutti posti della regione compresa nel triangolo ai ver t i c i de l quale s i t rovano appunto Gerusalemme (Est), Betlemme (Sud) e Ain Karim (Ovest). Probabilmente Ain Karim è la Betacherem di Geremia (6,1), la Bet Accarem di Neemia (3,14), forse la Betear di 1 Sam 7,11.

Ain Karim:Il vilaggio

La catena di colline che corre da Gerusalemme in direzione Ovest, forma prima una cui-va a Nord, si dirama poi verso il villagio di Qoloniah, per protendersi infine ad occidente con un lungo braccio, alla fine del quale si trova Ain Karim. La gobba porta il nome di el-'Ukùd (significato generico di mura), da qui, durante la prima guerra mondiale, postazioni turco-tedesche cannoneggiavano la pianura verso Giaffa. I1 secondo tratto è Giàbal el-Gialil (monte di Gialil); l'ultimo, Bèit Mazmìl (casa di Mazmil).

'Ain Kàrim (o 'Ein Kàrim) è la trascrizione convenzionale del nome arabo. Il segno che precede la, A (o la E), detto in arabo fàsila, serve ad indicare il suono gutturale della vocale, su cui cade anchel'accento. 'Ain vuol dire fonte, fontana, sorgente, e si trova in molti toponimi: 'Ain Musa, fontana di Mosè; 'Ain Ghiddi, sorgente del capriolo; 'Ain Medauara, fontana rotonda. Non necessariamente, tuttavia, in ogni località chiamata 'Ain esiste una sorgente: ad 'Ain Shems (fonte del sole) per esempio, non ci sono sorgenti. Kàrem è la vocalizzazione del gruppo radicale semitico krm, vigna. Abbiamo Così la Fontedella Vigna, nome ben appropriato. sia per l'abbondanza dell'acqua, sia per la ricchezza dei vigneti.

Un'altra vocalizzazione di krm potrebbe essere, karìm, aggettivo che significa nobile, generoso. In tal caso si avrebbe la Fonte Abbondante. Tale trascrizione non è considerata corretta perché, essendo 'Ain femminile, l'aggettivo dovrebbe concordare ed essere karìma.

Il paese si stende sui pendi dei colli e nel fondo,della valle. Prima del 1948 da Est a Ovest, si trovavano tre quartieri musulmani, che mantenevano il nome di famiglie preminenti della zona: Wa'ar (podere di) Sara, sul pendio a oriente della chiesa di S. Giovanni; Hàret (rione di) Duàr; Hàret el-Haraje. Dal convento di S. Giovanni alla fontana, al di là della strada principale, Hàret en-Nasàra (dei Cristiani) e Hàret el-Mascobìeh (dei Russi). La valle tra le Dame di Sion e la Visitazione era la zona di el-Marg (dei giardini). Le case sono ombreggiate da cipressi e dai pini, come al tempo del pellegrino Teoderico (1172), che chiamò il posto Silvestris.

Il terreno sui pendii dei colli, di colore scuro, oggi è ben coltivato: vigne e alberi di fichi, meli, peri, melograni, gelsi e noci, danno al posto un aspetto tipico e piacevole. Le mani industriose degli abitanti hanno pazientemente tolto dai campi le pietre che rendevano difficile -se non impossibile - la coltivazione del grano, dell'orzo e dei legumi, per utilizzarle nella costruzione di muretti a secco, che sostengono terrazzamenti e delimitano le proprietà.

L'occhio è attirato da numerose torri, in gran parte diroccate, sparse tra i poderi: erano i rifugi estivi delle famiglie che, durante i mesi del solleone, alloggiavano in campagna sia per trovare refrigerio alla gran calura, che per badare con maggior facilità .ai frutteti. L'esempio di Zaccaria fu seguito per quasi due mila anni.

La presenza dell'uomo è attestata ad Ain Karim fino dall'età media del Bronzo. I reperti archeologici sono: giarre (una di terracotta è c o n s e r v a t a p r e s s o l a Y. M . C . A . d i Gerusalemme), un ago, tazze del tipo detto di Gerico, scodelle larghe, brocche nere non decorate e piccoli catini (visibili nel Museo Archeologico Pales t inese) . Sono s ta te rintracciate anche tombe. I resti erodiani e bizantini (terrazzamenti, installazioni per la produzione di vino, tombe), ci danno la continuità nel tempo, anche se non consentono una ricostruzione particolareggiata né dei confini del centro abitato, né dei limiti delle singole costruzioni.

