PACE A VOI Gennaio 2012, n° 7

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Per questo la Comunità si sente chiamata a riflettere l’Unità della comunione d’amore della Trinità La pace è la riconciliazione dell’uomo con Dio, con se stesso, con gli altri e con tutta la creazione. Essa è la comunione d’amore con la Trinità incarnata nella nostra vita comune che ci è donata dal Risorto che è passato per la croce. Nel nostro carisma, la Pace, ricevuta nella contemplazione del Risorto che è passato per la croce, è accolta nella vita comunitaria per mezzo del vissuto dell’Unità. Mi ricordo qui dell’itinerario di Dio nella mia vita in relazione all’unità. A partire dalla mia esperienza di Dio e dalla coltivazione dell’amicizia divina, il Signore mi conduceva verso un vero cammino di donazione. Con semplicità capivo che, per crescere nella mia comunione con Dio, era indispensabile crescere nella mia comunione coi fratelli. Percepivo che la mia comunione con Dio mi lanciava verso una donazione di vita agli altri. Compresi che l’amore era uno solo e che, nella misura in cui cresceva il mio amore per Dio, cresceva anche la necessità di donarmi agli altri. E quanto più mi davo agli altri, tanto più cresceva il mio amore per Dio. Scoprivo poco a poco il segreto della felicità e della pace. E non le ho trovate in un cammino di realizzazione personale. Ossia in una vita vissuta in vista di me stesso, dove gli altri entrano nella misura in cui sono utili ai miei piani e progetti di felicità. No, decisamente non le ho trovate in questo cammino facile. La felicità e la pace le ho trovate nella misura in cui mi sono dimenticato di me stesso, e senza riserve, mi sono donato a Dio e agli altri. Questo donarsi non può essere calcolato o misurato secondo il mio metro e i miei limiti. Esso dev’essere senza misura, come senza misura è l’Amore con cui sono stato amato. Le parole del Vangelo assumevano maggiore significato per me e, come mai prima, capivo il vero significato della parole AMORE, VERITÀ e VITA. Volgersi a Dio e al fratello Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. (Gv 13,17) Senza alcun dubbio, è questo l’unico cammino della Pace. Vivere una vita volta a Dio e agli altri. Senza alcun dubbio è questo il cammino della felicità. Vivere l’amore. Amore che è una vita donata a Dio e agli altri, se necessario, fino al sacrificio. Vivere la verità del Vangelo in tutta la sua sana novità e radicalità. Questo amore, che genera unità, mi invita a donarmi continuamente, condividendo quello che sono e quello che ho, per configurarmi sempre più a Cristo. (…) pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha Pace a Voi (Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 13) N° 7 - Gennaio 2012 IL MENSILE Cammino di Unita ,

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Il Numero di Gennaio della newsletter della Comunità Cattolica Shalom

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Per questo la Comunità si sente chiamata a riflettere l’Unità della comunione d’amore della Trinità

La pace è la riconciliazione dell’uomo con Dio, con se stesso, con gli altri e con tutta la creazione. Essa è la comunione d’amore con la Trinità incarnata nella nostra vita comune che ci è donata dal Risorto che è passato per la croce. Nel nostro carisma, la Pace, ricevuta nella contemplazione del Risorto che è passato per la croce, è accolta nella vita comunitaria per mezzo del vissuto dell’Unità. Mi ricordo qui dell’itinerario di Dio nella mia vita in relazione all’unità. A partire dalla mia esperienza di Dio e dalla coltivazione dell’amicizia divina, il Signore mi conduceva verso un vero cammino di donazione. Con semplicità capivo che, per crescere nella mia comunione con Dio, era indispensabile

crescere nella mia comunione coi fratelli. Percepivo che la mia comunione con Dio mi lanciava verso una donazione di vita agli altri. Compresi che l’amore era uno solo e che, nella misura in cui cresceva il mio amore per Dio, cresceva anche la necessità di donarmi agli altri. E quanto più mi davo agli altri, tanto più cresceva il mio amore per Dio.Scoprivo poco a poco il segreto della felicità e della pace. E non le ho trovate in un cammino di realizzazione personale. Ossia in una vita vissuta in vista di me stesso, dove gli altri entrano nella misura in cui sono utili ai miei piani e progetti di felicità. No, decisamente non le ho trovate in questo cammino facile. La felicità e la pace le ho trovate nella misura in cui mi sono dimenticato di me stesso, e senza riserve, mi sono donato a Dio e agli altri. Questo donarsi non può essere calcolato o misurato secondo il mio metro e i miei limiti. Esso dev’essere senza misura, come senza misura è l’Amore con cui sono stato amato.Le parole del Vangelo assumevano maggiore significato per me e, come mai prima, capivo il vero significato della parole AMORE, VERITÀ e VITA.

Volgersi a Dio e al fratelloSapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. (Gv 13,17)Senza alcun dubbio, è questo l’unico cammino della Pace. Vivere una vita volta a Dio e agli altri. Senza alcun dubbio è questo il cammino della felicità. Vivere l’amore. Amore che è una vita donata a Dio e agli altri, se necessario, fino al sacrificio. Vivere la verità del Vangelo in tutta la sua sana novità e radicalità. Questo amore, che genera unità, mi invita a donarmi continuamente, condividendo quello che sono e quello che ho, per configurarmi sempre più a Cristo.(…) pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha

Pace a Voi

(Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 13)

N° 7 - Gennaio 2012

IL MENSILE

Cammino di Unita’’

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esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome. (Fil 2,6-9a) Vivere la vita di Cristo. Amare come ha amato Cristo. Donarsi come Egli si è donato.Infine, seguirLo! Vivere, nella realtà propria di ognuno, la povertà di Cristo, l’obbedienza di Cristo, la castità di Cristo.Questo non è compito facile. Direi che è impossibile con le sole forze umane. Per questo, affermo con convinzione, che questo è l’unico modo affinché la nostra umanità sia piena. Questa è la felicità e la pace che essa brama, la santità. Cristo non ci ha promesso una vita  comoda. Chi vuole la comodità sbaglia direzione. Ma ci mostra il cammino di ciò che è grandioso, di ciò che è buono, di una vita umana autentica (Benedetto XVI, udienza ai pellegrini di lingua tedesca) Santi tà, l ’unica forma di essere pienamente uomini.Santità, lasciarsi trasfigurare in Cristo. Questo è compito della grazia! Ma tocca

a noi aspirarvi in tutto e con essa cooperare. Questa Unità è dono dello Spirito. È lo Spirito che ci costituisce in una comunità evangelica, secondo lo stile delle prime comunità cristiane (cfr At 2 e 4). Nella comunità cerchiamo di accogliere nelle nostre vite la salutare novità e radicalità del Vangelo che, nella carità di Cristo, genera in noi un solo cuore e una sola anima (Cfr At 4,32). Questa unità nella carità, proposta dal vissuto del Vangelo in tutta la sua radicalità, è un’opera dello Spirito Santo che, in questo modo, genera in noi la santità. Così, attraverso la potenza dello Spirito e per mezzo del vissuto della carità, il nostro scopo è la santità, non per presunzione ma per vocazione. (Statuti della Comunità Cattolica Shalom, art. 12) Sul piano dell’unità mi piacerebbe ricordare che Dio ci rende uno in Cristo. Siamo chiamati a seguirlo nella Chiesa. Come figli della Chiesa, Dio ci ha concesso un carisma per crescere in santità e servire la Chiesa e l’umanità.

Questo carisma si manifesta nella Comunità.È per questo che è molto importante riconoscere la bellezza della Comunità che rende visibile il carisma. La Comunità è un dono. Essa è bella e noi le siamo profondamente grati poiché attraverso di essa Dio si è reso tanto presente. Certo, possiede i suoi limiti,che sono i nostri, poiché la nostra umanità, con le sue virtù e i suoi limiti, compone la Comunità. L’amore per la Comunità e lo zelo per il carisma che essa manifesta, sono fonti dell’Unità.

La fedeltà agli impegni comunitari non deve essere intesa solo come un dovere, ma deve essere cercata in primo luogo come un vero bisogno. Abbiamo bisogno della Comunità per crescere in quello che Dio ci chiama ad essere. Abbiamo bisogno della Comunità per compiere i disegni di Dio di servire la Chiesa e l’umanità. L’Unità si costruisce nella carità di Cristo. La carità di Cristo è una vita offerta a Dio, alla Chiesa, alla Comunità ed all’umanità. 

La cima è un nodo che si scioglie mentre il vento regola il suo divincolarsi.Il piacere di donarsi ed essere guidati con fiducia dall’amore di Dio

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«Chi è capace di dire a uno che lo chiede, in modo comprensibile ma conciso, che cosa propriamente significhi ‘essere cristiani’? Chi sa spiegare a un altro, in maniera comprensibile, perché egli crede, indicando quale sia la direzione chiara, il centro della decisione della fede?»[1]

In uno straordinario excursus dell’opera Introduzione al cristianesimo[2] l’allora giovane teologo J. Ratzinger cerca di rispondere a questa domanda proponendo sei diversi considerazioni che emergono dalla professione di fede in Gesù Cristo. Sono sei elementi che strutturano l’esperienza cristiana e che hanno senso solo a partire dalla fede in Gesù Cristo e ne sono come una diretta emanazione.

1) Il singolo uomo esiste solo nella relazione con gli altri: il singolo e il tutto

Un primo elemento che struttura l’esperienza cristiana deriva dal fatto che l’uomo che viene salvato da Cristo non è un singolo, bensì è inserito in un tutto che è la storia del suo essere creaturale. Se non si comprende adeguatamente la natura dell’uomo come essere sociale, il cristianesimo risulta necessariamente come uno scandalo inaccettabile:«Per noi uomini di oggi lo scandalo fondamenta le de l l ’essere - cr i s t iano è rappresentato innanzitutto dall’esteriorità in cui l’esperienza religiosa sembra finita. Ci scandalizza il fatto che Dio debba esser comunicato mediante apparati esteriori: tramite la chiesa, i sacramenti, il dogma, o anche solo tramite la predicazione (kerygma), dietro la quale ci si ripara volentieri per attenuare lo scandalo, ma che resta egualmente qualcosa di esterno. Di fronte a tutto ciò, ci si chiede: Dio abita proprio nelle istituzioni, negli eventi o nelle parole? L’Eterno non tocca forse ciascuno di noi interiormente? Orbene, a questo interrogativo bisogna rispondere subito e con semplicità in maniera affermativa e aggiungere: se esistesse soltanto Dio e una somma di singoli, il cristianesimo non sarebbe necessario. [...] Per la salvezza del singolo semplicemente non ci sarebbe stato bisogno né di una chiesa, né di una storia della salvezza, né di una incarnazione e passione di Dio nel mondo»[3].

Ma se l’uomo è - come è - una persona dotata non solo di una natura spirituale, ma anche di una corporeità che lo costituisce come essere in relazione, non avrebbe alcun senso per lui una religione che fosse puramente interiore:

«Proprio a questo punto va aggiunta l’affermazione successiva: la fede cristiana non proviene dal singolo atomizzato, ma scaturisce dalla consapevolezza che il singolo

semplicemente non esiste, che l’uomo, piuttosto, è tale solo nella connessione col tutto: inserito nell’umanità, nella storia, nel cosmo, come a lui, in quanto ‘spirito in un corpo’, si addice ed è essenziale.

Il principio ‘corpo’ e ‘corporeità’, sotto il quale l’uomo sta, significa due cose: da un lato, il corpo separa gli uomini uno dall’altro, rendendoli impenetrabili gli uni per gli altri. Il corpo, in quanto figura estesa nello spazio e delimitante, rende impossibile che uno sia totalmente nell’altro; esso traccia una linea divisoria, che segna una distanza e un limite, ci allontana gli uni dagli altri ed è in questo modo un principio dissociativo. Al tempo stesso, però, l’essere nella corporeità include necessariamente anche la storia e la vita comunitaria, giacché, se il puro spirito può essere pensato come rigorosamente a sé stante, la corporeità attesta il derivare da altri: gli uomini vivono l’uno dell’altro, in un senso q u a n t o m a i r e a l e e a l c o n t e m p o pluristratificato»[4].