Troviamo il primo accenno alla vita di Ain Karim nel Lezionario di Gerusalemme e nel Calendario Palestino-Georgiano del Sinaitico 34, che usano i termini di villaggio, borgata (vicus, pagus). Giovanni Focas (1177 - ELS 52), oltre alla chiesa di S. Giovanni, situata sopra la grotta, vede un castello; la mappa di Oxford (ca. 1235), conservata al Corpus Christi College di Oxford, chiama il posto casellum (casale) Seint Johan, mentre indica con monasterium il complesso di S. Croce, posto sulla strada che da Gerusalemme conduce ad Ain Karim.

Giacomo da Verona (1336 - ELS 64) fornisce la prima, secca informazione sulla gente: "Non ci abitano Cristiani, ma soltanto Saraceni". Tra le rovine, Felix Fabri vede nel 1480 una sola e misera casa rustica. Cinque anni dopo, Francesco Suriano osserva che "Montana Judea già fò cità; al presente è reducta in villa de fochi venticinque" (ELS 75). La contrada non dovette prosperare molto: nel 1507 Giorgio, priore del monastero certosino di Chemnitz, conta appena due o tre capanne e Nicola Cristoforo Radzivil (1538 - ELS 81) parla di una ventina di domunculas, di catapecchie. Così le chiama anche Francesco Quaresmi (1626 - ELS 86): "Passata la fonte di S. Maria Vergine, proseguendo per lo stesso cammino, entrammo in un villaggio formato da poche e misere catapecchie, tirate su quasi tutte con pietre, legno e fango, dove abitano rozzi mori". Sembra la descrizione di un villaggio dell'Africa nera, Fino al 1674, data dell'insediamento definitivo dei Francescani a S. Giovanni, salvo i pochi monaci armeni ortodossi e greci ortodossi, ricordati saltuariamente, ad Ain Karim non risiedevano Cristiani. La scarsa popolazione era costituita da Saraceni, chiamati anche Turchi (Greffin Affagart, 1533), Mori (Giovanni Cotovico~, 1596) e infine Marocchini o Mograbini (Quaresmi, 1621).

I Francescani pensarono di far trasferire qui alcuni Betlemiti, che servissero da interpreti. Quattro ne arrivarono il 24 marzo 1679, seguiti quindi, nel 1681, dalle famiglie. Si formò così il primo nucleo della parrocchia latina.

I Betlemiti portarono con sé la tradizione artigianale della loro cittadina. Là, infatti, i Francescani li avevano da tempo avviati alla lavorazione del legno e della madreperla, facendoli arrivare ad un grado di raffinatezza veramente notevole. Ad Ain Karim fiorì l'arte delle incisioni in legno, che durò fino, ad una quarantina di anni fa, quando si estinse per lisi.

Poco a poco la vita del paese prese una certa consistenza, tanto che nel 1726 Padre Horn poteva contare circa 90 case, di cui 7 abitate da famiglie cristiane.

I Padri si preoccuparono di dare nuovo impulso anche all'agricoltura. Mariti, che visitò il posto nella primavera del 1767, racconta: "Per altro la maggiore occupazione di essi è la coltura dei terreni; e siccome tali coltivazioni son riprincipiate da pochi anni fa, tutti gli alberi si vedono ora piccoli, ma producono già i loro frutti" (p. 300), e parla con ammirazione dell'intraprendente attività agricola degli abitanti del paese. Nella valle di Botrus, a oltre 10 km da Ain Karim verso mezzogiorno, egli vede le vigne del Signore: "Grossissimi sono i grappoli, né uguali possono trovarsi ne i paesi nostri... Un uomo non potrebbe conservarne uno solo per lunga strada intatto; onde non e gran fatto se dagli Esploratori mandati da Mosè a riconoscere la Terra Promessa, nel tornare, che essi fecero a dargli relazione della fertilità del Paese, fossero due a portargli dalla Valle Botrus un grappolo di uva sopra una stanga" (P. 301-302).