Per ques to l ’ ‘essere c r i s t ian i ’ è strutturalmente un fatto sociale:

«Se, dunque, il piano della realtà del cristianesimo va ricercato qui, in un ambito che, in mancanza di un termine migliore, possiamo sinteticamente indicare come piano della storicità, possiamo senz’altro anche esplicitamente affermare: essere cristiani, secondo la sua prima finalità, non è un carisma individuale, bensì sociale. Non si è cristiani perché soltanto i cristiani pervengono alla salvezza, ma si è cristiani perché la diaconia cristiana ha senso ed è necessaria per la storia»[5].

Ma d’altro canto – afferma Ratzinger – proprio questa comunione di tutti gli uomini fra di loro necessita di un ‘singolo’ che abbatta le dittature di pensiero e gli accomodamenti che facilmente si creano nella collettività. Cristo si leva con la sua venuta contro «il potere del ‘si’ impersonale, il potere dell’anonimità, che tiene prigioniero l’uomo. Contro tale potere sta ora il nome di questo singolo: Gesù Cristo, che chiama l’uomo a seguirlo [...]. Appunto perché il cristianesimo riguarda la storia nella sua totalità, il suo appello è radicalmente rivolto al singolo: proprio per questo motivo esso dipende, nella sua totalità, da quel singolo e unico in cui è avvenuta l’apertura, con la caduta delle potenze e delle dominazioni»[6].

Questo spiega anche perché solo nel cristianesimo emerge così chiaramente il valore del singolo:

«Io penso che da qui risulti comprensibile anche il fatto che nelle altre religioni non c’è un tale ricorso al singolo»[7].

Sei caratteristiche della “forma” cristiana. Questioni di stile: appunti su di un excursus di J. Ratzinger

La Chiesa oggi

a cura della redazione di Pace a Voi

1) Il singolo uomo esiste solo nella

relazione con gli altri:

il singolo e il tutto

2) Il credente non è solamente con

gli altri, ma è soprattutto “per” gli

altri: il principio del ‘pro’

3) Dio è il Totalmente Altro e può

essere conosciuto solo per la sua

libera rivelazione:

la legge dell’incognito

4) La rivelazione divina è

eccedente ogni misura: la legge

della sovrabbondanza

5) La rivelazione cristiana è

insuperabile: lo stadio definitivo e

la speranza

6) Nell’esperienza cristiana la

“passività” precede l’“attività”:

preminenza della ricezione e

positività cristiana

7) Conclusione

8) Note al testo

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2)Il credente non è solamente con gli altri, ma è soprattutto “per” gli altri: il principio del ‘pro’

Tutta la storia della salvezza mostra che Dio si rivela chiamando qualcuno fra gli uomini a conoscerlo più intimamente. Ma questa chiamata è sempre una chiamata con la quale Dio affida una missione perché la sua rivelazione sia condivisa poi con altri. È il principio del “pro” che struttura l’esperienza cristiana. Dio sceglie alcuni, ma non li elegge mai contro gli altri, bensì a loro servizio. Il cristianesimo rifiuta così la dottrina della doppia predestinazione:

«Essere cristiani significa essenzialmente il passaggio dall’essere per se stessi all’essere gli uni per gli altri. In tal modo si chiarisce anche ciò che in verità s’intende con il concetto di elezione (‘predestinazione’), che spesso ci risulta così estraneo. Essa non indica una preferenza che lascia che il singolo viva per se stesso, separandolo dagli altri, bensì l’inserirsi in quella missione comune [...]. Di conseguenza la decisione cristiana fondamentale, l’accettazione dell’essere cristiani, significa il distacco dall’essere centrati sull’‘io’ e l’aggancio all’esistenza di Gesù Cristo, che è rivolta al tutto»[8].

3)Dio è il Totalmente Altro e può essere conosciuto solo per la sua libera rivelazione: la legge dell’incognito

Questa necessità della mediazione umana per essere resi partecipi della

rivelazione divina gratuitamente ricevuta dipende a sua volta dal fatto che Dio è inattingibile alle sole forze dell’uomo. Se da sempre la filosofia aveva chiarito che nessun uomo poteva adeguatamente conoscere Dio a partire da se stesso, ancora più decisa è in merito la teologia cristiana quando afferma che Dio è il Totalmente Altro. L’incontro con il mistero dell’incarnazione e della croce rende evidente che nessuna mente umana avrebbe mai potuto concepire Dio così:

«Già la filosofia, l’autonoma riflessione dell’uomo su Dio, porta a riconoscere Dio come il totalmente Altro, l’assolutamente nascosto e incomparabile. “Miopi come gli occhi degli uccelli notturni sono gli occhi nostri di fronte a ciò che è in sé la realtà più chiara”, aveva già detto Aristotele.[9] E in effetti, sulla base della fede in Gesù Cristo, risponderemo anche noi che Dio è il totalmente Altro, l’Invisibile, l’Inconoscibile. Orbene, se è realmente apparso così totalmente altro, così invisibile nella sua divinità, così inconoscibile, non si trattava però del tipo di alterità e di estraneità da noi previsto e calcolato, e ci è rimasto effettivamente sconosciuto. Pertanto, non doveva forse proprio questo mostrarlo come il realmente totalmente Altro, che manda all’aria i nostri calcoli circa l’essere-altro e si manifesta così come il solo autentico Totalmente-Altro»[10].

4) La rivelazione divina è eccedente ogni misura: la legge della sovrabbondanza

Questa rivelazione divina che inizia con la creazione e si compie con l’incarnazione e la Pasqua ha il carattere di una totale alterità, che so caratterizza ulteriormente come eccedenza, come generosità inimmaginabile e senza limiti. Conoscendo Dio in Cristo, l’uomo comprende la “sovrabbondanza” della grazia divina che vuole informare di sé l’universo intero, per condurre l’uomo alla salvezza:

«La sovrabbondanza è [...] la vera base e la forma della storia della salvezza, la quale, in ultima analisi, non è altro che il processo, davvero tale da togliere il respiro, per cui Dio, con un atto d’indicibile autoprodigalità, non solo ha profuso un intero universo, ma addirittura ha dato se stesso per condurre alla salvezza quel granello di polvere che è l’uomo. Sicché – ribadiamolo – ‘sovrabbondanza’ è l’autentica definizione della storia della salvezza»[11].

5)  La rivelazione cristiana è insuperabile: lo stadio definitivo e la speranza

Questa sovrabbondanza d’altronde non è una pura astrazione, bensì si è rivelata pienamente all’uomo in Cristo, che è la manifestazione del vero volto di Dio. Egli è il suo amore già totalmente donato:

«Cristo [è] il futuro già incominciato, lo stadio definitivo, già inaugurato, dell’essere uomo. Nel linguaggio della teologia scolastica si era espresso questo concetto dicendo che con Cristo la rivelazione sarebbe

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conclusa. Ciò non può ovviamente significare che ormai un determinato numero di verità è stato comunicato, per cui Dio ha preso la decisione di non aggiungere più alcuna ulteriore comunicazione. Significa, invece, che il dialogo di Dio con l’uomo, l’abbandonarsi di Dio all’umanità ha raggiunto il suo traguardo in Gesù, l’uomo che è Dio. In questo dialogo non si è trattato e non si tratta tanto di dire qualcosa, o tante cose, quanto piuttosto di dire se stesso attraverso la parola. Sicché il suo intento non è raggiunto quando è stata comunicata la maggiore quantità possibile di nozioni, bensì quando grazie alla parola appare evidente l’amore, quando nella parola i ‘tu’ vengono tra loro a contatto. Il senso del dialogo non sta in un terzo elemento, in un sapere oggettivo, bensì negli stessi interlocutori. Si chiama: unione. Ora, però, ne l l ’uomo-Gesù Dio ha det to definitivamente se stesso: egli è la sua parola e la sua parola, in quanto tale, è lui. La rivelazione non termina qui perché Dio la conclude fisicamente, bensì perché essa ha raggiunto il suo scopo»[12].

Per questo non è possibile un’ulteriorità rispetto a Gesù Cristo, come afferma anche la seconda Lettera di Giovanni quando scrive che «chi va oltre Gesù Cristo non possiede Dio» (cfr. 2 Gv 9):

«L’umanità non può spingersi più in là e più in alto di lui, perché Dio è l’Essere più vasto e più sublime; ogni apparente progresso oltre lui è un salto nel vuoto. Essa non può oltrepassarlo, in quanto Cristo è già il traguardo finale; ma deve entrare in lui, in quanto Cristo è solo l’autentico inizio»[13].

Nella storia della teologia c’è chi ha provato ad ipotizzare un superamento di Cristo a partire da una presunta superiorità dello Spirito Santo rispetto a Lui, ma questa via è irrevocabilmente chiusa dalla fede cristiana:

«La lotta intorno all’irrevocabilità dell’essere-cristiano è stata sostenuta nel Medioevo come lotta contro l’idea del ‘terzo regno’: dopo l’Antico Testamento, che è il ‘regno del Padre’, il cristianesimo attuale rappresenterebbe il secondo regno, il ‘regno del Figlio’, che sarebbe sì già migliore del primo, ma dovrebbe essere sostituito dal ‘terzo regno’, che è il ‘regno dello Spirito’.[14] La fede nell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo non può ammettere alcun ‘terzo regno’; essa crede nella definitività di quanto è avvenuto e proprio per questo sa di essere aperta al futuro»[15].

Solo a partire da questa insuperabilità di Cristo si può comprendere come siano costitutive della fede affermazioni normative ed assolute:

«Ne viene anche che la fede conosce affermazioni definitive – il dogma e il simbolo – nelle quali articola la sua interna definitività. Di nuovo, ciò non significa che quelle formule non comportino, nel corso della storia, ulteriori aperture e possano essere comprese in modi sempre nuovi, proprio come ogni singola persona, dalle vicende della sua vita,

deve continuamente imparare a comprendere in modo nuovo la sua fede. Ma significa anche che, in tale più matura comprensione, non si può né si deve buttare a mare l’insieme di ciò che è stato compreso»[16].

6)  Nell’esperienza cristiana la “passività” precede l’“attività”: preminenza della ricezione e positività cristiana

I l c r i s t ianes imo, propr io perché indeducibile dall’uomo, afferma il primato dell’opera divina e guarda all’uomo innanzitutto come a colui che accoglie l’amore:

«Esaminiamola ora non nel suo contenuto, bensì nella sua struttura: [la fede cristiana] esprime un primato del ricevere sul fare, sulle proprie prestazioni, là dove per l’uomo si tratta della realtà ultima. Qui sta forse il più profondo punto di separazione tra il ‘principio della speranza’ cristiano e la sua trasformazione marxista»[17].