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I Frat i del la Corda furono gl i unic i rappresentanti della chiesa latina ad Ain Karim fino al 1860. In quell'anno vi si stabilirono le Dame di Sion, ordine fondato da Teodoro Ratisbonne e portato in Terra Santa dal fratello Alfonso (entrambi convertiti dal Giudaismo). Scopo del l 'ordine è essenzialmente la testimonianza del Vangelo tra gli Ebrei. All'inizio le Dame presero in affitto un'ampia casa a Nord-Ovest della Visitazione, quindi costruirono il complesso di edifici che sorge oggi sul costone occidentale sovrastante la chiesa di S. Giovanni ed il paese. P. Ratisbonne riposa ora all'ombra della sua istituzione ad Ain Karim.

Le Dame di Sion furono seguite, nel 1871, da monaci russi, che edificarono il monastero, di Mar Zacharijeh (San Zaccaria) sul costone meridionale, creando un vero e proprio villaggetto russo con una, piccola chiesa e romitori femminili. Nel 1882 i Padri Bianchi (ordine fondato dal Card. Lavigerie per le missioni in Africa ed in Asia), costruirono, una grande casa a Sud della fonte. Due anni dopo i Greci ortodossi eressero il loro katholicòn, dedicato a S. Giovanni il Battista; nel 1911 le Suore del Rosario, (congregazione che accetta soltanto vocazioni locali), aprirono una casa a Sud del sentiero che và dalla fonte alla Visitazione. Infine, nel 1912 si stabilirono, a Sud del convento di S. Giovanni, le Suore

Terziarie Francescane d'Egitto.

Nel 1936, dopo aver trascorso 12 anni presso le monache russe,  May Carey si costruì una casa sulla cima del monte, a Sud-Ovest del paese. Ella desiderava trasformare il posto, da lei chiamato - Ras er-Rab (Monte del Signore), in una oasi di pace e, infatti, ultimata la casa, cominciò l'erezione di un Santuario della Pace, in stile bizantino, e di un ospizio per i visitatori. La situazione politica palestinese era anche allora piuttosto inquieta e non si prestava molto alla realizzazione dei sogni di Miss Carey. Allora ella donò la proprietà al Vescovo anglicano, mettendola a disposizione d i tu t t e l e comun i tà ang l i cane che desiderassero risiedervi. Furono invitate le Sorelle dell'Amore Divino, appartenenti ad un ordine contemplativo, e membri della Società di S. Giovanni l'Evangelista. Nel 1938 si intrapresero nuove costruzioni, in vista dell'arrivo delle religiose e dei pastori, ma la guerra del 1948 interruppe il programma.

L'arrivo e l'insediamento delle varie comunità religiose trasformò gradualmente in meglio l'aspetto e le condizioni di vita del villaggio. Le case, sempre barcollanti e fatiscenti, furono riparate e ricostruite; la popolazione crebbe fino a circa 2700 abitanti, di cui 430 Cristiani (1931), per arrivare a circa 3250 nel 1944. La vicinanza di Gerusalemme facilitava la

vendita dei prodotti agricoli e l'impiego, della mano d'opera.

Questo stato di relativa prosperità durò fino alla guerra del 1948. Allora la popolazione araba (musulmani e cristiani) abbandonò il paese, unendosi a quella tragica marea di profughi che si dirigeva verso Est. Molte case restarono vuote; molti campi si riempirono di gramigna; ai profughi non fu mai concesso il rimpatrio. Lentamente nuovi abitanti vennero a ripopolare il villaggio che si presenta oggi tranquillo, rallegrato qua e là da giardinetti.

Tutt'intorno il progresso avanza. Gerusalemme non è più a 8 kilometri da Ain Karim: i casermoni della periferia stanno stringendo l'assedio e si affacciano sulle creste dei colli. Il loro aspetto, tanto funzionale quanto spersonalizzato, in breve avrà finito con l'alterare in modo irreversibile questa oasi di incantevole bellezza.

La pietà dei fedeli, ispirata alle narrazioni del Vangelo, si è estrinsecata ad Ain Karim in tre Santuari distinti. Sul colle nord viene commemorata la nascita di Giovanni il Battista; sul colle sud la Visitazione ed il nascondimento; nel vicino 'deserto', la preparazione di Giovanni in attesa del ministero pubblico.

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l 15 luglio 2011 e' uscito il  RapportoIstat con i dati relativi al 2010 sulle

condizioni economiche delle famiglie. Quando uscirà' questo numero la notizia sara' sepolta tra le tante altre, ma cosi non può' essere per una comunita' cristiana.

A) I dati ci dicono che i valori assoluti della poverta' rimangono “stabili”, ma confermano una situazione di precarietà delle famiglie italiane, in particolare quelle numerose e che vivono al Sud. È quanto emerge dal rapporto Istat sulla povertà in Italia, relativo al 2010, diffuso come detto il 15.7.2011, per il quale “l’11% delle famiglie è relativamente povero e il 4,6% lo è in termini assoluti”.

B) Particolarmente dura e' la crisi delle f a m i g l i e n u m e r o s e . S e “ l a s t i m a dell’incidenza di povertà relativa” è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2009, “segnali di peggioramento - rileva l’Istat - si osservano, tuttavia, tra le famiglie di cinque o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), in particolare nel Centro (dal 16,1% al 26,1%), tra quelle con membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di monogenitori (dall’11,8% al 14,1%)”, mentre “nel Mezzogiorno peggiora la condizione delle famiglie con tre o più figli minori”. In Italia, nel 2010, “sono 2.734.000 le famiglie in condizione di povertà relativa”, pari all’11% di tutte quelle residenti, cioè “8.272.000 individui poveri, il 13,8% dell’intera popolazione”. La soglia di povertà relativa (pari alla spesa media pro capite nel Paese), per una famiglia di due componenti, è di 992,46 euro, mentre la soglia mensile di povertà assoluta, sempre per una famiglia di due componenti con 18-59 anni, oscilla tra i 747,71 euro per chi vive in un piccolo Comune del Sud e 1.057,18 euro per i residenti in un’area metropolitana al Nord. In condizioni di povertà assoluta, ossia non in grado di procurarsi quell’insieme di beni e servizi “essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile”, vivono 1.156.000 famiglie (4,6%), per un

totale di 3.129.000 persone, il 5,2% dell’intera popolazione.

C)Figli e anziani. “Quasi un terzo delle famiglie con cinque o più componenti (il 29,9%) – prosegue l’Istat – risulta in condizione di povertà relativa”, con un peggioramento di 5 punti percentuali rispetto al 2009; “l’incidenza raggiunge il 42,1% fra le famiglie che risiedono nel Mezzogiorno”, dove la povertà relativa “cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori”. “Il disagio economico – sottolinea il Rapporto – si fa più diffuso se all’interno della famiglia sono presenti più figli minori: l’incidenza di povertà, pari al 15,6% tra le coppie con due figli e al 27,4% tra quelle che ne hanno almeno tre, sale rispettivamente al 17,7% e al 30,5% se i figli sono minori. Il fenomeno, ancora una volta, è particolarmente evidente nel Mezzogiorno, dove è povera quasi la metà (il 47,3%) delle famiglie con tre o più figli minori”. Ancora, “la povertà è superiore alla media (14,8%) tra le famiglie con due o più anziani, in particolare al Nord”. Andando ad anal izzare i l det tagl io territoriale, “la Lombardia e l’Emilia Romagna sono le regioni con i valori più bassi dell’incidenza di povertà, pari al 4,0% e al 4,5% rispettivamente. Si collocano su valori dell’incidenza di povertà inferiori al 6% l’Umbria, il Piemonte, il Veneto, la Toscana, il Friuli Venezia Giulia e la provincia di Trento. Ad eccezione di Abruzzo e Molise, dove il valore dell’incidenza di povertà non è s ta t i s t i camente d iverso dal la media nazionale, in tutte le altre regioni del Mezzogiorno la povertà è più diffusa rispetto al resto del Paese. Le situazioni più gravi – conclude l’Istat – si osservano tra le famiglie residenti in Calabria (26,0%), Sicilia (27,0%) e Basilicata (28,3%)”.

D)Benessere legato al lavoro. I dati dimostrano che il benessere economico della famiglia italiana è strettamente legato alla possibilità di avere uno, e magari due, redditi da lavoro. Altrimenti si entra in una spirale di difficoltà.