Questo mostra che la grandezza d e l l ’ u o m o n o n c o n s i s t e n e l l a s u a autoreferenzialità, quanto piuttosto nel suo essere aperto alla relazione:

«A partire dalla fede cristiana, quindi, resta assodato: l’uomo non raggiunge veramente se stesso grazie a ciò che fa, bensì grazie a ciò che riceve. Egli deve attendere il dono dell’amore, e non si può accogliere l’amore se non come dono. Non lo si può ‘ fare’ da soli, senza l’altro; bisogna attenderlo, permettere che ci venga dato. E non si può divenire integralmente uomini fuorché venendo amati, lasciandosi amare. Il fatto che l’amore rappresenta per l’uomo la più alta possibilità e al contempo la più profonda necessità, e che ciò che è più necessario è contemporaneamente la cosa più libera e inesigibile, significa appunto che l’uomo, per la sua ‘salvezza’, è rinviato a un ricevere. Qualora egli rifiuti di accettare tale

dono, distrugge se stesso. Un’attività che si ponesse come assoluta, che intendesse l’essere uomini come frutto di auto-prestazione, sarebbe una contraddizione rispetto alla propria natura. Louis  Evely ha formulato questa idea in maniera grandiosa: “L’intera storia dell’umanità è stata fuorviata, ha subìto una frattura per colpa della falsa idea di Dio che Adamo si è fatta. Egli ha voluto divenire uguale a Dio. Spero che non abbiate mai visto in questo il peccato di Adamo... Non l’aveva forse invitato a questo Dio stesso? Solo che Adamo si è ingannato quanto al modello. Pensò che Dio fosse un e s s e r e i n d i p e n d e n t e , a u t o n o m o , autosufficiente; e per diventare come lui, si è ribellato, commettendo una disobbedienza. Ma allorché Dio si rivelò, allorché Dio volle mostrare chi veramente era, si manifestò come amore, tenerezza, effusione di se stesso, infinito compiacersi in un altro. Simpatia, dipendenza. Dio si mostrò obbediente, obbediente sino alla morte. Credendo di diventare Dio, Adamo si allontanò totalmente da lui. Si ritrasse nella solitudine, mentre Dio era comunione”[18].

Tutto ciò significa indubbiamente una relativizzazione delle opere, del fare. La lotta di Paolo contro la “giustizia basata sulle opere” va compresa a partire da qui. Bisogna però soggiungere che, in questo classificare l’operare umano come grandezza solo penultima, sta anche la sua profonda liberazione: l’attività dell’uomo può ora compiersi in modo tranquillo, con quella scioltezza e libertà che si addice a ciò che è penultimo. Il primato del ricevere non intende affatto condannare l’uomo alla passività, non dice che l’uomo possa ora starsene a braccia conserte, come ci rinfaccia il marxismo. Al contrario, esso ci dà piuttosto la possibilità, con atteggiamento di responsabilità e al contempo senza convulsa agitazione, di affrontare sereni e liberi le cose di questo mondo, mettendole al servizio dell’amore che redime»[19].

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7)Conclusione

L’Autore, in conclusione, afferma che è possibile mostrare che ciò che appare scandaloso – l’esteriorità del cristianesimo, il suo dipendere da un evento storico accaduto 2000 ani fa – è in realtà ciò che è pienamente adeguato all’uomo come nient’altro al mondo:

«A me pare che, partendo da qui, si possa real izzare, per così dire, la quadratura del cerchio della teologia, ossia dimostrare l’intensa necessità dell’apparente casualità storica dell’essere-cristiano, la necessità della sua positività, per noi scandalosa, in quanto evento che accade dall’esterno»[20].

8)Note al testo

[1] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 234.

[2] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), pp. 234-261.

[3] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), pp. 235-236.

[4] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 236.

[5] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 240.

[6] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 241.

[7] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 241.

[8] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 243.

[ 9 ] C i t a z i o n e d e s u n t a d a H . Meyer, Geshichte der abendlandischen Weltanschauung [Storia della filosofia occidentale] I, Würzburg 1947, 231 (ed. Bekker, 933b. 9ss.).

[10] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 246.

[11] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 252.

[12] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), pp. 253-254.

[13] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 254.

[ 1 4 ] C f r. A . D e m p f ,  S a c r u m Imperium,  Darmstadt 1954 (ristampa inalterata della prima edizione, apparsa nel 1929), 269-398 [ trad. i t . ,  Sacrum imperium. La filosofia della storia e dello Stato nel Medioevo e nella Rinascenza politica, Principato, Messina – Milano 1933]; E. Benz, Ecclesia spiritualis, Stuttgart 1934; J. Ratzinger, San Bonaventura. Teologia della storia, Nardini, Firenze 1991.

[15] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 255.

[16] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 256.

[17] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 257.

[18] L. Evely, Manifest der Liebe. Das Vaterunser,  Freiburg 1961, 26 [trad. it., Padre nostro. Alle sorgenti della nostra fraternità. Riflessioni, Ancora, Milano 1969]; cfr. Y. Congar, Le vie del Dio vivo. Teologia e vita spirituale, Morcelliana, Brescia 1965, 81s.

[19] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), pp. 257-258.

[20] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2003 (originale del 1968), p. 259.

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Portare le persone che intraprendono la Via a vivere un percorso spirituale modellato sul Carisma Shalom. Condurre queste persone verso la meta che è la Sant i tà. Migl iorare la qual i tà nell’accompagnamento pastorale delle persone che fanno parte dei gruppi di preghiera dell’Opera Shalom.

Elaborazione della Via della Pace La Comunione dei Beni per me è un atto concreto che rivela che tutto quello che ho viene da Dio. La vedo anche come un atto pedagogico di Dio, per insegnarmi a confidare nella Sua Provvidenza e ad amare i miei fratelli – i poveri, quelli che non conoscono ancora Dio – in diverse forme. Come dice la Beata Madre Teresa di Calcutta, “amare fino al dolore”: è infatti molto difficile, nel mondo in cui siamo stati educati, segnato dal valore del “possesso”, che la Comunione dei beni non sia vista come un sacrificio, per quanti beni una persona possieda.

Essere fedeli a questa Comunione di beni è soprattutto essere fedeli a Dio, ma è anche un segno della mia fiducia negli insegnamenti della Chiesa, del mio desiderio di essere “uno” con i miei fratelli. E’ un modo di porre il mio cuore, il mio tesoro, nell’Opera che Dio mi ha affidato per servirla e svilupparla. La decisione di iniziare a fare Comunione di beni la vedo come una commistione di sentimenti e decisioni: gratitudine a Dio, desiderio di vivere il Vangelo per sempre e in modo completo. Posso testimoniare che Dio è fedele e la sua generosità è sempre stata più grande, quando ho deciso di aprirmi di più alla Comunione della mia vita e dei miei beni. Un esempio che mi ha sempre accompagnato in questo percorso è stato quello di Abele, che rallegrava Dio donandogli le sue primizie. Sempre cerco di fare questo: la mia Comunione, prima di ogni altra cosa. Shalom!