La conferma di questo dato ci viene dall'osservazione che dove il lavoro, con la crisi economica, è venuto meno si registrano percentuali preoccupanti di povertà.

E questo e' particolarmente vero in riferimento   alle famiglie del Mezzogiorno con tre o più figli minori, dove la povertà ne colpisce pressoché una su due (47,3%). Inoltre, si sta andando a erodere quella base di sicurezza familiare che per decenni ha costituito, nel nostro Paese, il welfare familiare (un ammor tizzatore sociale informale), infatti la famiglia oggi non è più “capace di risparmiare” e quindi sopportare i momenti di difficoltà.

È una situazione drammatica, dalla quale è difficile uscire.

E se è vero che da un lato c’è ancora una certa ricchezza privata delle famiglie che non sempre è vista dai sistemi di rilevazione statistici, dall’altro i meccanismi di ricerca e conservazione del posto di lavoro sono in balia a dinamiche sociali sempre più preoccupanti, nonché si è affermata, negli anni, una cultura del consumo dalla quale oggi è difficile tornare indietro.

Come comunita' cristiana abbiamo il dovere evangelico da una parte ad educare ad una vita più sobria, ad una vita che pone al centro le virtu' cristiane, una vita che educhi al bene comune.

Dall'altra, essere promotori di una cultura, di una politica che ponga al centro il nucleo fondamentale della societa', la famiglia.

In Italia la politica per la famiglia ha fatto molto poco e crediamo che con la crisi finanziaria fara' sempre meno.

Allora come cristiani non possiamo più deleghe in bianco e dobbiamo essere sale lievito e luce nel mondo affinche', come c'insegna il Magistero sociale diveniamo attori di un'economia civile fondata sulla persona, immagine di Cristo e sulla famiglia di Nazareth. Un'economia che oltre al contratto e al mercato includa anche gli esclusi, attraverso percorsi di formazione permanente, in cui gli elementi basici sono la fraternità e il bene comune

Dottrina sociale della Chiesa

a cura di Tabarro Carmine

I

La crisi economica colpisce

duro le famiglie italiane

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Evangelizzazione

La Nuova Evangelizzazionea cura di Marco Mencaglia

a Comunità Shalom di Roma ha partecipato il 15 e 16 ottobre in Vaticano al Congresso per la Nuova Evangelizzazione. E’ stato di fatto il primo grande incontro organizzato dal nuovo dicastero voluto for temente da papa Benedetto XVI, il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, presieduto da Mons. Rino Fisichella.

E’ stato un evento significativo, che ha riscosso una grande partecipazione da parte dei rappresentanti della Chiesa di tutto il mondo, sia nei momenti di studio, sia nell’incontro con papa Benedetto XVI in Aula Nervi aperto a tutti i membri delle comunità

religiose – molte di recente istituzione, come la nostra comunità – che più sono impegnate nell’evangelizzazione, in particolar modo in Europa e nei paesi occidentali. Il convegno ha unito una parte culturale, in cui si sono succeduti gli interventi approfonditi di alcuni importanti esponenti del mondo cattolico, tra cui Vittorio Messori, a una parte artistica, grazie al contributo di artisti internazionali provenienti dal Brasile, dalla Francia, dall’Italia e dal Canada. Il convegno è stato poi impreziosito in chiusura da una esibizione canora su repertorio di musica sacra di Andrea Bocelli, acclamato a lungo da tutti i partecipanti. Il breve concerto ha preceduto l’ingresso di Benedetto XVI, che

ha suscitato l’entusiasmo delle migliaia di giovani presenti in sala.

E proprio l’arte, nelle sue diverse forme (la musica, i l teatro, la danza, le ar t i figurative…) è emersa come strumento di no tevo le impor tanza per la nuova evangelizzazione. E’ un’arte non più concepita come fine a se stessa, espressione del talento o delle emozioni individuali dell’artista, ripiegato in se stesso. E’ un’arte concepita come dono di Dio, uno strumento privilegiato capace di rendere più semplice la comunicazione del messaggio di speranza evangelica, attraverso la presentazione sotto diversi aspetti e prospettive della bellezza e

L

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della verità universale. Quello dell’arte è un linguaggio immediato e comprensibile soprattutto per chi è lontano dalla fede - in particolare per i giovani - perché, in modo semplice ed efficace, induce a riflettere e a porsi quelle domande di senso sulla nostra v i t a c h e l a s o c i e t à d i o g g i t e n d e sostanzialmente ad ignorare.