Testimonianza

Eric Buarque, membro della Comunità di Alleanza

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La ricerca della felicità è uno dei temi antropologici e religiosi più rilevanti per l’annuncio del messaggio cristiano, perché rispecchia, non solo la ricerca intellettuale, inserita in essa, ma anche il senso e il valore del vissuto quotidiano, dove si gioca la realizzazione del nostro programma – consapevole o meno – di felicità. Proprio per questa caratteristica di vissuto, di passo dopo passo, è paragonata ad un viaggio: un cammino fatto di partenza, di un mezzo c a r i c o d i d r a m m a t i c i t à , e d i u n raggiungimento finale, che nel linguaggio della letteratura e del cinema, viene chiamato lieto fine. I greci, a differenza dei cristiani, avevano una visione tragica della vita, la tragedia non aveva soluzione. L’happy end cristiano fa che le tragedie diventino provvisorie, un penultimo capitolo. Ancora, la concezione non ciclica ma lineare del tempo, in cui la speranza occupa un posto privilegiato, è il fondamento dell’ottimismo e del’umorismo cristiano. Il cattolico, scrittore e filologo J. R. R. Tolkien, autore della saga de Il Signore degli Anelli riformulò questo concetto coniando un termine nuovo: eucatastrofe (buona catastrofe), cioè:

«l’improvviso capovolgimento gioioso (…) che non smentisce l’esistenza del (…) dolore e del fallimento: la loro possibilità è anzi necessaria alla gioia della salvazione; smentisce, però, nonostante le molte apparenze del contrario, l’universale

sconfitta finale, è pertanto evangelium, in quanto permette una fugace visione della Gioia, Gioia al di là delle mura del mondo, acuta come un dolore».#

Il fine ultimo è un codice scritto nel cuore dell’uomo (questo essere, narratore per natura), che lo spinge verso la beatitudine, verso un’Eucatastrofe personale, la felicità. Ecco il dramma dell’uomo, che si vede dentro una storia e chiamato all’accoglienza di un dono e ad un protagonismo. Per i cristiani la storia non ha solo una fine, ma un fine, ed è la comunione con Dio.

Per collegare al tema delle beatitudini, non possiamo lasciar da parte gli eroi del sopracitato romanzo di Tolkien, i piccoli Hobbi t , che vengono «nobi l i ta t i» o «santificati», come dichiara lo stesso autore. Gli Hobbit sono i semplici, gli “ignobili nobilitati», gli anawin, i piccoli che diventano protagonisti, invertendo l’ordine atteso dell’epopea, come afferma Elrond al termine della convocazione della Compagnia dell’Anello: «Né la forza né la saggezza ci condurrebbero lontano; questo è un cammino che solo i deboli possono intraprendere…»# Nel saggio sulla semplicità del cristiano, Hans Urs Von Balthasar ricorda che:

«Gli infimi sono, molto semplicemente, coloro che sono aperti a Dio, coloro in cui la sua parola e quindi anche la pienezza della sua sapienza può irrompere. Ciò che Maria enuncerà nel Magnif icat come legge

fondamentale della storia della salvezza, cioè che Dio abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili, è una citazione riassuntiva dell’Antico Testamento, al pari delle beatitudini di Gesù».#

Infatti, Frodo è il protagonista di una quest rovesciata, un eroe anomalo che, venuto in possesso dell’Assoluto potere accetta di distruggerlo. L’umile coscienza dei suoi limiti, la pietà che lo anima, la purezza e la mitezza, è ciò che lo salva della tentazione dell’Anello. Innanzitutto, lo scopo del viaggio non è una caccia al tesoro, ma una perdita, una rinuncia al tesoro, uno svuotamento e il sacrificio di se stesso per la salvezza altrui, dalla Contea e di tutta la Terra di Mezzo. Secondo il creatore del fantastico racconto, questa non è mera coincidenza: rispecchia le virtù cristiane, in speciale quelle paradossali del discorso della Montagna, in contrasto con le «virtù» pagane. Il lieto fine è doppio: da un lato raffigura il ritorno al quotidiano dopo la vittoria, il tornare a casa (l’ultima battuta appartiene a Samwise: «Sono tornato»), segnato dalla serenità, dalla maturità e dalla pace, e dall’altra parte la continuazione del viaggio per Frodo e per Bilbo, oltre il mare: passaggio necessario quando il quotidiano mostra di non poter essere eterno, non ha senso in sé, e l’assoluto è un’escaton ancora sconosciuto ma sommamente desiderato.

Società

a cura di Angelica Cunha - Missionaria della Comunità Cattolica Shalom a Lugano

Felicità e Santità 

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Econimia Civile

L’Economia Mondiale nel 2012

Fare delle previsioni e' sempre difficile, soprattutto in campo economico come la storia ha dimostrato. Ma come ricercatore di economia civile voglio lo stesso provare ad abbozzare delle previsioni portando con me gli strumenti specifici della nostra scuola.

Iniziamo il nostro studio dai paesi europei che sono quelli maggiormente in difficolta'.

A l momen to non c i sono e l emen t i macroeconomici per far intravedere una ripresa.

Anzi La crisi dell'eurozona potrebbe sfociare in un disastro che avrebbe ripercussioni sul mondo intero, e coinvolgere non solo gli Usa ma anche i cosidetti paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).

Anche la ripresa Usa come tutti i dati, tangibili e intangibili. Ci dicono sara' molto debole. E' bene mettersi in testa che la ricostruzione dopo i disastri disseminati in trent'anni di capitalismo finanziario e dalla sua crisi sistemica, sara' molto lunga. Noi prevediamo quanto meno un ventennio. I dati di dicembre seppure ancora non completi, per la loro negativita' ci fanno dire che le previsioni del 2012 non saranno buone.Difatti i  dati in nostro possesso riguardante le prospettive di crescita per l'anno appena iniziato sono molto più negativi di quelli che ci si aspettava un anno fa, in particolare per l'eurozona, gia' di fatto in recessione in molti paesi, tra questi: Italia e Spagna, mentre Francia e Germania dovrebbero evidenziare una leggera e trascurabile crescita; il Regno Unito si troverà nella stessa situazione di Francia e Germania. Solo il Giappone e gli Stati Uniti potranno sfoggiare qualcosa di vicino a una crescita economica ragionevole; nel caso degli Stati Uniti a dicembre era prevista una crescita del 2,1%, in rialzo rispetto all'1,9% di novembre.

Contestualizziamo questi dati: nel terzo trimestre del 2011 il Canada è stato l'unico dei Paesi del G-7 a poter vantare un livello di prodotto interno lordo nettamente superiore al tetto massimo raggiunto prima della crisi; l'economia americana e quella tedesca erano leggermente al di sopra dei massimi pre-crisi e la Francia lievemente al di sotto; il Regno Unito, il Giappone e l'Italia invece restano largamente al di sotto. Ripresa? Quale ripresa?

Eppure, il tasso di interesse più alto applicato dalle quattro banche centrali più importanti in questo momento è il misero 1% della Bce, e tutte e quattro hanno incrementato notevolmente il loro stato patrimoniale. Tra il 2006 e il 2013 il rapporto fra debito pubblico e Pi l crescerà di 56 punti percentual i nel Regno Uni to, 55 in Giappone, 48 negli Stati Uniti e 33 punti in Francia. Perché politiche tanto drastiche hanno prodotto risultati tanto modesti?

Su questo argomento infuriano dibattiti ideologici. Il modello teorico dominante sostiene che una crisi finanziaria non può verificarsi, e che anche se si verifica non ha alcuna importanza, a patto di non lasciar crollare l'offerta di moneta intesa in senso lato. Secondo questa lettura degli eventi, le economie attualmente sono frenate soltanto da rigidità strutturali e incertezze generate dalle misure politiche. A mio parere è una favola per bambini, basata su teorie che riducono il capitalismo a un'economia di baratto occultata da un sott i le velo monetario.

Trovo assai più convincenti quelle teorie che accettano il fatto che le persone possano commettere grossi sbagli. La grande divisione è fra quelli - i seguaci della scuola austriaca - che ritengono che chi sbaglia sono i Governi e la soluzione consiste nel lasciare che tutto

l'edificio finanziario venga giù, e quelli - i post-keynesiani - che sono del parere che un'economia moderna sia instabile di per sé e che lasciar crollare tutto quanto ci r ipor terebbe agl i anni 30. Io sono decisamente dalla parte di questi ultimi.

Nel suo lungimirante capolavoro del 1986, "Governare la c r i s i : l ' equ i l ib r io in un'economia instabile", Hyman Minsky esponeva la sua ipotesi dell'instabilità finanziaria. Janet Yellen, vicepresidente della Federal Reserve, ha osservato nel 2009 che «con i l mondo finanziar io in piena turbolenza, l'opera di Minsky è diventata una lettura obbligata».

L'aspetto più af fascinante del le tesi minskyane è il fatto di collegare decisioni di investimento orientate su un futuro di per sé incerto ai patrimoni che finanziano tali decisioni, e dunque al sistema finanziario. Secondo la visione di Minsky, la leva finanziaria - e dunque la fragilità - è determinata dal ciclo economico. Un lungo periodo di tranquillità accrescerà la fragilità: la gen te so t tova lu te rà i per i co l i e sopravvaluterà le opportunità. Minsky avrebbe ammoni to c he la «grande moderazione» conteneva i semi della sua stessa distruzione.

Gli anni prima del 2007 sono stati teatro di un c i c l o de l c red i t o p r i va t o f uo r i dall'ordinario, specialmente negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Spagna, sostenuto dall'aumento dei prezzi delle case. Lo scoppio di queste bolle ha portato a un'esplosione, in gran parte automatica, dei deficit di bilancio, come Minsky aveva previsto. Questo è stato uno dei tre meccanismi politici che hanno impedito all'economia di precipitare in una grande depressione; gli altri due sono stati gli interventi finanziari e monetari. Le economie

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a cura di Carmine Tabarro - Membro dell'Opera Shalom a Roma

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sono ancora alle prese con l'aggiustamento del dopo-crisi. Con tassi di interesse prossimi allo zero, i deficit di Stati sovrani affidabili sono utili da tre punti di vista: aiutano la domanda, aiutano la riduzione della leva finanziaria e aiutano ad accrescere la qualità delle attività private.

Quanta strada ha fatto il processo di "deleveraging"? In America parecchia: nel terzo trimestre del 2011 il rapporto tra debito lordo del settore finanziario e Pil era ai livelli del 2001 e il rapporto tra debito delle famiglie e Pil ai livelli del 2003. Inoltre, come fa notare la Goldman Sachs, «a nostro parere, il numero di permessi di costruzione di nuove case probabilmente ha già toccato il fondo, mentre i prezzi nominal i del le case verosimi lmente toccheranno il fondo nel corso del 2012». Gli Stati Uniti ormai sono avviati verso la ripresa, anche se sarà una ripresa limitata dal prematuro risanamento dei conti pubblici, dal deleveraging in corso, dai rischi provenienti dall'area euro e, forse, da un aumento del prezzo del petrolio. La ripresa si costruirà su un'economia che continua a essere sbilanciata.