La Comuni tà Shalom ha par tec ipato attivamente ai lavori, con la presenza del nostro Fondatore Moysès Azevedo, membro da anni del Pontificio Consiglio per i Laici, che si è posto subito al servizio della Chiesa per dare il contributo del nostro Carisma al dibattito sulle nuove forme e modalità di evangelizzazione. Nella serata del sabato i giovani della Comunità Shalom di Roma, Civita Castellana e Cecina hanno poi animato insieme a numerose altre comunità la notte di evangelizzazione nel centro di Roma. Nello spettacolo serale, nella cornice suggestiva di Campo de’ Fiori, le note delle nostre canzoni hanno risuonato grazie alla voce di Cristiano Pinheiro e grazie al gruppo di ballo, che ha

presentato lo spettacolo di teatro-danza “Christus”, divenuto ormai un classico capace di riassumere in modo sintetico e di grande potenza visiva il cuore del Carisma che Dio ci ha donato: il Risorto che passa per la croce e ci salva chiamandoci a un amore sponsale in Lui.

Al di là dell’aspetto ufficiale, il Congresso è stato un meraviglioso momento di condivisione per i membri della Comunità Shalom e dell’Opera in Italia. Stare insieme, riuniti nel nome e nel corpo di Cristo, in semplicità, non è quanto di meglio l’uomo possa desiderare su questa terra?

Momento culminante del Congresso è stato l’atto conclusivo – la Santa Messa celebrata la domenica mattina dal Santo Padre in San Pietro. Alla sua conclusione, le sue ultime semplici parole da lui pronunciate, secondo la liturgia, ci sono di conforto e allo stesso ci danno una grande forza per andare incontro ai nostri fratelli, guardarli negli occhi, evangelizzare: “Andate in Pace”!

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Novembre 2011

In Agenda

Missione Roma

Presso il Salone della Parrocchia a partire dalle 20.30 Via Sant'Angela Merici, 13

Musica Brasiliana

BalliAmicizia

25 novembre 2011

Incontri di preghiera,

formazione e fraternità per

giovani

con la Comunità Cattolica

Shalom

giovedì, dalle 20.15 alle

22.00

Via Costantino Maes, 104

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Dicembre 2011Quest'anno faremo il Concerto di Natale nella Parrocchia Sant'Angela Merici, il 17 dicembre.

Il concerto inizierà alle 19.00, subito dopo la messa dalle 18.00.

sarà anche un'occasione per far conoscere la Comunità

alle persone che frequentano la

parrocchia. Faremo uno stand vocazionale ed

una bancarella con prodotti e dolci natalizi

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Qui  hai  il  tuo  spazio  !

Con Piacere e immenso orgoglio la redazione di Pace a Voi ha in questi primi numeri, riscontrato un enorme successo, e per questo ringraziamo Dio e Tutti Voi per le vostre Belle Parole.

Il desiderio principale è quello di migliorare sempre di più per questo essere sempre all’altezza dei nostri lettori. Proprio per questo vogliamo ricordare quello che rappresenta la nostra rivista. nel “Nostra” intendiamo non della redazione ma di tutti, anche tu fai parte della Famiglia se hai qualche argomento da far conoscere, d ivu lgare evangel izzare o semplicemente dire la tua, ti invitiamo a contattarci ! Possiamo dare spazio alle tue parole, in ques to cammino di Pace , Evangelizzazione, e Crescita Sulla Parola del Signore.

Non esitare, Ti Aspettiamo!

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CECINA (LI / Italia): Chiesa Santa Famiglia - Via Ambrogi, s/n - CAP 57023.Tel. +39 05 86 69 12 13 / 32 85 62 10 60; e-mail: [email protected]

BIOGGIO (Svizzera): Via alla Chiesa - Centro San Maurizio, 6934. Tel: +41 91 66 6917; e-mail: [email protected]