Ma Eurolandia è ancora più fragile. L'Ocse prevede una r iduz ione de l defic i t ciclicamente aggiustato dell'eurozona dell'1,4% tra il 2011 e il 2012, contro appena lo 0,2% negli Stati Uniti. Ma il grande pericolo per le economie più deboli dell'eurozona viene dal simultaneo taglio delle spese nel settore pubblico e nel settore privato: è la ricetta ideale per una recessione grave e prolungata. Gli Stati sovrani inaffidabili sono intrappolati in sforzi probabilmente vani per risanare il bilancio statale in assenza di adeguate compensazioni da parte del settore privato e degli altri Paesi. Per questi Stati, una recessione in tutta l'eurozona è una calamità, che ostacolerà enormemente l'aggiustamento esterno di cui hanno bisogno. In questo contesto, l'offerta della Bce di finanziamenti triennali a buon mercato alle banche, che potrebbero prestare soldi a loro volta agli Stati in difficoltà, è poco più di un palliativo: ingegnoso, ma inadeguato.

I Paesi ad alto reddito hanno condotto una serie di esperimenti allettanti.

Uno è stato la deregolamentazione del settore finanziario e la crescita trainata dal settore immobiliare, ed è fallito. Un altro è stato la risposta fortemente interventista alla crisi finanziaria del 2008, e ha funzionato, più o meno. Un altro ancora è la riduzione della leva finanziaria dopo la crisi e un ritorno a un contesto monetario e di bilancio più normale, e su questo esperimento il giudizio è ancora sospeso.

Ma nell'eurozona la virata verso il rigore di bilancio corre fianco a fianco con un esperimento ancora più importante, la costruzione di un'unione monetaria intorno a un nocciolo duro strutturalmente mercanti l is ta, fra Paesi con scarsa solidarietà reciproca dal punto di vista finanziar io, s is temi bancar i fragi l i , economie poco flessibili e gradi di competitività divergenti.

Il Signore ci protegga nel 2012.

Ne avremo tutti bisogno.

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Page 11: PACE A VOI Gennaio 2012, n° 7

"Le diocesi aiutino le famiglie cristiane della Terra Santa ad ottenere una casa"L'invito ad un gesto concreto del patriarca di Gerusalemme alla Radio Vaticanaa cura della redazione di Pace a Voi

HAIFA, martedì 10 gennaio 2012  – Si sono incontrati oggi ad Haifa, in Israele, i vescovi europei e americani dell’Incontro di Coordinamento della Terra Santa per un appuntamento con la comunità cattolica locale, in particolare con i sacerdoti di tradizione latina, melkita e maronita. Notevole eco ha suscitato l’incontro avuto ieri della delegazione dei presuli con le autorità israeliane, che ha permesso di affrontare alcune delle questioni riguardanti la presenza della Chiesa nei luoghi santi.

Il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, intervistato dalla Radio Vaticana, ha dichiarato in proposito: “Siamo felici di avere la visita di questo Coordinamento, come ogni anno. E’ un segno di comunione con la Chiesa internazionale, è un segno di solidarietà”. Questa è la comunione che anche il Sinodo ha tanto predicato, la comunione tra tutte le Chiese del mondo di cui spesso parla il Santo Padre”.

Parlando, poi, dei progetti delle case e delle abitazioni per le famiglie come dei bisongi più urgenti e costosi che la comunità cristiana in Terra Santa deve affrontare, il patriarca ha aggiunto: “Una famiglia, da sola, non avrà mai la possibilità di avere una casa e faccio di nuovo un appello a quelli che possono dare un aiuto. Non possiamo mettere tutto il progetto a carico di una persona, di una chiesa, di una diocesi”.

“Se ogni diocesi si prendesse l'impegno di dotare di un appartamento una famiglia cristiana, daremo la possibilità a tante giovani famiglie cristiane di rimanere ed evitare la tentazione di emigrare” ha proseguito mons. Fouad Twal, invitando ad assumere un “senso di responsabilità, una sensibilità chiara e un senso di comunione tra noi e voi”.

Di fronte alla richiesta di un suo pensiero circa la critica di molti che la creazione di palazzi abitati solo da cristiani equivalga alla creazione di una sorta di ghetto, il prelato ha risposto: “Il fatto che ci siano case per i cristiani non rappresenta un ghetto, perché anche gli altri ricevono tanti aiuti dall’Arabia Saudita, dai loro rispettivi governi. Aiutiamo i cristiani perché ne hanno bisogno”.

“Del resto, la Chiesa cattolica gestisce 14 ospedali nel Patriarcato e noi cattolici siamo il 2-3% – ha precisato - non credo quindi che tutti gli ospedali lavorino con i cristiani, la maggioranza sono gli altri e noi siamo felici di dare il nostro servizio, la nostra carità e testimonianza agli altri”.

L’augurio, infine, di distruggere, in Terra Santa, “i muri visibili: i muri nei cuori degli uomini, come la paura, l’odio e l’ignoranza” al fine di arrivare un giorno ad una vera e propria integrazione tra le diverse religioni, nel segno del rispetto.

(Fonte: Radio Vaticana)

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Con Piacere e immenso orgoglio la redazione di Pace a Voi ha in questi primi numeri, riscontrato un enorme successo, e per questo ringraziamo Dio e Tutti Voi per le vostre Belle Parole.

Il desiderio principale è quello di migliorare sempre di più per questo essere sempre all’altezza dei nostri lettori. Proprio per questo vogliamo ricordare quello che rappresenta la nostra rivista. nel “Nostra” intendiamo non della redazione ma di tutti, anche tu fai parte della Famiglia se hai qualche argomento da far conoscere, d ivu lgare evangel izzare o semplicemente dire la tua, ti invitiamo a contattarci ! Possiamo dare spazio alle tue parole, in ques to cammino di Pace , Evangelizzazione, e Crescita Sulla Parola del Signore.

Non esitare, Ti Aspettiamo!

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CECINA (LI / Italia): Chiesa Santa Famiglia - Via Ambrogi, s/n - CAP 57023.Tel. +39 05 86 69 12 13 / 32 85 62 10 60; e-mail: [email protected]

BIOGGIO (Svizzera): Via alla Chiesa - Centro San Maurizio, 6934. Tel: +41 91 66 6917; e-mail: [email protected]